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SITUAZIONE POLITICA DEL VENEZUELA
Una terra di meraviglie naturali, ricca di risorse naturali e riserve petrolifere, il Venezuela
è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina. Negli ultimi anni, una crescente
crisi economica e finanziaria ha reso il Paese uno degli Stati più poveri al mondo, quasi
sull’orlo della bancarotta: dal 2014, oltre 4 milioni di venezuelani sono stati costretti
a lasciare il Paese e la diaspora venezuelana è la più estesa dell’America Latina e oggi è
seconda soltanto a quella siriana.
ANTEFATTO
Il Venezuela dispone della più grande riserva di petrolio al mondo e fin dagli inizi del
1900 è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina e a differenza degli stati confinanti,
negli anni ’50 e ’60 ha beneficiato di una democrazia relativamente solida. In
quegli anni, il Venezuela è un fornitore stabile degli Stati Uniti, le cui compagnie aprono
pozzi petroliferi e contribuiscono a formare ingegneri locali.
Quando nel 1960 il Venezuela era tra i Paesi fondatori dell’OPEC1
, produceva oltre il 10%
del petrolio mondiale e il suo PIL raggiungeva quasi quello degli Stati Uniti.
Erano gli anni in cui la più grande risorsa naturale del Venezuela, era sostanzialmente
controllata da stranieri, soprattutto società americane (ESSO) e britanniche (BP). Per
evitare lo sfruttamento estero, nel 1976 il petrolio venezuelano viene nazionalizzato
con la creazione della compagnia statale PDVSA.
1
Organization of the Petroleum Exporting Countries
Nazionalizzazione del petrolio
Durante gli anni ’80, il crollo del prezzo del greggio
spinse il presidente Carlos Perez a lanciare una
serie di riforme neoliberali che nel 1989 scatenano
un’ondata di violente proteste. Dopo due tentativi
di colpo di stato, l’empeachment e l’arresto di Perez con
l’accusa di corruzione, nel dicembre 1998 viene eletto
Hugo Chavez.
Chavez vince grazie a una proposta umanista e
populista, che va a toccare il cuore delle persone: per la prima volta, Chavez era riuscito a
rendere visibili coloro che erano sempre stati invisibili e, in qualche modo, ignorati.
“Giuro per il mio popolo e per la mia patria, che né le
mie braccia, né la mia anima riposeranno, nella
costruzione di un nuovo sistema politico, un nuovo sistema
sociale, un nuovo sistema economico. Lo giuro su Cristo,
il più grande socialista della Storia. Patria, socialismo o
morte! Lo giuro!”
Queste furono le sue parole alla presa dell’incarico di
presidenza. Durante il suo mandato, ha portato avanti
una serie di politiche sempre più populiste,
destinate ad aiutare la popolazione più vulnerabile ma
anche ad ottenere ulteriore consenso politico e sostegno
pubblico; dotato di grande carisma, Chavez guadagna
consensi sia in patria che all’estero: la sua
“rivoluzione bolivariana”, che prevedeva programmi
di alfabetizzazione, alloggi popolari, assistenza
sanitaria gratuita e sovvenzioni alimentari, era interamente finanziata dal petrolio.
Tuttavia, quando il prezzo del greggio tornò a salire nei primi anni del 2000, tornò alla
politica precedente, vincolata al petrolio e tutto andò bene finchè il prezzo rimase alto,
ma le entrate non vennero mai messe da parte nell’evenienza in cui il prezzo
fosse calato. Il fatto fu che Chavez propose un piano di diversificazione degli
investimenti, per poi tornare a un modello che aveva già fallito molte volte.
Presidente Carloz Perez
Giuramento di Chavez
Chavez e Maradona
DUE PRESIDENTI
La morte di Chavez, nel marzo 2013, e il declino della rivoluzione bolivariana hanno
simbolicamente chiuso i due decenni di governi di
sinistra in America Latina, la cosiddetta “onda rosa”.
La fase post-carismatica del chavismo, che coincide
anche con la fine della ricchezza portata dal petrolio è
ben rappresentata dall’elezione di Nicholas Maduro.
Quella di Chavez era un’eredità difficile da raccogliere e
per consolidare alcuni dei cambiamenti progressisti che
aveva introdotto, Maduro avrebbe dovuto intraprendere
delle azioni piuttosto radicali.
Ex-autista di autobus di 57 anni, ex-guardia del corpo e sindacalista che ha trascorso gran
parte della sua vita in politica, Maduro era l’alleato più fedele di Chavez e suo
successore designato. Quando viene eletto nel 2013, con un margine di pochi voti, deve
subito affrontare enormi sfide: mantenere viva la rivoluzione bolivariana, gestire la pressione
internazionale contro la sua politica e impedire al Venezuala di sprofondare nel caos: ci si
aspettava che sarebbe intervenuto sull’economia liberalizzando i tassi di cambio
e di interesse ma ciò non accadde.
Nel 2015, il partito socialista di Maduro perde il controllo dell’Assemblea Nazionale alle
elezioni parlamentari. Nel 2017, dopo un’elezione boicottata dall’opposizione, Maduro
convoca l’Assemblea Nazionale Costituente, una sorta di parlamento parallelo che
spoglia l’Assemblea Nazionale di ogni suo potere: in tal modo, è come se lo Stato fosse
stato smantellato.
Secondo gli economisti, il
Venezuela sta attraversando
il più grande disastro
economico in un periodo di
pace degli ultimi 45 anni: simili
livelli di devastazione sono
paragonabili solo a quelli della
Siria durante la guerra civile.
Maduro al funerale di Chavez
Secondo alcune stime, l’inflazione arriverà a toccare i 4mln di punti percentuale. La
maggior parte dei venezuelani vive al di sotto della soglia di povertà e il salario minimo
fissato dal governo a 40.000 bolivar vale meno di 2€ al mese: non è sufficiente nemmeno ad
acquistare un chilo di carne o una confezione di uova.
Nel 2018, Maduro vince nuovamente le elezioni, nonostante una scarsa affluenza alle urne e
una controversa campagna elettorale boicottata nuovamente dall’opposizione; nel gennaio
2019, l’Assemblea Nazionale chiede nuove elezioni definendo le precedenti, una
frode: secondo la Costituzione venezuelana, in tali circostanze, il presidente dell’Assemblea
Nazionale diventa il Capo di Stato provvisorio ma ciononostante, il 10 gennaio 2019, Maduro
presta giuramento per un secondo mandato.
In risposta, il 23 gennaio Juan Guaidò giura come presidente ad interim.
“Davanti a Dio onnipotente, giuro di assumere formalmente i poteri dell’esecutivo nazionale
come Presidente ad interim del Venezuela.”
Allo stato attuale dunque, il Venezuela è l’unico Paese al mondo con due parlamenti
e due presidenti. Guaidò ha invitato a tutte le forze sociali e politiche a fare fronte comune
per la lotta per la democrazia e la libertà.
Nel febbraio 2019, il popolo venezuelano scese
in strada chiedendo le dimissioni di Maduro:
durante gli scontri ci furono oltre 280 feriti e
14 morti. In ogni caso, nonostante i molti
anni di crisi economica, gran parte della
popolazione, soprattutto nei barrios più
poveri, resta fedele agli ideali
bolivariani.
Secondo mandato di Maduro e giuramento di Guaidò
SANZIONI AMERICANE
La crisi venezuelana è stata alimentata da un crescente embargo economico imposto
negli ultimi anni dagli Stati Uniti; questi, iniziarono ad imporre sanzioni al Venezuela
col presidente Barack Obama, sebbene questi fossero state indirizzate a singoli
individui; quelle del presidente Donald Trump coinvolgono il settore finanziario
dell’intero Venezuela e dal gennaio 2019 anche quello petrolifero ed energetico,
con la scusa che il petrolio venezuelano è gestito da un regime corrotto e che debba ritornare
nelle mani del popolo. Nel caso in cui queste sanzioni non vengano rispettate, il governo
americano si avvale del deterrente militare.
La strategia, dunque, è quella di fare
delle pressioni, promettendo un
futuro migliore e ponendo le
condizioni per arrivarci, sebbene finora
questa strategia non ha mai avuto successo
con nessuno dei Paesi in cui si è tentato
questo approccio, che sia il Venezuela, la
Corea del Nord, l’Iran, la Palestina, l’Iraq,
la Libia, Cuba: recenti sondaggi accademici dimostrano che la percentuale di successo si
aggira intorno al 4% dei casi.
L’attuale inasprimento delle sanzioni ha reso impossibile per il Paese operare sui mercanti
finanziari internazionali per pagare i propri debiti, vendere petrolio o accedere alle riserve
auree conservate in banche estere. Se non ci fosse una guerra economica o un blocco
finanziario, e nessun tipo di sanzione, non ci sarebbe questo problema.
Consentendo al Venezuela di acquistare e vendere come chiunque altro si potrebbe correggere
la situazione ma finché le sanzioni non verranno revocate, le banche non correranno
rischi e nemmeno gli investitori, che rivolgeranno altrove le proprie attenzioni.
Secondo un rapporto degli economisti americano Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, le sanzioni
statunitensi hanno avuto un impatto disastroso sulla popolazione civile e non sul
governo; dal 2017 al 2018, c’è stato un aumento della mortalità del 31%, oltre 40.000
morti e più di 300.000 persone sono state ritenute a rischio a causa dell’impossibilità di
accedere ai medicinali o alle cure. Stando a tali dati, dunque, le sanzioni rientrano nella
definizione di “Punizione Collettiva” come previsto dalla convenzione di Ginevra.
SCHIERAMENTI POLITICI
L’autoproclamazione di Juan Guaidò e il suo riconoscimento da parte degli Stati Uniti, hanno
trasformato la crisi venezuelana in una questione internazionale: la crisi ha spinto le
superpotenze mondiali verso una nuova Guerra Fredda.
Gli Stati Uniti, in effetti, hanno il pretesto che, una volta che Maduro sarà stato sconfitto,
le risorse andranno al popolo venezuelano e non ad altri Stati che hanno interessi
economici nel Paese, quali Cuba, Russia o Iran. A causa, quindi, della lunga rivalità
tra Stati Uniti e Russia, il Venezuela è diventato un nuovo terreno di battaglia tra queste
due superpotenze mondiali.
Cinquanta Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, gran parte dell’Europa, Giappone,
Australia, gran parte dell’America Latina, hanno riconosciuto Guaidò come presidente
ad interim, mentre Cina, Russia, Cuba, Iran, Messico, Sudafrica e Turchia,
continuano a sostenere Maduro. Sono soprattutto tre, i Paesi con un ruolo attivo nei
confronti di Maduro:
• Russia, che sembra avere dei consiglieri militari in Venezuela
• Cina che ha interessi economici e accordi stretti fin dai tempi di Chavez
• Cuba, che ha beneficiato dell’esportazione di petrolio gratuito o molto
economico in cambio di medici, operatori sanitari, consiglieri militari e di sicurezza.
Maduro in accordo con Putin
Tutte le prove raccolte dimostrano la presenza di migliaia di agenti venezuelani sul territorio
cubano e questo è uno dei motivi per cui Maduro possa ancora controllare l’esercito.
D’altra parte, Caracas deve alla Russia circa 3.5 miliardi di dollari, ma l’interesse di
Mosca per il Venezuela non è solo economico: i consiglieri russi si trovano in Venezuela
perché la Russia ritiene che la loro presenza possa essere usata per fare pressioni
su Washington e per negoziare alcuni benefici per la propria nazione.
A chiudere il cerchio, la Cina, che ha interessi in
Venezuela fin dal 2001: il Paese ha investito
considerevolmente e un cambiamento di
regime potrebbe rappresentare un
pericolo per le aziende cinesi, in quanto un
nuovo governo potrebbe preferire delle relazioni
economiche con gli Stati Uniti e terminare gli
accordi con la Cina.
Il Vicedirettore del Dipartimenti di Informazione del Ministero degli Affari Esteri cinese,
Geng Shuang, afferma che la Cina sostiene il principio di non interferenza negli
affari interni di altri Paesi, e si dimostra contraria a sanzioni che complicano solo le cose
senza aiutare a risolvere i problemi pratici.
Maduro e Xi Jinping
Tuttavia, il governo ad interim sta cercando fin da ora di stabilire dei rapporti con la
Cina perché gli Stati Uniti, alla caduta di Maduro, potrebbero non essere in grado di
stabilizzare il Venezuela come sperato attraverso le loro risorse, e assicurare il sostegno
finanziario che invece Pechino sta già fornendo. Il Venezuela, ciononostante, ha già
un debito con la Cina di oltre 20 miliardi di dollari e i cinesi, dal canto loro, sono interessati
al petrolio dei venezuelani, i quali ne producono circa 130.000 barili al giorno, stando ai
conteggi del 2019: per la Cina, dunque, non si tratta di una partita geopolitica ma
di una vera e propria corsa all’energia.
Per gli Stati Uniti, la presenza cinese in America Latina, cresciuta dopo la crisi debitoria del
2007/2008, è percepita come un’enorme minaccia. Il governo di Trump, inoltre, vorrebbe
anche Iran e Cuba fuori da Caracas. Il motivo è che gli Stati Uniti hanno passato gli ultimi
settant’anni tentando di ostacolare il socialismo, il comunismo e altre iterazioni di
sinistra in casa propria. Il Venezuela, dunque, è vittima sia del suo stesso petrolio che
della dottrina Monroe2
, la quale assegna agli Stati Uniti il potere assoluto di regolare
governi, relazioni e società degli Stati all’interno della sua area di influenza.
Il motivo, inoltre, per cui Trump non ha schierato alcuna presenza militare è da additarsi
sia alla presenza di altre forze nel Paese, sia perché egli teme una perdita di consensi in vista
della sua candidatura a secondo mandato.
2
Da James Monroe, che nel 1823 si oppose fermamente al colonialismo europeo nelle americhe.
IL RUOLO DELL’EUROPA
Gran parte dell’Europa è d’accordo con la strategia messa in atto dagli Stati Uniti. La scelta
su chi sostenere viene discussa a gennaio
2019: con 439 voti favorevoli, 104 contrari e
88 astenuti, il Parlamento europeo
approva una risoluzione che riconosce
il leader dell’opposizione venezuelana,
Juan Guaidò, come legittimo
presidente ad interim del Paese.
Non tutti i Paesi europei si sono schierati: dei 28 Paesi dell’Unione, Cipro, Slovacchia e Italia
non hanno ancora preso una posizione; l’Italia, in particolare, si è astenuta perché sotto la
pressione del Cremlino.
Nonostante le divisioni interne e vista l’urgenza della situazione, l’UE ha deciso di istituire
un gruppo di contatto internazionale con alcuni paesi dell’America Latina, per tentare
di giungere a una soluzione politica della crisi; allo stesso tempo, l’Europa ha
imposto delle sanzioni al Venezuela per quanto non severe quanto quelle statunitensi,
tra cui un embargo sulla vendita di armi, divieti di viaggio e il congelamento di beni di circa
18 funzionari: ciononostante, la questione continua a dividere l’Europa.
In generale, il ruolo svolto dall’Europa nel tentativo di alleviare la crisi venezuelana è stato
marginale: in un mondo dominato da superpotenze, una presenza più costruttiva del vecchio
continente, avrebbe potuto fare la differenza.
L’ESERCITO
Il 30 aprile 2019, Guaidò tenta di giocare il tutto e per tutto lanciando l’Operaciòn
Libertad, chiamando l’esercito a insorgere contro Maduro. Ottenere il sostegno
dell’esercito è fondamentale per Guaidò, data la sua importanza nella politica interna, ed è
per questo che è stata offerta l’amnistia per tutti i disertori.
Il primo obiettivo dei golpisti è stato quello
di impadronirsi dell’aeroporto di La Carlota,
una struttura militare nel centro di Caracas,
dove gli scontri iniziano già alle sette del
mattino. Il culmine si raggiunge a
mezzogiorno, quando un blindato investe
alcuni manifestanti: si registrano oltre 100
feriti e due vittime.
Al tramonto, è chiaro che il colpo sia stato un fiasco; il motivo principale del fallimento
è stato proprio il fatto che molti militari non abbiano disertato dal regime di
Maduro: il golpe, dunque, ha avuto più uno scopo mediatico che uno scopo sociale. Poteva
essere un risultato prevedibile, dato che un quarto dei ministeri (compreso quello degli
Interni, della Giustizia e della Difesa) è gestito dai militari, per non parlare dei settori
economici come la gestione petrolifera, mineraria e alimentare.
Diventa chiaro come essi non siano altro che l’ago della bilancia, che farà propendere le sorti
del conflitto da una parte o dall’altra e Maduro, per conservare il sostengo delle forze armate,
ha concesso loro enormi privilegi ed è per questo che ci sono veri e propri militari a
gestire il reparto statale. Allo stesso tempo, si è permessa una larga corruzione
all’interno del settore pubblico, i quali traggono a loro volta benefici dal traffico di
droga, estrazioni di petrolio non autorizzate, contrabbando, estorsioni, rapimenti.
È chiaro come, quindi, i membri dell’esercito non siano altro che una classe estremamente
privilegiata nel regime di Maduro.
DIALOGO TRA MADURO E OPPOSIZIONE
Diverse volte si sono offerte delle possibilità di dialogo tra le due forze: ne sono un esempio,
sia quello dell’ex-primo ministro spagnolo, Luiz Zapatero, e quello della Norvegia di
ospitare i negoziati nel maggio 2019.
La proposta arriva dallo stesso Maduro il 20 maggio
2019, con la proposizione di nuove elezioni: la proposta
non è stata accettata da Guaidò, che temeva
nuovi brogli e una nuova sconfitta, dal momento
che Maduro controlla sia il consiglio elettorale nazionale
sia l’esercito.
Una seconda occasione di colloqui la si è avuta alle Barbados, nel luglio 2019, durante il
quale gli Stati Uniti, a sorpresa, hanno annunciato nuove sanzioni per il Venezuela.
Dopo tale annuncio, Maduro sospende i negoziati e chiede al popolo di scendere in piazza.
Un altro golpe è stato tentato nel maggio 2020, senza successo.

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Situazione politica del Venezuela

  • 1. SITUAZIONE POLITICA DEL VENEZUELA Una terra di meraviglie naturali, ricca di risorse naturali e riserve petrolifere, il Venezuela è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina. Negli ultimi anni, una crescente crisi economica e finanziaria ha reso il Paese uno degli Stati più poveri al mondo, quasi sull’orlo della bancarotta: dal 2014, oltre 4 milioni di venezuelani sono stati costretti a lasciare il Paese e la diaspora venezuelana è la più estesa dell’America Latina e oggi è seconda soltanto a quella siriana. ANTEFATTO Il Venezuela dispone della più grande riserva di petrolio al mondo e fin dagli inizi del 1900 è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina e a differenza degli stati confinanti, negli anni ’50 e ’60 ha beneficiato di una democrazia relativamente solida. In quegli anni, il Venezuela è un fornitore stabile degli Stati Uniti, le cui compagnie aprono pozzi petroliferi e contribuiscono a formare ingegneri locali. Quando nel 1960 il Venezuela era tra i Paesi fondatori dell’OPEC1 , produceva oltre il 10% del petrolio mondiale e il suo PIL raggiungeva quasi quello degli Stati Uniti. Erano gli anni in cui la più grande risorsa naturale del Venezuela, era sostanzialmente controllata da stranieri, soprattutto società americane (ESSO) e britanniche (BP). Per evitare lo sfruttamento estero, nel 1976 il petrolio venezuelano viene nazionalizzato con la creazione della compagnia statale PDVSA. 1 Organization of the Petroleum Exporting Countries Nazionalizzazione del petrolio
  • 2. Durante gli anni ’80, il crollo del prezzo del greggio spinse il presidente Carlos Perez a lanciare una serie di riforme neoliberali che nel 1989 scatenano un’ondata di violente proteste. Dopo due tentativi di colpo di stato, l’empeachment e l’arresto di Perez con l’accusa di corruzione, nel dicembre 1998 viene eletto Hugo Chavez. Chavez vince grazie a una proposta umanista e populista, che va a toccare il cuore delle persone: per la prima volta, Chavez era riuscito a rendere visibili coloro che erano sempre stati invisibili e, in qualche modo, ignorati. “Giuro per il mio popolo e per la mia patria, che né le mie braccia, né la mia anima riposeranno, nella costruzione di un nuovo sistema politico, un nuovo sistema sociale, un nuovo sistema economico. Lo giuro su Cristo, il più grande socialista della Storia. Patria, socialismo o morte! Lo giuro!” Queste furono le sue parole alla presa dell’incarico di presidenza. Durante il suo mandato, ha portato avanti una serie di politiche sempre più populiste, destinate ad aiutare la popolazione più vulnerabile ma anche ad ottenere ulteriore consenso politico e sostegno pubblico; dotato di grande carisma, Chavez guadagna consensi sia in patria che all’estero: la sua “rivoluzione bolivariana”, che prevedeva programmi di alfabetizzazione, alloggi popolari, assistenza sanitaria gratuita e sovvenzioni alimentari, era interamente finanziata dal petrolio. Tuttavia, quando il prezzo del greggio tornò a salire nei primi anni del 2000, tornò alla politica precedente, vincolata al petrolio e tutto andò bene finchè il prezzo rimase alto, ma le entrate non vennero mai messe da parte nell’evenienza in cui il prezzo fosse calato. Il fatto fu che Chavez propose un piano di diversificazione degli investimenti, per poi tornare a un modello che aveva già fallito molte volte. Presidente Carloz Perez Giuramento di Chavez Chavez e Maradona
  • 3. DUE PRESIDENTI La morte di Chavez, nel marzo 2013, e il declino della rivoluzione bolivariana hanno simbolicamente chiuso i due decenni di governi di sinistra in America Latina, la cosiddetta “onda rosa”. La fase post-carismatica del chavismo, che coincide anche con la fine della ricchezza portata dal petrolio è ben rappresentata dall’elezione di Nicholas Maduro. Quella di Chavez era un’eredità difficile da raccogliere e per consolidare alcuni dei cambiamenti progressisti che aveva introdotto, Maduro avrebbe dovuto intraprendere delle azioni piuttosto radicali. Ex-autista di autobus di 57 anni, ex-guardia del corpo e sindacalista che ha trascorso gran parte della sua vita in politica, Maduro era l’alleato più fedele di Chavez e suo successore designato. Quando viene eletto nel 2013, con un margine di pochi voti, deve subito affrontare enormi sfide: mantenere viva la rivoluzione bolivariana, gestire la pressione internazionale contro la sua politica e impedire al Venezuala di sprofondare nel caos: ci si aspettava che sarebbe intervenuto sull’economia liberalizzando i tassi di cambio e di interesse ma ciò non accadde. Nel 2015, il partito socialista di Maduro perde il controllo dell’Assemblea Nazionale alle elezioni parlamentari. Nel 2017, dopo un’elezione boicottata dall’opposizione, Maduro convoca l’Assemblea Nazionale Costituente, una sorta di parlamento parallelo che spoglia l’Assemblea Nazionale di ogni suo potere: in tal modo, è come se lo Stato fosse stato smantellato. Secondo gli economisti, il Venezuela sta attraversando il più grande disastro economico in un periodo di pace degli ultimi 45 anni: simili livelli di devastazione sono paragonabili solo a quelli della Siria durante la guerra civile. Maduro al funerale di Chavez
  • 4. Secondo alcune stime, l’inflazione arriverà a toccare i 4mln di punti percentuale. La maggior parte dei venezuelani vive al di sotto della soglia di povertà e il salario minimo fissato dal governo a 40.000 bolivar vale meno di 2€ al mese: non è sufficiente nemmeno ad acquistare un chilo di carne o una confezione di uova. Nel 2018, Maduro vince nuovamente le elezioni, nonostante una scarsa affluenza alle urne e una controversa campagna elettorale boicottata nuovamente dall’opposizione; nel gennaio 2019, l’Assemblea Nazionale chiede nuove elezioni definendo le precedenti, una frode: secondo la Costituzione venezuelana, in tali circostanze, il presidente dell’Assemblea Nazionale diventa il Capo di Stato provvisorio ma ciononostante, il 10 gennaio 2019, Maduro presta giuramento per un secondo mandato. In risposta, il 23 gennaio Juan Guaidò giura come presidente ad interim. “Davanti a Dio onnipotente, giuro di assumere formalmente i poteri dell’esecutivo nazionale come Presidente ad interim del Venezuela.” Allo stato attuale dunque, il Venezuela è l’unico Paese al mondo con due parlamenti e due presidenti. Guaidò ha invitato a tutte le forze sociali e politiche a fare fronte comune per la lotta per la democrazia e la libertà. Nel febbraio 2019, il popolo venezuelano scese in strada chiedendo le dimissioni di Maduro: durante gli scontri ci furono oltre 280 feriti e 14 morti. In ogni caso, nonostante i molti anni di crisi economica, gran parte della popolazione, soprattutto nei barrios più poveri, resta fedele agli ideali bolivariani. Secondo mandato di Maduro e giuramento di Guaidò
  • 5. SANZIONI AMERICANE La crisi venezuelana è stata alimentata da un crescente embargo economico imposto negli ultimi anni dagli Stati Uniti; questi, iniziarono ad imporre sanzioni al Venezuela col presidente Barack Obama, sebbene questi fossero state indirizzate a singoli individui; quelle del presidente Donald Trump coinvolgono il settore finanziario dell’intero Venezuela e dal gennaio 2019 anche quello petrolifero ed energetico, con la scusa che il petrolio venezuelano è gestito da un regime corrotto e che debba ritornare nelle mani del popolo. Nel caso in cui queste sanzioni non vengano rispettate, il governo americano si avvale del deterrente militare. La strategia, dunque, è quella di fare delle pressioni, promettendo un futuro migliore e ponendo le condizioni per arrivarci, sebbene finora questa strategia non ha mai avuto successo con nessuno dei Paesi in cui si è tentato questo approccio, che sia il Venezuela, la Corea del Nord, l’Iran, la Palestina, l’Iraq, la Libia, Cuba: recenti sondaggi accademici dimostrano che la percentuale di successo si aggira intorno al 4% dei casi. L’attuale inasprimento delle sanzioni ha reso impossibile per il Paese operare sui mercanti finanziari internazionali per pagare i propri debiti, vendere petrolio o accedere alle riserve auree conservate in banche estere. Se non ci fosse una guerra economica o un blocco finanziario, e nessun tipo di sanzione, non ci sarebbe questo problema. Consentendo al Venezuela di acquistare e vendere come chiunque altro si potrebbe correggere la situazione ma finché le sanzioni non verranno revocate, le banche non correranno rischi e nemmeno gli investitori, che rivolgeranno altrove le proprie attenzioni. Secondo un rapporto degli economisti americano Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, le sanzioni statunitensi hanno avuto un impatto disastroso sulla popolazione civile e non sul governo; dal 2017 al 2018, c’è stato un aumento della mortalità del 31%, oltre 40.000 morti e più di 300.000 persone sono state ritenute a rischio a causa dell’impossibilità di accedere ai medicinali o alle cure. Stando a tali dati, dunque, le sanzioni rientrano nella definizione di “Punizione Collettiva” come previsto dalla convenzione di Ginevra.
  • 6. SCHIERAMENTI POLITICI L’autoproclamazione di Juan Guaidò e il suo riconoscimento da parte degli Stati Uniti, hanno trasformato la crisi venezuelana in una questione internazionale: la crisi ha spinto le superpotenze mondiali verso una nuova Guerra Fredda. Gli Stati Uniti, in effetti, hanno il pretesto che, una volta che Maduro sarà stato sconfitto, le risorse andranno al popolo venezuelano e non ad altri Stati che hanno interessi economici nel Paese, quali Cuba, Russia o Iran. A causa, quindi, della lunga rivalità tra Stati Uniti e Russia, il Venezuela è diventato un nuovo terreno di battaglia tra queste due superpotenze mondiali. Cinquanta Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, gran parte dell’Europa, Giappone, Australia, gran parte dell’America Latina, hanno riconosciuto Guaidò come presidente ad interim, mentre Cina, Russia, Cuba, Iran, Messico, Sudafrica e Turchia, continuano a sostenere Maduro. Sono soprattutto tre, i Paesi con un ruolo attivo nei confronti di Maduro: • Russia, che sembra avere dei consiglieri militari in Venezuela • Cina che ha interessi economici e accordi stretti fin dai tempi di Chavez • Cuba, che ha beneficiato dell’esportazione di petrolio gratuito o molto economico in cambio di medici, operatori sanitari, consiglieri militari e di sicurezza. Maduro in accordo con Putin
  • 7. Tutte le prove raccolte dimostrano la presenza di migliaia di agenti venezuelani sul territorio cubano e questo è uno dei motivi per cui Maduro possa ancora controllare l’esercito. D’altra parte, Caracas deve alla Russia circa 3.5 miliardi di dollari, ma l’interesse di Mosca per il Venezuela non è solo economico: i consiglieri russi si trovano in Venezuela perché la Russia ritiene che la loro presenza possa essere usata per fare pressioni su Washington e per negoziare alcuni benefici per la propria nazione. A chiudere il cerchio, la Cina, che ha interessi in Venezuela fin dal 2001: il Paese ha investito considerevolmente e un cambiamento di regime potrebbe rappresentare un pericolo per le aziende cinesi, in quanto un nuovo governo potrebbe preferire delle relazioni economiche con gli Stati Uniti e terminare gli accordi con la Cina. Il Vicedirettore del Dipartimenti di Informazione del Ministero degli Affari Esteri cinese, Geng Shuang, afferma che la Cina sostiene il principio di non interferenza negli affari interni di altri Paesi, e si dimostra contraria a sanzioni che complicano solo le cose senza aiutare a risolvere i problemi pratici. Maduro e Xi Jinping
  • 8. Tuttavia, il governo ad interim sta cercando fin da ora di stabilire dei rapporti con la Cina perché gli Stati Uniti, alla caduta di Maduro, potrebbero non essere in grado di stabilizzare il Venezuela come sperato attraverso le loro risorse, e assicurare il sostegno finanziario che invece Pechino sta già fornendo. Il Venezuela, ciononostante, ha già un debito con la Cina di oltre 20 miliardi di dollari e i cinesi, dal canto loro, sono interessati al petrolio dei venezuelani, i quali ne producono circa 130.000 barili al giorno, stando ai conteggi del 2019: per la Cina, dunque, non si tratta di una partita geopolitica ma di una vera e propria corsa all’energia. Per gli Stati Uniti, la presenza cinese in America Latina, cresciuta dopo la crisi debitoria del 2007/2008, è percepita come un’enorme minaccia. Il governo di Trump, inoltre, vorrebbe anche Iran e Cuba fuori da Caracas. Il motivo è che gli Stati Uniti hanno passato gli ultimi settant’anni tentando di ostacolare il socialismo, il comunismo e altre iterazioni di sinistra in casa propria. Il Venezuela, dunque, è vittima sia del suo stesso petrolio che della dottrina Monroe2 , la quale assegna agli Stati Uniti il potere assoluto di regolare governi, relazioni e società degli Stati all’interno della sua area di influenza. Il motivo, inoltre, per cui Trump non ha schierato alcuna presenza militare è da additarsi sia alla presenza di altre forze nel Paese, sia perché egli teme una perdita di consensi in vista della sua candidatura a secondo mandato. 2 Da James Monroe, che nel 1823 si oppose fermamente al colonialismo europeo nelle americhe.
  • 9. IL RUOLO DELL’EUROPA Gran parte dell’Europa è d’accordo con la strategia messa in atto dagli Stati Uniti. La scelta su chi sostenere viene discussa a gennaio 2019: con 439 voti favorevoli, 104 contrari e 88 astenuti, il Parlamento europeo approva una risoluzione che riconosce il leader dell’opposizione venezuelana, Juan Guaidò, come legittimo presidente ad interim del Paese. Non tutti i Paesi europei si sono schierati: dei 28 Paesi dell’Unione, Cipro, Slovacchia e Italia non hanno ancora preso una posizione; l’Italia, in particolare, si è astenuta perché sotto la pressione del Cremlino. Nonostante le divisioni interne e vista l’urgenza della situazione, l’UE ha deciso di istituire un gruppo di contatto internazionale con alcuni paesi dell’America Latina, per tentare di giungere a una soluzione politica della crisi; allo stesso tempo, l’Europa ha imposto delle sanzioni al Venezuela per quanto non severe quanto quelle statunitensi, tra cui un embargo sulla vendita di armi, divieti di viaggio e il congelamento di beni di circa 18 funzionari: ciononostante, la questione continua a dividere l’Europa. In generale, il ruolo svolto dall’Europa nel tentativo di alleviare la crisi venezuelana è stato marginale: in un mondo dominato da superpotenze, una presenza più costruttiva del vecchio continente, avrebbe potuto fare la differenza.
  • 10. L’ESERCITO Il 30 aprile 2019, Guaidò tenta di giocare il tutto e per tutto lanciando l’Operaciòn Libertad, chiamando l’esercito a insorgere contro Maduro. Ottenere il sostegno dell’esercito è fondamentale per Guaidò, data la sua importanza nella politica interna, ed è per questo che è stata offerta l’amnistia per tutti i disertori. Il primo obiettivo dei golpisti è stato quello di impadronirsi dell’aeroporto di La Carlota, una struttura militare nel centro di Caracas, dove gli scontri iniziano già alle sette del mattino. Il culmine si raggiunge a mezzogiorno, quando un blindato investe alcuni manifestanti: si registrano oltre 100 feriti e due vittime. Al tramonto, è chiaro che il colpo sia stato un fiasco; il motivo principale del fallimento è stato proprio il fatto che molti militari non abbiano disertato dal regime di Maduro: il golpe, dunque, ha avuto più uno scopo mediatico che uno scopo sociale. Poteva essere un risultato prevedibile, dato che un quarto dei ministeri (compreso quello degli Interni, della Giustizia e della Difesa) è gestito dai militari, per non parlare dei settori economici come la gestione petrolifera, mineraria e alimentare. Diventa chiaro come essi non siano altro che l’ago della bilancia, che farà propendere le sorti del conflitto da una parte o dall’altra e Maduro, per conservare il sostengo delle forze armate, ha concesso loro enormi privilegi ed è per questo che ci sono veri e propri militari a gestire il reparto statale. Allo stesso tempo, si è permessa una larga corruzione all’interno del settore pubblico, i quali traggono a loro volta benefici dal traffico di droga, estrazioni di petrolio non autorizzate, contrabbando, estorsioni, rapimenti. È chiaro come, quindi, i membri dell’esercito non siano altro che una classe estremamente privilegiata nel regime di Maduro.
  • 11. DIALOGO TRA MADURO E OPPOSIZIONE Diverse volte si sono offerte delle possibilità di dialogo tra le due forze: ne sono un esempio, sia quello dell’ex-primo ministro spagnolo, Luiz Zapatero, e quello della Norvegia di ospitare i negoziati nel maggio 2019. La proposta arriva dallo stesso Maduro il 20 maggio 2019, con la proposizione di nuove elezioni: la proposta non è stata accettata da Guaidò, che temeva nuovi brogli e una nuova sconfitta, dal momento che Maduro controlla sia il consiglio elettorale nazionale sia l’esercito. Una seconda occasione di colloqui la si è avuta alle Barbados, nel luglio 2019, durante il quale gli Stati Uniti, a sorpresa, hanno annunciato nuove sanzioni per il Venezuela. Dopo tale annuncio, Maduro sospende i negoziati e chiede al popolo di scendere in piazza. Un altro golpe è stato tentato nel maggio 2020, senza successo.