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Studente
Daniele De Luca
s207895
PRETTY
AS A SWASTIKA
Comunicazione visiva nazionalsocialista
e riflessioni sull’etica
Relatore
Elena Dellapiana
Politecnico di Torino
Correlatore
Giaime Alonge
Università di Torino
C.d.L. Design
e Comunicazione Visiva
PRETTY
AS A SWASTIKA
Comunicazione Visiva
nazionalsocialista e riflessioni
sull’etica
Correlatore
Giaime Alonge
Università di Torino
Studente
Daniele De Luca
s207895
Relatore
Elena Dellapiana
Politecnico di Torino
A.A. 2016/2017
Sommario
| Introduzione 7
| Contesto 16
1 Il documentario
1.1 Documento e stile documentario 42
1.2 Documentario e Zeitgeist 51
1.3 Documentario d’esplorazione 55
1.4 Aktion T4 60
1.5 Theresienstadt 63
Casi Studio
Der Sieg des Glaubens 69
Triumph des Willens 77
Olympia 106
Der Ewige Jude 129
2 Il manifesto
2.1 Arte 138
2.2 Sport 152
2.3 Salutismo 158
Ludwig Hohlwein - approfondimento 165
Gino Boccasile - approfondimento 171
3 Il brand
3.1 Svastica, da simbolo a marchio 181
3.2 Seig Sieg! 191
3.3 Hugo Boss 193
3.4 Manuale d’uso 196
3.4 Antiqua vs Fraktur 203
Gleichschaltung - approfondimento 213
4 Conclusioni 221
| Fonti
Bibliografia 238
Sitografia 245
Videografia 251
6
Introduzione
7
INTRODUZIONE
Questa tesi ha lo scopo di
indagare tutti gli aspetti
della comunicazione visi-
va del “progetto” nazio-
nalsocialista degli anni ’30
fino alla fine della Seconda
Guerra mondiale.
Il tentativo è quello di indi-
viduare il fil rouge che tie-
ne insieme i vari approcci
comunicativi visuali. Non
a caso l’utilizzo della pa-
rola progetto si rivela utile
proprio per capire come
il Partito abbia proiettato
tutti gli ideali del movi-
mento all’elemento visual,
cercando di stimolare l’e-
motività, l’entusiasmo e le
reazioni “di pancia” piut-
tosto che una sana critica
intellettuale. Obiettivo del
progetto nazionalsociali-
sta era quello di creare un
ambiente fatto di simboli,
architettura e riti ben co-
ordinati tra loro capaci di
elevare il tedesco in uno
stato superiore. Spunto
della ricerca è sicuramente
l’idea di aestheticization
of politics, coniata dal filo-
sofo tedesco Walter Benja-
min, indicandola come la
chiave del successo dei
Regimi. In questa teoria,
tutti gli aspetti della vita
sono indicati come inna-
tamente artistici, anche la
politica. Con quest’ottica
la politica può essere pro-
posta e strutturata come
una forma d’arte.
È bene cominciare con
una contestualizzazione
storica, come nasce il con-
cept, da cosa attinge l’ide-
ologia nazista, qual è lo
scenario, l’intuizione di ar-
chitettura come mezzo di
8
comunicazione, portatrice
di significati nonché conte-
nitore dei grandi eventi/ri-
tuali. Il rito è fondamentale
per la creazione di quella
che viene definita da Ge-
orge Mosse una religione
laica; che come in qualsi-
asi altra religione la teolo-
gia si esprimeva attraverso
una liturgia: cerimonie, riti
e simboli che rimanevano
immutabili in un mondo in
costante mutamento1
.
Di seguito, nel capitolo il
documentario, si cercherà
di approfondire il signifi-
cato di documentario e le
varie ambiguità che tale
termine porta nella tra-
sposizione del reale. Come
è possibile capire, in segui-
to, sarà proprio questa am-
biguità di fondo a spingere
il Terzo Reich a sceglierlo
come linguaggio per rap-
presentare al meglio lo
spirito del tempo, la gran-
dezza della Germania e
del popolo tedesco, quel-
lo che oggi chiameremo
storytelling. Ma non solo, il
documentario verrà utiliz-
zato anche a scopo educa-
tivo, si è scelto dunque di
approfondire con un caso
studio Der Ewige Jude, il
suo carattere documen-
taristico, quasi scientifico,
tenta di istigare il disgu-
sto e la repulsione verso
la razza ebraica. L’arte di
persuasione ha, anche, bi-
sogno di grandi eventi che
suggestionino lo spetta-
tore e che questi vengano
proposti e diffusi con uno
sguardo altamente esteti-
co. È proprio il caso della
triade documentaristica di
Leni Riefenstahl: Der Sieg
des Glaubens (1934), Triu-
mph des Willens (1935) e
1.	 George MOSSE, LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE, Bologna,
Soc. Ed. il Mulino, 1975, p.44.
9
Olympia (1938). E se al do-
cumentario venne affidato
il compito di raccontare il
mondo nazionalsocialista,
i manifesti sono portatori
di messaggi più precisi e
puntuali. La loro compo-
sizione mirava al massimo
della semplicità contenu-
tistica senza pretendere
nessuno sforzo cognitivo
aggiuntivo. La raffigura-
zione quindi è preminente
in tutta la comunicazione
affidata ai supporti carta-
cei, da ricordare che tutte
le avanguardie artistiche o
di progettazione erano vi-
ste come degenerate, tra-
ditrici dei valori tedeschi.
La mostra Entartete Kunst
del ’37 a Monaco ne è la
prova, preceduta dalla di-
partita del Bauhaus nel ’33
subito dopo l’avvento del
nazismo.
L’analisi procede, nel ca-
pitolo il brand, con il sim-
bolismo trasformato in un
vero marchio, un collante
di valori immateriali, quali:
identità nazionale (coin-
cidente col partito); supe-
riorità della razza ariana
e antisemitismo; la storia
della Germania e tutti gli
altri aspetti distintivi rite-
nuti fondamentali dalla
nefasta ideologia nazista.
In conclusione, si tenterà
di capire in che modo l’e-
tica dei singoli progettisti
sia rilevante per l’estetica
politica in generale. Come
visto l’innegabile talento di
Leni Riefenstahl, per quan-
to riguarda i documentari,
e di Ludwig Hohlwein, per
quanto riguarda i mani-
festi (approfondimento
a fine capitolo il Manife-
sto) hanno contribuito
10
non poco alla creazione
dell’estetica nazionalso-
cialista. Scopo della tesi
non è quello di verificare
l’effettiva responsabilità
etica, aldilà delle effetti-
ve condanne giuridiche,
ma aprire una riflessione
su quanto sia importante
per i progettisti prefigurare
una serie di aspetti molto
più complessi del “solo”
cosa? come? e a chi? comu-
nicare. L’evoluzione tec-
nologica non può essere
tralasciata in questa rifles-
sione, in quanto è inevita-
bile l’intreccio e la commi-
stione con l’informazione
e con la comunicazione,
non solo visiva. Infatti, si
farà cenno al dibattito che
ruota intorno la computer
ethics. In fine, l’esempio
delle recenti elezioni pre-
sidenziali americane sem-
brano un ottimo esempio
di questo intreccio, e non
solo perché è noto che una
porzione dell’elettore si
rifà all’estetica nazista, ma
anche perché utilizza l’a-
spetto emotivo (compresa
la rabbia) come elemento
essenziale della comuni-
cazione. A ciò si aggiun-
ge una sempre maggiore
riflessione dei designer
odierni sulle effettive re-
sponsabilità prima di tutto
civiche ed etiche ancor pri-
ma che professionali.
11
OSSESSIONE PER
L’IMMAGINE
L’abilità oratoria di Hitler non si
era ancora manifestata. Ancor
prima di diventare cancelliere del
Terzo Reich, Hitler si esercitava
per ore davanti allo specchio con
il sottofondo delle registrazioni
dei suoi discorsi al fine di miglio-
rarsi e sembrare il più naturale
possibile nelle movenze, nell’in-
tonazione vocale e nella mimica
facciale. Il suo fotografo perso-
nale, Heinrich Hoffmann, scattò
queste foto (alcuni poco più che
fotogrammi) che ritraggono Hitler
mentre si allena verso la fine degli
anni ‘20. Ad Hoffmann fu ordinato
di distruggere gli scatti e i negativi
perché potevano minare l’aura di
naturalezza dei discorsi di Hitler
e, con essa, il suo magnetismo.
Ma Hoffmann evidentemente non
obbedì e così per la prima volta
sono visibili questi scatti finora
rari delle prove di Hitler oltre a
quelle in cui, giovanissimo, ritrag-
gono il cancelliere con calzettoni
e pantaloni corti.
→ Courtesy of US National Archives
12
13
→ Courtesy of US National Archives
14
15
Contesto
16
I “MITI”
DELLA CULTURA
TEDESCA
Il clima culturale e ideo-
logico della Germania (il
VOLK) ha predisposto l’a-
nimo tedesco e l’ha reso
disponibile al richiamo di
qualcuno che tentasse di
risvegliarlo in nome della
Grande Germania. I miti di
cui la propaganda nazista
fa uso e li estremizza sono
individuati nei “miti”.
MITO della NATURA, il
rapporto con la natura , i
paesaggi e la terra sono
sempre stati molto forti
rintracciabili in tempi an-
tichissimi e al tempo del
nazismo non solo la natu-
ra rappresentava l’agricol-
tura ma anche l’estrazione
delle materie prime tanto
utili all’industria.
MITO della GIOVINEZZA,
la rivincita della nazione
attraverso una gioventù
sana e forte. La vitalità dei
giovani era espressione di:
forza, salute, obbedienza,
audacia, conquista e do-
minazione. “Questi ragazzi
e queste ragazze entrano
nelle nostre organizzazioni
all’età di dieci anni e spes-
so è la prima volta che pos-
sono respirare un po’ d’aria
nuova; dopo quattro anni
trascorsi nel Gruppo Gio-
vani passano alla Gioventù
Hitleriana, dove li teniamo
per altri quattro anni [...] E
anche se a quel punto non
sono ancora dei Nazional
Socialisti al cento per cen-
to, poi passano nel Corpo
Ausiliari e lì vengono ulte-
riormente ammorbiditi, per
17
→ Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
18
sei, sette mesi... Dopodiché,
qualunque coscienza di
classe o di status sociale
possa essergli ancora ri-
masta... se ne occuperà la
Wehrmacht [l’esercito tede-
sco].”
--Adolf Hitler (1938).1
A partire dagli anni ‘20, il
Partito Nazista considerò
la gioventù tedesca un
obiettivo speciale dei suoi
messaggi propagandistici.
Quei messaggi insisteva-
no sul fatto che il Partito
costituisse un movimento
particolarmente adatto
ai giovani, in quanto for-
temente dinamico, dalla
mentalità elastica e che
guardava al futuro con ot-
timismo. Milioni di giovani
Tedeschi, inoltre, vennero
conquistati dal Nazismo
sia all’interno delle classi
scolastiche che attraverso
le attività extracurricolari.
Nel gennaio del 1933, la
Gioventù Hitleriana ave-
va solo 50.000 membri,
ma alla fine dello stesso
anno quella cifra si era
incrementata fino a rag-
giungere più di due milio-
ni di iscritti. Entro il 1936
avrebbe poi raggiunto i
5.4 milioni, ben prima cioè
che iscriversi all’organiz-
zazione diventasse obbli-
gatorio, nel 1939. Inoltre,
le autorità tedesche proi-
birono la costituzione di
nuove organizzazioni gio-
vanili, o sciolsero quelle
già esistenti che potevano
competere con la Gioven-
tù Hitleriana2
.
MITO della RAZZA, difesa
del VOLK. Volk è una pa-
rola assai più pregnante
che non “popolo”, dal mo-
1.	 AAVV, L’INDOTTRINAMENTO DELLA GIOVENTÙ, in Enciclopedia
dell’Olocausto, United State Holocaust Memorial Museum (internet), ht-
tps://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?ModuleId=10007820, consul-
tato il 10 gennaio 2017.
2.	 Ibidem.
19
→ Ludwig Hohlwein. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
20
mento che, per i pensatori
tedeschi, fin dall’inizio del
Romanticismo germanico,
sullo scorcio del diciottesi-
mo secolo, Volk denotava
una serie di individui legati
da una “essenza” trascen-
dente, volta a volta defi-
nita “natura” o “cosmo”
o “mito”, ma in ogni caso
tutt’uno con la più segreta
natura dell’uomo e che co-
stituiva la fonte della sua
creatività, dei suoi senti-
menti più profondi, della
sua individualità, della sua
comunione con gli altri
membri del Volk3
.
Nell’era moderna, alla
componente d’odio che
caratterizzava la loro
ideologia, gli antisemiti
aggiunsero quella politi-
ca. Nell’ultima parte del
Diciannovesimo secolo,
partiti politici antisemiti
vennero fondati in Germa-
nia, Francia e in Austria.
Pubblicazioni come “Il
Protocollo degli Anziani
di Sion”, generarono e dif-
fusero false teorie di una
immaginaria cospirazio-
ne internazionale ebraica.
Una potente componente
dell’antisemitismo politico
fu il Nazionalismo, i cui se-
guaci spesso accusavano
falsamente gli Ebrei di non
essere fedeli alla nazione.
Il “movimento voelkisch”
xenofobo del Diciannove-
simo secolo (Movimento
Popolare o del Popolo)
– formato da filosofi tede-
schi, da studiosi e da artisti
che consideravano lo spiri-
to ebraico come estraneo
a quello germanico – diffu-
se l’idea che gli Ebrei non
fossero autentici cittadini
tedeschi. Teorici di antro-
3.	 Chiara SCIONTI, UNA FEDE GERMANICA: GLI IDEOLOGI DEL VOLK,
in IL NAZISMO NELLA SOCIETÀ, NELLA CULTURA E NELL’ARTE (Internet),
http://imaginaryboys.altervista.org/italiano/nazismo/volk.htm, 2000.
21
pologia razziale fornirono
la base pseduo-scientifica
di quel concetto. Il Partito
Nazista, fondato nel 1919
da Adolf Hitler, diede infine
espressione politica alle
teorie del razzismo. In par-
te, il partito Nazista basò
la propria popolarità pro-
prio sulla diffusione della
propaganda anti-ebraica.
Milioni di persone compra-
rono il libro di Hitler Mein
Kampf (La mia battaglia) in
cui si reclamava l’allonta-
namento degli Ebrei dalla
Germania4
.
Con l’ascesa dei Nazisti al
potere, nel 1933, il partito
ordinò il boicottaggio eco-
nomico degli Ebrei e creò
una serie di leggi discri-
minatorie ai loro danni.
Contemporaneamente, i
Nazisti organizzarono an-
che diverse manifestazioni
in cui libri considerati “pe-
ricolosi” venivano dati alle
fiamme. Nel 1935, le Leggi
di Norimberga introdusse-
ro una definizione razziale
degli Ebrei, basata sulla
diversità di “sangue”, e or-
dinarono la totale separa-
zione della popolazione
“ariana” da quella “non
ariana”. In questo modo,
quelle leggi ratificarono
una visione gerarchica
della società, basata sulle
differenze di razza. La not-
te del 9 novembre 1938,
in tutta la Germania e in
Austria, i Nazisti distrus-
sero diverse sinagoghe e
le vetrine di negozi posse-
duti da cittadini ebrei (un
evento conosciuto come
il pogrom della Notte dei
Cristalli). Tale episodio
segnò il momento di pas-
saggio a una nuova fase di
distruzione, nella quale il
4.	 Ibidem.
22
genocidio sarebbe diven-
tato l’obiettivo centrale
dell’antisemitismo nazista.
MITO PANGERMANICO,
l’oppressione e la frustra-
zione politica innescano
un sentimento di rivincita,
inoltre la fine della mo-
narchia e quindi dell’unità
della nazione fa perdere
un senso di protezione pa-
terna. Il popolo ha bisogno
di una figura messianica
capace di dare potere alla
Germania.
Inoltre gli esponenti dei
gruppi privilegiati spera-
vano che il nazismo avreb-
be deviato il risentimento
emotivo, che li minaccia-
va, verso altri obiettivi, e
che contemporaneamente
avrebbe aggiogato la na-
zione ai loro interessi eco-
nomici (Thyssen e Krupp)5
.
Dal 1919 al 1932 una serie
di governi di coalizione
guidarono la Germania, in
quello che nella storia te-
desca è conosciuto come
il periodo della Repub-
blica di Weimar, durante
il quale nessun partito fu
mai in grado di raggiunge-
re, da solo, la maggioranza
parlamentare. Disaccor-
di in materia di politica
economica, così come la
crescente polarizzazione
dei partiti sui due versanti
della Destra e della Sini-
stra, impedirono la forma-
zione di una coalizione in
grado di governare. Così,
dopo il giugno del 1930,
una serie di Cancellieri ab-
bandonarono uno dopo
l’altro il tentativo di creare
una maggioranza parla-
mentare che permettesse
di amministrare il paese.
Invece, essi governarono
5.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di
Venezia, 1976.
23
con decreto presidenzia-
le e senza il consenso del
Parlamento, manipolando
la legislazione contenuta
nella Costituzione della
Germania (in particolare
l’Articolo 48 che regolava
le situazioni di emergen-
za e che era stato inserito
dai politici tedeschi per
difendere la democrazia
in periodi di fermento po-
litico). Questa struttura di
governo servì comunque
a stabilizzare l’economia
e il sistema parlamentare,
e calmò, almeno tempora-
neamente, le violente pro-
teste popolari.
In quel periodo di instabi-
lità, il Partito Nazista emer-
se da una relativa oscurità,
crescendo fino ad assume-
re importanza nazionale.
In particolare, esso riuscì
ad aumentare drastica-
mente il supporto dell’o-
pinione pubblica proprio
presentandosi come movi-
mentodiprotestacontrola
corruzione e l’inefficienza
del “sistema” di Weimar. I
suoi membri descrivevano
la Repubblica come una
“palude” caratterizzata, di
volta in volta, o dall’insta-
bilità o dall’immobilità,
incapace di liberare il pae-
se dall’umiliazione e dalla
desolazione lasciate dalla
sconfitta nella Prima Guer-
ra Mondiale e dai termini
fortemente punitivi del
Trattato di Versailles. Gli
autori della propaganda
nazista promossero l’im-
magine del Partito come
unico movimento in Ger-
mania capace di parlare
a nome di tutti i Tedeschi
non-Ebrei, senza distinzio-
ne di classe, di religione
o di regione di apparte-
24
nenza. Tutti gli altri par-
titi politici, agli occhi dei
Nazisti, rappresentavano
solo gli interessi particolari
di gruppi che lavoravano
unicamente per difendere
tali interessi. I responsabili
nazisti della propaganda
fecero anche leva sul desi-
derio di ordine della popo-
lazione, particolarmente
sentito dopo un periodo
di violento fermento civi-
le. Promettendo di unire la
Germania, di ridare lavoro
ai sei milioni di Tedeschi
che ne erano privi e di re-
staurare i “tradizionali va-
lori germanici”, Hit-
ler raccolse un vasto
supporto popolare6
.
IL FASCINO DI UN
MOVIMENTO DI
MASSA
Un punto fonda-
mentale dell’ide-
ologia nazista e
della propaganda
era costituito dal-
la creazione di una
“comunità naziona-
le” (Volksgemein-
schaft) che avrebbe
riunito tutti i Tede-
6.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di
Venezia, 1976.
→ Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
25
schi appartenenti alla raz-
za “Ariana”, trascendendo
le differenze di classe, di
religione o di regione di
appartenenza. Inoltre, il
costante conflitto politico
e lo scontro sociale, che
avevano caratterizzato la
democrazia parlamenta-
re nel periodo di Weimar,
non avrebbero avuto spa-
zio nella nuova società Na-
zional Socialista. In contra-
sto con la protezione che
la Costituzione di Weimar
degli anni precedenti ave-
va assicurato ai diritti indi-
viduali, la propaganda na-
zista metteva il benessere
della comunità nazionale
al di sopra delle preoccu-
pazioni dei singoli. Tutti i
Tedeschi “di razza pura”,
identificati con il termine
di “camerati nazionali”
(Volksgenossen), erano
obbligati ad aiutare coloro
che possedevano di meno
e sacrificare tempo, salario
e anche la propria vita per
il bene comune. In teoria,
né un’estrazione sociale di
livello basso né una situa-
zione economica modesta
potevano rappresentare
ostacoli all’avanzamento
sociale, politico o milita-
re. La propaganda nazista
giocò un ruolo cruciale
nello spacciare il mito del-
la “comunità nazionale”,
soprattutto perché i Tede-
schi desideravano inten-
samente realizzare l’unità
e ritrovare la grandezza e
l’orgoglio per il loro paese,
così come rompere con il
sistema sociale fortemen-
te stratificato del periodo
precedente. Facendo leva
su quei sentimenti, la pro-
paganda nazista collaborò
a preparare la popolazio-
ne tedesca a un futuro
26
impostato dall’ideologia
Nazional Socialista7
.
Il forte desiderio della po-
polazione di avere leader
politici carismatici costi-
tuisce sempre terreno fer-
tile per l’uso della propa-
ganda. Durante il periodo
fortemente instabile della
Repubblica di Weimar, i
Nazisti sfruttarono questo
desiderioperconsolidareil
proprio potere e rafforzare
l’unità nazionale; essi rag-
giunsero questo obiettivo
attraverso la campagna,
accuratamente studiata,
con la quale crearono l’im-
magine del capo del Parti-
to Nazista, Adolf Hitler. La
propaganda nazista favorì
la rapida ascesa del Partito
e dei suoi dirigenti prima
a una posizione di potere
politico e, poi, al control-
lo della nazione intera. In
particolare, il materiale
prodotto per le campagne
elettorali a partire dagli
anni ‘20 e per tutti gli anni
‘30, insieme ai materiali
visivi dal forte impatto e
le apparizioni pubbliche
attentamente orchestra-
te, collaborarono a creare
il “culto del capo” intorno
ad Adolf Hitler, la cui fama
crebbe essenzialmente
grazie ai discorsi che egli
pronunciò ai grandi radu-
ni di massa, alle parate e
alla radio. Nel costruire il
personaggio pubblico, i re-
sponsabili della propagan-
da Nazista dipinsero Hitler
a volte come un soldato
pronto all’azione, altre vol-
te come un padre e, infine,
persino come un messia
giunto a riscattare il desti-
no della Germania.
7.	 AAVV, UNIRE UNA NAZIONE, in Enciclopedia dell’Olocausto, United
State Holocaust Memorial Museum (internet), https://www.ushmm.org/
wlc/it/article.php?ModuleId=10007818, consultato il 10 gennaio 2017.
27
Tecniche moderne di pro-
paganda - incluse immagi-
ni forti accompagnate da
messaggi semplici - aiuta-
rono a proiettare Hitler dal
ruolo di piccolo estremista
poco conosciuto (oltretut-
to nato in Austria e non
in Germania) a candidato
principalealleelezionipre-
sidenzialitedesche.Duran-
te la Prima Guerra Mondia-
le il giovane Hitler, che era
stato nell’esercito e aveva
combattuto al fronte dal
1914 al 1918, venne forte-
mente influenzato dalla
propaganda usata in quel
periodo. Come molti altri,
Hitler credeva fermamen-
te che la Germania avesse
perduto quella guerra non
perché sconfitta sul cam-
po di battaglia, ma a causa
della propaganda nemica.
Egli pensava che i sempli-
ci e chiari messaggi con
i quali i vincitori di quel
primo conflitto mondiale
(Gran Bretagna, Francia,
Stati Uniti e Italia) aveva-
no inondato la Germania,
avesserodatocoraggioalle
truppe nemiche, sottraen-
do contemporaneamente
ai Tedeschi il desiderio e la
forza di continuare a com-
battere. Hitler comprende-
va assai bene il potere di
certi simboli, di certa ora-
toria e di certe immagini,
perciò creò slogan politici
in grado di raggiungere le
masse in modo semplice,
concreto ed emotivamen-
te accattivante.
Dal 1933 al 1945, la pub-
blica adulazione di Adolf
Hitler costituì un elemento
costante della vita tede-
sca: i responsabili nazisti
della propaganda dipin-
sero il loro capo [il Führer]
28
come la personificazione
della Germania e come un
uomo che emanava forza
da un lato e devozione cie-
ca alla patria dall’altro.
I pubblici annunci, che ve-
nivano trasmessi ripetu-
tamente, rinforzarono poi
l’immagine di Hitler come
colui che avrebbe riscatta-
to una Germania umiliata
dai termini del Trattato
di Versailles (con il quale
si era conclusa la Prima
Guerra Mondiale). Il culto
di Adolf Hitler fu un feno-
meno di massa delibera-
tamente creato e coltivato
dai dirigenti del Nazismo:
sia i responsabili della pro-
paganda che i numerosi
artisti arruolati tra le loro
fila disegnarono ritratti,
poster e busti del Führer,
che vennero poi riprodotti
in grandi quantità e distri-
buiti sia nei luoghi pubblici
che nelle abitazioni priva-
te.
La propaganda nazista
celebrava Hitler come sta-
tista geniale che aveva
portato stabilità al paese,
creato posti di lavoro e re-
staurato la grandezza della
Germania. Durante gli anni
in cui il Partito Nazista ri-
mase al potere, i Tedeschi
furono obbligati a dimo-
strare pubblicamente la
propria fedeltà al Führer, a
volte in forme semi-rituali
come, per esempio, il sa-
luto Nazista o la frase “Heil
Hitler!”, cioè la formula che
si doveva usare quando si
incontrava qualcuno per
strada, ribattezzata poi
“Saluto Germanico”. La
fede cieca in Hitler contri-
buì a rafforzare il senso di
unità nazionale, mentre
29
il rifiuto ad adattarsi a tali
dimostrazioni di devozio-
ne venne visto come evi-
dente segno di dissenso,
fatto questo che assumeva
anche un peso particolare
in una società dove qua-
lunque critica esplicita
al regime, e ai suoi capi,
poteva portare all’arresto
e alla detenzione. La pro-
paganda fu uno strumen-
to fondamentale sia per
conquistare quella mag-
gioranza di cittadini tede-
schi che non sostennero
immediatamente Adolf
Hitler, sia per imporre il
programma radicale nazi-
sta che richiedeva, oltre al
supporto attivo e la parte-
cipazione diretta di alcu-
ni, l’accettazione passiva
da parte di larghi settori
della popolazione. Unito
all’uso del terrore come
mezzo di intimidazione di
coloro che rifiutavano di
obbedire, il nuovo appara-
to propagandistico statale,
guidato da Joseph Goeb-
bels, venne utilizzato per
manipolare e ingannare
la popolazione tedesca e
il mondo esterno. Ad ogni
occasione, i responsabili
della propaganda diffuse-
ro il messaggio accattivan-
te dell’unità nazionale e
di un futuro utopistico, fa-
cendo breccia nelle menti
di milioni di cittadini. Allo
stesso tempo, essi orga-
nizzarono campagne tese
a facilitare la persecuzione
degli Ebrei e di altre per-
sone escluse dall’ideale
nazista di “Comunità Na-
zionale”.
MEIN KAMPF
Il Mein Kampf è ricco di ri-
ferimenti e teorizzazioni
sulla propaganda. Le ri-
30
flessioni contenute danno
l’impressione che Hitler si
ritenesse un esperto delle
tecniche di persuasione,
enunciandone gli obietti-
vi: “La propaganda deve
rivolgersi alle masse”; il
suo compito “non sta nella
educazione scientifica dei
singoli, quanto piuttosto
in un rinvio della massa a
determinati
fatti o avve-
nimenti o
necessità, la
cui impor-
tanza solo
così viene
manifestata
al pubbli-
co”. L’insi-
stenza sul
tasto dell’e-
motività è precisa e senza
tentennamenti. Il popolo
tedesco, il popolo guida,
depositario di una mis-
sione universale, diventa,
nell’ideologia hitleriana,
una massa di esseri deboli
da stupire, da convincere
conlamessainscena.Ogni
propaganda, per essere
veramente efficace, “deve
essere popolare” e, per
essere popolare, “il suo
livello spirituale deve esse-
re posto tanto più in basso,
quanto più
grande sia
la massa di
gente su cui
si vuole agi-
re”. 8
Sulla
base di que-
ste conside-
razioni, la
propagan-
da diviene
una sorta di
educazione religiosa che
punta sui riti collettivi del-
le adunate di massa e sulla
raffinata capacità oratoria
→ Mein Kampf, (1926). Courtesy of the New York Public Library Digital Collection.
8.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di
Venezia, 1976., p. 21.
9.	 Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., pp. 135-
136.
31
dei suoi capi carismatici. Il
rito di massa è indispensa-
bile ed è il più efficace.
“[L’uomo] ha bisogno di
essere rafforzato dalla con-
vinzione di essere membro
e campione di una vasta
comunità”9
.
“Le manifestazioni di mas-
sa non solo rafforzano il
singolo, ma lo avvincono e
contribuiscono a creare lo
spirito di corpo”10
.
Ma i rituali vengono, an-
che, utilizzati per mostrare
potere, cioè per rendere
tangibile la forza, lo status
e la legittimità di chi ese-
gue la pratica rituale o di
chi in essa viene celebra-
to11
.
Il congresso di Norimber-
ga dunque attraverso il ri-
tuale consacra il carattere
assunto da Hitler in quan-
to Fuhrer della Germania
e nel contempo lo rende
solennemente pubblico e
lo socializza con le centi-
naia di migliaia di persone
presenti. In questo quadro
emerge l’esigenza di trafe-
rire in ambiente cinemato-
grafico quanto accade nel-
la realtà del congresso non
più come semplice docu-
mentazione o materiale
informativo da cinegiorna-
le, quanto piuttosto come
prodotto in grado di vei-
colare l’evento oltre l’hic
et nunc: “Desiderio del no-
stro Fuhrer è che le riprese
non vengano fatte per gli
archivi, ma siano realizzate
e montate secondo crite-
ri artistici. Due milioni di
persone potranno riunirsi
10.	 Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., p. 394.
11.	 Giorgio NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNTÀ DELLA POLI-
TICA RITUALE, “Rassegna Italiana Di Sociologia”, anno XXXIX, n°3, 1998, p.
309.
32
a Norimberga ma sessan-
ta milioni di tedeschi po-
tranno essere testimoni di
questo maestoso raduno,
potranno partecipare e
condividere l’esperienza
sconvolgente di questa
manifestazione”12
.
I due film realizzati da R.
per i congressi del 1933
-34 verranno distribuiti
capillarmente in tutta la
Germania, segnando dei
picchi di presenze (oltre
5000 presenze al giorno
all’Ufa-Palast di Berlino13
)
Analizzando dal punto di
vista dell’efficacia propa-
gandistica la differenza
tra parola detta e parola
scritta, Hitler si lascia an-
dare ad una digressione
sull’immagine: “Maggio-
ri prospettive possiede
l’immagine in tutte le sue
forme, compreso i film.
Qui, c’è ancora meno di
lavorare con l’intelletto:
basta guardare, tutt’al più
leggere brevi testi: perciò
molti sono più predisposti
ad accogliere in sé un’e-
sposizione fatta con l’im-
magine che a leggere un
lungo scritto. L’immagine
apporta in breve tempo,
quasi di colpo, chiarimen-
ti e nozioni che lo scritto
permette solo di ricava-
re da una noiosa lettura”.
Quindi l’immagine non è
noiosa, è diretta, è vissuta
emotivamente, coinvolge
il pubblico a livello pro-
fondo; può dunque essere
sfruttata con profitto. Di
tutte queste idee Goebbels
si farà paladino, iniziando
prestissimo la conquista
dell’industria cinemato-
grafica14
.
12.	 Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT-
STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935.
13.	 Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblicate
in “LBB” n°95, 23 aprile 1935.
33
Per la produzione e il man-
tenimento del consenso il
regime nazista usa delle
forme di coinvolgimen-
to articolate su più livelli.
Goebbels enuncia chiara-
mente il principio nel suo
intervento al congresso di
Norimberga del 1934: “può
essere una buona cosa te-
nere il potere riposto sulle
armi. Tuttavia è preferibile
e più gratificante conqui-
stare il cuore del popolo e
mantenerlo”.
Perciò il regime costrui-
sce un forte stato sociale
sostenuto da una martel-
lante propaganda. Per i
casi che “sfuggono al con-
trollo” viene articolato un
sistema di campi di con-
centramento supportato
da un efficiente corpo di
polizia e da altre forme di
repressione selvaggia.15
Anche i cinegiornali di-
vennero uno strumento
fondamentale degli sforzi
attuati dal Ministro della
Propaganda Joseph Goeb-
bels per modellare e mani-
polare l’opinione pubblica
durante la guerra. Per eser-
citare maggiore controllo
sul contenuto dei cinegior-
nali dopo l’inizio del con-
flitto, il regime nazista fuse
le varie compagnie che
producevano i reportage
in una sola, la Deutsche
Wochenschau (Settimana-
le di Opinione Germanica).
Goebbels collaborò perso-
nalmente alla creazione di
ogni numero dei cinegior-
nali, correggendoli e per-
sino riscrivendoli in parte.
Tra le dodici e le diciotto
ore di pellicola, filmate da
professionisti e consegna-
te a Berlino ogni settimana
da un corriere, venivano
14.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di
Venezia, 1976, p. 27.
15.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933,
1934, Cagliari, CUEC, 2013, p. 29.
34
poi modificate e ridotte a
filmati che duravano tra i
20ei40minuti.Ladistribu-
zione dei cinegiornali ven-
ne estesa notevolmente
quando il numero di copie
di ogni episodio salì da 400
a 2.000, e vennero anche
realizzate versioni in doz-
zine di altre lingue (inclusi
lo svedese e l’ungherese),
mentre unità mobili cine-
matografiche portavano i
filmati anche nelle campa-
gne tedesche16
.
ARCHITETTURA
Viene impiegata come
strumento per celebrare
la grandezza e la poten-
za della Germania, oltre a
promuovere e celebrare il
governo nazista, incarnato
dal Fuhrer, la scala è quel-
la monumentale. Come le
rovine greche e romane,
l’architettura doveva re-
stare nei secoli come testi-
monianza della grandezza
della Nazione.
Il ruolo principale l’ha avu-
to certamente Albert Spe-
er, l’architetto del Fuhrer,
anche se bisogna dire che
il cancelliere partecipava
direttamente nei progetti.
Uno dei più imponenti e
scenografici è di certo lo
Zepellinfield di Norimber-
ga, una vera e propria sce-
nografia ad una scala del
tutto esagerata, destinata
a raccogliere la massa du-
rante i raduni del partito.
Lo scopo di Hitler è quello
→ Hitler e Speer, Bundesarchiv, Bild 146-1971-016-31 / CC-BY-SA 3.0
→ Paris, Weltausstellung, Deutsches Haus Scherl, Bildarchiv: Frankreich 1937: Das
Deutsche Haus auf der Weltausstellung in Paris
16.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di
Venezia, 1976, p. 40.
35
36
→ The Cathedral of Light above the Zeppelintribune
Bundesarchiv, Bild 183-1982-1130-502 / CC-BY-SA 3.0
quello che verrà definito uno dei primi esempi di
architettura immateriale
37
di creare un luogo capace
di contenere la più grande
massa possibile: è la mas-
sa che ha dato il potere a
Hitler e il Fuhrer sa quanto
sia necessario il suo ap-
poggio. A rendere il tutto
più teatrale, è la tribuna,
che diventa la quinta ide-
ale alla massa, e il podio,
una sorta di altare sacri-
ficale dove si consuma
il “rito” politico, sotto il
simbolo del nazismo. Cre-
do che, per quanto deva-
stante e fuori scala, questo
spazio svolgeva perfetta-
mente il suo ruolo quando
la massa lo affollava. 17
Ebrei e politicamente
orientati a sinistra erano,
in gran parte, gli esponen-
ti delle correnti artistiche
e architettoniche d’avan-
guardia tedesche, come il
Bauhaus. Fondata da Wal-
ter Gropius, la scuola Bau-
haus propugnava il razio-
nalismo e il funzionalismo.
La sua sede era un perfetto
esempio dello stile che ve-
niva insegnato negli anni
venti, durante la tribolata
Repubblica di Weimar go-
vernata dai socialdemo-
cratici. Per dare un’idea
della spaventosa monu-
mentalità dell’edificio, ec-
colo a confronto con altre
costruzioni gigantesche,
compreso l’attuale gratta-
cielo più alto del mondo18
.
“Albert Speer fu uno degli
artefici del programma
di trasformazione
estetica del Terzo Reich:
[...], nelle sue Memorie
- una fonte tuttavia
ambigua, per il desiderio
di autoassoluzione
dell’autore - ricostruisce
con chiarezza il ruolo
17.	 Alessandro ROCCA, LA POTENZA (DEVASTANTE) DELL’ARCHITET-
TURA, in Teorie e Tecniche (internet), http://teorieetecniche.blogspot.
it/2012/10/la-potenza-devastante-dellarchitettura.html, consultato il 15
gennaio 2017.
38
centrale che i progetti
edilizi e urbanistici hanno
svolto nel programma
nazista. Le “architetture
da megalomani”, ovvero
i grandiosi progetti
architettonici nella
definizione post-1945 dello
stesso Speer, erano state
negli anni Trenta l”e paro
le “parole di pietra” con cui
edificare la storia.19
CONCLUSIONE
Adolf Hitler non inventa
nulla, il Mein Kampf con-
tiene una summa di idee
e tuttavia, sarebbe errato
considerare oggi il pro-
gramma politico nazista
come un insieme di idee
strampalate e fantasiose
perché ricadremmo nel
luogo comune di consi-
→ La cupola della Große Halle, Bundesarchiv, http://www.giornalepop.it/lestetica-
nazista/
18.	 Sauro PENNACCHIOLI, L’ESTETICA NAZISTA, in Giornale Pop (inter-
net), http://www.giornalepop.it/lestetica-nazista/ 13 settembre 2016.
39
→ A model of Adolf Hitler’s plan for
Berlin formulated under the direction
of Albert Speer, Bundesarchiv, Bild
146III-373 / CC-BY-SA 3.0
40
derare il nazismo una pa-
rentesi buia nella storia
dell’Europa moderna e de-
mocratica e Hitler un po-
vero pazzo delirante.
Come si è visto, l’astuzia
della propaganda nazista
risiede nel proporre temi
e suggestioni ben presen-
ti nel contesto culturale
e politico della Germania
dell’epoca. Proporre qual-
cosa di “nuovo” avrebbe
richiesto uno sforzo da
parte del “pubblico” a re-
cepire ed adottare nuovi
modelli di comportamen-
to e di pensiero. Così l’uti-
lizzo di vecchie ideologie,
rinvigorite e brutalizzate
hanno trovato maggiore
sostegno e adesione, era
compito dell’estetica rac-
coglierle e renderle sedu-
centi.
19.	 Gian Piero PIRETTO, MEMORIE DI PIETRA - I MONUMENTI DELLE
DITTATURE, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p.272.
Il documentario
42
1.	 Adriano APRÀ, IL DOCUMENTARIO, Enciclopedia del Cinema in
Treccani.it, http://www.treccani.it/enciclopedia/documentario_(Enci-
clopedia-del-Cinema)/ consultato il 31 dicembre 2016.
1.1
DOCUMENTO
E STILE
DOCUMENTARIO
Nell’uso comune, per do-
cumentario si intende un
film, di qualsiasi lunghez-
za, girato senza esplicite fi-
nalità di finzione, e perciò,
in generale, senza una sce-
neggiatura che pianifichi le
riprese, ma anzi con dispo-
nibilità verso gli accadi-
menti, e senza attori. Non
a caso, nei paesi anglo-
sassoni si impiega sempre
più spesso il termine non-
fiction. Alla base del docu-
mentario c’è un rapporto
ontologico con la realtà
filmata, che si pretende re-
stituita sullo schermo così
come si è manifestata da-
vanti alla macchina da
presa, senza mediazioni. Il
film è il documento di tale
realtà, la prova che le cose
si sono svolte così come le
vediamo proiettate. Il cine-
ma di finzione rappresenta
invece una realtà media-
ta, manipolata dal regista
per esprimere ciò che ha
immaginato. È una realtà
messa in scena. Nel docu-
mentario la macchina da
presa è al servizio della
realtà che le sta di fronte;
nel film di finzione la real-
tà viene rielaborata per la
macchina da presa. Nel
film di finzione il patto im-
plicito dello spettatore con
lo schermo è: so bene che
ciò che vedo rappresenta-
to non è vero, benché ve-
rosimile, e tuttavia ci cre-
do; nel documentario dirà
piuttosto: ciò che vedo è
vero, e non solo verosimi-
le, e per questo ci credo.
L’effetto magico di illusio-
43
ne di realtà che il cinema
di finzione normalmente
produce viene, per così
dire, sospeso nel docu-
mentario, dove si eviden-
zia l’effetto probatorio1
.
Rintracciare la prima oc-
correnza della parola “do-
cumentario” come defini-
zione di genere è difficile,
ma la leggenda – nata a
sua volta negli anni tren-
ta –vuole che il termine fi-
guri per la prima volta nel
1926 in un articolo di John
Grierson sul film Moana di
Robert Flaherty2
. Egli parla
di «valore documentario»
del film, per poi teorizzare
il genere in vari saggi scrit-
ti nel 1932-34 su «Cine-
ma Quarterly». Essi sono
2.	 Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA AU-
GUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008.
Pag. 15
→
Immagine
tratte da
MOANA,
Flaherty,
1926
44
3.	 Adriano Aprà, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-
pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-
to il 31 dicembre 2016.
stati raccolti e rielaborati
assieme ad altri in un
libro considerato, a torto
o a ragione, un classico:
Forsyth Hardy (a cura
di), Grierson on Documen-
tary, London 1946 (nuova
ed.: London-Boston 1966;
tr. it. a cura di Fernaldo Di
Giammatteo: Grierson, Do-
cumentario e realtà, Roma
1950; una critica alla teo-
ria e alla pratica produtti-
va di Grierson, e insieme
una acuta riflessione sul
documentario, si trova in
Brian Winston, Claiming
the Real. The Documen-
tary Film Revised, London
1995)3
. Grierson, all’inizio
degli anni Trenta, elabora
un vero e proprio manife-
sto del documentario in
esso erano contenuti alcu-
ni punti essenziali che rias-
sumevano i principi teorici
ed estetici di questo ge-
nere cinematografico. Nel
citato manifesto, si diceva,
tra l’altro:
•	 Noi crediamo che dalla
capacità, che il cinema pos-
siede, di guardarsi intorno,
di osservare e di seleziona-
re gli avvenimenti della vita
‘vera’ si possa ricavare una
nuova e vitale forma d’arte.
I film girati nei teatri di posa
ignorano quasi totalmente
la possibilità di portare lo
schermo nel mondo reale.
Fotografano avvenimenti ri-
costruiti su sfondi artificiali.
•	 Noi crediamo che l’attore
‘originale’ (o autentico) e la
scena ‘originale’ (o autenti-
ca) costituiscano la guida
migliore per interpretare
cinematograficamente il
mondo moderno, offrano al
cinema una più abbondan-
te riserva di materiale e gli
45
forniscano la possibilità di
interpretare, traendoli dal
mondo della realtà, avve-
nimenti più complessi e sor-
prendenti di quelli immagi-
nati per i teatri di posa, o di
quelli che i tecnici dei teatri
di posa possano ricostruire.
•	 Noi crediamo che la ma-
teria e i soggetti trovati sul
‘posto’ siano più belli (più
reali in senso filosofico) di
tutto ciò che nasce dalla
recitazione. Il gesto spon-
taneo ha sullo schermo un
singolare valore. Il cinema
possiede la straordinaria
capacità di ‘ravvivare’ i
movimenti creati dalla tra-
dizione o consunti dal tem-
po. Il rettangolo arbitrario
dello schermo rivela e po-
tenzia i movimenti, dando
loro la massima efficacia
nello spazio e nel tempo. Si
aggiunga che il d. può otte-
nere un approfondimento
della realtà e ricavarne ef-
fetti che la meccanicità del
teatro di posa e le squisite
interpretazioni degli attori
scaltriti neppure si sogna-
no.
Attorno a tali linee teori-
che si è, di fatto, sviluppato
questo genere caratteriz-
zato, in modo particolare,
per i suoi intenti educativi,
didattici, scientifici, antro-
pologici, di informazione
e anche propagandistici;
genere che ha avuto i suoi
massimi rappresentanti in
autori come Robert Flaher-
→
SORTIE
DES
USINES,
Lumière,
1895
46
4.	 Carlo TAGLIABUE, DOCUMENTARIO, in Franco LEVER - Pier Cesare
RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario
di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it, consultato il 2 gennaio
2017.
ty, Alberto Cavalcanti, Wal-
ter Ruttmann, Joris Ivens
e molti altri, tra i quali si
possono ricordare ancora
Frédéric Rossif, Jean Rou-
ch e l’italiano Folco Quilici;
genere con il quale si sono
cimentati anche registi co-
nosciuti soprattutto per le
loro opere di fiction4
.
Va notato tuttavia che
Grierson ritiene il valore
documentario di Moa-
na secondario rispetto al
suo valore estetico, po-
nendo con ciò il dilem-
ma proprio del genere. La
messa in scena, congenita
al cinema di finzione nar-
rativo con attori, non è,
né può essere, estranea al
documentario. Per quan-
to reale e non manipolato
sia il profilmico (ciò che la
macchina da presa ripren-
de), esso, fin dai tempi dei
Lumière, non può evitare
di essere inquadrato, e con
ciò stesso selezionato e
orientato, anche se è stato
detto che l’inquadratura
di un documentario è una
finestra aperta sul mondo
più che una cornice che
lo racchiude e lo sinte-
tizza. Inoltre, per quanto
breve sia il film, come nei
piani-sequenza di un mi-
nuto dei Lumière, il fatto
stesso che ci sia un inizio
e una fine implica inevi-
tabilmente un embrione
di narrazione, un’evolu-
zione del profilmico mar-
cata da un prima e da un
dopo. La manipolazione
spazio-temporale viene
accentuata da tutte le tec-
niche che hanno caratte-
rizzato lo sviluppo del lin-
guaggio cinematografico,
soprattutto dal montaggio
e dalle altre operazioni di
47
post-produzione successi-
ve alle riprese. Con l’intro-
duzione del sonoro, che
pure incrementa con la
presa diretta l’impressione
di realtà, non va dimenti-
cata la mediazione del mi-
crofono e del missaggio, e
poi, in proiezione, quella di
amplificatori e altoparlan-
ti. La realtà, in altre parole,
è sempre, nel documenta-
rio come nel film di finzio-
ne, una realtà registrata,
quindi mediata, “impura”.
Ma l’innocenza, per così
dire, con cui lo spettatore
assiste alla proiezione (o,
in televisione, alla trasmis-
sione) di un documentario
lo rende facilmente ingan-
nabile, quando si vuol far
passare subdolamente per
documento, prova incon-
futabile di verità, ciò che
è realta truccata: è quanto
ha sempre fatto la propa-
ganda, con i cinegiornali e
i telegiornali, e con la pub-
blicità. È invece piuttosto
un problema di interpreta-
zione critica che di volontà
dell’autore il fatto che si
sia insistito più del dovuto
sul realismo dei documen-
tari. Flaherty, considerato
il padre del genere, realiz-
za film, anche assai bel-
li, con strutture narrative
precise, anche se dissimili
da quelle tipiche del film di
finzione, e interpretati da
attori, anche se non pro-
fessionisti, chiamati a rive-
stire i panni di personaggi
più che a essere se stes-
si5
. L’idea di “documento”
è ovviamente più antica.
Nella letteratura specia-
lizzata compare fin dal XIX
secolo. Legato al valore
scientifico o archivistico
delle immagini, il significa-
to del termine fino a quel
48
5.	 Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-
pra.it, http://www.adrianoapra.it/?sdocumentario&paged=7 consultato
il 31 dicembre 2016.
6.	 Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA
AUGUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008.
Pag. 15
momento rimanda all’ap-
porto di informazioni, te-
stimonianze o prove. Nella
letteratura artistica figura
solo come contrario della
parola “arte” e le due cate-
gorie si escludono a vicen-
da. Prima degli anni venti,
insomma, il documentario
non solo non costituisce
un genere estetico ma ne
è addirittura la negazione.
Ad un tratto, invece, intor-
no al 1930, questi due poli
fino ad allora inconciliabili
si trovano deliberatamen-
te associati in numerosi
progetti di fotografi anima-
ti da ambizioni artistiche6
.
Con queste premesse, for-
te di una legittimazione
artistica e formale, questo
stile fece presto ad affer-
marsi come mezzo adatto
alla propaganda del regi-
me nazionalsocialista. Più
in generale, nei regimi dit-
tatoriali il documentario si
piega in maniera più diret-
ta e univoca alle esigenze
propagandistiche.InURSS,
le esperienze avanguardi-
stiche del muto e dei primi
anni del sonoro vengono
criticate in campo docu-
mentaristico forse più che
nel cinema di finzione. Si
lascia mano abbastanza
libera al globetrotter Ivens
per Pesn’ o gerojach/
Komsomol (1932, mm, Il
canto dei fiumi); ma Vertov
ha enormi difficoltà, di
cui risente Tri pesni o
Lenine (1934, Tre canti su
Lenin),finoaessereridotto
a opere impersonali o al
silenzio, destino che lo
accomuna alla Sub. Fra
i nuovi nomi si distingue
Roman Karmen, che gira
materiali durante la guerra
di Spagna, poi montati
49
dalla Sub (Ispanija, 1939,
Spagna), e in Cina (V Ki-
taje, 1941, In Cina). La
Cina, come la Spagna (He-
art of Spain, 1937, cm di
Hurwitz e Strand; Spanish
Earth), attira cineasti stra-
nieri, fra cui Leyda, Lerner,
Meyers e Ben Maddow
(China Strikes Back, 1937)
e Ivens (The 400 Millions).
In Giappone, Tatakau Hei-
tai (1939, Soldati al fronte)
di Fumio Kamei viene
proibito e distrutto dalle
autorità. In Italia l’approc-
cio propagandistico del
documentario è in genere
più morbido, e meno ef-
ficace. Fra gli esempi mi-
gliori, Dall’acquitrino alle
giornate di Littoria (1934,
cm, pr. LUCE), Il cammino
degli eroi (1936), sulla
guerra d’Africa, e Milizie
della civiltà (1941, cm),
sulla costruzione dell’E 42
(l’odierno quartiere Eur
di Roma), di D’Errico, La
battagliadelloJonio (1940,
cm prodotto dal Centro
Cinematografico della
Marina promosso da
De Robertis) e Mine
in vista (1940, cm) di
De Robertis. Il caso
tedesco si manifesta lo
straordinario talento di
Leni Riefenstahl con Triu-
mph des Willens (1935)
e Olympia (1938), in due
parti: Fest der Völker
(Olimpia) e Fest der
Schönheit (Apoteosi di
Olimpia). Nel dopoguer-
ra la regista ha puntiglio-
samente e inutilmen-
te respinto le accuse di
connivenza col regime,
rivendicando la propria
indipendenza artistica; la
sua resta tuttavia un’este-
tica del «fascino fascista»
(Susan Sontag), anche
50
se di grande, e moderna,
elaborazione tecnica e
formale. Altrettanto ricer-
cato, ai limiti dell’avan-
guardismo, e perciò poco
gradito al regime, è Das
Stahltier (1935) di Willie
Zielke (autore del prologo
di Olympia), sulla storia
delle ferrovie. Ignobile per
il modo in cui orienta la
propria tesi antisemita con
montaggio, commento e
ricostruzioni è Der ewige
Jude (1940)diFritzHippler.
Un altro veicolo della
propaganda nazista, oltre
al cinegiornale “Deutsche
Wochenschau”, sono i
“Kulturfilme” (film educa-
tivi), riassemblati critica-
mente anni dopo in Deu-
tschlandbilder (1983)
di Hartmut Bitomsky e
Heiner Mühlenbrock. Ol-
tretutto, la guerra offre al
documentario un terreno
propizio. Vi si combinano
urgenza dell’informazione,
spettacolarità degli eventi
e sfida estetica del colto
sul vivo. Dopo le prove ge-
nerali della guerra d’Africa
e della guerra di Spagna, la
Seconda guerra mondiale
vede l’impiego strategico
e altamente organizzato
di cineasti al fronte (molto
più di quanto era potuto
avvenire nella Prima). In
Germania la propaganda
è pesante e sfacciatamen-
te menzognera (Feuer-
taufe, 1940, di Hans Ber-
tram; Feldzug in Polen,
1940, e Sieg im Westen,
1941, di Hippler, tutti con
largo uso di repertorio)7
.
51
7.	 Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-
pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-
to il 31/12/16
1.2
DOCUMENTARIO
E ZEITGEIST
Sull’uso propagandistico
del cinema già Hitler ave-
va fatto alcuni accenni nel
Mein kampf. Già da tem-
po il futuro Fuhrer aveva
intuito il formidabile po-
tenziale del cinema come
mezzo di propaganda. Il
Mein Kampf è ricco di ri-
ferimenti e teorizzazioni
sulla propaganda. Le ri-
flessioni contenute danno
l’impressione che Hitler si
ritenesse un esperto delle
tecniche di persuasione,
enunciandone gli obietti-
vi: “La propaganda deve
rivolgersi alle masse”; il
suo compito “non sta nella
educazione scientifica dei
singoli, quanto piuttosto
in un rinvio della massa a
determinati fatti o avveni-
menti o necessità, la cui
importanza solo così vine
manifestata al pubblico”.
L’insistenzasultastodell’e-
motività è precisa e senza
tentennamenti. Il popolo
tedesco, il popolo guida,
depositario di una mis-
sione universale, diventa,
nell’ideologia hitleriana,
una massa di esseri deboli
da stupire, da convince-
re con la messa in scena.
Ogni propaganda, per es-
sere veramente efficace,
“deve essere popolare”
e, per essere popolare, “il
suo livello spirituale deve
essere posto tanto più in
basso, quanto più grande
sia la massa di gente su cui
si vuole agire”. 8
Sulla base di queste consi-
derazioni, la propaganda
diviene una sorta di edu-
52
8.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien-
nale di Venezia, 1976, p. 21
9.	 Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit.,
pp. 135-136
10.	 Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit.,
p. 394
cazione religiosa che pun-
ta sui riti collettivi delle
adunate di massa e sulla
raffinata capacità oratoria
dei suoi capi carismatici. Il
rito di massa è indispensa-
bile ed è il più efficace.
“[L’uomo] ha bisogno di
essere rafforzato dalla con-
vinzione di essere membro
e campione di una vasta
comunità”9
.
“Le manifestazioni di mas-
sa non solo rafforzano il
singolo, ma lo avvincono e
contribuiscono a creare lo
spirito di corpo”10
.
Ma i rituali vengono, an-
che, utilizzati per mostrare
potere, cioè per rendere
tangibile la forza, lo status
e la legittimità di chi ese-
gue la pratica rituale o di
chi in essa viene celebra-
to11
. Il congresso di Norim-
berga dunque attraverso il
ritualeconsacrailcarattere
assunto da Hitler in quan-
to Fuhrer della Germania
e nel contempo lo rende
solennemente pubblico e
lo socializza con le centi-
naia di migliaia di persone
presenti. In questo quadro
emerge l’esigenza di trafe-
rire in ambiente cinemato-
grafico quanto accade nel-
la realtà del congresso non
più come semplice docu-
mentazione o materiale
informativo da cinegiorna-
le, quanto piuttosto come
prodotto in grado di vei-
colare l’evento oltre l’hic
et nunc: “Desiderio del no-
stro Fuhrer è che le riprese
non vengano fatte per gli
archivi, ma siano realizzate
e montate secondo crite-
ri artistici. Due milioni di
persone potranno riunirsi
53
11.	 Gianmarco NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNITÀ DELLA
POLITICA RITUALE, “Rassegna italiana di sociologia”, anno XXXIX, n°3,
1998, p. 309
12.	 Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT-
STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935
13.	 Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblica-
te in “LBB” n°95, 23 aprile 1935
a Norimberga ma sessan-
ta milioni di tedeschi po-
tranno essere testimoni di
questo maestoso raduno,
potranno partecipare e
condividere l’esperienza
sconvolgente di questa
manifestazione”12
.
I due film realizzati da Leni
Riefenstahl per i congres-
si del 1933 -34 verranno
distribuiti capillarmente
in tutta la Germania, se-
gnando dei picchi di pre-
senze (oltre 5000 presen-
ze al giorno all’Ufa-Palast
di Berlino13
). Analizzando
dal punto di vista dell’effi-
cacia propagandistica la
differenza tra parola detta
e parola scritta, Hitler si
lascia andare ad una di-
gressione sull’immagine:
“Maggiori prospettive pos-
siede l’immagine in tutte
le sue forme, compreso i
film. Qui, c’è ancora meno
di lavorare con l’intelletto:
basta guardare, tutt’al più
leggere brevi testi: perciò
molti sono più predisposti
ad accogliere in sé un’e-
sposizione fatta con l’im-
magine che a leggere un
lungo scritto. L’immagine
apporta in breve tempo,
quasi di colpo, chiarimen-
ti e nozioni che lo scritto
permette solo di ricava-
re da una noiosa lettura”.
Quindi l’immagine non è
noiosa, è diretta, è vissuta
emotivamente, coinvolge
il pubblico a livello pro-
fondo; può dunque essere
sfruttata con profitto. Di
tutte queste idee Goebbels
si farà paladino, iniziando
prestissimo la conquista
dell’industria cinemato-
grafica14
.
Per la produzione e il man-
54
14.	 Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS
GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien-
nale di Venezia, 1976, p. 27
tenimento del consenso
il regime nazista usa delle
forme di coinvolgimen-
to articolate su più livelli.
Goebbels enuncia chiara-
mente il principio nel suo
intervento al congresso di
Norimberga del 1934: “può
essere una buona cosa te-
nere il potere riposto sulle
armi. Tuttavia è preferibile
e più gratificante conqui-
stare il cuore del popolo
e mantenerlo”. Perciò il
regime costruisce un forte
stato sociale sostenuto da
una martellante propa-
ganda. Per i casi che “sfug-
gono al controllo” viene
articolato un sistema di
campi di concentramento
supportato da un efficien-
te corpo di polizia e da
altre forme di repressione
selvaggia. L’incontro col
giovane Goebbels a metà
anni venti porta a svilup-
pare sempre più queste
tecniche di produzione
del consenso giungendo a
elaborare strategie in cui i
mass media interagiscono
con i rituali di massa. Que-
ste modalità andranno via
via perfezionandosi negli
anni e segneranno la pro-
paganda politica anche
nei decenni successivi fino
ai giorni nostri.15
1.3
DOCUMENTARIO
D’ESPLORAZIONE
La possibilità offerta dal
nuovo mezzo di abolire
le distanze, portando, ri-
prodotti, luoghi lontani in
casa nostra, viene sfrutta-
ta da subito, a cominciare
dai Lumière, a fini non solo
documentari ma ben pre-
sto anche pubblicitari, per
55
15.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933,
1934, 2013, pg 29
promuovere il turismo. Ri-
cordiamo, per fare un solo
esempio, gli Hale’s Tours
(riprese viste, come dal fi-
nestrino, da finte carrozze
ferroviarie in ambienti fie-
ristici), promossi fra il 1905
e il 1912 dallo statunitense
George C. Hale. A sua volta,
il ricco banchiere parigino
Albert Kahn promuove
negli anni ’10 e ’20 “Les
Archives de la planète”,
commissionando vedu-
te (tuttora conservate) di
varie parti del mondo per
un utopico catalogo enci-
clopedico-geografico. Altri
cineasti che negli anni ’10
si dedicano a documentari
esotici sono l’italiano Luca
Comerio (i cui materiali
verranno creativamente
riutilizzati da Yervant Gia-
nikian e Angela Ricci Luc-
chi in Dal Polo all’Equato-
re, 1986) e il belga Alfred
Machin, specialista di film
animalisti16
.
Ci fu un aspetto del nazio-
nal-socialismo che andò
oltre quelli che erano gli
interessi volti a creare un
grande reich millenario e
che assunse contorni oc-
culti, macabri, circondati
da un alone di mistero,
tali da alimentare, anco-
ra di più, i lati oscuri del
già oscuro mondo della
svastica. Questi tenebrosi
aspetti, queste voci che si
intrecciano intorno all’ide-
ologia nazional-socialista,
ebbero la loro origine nelle
fasi iniziali del movimento,
quando, in una Germania
devastata dalla sconfitta
nella grande guerra, co-
loro che sarebbero dive-
nuti, qualche anno dopo,
i gerarchi del III reich, si
ritrovarono a contatto
56
16.	 Antonio APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa-
pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta-
to il 31 dicembre 2016.
17.	 AA.VV, I LATI OSCURI DEL NAZISMO, in StoriaXXISecolo (internet),
http://www.storiaxxisecolo.it/nazismo/nazismo14.htm consultato il 31
dicembre 2016.
con personaggi e sette di
natura occulta, predicanti
strane teorie ed illustranti
convulsi presagi, che scon-
finavano nel mondo del
paranormale e che preve-
devano l’avvento di una
razza ariana superiore e
dominatrice, trascinata da
un suo illustre figlio e de-
stinata a decidere i destini
del mondo17
. Essi sarebbe-
ro sapienti depositari della
conoscenza originaria.
I superstiti di questo po-
polo secondo tali dottrine
esoteriche si sono rifugiati
nelle lontane montagne
del Tibet e nelle terre del
Nord Europa. Si narra di
eroi ariani dotati di facoltà
paranormali, uomini per-
fetti. La farneticante mis-
sione che molti di questi
circoli si danno è ricercare
i progenitori del popolo
tedesco e riportare alla
luce i segni inequivocabili
dell’antico splendore.
L’antisemitismo trova le
sue radici in un filone pre-
ciso della storia tedesca ed
europea ma si nutre anche
delle teorie di questi circoli
iniziatici di cui Hitler fareb-
be parte di ciò abbiamo
alcuni indizi non prove cer-
te. certo è, che Hitler con-
sapevole che questi temi
non suscitavano grande
consenso e per sempre
cura di vietare discussioni
e prese di posizione pub-
bliche sull’aspetto esote-
rico del suo movimento
politico questa allucinan-
te visione del mondo il
popolo germanico avreb-
be un solo nemico degli
ebrei. Il popolo ebraico e
l’antagonista l’avversario
con cui ingaggiare l’ultima
57
battaglia per il dominio
dell’umanità Hitler crede
di essere l’erede di questo
antico sapere che vuole il
ritorno l’avvento dei nuovi
superuomo.
Nel giugno 1938 Hitler
ordina una spedizione
sulle lontane inaccessi-
bili montagne del Tibet,
una regione così impervie
e sconosciuta che attira
molti studiosi e appassio-
nati.
L’idea è che vi si possono
trovare gli elementi umani
ed animali incontaminati
nella loro purezza. Capo
della missione è Ernst
Schäfer, un austriaco è un
giovane e brillante botani-
co già protagonista di altre
spedizioni. Il programma
di viaggio prevede la par-
tenza dall’India poi un
passaggio pieno di insidie
attraverso i valichi dell’Hi-
malaya e ancora l’esplora-
zione delle pianure degli
altipiani e delle montagne,
destinazione finale Lha-
sa la città del Dalai Lama,
capitale del Tibet e luogo
interdetto ai visitatori occi-
dentali.
→ locandina di Geheminis Tibet
(Secret Tibet), Hans Albert Lettow,
1939
58
18.	 Trascrizione del documentario “I TRE VOLTI DEL NAZISMO”, in
RaiTV (internet), http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/Conten-
tItem-612bbf4c-4822-4372-9487-9881c8f1d7d6.html consultato il 31
dicembre 2016.
Le tappe di questo
viaggio sono
documentate in un
filmato destinato
esclusivamente ad
uso scientifico e mai
proiettato nelle sale
cinematografiche
tedesche.
È un minuzioso diario di
viaggio che racconta spo-
stamenti e vicende dei
predatori delle origini per-
dute. Altri documentari
vengono girati in altri luo-
ghi del pianeta come ad
esempio quello girato in
Brasile. L’obiettivo ufficiale
della missione in Brasile è
quello di saldare i rappor-
ti di amicizia e stabilire
nuovi accordi e iniziative
culturali. Questo insolito
documentario diversa-
mente da quello girato in
Tibet viene proiettato nel-
le sale del Reich, ha toni
rassicuranti da opuscolo
turistico e non lascia intra-
vedere nulla dei veri scopi
della missione. Sei milioni
di chilometri quadrati, una
sconfinata foresta pluviale
che circondano l’immen-
so Rio delle Amazzoni e
anche qui come in Tibet
si praticano riti tribali an-
che qui crescono potenti
piante allucinogene alma-
nacchi e bollettini di scien-
ze esoteriche insegnano
come riconoscerle e come
raggiungerli18
.
59
→Ernst Schäfer,
photo by
Ernst Krause,
1938
Bundesarchiv:
Bild 135-KB-
14-083
60
1.4
AKTION T4
Abbreviazione di “Tier-
gartenstrasse 4” zona di
Berlino dove era situato
il quartier generale dalla
“Gemeinnützige Stiftung
für Heil und Anstaltspfle-
ge”, l’ente pubblico per la
salute e l’assistenza socia-
le, progetto di soppressio-
ne dei disabili tedeschi e
austriaci del Terzo Reich.
Uno dei centri nevralgici
delpensieronazistaful’eu-
genetica, ovvero quell’in-
sieme di metodi volti all’af-
fermazione di una specie
umana “perfezionata” (di
razza ariana, nel caso spe-
cifico). Il governo nazista
non perde tempo e il 14 lu-
glio del ’33 emana la Legge
per la prevenzione della
prole affetta da malattie
ereditarie: è la cosiddetta
Legge per la sterilizzazio-
ne forzata dei disabili19
. Sei
giorni dopo (20 luglio ’33)
è firmato il Concordato
con il Vaticano firmato dal
Nunzio Pacelli (Pio XII).
Non ci furono infatti cri-
tiche all’interno della co-
munità medica tedesca
o internazionale perché
la cultura volta al miglio-
ramento biologico della
popolazione era molto
19.	 Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO
REICH, in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pa-
gine-di-storia/giorno-della-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-ter-
zo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017.
→ Autore sconosciuto
1938 circa
61
20.	 Trascrizione del documentario EUGENETICA E MALATTIA MENTA-
LE. L’ANTROPOLOGIA DEGLI ORRORI, in Rai Storia (internet), http://
www.raistoria.rai.it/embed/eugenetica-e-malattia-mentale-lantropolo-
gia-degli-orrori/5829/default.aspx, consultato il 1 febbraio 2017.
diffusa. Anche i parenti
delle persone sterilizzate
non protestarono pubbli-
camente. Neppure le due
chieseprotestarono.Ledif-
ficoltà economiche della
Germania negli anni Tren-
ta, con il peggioramento
del livello di assistenza
nei manicomi e nelle case
di cura, accentuano le
tendenze omicide verso
i disabili. Fin dal ’33 furo-
no drasticamente ridotti i
fondi destinati agli istituti
psichiatrici in modo da far
balenare l’idea negli stessi
operatori ospedalieri sulla
necessità di sopprimere
queste vite inutili. Intanto
la Germania nazista prepa-
ra il terreno adatto con una
“intelligente” campagna di
sensibilizzazione attraver-
so cui si cerca di convin-
cere l’opinione pubblica
tedesca che non tutte le
vite meritano di essere vis-
sute. Per esempio intorno
alla metà degli anni Trenta
compaiono dei manifesti
murali a cura del partito
nazista in cui è scritto:
“Questo paziente affetto
da una malattia ereditaria
costa, durante la sua esi-
stenza, 60.000 RM al popo-
lo. Connazionale, si tratta
anche dei tuoi soldi!”.
Una diabolica campagna
di persuasione occulta
attraverso film, cortome-
traggi, radio, manifesti,
opuscoli e ogni sorta di
iniziativa. Alla metà degli
anni trenta, nel momen-
to delle sterilizzazioni di
massa, sono girati due
documentari: “Das Erbe”
(L’eredità, 1935) - film di-
dattico e dal tono scien-
tifico “inconfutabile”, che
62
21.	 Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO REICH,
in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-del-
la-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-terzo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017.
22.	 Alessandro MATTA, EUTHANASIEFILM: I FILM NAZISTI PRO-EUTA-
NASIA SULL’ “OPERAZIONE T4”, in Cinemecum (internet), http://www.
cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=1486%3Aeuthana-
siefilm-i-film-nazisti-pro-eutanasia-sull-operazione-t4-&catid=83&Itemid=338 consultato il 2
gennaio 2017.
rappresentava le impli-
cazioni mediche e sociali
delle tare ereditarie e che
rappresentava l’idea na-
zista di darwinismo e di
«sopravvivenza del più for-
te», le scene di selezione
naturale vengono montate
a contrasto con le riprese
scioccanti girate negli isti-
tuti psichiatrici20
; “Opfer
der Vergangenheit” (Vit-
tima del passato, 1937) - il
film metteva a confronto
il popolo «sano» con sce-
ne tratte dalle corsie degli
istituti psichiatrici, popo-
late di esseri «deformi» e
«degenerati» e conclude
che ciò era dovuto ad una
violazione delle regole del-
la selezione naturale, a cui
si sarebbe dovuto porre ri-
medio ripristinandole con
«metodi umani». La prima
del film si tenne a Berlino,
introdotta dal leader dei
medici del Reich, Wagner,
e successivamente proiet-
tato a lungo in 5300 centri
cinematografici, dislocati
in tutta la Germania21
.
Si stima che l’attuazione
del programma “T4” ab-
bia portato all’uccisione
di un totale di persone
compreso tra le 60.000 e le
100.00022
.
63
Casi studio
64
DER SIEG DES
GLAUBENS
Leni Riefenstahl
1933
L’idea di fondo emerge
chiaramente da quello
che sin dalla prima visio-
ne appare come un me-
dio metraggio ben curato:
rappresentare il Parteitag
selezionando momenti
particolarmente signifi-
canti che, a prescindere
dal reale svolgimento del
congresso, ne esprimano
il carattere e lo spirito e
che riescano a evidenziare
l’entusiasmo delle centi-
naia di migliaia di parte-
cipanti e il loro favore nei
confronti di Hitler1
.
Il film è diviso in sei ma-
crosequenze separate da
doppia dissolvenza e, in
un caso (dalla prima alla
seconda), da dissolvenza
incrociata. Ognuno di que-
sti nuclei si caratterizza
per omogeneità tematica
e narrativa e, a seconda
della durata, si suddivide
internamente in sequenze
diversamente articolate2
.
Sequenze:
•	 L’arrivo a Norimberga
•	 Nuvole sopra Norimberga
•	 Costruzione delle tribune
e risveglio
•	 Arrivo delle SA dalle
campagne
•	 Arrivo dei gerarchi alla
stazione
•	 Arrivo di Hitler
•	 Apertura del congresso
1.	 Partecipano al congresso circa 400.000 persone: tra funzionari, giova-
ni della Hitlerjugend, membri della SA e SS ed altri.
2.	 Trascrizione del parlato in LOIPERDINGER-CULBERT, Leni Riefenstahl,
the SS, and the Nazy Party Rally Films, pp.18-28
65
•	 Saluti delle autorità
nell’Altes Rathaus
•	 Apertura al congresso
nella Luitpoldhalle
•	 Luitpoldarena, arrivo del
Fuhrer e delle altre autorità
•	 Incontro con la
Hitlerjugend
•	 Parata davanti al Fuhrer
•	 Commemorazioni
Ad eccezione della prima
parte (seq. 1 e 2), le se-
quenze sono dei blocchi
tematici - narrativi che si
susseguono non tempo-
ralmente. In tal modo le
quattro giornate di con-
gresso vengono compat-
tate in un’unica giornata.
Più articolato lo sviluppo
spaziale che rende iden-
tificabili i diversi luoghi in
cui si svolgono gli even-
ti del congresso. Il film è
costruito con inquadra-
ture che parcellizzano lo
spazio e punti di vista che
cambiano costantemente
angolazione, prospettiva
e distanza rendendo tutto
molto dinamico. Il mon-
taggio è serrato e mantie-
ne alta l’attenzione. Risulta
talvolta ostentato il rap-
porto di Hitler con la folla3
.
La colonna sonora è parti-
colarmente curata in rap-
porto alle immagini con le
quali instaura relazioni di
sintonia e contrappunto.
Per la prima volta la regi-
sta, non nuova al montag-
gio e al ritmo, si confronta
con la gestione di materiali
ripresi da una realtà su cui
non si è potuto interve-
nire, una realtà che può
essere modellata solo in
3.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL
33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.43
66
sede di montaggio. Per la
strutturazione del testo,
cura della musica, forte
attenzione al ritmo, per le
suggestioni d’avanguardia
è dichiaratamente ispirato
a Berlin. Symphonie einer
Großstadt (1927) di Wal-
ter Ruttmann4
. Le orge di
bandiere, le masse dei mi-
litanti accalcati, le migliaia
di braccia alzate nel saluto
tedesco schiacciate dai
potenti teleobiettivi appa-
iono sì stilizzate, ma non
astratte; decontestualizza-
te e quasi irriconoscibili,
ma non per perdere il loro
carattere, piuttosto per
farne emergere l’essenza.
La rappresentazione del-
le masse in Der Sieg des
Glaubens verosimilmente
ricalca in pieno i suggeri-
menti di Béla Balàsz5
, che
scrive:
«Una massa di uomini
[…] ci mostra un’immagi-
ne sovraindividuale del-
la società umana. Non
semplicemente la somma
di singoli uomini, ma un
organismo vivente a sé.
Con struttura e fisionomia
proprie. […] Per poter mo-
strare i gesti [della massa]
in modo chiaro, la massa
rappresentata non deve
essere priva di contorni,
caoticamente amorfa.
In un buon film la folla è
“strutturata”, nei suoi rag-
gruppamenti e movimenti,
fin nei minimi particolari.
[…] Il buon regista potrà
mostrare la fisionomia vi-
vente della folla, la mimi-
ca del “volto” delle masse
solo servendosi di primi
piani,grazieaiqualinonla-
scerà mai che il singolo in-
dividuo scompaia o venga
dimenticato. […] Con una
4.	 In relazione alle musiche si veda Reimar VOLKER, “Von oben sehr
serwunscht”. Die Filmmusik Herbert Windts im NS-Propagandafilm, Wis-
senschaftlicher Verlag, Trier 2003, PP. 49-79, 168-182
5.	 Pseudonimo di Hermann Bauer, teorico del cinema e sceneggiatore
ungherese (Szeged, 1884-Budapest 1949). Comunista convinto, nonché
ebreo, a causa del nazismo si trasferisce a Mosca, insegnerà all’Accademia
cinematografica. Insieme alla Riefenstahl scrive Das blaue Licht, esordio
della cineasta, in seguito i due avranno problemi di diritti d’autore.
67
serie di riprese in dettaglio
da elementi in primo pia-
no e di sfondo ci mostrerà i
singoli granelli di sabbia di
cui è composto questo de-
serto, in modo che anche
passando al quadro totale
resti presente la brulicante
vita interiore dei suoi ato-
mi. In siffatti primi piani
percepiamo la vivida ma-
teria spirituale di cui sono
composte le grandi mas-
se»6
.
Der Sieg des Glaubens 
ha avuto una storia
travagliata e i suoi
problemi non sono causati
solodaun contestostorico
in evoluzione. È stato
girato in tempi stretti e
senza un’adeguata prepa-
razione del teatro di posa
in esterni. Non solo: le ca-
micie brune faranno tutto
il possibile per creare dif-
ficoltà, veri e propri sabo-
taggi, come per lo sman-
tellamento dei binari per
le cineprese fatti installare
dalla Riefenstahl. Il mate-
riale adatto per il montag-
gio sarà scarso e di medio-
cre qualità. In realtà, tutta
l’organizzazione dell’even-
to presenta dei problemi:
la troupe della Riefenstahl
non ha alcuna priorità e
deve scontrarsi con coreo-
grafie inesistenti, fotografi
che si trovano dove non
dovrebbero, personaggi
ingestibili che non sanno
cosa fare. Non a caso, la
regista era considerata un
elemento estraneo e trat-
tata con poco rispetto. Il
ritiro dalle sale, avverrà in
seguito la notte dei lunghi
coltelli, in cui Ernst Röhm,
colonnello generale (Stab-
schef) delle SA verrà arre-
stato e poi ucciso, la sua
6.	 Bèla BALASZ, L’UOMO INVISIBILE, a cura di Leonardo Quaresima,
Torino, Lindau, 2008, pp. 181-183
68
presenza accanto al Fuhrer
nel documentario sarà
troppo ingombrante per la
promozione del partito.
Troppo
“sincero”
Der Sieg des Glau-
bens commette un grosso
errore: mostra la realtà e
non la costruisce, è un film
pericolosamente sincero.
Bambini seduti sul ciglio
di una strada salutano
una colonna di camicie
brune in marcia verso No-
rimberga; sono piuttosto
mal vestiti, alcuni sono
scalzi. Un gatto grassoccio
osserva il tutto da dietro
un’inferriata. La colonna
in marcia è rilassata e di-
sordinata, con uomini che
chiacchierano, entrano ed
escono dai ranghi, guar-
dano in cinepresa riden-
do. Questa può essere la
verità, ma la propaganda
non è questione di verità:
i bambini dovranno esse-
re sobri, ma non neces-
sariamente “perfetti”. E’
come quando il politico di
turno si presenta per fare
il suo bel monologo con
i primi due bottoni della
camicia aperti: “Guardate,
sono affabile e rispettabi-
le”. I bambini di Triumph
des Willens sono appunto
sobri ma non perfetti, de-
liziosi da vedersi, ben pet-
tinati e vestiti. Persino le
SA, corpo notoriamente ri-
belle e rumoroso, sarà ri-
preso in modo da non
creare problemi: dall’alto,
rendendone la presenza
appena accennata. Ecco
uno dei punti in cui i due
film differiscono, grazie a
una preparazione ad hoc,
non il film per il congresso,
69
ma il congresso per il film.
D’altra parte difficilmente
la propaganda offre para-
goni al ribasso, in fondo è
tutta questione d’apparen-
za. Preferire altro a capaci-
tà e lungimiranza: presun-
te credibilità e autorità, un
vestito elegante o la capa-
cità di parlare per ore sen-
za dire niente.
Confusione e
difficoltà nella
scansione dei
tempi
Leni Riefenstahl è chia-
mata a filmare e non ha
controllo su quanto le ac-
cade di fronte: in parole
povere, deve limitarsi a
produrre materiale visivo.
Non avendo vita facile, il
risultato sarà un generale
sbilanciamento tra fasi più
importanti, forzosamente
ridotte, e altre di contorno,
inutilmente estese. L’arrivo
delle colonne di camicie
brune SA a Norimberga
è lunghissima, se messa
a confronto con quella
dell’arrivo di Hitler. Dopo
la breve sequenza dell’ar-
rivo di Hitler all’aeroporto,
si passa a una sezione a
malapena comprensibile
col suo passaggio in auto
tra la folla: inquadrature
confuse e tremolanti, bu-
chi nella folla che si muove
senza controllo, fumo che
confonde la visuale. I cor-
doni delle SA sono ripresi
mentre con difficoltà con-
tengono il pubblico. Tutto
questo denota una com-
plessiva mancanza di con-
trollo, che un film di que-
sto genere non dovrebbe
potersi permettere.
70
Confusione nella
gerarchia
Si capisce che Hitler è il
centro dell’azione, ma la
sua è una centralità che
deve fare i conti con trop-
pi “rivali”. Prima di lui sfi-
lano i Göbbels e i Röhm
accanto ai von Papen
(uomo politico della de-
stra tradizionalista, in se-
guito scampato quasi mi-
racolosamente alla Notte
dei lunghi coltelli), oltre
alle personalità interna-
zionali. La sua continua vi-
cinanza allo stesso Röhm
può far sorgere dubbi su
chi realmente abbia il co-
mando. Non si capisce
in modo inequivocabile
chi sia la personalità di
riferimento, nessun mes-
saggio univoco, come nel
caso di Triumph des Wil-
lens. Solo allora saranno
determinate le gerarchie
interne al partito e un’in-
tera classe politica sarà
spazzata via.
Quando viene girato Der
Sieg des Glaubens, però,
Röhm è quasi un pari di
Hitler. Dai fotogrammi ap-
pare evidente: prima ve-
diamo Röhm stringere la
mano a Hitler (1), per poi
salire a bordo dell’auto. Da
quel momento seguiranno
il passaggio del corteo dei
corpi paramilitari l’uno a
fianco dell’altro, alla stes-
sa altezza. Si tratta di una
confidenza mai più con-
cessa; Hitler non avrà più
dei pari. Il capo delle SA
Röhm sarà sostituito da un
uomo di provata fedeltà,
tale Viktor Lütze. Saranno
lui e Himmler gli officianti
del culto civile, con Hitler,
nel 1934 a Norimberga;
71
lo scorteranno anche du-
rante la rivista del corteo,
mantenendo sempre un
passo indietro.
Triumph des Willens con-
tribuisce a stabilire quale
debba essere la gerarchia:
possiamo vedere come
Lütze, avvicinatosi all’auto
di Hitler, prima esegua il
saluto, gli stringa la mano
e quindi obbedisca a un
gesto preciso (foto 4). Si
posiziona di fronte all’au-
to e Hitler pone una mano
sulla sua spalla in segno di
supremazia. Da notare che
non c’è quasi contatto visi-
vo fra i due7
.
È vero che la regia è com-
plessivamente incerta, che
qualcosa, anche di clamo-
roso, sfugge al controllo,
ma il modello di fondo è
valido tanto che, appli-
cato con padronanza nel
successivo Triumph des
Willens, darà dei risultati
straordinari.
→ Tersite Cinema.
7.	 AAVV, DER SIEG DES GLAUBENS (1933), inTersiteblog.it, https://ter-
siteblog.wordpress.com/2014/10/12/der-sieg-des-glaubens/ consultato
il 3 gennaio 2017.
72
TRIUMPH DES
WILLENS
Leni Riefenstahl
1935
La macchina organizzativa
che viene messa in moto
per il secondo film è di
dimensioni straordinarie
soprattutto se considera-
ta in rapporto gli standard
di produzione di un docu-
mentario. La preparazione
del film inizia molti mesi
prima e si svolge in sinto-
nia con l’allestimento del
sito del congresso curato
da Albert Speer. ll ruolo
svolto da Speer nella pro-
gettazione del Parteitag-
sgelände (l’area a est di
Norimberga destinata ad
ospitare le manifestazioni
dei congressi del NSDAP),
che lo porta a diventa-
re di fatto lo scenografo
del film, non esclude co-
munque Leni Riefenstahl
dall’elaborazione degli
aspetti scenografici del
documentario. Infatti la
regista è presente sia nelle
fasi più salienti della pro-
gettazione, sia in quelle di
realizzazione dei lavori a
Norimberga e «la prepa-
razione del congresso del
Partito va di pari passo con
la preparazione delle ripre-
se del film››.1
Per le riprese la troupe è:
composta da 172 persone,
fra queste 36 operatori - al-
cuni di loro si muovevano
sui pattini a rotelle e in di-
visa per potersi spostare
velocemente e camuffare
nella folla - 10 tecnici, 37
addetti al controllo, 12 fo-
nici, 17 tecnici luci, 26 auti-
sti. Il costo di produzione è
adeguato alla grandiosità
1.	 Leni RIEFENSTAHL, HINTER DEN KULISSEN DES REICHSPARTEI-
TAG-FILMS, Monaco, Zentralverlag der NSDAP, 1935, p.31.
73
della macchina produttiva
e dell’impegno richiesto e
ammonta, esclusi i costi
di allestimento dello spa-
zio del congresso, a circa
400.000 Reichsmark e, un
impegno economico stra-
ordinario particolarmente
alto anche per la realizza-
zione di un film di finzio-
ne. Triumph des Willens
esce come “semplice” do-
cumentario della durata
di 114 minuti, ossia 3109
metri di pellicola 35mm.
contro i 128.000 girati.2
Triumph des Willens, no-
nostante l’impegno gran-
dioso nella preparazione
e nelle riprese, prende cor-
po essenzialmente in sede
di montaggio dove l’au-
trice, lavorando da sola,
combina le inquadrature
secondo una architettura
che colloca gli elementi su
diversi livelli di importanza
con l’alternanza di punti
forti e deboli, e rispettan-
do un ritmo che coinvolga
lo spettatore. La realtà del
congresso si piega alle esi-
genze del montaggio tanto
da venire stravolta. Nella
sintesi cinematografica, la
regista non si limita a se-
lezionare gli avvenimenti
più interessanti escluden-
do quanto non ritenuto
rilevante nell’economia
del film, ma riorganizza lo
sviluppo temporale di ciò
che è accaduto a Norim-
berga (il congresso si svol-
ge dal 4 al 10 settembre
1934), creando una durata
diegetica del Parteitag ci-
nematografico diversa da
quella del Parteitag reale.
Parallelamente combina
i diversi momenti con un
ordine differente in modo
da modificarne il senso e
2.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL
33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.58.
74
la funzione. Non si tratta
quindi di un aspetto legato
alla diversa articolazione
dell’intreccio in relazione
alla fabula, ma proprio
della costruzione di una
fabula nuova rispetto alla
realtà.
Attraverso la selezione de-
gli eventi, la scelta delle
inquadrature, la cura del-
le musiche e dei rumori,
il montaggio Leni Riefen-
stahl costruisce un film in
cui ogni momento assume
una valenza doppia. Come
nota Martin Loiperdinger3
,
È possibile individuare nel
film due livelli di contenu-
to: il primo manifesto e
palese, il secondo latente,
che emerge da una let-
tura fra le righe. È come
se ci fossero due film so-
vrapposti: uno legato alla
dimensione denotativa,
che emerge da una lettu-
ra “letterale” del testo e
che ci mostra dei fatti così
come sarebbero accaduti
a Norimberga nel settem-
bre del 1934; un secondo,
che emerge in filigrana
dalla sfera connotativa e
simbolica e, superando
la realtà del congresso in
sé, presenta aspetti propri
dell’ideologia, dell’esteti-
ca, della cultura nazional-
socialista validi come mo-
dello ben oltre il preciso
evento storico raccontato.
Il film è articolato in 12
macrosequenze di diversa
durata ed è diviso molto
chiaramente in 5 atti che
da un lato segnano lo svi-
luppo del film in rapporto
alle fasi di svolgimento
dell’evento di Norimber-
ga, dall’altro strutturano
il testo in modo da offrire
3.	 Martin LOIPERDINGER, RITUALE DER MOBILMACHUNG, DER
PARTEITAGSFILM THRIUMPH DES WILLENS VON LENI RIEFENSTAHL,
cit., p.78.
75
al materiale trattato una
valenza simbolica che per-
mette di far emergere l’es-
senza dell’intera liturgia
che si attua intorno al con-
gresso. La riorganizzazione
degli elementi visivi fa si
che all’interno della pelli-
cola rimangano solo unità
fortemente significanti ot-
tenendo così un concen-
trato particolarmente effi-
cace.
La pellicola è dunque com-
posta da blocchi tematici e
narrativi ben definiti sepa-
rati da doppia dissolvenza
(in apertura e chiusura)
e in un caso, il passaggio
dalla IV alla V sequenza, da
dissolvenza incrociata a
indicare una cesura meno
netta. Ciascuna delle 12
macrosequenze ha du-
rata differente a seconda
dell’importanza e in taluni
casi può essere divisa in ul-
teriori sottosequenze. Per-
tanto possiamo individua-
re complessivamente 22
nuclei tematici e narrativi a
loro volta articolati in sce-
ne. Ad esclusione dei due
casi in cui troviamo una
dissolvenza incrociata, i
passaggi da una macrose-
quenza all’altra, come fra
le diverse sottosequenze,
sono sottolineati da una
cesura a livello del sonoro:
interruzione e cambio del
brano musicale, passaggio
dalle voci alla musica o vi-
ceversa. Le sequenze:
•	 L’arrivo a Norimberga
•	 In volo su Norimberga
•	 L’aereo di Hitler atterra
•	 Il corteo per le strade
della città
76
•	 Il concerto in onore di
Hitler
•	 Da Norimberga al
Parteítagsgelände
•	 Dalla vecchia
Norimberga allo Zeltlager
•	 Il risveglio nello Zeltlager
•	 La sfilata in costume
tradizionale
•	 I giovani dell’Arbeitsfront
•	 Dall”Hotel Deutscber Hof
al congresso
•	 L’apertura del congresso
•	 L’intervento di Hess
•	 Gli interventi dei gerarchi
•	 Il Servizio del lavoro
•	 Gli Arbeitsoldaten
•	 Le parole di Hitler
•	 Lutze e gli uomini delle
SA
•	 I giovani
•	 La parata della
Wermacht
•	 Hitler e i funzionari del
Partito
•	 Commemorazioni e
rinnovo della fedeltà
•	 La commemorazione dei
caduti
•	 L’omelia di Hitler sulla
stabilità del Movimento
•	 Il rito della Blutfahne
•	 Le parate nel centro di
Norimberga
•	 La chiusura del
congresso
77
Una
tripartizione
dialettica
I tre grossi blocchi con-
tenutistico-narrativi che
compongono il film pos-
sono essere sinteticamen-
te definiti “affettivo” (seqq.
I-II), “politico” (seqq. III-X) e
“istituzionale” (seqq. XI-XII).
Nel primo avviene l’epifa-
nia di Hitler, protagonista
assieme alla città di No-
rimberga con i suoi abitan-
ti che lo accoglie festosa.
Qui i gerarchi nazisti tro-
vano spazio solo margi-
nalmente come semplici
figure di contorno, meri
elementi pro-filmici, quasi
la Riefenstahl ritenesse la
loro presenza un di più che
potesse distrarre l’atten-
zione dall’aspetto centra-
le, cioè il rapporto fra Hit-
ler e la città, i suoi abitanti,
i suoi monumenti. Si nota
in tal senso la differen-
za con il precedente Der
Sieg der Glaubens in cui il
Führer era attorniato dagli
altri gerarchi che stavano
quasi al suo stesso livello
rispetto.
Il secondo blocco è dedi-
cato alla dimensione po-
litica in quanto conduce
l’insieme dei partecipanti
all’interno dello spazio de-
dicato al congresso. É uno
spazio che prende corpo
idealmente e si definisce
come “luogo altro” rispet-
to alla città, tant’è che,
escluse poche inquadra-
ture della prima sequenza
nelle quali durante la sfi-
lata in costume e il corteo
di auto dei gerarchi che
lascia l’Hotel Deutscher
78
Hof si intravede qualche
strada o palazzo, in que-
sto blocco Norimberga è
del tutto assente. Questa
caratterizzazione di “luogo
altro” rispetto alla città è
fortemente voluta in sede
di montaggio quando si
eliminano tutti i riferimenti
allo spazio urbano.
É pur vero che il Parteítag-
sgelände stava fuori dalla
città, ma il Congresso reale
si svolgeva in luoghi diversi
spostando gli eventi, come
si può notare nella tabella
sinottica in appendice, fra
gli spazi aperti della peri-
feria e gli edifici del centro.
La scelta dunque di con-
centrare tutto il blocco al
di fuori della città ha una
precisa valenza simbolica.
Peraltro questa parte si
distingue anche, e forse
soprattutto, per le forme
che la caratterizzano: equi-
librio, regolarità, ordine,
perfezione formale, rigore
geometrico, imponenza,
razionalità contrapposti
al caos, al disordine, alla
confusione che avevano
segnato il primo blocco.
Simbolicamente lo spazio
di svolgimento del con-
gresso diventa lo spazio
del Partito.
Il terzo blocco ha un valo-
re di sintesi. Da un lato ri-
porta Hitler e i partecipanti
nel cuore della città, che
viene da loro letteralmen-
te occupato e trasformato
con le geometrie regolari
e meccaniche delle parate
che si incontrano/scontra-
no con le linee divergenti
dell’architettura medioe-
vale; dall’altro sanciscono
l’ufficialità della vittoria
79
nell’affermazione del Rei-
ch. La città che simboli-
camente si era aperta per
ospitare il Partito nazio-
nalsocialista ora se ne im-
pregna e ne diventa parte
integrante. Viene rappre-
sentata così la nuova Ger-
mania che ha preso corpo
dopo l’ascesa al potere del
Movimento nazionalsocia-
lista e che ora si ritrova con
il suo popolo e la sua gui-
da per festeggiare il trionfo
della volontà. Non siamo
più come nella macrose-
quenza di apertura in un
rapporto di interazione fra
Hitler e Norimberga.
Qualcosa è cambiato. Chi
arrivava dall’alto come un
ospite illustre accolto con
fervore dalla città, dopo i
cerimoniali del congres-
so ha assunto il ruolo di
capo indiscusso della città
e, simbolicamente, della
Germania e del suo popo-
lo. Ciò può essere notato
dal superamento del gioco
di sguardi, l’alternanza di
soggettiva e oggettiva che
offriva allo spettatore il pri-
vilegio di guardare con gli
occhi di Hitler e di trovarsi
nel posto in cui Hitler guar-
dava - e dalla sostituzione
dei cittadini da parte dei
militanti nazisti.
Sono infatti questi ultimi
che ora occupano il cen-
tro della città e con loro
che il Führer è in rapporto.
I “normali” cittadini sono
semplici spettatori di un
evento, non più protagoni-
sti. Hitler in piedi nella sua
macchina riceve l’omaggio
di gerarchi e militanti in
una situazione marcata-
mente formale4
.
4.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL
33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.63.
80
La
trasformazione
dello spazio
e del tempo e
l’invenzione
della realtà
La vicenda cinematogra-
fica si articola nell’arco di
quattro giorni. Il passag-
gio fra le diverse giornate
è scandito dalle scene in
notturna, chiari marcatori
temporali che definiscono
nettamente la fine della
giornata. Dell’ovvia sintesi
che il film fa degli avveni-
menti effettivi, la prima
cosa che appare è la ridu-
zione del tempo reale di
sviluppo dell’evento dai
suoi concreti sette giorni
solamente a quattro. Ed
è questo un aspetto non
marginale delle scelte del-
la regista nella organizza-
zione del girato. Lei infatti
non si limita a selezionare
gli avvenimenti più inte-
ressanti escludendo quan-
to non ritenuto rilevante
nell’economia del film,
o a utilizzare ellissi, pau-
se, estensioni, o ancora
a giocare sull`ordine e la
frequenza. La Riefenstahl
riorganizza lo sviluppo
temporale di quanto ac-
caduto a Norimberga dal
4 al 10 settembre 1934,
concentra e accorpa gli
eventi e arriva a creare un
durata diegetica del Partei-
tag cinematografico diver-
sa da quella del Parteitag
reale. I vari momenti poi
assumono un ordine diffe-
rente, modificano il senso
e acquistano una nuova
funzione. Non si tratta
quindi di un aspetto legato
alla diversa articolazione
81
dell’intreccio, ma proprio
della costruzione di una
diegesi nuova, in qualche
modo autonoma rispetto
alla realtà del Congresso.
Esempi evidenti di questo
modo di procedere sono il
concerto che si svolge da-
vanti all’Hotel Deutscher
Hof alla fine della prima
giornata5
e le parate nel
centro della città. Ma la
Riefenstahl non si limi-
ta a una riorganizzazione
del tempo diegetico, in-
fatti anche la collocazio-
ne spaziale subisce degli
adattamenti che servono
sia ad accorpare per en-
fatizzare le situazioni sia a
produrre nuove scene. Ne
abbiamo un esempio par-
ticolarmente significativo
a proposito della manife-
stazione di apertura del
congresso che nel film è
ambientata nel Parteitag-
sgelände fuori dalla città
con immagini filmate prin-
cipalmente in edifici del
centro storico. Nella quar-
ta sequenza, infatti, dopo
l’intervento di Hess che ri-
corda Von Hindenburg ed
esalta la figura del Führer
in quanto garante di vit-
toria, pace e giustizia, in-
tervengono ministri e ge-
rarchi del partito che con
brevi slogan richiamano
punti chiave delle politi-
che o dell’ideologia del
Movimento. Si presenta
quindi, pur con consistenti
ellissi, un unico contesto
in cui parlano più persone
per ricapitolare uniforme-
mente le parole d’ordine
del Movimento ora al go-
verno della Germania. Se
andiamo a osservare la
realtà notiamo che quanto
mostrato nella sequenza
non corrisponde a quan-
5.	 Leni RIEFENSTAHL, MEMOIREN, 	 Auflage (Germany) (1987), St Mar-
tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.27.
82
to accade nel congres-
so, ma il tutto è frutto di
montaggio e, in taluni casi,
addirittura di recitazione
in studio. Infatti durante
l’apertura del Parteitag
abbiamo l’intervento di
Hess ma non quello degli
altri gerarchi che si tengo-
no invece in altri momenti
e luoghi. Secondo Speer,
fra l`altro, diversi inter-
venti, fra i quali una parte
di quello dello stesso di
Hess, sono stati ripetuti in
studio. «Nel 1935 - ricorda
l’architetto - accadde che
la ripresa cinematografica
di una seduta solenne del
congresso del partito non
riuscì bene. Accogliendo
un suggerimento di Leni
Riefenstahl, Hitler ordinò
che le scene mal riuscite
fossero ripetute in studio.
In un grande teatro di posa
di Berlino-johannistal pre-
parai un fondale che rap-
presentava uno scorcio
della sala dei congressi,
con il podio e la tribuna
dell’oratore, e facemmo le
prove delle luci puntando-
vi sopra i riflettori mentre i
tecnici correvano avanti e
indietro affaccendati e più
a distanza Streicher, Ro-
senberg e Frank andavano
su e giù con i copioni, cer-
cando con zelo di manda-
re a memoria le loro parti.
Quando Hess giunse, fu
pregato di farsi riprendere
per primo, e lui, proprio
come se si fosse trovato
davanti ai trentamila del
congresso del partito, alzò
la mano, assunse il tono
eccitato che gli era carat-
teristico e, voltosi verso il
punto esatto dove Hitler
avrebbe dovuto essere
(ma non era), rigido e teso
83
da sembrare sull’attenti
esclamò:
“Mein Führer, le porgo
il saluto del congresso
del partito. Il congresso
prosegue i suoi lavori. Parla
il Führer”.
Anche gli altri tre recitaro-
no la loro parte in modo
molto realistico davanti al
vuoto teatro di posa, di-
mostrando di essere inter-
preti di notevoli capacità.
Io ero seccatissimo, men-
tre la signora Riefenstahl
era pienamente soddisfat-
ta, trovando che le scene
ricostruite fossero superio-
ri a quelle originali››.6
La Riefenstahl smentisce
questo racconto sostenen-
→ Tersite Cinema.
6.	 Albert SPEER, MEMORIE DEL TERZO REICH, Berlino, Orion Publish-
ing Group, 1970, cit., pp.74-75.
84
do che i vent’anni trascorsi
nella prigione di Spandau
hanno certamente fatto
confondere l’architetto. «È
vero - scrive la regista - che
Speer aveva ricostruito il
podio del congresso nella
sala di un cinema, dove
fu ripreso un primo piano
di Iulius Streicher, ma non
di Rudolf Hess. Durante
il discorso di Streicher a
Norimberga, all’operatore
era mancata la pellicola,
e dato che Streicher come
Gauleiter della Franconia
doveva apparire una volta
sola, si è dovuta riprende-
re di nuovo una frase di
pochi secondi. Duran- te
questa breve scena oltre
Speer, Streicher e alcuni
membri della troupe, non
era presente nessuno, non
c’erano né Hess, né Frank,
né Rosenberg, e neanche
io, e in seguito non fu gira-
ta nessuna scena di Rudolf
Hess››7
. Questa afferma-
zione, poco credibile in
quanto riferita a un conte-
sto in cui opera una troupe
di dimensioni eccezionali
con ben trentasei operato-
ri, se da un lato smentisce
Speer, dall’altro conferma
che qualcosa è stata reci-
tata in studio, il fatto poi
che a essere recitato fosse
proprio l’unico interven-
to esplicitamente riferito
alla purezza della razza ha
delle ulteriori implicazioni
in quanto dimostra l’im-
portanza dell’argomento
nell’economia del film.
Pertanto Leni Riefenstahl
nel cercare di contestare
un’affermazione di Spe-
er arriva a confermare in
modo implicito la realizza-
zione di specifiche scene
ad hoc.
7.	 Leni RIEFENSTAHL,MEMOIREN, 	 Auflage (Germany) (1987), St Mar-
tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.778.
85
Si può quindi affermare
che la Riefenstahl nel suo
film costruisce un con-
gresso diverso da quello
svoltosi a Norimberga nel
1934 anche se nelle testi-
monianze, interviste, di-
chiarazioni rilasciate dopo
la guerra non ha perso
occasione per sostenere
che nella pellicola «non
ci sono scene ricostruite,
“tutto è vero” ed è solo «un
documentario››8
.
Il suo terrore di essere ac-
cusata di aver fatto un film
di propaganda nazista
la porta a negare anche
ciò che è evidente. Eppu-
re nell’intervista rilascia-
ta nel 1965 ai «Cahiers
du cinéma», lei stessa in
qualche modo spiega il
perché di questa opera
di riorganizzazione delle
informazioni: il problema
è di rendere «seducente››
quanto si vede e ciò si ot-
tiene «drammatizzando››
e «dando ritmo». È chia-
ro che riconoscere aper-
tamente di aver lavorato
per rendere «seducente» il
congresso del Partito nazi-
sta significa anche ammet-
tere di aver fatto un’opera
di propaganda. Nell’inter-
vista la Riefenstahl a pro-
posito della lavorazione,
dopo aver parlato di pro-
blemi di natura organizza-
tiva,dice:«Malagrandedif-
ficoltà stava nel fatto che
gli eventi in quanto tali si
ripetevano costantemen-
te nella stessa forma: non
c’erano che discorsi, mar-
ce e raduni. Dunque era in-
finitamente più impegnati-
vo di quanto non lo fosse
per le Olimpiadi cogliere
l’evento in maniera sedu-
cente (captivante).“E più
8.	 Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE-
FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL
33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.80.
86
avanti, dopo aver ribadito
che si tratta di un «film-
vérità», continua:
“Ho cercato di fare
un film che colpisse
ed eccitasse. Un film
poetico e dinamico.”9
Si può certamente discute-
re sulla poeticità del film,
ma difficilmente se ne può
negare l’energia e l’effica-
cia comunicativa, la capa-
cità di coinvolgere, talvolta
anche emotivamente, e
l’intensità delle immagini.
D’altra parte la Riefenstahl
nella stessa intervista so-
stiene: «Ciòcheèpuramen-
te realista, scena di vita vis-
suta, ciò che è mediocre,
quotidiano, questo non mi
interessa. Solo l’inusuale,
il particolare mi eccitano.
Sono affascinata da ciò che
è bello, forte, sano, da ciò
che è vivo››10
. Non c’è quin-
di una preoccupazione in
senso realista, c’è invece la
volontà di esprimere forza
e potenza, grandiosità e vi-
talità, perfezione ed equili-
brio. Peraltro non pare che
il problema della fedeltà
al fatto storico si ponesse
neanche per il committen-
te, preoccupato di creare
un evento grandioso e di
forte impatto. L’esigenza
di Hitler e di Goebbels era
quella di ottenere un effet-
to che colpisse lo spettato-
re per la sua grandiosità e
permettesse di collocare
l’evento e pertanto le figu-
re che ne sono protagoni-
ste, Hitler in primis ma poi
il Partito, il Reich, i gerarchi
e la massa dei partecipanti
in quanto espressione del
popolo tedesco - al di là
della dimensione storica
nella sfera del mito.
9.	 Michel DELAHAYE, LENI AND THE WOLF: INTERVIEW WITH
LENI RIEFENSTAHL, in Cahiers du Cinéma in English (New York), June
1966. Read more: http://www.filmreference.com/Films-Thr-Tur/Tri-
umph-des-Willens.html#ixzz4Ysa3btyq
10.	 Ibidem
87
La preoccupazione di sot-
tolineare la natura docu-
mentaria di Triumph des
Willens, e quindi il suo
carattere di mera ripro-
duzione di fatti realmente
accaduti, dopo la fine del-
la guerra e la caduta del
nazismo, Leni Riefenstahl
- accusata di aver soste-
nuto il regime attraverso
i suoi film e quindi di ave-
re delle responsabilità in
tutto ciò che è successo
in Germania fra il 1933 e il
1945 - si difende negando
alcune importanti pecu-
liarità del film e del suo
lavoro e sostenendo, sul
filo del paradosso in quan-
to nega il ruolo produttivo
dell’artista nel momento
in cui ne rivendica i meriti
e i diritti, di essersi limitata
a riprendere ciò che stava
davanti agli occhi di tutti.
Nel filmare la realtà neces-
sariamente la si reinterpre-
ta, se ne coglie un aspetto
per ometterne tanti altri,
si sceglie “un” punto di vi-
sta. Ma c’è una differenza
fra l’interpretare e il rein-
ventare, e c’è soprattutto
quando la reinvenzione si
sovrappone alla realtà e
la sostituisce creando un
qualcosa di nuovo.
A questo punto la linea di
demarcazione, una linea
flebile e instabile, talvolta
quasi invisibile, che separa
il documentario dalla fi-
ction si sposta dall’univer-
so del reale per collocarsi
in quello fittizio. È quanto
accade nel film di Leni Rie-
fenastahl.
Liturgia nazista
In relazione al film la com-
ponente rituale si attua al-
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Pretty as a Swastika

  • 1. Studente Daniele De Luca s207895 PRETTY AS A SWASTIKA Comunicazione visiva nazionalsocialista e riflessioni sull’etica Relatore Elena Dellapiana Politecnico di Torino Correlatore Giaime Alonge Università di Torino
  • 2.
  • 3. C.d.L. Design e Comunicazione Visiva PRETTY AS A SWASTIKA Comunicazione Visiva nazionalsocialista e riflessioni sull’etica Correlatore Giaime Alonge Università di Torino Studente Daniele De Luca s207895 Relatore Elena Dellapiana Politecnico di Torino A.A. 2016/2017
  • 4.
  • 5. Sommario | Introduzione 7 | Contesto 16 1 Il documentario 1.1 Documento e stile documentario 42 1.2 Documentario e Zeitgeist 51 1.3 Documentario d’esplorazione 55 1.4 Aktion T4 60 1.5 Theresienstadt 63 Casi Studio Der Sieg des Glaubens 69 Triumph des Willens 77 Olympia 106 Der Ewige Jude 129 2 Il manifesto 2.1 Arte 138 2.2 Sport 152
  • 6. 2.3 Salutismo 158 Ludwig Hohlwein - approfondimento 165 Gino Boccasile - approfondimento 171 3 Il brand 3.1 Svastica, da simbolo a marchio 181 3.2 Seig Sieg! 191 3.3 Hugo Boss 193 3.4 Manuale d’uso 196 3.4 Antiqua vs Fraktur 203 Gleichschaltung - approfondimento 213 4 Conclusioni 221 | Fonti Bibliografia 238 Sitografia 245 Videografia 251
  • 7.
  • 9. 7 INTRODUZIONE Questa tesi ha lo scopo di indagare tutti gli aspetti della comunicazione visi- va del “progetto” nazio- nalsocialista degli anni ’30 fino alla fine della Seconda Guerra mondiale. Il tentativo è quello di indi- viduare il fil rouge che tie- ne insieme i vari approcci comunicativi visuali. Non a caso l’utilizzo della pa- rola progetto si rivela utile proprio per capire come il Partito abbia proiettato tutti gli ideali del movi- mento all’elemento visual, cercando di stimolare l’e- motività, l’entusiasmo e le reazioni “di pancia” piut- tosto che una sana critica intellettuale. Obiettivo del progetto nazionalsociali- sta era quello di creare un ambiente fatto di simboli, architettura e riti ben co- ordinati tra loro capaci di elevare il tedesco in uno stato superiore. Spunto della ricerca è sicuramente l’idea di aestheticization of politics, coniata dal filo- sofo tedesco Walter Benja- min, indicandola come la chiave del successo dei Regimi. In questa teoria, tutti gli aspetti della vita sono indicati come inna- tamente artistici, anche la politica. Con quest’ottica la politica può essere pro- posta e strutturata come una forma d’arte. È bene cominciare con una contestualizzazione storica, come nasce il con- cept, da cosa attinge l’ide- ologia nazista, qual è lo scenario, l’intuizione di ar- chitettura come mezzo di
  • 10. 8 comunicazione, portatrice di significati nonché conte- nitore dei grandi eventi/ri- tuali. Il rito è fondamentale per la creazione di quella che viene definita da Ge- orge Mosse una religione laica; che come in qualsi- asi altra religione la teolo- gia si esprimeva attraverso una liturgia: cerimonie, riti e simboli che rimanevano immutabili in un mondo in costante mutamento1 . Di seguito, nel capitolo il documentario, si cercherà di approfondire il signifi- cato di documentario e le varie ambiguità che tale termine porta nella tra- sposizione del reale. Come è possibile capire, in segui- to, sarà proprio questa am- biguità di fondo a spingere il Terzo Reich a sceglierlo come linguaggio per rap- presentare al meglio lo spirito del tempo, la gran- dezza della Germania e del popolo tedesco, quel- lo che oggi chiameremo storytelling. Ma non solo, il documentario verrà utiliz- zato anche a scopo educa- tivo, si è scelto dunque di approfondire con un caso studio Der Ewige Jude, il suo carattere documen- taristico, quasi scientifico, tenta di istigare il disgu- sto e la repulsione verso la razza ebraica. L’arte di persuasione ha, anche, bi- sogno di grandi eventi che suggestionino lo spetta- tore e che questi vengano proposti e diffusi con uno sguardo altamente esteti- co. È proprio il caso della triade documentaristica di Leni Riefenstahl: Der Sieg des Glaubens (1934), Triu- mph des Willens (1935) e 1. George MOSSE, LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE, Bologna, Soc. Ed. il Mulino, 1975, p.44.
  • 11. 9 Olympia (1938). E se al do- cumentario venne affidato il compito di raccontare il mondo nazionalsocialista, i manifesti sono portatori di messaggi più precisi e puntuali. La loro compo- sizione mirava al massimo della semplicità contenu- tistica senza pretendere nessuno sforzo cognitivo aggiuntivo. La raffigura- zione quindi è preminente in tutta la comunicazione affidata ai supporti carta- cei, da ricordare che tutte le avanguardie artistiche o di progettazione erano vi- ste come degenerate, tra- ditrici dei valori tedeschi. La mostra Entartete Kunst del ’37 a Monaco ne è la prova, preceduta dalla di- partita del Bauhaus nel ’33 subito dopo l’avvento del nazismo. L’analisi procede, nel ca- pitolo il brand, con il sim- bolismo trasformato in un vero marchio, un collante di valori immateriali, quali: identità nazionale (coin- cidente col partito); supe- riorità della razza ariana e antisemitismo; la storia della Germania e tutti gli altri aspetti distintivi rite- nuti fondamentali dalla nefasta ideologia nazista. In conclusione, si tenterà di capire in che modo l’e- tica dei singoli progettisti sia rilevante per l’estetica politica in generale. Come visto l’innegabile talento di Leni Riefenstahl, per quan- to riguarda i documentari, e di Ludwig Hohlwein, per quanto riguarda i mani- festi (approfondimento a fine capitolo il Manife- sto) hanno contribuito
  • 12. 10 non poco alla creazione dell’estetica nazionalso- cialista. Scopo della tesi non è quello di verificare l’effettiva responsabilità etica, aldilà delle effetti- ve condanne giuridiche, ma aprire una riflessione su quanto sia importante per i progettisti prefigurare una serie di aspetti molto più complessi del “solo” cosa? come? e a chi? comu- nicare. L’evoluzione tec- nologica non può essere tralasciata in questa rifles- sione, in quanto è inevita- bile l’intreccio e la commi- stione con l’informazione e con la comunicazione, non solo visiva. Infatti, si farà cenno al dibattito che ruota intorno la computer ethics. In fine, l’esempio delle recenti elezioni pre- sidenziali americane sem- brano un ottimo esempio di questo intreccio, e non solo perché è noto che una porzione dell’elettore si rifà all’estetica nazista, ma anche perché utilizza l’a- spetto emotivo (compresa la rabbia) come elemento essenziale della comuni- cazione. A ciò si aggiun- ge una sempre maggiore riflessione dei designer odierni sulle effettive re- sponsabilità prima di tutto civiche ed etiche ancor pri- ma che professionali.
  • 13. 11 OSSESSIONE PER L’IMMAGINE L’abilità oratoria di Hitler non si era ancora manifestata. Ancor prima di diventare cancelliere del Terzo Reich, Hitler si esercitava per ore davanti allo specchio con il sottofondo delle registrazioni dei suoi discorsi al fine di miglio- rarsi e sembrare il più naturale possibile nelle movenze, nell’in- tonazione vocale e nella mimica facciale. Il suo fotografo perso- nale, Heinrich Hoffmann, scattò queste foto (alcuni poco più che fotogrammi) che ritraggono Hitler mentre si allena verso la fine degli anni ‘20. Ad Hoffmann fu ordinato di distruggere gli scatti e i negativi perché potevano minare l’aura di naturalezza dei discorsi di Hitler e, con essa, il suo magnetismo. Ma Hoffmann evidentemente non obbedì e così per la prima volta sono visibili questi scatti finora rari delle prove di Hitler oltre a quelle in cui, giovanissimo, ritrag- gono il cancelliere con calzettoni e pantaloni corti. → Courtesy of US National Archives
  • 14. 12
  • 15. 13 → Courtesy of US National Archives
  • 16. 14
  • 18. 16 I “MITI” DELLA CULTURA TEDESCA Il clima culturale e ideo- logico della Germania (il VOLK) ha predisposto l’a- nimo tedesco e l’ha reso disponibile al richiamo di qualcuno che tentasse di risvegliarlo in nome della Grande Germania. I miti di cui la propaganda nazista fa uso e li estremizza sono individuati nei “miti”. MITO della NATURA, il rapporto con la natura , i paesaggi e la terra sono sempre stati molto forti rintracciabili in tempi an- tichissimi e al tempo del nazismo non solo la natu- ra rappresentava l’agricol- tura ma anche l’estrazione delle materie prime tanto utili all’industria. MITO della GIOVINEZZA, la rivincita della nazione attraverso una gioventù sana e forte. La vitalità dei giovani era espressione di: forza, salute, obbedienza, audacia, conquista e do- minazione. “Questi ragazzi e queste ragazze entrano nelle nostre organizzazioni all’età di dieci anni e spes- so è la prima volta che pos- sono respirare un po’ d’aria nuova; dopo quattro anni trascorsi nel Gruppo Gio- vani passano alla Gioventù Hitleriana, dove li teniamo per altri quattro anni [...] E anche se a quel punto non sono ancora dei Nazional Socialisti al cento per cen- to, poi passano nel Corpo Ausiliari e lì vengono ulte- riormente ammorbiditi, per
  • 19. 17 → Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
  • 20. 18 sei, sette mesi... Dopodiché, qualunque coscienza di classe o di status sociale possa essergli ancora ri- masta... se ne occuperà la Wehrmacht [l’esercito tede- sco].” --Adolf Hitler (1938).1 A partire dagli anni ‘20, il Partito Nazista considerò la gioventù tedesca un obiettivo speciale dei suoi messaggi propagandistici. Quei messaggi insisteva- no sul fatto che il Partito costituisse un movimento particolarmente adatto ai giovani, in quanto for- temente dinamico, dalla mentalità elastica e che guardava al futuro con ot- timismo. Milioni di giovani Tedeschi, inoltre, vennero conquistati dal Nazismo sia all’interno delle classi scolastiche che attraverso le attività extracurricolari. Nel gennaio del 1933, la Gioventù Hitleriana ave- va solo 50.000 membri, ma alla fine dello stesso anno quella cifra si era incrementata fino a rag- giungere più di due milio- ni di iscritti. Entro il 1936 avrebbe poi raggiunto i 5.4 milioni, ben prima cioè che iscriversi all’organiz- zazione diventasse obbli- gatorio, nel 1939. Inoltre, le autorità tedesche proi- birono la costituzione di nuove organizzazioni gio- vanili, o sciolsero quelle già esistenti che potevano competere con la Gioven- tù Hitleriana2 . MITO della RAZZA, difesa del VOLK. Volk è una pa- rola assai più pregnante che non “popolo”, dal mo- 1. AAVV, L’INDOTTRINAMENTO DELLA GIOVENTÙ, in Enciclopedia dell’Olocausto, United State Holocaust Memorial Museum (internet), ht- tps://www.ushmm.org/wlc/it/article.php?ModuleId=10007820, consul- tato il 10 gennaio 2017. 2. Ibidem.
  • 21. 19 → Ludwig Hohlwein. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
  • 22. 20 mento che, per i pensatori tedeschi, fin dall’inizio del Romanticismo germanico, sullo scorcio del diciottesi- mo secolo, Volk denotava una serie di individui legati da una “essenza” trascen- dente, volta a volta defi- nita “natura” o “cosmo” o “mito”, ma in ogni caso tutt’uno con la più segreta natura dell’uomo e che co- stituiva la fonte della sua creatività, dei suoi senti- menti più profondi, della sua individualità, della sua comunione con gli altri membri del Volk3 . Nell’era moderna, alla componente d’odio che caratterizzava la loro ideologia, gli antisemiti aggiunsero quella politi- ca. Nell’ultima parte del Diciannovesimo secolo, partiti politici antisemiti vennero fondati in Germa- nia, Francia e in Austria. Pubblicazioni come “Il Protocollo degli Anziani di Sion”, generarono e dif- fusero false teorie di una immaginaria cospirazio- ne internazionale ebraica. Una potente componente dell’antisemitismo politico fu il Nazionalismo, i cui se- guaci spesso accusavano falsamente gli Ebrei di non essere fedeli alla nazione. Il “movimento voelkisch” xenofobo del Diciannove- simo secolo (Movimento Popolare o del Popolo) – formato da filosofi tede- schi, da studiosi e da artisti che consideravano lo spiri- to ebraico come estraneo a quello germanico – diffu- se l’idea che gli Ebrei non fossero autentici cittadini tedeschi. Teorici di antro- 3. Chiara SCIONTI, UNA FEDE GERMANICA: GLI IDEOLOGI DEL VOLK, in IL NAZISMO NELLA SOCIETÀ, NELLA CULTURA E NELL’ARTE (Internet), http://imaginaryboys.altervista.org/italiano/nazismo/volk.htm, 2000.
  • 23. 21 pologia razziale fornirono la base pseduo-scientifica di quel concetto. Il Partito Nazista, fondato nel 1919 da Adolf Hitler, diede infine espressione politica alle teorie del razzismo. In par- te, il partito Nazista basò la propria popolarità pro- prio sulla diffusione della propaganda anti-ebraica. Milioni di persone compra- rono il libro di Hitler Mein Kampf (La mia battaglia) in cui si reclamava l’allonta- namento degli Ebrei dalla Germania4 . Con l’ascesa dei Nazisti al potere, nel 1933, il partito ordinò il boicottaggio eco- nomico degli Ebrei e creò una serie di leggi discri- minatorie ai loro danni. Contemporaneamente, i Nazisti organizzarono an- che diverse manifestazioni in cui libri considerati “pe- ricolosi” venivano dati alle fiamme. Nel 1935, le Leggi di Norimberga introdusse- ro una definizione razziale degli Ebrei, basata sulla diversità di “sangue”, e or- dinarono la totale separa- zione della popolazione “ariana” da quella “non ariana”. In questo modo, quelle leggi ratificarono una visione gerarchica della società, basata sulle differenze di razza. La not- te del 9 novembre 1938, in tutta la Germania e in Austria, i Nazisti distrus- sero diverse sinagoghe e le vetrine di negozi posse- duti da cittadini ebrei (un evento conosciuto come il pogrom della Notte dei Cristalli). Tale episodio segnò il momento di pas- saggio a una nuova fase di distruzione, nella quale il 4. Ibidem.
  • 24. 22 genocidio sarebbe diven- tato l’obiettivo centrale dell’antisemitismo nazista. MITO PANGERMANICO, l’oppressione e la frustra- zione politica innescano un sentimento di rivincita, inoltre la fine della mo- narchia e quindi dell’unità della nazione fa perdere un senso di protezione pa- terna. Il popolo ha bisogno di una figura messianica capace di dare potere alla Germania. Inoltre gli esponenti dei gruppi privilegiati spera- vano che il nazismo avreb- be deviato il risentimento emotivo, che li minaccia- va, verso altri obiettivi, e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la na- zione ai loro interessi eco- nomici (Thyssen e Krupp)5 . Dal 1919 al 1932 una serie di governi di coalizione guidarono la Germania, in quello che nella storia te- desca è conosciuto come il periodo della Repub- blica di Weimar, durante il quale nessun partito fu mai in grado di raggiunge- re, da solo, la maggioranza parlamentare. Disaccor- di in materia di politica economica, così come la crescente polarizzazione dei partiti sui due versanti della Destra e della Sini- stra, impedirono la forma- zione di una coalizione in grado di governare. Così, dopo il giugno del 1930, una serie di Cancellieri ab- bandonarono uno dopo l’altro il tentativo di creare una maggioranza parla- mentare che permettesse di amministrare il paese. Invece, essi governarono 5. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976.
  • 25. 23 con decreto presidenzia- le e senza il consenso del Parlamento, manipolando la legislazione contenuta nella Costituzione della Germania (in particolare l’Articolo 48 che regolava le situazioni di emergen- za e che era stato inserito dai politici tedeschi per difendere la democrazia in periodi di fermento po- litico). Questa struttura di governo servì comunque a stabilizzare l’economia e il sistema parlamentare, e calmò, almeno tempora- neamente, le violente pro- teste popolari. In quel periodo di instabi- lità, il Partito Nazista emer- se da una relativa oscurità, crescendo fino ad assume- re importanza nazionale. In particolare, esso riuscì ad aumentare drastica- mente il supporto dell’o- pinione pubblica proprio presentandosi come movi- mentodiprotestacontrola corruzione e l’inefficienza del “sistema” di Weimar. I suoi membri descrivevano la Repubblica come una “palude” caratterizzata, di volta in volta, o dall’insta- bilità o dall’immobilità, incapace di liberare il pae- se dall’umiliazione e dalla desolazione lasciate dalla sconfitta nella Prima Guer- ra Mondiale e dai termini fortemente punitivi del Trattato di Versailles. Gli autori della propaganda nazista promossero l’im- magine del Partito come unico movimento in Ger- mania capace di parlare a nome di tutti i Tedeschi non-Ebrei, senza distinzio- ne di classe, di religione o di regione di apparte-
  • 26. 24 nenza. Tutti gli altri par- titi politici, agli occhi dei Nazisti, rappresentavano solo gli interessi particolari di gruppi che lavoravano unicamente per difendere tali interessi. I responsabili nazisti della propaganda fecero anche leva sul desi- derio di ordine della popo- lazione, particolarmente sentito dopo un periodo di violento fermento civi- le. Promettendo di unire la Germania, di ridare lavoro ai sei milioni di Tedeschi che ne erano privi e di re- staurare i “tradizionali va- lori germanici”, Hit- ler raccolse un vasto supporto popolare6 . IL FASCINO DI UN MOVIMENTO DI MASSA Un punto fonda- mentale dell’ide- ologia nazista e della propaganda era costituito dal- la creazione di una “comunità naziona- le” (Volksgemein- schaft) che avrebbe riunito tutti i Tede- 6. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976. → Ludwig Hohlwein, data incerta. http://socialdesignzine.aiap.it/notizie/10753#top
  • 27. 25 schi appartenenti alla raz- za “Ariana”, trascendendo le differenze di classe, di religione o di regione di appartenenza. Inoltre, il costante conflitto politico e lo scontro sociale, che avevano caratterizzato la democrazia parlamenta- re nel periodo di Weimar, non avrebbero avuto spa- zio nella nuova società Na- zional Socialista. In contra- sto con la protezione che la Costituzione di Weimar degli anni precedenti ave- va assicurato ai diritti indi- viduali, la propaganda na- zista metteva il benessere della comunità nazionale al di sopra delle preoccu- pazioni dei singoli. Tutti i Tedeschi “di razza pura”, identificati con il termine di “camerati nazionali” (Volksgenossen), erano obbligati ad aiutare coloro che possedevano di meno e sacrificare tempo, salario e anche la propria vita per il bene comune. In teoria, né un’estrazione sociale di livello basso né una situa- zione economica modesta potevano rappresentare ostacoli all’avanzamento sociale, politico o milita- re. La propaganda nazista giocò un ruolo cruciale nello spacciare il mito del- la “comunità nazionale”, soprattutto perché i Tede- schi desideravano inten- samente realizzare l’unità e ritrovare la grandezza e l’orgoglio per il loro paese, così come rompere con il sistema sociale fortemen- te stratificato del periodo precedente. Facendo leva su quei sentimenti, la pro- paganda nazista collaborò a preparare la popolazio- ne tedesca a un futuro
  • 28. 26 impostato dall’ideologia Nazional Socialista7 . Il forte desiderio della po- polazione di avere leader politici carismatici costi- tuisce sempre terreno fer- tile per l’uso della propa- ganda. Durante il periodo fortemente instabile della Repubblica di Weimar, i Nazisti sfruttarono questo desiderioperconsolidareil proprio potere e rafforzare l’unità nazionale; essi rag- giunsero questo obiettivo attraverso la campagna, accuratamente studiata, con la quale crearono l’im- magine del capo del Parti- to Nazista, Adolf Hitler. La propaganda nazista favorì la rapida ascesa del Partito e dei suoi dirigenti prima a una posizione di potere politico e, poi, al control- lo della nazione intera. In particolare, il materiale prodotto per le campagne elettorali a partire dagli anni ‘20 e per tutti gli anni ‘30, insieme ai materiali visivi dal forte impatto e le apparizioni pubbliche attentamente orchestra- te, collaborarono a creare il “culto del capo” intorno ad Adolf Hitler, la cui fama crebbe essenzialmente grazie ai discorsi che egli pronunciò ai grandi radu- ni di massa, alle parate e alla radio. Nel costruire il personaggio pubblico, i re- sponsabili della propagan- da Nazista dipinsero Hitler a volte come un soldato pronto all’azione, altre vol- te come un padre e, infine, persino come un messia giunto a riscattare il desti- no della Germania. 7. AAVV, UNIRE UNA NAZIONE, in Enciclopedia dell’Olocausto, United State Holocaust Memorial Museum (internet), https://www.ushmm.org/ wlc/it/article.php?ModuleId=10007818, consultato il 10 gennaio 2017.
  • 29. 27 Tecniche moderne di pro- paganda - incluse immagi- ni forti accompagnate da messaggi semplici - aiuta- rono a proiettare Hitler dal ruolo di piccolo estremista poco conosciuto (oltretut- to nato in Austria e non in Germania) a candidato principalealleelezionipre- sidenzialitedesche.Duran- te la Prima Guerra Mondia- le il giovane Hitler, che era stato nell’esercito e aveva combattuto al fronte dal 1914 al 1918, venne forte- mente influenzato dalla propaganda usata in quel periodo. Come molti altri, Hitler credeva fermamen- te che la Germania avesse perduto quella guerra non perché sconfitta sul cam- po di battaglia, ma a causa della propaganda nemica. Egli pensava che i sempli- ci e chiari messaggi con i quali i vincitori di quel primo conflitto mondiale (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Italia) aveva- no inondato la Germania, avesserodatocoraggioalle truppe nemiche, sottraen- do contemporaneamente ai Tedeschi il desiderio e la forza di continuare a com- battere. Hitler comprende- va assai bene il potere di certi simboli, di certa ora- toria e di certe immagini, perciò creò slogan politici in grado di raggiungere le masse in modo semplice, concreto ed emotivamen- te accattivante. Dal 1933 al 1945, la pub- blica adulazione di Adolf Hitler costituì un elemento costante della vita tede- sca: i responsabili nazisti della propaganda dipin- sero il loro capo [il Führer]
  • 30. 28 come la personificazione della Germania e come un uomo che emanava forza da un lato e devozione cie- ca alla patria dall’altro. I pubblici annunci, che ve- nivano trasmessi ripetu- tamente, rinforzarono poi l’immagine di Hitler come colui che avrebbe riscatta- to una Germania umiliata dai termini del Trattato di Versailles (con il quale si era conclusa la Prima Guerra Mondiale). Il culto di Adolf Hitler fu un feno- meno di massa delibera- tamente creato e coltivato dai dirigenti del Nazismo: sia i responsabili della pro- paganda che i numerosi artisti arruolati tra le loro fila disegnarono ritratti, poster e busti del Führer, che vennero poi riprodotti in grandi quantità e distri- buiti sia nei luoghi pubblici che nelle abitazioni priva- te. La propaganda nazista celebrava Hitler come sta- tista geniale che aveva portato stabilità al paese, creato posti di lavoro e re- staurato la grandezza della Germania. Durante gli anni in cui il Partito Nazista ri- mase al potere, i Tedeschi furono obbligati a dimo- strare pubblicamente la propria fedeltà al Führer, a volte in forme semi-rituali come, per esempio, il sa- luto Nazista o la frase “Heil Hitler!”, cioè la formula che si doveva usare quando si incontrava qualcuno per strada, ribattezzata poi “Saluto Germanico”. La fede cieca in Hitler contri- buì a rafforzare il senso di unità nazionale, mentre
  • 31. 29 il rifiuto ad adattarsi a tali dimostrazioni di devozio- ne venne visto come evi- dente segno di dissenso, fatto questo che assumeva anche un peso particolare in una società dove qua- lunque critica esplicita al regime, e ai suoi capi, poteva portare all’arresto e alla detenzione. La pro- paganda fu uno strumen- to fondamentale sia per conquistare quella mag- gioranza di cittadini tede- schi che non sostennero immediatamente Adolf Hitler, sia per imporre il programma radicale nazi- sta che richiedeva, oltre al supporto attivo e la parte- cipazione diretta di alcu- ni, l’accettazione passiva da parte di larghi settori della popolazione. Unito all’uso del terrore come mezzo di intimidazione di coloro che rifiutavano di obbedire, il nuovo appara- to propagandistico statale, guidato da Joseph Goeb- bels, venne utilizzato per manipolare e ingannare la popolazione tedesca e il mondo esterno. Ad ogni occasione, i responsabili della propaganda diffuse- ro il messaggio accattivan- te dell’unità nazionale e di un futuro utopistico, fa- cendo breccia nelle menti di milioni di cittadini. Allo stesso tempo, essi orga- nizzarono campagne tese a facilitare la persecuzione degli Ebrei e di altre per- sone escluse dall’ideale nazista di “Comunità Na- zionale”. MEIN KAMPF Il Mein Kampf è ricco di ri- ferimenti e teorizzazioni sulla propaganda. Le ri-
  • 32. 30 flessioni contenute danno l’impressione che Hitler si ritenesse un esperto delle tecniche di persuasione, enunciandone gli obietti- vi: “La propaganda deve rivolgersi alle masse”; il suo compito “non sta nella educazione scientifica dei singoli, quanto piuttosto in un rinvio della massa a determinati fatti o avve- nimenti o necessità, la cui impor- tanza solo così viene manifestata al pubbli- co”. L’insi- stenza sul tasto dell’e- motività è precisa e senza tentennamenti. Il popolo tedesco, il popolo guida, depositario di una mis- sione universale, diventa, nell’ideologia hitleriana, una massa di esseri deboli da stupire, da convincere conlamessainscena.Ogni propaganda, per essere veramente efficace, “deve essere popolare” e, per essere popolare, “il suo livello spirituale deve esse- re posto tanto più in basso, quanto più grande sia la massa di gente su cui si vuole agi- re”. 8 Sulla base di que- ste conside- razioni, la propagan- da diviene una sorta di educazione religiosa che punta sui riti collettivi del- le adunate di massa e sulla raffinata capacità oratoria → Mein Kampf, (1926). Courtesy of the New York Public Library Digital Collection. 8. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976., p. 21. 9. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., pp. 135- 136.
  • 33. 31 dei suoi capi carismatici. Il rito di massa è indispensa- bile ed è il più efficace. “[L’uomo] ha bisogno di essere rafforzato dalla con- vinzione di essere membro e campione di una vasta comunità”9 . “Le manifestazioni di mas- sa non solo rafforzano il singolo, ma lo avvincono e contribuiscono a creare lo spirito di corpo”10 . Ma i rituali vengono, an- che, utilizzati per mostrare potere, cioè per rendere tangibile la forza, lo status e la legittimità di chi ese- gue la pratica rituale o di chi in essa viene celebra- to11 . Il congresso di Norimber- ga dunque attraverso il ri- tuale consacra il carattere assunto da Hitler in quan- to Fuhrer della Germania e nel contempo lo rende solennemente pubblico e lo socializza con le centi- naia di migliaia di persone presenti. In questo quadro emerge l’esigenza di trafe- rire in ambiente cinemato- grafico quanto accade nel- la realtà del congresso non più come semplice docu- mentazione o materiale informativo da cinegiorna- le, quanto piuttosto come prodotto in grado di vei- colare l’evento oltre l’hic et nunc: “Desiderio del no- stro Fuhrer è che le riprese non vengano fatte per gli archivi, ma siano realizzate e montate secondo crite- ri artistici. Due milioni di persone potranno riunirsi 10. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Eher-Verlag, 1926, cit., p. 394. 11. Giorgio NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNTÀ DELLA POLI- TICA RITUALE, “Rassegna Italiana Di Sociologia”, anno XXXIX, n°3, 1998, p. 309.
  • 34. 32 a Norimberga ma sessan- ta milioni di tedeschi po- tranno essere testimoni di questo maestoso raduno, potranno partecipare e condividere l’esperienza sconvolgente di questa manifestazione”12 . I due film realizzati da R. per i congressi del 1933 -34 verranno distribuiti capillarmente in tutta la Germania, segnando dei picchi di presenze (oltre 5000 presenze al giorno all’Ufa-Palast di Berlino13 ) Analizzando dal punto di vista dell’efficacia propa- gandistica la differenza tra parola detta e parola scritta, Hitler si lascia an- dare ad una digressione sull’immagine: “Maggio- ri prospettive possiede l’immagine in tutte le sue forme, compreso i film. Qui, c’è ancora meno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più predisposti ad accogliere in sé un’e- sposizione fatta con l’im- magine che a leggere un lungo scritto. L’immagine apporta in breve tempo, quasi di colpo, chiarimen- ti e nozioni che lo scritto permette solo di ricava- re da una noiosa lettura”. Quindi l’immagine non è noiosa, è diretta, è vissuta emotivamente, coinvolge il pubblico a livello pro- fondo; può dunque essere sfruttata con profitto. Di tutte queste idee Goebbels si farà paladino, iniziando prestissimo la conquista dell’industria cinemato- grafica14 . 12. Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT- STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935. 13. Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblicate in “LBB” n°95, 23 aprile 1935.
  • 35. 33 Per la produzione e il man- tenimento del consenso il regime nazista usa delle forme di coinvolgimen- to articolate su più livelli. Goebbels enuncia chiara- mente il principio nel suo intervento al congresso di Norimberga del 1934: “può essere una buona cosa te- nere il potere riposto sulle armi. Tuttavia è preferibile e più gratificante conqui- stare il cuore del popolo e mantenerlo”. Perciò il regime costrui- sce un forte stato sociale sostenuto da una martel- lante propaganda. Per i casi che “sfuggono al con- trollo” viene articolato un sistema di campi di con- centramento supportato da un efficiente corpo di polizia e da altre forme di repressione selvaggia.15 Anche i cinegiornali di- vennero uno strumento fondamentale degli sforzi attuati dal Ministro della Propaganda Joseph Goeb- bels per modellare e mani- polare l’opinione pubblica durante la guerra. Per eser- citare maggiore controllo sul contenuto dei cinegior- nali dopo l’inizio del con- flitto, il regime nazista fuse le varie compagnie che producevano i reportage in una sola, la Deutsche Wochenschau (Settimana- le di Opinione Germanica). Goebbels collaborò perso- nalmente alla creazione di ogni numero dei cinegior- nali, correggendoli e per- sino riscrivendoli in parte. Tra le dodici e le diciotto ore di pellicola, filmate da professionisti e consegna- te a Berlino ogni settimana da un corriere, venivano 14. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976, p. 27. 15. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933, 1934, Cagliari, CUEC, 2013, p. 29.
  • 36. 34 poi modificate e ridotte a filmati che duravano tra i 20ei40minuti.Ladistribu- zione dei cinegiornali ven- ne estesa notevolmente quando il numero di copie di ogni episodio salì da 400 a 2.000, e vennero anche realizzate versioni in doz- zine di altre lingue (inclusi lo svedese e l’ungherese), mentre unità mobili cine- matografiche portavano i filmati anche nelle campa- gne tedesche16 . ARCHITETTURA Viene impiegata come strumento per celebrare la grandezza e la poten- za della Germania, oltre a promuovere e celebrare il governo nazista, incarnato dal Fuhrer, la scala è quel- la monumentale. Come le rovine greche e romane, l’architettura doveva re- stare nei secoli come testi- monianza della grandezza della Nazione. Il ruolo principale l’ha avu- to certamente Albert Spe- er, l’architetto del Fuhrer, anche se bisogna dire che il cancelliere partecipava direttamente nei progetti. Uno dei più imponenti e scenografici è di certo lo Zepellinfield di Norimber- ga, una vera e propria sce- nografia ad una scala del tutto esagerata, destinata a raccogliere la massa du- rante i raduni del partito. Lo scopo di Hitler è quello → Hitler e Speer, Bundesarchiv, Bild 146-1971-016-31 / CC-BY-SA 3.0 → Paris, Weltausstellung, Deutsches Haus Scherl, Bildarchiv: Frankreich 1937: Das Deutsche Haus auf der Weltausstellung in Paris 16. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Biennale di Venezia, 1976, p. 40.
  • 37. 35
  • 38. 36 → The Cathedral of Light above the Zeppelintribune Bundesarchiv, Bild 183-1982-1130-502 / CC-BY-SA 3.0 quello che verrà definito uno dei primi esempi di architettura immateriale
  • 39. 37 di creare un luogo capace di contenere la più grande massa possibile: è la mas- sa che ha dato il potere a Hitler e il Fuhrer sa quanto sia necessario il suo ap- poggio. A rendere il tutto più teatrale, è la tribuna, che diventa la quinta ide- ale alla massa, e il podio, una sorta di altare sacri- ficale dove si consuma il “rito” politico, sotto il simbolo del nazismo. Cre- do che, per quanto deva- stante e fuori scala, questo spazio svolgeva perfetta- mente il suo ruolo quando la massa lo affollava. 17 Ebrei e politicamente orientati a sinistra erano, in gran parte, gli esponen- ti delle correnti artistiche e architettoniche d’avan- guardia tedesche, come il Bauhaus. Fondata da Wal- ter Gropius, la scuola Bau- haus propugnava il razio- nalismo e il funzionalismo. La sua sede era un perfetto esempio dello stile che ve- niva insegnato negli anni venti, durante la tribolata Repubblica di Weimar go- vernata dai socialdemo- cratici. Per dare un’idea della spaventosa monu- mentalità dell’edificio, ec- colo a confronto con altre costruzioni gigantesche, compreso l’attuale gratta- cielo più alto del mondo18 . “Albert Speer fu uno degli artefici del programma di trasformazione estetica del Terzo Reich: [...], nelle sue Memorie - una fonte tuttavia ambigua, per il desiderio di autoassoluzione dell’autore - ricostruisce con chiarezza il ruolo 17. Alessandro ROCCA, LA POTENZA (DEVASTANTE) DELL’ARCHITET- TURA, in Teorie e Tecniche (internet), http://teorieetecniche.blogspot. it/2012/10/la-potenza-devastante-dellarchitettura.html, consultato il 15 gennaio 2017.
  • 40. 38 centrale che i progetti edilizi e urbanistici hanno svolto nel programma nazista. Le “architetture da megalomani”, ovvero i grandiosi progetti architettonici nella definizione post-1945 dello stesso Speer, erano state negli anni Trenta l”e paro le “parole di pietra” con cui edificare la storia.19 CONCLUSIONE Adolf Hitler non inventa nulla, il Mein Kampf con- tiene una summa di idee e tuttavia, sarebbe errato considerare oggi il pro- gramma politico nazista come un insieme di idee strampalate e fantasiose perché ricadremmo nel luogo comune di consi- → La cupola della Große Halle, Bundesarchiv, http://www.giornalepop.it/lestetica- nazista/ 18. Sauro PENNACCHIOLI, L’ESTETICA NAZISTA, in Giornale Pop (inter- net), http://www.giornalepop.it/lestetica-nazista/ 13 settembre 2016.
  • 41. 39 → A model of Adolf Hitler’s plan for Berlin formulated under the direction of Albert Speer, Bundesarchiv, Bild 146III-373 / CC-BY-SA 3.0
  • 42. 40 derare il nazismo una pa- rentesi buia nella storia dell’Europa moderna e de- mocratica e Hitler un po- vero pazzo delirante. Come si è visto, l’astuzia della propaganda nazista risiede nel proporre temi e suggestioni ben presen- ti nel contesto culturale e politico della Germania dell’epoca. Proporre qual- cosa di “nuovo” avrebbe richiesto uno sforzo da parte del “pubblico” a re- cepire ed adottare nuovi modelli di comportamen- to e di pensiero. Così l’uti- lizzo di vecchie ideologie, rinvigorite e brutalizzate hanno trovato maggiore sostegno e adesione, era compito dell’estetica rac- coglierle e renderle sedu- centi. 19. Gian Piero PIRETTO, MEMORIE DI PIETRA - I MONUMENTI DELLE DITTATURE, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p.272.
  • 44. 42 1. Adriano APRÀ, IL DOCUMENTARIO, Enciclopedia del Cinema in Treccani.it, http://www.treccani.it/enciclopedia/documentario_(Enci- clopedia-del-Cinema)/ consultato il 31 dicembre 2016. 1.1 DOCUMENTO E STILE DOCUMENTARIO Nell’uso comune, per do- cumentario si intende un film, di qualsiasi lunghez- za, girato senza esplicite fi- nalità di finzione, e perciò, in generale, senza una sce- neggiatura che pianifichi le riprese, ma anzi con dispo- nibilità verso gli accadi- menti, e senza attori. Non a caso, nei paesi anglo- sassoni si impiega sempre più spesso il termine non- fiction. Alla base del docu- mentario c’è un rapporto ontologico con la realtà filmata, che si pretende re- stituita sullo schermo così come si è manifestata da- vanti alla macchina da presa, senza mediazioni. Il film è il documento di tale realtà, la prova che le cose si sono svolte così come le vediamo proiettate. Il cine- ma di finzione rappresenta invece una realtà media- ta, manipolata dal regista per esprimere ciò che ha immaginato. È una realtà messa in scena. Nel docu- mentario la macchina da presa è al servizio della realtà che le sta di fronte; nel film di finzione la real- tà viene rielaborata per la macchina da presa. Nel film di finzione il patto im- plicito dello spettatore con lo schermo è: so bene che ciò che vedo rappresenta- to non è vero, benché ve- rosimile, e tuttavia ci cre- do; nel documentario dirà piuttosto: ciò che vedo è vero, e non solo verosimi- le, e per questo ci credo. L’effetto magico di illusio-
  • 45. 43 ne di realtà che il cinema di finzione normalmente produce viene, per così dire, sospeso nel docu- mentario, dove si eviden- zia l’effetto probatorio1 . Rintracciare la prima oc- correnza della parola “do- cumentario” come defini- zione di genere è difficile, ma la leggenda – nata a sua volta negli anni tren- ta –vuole che il termine fi- guri per la prima volta nel 1926 in un articolo di John Grierson sul film Moana di Robert Flaherty2 . Egli parla di «valore documentario» del film, per poi teorizzare il genere in vari saggi scrit- ti nel 1932-34 su «Cine- ma Quarterly». Essi sono 2. Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA AU- GUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008. Pag. 15 → Immagine tratte da MOANA, Flaherty, 1926
  • 46. 44 3. Adriano Aprà, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa- pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta- to il 31 dicembre 2016. stati raccolti e rielaborati assieme ad altri in un libro considerato, a torto o a ragione, un classico: Forsyth Hardy (a cura di), Grierson on Documen- tary, London 1946 (nuova ed.: London-Boston 1966; tr. it. a cura di Fernaldo Di Giammatteo: Grierson, Do- cumentario e realtà, Roma 1950; una critica alla teo- ria e alla pratica produtti- va di Grierson, e insieme una acuta riflessione sul documentario, si trova in Brian Winston, Claiming the Real. The Documen- tary Film Revised, London 1995)3 . Grierson, all’inizio degli anni Trenta, elabora un vero e proprio manife- sto del documentario in esso erano contenuti alcu- ni punti essenziali che rias- sumevano i principi teorici ed estetici di questo ge- nere cinematografico. Nel citato manifesto, si diceva, tra l’altro: • Noi crediamo che dalla capacità, che il cinema pos- siede, di guardarsi intorno, di osservare e di seleziona- re gli avvenimenti della vita ‘vera’ si possa ricavare una nuova e vitale forma d’arte. I film girati nei teatri di posa ignorano quasi totalmente la possibilità di portare lo schermo nel mondo reale. Fotografano avvenimenti ri- costruiti su sfondi artificiali. • Noi crediamo che l’attore ‘originale’ (o autentico) e la scena ‘originale’ (o autenti- ca) costituiscano la guida migliore per interpretare cinematograficamente il mondo moderno, offrano al cinema una più abbondan- te riserva di materiale e gli
  • 47. 45 forniscano la possibilità di interpretare, traendoli dal mondo della realtà, avve- nimenti più complessi e sor- prendenti di quelli immagi- nati per i teatri di posa, o di quelli che i tecnici dei teatri di posa possano ricostruire. • Noi crediamo che la ma- teria e i soggetti trovati sul ‘posto’ siano più belli (più reali in senso filosofico) di tutto ciò che nasce dalla recitazione. Il gesto spon- taneo ha sullo schermo un singolare valore. Il cinema possiede la straordinaria capacità di ‘ravvivare’ i movimenti creati dalla tra- dizione o consunti dal tem- po. Il rettangolo arbitrario dello schermo rivela e po- tenzia i movimenti, dando loro la massima efficacia nello spazio e nel tempo. Si aggiunga che il d. può otte- nere un approfondimento della realtà e ricavarne ef- fetti che la meccanicità del teatro di posa e le squisite interpretazioni degli attori scaltriti neppure si sogna- no. Attorno a tali linee teori- che si è, di fatto, sviluppato questo genere caratteriz- zato, in modo particolare, per i suoi intenti educativi, didattici, scientifici, antro- pologici, di informazione e anche propagandistici; genere che ha avuto i suoi massimi rappresentanti in autori come Robert Flaher- → SORTIE DES USINES, Lumière, 1895
  • 48. 46 4. Carlo TAGLIABUE, DOCUMENTARIO, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it, consultato il 2 gennaio 2017. ty, Alberto Cavalcanti, Wal- ter Ruttmann, Joris Ivens e molti altri, tra i quali si possono ricordare ancora Frédéric Rossif, Jean Rou- ch e l’italiano Folco Quilici; genere con il quale si sono cimentati anche registi co- nosciuti soprattutto per le loro opere di fiction4 . Va notato tuttavia che Grierson ritiene il valore documentario di Moa- na secondario rispetto al suo valore estetico, po- nendo con ciò il dilem- ma proprio del genere. La messa in scena, congenita al cinema di finzione nar- rativo con attori, non è, né può essere, estranea al documentario. Per quan- to reale e non manipolato sia il profilmico (ciò che la macchina da presa ripren- de), esso, fin dai tempi dei Lumière, non può evitare di essere inquadrato, e con ciò stesso selezionato e orientato, anche se è stato detto che l’inquadratura di un documentario è una finestra aperta sul mondo più che una cornice che lo racchiude e lo sinte- tizza. Inoltre, per quanto breve sia il film, come nei piani-sequenza di un mi- nuto dei Lumière, il fatto stesso che ci sia un inizio e una fine implica inevi- tabilmente un embrione di narrazione, un’evolu- zione del profilmico mar- cata da un prima e da un dopo. La manipolazione spazio-temporale viene accentuata da tutte le tec- niche che hanno caratte- rizzato lo sviluppo del lin- guaggio cinematografico, soprattutto dal montaggio e dalle altre operazioni di
  • 49. 47 post-produzione successi- ve alle riprese. Con l’intro- duzione del sonoro, che pure incrementa con la presa diretta l’impressione di realtà, non va dimenti- cata la mediazione del mi- crofono e del missaggio, e poi, in proiezione, quella di amplificatori e altoparlan- ti. La realtà, in altre parole, è sempre, nel documenta- rio come nel film di finzio- ne, una realtà registrata, quindi mediata, “impura”. Ma l’innocenza, per così dire, con cui lo spettatore assiste alla proiezione (o, in televisione, alla trasmis- sione) di un documentario lo rende facilmente ingan- nabile, quando si vuol far passare subdolamente per documento, prova incon- futabile di verità, ciò che è realta truccata: è quanto ha sempre fatto la propa- ganda, con i cinegiornali e i telegiornali, e con la pub- blicità. È invece piuttosto un problema di interpreta- zione critica che di volontà dell’autore il fatto che si sia insistito più del dovuto sul realismo dei documen- tari. Flaherty, considerato il padre del genere, realiz- za film, anche assai bel- li, con strutture narrative precise, anche se dissimili da quelle tipiche del film di finzione, e interpretati da attori, anche se non pro- fessionisti, chiamati a rive- stire i panni di personaggi più che a essere se stes- si5 . L’idea di “documento” è ovviamente più antica. Nella letteratura specia- lizzata compare fin dal XIX secolo. Legato al valore scientifico o archivistico delle immagini, il significa- to del termine fino a quel
  • 50. 48 5. Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa- pra.it, http://www.adrianoapra.it/?sdocumentario&paged=7 consultato il 31 dicembre 2016. 6. Olivier LUGON, LO STILE DOCUMENTARIO IN FOTOGRAFIA DA AUGUST SANDER A WALKER EVANS 1920-1945, Milano, Electa, 2008. Pag. 15 momento rimanda all’ap- porto di informazioni, te- stimonianze o prove. Nella letteratura artistica figura solo come contrario della parola “arte” e le due cate- gorie si escludono a vicen- da. Prima degli anni venti, insomma, il documentario non solo non costituisce un genere estetico ma ne è addirittura la negazione. Ad un tratto, invece, intor- no al 1930, questi due poli fino ad allora inconciliabili si trovano deliberatamen- te associati in numerosi progetti di fotografi anima- ti da ambizioni artistiche6 . Con queste premesse, for- te di una legittimazione artistica e formale, questo stile fece presto ad affer- marsi come mezzo adatto alla propaganda del regi- me nazionalsocialista. Più in generale, nei regimi dit- tatoriali il documentario si piega in maniera più diret- ta e univoca alle esigenze propagandistiche.InURSS, le esperienze avanguardi- stiche del muto e dei primi anni del sonoro vengono criticate in campo docu- mentaristico forse più che nel cinema di finzione. Si lascia mano abbastanza libera al globetrotter Ivens per Pesn’ o gerojach/ Komsomol (1932, mm, Il canto dei fiumi); ma Vertov ha enormi difficoltà, di cui risente Tri pesni o Lenine (1934, Tre canti su Lenin),finoaessereridotto a opere impersonali o al silenzio, destino che lo accomuna alla Sub. Fra i nuovi nomi si distingue Roman Karmen, che gira materiali durante la guerra di Spagna, poi montati
  • 51. 49 dalla Sub (Ispanija, 1939, Spagna), e in Cina (V Ki- taje, 1941, In Cina). La Cina, come la Spagna (He- art of Spain, 1937, cm di Hurwitz e Strand; Spanish Earth), attira cineasti stra- nieri, fra cui Leyda, Lerner, Meyers e Ben Maddow (China Strikes Back, 1937) e Ivens (The 400 Millions). In Giappone, Tatakau Hei- tai (1939, Soldati al fronte) di Fumio Kamei viene proibito e distrutto dalle autorità. In Italia l’approc- cio propagandistico del documentario è in genere più morbido, e meno ef- ficace. Fra gli esempi mi- gliori, Dall’acquitrino alle giornate di Littoria (1934, cm, pr. LUCE), Il cammino degli eroi (1936), sulla guerra d’Africa, e Milizie della civiltà (1941, cm), sulla costruzione dell’E 42 (l’odierno quartiere Eur di Roma), di D’Errico, La battagliadelloJonio (1940, cm prodotto dal Centro Cinematografico della Marina promosso da De Robertis) e Mine in vista (1940, cm) di De Robertis. Il caso tedesco si manifesta lo straordinario talento di Leni Riefenstahl con Triu- mph des Willens (1935) e Olympia (1938), in due parti: Fest der Völker (Olimpia) e Fest der Schönheit (Apoteosi di Olimpia). Nel dopoguer- ra la regista ha puntiglio- samente e inutilmen- te respinto le accuse di connivenza col regime, rivendicando la propria indipendenza artistica; la sua resta tuttavia un’este- tica del «fascino fascista» (Susan Sontag), anche
  • 52. 50 se di grande, e moderna, elaborazione tecnica e formale. Altrettanto ricer- cato, ai limiti dell’avan- guardismo, e perciò poco gradito al regime, è Das Stahltier (1935) di Willie Zielke (autore del prologo di Olympia), sulla storia delle ferrovie. Ignobile per il modo in cui orienta la propria tesi antisemita con montaggio, commento e ricostruzioni è Der ewige Jude (1940)diFritzHippler. Un altro veicolo della propaganda nazista, oltre al cinegiornale “Deutsche Wochenschau”, sono i “Kulturfilme” (film educa- tivi), riassemblati critica- mente anni dopo in Deu- tschlandbilder (1983) di Hartmut Bitomsky e Heiner Mühlenbrock. Ol- tretutto, la guerra offre al documentario un terreno propizio. Vi si combinano urgenza dell’informazione, spettacolarità degli eventi e sfida estetica del colto sul vivo. Dopo le prove ge- nerali della guerra d’Africa e della guerra di Spagna, la Seconda guerra mondiale vede l’impiego strategico e altamente organizzato di cineasti al fronte (molto più di quanto era potuto avvenire nella Prima). In Germania la propaganda è pesante e sfacciatamen- te menzognera (Feuer- taufe, 1940, di Hans Ber- tram; Feldzug in Polen, 1940, e Sieg im Westen, 1941, di Hippler, tutti con largo uso di repertorio)7 .
  • 53. 51 7. Adriano APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa- pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta- to il 31/12/16 1.2 DOCUMENTARIO E ZEITGEIST Sull’uso propagandistico del cinema già Hitler ave- va fatto alcuni accenni nel Mein kampf. Già da tem- po il futuro Fuhrer aveva intuito il formidabile po- tenziale del cinema come mezzo di propaganda. Il Mein Kampf è ricco di ri- ferimenti e teorizzazioni sulla propaganda. Le ri- flessioni contenute danno l’impressione che Hitler si ritenesse un esperto delle tecniche di persuasione, enunciandone gli obietti- vi: “La propaganda deve rivolgersi alle masse”; il suo compito “non sta nella educazione scientifica dei singoli, quanto piuttosto in un rinvio della massa a determinati fatti o avveni- menti o necessità, la cui importanza solo così vine manifestata al pubblico”. L’insistenzasultastodell’e- motività è precisa e senza tentennamenti. Il popolo tedesco, il popolo guida, depositario di una mis- sione universale, diventa, nell’ideologia hitleriana, una massa di esseri deboli da stupire, da convince- re con la messa in scena. Ogni propaganda, per es- sere veramente efficace, “deve essere popolare” e, per essere popolare, “il suo livello spirituale deve essere posto tanto più in basso, quanto più grande sia la massa di gente su cui si vuole agire”. 8 Sulla base di queste consi- derazioni, la propaganda diviene una sorta di edu-
  • 54. 52 8. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien- nale di Venezia, 1976, p. 21 9. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit., pp. 135-136 10. Adolf HITLER, MEIN KAMPF, Monaco, Franz Eher Nachfolger, cit., p. 394 cazione religiosa che pun- ta sui riti collettivi delle adunate di massa e sulla raffinata capacità oratoria dei suoi capi carismatici. Il rito di massa è indispensa- bile ed è il più efficace. “[L’uomo] ha bisogno di essere rafforzato dalla con- vinzione di essere membro e campione di una vasta comunità”9 . “Le manifestazioni di mas- sa non solo rafforzano il singolo, ma lo avvincono e contribuiscono a creare lo spirito di corpo”10 . Ma i rituali vengono, an- che, utilizzati per mostrare potere, cioè per rendere tangibile la forza, lo status e la legittimità di chi ese- gue la pratica rituale o di chi in essa viene celebra- to11 . Il congresso di Norim- berga dunque attraverso il ritualeconsacrailcarattere assunto da Hitler in quan- to Fuhrer della Germania e nel contempo lo rende solennemente pubblico e lo socializza con le centi- naia di migliaia di persone presenti. In questo quadro emerge l’esigenza di trafe- rire in ambiente cinemato- grafico quanto accade nel- la realtà del congresso non più come semplice docu- mentazione o materiale informativo da cinegiorna- le, quanto piuttosto come prodotto in grado di vei- colare l’evento oltre l’hic et nunc: “Desiderio del no- stro Fuhrer è che le riprese non vengano fatte per gli archivi, ma siano realizzate e montate secondo crite- ri artistici. Due milioni di persone potranno riunirsi
  • 55. 53 11. Gianmarco NAVARINI, TRADIZIONE E POST-MODERNITÀ DELLA POLITICA RITUALE, “Rassegna italiana di sociologia”, anno XXXIX, n°3, 1998, p. 309 12. Leni RIEFENSTAHL, WIE DER FILM VOM REICHSPARTESEIG ENT- STECH, “Der Deutsche”, n°14, 17 gennaio 1935 13. Presenze dettagliate nei primi giorni di programmazione pubblica- te in “LBB” n°95, 23 aprile 1935 a Norimberga ma sessan- ta milioni di tedeschi po- tranno essere testimoni di questo maestoso raduno, potranno partecipare e condividere l’esperienza sconvolgente di questa manifestazione”12 . I due film realizzati da Leni Riefenstahl per i congres- si del 1933 -34 verranno distribuiti capillarmente in tutta la Germania, se- gnando dei picchi di pre- senze (oltre 5000 presen- ze al giorno all’Ufa-Palast di Berlino13 ). Analizzando dal punto di vista dell’effi- cacia propagandistica la differenza tra parola detta e parola scritta, Hitler si lascia andare ad una di- gressione sull’immagine: “Maggiori prospettive pos- siede l’immagine in tutte le sue forme, compreso i film. Qui, c’è ancora meno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più predisposti ad accogliere in sé un’e- sposizione fatta con l’im- magine che a leggere un lungo scritto. L’immagine apporta in breve tempo, quasi di colpo, chiarimen- ti e nozioni che lo scritto permette solo di ricava- re da una noiosa lettura”. Quindi l’immagine non è noiosa, è diretta, è vissuta emotivamente, coinvolge il pubblico a livello pro- fondo; può dunque essere sfruttata con profitto. Di tutte queste idee Goebbels si farà paladino, iniziando prestissimo la conquista dell’industria cinemato- grafica14 . Per la produzione e il man-
  • 56. 54 14. Giorgio BELARDELLI, Luciano TOSTI, REGIA: JOSEPH GOEBBELS GLI ESORDI DELLA PROPAGANDA NAZISTA E IL CINEMA, Venezia, Bien- nale di Venezia, 1976, p. 27 tenimento del consenso il regime nazista usa delle forme di coinvolgimen- to articolate su più livelli. Goebbels enuncia chiara- mente il principio nel suo intervento al congresso di Norimberga del 1934: “può essere una buona cosa te- nere il potere riposto sulle armi. Tuttavia è preferibile e più gratificante conqui- stare il cuore del popolo e mantenerlo”. Perciò il regime costruisce un forte stato sociale sostenuto da una martellante propa- ganda. Per i casi che “sfug- gono al controllo” viene articolato un sistema di campi di concentramento supportato da un efficien- te corpo di polizia e da altre forme di repressione selvaggia. L’incontro col giovane Goebbels a metà anni venti porta a svilup- pare sempre più queste tecniche di produzione del consenso giungendo a elaborare strategie in cui i mass media interagiscono con i rituali di massa. Que- ste modalità andranno via via perfezionandosi negli anni e segneranno la pro- paganda politica anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri.15 1.3 DOCUMENTARIO D’ESPLORAZIONE La possibilità offerta dal nuovo mezzo di abolire le distanze, portando, ri- prodotti, luoghi lontani in casa nostra, viene sfrutta- ta da subito, a cominciare dai Lumière, a fini non solo documentari ma ben pre- sto anche pubblicitari, per
  • 57. 55 15. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA 1933, 1934, 2013, pg 29 promuovere il turismo. Ri- cordiamo, per fare un solo esempio, gli Hale’s Tours (riprese viste, come dal fi- nestrino, da finte carrozze ferroviarie in ambienti fie- ristici), promossi fra il 1905 e il 1912 dallo statunitense George C. Hale. A sua volta, il ricco banchiere parigino Albert Kahn promuove negli anni ’10 e ’20 “Les Archives de la planète”, commissionando vedu- te (tuttora conservate) di varie parti del mondo per un utopico catalogo enci- clopedico-geografico. Altri cineasti che negli anni ’10 si dedicano a documentari esotici sono l’italiano Luca Comerio (i cui materiali verranno creativamente riutilizzati da Yervant Gia- nikian e Angela Ricci Luc- chi in Dal Polo all’Equato- re, 1986) e il belga Alfred Machin, specialista di film animalisti16 . Ci fu un aspetto del nazio- nal-socialismo che andò oltre quelli che erano gli interessi volti a creare un grande reich millenario e che assunse contorni oc- culti, macabri, circondati da un alone di mistero, tali da alimentare, anco- ra di più, i lati oscuri del già oscuro mondo della svastica. Questi tenebrosi aspetti, queste voci che si intrecciano intorno all’ide- ologia nazional-socialista, ebbero la loro origine nelle fasi iniziali del movimento, quando, in una Germania devastata dalla sconfitta nella grande guerra, co- loro che sarebbero dive- nuti, qualche anno dopo, i gerarchi del III reich, si ritrovarono a contatto
  • 58. 56 16. Antonio APRÀ, BREVE STORIA DEL DOCUMENTARIO, in adrianoa- pra.it, http://www.adrianoapra.it/?s=documentario&paged=7 consulta- to il 31 dicembre 2016. 17. AA.VV, I LATI OSCURI DEL NAZISMO, in StoriaXXISecolo (internet), http://www.storiaxxisecolo.it/nazismo/nazismo14.htm consultato il 31 dicembre 2016. con personaggi e sette di natura occulta, predicanti strane teorie ed illustranti convulsi presagi, che scon- finavano nel mondo del paranormale e che preve- devano l’avvento di una razza ariana superiore e dominatrice, trascinata da un suo illustre figlio e de- stinata a decidere i destini del mondo17 . Essi sarebbe- ro sapienti depositari della conoscenza originaria. I superstiti di questo po- polo secondo tali dottrine esoteriche si sono rifugiati nelle lontane montagne del Tibet e nelle terre del Nord Europa. Si narra di eroi ariani dotati di facoltà paranormali, uomini per- fetti. La farneticante mis- sione che molti di questi circoli si danno è ricercare i progenitori del popolo tedesco e riportare alla luce i segni inequivocabili dell’antico splendore. L’antisemitismo trova le sue radici in un filone pre- ciso della storia tedesca ed europea ma si nutre anche delle teorie di questi circoli iniziatici di cui Hitler fareb- be parte di ciò abbiamo alcuni indizi non prove cer- te. certo è, che Hitler con- sapevole che questi temi non suscitavano grande consenso e per sempre cura di vietare discussioni e prese di posizione pub- bliche sull’aspetto esote- rico del suo movimento politico questa allucinan- te visione del mondo il popolo germanico avreb- be un solo nemico degli ebrei. Il popolo ebraico e l’antagonista l’avversario con cui ingaggiare l’ultima
  • 59. 57 battaglia per il dominio dell’umanità Hitler crede di essere l’erede di questo antico sapere che vuole il ritorno l’avvento dei nuovi superuomo. Nel giugno 1938 Hitler ordina una spedizione sulle lontane inaccessi- bili montagne del Tibet, una regione così impervie e sconosciuta che attira molti studiosi e appassio- nati. L’idea è che vi si possono trovare gli elementi umani ed animali incontaminati nella loro purezza. Capo della missione è Ernst Schäfer, un austriaco è un giovane e brillante botani- co già protagonista di altre spedizioni. Il programma di viaggio prevede la par- tenza dall’India poi un passaggio pieno di insidie attraverso i valichi dell’Hi- malaya e ancora l’esplora- zione delle pianure degli altipiani e delle montagne, destinazione finale Lha- sa la città del Dalai Lama, capitale del Tibet e luogo interdetto ai visitatori occi- dentali. → locandina di Geheminis Tibet (Secret Tibet), Hans Albert Lettow, 1939
  • 60. 58 18. Trascrizione del documentario “I TRE VOLTI DEL NAZISMO”, in RaiTV (internet), http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/Conten- tItem-612bbf4c-4822-4372-9487-9881c8f1d7d6.html consultato il 31 dicembre 2016. Le tappe di questo viaggio sono documentate in un filmato destinato esclusivamente ad uso scientifico e mai proiettato nelle sale cinematografiche tedesche. È un minuzioso diario di viaggio che racconta spo- stamenti e vicende dei predatori delle origini per- dute. Altri documentari vengono girati in altri luo- ghi del pianeta come ad esempio quello girato in Brasile. L’obiettivo ufficiale della missione in Brasile è quello di saldare i rappor- ti di amicizia e stabilire nuovi accordi e iniziative culturali. Questo insolito documentario diversa- mente da quello girato in Tibet viene proiettato nel- le sale del Reich, ha toni rassicuranti da opuscolo turistico e non lascia intra- vedere nulla dei veri scopi della missione. Sei milioni di chilometri quadrati, una sconfinata foresta pluviale che circondano l’immen- so Rio delle Amazzoni e anche qui come in Tibet si praticano riti tribali an- che qui crescono potenti piante allucinogene alma- nacchi e bollettini di scien- ze esoteriche insegnano come riconoscerle e come raggiungerli18 .
  • 61. 59 →Ernst Schäfer, photo by Ernst Krause, 1938 Bundesarchiv: Bild 135-KB- 14-083
  • 62. 60 1.4 AKTION T4 Abbreviazione di “Tier- gartenstrasse 4” zona di Berlino dove era situato il quartier generale dalla “Gemeinnützige Stiftung für Heil und Anstaltspfle- ge”, l’ente pubblico per la salute e l’assistenza socia- le, progetto di soppressio- ne dei disabili tedeschi e austriaci del Terzo Reich. Uno dei centri nevralgici delpensieronazistaful’eu- genetica, ovvero quell’in- sieme di metodi volti all’af- fermazione di una specie umana “perfezionata” (di razza ariana, nel caso spe- cifico). Il governo nazista non perde tempo e il 14 lu- glio del ’33 emana la Legge per la prevenzione della prole affetta da malattie ereditarie: è la cosiddetta Legge per la sterilizzazio- ne forzata dei disabili19 . Sei giorni dopo (20 luglio ’33) è firmato il Concordato con il Vaticano firmato dal Nunzio Pacelli (Pio XII). Non ci furono infatti cri- tiche all’interno della co- munità medica tedesca o internazionale perché la cultura volta al miglio- ramento biologico della popolazione era molto 19. Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO REICH, in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pa- gine-di-storia/giorno-della-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-ter- zo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017. → Autore sconosciuto 1938 circa
  • 63. 61 20. Trascrizione del documentario EUGENETICA E MALATTIA MENTA- LE. L’ANTROPOLOGIA DEGLI ORRORI, in Rai Storia (internet), http:// www.raistoria.rai.it/embed/eugenetica-e-malattia-mentale-lantropolo- gia-degli-orrori/5829/default.aspx, consultato il 1 febbraio 2017. diffusa. Anche i parenti delle persone sterilizzate non protestarono pubbli- camente. Neppure le due chieseprotestarono.Ledif- ficoltà economiche della Germania negli anni Tren- ta, con il peggioramento del livello di assistenza nei manicomi e nelle case di cura, accentuano le tendenze omicide verso i disabili. Fin dal ’33 furo- no drasticamente ridotti i fondi destinati agli istituti psichiatrici in modo da far balenare l’idea negli stessi operatori ospedalieri sulla necessità di sopprimere queste vite inutili. Intanto la Germania nazista prepa- ra il terreno adatto con una “intelligente” campagna di sensibilizzazione attraver- so cui si cerca di convin- cere l’opinione pubblica tedesca che non tutte le vite meritano di essere vis- sute. Per esempio intorno alla metà degli anni Trenta compaiono dei manifesti murali a cura del partito nazista in cui è scritto: “Questo paziente affetto da una malattia ereditaria costa, durante la sua esi- stenza, 60.000 RM al popo- lo. Connazionale, si tratta anche dei tuoi soldi!”. Una diabolica campagna di persuasione occulta attraverso film, cortome- traggi, radio, manifesti, opuscoli e ogni sorta di iniziativa. Alla metà degli anni trenta, nel momen- to delle sterilizzazioni di massa, sono girati due documentari: “Das Erbe” (L’eredità, 1935) - film di- dattico e dal tono scien- tifico “inconfutabile”, che
  • 64. 62 21. Giancarlo RESTELLI, LO STERMINIO DEI DISABILI NEL TERZO REICH, in Restelli Storia (blog), http://restellistoria.altervista.org/pagine-di-storia/giorno-del- la-memoria/lo-sterminio-dei-disabili-nel-terzo-reich/ consultato il 30 gennaio 2017. 22. Alessandro MATTA, EUTHANASIEFILM: I FILM NAZISTI PRO-EUTA- NASIA SULL’ “OPERAZIONE T4”, in Cinemecum (internet), http://www. cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=1486%3Aeuthana- siefilm-i-film-nazisti-pro-eutanasia-sull-operazione-t4-&catid=83&Itemid=338 consultato il 2 gennaio 2017. rappresentava le impli- cazioni mediche e sociali delle tare ereditarie e che rappresentava l’idea na- zista di darwinismo e di «sopravvivenza del più for- te», le scene di selezione naturale vengono montate a contrasto con le riprese scioccanti girate negli isti- tuti psichiatrici20 ; “Opfer der Vergangenheit” (Vit- tima del passato, 1937) - il film metteva a confronto il popolo «sano» con sce- ne tratte dalle corsie degli istituti psichiatrici, popo- late di esseri «deformi» e «degenerati» e conclude che ciò era dovuto ad una violazione delle regole del- la selezione naturale, a cui si sarebbe dovuto porre ri- medio ripristinandole con «metodi umani». La prima del film si tenne a Berlino, introdotta dal leader dei medici del Reich, Wagner, e successivamente proiet- tato a lungo in 5300 centri cinematografici, dislocati in tutta la Germania21 . Si stima che l’attuazione del programma “T4” ab- bia portato all’uccisione di un totale di persone compreso tra le 60.000 e le 100.00022 .
  • 66. 64 DER SIEG DES GLAUBENS Leni Riefenstahl 1933 L’idea di fondo emerge chiaramente da quello che sin dalla prima visio- ne appare come un me- dio metraggio ben curato: rappresentare il Parteitag selezionando momenti particolarmente signifi- canti che, a prescindere dal reale svolgimento del congresso, ne esprimano il carattere e lo spirito e che riescano a evidenziare l’entusiasmo delle centi- naia di migliaia di parte- cipanti e il loro favore nei confronti di Hitler1 . Il film è diviso in sei ma- crosequenze separate da doppia dissolvenza e, in un caso (dalla prima alla seconda), da dissolvenza incrociata. Ognuno di que- sti nuclei si caratterizza per omogeneità tematica e narrativa e, a seconda della durata, si suddivide internamente in sequenze diversamente articolate2 . Sequenze: • L’arrivo a Norimberga • Nuvole sopra Norimberga • Costruzione delle tribune e risveglio • Arrivo delle SA dalle campagne • Arrivo dei gerarchi alla stazione • Arrivo di Hitler • Apertura del congresso 1. Partecipano al congresso circa 400.000 persone: tra funzionari, giova- ni della Hitlerjugend, membri della SA e SS ed altri. 2. Trascrizione del parlato in LOIPERDINGER-CULBERT, Leni Riefenstahl, the SS, and the Nazy Party Rally Films, pp.18-28
  • 67. 65 • Saluti delle autorità nell’Altes Rathaus • Apertura al congresso nella Luitpoldhalle • Luitpoldarena, arrivo del Fuhrer e delle altre autorità • Incontro con la Hitlerjugend • Parata davanti al Fuhrer • Commemorazioni Ad eccezione della prima parte (seq. 1 e 2), le se- quenze sono dei blocchi tematici - narrativi che si susseguono non tempo- ralmente. In tal modo le quattro giornate di con- gresso vengono compat- tate in un’unica giornata. Più articolato lo sviluppo spaziale che rende iden- tificabili i diversi luoghi in cui si svolgono gli even- ti del congresso. Il film è costruito con inquadra- ture che parcellizzano lo spazio e punti di vista che cambiano costantemente angolazione, prospettiva e distanza rendendo tutto molto dinamico. Il mon- taggio è serrato e mantie- ne alta l’attenzione. Risulta talvolta ostentato il rap- porto di Hitler con la folla3 . La colonna sonora è parti- colarmente curata in rap- porto alle immagini con le quali instaura relazioni di sintonia e contrappunto. Per la prima volta la regi- sta, non nuova al montag- gio e al ritmo, si confronta con la gestione di materiali ripresi da una realtà su cui non si è potuto interve- nire, una realtà che può essere modellata solo in 3. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.43
  • 68. 66 sede di montaggio. Per la strutturazione del testo, cura della musica, forte attenzione al ritmo, per le suggestioni d’avanguardia è dichiaratamente ispirato a Berlin. Symphonie einer Großstadt (1927) di Wal- ter Ruttmann4 . Le orge di bandiere, le masse dei mi- litanti accalcati, le migliaia di braccia alzate nel saluto tedesco schiacciate dai potenti teleobiettivi appa- iono sì stilizzate, ma non astratte; decontestualizza- te e quasi irriconoscibili, ma non per perdere il loro carattere, piuttosto per farne emergere l’essenza. La rappresentazione del- le masse in Der Sieg des Glaubens verosimilmente ricalca in pieno i suggeri- menti di Béla Balàsz5 , che scrive: «Una massa di uomini […] ci mostra un’immagi- ne sovraindividuale del- la società umana. Non semplicemente la somma di singoli uomini, ma un organismo vivente a sé. Con struttura e fisionomia proprie. […] Per poter mo- strare i gesti [della massa] in modo chiaro, la massa rappresentata non deve essere priva di contorni, caoticamente amorfa. In un buon film la folla è “strutturata”, nei suoi rag- gruppamenti e movimenti, fin nei minimi particolari. […] Il buon regista potrà mostrare la fisionomia vi- vente della folla, la mimi- ca del “volto” delle masse solo servendosi di primi piani,grazieaiqualinonla- scerà mai che il singolo in- dividuo scompaia o venga dimenticato. […] Con una 4. In relazione alle musiche si veda Reimar VOLKER, “Von oben sehr serwunscht”. Die Filmmusik Herbert Windts im NS-Propagandafilm, Wis- senschaftlicher Verlag, Trier 2003, PP. 49-79, 168-182 5. Pseudonimo di Hermann Bauer, teorico del cinema e sceneggiatore ungherese (Szeged, 1884-Budapest 1949). Comunista convinto, nonché ebreo, a causa del nazismo si trasferisce a Mosca, insegnerà all’Accademia cinematografica. Insieme alla Riefenstahl scrive Das blaue Licht, esordio della cineasta, in seguito i due avranno problemi di diritti d’autore.
  • 69. 67 serie di riprese in dettaglio da elementi in primo pia- no e di sfondo ci mostrerà i singoli granelli di sabbia di cui è composto questo de- serto, in modo che anche passando al quadro totale resti presente la brulicante vita interiore dei suoi ato- mi. In siffatti primi piani percepiamo la vivida ma- teria spirituale di cui sono composte le grandi mas- se»6 . Der Sieg des Glaubens  ha avuto una storia travagliata e i suoi problemi non sono causati solodaun contestostorico in evoluzione. È stato girato in tempi stretti e senza un’adeguata prepa- razione del teatro di posa in esterni. Non solo: le ca- micie brune faranno tutto il possibile per creare dif- ficoltà, veri e propri sabo- taggi, come per lo sman- tellamento dei binari per le cineprese fatti installare dalla Riefenstahl. Il mate- riale adatto per il montag- gio sarà scarso e di medio- cre qualità. In realtà, tutta l’organizzazione dell’even- to presenta dei problemi: la troupe della Riefenstahl non ha alcuna priorità e deve scontrarsi con coreo- grafie inesistenti, fotografi che si trovano dove non dovrebbero, personaggi ingestibili che non sanno cosa fare. Non a caso, la regista era considerata un elemento estraneo e trat- tata con poco rispetto. Il ritiro dalle sale, avverrà in seguito la notte dei lunghi coltelli, in cui Ernst Röhm, colonnello generale (Stab- schef) delle SA verrà arre- stato e poi ucciso, la sua 6. Bèla BALASZ, L’UOMO INVISIBILE, a cura di Leonardo Quaresima, Torino, Lindau, 2008, pp. 181-183
  • 70. 68 presenza accanto al Fuhrer nel documentario sarà troppo ingombrante per la promozione del partito. Troppo “sincero” Der Sieg des Glau- bens commette un grosso errore: mostra la realtà e non la costruisce, è un film pericolosamente sincero. Bambini seduti sul ciglio di una strada salutano una colonna di camicie brune in marcia verso No- rimberga; sono piuttosto mal vestiti, alcuni sono scalzi. Un gatto grassoccio osserva il tutto da dietro un’inferriata. La colonna in marcia è rilassata e di- sordinata, con uomini che chiacchierano, entrano ed escono dai ranghi, guar- dano in cinepresa riden- do. Questa può essere la verità, ma la propaganda non è questione di verità: i bambini dovranno esse- re sobri, ma non neces- sariamente “perfetti”. E’ come quando il politico di turno si presenta per fare il suo bel monologo con i primi due bottoni della camicia aperti: “Guardate, sono affabile e rispettabi- le”. I bambini di Triumph des Willens sono appunto sobri ma non perfetti, de- liziosi da vedersi, ben pet- tinati e vestiti. Persino le SA, corpo notoriamente ri- belle e rumoroso, sarà ri- preso in modo da non creare problemi: dall’alto, rendendone la presenza appena accennata. Ecco uno dei punti in cui i due film differiscono, grazie a una preparazione ad hoc, non il film per il congresso,
  • 71. 69 ma il congresso per il film. D’altra parte difficilmente la propaganda offre para- goni al ribasso, in fondo è tutta questione d’apparen- za. Preferire altro a capaci- tà e lungimiranza: presun- te credibilità e autorità, un vestito elegante o la capa- cità di parlare per ore sen- za dire niente. Confusione e difficoltà nella scansione dei tempi Leni Riefenstahl è chia- mata a filmare e non ha controllo su quanto le ac- cade di fronte: in parole povere, deve limitarsi a produrre materiale visivo. Non avendo vita facile, il risultato sarà un generale sbilanciamento tra fasi più importanti, forzosamente ridotte, e altre di contorno, inutilmente estese. L’arrivo delle colonne di camicie brune SA a Norimberga è lunghissima, se messa a confronto con quella dell’arrivo di Hitler. Dopo la breve sequenza dell’ar- rivo di Hitler all’aeroporto, si passa a una sezione a malapena comprensibile col suo passaggio in auto tra la folla: inquadrature confuse e tremolanti, bu- chi nella folla che si muove senza controllo, fumo che confonde la visuale. I cor- doni delle SA sono ripresi mentre con difficoltà con- tengono il pubblico. Tutto questo denota una com- plessiva mancanza di con- trollo, che un film di que- sto genere non dovrebbe potersi permettere.
  • 72. 70 Confusione nella gerarchia Si capisce che Hitler è il centro dell’azione, ma la sua è una centralità che deve fare i conti con trop- pi “rivali”. Prima di lui sfi- lano i Göbbels e i Röhm accanto ai von Papen (uomo politico della de- stra tradizionalista, in se- guito scampato quasi mi- racolosamente alla Notte dei lunghi coltelli), oltre alle personalità interna- zionali. La sua continua vi- cinanza allo stesso Röhm può far sorgere dubbi su chi realmente abbia il co- mando. Non si capisce in modo inequivocabile chi sia la personalità di riferimento, nessun mes- saggio univoco, come nel caso di Triumph des Wil- lens. Solo allora saranno determinate le gerarchie interne al partito e un’in- tera classe politica sarà spazzata via. Quando viene girato Der Sieg des Glaubens, però, Röhm è quasi un pari di Hitler. Dai fotogrammi ap- pare evidente: prima ve- diamo Röhm stringere la mano a Hitler (1), per poi salire a bordo dell’auto. Da quel momento seguiranno il passaggio del corteo dei corpi paramilitari l’uno a fianco dell’altro, alla stes- sa altezza. Si tratta di una confidenza mai più con- cessa; Hitler non avrà più dei pari. Il capo delle SA Röhm sarà sostituito da un uomo di provata fedeltà, tale Viktor Lütze. Saranno lui e Himmler gli officianti del culto civile, con Hitler, nel 1934 a Norimberga;
  • 73. 71 lo scorteranno anche du- rante la rivista del corteo, mantenendo sempre un passo indietro. Triumph des Willens con- tribuisce a stabilire quale debba essere la gerarchia: possiamo vedere come Lütze, avvicinatosi all’auto di Hitler, prima esegua il saluto, gli stringa la mano e quindi obbedisca a un gesto preciso (foto 4). Si posiziona di fronte all’au- to e Hitler pone una mano sulla sua spalla in segno di supremazia. Da notare che non c’è quasi contatto visi- vo fra i due7 . È vero che la regia è com- plessivamente incerta, che qualcosa, anche di clamo- roso, sfugge al controllo, ma il modello di fondo è valido tanto che, appli- cato con padronanza nel successivo Triumph des Willens, darà dei risultati straordinari. → Tersite Cinema. 7. AAVV, DER SIEG DES GLAUBENS (1933), inTersiteblog.it, https://ter- siteblog.wordpress.com/2014/10/12/der-sieg-des-glaubens/ consultato il 3 gennaio 2017.
  • 74. 72 TRIUMPH DES WILLENS Leni Riefenstahl 1935 La macchina organizzativa che viene messa in moto per il secondo film è di dimensioni straordinarie soprattutto se considera- ta in rapporto gli standard di produzione di un docu- mentario. La preparazione del film inizia molti mesi prima e si svolge in sinto- nia con l’allestimento del sito del congresso curato da Albert Speer. ll ruolo svolto da Speer nella pro- gettazione del Parteitag- sgelände (l’area a est di Norimberga destinata ad ospitare le manifestazioni dei congressi del NSDAP), che lo porta a diventa- re di fatto lo scenografo del film, non esclude co- munque Leni Riefenstahl dall’elaborazione degli aspetti scenografici del documentario. Infatti la regista è presente sia nelle fasi più salienti della pro- gettazione, sia in quelle di realizzazione dei lavori a Norimberga e «la prepa- razione del congresso del Partito va di pari passo con la preparazione delle ripre- se del film››.1 Per le riprese la troupe è: composta da 172 persone, fra queste 36 operatori - al- cuni di loro si muovevano sui pattini a rotelle e in di- visa per potersi spostare velocemente e camuffare nella folla - 10 tecnici, 37 addetti al controllo, 12 fo- nici, 17 tecnici luci, 26 auti- sti. Il costo di produzione è adeguato alla grandiosità 1. Leni RIEFENSTAHL, HINTER DEN KULISSEN DES REICHSPARTEI- TAG-FILMS, Monaco, Zentralverlag der NSDAP, 1935, p.31.
  • 75. 73 della macchina produttiva e dell’impegno richiesto e ammonta, esclusi i costi di allestimento dello spa- zio del congresso, a circa 400.000 Reichsmark e, un impegno economico stra- ordinario particolarmente alto anche per la realizza- zione di un film di finzio- ne. Triumph des Willens esce come “semplice” do- cumentario della durata di 114 minuti, ossia 3109 metri di pellicola 35mm. contro i 128.000 girati.2 Triumph des Willens, no- nostante l’impegno gran- dioso nella preparazione e nelle riprese, prende cor- po essenzialmente in sede di montaggio dove l’au- trice, lavorando da sola, combina le inquadrature secondo una architettura che colloca gli elementi su diversi livelli di importanza con l’alternanza di punti forti e deboli, e rispettan- do un ritmo che coinvolga lo spettatore. La realtà del congresso si piega alle esi- genze del montaggio tanto da venire stravolta. Nella sintesi cinematografica, la regista non si limita a se- lezionare gli avvenimenti più interessanti escluden- do quanto non ritenuto rilevante nell’economia del film, ma riorganizza lo sviluppo temporale di ciò che è accaduto a Norim- berga (il congresso si svol- ge dal 4 al 10 settembre 1934), creando una durata diegetica del Parteitag ci- nematografico diversa da quella del Parteitag reale. Parallelamente combina i diversi momenti con un ordine differente in modo da modificarne il senso e 2. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.58.
  • 76. 74 la funzione. Non si tratta quindi di un aspetto legato alla diversa articolazione dell’intreccio in relazione alla fabula, ma proprio della costruzione di una fabula nuova rispetto alla realtà. Attraverso la selezione de- gli eventi, la scelta delle inquadrature, la cura del- le musiche e dei rumori, il montaggio Leni Riefen- stahl costruisce un film in cui ogni momento assume una valenza doppia. Come nota Martin Loiperdinger3 , È possibile individuare nel film due livelli di contenu- to: il primo manifesto e palese, il secondo latente, che emerge da una let- tura fra le righe. È come se ci fossero due film so- vrapposti: uno legato alla dimensione denotativa, che emerge da una lettu- ra “letterale” del testo e che ci mostra dei fatti così come sarebbero accaduti a Norimberga nel settem- bre del 1934; un secondo, che emerge in filigrana dalla sfera connotativa e simbolica e, superando la realtà del congresso in sé, presenta aspetti propri dell’ideologia, dell’esteti- ca, della cultura nazional- socialista validi come mo- dello ben oltre il preciso evento storico raccontato. Il film è articolato in 12 macrosequenze di diversa durata ed è diviso molto chiaramente in 5 atti che da un lato segnano lo svi- luppo del film in rapporto alle fasi di svolgimento dell’evento di Norimber- ga, dall’altro strutturano il testo in modo da offrire 3. Martin LOIPERDINGER, RITUALE DER MOBILMACHUNG, DER PARTEITAGSFILM THRIUMPH DES WILLENS VON LENI RIEFENSTAHL, cit., p.78.
  • 77. 75 al materiale trattato una valenza simbolica che per- mette di far emergere l’es- senza dell’intera liturgia che si attua intorno al con- gresso. La riorganizzazione degli elementi visivi fa si che all’interno della pelli- cola rimangano solo unità fortemente significanti ot- tenendo così un concen- trato particolarmente effi- cace. La pellicola è dunque com- posta da blocchi tematici e narrativi ben definiti sepa- rati da doppia dissolvenza (in apertura e chiusura) e in un caso, il passaggio dalla IV alla V sequenza, da dissolvenza incrociata a indicare una cesura meno netta. Ciascuna delle 12 macrosequenze ha du- rata differente a seconda dell’importanza e in taluni casi può essere divisa in ul- teriori sottosequenze. Per- tanto possiamo individua- re complessivamente 22 nuclei tematici e narrativi a loro volta articolati in sce- ne. Ad esclusione dei due casi in cui troviamo una dissolvenza incrociata, i passaggi da una macrose- quenza all’altra, come fra le diverse sottosequenze, sono sottolineati da una cesura a livello del sonoro: interruzione e cambio del brano musicale, passaggio dalle voci alla musica o vi- ceversa. Le sequenze: • L’arrivo a Norimberga • In volo su Norimberga • L’aereo di Hitler atterra • Il corteo per le strade della città
  • 78. 76 • Il concerto in onore di Hitler • Da Norimberga al Parteítagsgelände • Dalla vecchia Norimberga allo Zeltlager • Il risveglio nello Zeltlager • La sfilata in costume tradizionale • I giovani dell’Arbeitsfront • Dall”Hotel Deutscber Hof al congresso • L’apertura del congresso • L’intervento di Hess • Gli interventi dei gerarchi • Il Servizio del lavoro • Gli Arbeitsoldaten • Le parole di Hitler • Lutze e gli uomini delle SA • I giovani • La parata della Wermacht • Hitler e i funzionari del Partito • Commemorazioni e rinnovo della fedeltà • La commemorazione dei caduti • L’omelia di Hitler sulla stabilità del Movimento • Il rito della Blutfahne • Le parate nel centro di Norimberga • La chiusura del congresso
  • 79. 77 Una tripartizione dialettica I tre grossi blocchi con- tenutistico-narrativi che compongono il film pos- sono essere sinteticamen- te definiti “affettivo” (seqq. I-II), “politico” (seqq. III-X) e “istituzionale” (seqq. XI-XII). Nel primo avviene l’epifa- nia di Hitler, protagonista assieme alla città di No- rimberga con i suoi abitan- ti che lo accoglie festosa. Qui i gerarchi nazisti tro- vano spazio solo margi- nalmente come semplici figure di contorno, meri elementi pro-filmici, quasi la Riefenstahl ritenesse la loro presenza un di più che potesse distrarre l’atten- zione dall’aspetto centra- le, cioè il rapporto fra Hit- ler e la città, i suoi abitanti, i suoi monumenti. Si nota in tal senso la differen- za con il precedente Der Sieg der Glaubens in cui il Führer era attorniato dagli altri gerarchi che stavano quasi al suo stesso livello rispetto. Il secondo blocco è dedi- cato alla dimensione po- litica in quanto conduce l’insieme dei partecipanti all’interno dello spazio de- dicato al congresso. É uno spazio che prende corpo idealmente e si definisce come “luogo altro” rispet- to alla città, tant’è che, escluse poche inquadra- ture della prima sequenza nelle quali durante la sfi- lata in costume e il corteo di auto dei gerarchi che lascia l’Hotel Deutscher
  • 80. 78 Hof si intravede qualche strada o palazzo, in que- sto blocco Norimberga è del tutto assente. Questa caratterizzazione di “luogo altro” rispetto alla città è fortemente voluta in sede di montaggio quando si eliminano tutti i riferimenti allo spazio urbano. É pur vero che il Parteítag- sgelände stava fuori dalla città, ma il Congresso reale si svolgeva in luoghi diversi spostando gli eventi, come si può notare nella tabella sinottica in appendice, fra gli spazi aperti della peri- feria e gli edifici del centro. La scelta dunque di con- centrare tutto il blocco al di fuori della città ha una precisa valenza simbolica. Peraltro questa parte si distingue anche, e forse soprattutto, per le forme che la caratterizzano: equi- librio, regolarità, ordine, perfezione formale, rigore geometrico, imponenza, razionalità contrapposti al caos, al disordine, alla confusione che avevano segnato il primo blocco. Simbolicamente lo spazio di svolgimento del con- gresso diventa lo spazio del Partito. Il terzo blocco ha un valo- re di sintesi. Da un lato ri- porta Hitler e i partecipanti nel cuore della città, che viene da loro letteralmen- te occupato e trasformato con le geometrie regolari e meccaniche delle parate che si incontrano/scontra- no con le linee divergenti dell’architettura medioe- vale; dall’altro sanciscono l’ufficialità della vittoria
  • 81. 79 nell’affermazione del Rei- ch. La città che simboli- camente si era aperta per ospitare il Partito nazio- nalsocialista ora se ne im- pregna e ne diventa parte integrante. Viene rappre- sentata così la nuova Ger- mania che ha preso corpo dopo l’ascesa al potere del Movimento nazionalsocia- lista e che ora si ritrova con il suo popolo e la sua gui- da per festeggiare il trionfo della volontà. Non siamo più come nella macrose- quenza di apertura in un rapporto di interazione fra Hitler e Norimberga. Qualcosa è cambiato. Chi arrivava dall’alto come un ospite illustre accolto con fervore dalla città, dopo i cerimoniali del congres- so ha assunto il ruolo di capo indiscusso della città e, simbolicamente, della Germania e del suo popo- lo. Ciò può essere notato dal superamento del gioco di sguardi, l’alternanza di soggettiva e oggettiva che offriva allo spettatore il pri- vilegio di guardare con gli occhi di Hitler e di trovarsi nel posto in cui Hitler guar- dava - e dalla sostituzione dei cittadini da parte dei militanti nazisti. Sono infatti questi ultimi che ora occupano il cen- tro della città e con loro che il Führer è in rapporto. I “normali” cittadini sono semplici spettatori di un evento, non più protagoni- sti. Hitler in piedi nella sua macchina riceve l’omaggio di gerarchi e militanti in una situazione marcata- mente formale4 . 4. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.63.
  • 82. 80 La trasformazione dello spazio e del tempo e l’invenzione della realtà La vicenda cinematogra- fica si articola nell’arco di quattro giorni. Il passag- gio fra le diverse giornate è scandito dalle scene in notturna, chiari marcatori temporali che definiscono nettamente la fine della giornata. Dell’ovvia sintesi che il film fa degli avveni- menti effettivi, la prima cosa che appare è la ridu- zione del tempo reale di sviluppo dell’evento dai suoi concreti sette giorni solamente a quattro. Ed è questo un aspetto non marginale delle scelte del- la regista nella organizza- zione del girato. Lei infatti non si limita a selezionare gli avvenimenti più inte- ressanti escludendo quan- to non ritenuto rilevante nell’economia del film, o a utilizzare ellissi, pau- se, estensioni, o ancora a giocare sull`ordine e la frequenza. La Riefenstahl riorganizza lo sviluppo temporale di quanto ac- caduto a Norimberga dal 4 al 10 settembre 1934, concentra e accorpa gli eventi e arriva a creare un durata diegetica del Partei- tag cinematografico diver- sa da quella del Parteitag reale. I vari momenti poi assumono un ordine diffe- rente, modificano il senso e acquistano una nuova funzione. Non si tratta quindi di un aspetto legato alla diversa articolazione
  • 83. 81 dell’intreccio, ma proprio della costruzione di una diegesi nuova, in qualche modo autonoma rispetto alla realtà del Congresso. Esempi evidenti di questo modo di procedere sono il concerto che si svolge da- vanti all’Hotel Deutscher Hof alla fine della prima giornata5 e le parate nel centro della città. Ma la Riefenstahl non si limi- ta a una riorganizzazione del tempo diegetico, in- fatti anche la collocazio- ne spaziale subisce degli adattamenti che servono sia ad accorpare per en- fatizzare le situazioni sia a produrre nuove scene. Ne abbiamo un esempio par- ticolarmente significativo a proposito della manife- stazione di apertura del congresso che nel film è ambientata nel Parteitag- sgelände fuori dalla città con immagini filmate prin- cipalmente in edifici del centro storico. Nella quar- ta sequenza, infatti, dopo l’intervento di Hess che ri- corda Von Hindenburg ed esalta la figura del Führer in quanto garante di vit- toria, pace e giustizia, in- tervengono ministri e ge- rarchi del partito che con brevi slogan richiamano punti chiave delle politi- che o dell’ideologia del Movimento. Si presenta quindi, pur con consistenti ellissi, un unico contesto in cui parlano più persone per ricapitolare uniforme- mente le parole d’ordine del Movimento ora al go- verno della Germania. Se andiamo a osservare la realtà notiamo che quanto mostrato nella sequenza non corrisponde a quan- 5. Leni RIEFENSTAHL, MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Mar- tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.27.
  • 84. 82 to accade nel congres- so, ma il tutto è frutto di montaggio e, in taluni casi, addirittura di recitazione in studio. Infatti durante l’apertura del Parteitag abbiamo l’intervento di Hess ma non quello degli altri gerarchi che si tengo- no invece in altri momenti e luoghi. Secondo Speer, fra l`altro, diversi inter- venti, fra i quali una parte di quello dello stesso di Hess, sono stati ripetuti in studio. «Nel 1935 - ricorda l’architetto - accadde che la ripresa cinematografica di una seduta solenne del congresso del partito non riuscì bene. Accogliendo un suggerimento di Leni Riefenstahl, Hitler ordinò che le scene mal riuscite fossero ripetute in studio. In un grande teatro di posa di Berlino-johannistal pre- parai un fondale che rap- presentava uno scorcio della sala dei congressi, con il podio e la tribuna dell’oratore, e facemmo le prove delle luci puntando- vi sopra i riflettori mentre i tecnici correvano avanti e indietro affaccendati e più a distanza Streicher, Ro- senberg e Frank andavano su e giù con i copioni, cer- cando con zelo di manda- re a memoria le loro parti. Quando Hess giunse, fu pregato di farsi riprendere per primo, e lui, proprio come se si fosse trovato davanti ai trentamila del congresso del partito, alzò la mano, assunse il tono eccitato che gli era carat- teristico e, voltosi verso il punto esatto dove Hitler avrebbe dovuto essere (ma non era), rigido e teso
  • 85. 83 da sembrare sull’attenti esclamò: “Mein Führer, le porgo il saluto del congresso del partito. Il congresso prosegue i suoi lavori. Parla il Führer”. Anche gli altri tre recitaro- no la loro parte in modo molto realistico davanti al vuoto teatro di posa, di- mostrando di essere inter- preti di notevoli capacità. Io ero seccatissimo, men- tre la signora Riefenstahl era pienamente soddisfat- ta, trovando che le scene ricostruite fossero superio- ri a quelle originali››.6 La Riefenstahl smentisce questo racconto sostenen- → Tersite Cinema. 6. Albert SPEER, MEMORIE DEL TERZO REICH, Berlino, Orion Publish- ing Group, 1970, cit., pp.74-75.
  • 86. 84 do che i vent’anni trascorsi nella prigione di Spandau hanno certamente fatto confondere l’architetto. «È vero - scrive la regista - che Speer aveva ricostruito il podio del congresso nella sala di un cinema, dove fu ripreso un primo piano di Iulius Streicher, ma non di Rudolf Hess. Durante il discorso di Streicher a Norimberga, all’operatore era mancata la pellicola, e dato che Streicher come Gauleiter della Franconia doveva apparire una volta sola, si è dovuta riprende- re di nuovo una frase di pochi secondi. Duran- te questa breve scena oltre Speer, Streicher e alcuni membri della troupe, non era presente nessuno, non c’erano né Hess, né Frank, né Rosenberg, e neanche io, e in seguito non fu gira- ta nessuna scena di Rudolf Hess››7 . Questa afferma- zione, poco credibile in quanto riferita a un conte- sto in cui opera una troupe di dimensioni eccezionali con ben trentasei operato- ri, se da un lato smentisce Speer, dall’altro conferma che qualcosa è stata reci- tata in studio, il fatto poi che a essere recitato fosse proprio l’unico interven- to esplicitamente riferito alla purezza della razza ha delle ulteriori implicazioni in quanto dimostra l’im- portanza dell’argomento nell’economia del film. Pertanto Leni Riefenstahl nel cercare di contestare un’affermazione di Spe- er arriva a confermare in modo implicito la realizza- zione di specifiche scene ad hoc. 7. Leni RIEFENSTAHL,MEMOIREN, Auflage (Germany) (1987), St Mar- tins Press (1993) (US), Quarter (UK) (1992) cit., p.778.
  • 87. 85 Si può quindi affermare che la Riefenstahl nel suo film costruisce un con- gresso diverso da quello svoltosi a Norimberga nel 1934 anche se nelle testi- monianze, interviste, di- chiarazioni rilasciate dopo la guerra non ha perso occasione per sostenere che nella pellicola «non ci sono scene ricostruite, “tutto è vero” ed è solo «un documentario››8 . Il suo terrore di essere ac- cusata di aver fatto un film di propaganda nazista la porta a negare anche ciò che è evidente. Eppu- re nell’intervista rilascia- ta nel 1965 ai «Cahiers du cinéma», lei stessa in qualche modo spiega il perché di questa opera di riorganizzazione delle informazioni: il problema è di rendere «seducente›› quanto si vede e ciò si ot- tiene «drammatizzando›› e «dando ritmo». È chia- ro che riconoscere aper- tamente di aver lavorato per rendere «seducente» il congresso del Partito nazi- sta significa anche ammet- tere di aver fatto un’opera di propaganda. Nell’inter- vista la Riefenstahl a pro- posito della lavorazione, dopo aver parlato di pro- blemi di natura organizza- tiva,dice:«Malagrandedif- ficoltà stava nel fatto che gli eventi in quanto tali si ripetevano costantemen- te nella stessa forma: non c’erano che discorsi, mar- ce e raduni. Dunque era in- finitamente più impegnati- vo di quanto non lo fosse per le Olimpiadi cogliere l’evento in maniera sedu- cente (captivante).“E più 8. Antioco FLORIS, LITURGIE NAZISTE: I DOCUMENTARI DI LENI RIE- FENSTAHL SUI CONGRESSI DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA DEL 33-34, Cagliari, CUEC, 2013, p.80.
  • 88. 86 avanti, dopo aver ribadito che si tratta di un «film- vérità», continua: “Ho cercato di fare un film che colpisse ed eccitasse. Un film poetico e dinamico.”9 Si può certamente discute- re sulla poeticità del film, ma difficilmente se ne può negare l’energia e l’effica- cia comunicativa, la capa- cità di coinvolgere, talvolta anche emotivamente, e l’intensità delle immagini. D’altra parte la Riefenstahl nella stessa intervista so- stiene: «Ciòcheèpuramen- te realista, scena di vita vis- suta, ciò che è mediocre, quotidiano, questo non mi interessa. Solo l’inusuale, il particolare mi eccitano. Sono affascinata da ciò che è bello, forte, sano, da ciò che è vivo››10 . Non c’è quin- di una preoccupazione in senso realista, c’è invece la volontà di esprimere forza e potenza, grandiosità e vi- talità, perfezione ed equili- brio. Peraltro non pare che il problema della fedeltà al fatto storico si ponesse neanche per il committen- te, preoccupato di creare un evento grandioso e di forte impatto. L’esigenza di Hitler e di Goebbels era quella di ottenere un effet- to che colpisse lo spettato- re per la sua grandiosità e permettesse di collocare l’evento e pertanto le figu- re che ne sono protagoni- ste, Hitler in primis ma poi il Partito, il Reich, i gerarchi e la massa dei partecipanti in quanto espressione del popolo tedesco - al di là della dimensione storica nella sfera del mito. 9. Michel DELAHAYE, LENI AND THE WOLF: INTERVIEW WITH LENI RIEFENSTAHL, in Cahiers du Cinéma in English (New York), June 1966. Read more: http://www.filmreference.com/Films-Thr-Tur/Tri- umph-des-Willens.html#ixzz4Ysa3btyq 10. Ibidem
  • 89. 87 La preoccupazione di sot- tolineare la natura docu- mentaria di Triumph des Willens, e quindi il suo carattere di mera ripro- duzione di fatti realmente accaduti, dopo la fine del- la guerra e la caduta del nazismo, Leni Riefenstahl - accusata di aver soste- nuto il regime attraverso i suoi film e quindi di ave- re delle responsabilità in tutto ciò che è successo in Germania fra il 1933 e il 1945 - si difende negando alcune importanti pecu- liarità del film e del suo lavoro e sostenendo, sul filo del paradosso in quan- to nega il ruolo produttivo dell’artista nel momento in cui ne rivendica i meriti e i diritti, di essersi limitata a riprendere ciò che stava davanti agli occhi di tutti. Nel filmare la realtà neces- sariamente la si reinterpre- ta, se ne coglie un aspetto per ometterne tanti altri, si sceglie “un” punto di vi- sta. Ma c’è una differenza fra l’interpretare e il rein- ventare, e c’è soprattutto quando la reinvenzione si sovrappone alla realtà e la sostituisce creando un qualcosa di nuovo. A questo punto la linea di demarcazione, una linea flebile e instabile, talvolta quasi invisibile, che separa il documentario dalla fi- ction si sposta dall’univer- so del reale per collocarsi in quello fittizio. È quanto accade nel film di Leni Rie- fenastahl. Liturgia nazista In relazione al film la com- ponente rituale si attua al-