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Cassazione Penale, 08 novembre 2012, n. 43434 - Lavoratore privo
di cinture di sicurezza e altri dispositivi anticaduta: infortunio
mortale
   Venerdì 09 Novembre 2012 16:07


Cassazione Penale, 08 novembre 2012, n. 43434 - Lavoratore privo di cinture di sicurezza e altri
dispositivi anticaduta: infortunio mortale




     Delega di Funzione
     Dispositivo di Protezione Individuale




Responsabilità dell'amministratore unico di una srl (M.) e del responsabile di cantiere della
stessa società (B.) per aver consentito al lavoratore P.I., privo delle cinture di sicurezza, fornite
ma non utilizzabili, e privo di presidi di trattenuta o di altri dispostivi anticaduta, di operare sul
tetto di un capannone dove insistevano cavi e altro materiale e un lucernario non coperto, nel
vano del quale il lavoratore era precipitato per circa otto metri conseguendo le lesioni che lo
avevano condotto a morte.

Condannati, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

I ricorrenti sostanzialmente richiedono un nuovo e non consentito accertamento in fatto tra
l'altro ignorando lo specifico accertamento di sentenza secondo il quale le funi di trattenuta
per l'aggancio delle cinture di sicurezza rappresentate nelle fotografie acquisite agi atti, erano
state installate solo dopo l'infortunio in forza delle prescrizioni impartite dall'ente
competente, mentre la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa, non risultava ancorata
ad alcun punto fisso, e dunque non costituiva in nessun modo ancoraggio sicuro per le cinture.
La motivazione impugnata si è motivatamente soffermata sulla inesistenza di altri validi punti
di aggancio (la balaustra gialla ecc.).


La motivazione impugnata si presenta dunque con i caratteri della compiutezza e della
coerenza, è priva di discontinuità argomentative e di contraddizioni, apodissi, aporie.


Il ricorso del M. propone una ulteriore censura riguardante una presunta valida delega di
funzioni tale da trasferire sul delegato ogni responsabilità derivante dalle norme
antinfortunistiche.
La sentenza impugnata con accertamento di fatto logico e coerente e non suscettibile di
ulteriore rielaborazione in sede di legittimità ha individuato nella documentazione offerta dal
M. una delega di responsabilità penali in danno del B. e ha ritenuto non delegabile la
responsabilità penale. La motivazione si è completata con l'ulteriore accertamento in fatto
secondo il quale la documentazione prodotta non consentiva di ritenere che al delegato per la
sicurezza fosse stata fornita una dotazione di mezzi finanziari per provvedere in autonomia
alla realizzazione dei compiti di sicurezza affidati.
Fatto




La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Treviso che
aveva ritenuto i due imputati M. ( amministratore unico della società G.W. srl) e B. ( responsabile di
cantiere della stessa società) responsabili del delitto di omicidio colposo per un infortunio mortale
verificatosi il 20/6/2007 in occasione e a causa di prestazione di lavoro subordinato, a loro
addebitato, e li aveva condannati, attribuite le attenuanti generiche, alle pene ritenute congrue (e
sospese ex art. 163 cp.) oltre che al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e, per
quanto rileva rispetto ai ricorsi proposti, in favore di E.P. madre del lavoratore morto, nonché dei
componenti del gruppo familiare Be. entro il quale il P. di fatto era stato accolto come componente.
L'addebito investiva i due imputati nelle loro rispettive qualità perché avevano consentito al
lavoratore P.I., privo delle cinture di sicurezza, fornite ma non utilizzabili, e privo di presidi di
trattenuta o di altri dispostivi anticaduta, di operare sul tetto di un capannone dove insistevano cavi e
altro materiale e un lucernario non coperto, nel vano del quale il lavoratore era precipitato per circa
otto metri conseguendo le lesioni che lo avevano condotto a morte. La sentenza di appello affermava
la risarcibilità del danno cagionato da reato ai componenti di una stabile convivenza quale che sia il
tipo di legame sul quale la convivenza si regge e affermava ancora la piena responsabilità degli
imputati per l'omicidio colposo ad essi addebitato con riguardo alla condizione della superficie ove si
svolgeva il lavoro; alla accertata assenza di punti di aggancio per le cinture di sicurezza; alla verificata
assenza di delega delle responsabilità per la sicurezza e la salute dei lavoratori.


Contro la sentenza di appello propongono due distinti ricorsi per cassazione gli imputati i quali
denunziano:


A.B. ( responsabile di cantiere della stessa società) denunzia:


1) violazione di legge ex art. 606 co. 1 lett e) cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente
illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della
costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. che incontestatamente aveva accolto il I.I.P. per
ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi
fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. (lavoratore privo di permesso di soggiorno)
l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a
risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto
gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi
qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e
nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Be., nessun danno attuale
era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano
affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di
avviare una attività in proprio con uno dei B. (A.). Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza
relative al rapporto tra condanna generica al risarcimento del danno assunta in sede penale e
separato giudizio civile stravolgeva la qualità della questione di legittimazione della parte civile posta
e risolveva in questioni di merito questioni che investivano a monte la legittimazione all'esercizio
della azione civile.


2) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle
obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata
la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma
anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro
dotazione; per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale
dell'ispettore T. dello S. e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo
valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione
al precetto dell'art. 10 del DPR 164/1956. Il ricorrente B. censurava la mancata considerazione della
pienezza della prova circa le sue direttive continuamente indirizzate a imporre fuso delle cinture e
della prova relativa alla sua assenza dal cantiere nel momento della precipitazione del P. Il lucernario
nel quale il lavoratore era caduto era coperto sicché non c'era prima del sinistro apertura da
cautelare ai sensi dell'art. 68 DPR 164/1956. Improvvisa e imprevedibile era stata la violazione da
parte dell'infortunato delle prescrizioni circa l'uso della cintura.


M.M. denunzia:


1) violazione di legge ex art. 606 co. 1 lett e) cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente
illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della
costituzione di parte civile del consorzio familiare Be, che incontestatamente aveva accolto il I.I.P. per
ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi
fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. (lavoratore privo di permesso di soggiorno)
l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a
risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto
gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi
qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e
nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Be., nessun danno attuale
era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano
affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di
avviare una attività in proprio con uno dei Be. (A.).


Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza relative al rapporto tra condanna generica al
risarcimento del danna assunta in sede penale e separato giudizio civile stravolgeva la qualità della
questione di legittimazione della parte civile posta e risolveva in questioni di merito questioni che
investivano a monte la legittimazione all'esercizio della azione civile.


2) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle
obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata
la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma
anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro
dotazione; per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale
dell'ispettore T. dello S. e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo
valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione
al precetto dell'art. 10 del DPR 164/1956.


3) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp sotto i profili della illogicità manifesta e
dell'assenza di motivazione in relazione alla mancata considerazione quale causa di esclusione di
responsabilità della esistenza di valida delega di funzioni per la tutela della sicurezza e della salute
dei lavoratori conferita al B. che al di là della delega gestiva anche in linea di fatto il cantiere
provvedeva ai presidi antinfortunistici e vigilava sul loro impiego.
Di fronte a così complessa delega di funzioni e alla implicita dotazione di necessarie risorse
economiche non accompagnata da alcuna ingerenza di fatto del M., la sentenza di appello doveva
escludere la responsabilità del M. per causa della sola sua posizione apicale. Giusto il tenore letterale
del Piano Operativo di Sicurezza ancora esibito in sede di legittimità e attestante il poteri del B. e la
ampiezza della delega a lui conferita.


I ricorsi erano decisi all'udienza del giorno 1 Febbraio 2012 dopo il compimento degli incombenti
stabiliti dal codice di rito.



                                                  Diritto




La censura proposta dall'uno e dall'altro ricorrente in ordine alla conferma della ordinanza ammissiva
della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. non ha fondamento sotto alcun profilo e
deve essere rigettata.


In linea generale Cass. pen. Sez. V, (ud. 05-06-2008) 24-09-2008, n. 36657 ha ribadito il principio,
anch'esso da tempo consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui per la
pronuncia di una condanna generica al risarcimento dei danni in favore della vittima del reato non si
richiede alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile, sufficiente essendo accertare
la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e l'esistenza di un nesso di causalità fra questo e il
pregiudizio lamentato (Cass. 19 ottobre 2000, Mattioli e altri; Cass. 19 gennaio 1993, Bonaga). La
decisione impugnata che di tale principio ha fatto uso è esente da ogni censura già sotto questo
primo profilo. In linea ancora generale è da ritenere legittima la costituzione di parte civile nel
processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la
vittima del reato come il figlio della moglie di quest'ultimo, al fine di ottenere il risarcimento dei
danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di "affectio familiaris" può
comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost. sub specie di
intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art.2059 cod. civ. mentre
è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali.


In linea specifica la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. Sez. IlI, 29-04-2005, n. 8976; Cass. civ.
Sez. IlI 29/4/2005 n. 8976) ) ha anche affermato la risarcibilità del danno subito da persona
convivente derivatogli (quale vittima secondaria) dalla lesione materiale cagionata alla persona con la
quale convive dalla condotta illecita del terzo e ha collegato tale danno alla provata turbativa
dell'equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato mediante una comunanza di vita e di affetti, con
vicendevole assistenza materiale e morale.


La sentenza impugnata accertato il rapporto di convivenza con il lavoratore in attualità di guadagno,
(rapporto esplicitamente ritenuto esistente dagli stessi ricorsi per cassazione - pg 5 di ciascun ricorso
-) ha correttamente applicato i principi più sopra riassunti nel loro profilo patrimoniale e affettivo, e
ha ben ritenuto che Be.F.S., P.E. e Be.A.C. fossero legittimati a costituirsi parte civile contro i
responsabili della morte di I.P. partecipe di quel consorzio familiare.


Anche la censura relativa al vizio di motivazione in relazione al dedotto mancato assolvimento delle
obbligazioni antinfortunistiche è comune ai due ricorsi. Anche tale censura non ha fondamento
alcuno e deve essere rigettata. I ricorrenti sostanzialmente richiedono un nuovo e non consentito
accertamento in fatto tra l'altro ignorando lo specifico accertamento di sentenza secondo il quale le
funi di trattenuta per l'aggancio delle cinture di sicurezza rappresentate nelle fotografie acquisite agi
atti, erano state installate solo dopo l'infortunio in forza delle prescrizioni impartite dall'ente
competente, mentre la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa, non risultava ancorata ad
alcun punto fisso, e dunque non costituiva in nessun modo ancoraggio sicuro per le cinture. La
motivazione impugnata si è motivatamente soffermata sulla inesistenza di altri validi punti di
aggancio (la balaustra gialla ecc.).

La motivazione impugnata si presenta dunque con i caratteri della compiutezza e della coerenza, è
priva di discontinuità argomentative e di contraddizioni, apodissi, aporie. La motivazione
concretamente articolata rende superflue le argomentazioni relative alle disposizioni circa l'obbligo
d'impiego delle cinture, perché evidenzia una condizione strutturale di non utile agganciabilità delle
cinture che vanificava sia la fornitura che l'ipotetico ordine d'impiego delle stesse cinture. I denunziati
VIZI di motivazione non sono in modo alcuno ravvisabili.


Il ricorso del M. propone una ulteriore censura (la terza) per denunziare vizi di motivazione sotto i
profili della illogicità manifesta e della mancanza totale di motivazione in punto di conseguenze della
esistenza (non rilevata dalla sentenza) di valida delega di funzioni tale da trasferire sul delegato ogni
responsabilità derivante dalle norme antinfortunistiche.


Anche questa terza censura non ha fondamento, posto che la censura non investe specificamente la
motivazione ( ben presente in contrasto con quanto sostenuto dal motivo di censura) dedicata dalla
sentenza impugnata alla questione. La sentenza impugnata con accertamento di fatto logico e
coerente e non suscettibile di ulteriore rielaborazione in sede di legittimità ha individuato nella
documentazione offerta dal M. una delega di responsabilità penali in danno del B. e ha ritenuto non
delegabile la responsabilità penale. La motivazione si è completata con l'ulteriore accertamento in
fatto secondo il quale la documentazione prodotta non consentiva di ritenere che al delegato per la
sicurezza fosse stata fornita una dotazione di mezzi finanziari per provvedere in autonomia alla
realizzazione dei compiti di sicurezza affidati. La decisione è pienamente conforme a tutti i principi
costantemente somministrati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte. In conclusione i ricorsi
devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati, ciascuno, al pagamento delle spese
processuali.




                                                 P.Q.M.




Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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13 cassazione penale 08 novembre 2012 n. 43434 - lavoratore privo di cinture di sicurezza e altri dispositivi anticaduta infortunio mortale

  • 1. Cassazione Penale, 08 novembre 2012, n. 43434 - Lavoratore privo di cinture di sicurezza e altri dispositivi anticaduta: infortunio mortale Venerdì 09 Novembre 2012 16:07 Cassazione Penale, 08 novembre 2012, n. 43434 - Lavoratore privo di cinture di sicurezza e altri dispositivi anticaduta: infortunio mortale Delega di Funzione Dispositivo di Protezione Individuale Responsabilità dell'amministratore unico di una srl (M.) e del responsabile di cantiere della stessa società (B.) per aver consentito al lavoratore P.I., privo delle cinture di sicurezza, fornite ma non utilizzabili, e privo di presidi di trattenuta o di altri dispostivi anticaduta, di operare sul tetto di un capannone dove insistevano cavi e altro materiale e un lucernario non coperto, nel vano del quale il lavoratore era precipitato per circa otto metri conseguendo le lesioni che lo avevano condotto a morte. Condannati, ricorrono in Cassazione - Rigetto. I ricorrenti sostanzialmente richiedono un nuovo e non consentito accertamento in fatto tra l'altro ignorando lo specifico accertamento di sentenza secondo il quale le funi di trattenuta per l'aggancio delle cinture di sicurezza rappresentate nelle fotografie acquisite agi atti, erano state installate solo dopo l'infortunio in forza delle prescrizioni impartite dall'ente competente, mentre la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa, non risultava ancorata ad alcun punto fisso, e dunque non costituiva in nessun modo ancoraggio sicuro per le cinture. La motivazione impugnata si è motivatamente soffermata sulla inesistenza di altri validi punti di aggancio (la balaustra gialla ecc.). La motivazione impugnata si presenta dunque con i caratteri della compiutezza e della coerenza, è priva di discontinuità argomentative e di contraddizioni, apodissi, aporie. Il ricorso del M. propone una ulteriore censura riguardante una presunta valida delega di funzioni tale da trasferire sul delegato ogni responsabilità derivante dalle norme antinfortunistiche. La sentenza impugnata con accertamento di fatto logico e coerente e non suscettibile di ulteriore rielaborazione in sede di legittimità ha individuato nella documentazione offerta dal M. una delega di responsabilità penali in danno del B. e ha ritenuto non delegabile la responsabilità penale. La motivazione si è completata con l'ulteriore accertamento in fatto secondo il quale la documentazione prodotta non consentiva di ritenere che al delegato per la sicurezza fosse stata fornita una dotazione di mezzi finanziari per provvedere in autonomia alla realizzazione dei compiti di sicurezza affidati.
  • 2. Fatto La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Treviso che aveva ritenuto i due imputati M. ( amministratore unico della società G.W. srl) e B. ( responsabile di cantiere della stessa società) responsabili del delitto di omicidio colposo per un infortunio mortale verificatosi il 20/6/2007 in occasione e a causa di prestazione di lavoro subordinato, a loro addebitato, e li aveva condannati, attribuite le attenuanti generiche, alle pene ritenute congrue (e sospese ex art. 163 cp.) oltre che al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e, per quanto rileva rispetto ai ricorsi proposti, in favore di E.P. madre del lavoratore morto, nonché dei componenti del gruppo familiare Be. entro il quale il P. di fatto era stato accolto come componente. L'addebito investiva i due imputati nelle loro rispettive qualità perché avevano consentito al lavoratore P.I., privo delle cinture di sicurezza, fornite ma non utilizzabili, e privo di presidi di trattenuta o di altri dispostivi anticaduta, di operare sul tetto di un capannone dove insistevano cavi e altro materiale e un lucernario non coperto, nel vano del quale il lavoratore era precipitato per circa otto metri conseguendo le lesioni che lo avevano condotto a morte. La sentenza di appello affermava la risarcibilità del danno cagionato da reato ai componenti di una stabile convivenza quale che sia il tipo di legame sul quale la convivenza si regge e affermava ancora la piena responsabilità degli imputati per l'omicidio colposo ad essi addebitato con riguardo alla condizione della superficie ove si svolgeva il lavoro; alla accertata assenza di punti di aggancio per le cinture di sicurezza; alla verificata assenza di delega delle responsabilità per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Contro la sentenza di appello propongono due distinti ricorsi per cassazione gli imputati i quali denunziano: A.B. ( responsabile di cantiere della stessa società) denunzia: 1) violazione di legge ex art. 606 co. 1 lett e) cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. che incontestatamente aveva accolto il I.I.P. per ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. (lavoratore privo di permesso di soggiorno) l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Be., nessun danno attuale era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di avviare una attività in proprio con uno dei B. (A.). Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza relative al rapporto tra condanna generica al risarcimento del danno assunta in sede penale e separato giudizio civile stravolgeva la qualità della questione di legittimazione della parte civile posta e risolveva in questioni di merito questioni che investivano a monte la legittimazione all'esercizio della azione civile. 2) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata
  • 3. la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro dotazione; per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale dell'ispettore T. dello S. e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione al precetto dell'art. 10 del DPR 164/1956. Il ricorrente B. censurava la mancata considerazione della pienezza della prova circa le sue direttive continuamente indirizzate a imporre fuso delle cinture e della prova relativa alla sua assenza dal cantiere nel momento della precipitazione del P. Il lucernario nel quale il lavoratore era caduto era coperto sicché non c'era prima del sinistro apertura da cautelare ai sensi dell'art. 68 DPR 164/1956. Improvvisa e imprevedibile era stata la violazione da parte dell'infortunato delle prescrizioni circa l'uso della cintura. M.M. denunzia: 1) violazione di legge ex art. 606 co. 1 lett e) cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be, che incontestatamente aveva accolto il I.I.P. per ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. (lavoratore privo di permesso di soggiorno) l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Be., nessun danno attuale era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di avviare una attività in proprio con uno dei Be. (A.). Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza relative al rapporto tra condanna generica al risarcimento del danna assunta in sede penale e separato giudizio civile stravolgeva la qualità della questione di legittimazione della parte civile posta e risolveva in questioni di merito questioni che investivano a monte la legittimazione all'esercizio della azione civile. 2) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro dotazione; per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale dell'ispettore T. dello S. e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione al precetto dell'art. 10 del DPR 164/1956. 3) Vizio di motivazione ex art. 606 co. 1 lett e) cpp sotto i profili della illogicità manifesta e dell'assenza di motivazione in relazione alla mancata considerazione quale causa di esclusione di responsabilità della esistenza di valida delega di funzioni per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori conferita al B. che al di là della delega gestiva anche in linea di fatto il cantiere provvedeva ai presidi antinfortunistici e vigilava sul loro impiego.
  • 4. Di fronte a così complessa delega di funzioni e alla implicita dotazione di necessarie risorse economiche non accompagnata da alcuna ingerenza di fatto del M., la sentenza di appello doveva escludere la responsabilità del M. per causa della sola sua posizione apicale. Giusto il tenore letterale del Piano Operativo di Sicurezza ancora esibito in sede di legittimità e attestante il poteri del B. e la ampiezza della delega a lui conferita. I ricorsi erano decisi all'udienza del giorno 1 Febbraio 2012 dopo il compimento degli incombenti stabiliti dal codice di rito. Diritto La censura proposta dall'uno e dall'altro ricorrente in ordine alla conferma della ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. non ha fondamento sotto alcun profilo e deve essere rigettata. In linea generale Cass. pen. Sez. V, (ud. 05-06-2008) 24-09-2008, n. 36657 ha ribadito il principio, anch'esso da tempo consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui per la pronuncia di una condanna generica al risarcimento dei danni in favore della vittima del reato non si richiede alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile, sufficiente essendo accertare la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e l'esistenza di un nesso di causalità fra questo e il pregiudizio lamentato (Cass. 19 ottobre 2000, Mattioli e altri; Cass. 19 gennaio 1993, Bonaga). La decisione impugnata che di tale principio ha fatto uso è esente da ogni censura già sotto questo primo profilo. In linea ancora generale è da ritenere legittima la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato come il figlio della moglie di quest'ultimo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di "affectio familiaris" può comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'art. 2 Cost. sub specie di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex art.2059 cod. civ. mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali. In linea specifica la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. Sez. IlI, 29-04-2005, n. 8976; Cass. civ. Sez. IlI 29/4/2005 n. 8976) ) ha anche affermato la risarcibilità del danno subito da persona convivente derivatogli (quale vittima secondaria) dalla lesione materiale cagionata alla persona con la quale convive dalla condotta illecita del terzo e ha collegato tale danno alla provata turbativa dell'equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato mediante una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale. La sentenza impugnata accertato il rapporto di convivenza con il lavoratore in attualità di guadagno, (rapporto esplicitamente ritenuto esistente dagli stessi ricorsi per cassazione - pg 5 di ciascun ricorso -) ha correttamente applicato i principi più sopra riassunti nel loro profilo patrimoniale e affettivo, e ha ben ritenuto che Be.F.S., P.E. e Be.A.C. fossero legittimati a costituirsi parte civile contro i responsabili della morte di I.P. partecipe di quel consorzio familiare. Anche la censura relativa al vizio di motivazione in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche è comune ai due ricorsi. Anche tale censura non ha fondamento
  • 5. alcuno e deve essere rigettata. I ricorrenti sostanzialmente richiedono un nuovo e non consentito accertamento in fatto tra l'altro ignorando lo specifico accertamento di sentenza secondo il quale le funi di trattenuta per l'aggancio delle cinture di sicurezza rappresentate nelle fotografie acquisite agi atti, erano state installate solo dopo l'infortunio in forza delle prescrizioni impartite dall'ente competente, mentre la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa, non risultava ancorata ad alcun punto fisso, e dunque non costituiva in nessun modo ancoraggio sicuro per le cinture. La motivazione impugnata si è motivatamente soffermata sulla inesistenza di altri validi punti di aggancio (la balaustra gialla ecc.). La motivazione impugnata si presenta dunque con i caratteri della compiutezza e della coerenza, è priva di discontinuità argomentative e di contraddizioni, apodissi, aporie. La motivazione concretamente articolata rende superflue le argomentazioni relative alle disposizioni circa l'obbligo d'impiego delle cinture, perché evidenzia una condizione strutturale di non utile agganciabilità delle cinture che vanificava sia la fornitura che l'ipotetico ordine d'impiego delle stesse cinture. I denunziati VIZI di motivazione non sono in modo alcuno ravvisabili. Il ricorso del M. propone una ulteriore censura (la terza) per denunziare vizi di motivazione sotto i profili della illogicità manifesta e della mancanza totale di motivazione in punto di conseguenze della esistenza (non rilevata dalla sentenza) di valida delega di funzioni tale da trasferire sul delegato ogni responsabilità derivante dalle norme antinfortunistiche. Anche questa terza censura non ha fondamento, posto che la censura non investe specificamente la motivazione ( ben presente in contrasto con quanto sostenuto dal motivo di censura) dedicata dalla sentenza impugnata alla questione. La sentenza impugnata con accertamento di fatto logico e coerente e non suscettibile di ulteriore rielaborazione in sede di legittimità ha individuato nella documentazione offerta dal M. una delega di responsabilità penali in danno del B. e ha ritenuto non delegabile la responsabilità penale. La motivazione si è completata con l'ulteriore accertamento in fatto secondo il quale la documentazione prodotta non consentiva di ritenere che al delegato per la sicurezza fosse stata fornita una dotazione di mezzi finanziari per provvedere in autonomia alla realizzazione dei compiti di sicurezza affidati. La decisione è pienamente conforme a tutti i principi costantemente somministrati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati, ciascuno, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.