1. I’ll be your mirror (e i podcast)
Quando uno scrittore smette di essere solamente un narratore che ti piace, ti coinvolge,
ti diverte, per tramutarsi in uno specchio che rimanda la tua immagine? Nel senso che
quello che ti sta dicendo con il suo racconto sono le cose che tu hai dentro e che tu
potresti raccontare a lui se fossi uno scrittore. Uno che ti fa sentire a casa, al caldo, al
riparo, che ti estrae dolcemente da angoli nascosti del tuo essere cose che nemmeno tu
sapevi di avere dentro. Le leggi, e improvvisamente le riconosci come tue. Ma te le sta
squadernando un’altra persona, magari di un’altra epoca, di un’altra cultura, di un’altra
lingua, quindi passando addirittura attraverso la mediazione di una traduzione.
Sono le riflessioni che mi turbinavano in testa questa notte mentre affrontavo, quasi con
il timore di terminarlo, il libro “Kafka sulla spiaggia” di Murakami Haruki. Murakami è
un signore giapponese di una sessantina d’anni che io non ho mai visto in vita mia se
non in qualche foto. Ma non ha importanza. Perchè ogni volta che mi immergo in un
suo scritto mi pare di entrare in una casa che conosco, confortevole, amica. Anche se mi
racconta cose terribili. Non è questione di sentirsi rassicurati, blanditi. Anzi. Amo, in
letteratura come in musica o nel cinema, chi sa disturbarmi, spiazzarmi, spaventarmi,
persino disgustarmi. Però con Murakami e pochi altri c’è di più. Mi capita con i suoi
libri, ma pure con quelli di Jane Austen, di Bernard Malamud, di Thomas Bernhard, di
Landolfi, di Gianni Celati. Forse solo questi. E mi succede in musica, sicuramente con
Mozart, ma anche con Allman Brothers Band o Throbbing Gristle o Miles Davis, per
esempio. Mi piacciono tantissimi altri autori e musicisti. Ma con questi scatta un
nonsochè ineffabile. È come un riconoscersi. Non so perché.
E a voi succede? E con chi?