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seconda parte
LA ROBUSTEZZA È LA QUALITÀ STRUTTURALE FONDAMENTALE CHE PERMETTE A UN PONTE O A UN VIADOTTO DI SOPRAVVIVERE AGLI EVENTI NEGATIVI, ANCHE ESTREMI, CHE SI POSSONO PRESENTARE LUNGO LA VITA DI QUESTE OPERE D’ARTE E RAPPRESENTA LA POSSIBILITÀ DI ELUDERE CROLLI DISASTROSI
I CONCETTI ELEMENTARI ALLA BASE DELLA ROBUSTEZZA STRUTTURALE DI PONTI E VIADOTTI - parte seconda
1. 2 STRADE & AUTOSTRADE 1-2020 www.stradeeautostrade.it
ponti&viadotti Franco Bontempi(1)
N
ella prima parte dell’articolo, che abbiamo presentato
sul fascicolo n° 138 Novembre/Dicembre 2019, è stato
descritto il quadro a cui si deve fare riferimento per la
progettazione di una opera d’arte come un ponte e un viadot-
to, riconoscendo le caratteristiche intrinseche delle azioni a cui
queste opere sono soggette. Il riconoscimento di eventi estremi,
che sfuggono a una precisa descrizione statistica, deve portare a
concepire strutture robuste. In questo modo, si possono evitare
collassi disastrosi e in particolare collassi progressivi.
Nella seconda parte qui proposta viene ora ampliato il tema
della robustezza strutturale considerando il contesto più gene-
rale in cui viene concepita e progettata un’opera d’arte come un
ponte o un viadotto, riconoscendo aspetti profondi che rendono
la concezione strutturale la fase più delicata e importante nella
realizzazione di tali opere.
LE STRATEGIE DI PROGETTO PER LA ROBUSTEZZA
Come accade frequentemente nell’Ingegneria, dall’esame de-
gli insuccessi si può risalire a idee per progetti che li evitino, o
almeno, li contrastino: questo è un processo di aumento delle
conoscenze tipico della Ingegneria Forense [1].
Un ulteriore aspetto da considerare è che si possono (si devono)
applicare per analogia idee progettuali anche da altri tipi di
Ingegneria Strutturale oltre che quella dell’Ingegneria Civile:
in particolare, il concetto di robustezza è innato nelle strutture
previste nell’Ingegneria Navale e nell’Ingegneria Aeronautica.
Da queste considerazioni, si arriva a individuare due strategie di
progetto per ottenere costruzioni robuste [2 e 3].
Strategia 1: aumentare la continuità della struttura
La prima strategia per rendere robusta una struttura è quella di
rendere le parti che la compongono molto connesse. In questo
modo, la struttura tende ad essere maggiormente iperstatica e
può quindi presentare una ridondanza di percorsi di trasferimen-
to del carico dal punto di applicazione alle fondazioni.
LA ROBUSTEZZA È LA QUALITÀ STRUTTURALE FONDAMENTALE CHE PERMETTE A UN PONTE
O A UN VIADOTTO DI SOPRAVVIVERE AGLI EVENTI NEGATIVI, ANCHE ESTREMI, CHE SI POSSONO
PRESENTARE LUNGO LA VITA DI QUESTE OPERE D’ARTE E RAPPRESENTA LA POSSIBILITÀ
DI ELUDERE CROLLI DISASTROSI
I CONCETTI ELEMENTARI
ALLA BASE DELLA ROBUSTEZZA
STRUTTURALE DI PONTI E VIADOTTI
- SECONDA PARTE -
1A e 1B. Danni riportati ad un velivolo B17
durante la Seconda Guerra Mondiale
2. 1-2020 STRADE & AUTOSTRADE 3www.stradeeautostrade.it
Deve comunque essere osservato che non esiste una correla-
zione diretta fra aumento della iperstaticità e aumento della
robustezza.
Per avere un’idea di questa strategia, anche qui il riferimento
naturale è quello delle fusoliere degli aeroplani. La Figure 1A e
1B illustra un noto caso di collasso limitato di un aeromobile du-
rante la Seconda Guerra Mondiale: le fusoliere di questi velivoli
erano, infatti, altamente connesse essendo composte da fasci
di elementi (aste geodetiche) che risultavano nel complesso
difficilmente tranciabili.
Questo elevato grado di connessione che permette di sopperire
al fallimento di alcuni elementi senza condurre ad un collasso
generalizzato, presentando una ridondanza nel percorso dei ca-
richi, è mancato, ad esempio, nel caso del New Haengju Bridge
in Corea illustrato in Figura 2: in questo caso, il cedimento locale
di un appoggio ha provocato una crisi globale del ponte.
Un analogo cedimento nel Nipigon River Bridge in Canada,
rappresentato in Figura 3, ha provocato invece solo danni ri-
parabili avendo a disposizione, in questo ponte, una cortina di
stralli. Proprio queste considerazioni hanno portato negli anni
a passare da schemi di ponti strallati con pochi stralli a schemi
moderni con un numero significativo di stralli.
Strategia 2: segmentare la struttura
Questa seconda strategia per rendere robusta una struttura risul-
ta, paradossalmente, opposta alla precedente: per rendere robu-
sta una struttura è qui necessario suddividerla in compartimenti il
più possibile isolati l’uno dall’altro, in modo che il collasso di uno
di questi compartimenti resti confinato in esso e non si propaghi.
Quindi, al posto di aumentare la continuità fra le parti della strut-
tura, si opera cercando di rendere discontinua la struttura. Questa
idea è comune ad esempio nel contrasto dello sviluppo di un
incendio: il concetto di compartimentazione contro il propagarsi
delle fiamme è ben noto.
Questa operazione di suddivisione non implica necessariamente
una separazione fisica: con riferimento alla Figura 4 che ritrae
ancora una volta un velivolo, si vede che la perdita di parte della
carlinga è stata interrotta dalla presenza di ordinate di forza (ele-
menti trasversali all’asse del velivolo).
Questi elementi sono analoghi alle ghiere presenti negli tubazioni
come gli oleodotti che hanno lo scopo di arrestare eventuali ova-
lizzazioni o perdite di forma della sezione delle condotte. Ancora,
la compartimentazione presente nelle navi permette loro di subire
l’allagamento di una parte senza che la nave affondi. Infine, la
separazione può essere non solo spaziale ma anche temporale:
si pensi, ad esempio, alla quarantena messa in atto nel caso di
malattie contagiose.
La declinazione sulle strutture da ponte sono note da tempo: si
consideri, ad esempio, il ponte ferroviario in muratura che col-
lega Venezia alla terraferma costruito nel 1846 (Figura 5).
2. Il collasso globale del New Haengju Bridge
3. Il collasso parziale del Nipigon River Bridge
4. I danni riportati in un velivolo Boeing 737-200 nel 1988
5. Il ponte della Libertà a Venezia
INTEGRITÀ STRUTTURALE
3. 4 STRADE & AUTOSTRADE 1-2020 www.stradeeautostrade.it
In tale struttura, è evidente la presenza ogni cinque archi in mura-
tura di un elemento solido che può interrompere la propagazione
del collasso progressivo della serie di archi qualora uno di essi
avesse ceduto. La presenza di questi elementi di forza, è rico-
noscibile, ad esempio, anche nel caso del viadotto sulla Haute
Marne rappresentato in Figura 6: anche qui, il codice genetico
della struttura è immediatamente riconoscibile.
IL CASO DEI VIADOTTI
La strategia di segmentare una struttura per renderla più robusta
ha caratteristiche più generali della prima che prevede di aumen-
tarne la continuità. Infatti, mentre quest’ultima strategia è basata
su concetti meccanici, basti pensare invece che ogni qualvolta si
vuole evitare la propagazione di un danno si separano spazial-
mente gli oggetti distanziandoli [4 e 5].
L’idea di applicare questa separazione spaziale può quindi essere
utile nel caso dei viadotti. I viadotti, infatti, si distinguono rispetto
ai ponti per il loro maggiore sviluppo lineare e per la presenza
di opere strutturali disposte in serie lungo il tracciato stradale:
in questo senso, mentre un ponte è un’opera d’arte singola, un
viadotto può essere pensato composto da più opere allineate.
Da questa osservazione elementare, il concetto di robustezza
strutturale deve essere declinato con attenzioni differenti a un
singolo ponte e a un intero viadotto. Per quest’ultimo infatti, è
essenziale la strategia di segmentazione, per cui è accettabile
la perdita di una parte (anche cospicua) di struttura mentre non
ne è accettabile la perdita complessiva, come può accadere nel
caso di sviluppo di un collasso progressivo che interessi via via
tutto il viadotto.
Un caso storico di collasso localizzato è stato quello a seguito
dell’impatto della petroliera Esso Maracaibo su una pila del via-
dotto sull’omonimo lago in Venezuela: grazie a uno schema sta-
tico complessivo del viadotto che prevedeva delle separazioni tra
una pila a X e l’altra, con l’interposizione di una trave tampone,
il collasso di una di queste pile ha fatto perdere circa 300 m di
impalcato ma non ha prodotto una progressione del collasso a
tutto il viadotto lungo oltre 7 km (Figura 7).
Se in questo episodio si possono avere dubbi sulla scelta con-
sapevole di rendere robusto nel suo complesso il viadotto, un
caso in cui è stata esplicitamente considerata la robustezza nella
concezione strutturale è quello del viadotto Confederation Bridge
in Canada. In questo caso, è stata individuata una configurazione
che permettesse un disgaggio di parte dell’impalcato senza che
questo trascinasse il resto: questo è stato ottenuto sia introdu-
cendo una cerniera lungo l’impalcato sia tagliando i cavi di pre-
compressione che altrimenti avrebbero potuto trascinare verso il
basso l’impalcato nella gran parte della sua lunghezza (Figura 8).
UNO SGUARDO PIÙ AMPIO SULLA ROBUSTEZZA
STRUTTURALE
In termini generali, è interessante ripercorrere il percorso che -
partendo dall’esame dei collassi - porta a progettare strutture
che li evitino o almeno li moderino.
In effetti, esiste un modello generale che permette di ordinare i
fattori che possono portare a una crisi strutturale (o, in generale,
di un qualsiasi sistema artificiale). Si considera allo scopo il dia-
gramma di Figura 9: qui è rappresentato il modello di Reason [6]
che intende un qualsiasi sistema, e quindi anche una struttura,
come ottenuto da una serie di passi - idealizzati come layer - da
quello di concezione a quello realizzativo, e così via.
Orbene, in ciascuno di questi passi, si hanno inevitabilmente delle
mancanze, cioè degli errori o delle imperfezioni, rappresentate
idealmente come dei buchi su questi layer. Il modello di Reason
prevede che quando questi buchi, queste mancanze, si allineano
quella che è solamente una minaccia (hazard) si propaga attra-
verso i layer e si concretizza in un collasso vero e proprio avendo
perforato tutte le difese del sistema.
Questo modello esplicativo di utilità generale nell’Ingegneria Fo-
rense - noto anche come Swiss Cheese Model for Failure per la
chiara similitudine - permette di esaminare ordinatamente tutte
le fasi che hanno eventualmente condotto a una crisi [1]; infatti si
possono avere debolezze o carenze:
• nel clima di progetto, inteso come insieme di conoscenze e
consapevolezze all’epoca di progetto dell’opera;
• nella concezione della struttura;
• nello sviluppo delle rappresentazioni grafiche;
• nello svolgimento delle calcolazioni;
• nella scelta dei materiali e dei componenti;
• nelle fasi costruttive;
6. Il viadotto Chaumont Haute Marne
8. Il disegno preliminare e finale del Confederation Bridge in Canada
ponti&
viadotti
7. Il viadotto General Rafael Urdaneta a Maracaibo, in Venezuela
(photo credit: Orlando Pozo)
4. INTEGRITÀ STRUTTURALE
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• nell’utilizzo;
• nell’accadimento di eventi accidentali o eccezionali,
magari legati a difetti dormienti o minacce latenti;
• nella manutenzione;
• nel monitoraggio.
È quindi opportuno e necessario estendere il concetto di
robustezza dalla considerazione di aspetti strettamente
strutturali a quella del processo complessivo che porta
dalla concezione all’utilizzo consapevole della struttura.
Questa considerazione è quella che porta il concetto di
robustezza ad allargarsi includendo - accanto ad azioni
accidentali quali fuoco, esplosioni e impatti - anche gli ef-
fetti legati all’errore umano. Infatti, già nelle basi degli Eurocodici
negli anni Novanta, si trova la definizione: “Robustness is the abi-
lity of a structure to withstand events like fire, explosions, impact
or the consequences of human error, without being damaged to
an extent disproportionate to the original cause”.
Se è opportuna e necessaria questa visione sistemica, tra tutti
questi passi, vanno studiati con particolare attenzione il livello (0)
per la sua impercettibilità agli attori presenti nella vita dell’opera
d’arte e il livello (1) che riguarda gli aspetti iniziali della progetta-
zione. Proprio in questa fase che coinvolge le capacità intellettuali
più elevate e creative, si forniscono le basi genetiche alla struttu-
ra. Queste basi marcheranno la struttura, rappresentandone sia
le qualità positive sia le tare: proprio queste tare sono quelle che
possono condurre a collassi catastrofici.
Al proposito, in Figura 10 è considerato il noto Almö Bridge (inau-
gurato nel 1960), che collegava l’isola di Tjörn (settima isola più
grande della Svezia) alla terraferma. Il ponte crollò il 18 Gennaio
1980, quando la nave MS Star Clipper colpì l’arco del ponte. Otto
persone morirono quella notte mentre guidavano fino a quan-
do la strada non fu chiusa 40 minuti dopo l’incidente. La forma
dell’arco era una debolezza congenita che alla fine è esplosa:
infatti, il nuovo ponte che fu costruito e inaugurato nel 1981 era
strallato.
Come si può arguire, le tare genetiche provenienti da una errata
- o non completamente esplorata - concezione strutturale non
sono correggibili neanche con analisi e verifiche più sofisticate,
portando prima o poi al collasso strutturale.
Deve essere anche sottolineato che solo una chiara compren-
sione dei presupposti implicati nei livelli 0 (clima in cui è stata
progettata un’opera) e 1 (comprensione della concezione strut-
turale) possono permettere l’implementazione di un’opportuna
attività di monitoraggio: solamente in questi casi tale attività può
essere effettivamente utile, arrivando persino a configurarsi come
augmented capacity strutturale [7, 8 e 9].
Infine, il quadro previsto dalla Figura 9 getta luce su aspetti an-
cora più generali della robustezza nel suo complesso con riferi-
mento all’intera vita di una struttura. Infatti, tale quadro mette in
evidenza il ruolo delle organizzazioni che progettano e gestiscono
l’infrastruttura, organizzazioni che hanno un ruolo chiave durante
la vita dell’opera d’arte. Questa precisazione, individua quindi
chiaramente anche la dimensione amministrativa e gestionale
della responsabilità, alzando il livello della stessa dal mero piano
tecnico a quello manageriale. n
(1)
Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni, Docente di
Teoria e Progetto di ponti presso la Facoltà di Ingegneria Civile
e Industriale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza
9. Il modello di Reason per gli incidenti (Swiss Cheese Failure Model)
10. L’Almö Bridge in Svezia
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