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15 03 27 RdL - F. Baiardi
1. 28 27 marzo 2015
Per prima cosa gli chiediamo perché una
persona decide di diventare delegato del-
la Croce rossa. «Ci sono due fattori impor-
tanti alla base della mia scelta», spiega Ba-
iardi. «In quel periodo studiavo economia a
Ginevra e, diciamo, sapevo cosa non avrei
voluto fare: andare in banca oppure ritrovar-
mi in un’assicurazione. E poi c’era quella
volontà, un po’ incosciente e idealista forse,
di aiutare il prossimo. Avevo quindi due op-
zioni: la cooperazione allo sviluppo o la Cro-
ce rossa. Ho scelto di indirizzarmi verso que-
st’ultima».
Dal giugno del 1992 al marzo del 1993 è
in Somalia, dove la partenza di Siad Bar-
re aveva lasciato un vuoto di potere nel
Paese. A differenza di altre organizzazio-
ni, la Croce rossa operava ancora nel Cor-
no d’Africa. Pur essendo impegnato in
una funzione amministrativa, Fabio Ba-
iardi si è trovato confrontato con gli stes-
si pericoli e disagi di chi lavora come de-
legato a stretto contatto con la popolazio-
ne. «In certe situazioni la Croce rossa può
fare la differenza. Anche se ci sono molte or-
ganizzazioni internazionali che agiscono di-
rettamente sul posto, la Cicr ha sempre un
certo impatto tra le parti in conflitto, che le
riconoscono un ruolo neutrale. Il problema è
che non è sempre evidente individuare i grup-
pi armati che combattono tra loro».
A quella prima missione in Somalia cari-
ca di slanci idealistici, ne sono seguite
molte altre. Ma chi sceglie la destinazio-
ne? «Difficilmente si può scegliere, a meno di
avere come bagaglio personale caratteristiche
di idoneità a un determinato luogo. Di rego-
la, si viene mandati dove in quel momento
c’è una richiesta particolare e/o urgente. Ini-
zialmente, il primo incarico all’estero è pre-
ceduto da una formazione di base di alcune
settimane. Il candidato viene adeguatamente
preparato e allo stesso tempo si cerca di capi-
re se è adatto all’incarico che gli verrà asse-
gnato. In Somalia, per esempio, la lingua
italiana è stata a volte utile visto che, essen-
do stata questa regione nel secolo scorso una
colonia italiana, era possibile incontrare an-
ziani che parlassero la mia lingua. Un aspet-
to che può facilitare i contatti con la popola-
zione locale».
A cavallo tra il 1993 e il 1994 Baiardi è
stato in Azerbaigian, nella città di Baku.
«Una regione dell’ex Unione Sovietica di
cultura osmanica, turca se vogliamo. I pro-
blemi erano sostanzialmente diversi da quelli
In missione nel mondo per la
di Marco Della Bruna
CI SONO PERSONE CHE, MAGARI PER MOTIVI
MOLTO DIVERSI, DEDICANO PARTE DELLA PRO-
PRIA ESISTENZA A GIRARE IL MONDO, ACCET-
TANDO DI LAVORARE IN CONDIZIONI DIFFICILI
E A VOLTE PERICOLOSE. LI SPINGE LA VOGLIA DI
CAPIRE COSA AVVIENE OLTRE I NOSTRI CONFINI
E DI AIUTARE IN QUALCHE MODO CHI QUOTI-
DIANAMENTE VIVE TRA GUERRE E L’INCERTEZ-
ZA DEL PROPRIO FUTURO.
FABIO BAIARDI È UNA DI QUESTE. LO ABBIAMO
INCONTRATO NELLA SUA ABITAZIONE DI MA-
GLIASO PER PARLARE DELLE SUE ESPERIENZE
COME DELEGATO DELLA CROCE ROSSA.
Una pausa durante
un trasferimento nel Niger.
"La Rivista di Lugano", 27 marzo 2015
2. Rivista di Lugano 29
riscontrati in Somalia. Anche quella era co-
munque, e lo è tutt’ora, una terra di vecchi
conflitti interni e internazionali».
Diversamente da quanto accadeva anni
fa, non è più obbligatorio essere cittadini
svizzeri per operare per la Croce rossa nel-
le zone di crisi, anche se in determinate
situazioni può essere utile per la neutrali-
tà internazionalmente riconosciuta al no-
stro Paese.
I due volti della Colombia
Tra il 1994 e il 1995, Baiardi è in Colombia.
«C’era una sorta di guerra interna tra gruppi
rivoluzionari e truppe governative. La mia era
un’attività prevalentemente d’ufficio, anche se
mi è capitato di girare il Paese per visitare le de-
legazioni. Durante gli spostamenti cercavo,
quando possibile, di approfittare per visitare de-
tenuti di una delle fazioni in guerra o azioni si-
mili. C’erano poi tensioni dovute al traffico in-
ternazionale di stupefacenti, di armi e di merce
di contrabbando». Nei 13 mesi di permanen-
za in Colombia Fabio Baiardi ha conosciuto
quella che è oggi sua moglie, Maria Cecilia,
la quale del suo Paese piace ricordare «che
non è solo violenza e traffico di droga. La Co-
lombia oggi è un luogo più tranquillo. Ha una
lunga storia alle spalle, bellezze incredibili, con
grandi potenzialità, anche per il turismo. È un
posto da scoprire, o da riscoprire».
Dopo l’esperienza in Sud America, Baiardi
e la moglie si recano in Kenya presso la de-
legazione della Croce rossa a Nairobi, che
serve una buona parte dell’Africa Orienta-
le. Nel novembre del 1996 rientrano in
Svizzera (era in arrivo la figlia Daniela),
mentre nel gennaio 1997 Baiardi va in Ce-
cenia in qualità di osservatore elettorale.
«Flavio Cotti era in Consiglio federale, per
poi diventare presidente della confederazione
nel 1998. A quell’epoca era richiesto un mag-
giore coinvolgimento dei ticinesi quali osserva-
tori elettorali all’interno del pool d’esperti per
la promozione civile della pace. Nel dicembre
del 1996 in Cecenia erano stati uccisi sei dele-
gati della Croce rossa, era quindi una zona
particolarmente a rischio. Ma è andato tutto
bene».
Dopo un lungo periodo in cui ha lavorato
in Svizzera, prima come direttore della
Cassa pensione dei dipendenti dello Stato
in seguito nel settore finanziario privato a
Lugano, nel gennaio del 2005 Fabio Baiar-
di parte come osservatore elettorale: desti-
nazione Moldavia. «Sono rimasto a Cahul
per circa tre mesi. Oltre a controllare il corret-
to svolgimento delle elezioni e del conteggio dei
voti, siamo stati impegnati nella campagna
elettorale. È stata la mia ultima esperienza co-
me osservatore elettorale». Sempre nel
2005, va per alcuni mesi in Sierra Leone,
questa volta per l’aiuto umanitario svizze-
ro. Infine, dal novembre 2005 al luglio del
2009, si trasferisce con la famiglia in Nige-
ria quale addetto commerciale, primo col-
laboratore e, per quasi un anno, incaricato
d’affari presso l’ambasciata svizzera. «È sta-
ta un’esperienza che ricordiamo con nostalgia.
Quando sono arrivata – interviene la figlia >
Croce rossa
La «sede» della Croce rossa nella cittadina di Grand Popo nel Benin.
Fabio Biardi (a destra), con la moglie Maria Cecilia
e la figlia Daniela; a sinistra il cognato.
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Poi vedi la Svizzera con occhi diversi
Di questi viaggi ed esperienze all’estero re-
stano tanti bei ricordi, legati ai luoghi e
agli incontri. «Ho ancora numerosi contatti
con le persone che ho conosciuto in quegli an-
ni, sia colleghi di lavoro sia amici incontrati al
di fuori delle attività professionali». Ci sono
stati momenti particolari, attimi di paura,
dove la tensione sale. Come quando, a
Mogadiscio nella sede della Croce rossa, è
entrato un rapinatore armato. Pochi mesi
prima un suo collega era stato ucciso in cir-
costanze simili. «Sono stati minuti lunghissi-
mi, ma siamo riusciti a mantenere la calma e
tutto si è risolto senza danni per noi. Il malvi-
vente se n’è andato con i soldi della cassafor-
te, ma non ci ha fatto del male».
Prevalgono di gran lunga i pensieri e le
esperienze positive. «Grazie alle missioni per
la Croce rossa e per altre istituzioni per le qua-
li ho lavorato, ho girato il mondo. Queste
esperienze mi hanno insegnato a guardare la
Svizzera con occhi diversi, ad apprezzare
quanto siamo fortunati a vivere qui e quanto il
nostro Paese può offrirci».
Operando in realtà problematiche e in
contesti di disagio e di povertà, Fabio Ba-
iardi ha anche potuto dare qualcosa di sé e
contribuire al successo di progetti e inizia-
tive di pace e umanitari. «Non starebbe a
me fare un bilancio di questo tipo, comunque
ritengo di aver portato qualcosa di buono nei
posti dove sono stato. Ripensando a certe co-
se, non sono certo che le affronterei nello stes-
so modo. L’esperienza e la capacità di analiz-
zare determinate situazioni, oggi forse mi per-
metterebbero di agire diversamente. Tuttavia
non rinnego nulla di quello che ho fatto e non
ci sono posti dove non vorrei essere stato. Ma-
gari in alcuni non ci tornerei, se non per ra-
gioni professionali, ma penso che ogni espe-
rienza che ho fatto sia stata molto utile». Non
ci sorprende, dunque, la sua risposta quan-
do afferma che «consiglierei a un giovane che
vuole conoscere meglio cosa avviene attorno a
lui di fare questo genere di esperienze...». E di
farle «finché possibile, perché col tempo certe
cose diventano un po’ più difficili da realizza-
re».
Con la lunga permanenza in Nigeria e il
susseguente soggiorno presso il Consiglio
d’Europa a Strasburgo, si è chiuso per Fa-
bio Baiardi il periodo dell’impegno umani-
tario. Ma chissà, forse si tratta solo di una
pausa momentanea.
Daniela – è stato molto difficile ambientarmi.
All’inizio ho sofferto un po’ per la nuova si-
tuazione, ma poi ho imparato a conoscere la
gente, mi sono fatta delle amicizie e il giorno
che sono dovuta rientrare definitivamente in
Svizzera… ho pianto».
"La Rivista di Lugano", 27 marzo 2015