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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Scuola di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienze Politiche Sociali e Internazionali
Tesi di Laurea in Storia e Istituzione dell’Africa subsahariana
Politica regionale e internazionale della Tanzania
di Nyerere
CANDIDATO RELATORE
Francesco Bonomi Dott. Corrado Tornimbeni
SESSIONE II
ANNO ACCADEMICO 2013-2014
Indice
INTRODUZIONE…………………………………………………........... 2
CAPITOLO 1: LA GUERRA FREDDA E GLI ALBORI DELLA
DIPLOMAZIA…………………….…………………… 5
1.1 Breve quadro storico e politico internazionale
degli anni ’60 e ’70……………………………………...……………...5
1.2 Quadro storico regionale: la decolonizzazione in Africa
subsahariana……………………………………………………….….. 8
1.3 L’organizzazione delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale……….... 12
CAPITOLO 2: STORIA DELLA TANZANIA E DEL PRESIDENTE
NYERERE…………………………………….….......... 15
2.1 Il Tanganyika indipendente…………………………………............... 15
2.2 L’ideologia socialista di Nyerere………………………………….......19
2.3 L’influenza di altri pensatori………………………………………..... 23
CAPITOLO 3: LA TANZANIA E LE RELAZIONI
INTERNAZIONALI……………………………….…. 26
3.1 L’arena delle relazioni internazionali…………………...………….... 26
3.2 Gli istituti della diplomazia: l’Organizzazione
delle Nazioni Unite…………………………………….………….…. 29
3.3 Gran Bretagna: tra consuetudine e innovazione………….………….. 34
3.4 La guerra fredda e la politica dei blocchi……………………………. 38
3.5 Le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e gli investimenti
dell’USAID…………………………………………………….……. 40
3.6 Repubblica Popolare Cinese: relazioni economiche e diplomatiche… 45
CAPITOLO 4: GUIDA EGEMONE DELLA POLITICA
REGIONALE……………………………………..…… 50
4.1 La politica regionale di Nyerere e i rapporti con lo Zambia…………. 50
4.2 Il ruolo della Tanzania nell’Organizzazione dell’Unità Africana……. 53
4.3 Eastern African Community e rapporto con l’Uganda………….…… 59
CONCLUSIONI………………………………………………………… 63
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………... 65
Introduzione
L'oggetto centrale di questa tesi sono le politiche diplomatiche e le relazioni
internazionali concluse, promosse o ideate da Julius Nyerere, leader della Tanzania
indipendente e punto di riferimento dei movimenti di liberazione dell'Africa australe a
partire dai primi anni sessanta. Parlando di politiche diplomatiche non deve indicare
che si tratterà unicamente di statuti o trattati conclusi dalla Tanzania con altri stati o
con organizzazioni internazionali, ma altresì si tratterà anche di statement,
affermazioni e discorsi espressi dall'allora capo di stato della Tanzania, Nyerere, che
valgono come espressioni vere e proprie della politica estera del paese. Nelle relazioni
internazionali le affermazioni di un capo di stato hanno valore come i trattati e sono
espressione della politica che quello stesso stato promuoverà.
La legge interna è il mezzo con cui uno stato si relaziona con i suoi cittadini. Al
momento dell'indipendenza un stato sovrano avrà altri interlocutori con cui dialogare,
ovvero gli altri stati sovrani, in cui le caratteristiche rilevanti per aver voce in capitolo
sono, soprattutto, la forza militare e economica. Nonostante si ricorra alla diplomazia
per evitare la soluzione delle armi alle controversie internazionali, esse, le armi, sono
sempre presenti e ad esse si può sempre ricorrere. Stando questa premessa si sarebbe
portati a pensare che chi è forte economicamente e/o militarmente abbia maggiore
rilievo della diplomazia. L'affermazione è valida ma lungi dall'essere sempre corretta.
Nella diplomazia è rilevante anche il carisma degli uomini che la esprimono e da qui
muovo le prime motivazioni per cercare di rispondere al dilemma: perché la
Tanzania? Economicamente limitata e dipendente dall'assistenza finanziaria estera, la
Tanzania non aveva le caratteristiche per poter fare la voce grossa nella politica estera;
eppure, grazie al talento, al carisma e alla visione di Julius Nyerere, si ritagliò uno
spazio notevole nel tavolo delle relazioni diplomatiche. Uno spazio più grande di
quello che ci si potesse aspettare. Questa peculiarità rende la Tanzania di Nyerere
un'alternativa interessante a chi sostiene che la politica estera venga gestita dalle
potenze economiche e militari.
Non va dimenticato tuttavia che la diplomazia di Nyerere avviene durante la guerra
fredda, un periodo storico pregnante per le relazioni internazionali e di difficile lettura.
I nuovi stati che si affacciavano nelle relazioni internazionali, come gli stati africani
negli anni sessanta, diventarono terreno di scontro nella logica dei due blocchi
ideologici. A posteriori possiamo affermare che la Tanzania riuscì a ottenere con la
diplomazia uno spazio internazionale maggiore di quanto i suoi mezzi iniziali non le
permettessero, ma quello che mi motiva è chiedermi se e in che misura le logiche della
guerra fredda, e tutti gli attori internazionali che in esse operarono, hanno contribuito
a far sì che la Tanzania si ritagliasse tale spazio.
Trattandosi di uno studio limitato cronologicamente agli anni in cui Nyerere è stato la
guida del paese, la maggior parte delle fonti saranno testi bibliografici accademici
entro i quali ho rintracciato sezioni e paragrafi che trattano, in alcuni casi in maniera
estesa in altri marginalmente, dei rapporti della Tanzania con stati della medesima
regione, con stati di altri continenti e con organizzazioni internazionali, proseguendo
poi a visionare quelli che gli autori dei testi indicano a loro volta come fonti
bibliografiche per la stesura dei paragrafi stessi e procedendo a visionare queste nuove
fonti e ricominciando il setaccio di paragrafi pertinenti al tema. Trovano inoltre spazio
tra le fonti articoli accademici di riviste specializzate.
L'architettura che voglio dare a questo studio prevede una prima sezione in cui tento di
fornire un quadro generale, storico e politico, e una visione del fare diplomazia negli
anni sessanta e settanta. Parallelamente a questo un approfondimento della vita politica
ed economica della Tanzania agli albori del suo ciclo di stato indipendente. Nel
concludere la prima sezione tratterò della figura di Julius Nyerere, della sua ideologia e
dei suoi possibili precursori.
Lo scopo della prima sezione è presentare economicamente e politicamente gli attori
che andranno a relazionarsi mediante la diplomazia e la politica estera: la Tanzania e il
suo presidente da una parte e gli attori e gli enti internazionali dall'altra.
La seconda sezione tratta, mediante un criterio geografico, delle relazioni
internazionali che vedono coinvolta la Tanzania. Relazioni con stati sovrani con cui
sussisteranno rapporti di natura economica, politica o ideologica e con organizzazioni
internazionali, imprescindibili quando si affronta il tema della politica estera.
La terza parte infine, seguendo quel criterio geografico sopracitato, si focalizza sulle
relazioni regionali della Tanzania, il cui apporto sarà storicamente rilevante ed
incisivo.
Trattando delle relazioni diplomatiche, sia nel contesto internazionale che in quello
regionale, spesso la voce della Tanzania sarà quella del presidente Nyerere, in quanto a
quest'ultimo si possono ricondurre la maggior parte dei, se non tutti i, compimenti
raggiunti dallo stato africano.
Nyerere è stata una delle figure politiche più attive e influenti in Africa sub-sahariana.
La sua più grande capacità, come tanti altri personaggi della storia contemporanea, è
capire che la realtà, politica ed economica, muta velocemente e con schemi di difficile
comprensione. E nella politica internazionale queste mutazioni si esprimono con
l’influenza di stati su altri stati in una logica di scambi reciproci. Nyerere faceva tesoro
di tutte le influenze che il mondo cercava di avere sulla Tanzania e abilmente ha
sfruttato, in molti casi, queste influenze per altri scopi, nazionali e regionali. Da questo
studio emergerà un continuo scambio di influenze tra Nyerere e una moltitudine di
attori internazionali. Una conclusione sarà dunque quella di presentare queste influenze
e ricostruire da quali radici mossero i primi passi iniziative che portarono a eventi
rilevanti per la storia regionale dell’Africa australe.
Capitolo 1: La guerra fredda e gli albori della
diplomazia
1.1 Breve quadro storico e politico internazionale degli anni ’60 e ‘70
Se la guerra fredda è stato un conflitto passato alla storia come statico, immobile e,
sostanzialmente, non combattuto in prima linea dalle due superpotenze, Stati Uniti e
Unione Sovietica, fu grazie a conflitti regionali minori che fungevano da valvola di
sfogo alle pressioni che le due potenze accumulavano. La procedura con cui spesso si
arrivava a questi conflitti regionali prevedeva un supporto a movimenti politici o
militari di altre nazioni, spesso legati ad una ideologia similare a quella delle due
potenze, capitalista per gli Stati Uniti, comunista o di socialismo scientifico per
l’Unione Sovietica. La ricerca di paesi da allineare in uno dei due blocchi si
intensificò durante gli anni sessanta, anni in cui molti Stati ottennero l’indipendenza
dalle colonie. Le potenze coloniali, che ora gravitavano nel blocco occidentale
insieme agli Stati Uniti, concedendo le indipendenze in Africa e in Asia fecero entrare
nell’arena della politica internazionale un gran numero di nuovi Stati, verso i quali
l’Unione Sovietica avrebbe cercato di indirizzare il proprio supporto, politico ed
economico, per farli diventare paesi satellite. L’obbiettivo era di ottenere nuove
pedine nello scacchiere internazionale. In Asia, negli anni cinquanta e sessanta, i
conflitti in Corea e in Vietnam dimostrarono che il rischio di conflitti su territori
periferici era reale, lezione che probabilmente non passò inosservata a Nyerere. In
Africa sub-sahariana un primo momento di tensione si ebbe durante la Crisi del
Congo, che durò dal 1960 al 1965, in cui l’Unione Sovietica supportò, anche con la
vendita di armi, il primo ministro Patrice Lumumba e, dopo l’assassinio di
quest’ultimo, il suo successore Gizenga, mentre gli Stati Uniti supportavano il
governo di Kasa-Vubu. Anche la Tanzania si inserì nel contesto del conflitto, conflitto
regionale che assunse un assetto globale, supportando il leader dell’indipendenza
Lumumba. Normalizzata la situazione in Congo, l’Unione Sovietica perse interesse
nel continente, dedicandosi maggiormente ad ottenere una posizione dominante sugli
Stati asiatici e arabi1
. Negli anni settanta tuttavia si assistette ad un rinnovato interesse
nell’Africa da parte dell’Unione Sovietica, soprattutto quando la maggior parte dei
1
G. PAGLIANI, Quando due elefanti lottano è l’erba che soffre, Milano, 2000, pp. 28.
movimenti di liberazione abbracciò l’ideologia di un socialismo scientifico di stampo
marxista-leninista. Emblema del rinnovato interesse sovietico nel continente sarà la
guerra di liberazione in Angola, che rappresentava l’opportunità di una guerra a basso
costo, in termini di supporto economico, e non vincolante per l’esercito, in quanto sul
campo combattevano il movimento di liberazione e truppe cubane2
. Il rinnovato
interesse per l’Africa da parte dell’Unione Sovietica non passò inosservato a
Washington che intensificò i propri sforzi per opporsi agli interessi sovietici nell’area,
portando nuovamente un conflitto regionale su un piano globale. L’intervento
sovietico fu inoltre impostato in chiave anti-cinese, in quando la Repubblica Popolare
Cinese aveva occupato il vuoto politico lasciato nel sub-continente dalla Russia e
supportava, economicamente e con tecnici, vari Stati sub-sahariani, tra i quali la
Tanzania. La Tanzania infatti, nel momento in cui cercava dei paesi donatori per avere
i fondi per iniziare un processo di sviluppo dell’economia, ricevette in un primo
momento aiuti economici dall’Unione Sovietica per poi, a seguito del disinteresse
sovietico per un paese non-allineato come la Tanzania, virare sul più consistente
supporto cinese3
. La stessa Tanzania rischiò di diventare un terreno di scontro per le
due potenze, in quanto la fine della colonizzazione britannica nell’area aveva creato
un vuoto di potere militare navale sulle coste che davano sull’Oceano Indiano4
. Con il
regime portoghese ancora stabile in Mozambico (il Portogallo era un paese alleato
della NATO) i tentativi di avere un appoggio nell’area per i sovietici passarono
necessariamente per la Tanzania, paese che aveva inoltre abbracciato una ideologia
socialista. Tuttavia Nyerere aveva sempre dichiarato la politica di non-allineamento
del suo paese per le questioni della guerra fredda, e continuò a seguire questa linea
anche quando Mosca propose investimenti in Tanzania in cambio di un allineamento
sovietico. Il cappello sotto cui si muovono tutte le politiche tra stati negli anni sessanta
e settanta sarà dunque quello della divisione in blocchi ideologici.
In concomitanza alla guerra fredda, tralasciando volontariamente tutti i casi di conflitti
politici o armati che ad essa sono direttamente conducibili, si possono riscontrare
eventi rilevanti per il caso di studio in esame, poiché, studiandone le politiche
internazionali, bisogna considerare come politiche internazionali di altri paesi ebbero
effetti sulla Tanzania.
2
Idem
3
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood, Maryknoll, 1976, pp. 152-
153.
4
Ibidem, pp. 156.
Due eventi rilevanti furono le crisi petrolifera ed energetica, rispettivamente del 1973
e del 1979. La crisi Energetica del 1973, causata dall’interruzione improvvisa del
flusso di petrolio da parte dei paesi esportatori (membri dell’OPEC) verso i paesi
importatori, portò ad una diminuzione energetica in tutto il mondo con effetti anche su
alcuni Stati dell’Africa sub sahariana, in particolare nell’Africa australe in cui molte
economie si basavano sulla produzione di materie prime. Gli effetti di questa prima
crisi energetica si fecero sentire in Tanzania, con disagi legati soprattutto ai trasporti.
Il costo delle importazioni aumentò del 10% causando diminuzioni nella spesa
pubblica e calo del potere di acquisto5
.
La crisi Energetica del 1979 invece fu causata dalla rivoluzione iraniana che comportò
un innalzamento del prezzo del bene nei mercati internazionali, portò ad uno shock
macroeconomico dell’offerta con conseguenti disagi per i paesi che erano dipendenti
dall’importazione del petrolio per più del 70%6
. La risposta a questa crisi fu un contro-
shock di ricerca di petrolio di produzione non-OPEC per i paesi che avevano le risorse
naturali adatte a tale autosufficienza. Paesi come la Tanzania, invece, non avendo
risorse naturali ed economiche sufficienti per cercare forme energetiche alternative,
subirono effetti devastanti dall’embargo del petrolio che portò anche alla ridiscussione
totale del modello socialista della Tanzania che, già in crisi, aveva ricevuto il colpo di
grazia a causa della politica economica estera di un paese di un altro continente. Per
capire le dimensioni degli effetti si pensi che il costo dell’importazione del petrolio
copriva la metà dei guadagni delle esportazioni del paese. Il settore più colpito fu
quello dei trasporti, essenziale per una economia in via di sviluppo come la Tanzania,
che assorbiva due terzi dei prodotti petroliferi totali importati. Un ulteriore effetto si
ebbe sui derivati dal petrolio come il cherosene usato su larga scala per finalità
domestiche, come cucinare, e usi cittadini, come l’illuminazione nelle strade7
.
Un terzo evento rilevante di politica estera in questi anni che ebbe effetti notevoli sulla
politica estera tanzaniana fu la conferenza afroasiatica di Bandung. Cinque paesi che
avevano un comune passato di ex colonie (India, Pakistan, Sri Lanka, Birmania e
Indonesia) invitarono rappresentanti dei popoli che stavano combattendo per
l’indipendenza. L’obbiettivo era la discussione, nel quadro geopolitico della guerra
fredda, della propria condizione di paesi dall’economia arretrata, nei mezzi e nelle
infrastrutture, dei livelli di alfabetizzazione e del lontano obbiettivo di uno sviluppo
5
J. BOESEN, Tanzania: Crisis and Struggle for survival, Uppsala, 1986, pp. 66.
6
P. KRUGMAN, R. WELLS, Macroeconomia, Bologna, 2006, pp. 245.
7
J. BOESEN, op. cit. pp. 159.
industriale sulla strada già tracciata degli stati sviluppati. I 29 paesi che il 18 aprile del
1955 risposero all’appello assistettero ad una conferenza dove prevalsero i toni della
moderazione, senza scadere in posizioni filosovietiche o filoccidentali, e si unirono in
concerto nel dichiarare la necessaria fine del colonialismo. Al termine della
conferenza venne inoltre redatto una dichiarazione per promuovere la pace nel mondo
e la cooperazione. I 10 punti contenuti nella dichiarazione riprendono i principi della
Carta delle Nazioni Unite. La Tanzania, che nel 1955 era ancora possedimento
britannico, non partecipò alla conferenza, neppure rappresentanti della TANU, il
movimento, poi partito, da cui emergerà Julius Nyerere presidente e padre
dell’indipendenza nazionale, inviò suoi delegati. Ma la lezione emersa dalla
conferenza di Bandung non sfuggirà a Nyerere. Dalla conferenza infatti, come sua
diretta conseguenza, emerse la volontà di un nuovo allineamento dello scacchiere
internazionale, figlio dell’idea di quel neutralismo attivo di cui aveva parlato il primo
ministro della Repubblica Popolare Cinese Zhou Enlai. Promotori erano quei paesi
che rifiutavano la distinzione tra Est e Ovest del mondo, e accettavano una divisione
del mondo in paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, in cui i primi cooperassero
con i secondi per superare la differenza tra paesi poveri e paesi ricchi. Nyerere
abbraccerà in pieno questa visione, e ogni manifestazione della politica estera del suo
paese rispecchierà i principi del Movimento dei paesi non allineati. In particolare nel
ruolo che Nyerere ricoprirà come guida regionale e come garante dei movimenti di
liberazione dell’africa australe il concetto di cui si farà portabandiera è quello
dell’autodeterminazione dei popoli.
Emerge dunque che Stati Uniti e Unione Sovietica erano i due attori principali che
guidavano la scena politica internazionale; inoltre assistiamo alla presenza di una
volontà di alcuni paesi di non volersi accasare in una delle due famiglie di blocchi
ideologici ma di dettare una terza via. L’emergere di voci terze fu possibile, in questo
periodo, grazie ai processi di decolonizzazione. Con questo fenomeno molti stati
raggiunsero l’indipendenza e il potere sovrano sul proprio territorio e cercarono di
ritagliarsi uno spazio nell’arena della politica internazionale. Uno di questi stati sarà la
Tanzania, che comincerà a ritagliarsi quello spazio dal 1961.
1.2 Quadro storico regionale: la decolonizzazione in Africa sub-
sahariana
Terminata la seconda guerra mondiale era ormai chiaro alle due grandi potenze
coloniali nel continente, Francia e Regno Unito, che i processi di decolonizzazione
erano imminenti. La conclusione del conflitto aveva lasciato difficoltà economiche nei
paesi che l’avevano combattuta e le colonie riacquistavano un nuovo peso per le
economie che dovevano risollevarsi. Diventava essenziale mantenere il mercato
esclusivo con le colonie per avere un costante flusso di materie da queste. Nel primo
dopoguerra Francia e Regno Unito cominciarono una serie di riforme costituzionali e
amministrative per rilanciare le economie dei possedimenti coloniali con la promessa,
eventuale, di una futura decolonizzazione ad ammodernamento avvenuto. Una delle
tesi8
che emerse dall’analisi di questo periodo storico fu di interpretare queste riforme
come una volontà di modernizzazione dei possedimenti, dell’economia in primis, ma
con una scarsa propensione a voler concedere l’indipendenza, il tutto nella logica di
un vero e proprio neo-colonialismo, da attuarsi appoggiando, all’interno delle colonie,
forze politiche che avrebbero comunque permesso una continuità delle relazioni con la
madrepatria. Nonostante la Francia avesse provato a mantenere saldo il controllo delle
colonie con interventi militari (guerra d’Indocina e guerra franco-algerina), entrambi
rivelatisi vani, si procedette nella direzione sopra descritta, preferendo l’influenza al
controllo diretto. Rientrano dunque nella medesima logica le indipendenze
concordate. Tuttavia, nonostante si cercasse di instaurare rapporti con forze favorevoli
all’ex Stato coloniale, Londra e Parigi dovettero fare i conti con i movimenti di
liberazione nazionale, di genesi spontanea, che volevano l’indipendenza del paese,
alcuni di questi senza vincoli alcuni, meno di tutti vincoli economici con l’ex potenza
coloniale. Da ricordare tuttavia che alcuni tentativi di mantenere strette relazioni tra
madrepatria e colonia furono accolti dagli stessi movimenti di liberazione, come il
caso della proposta federativa fatta da De Gaulle di realizzare una Unione Africana
guidata da Parigi9
. Si assistette dunque a diverse indipendenze in cui movimenti e
partiti politici, con una visione politica nazionale, ottennero i primi incarichi di
governo negli Stati indipendenti. L’identificazione tra le figure a capo di questi partiti
con i padri della nazione fu immediata. Tra i più famosi ricordiamo Kenneth Kaunda
per lo Zambia, Patrice Lumumba per il Congo belga e Julius Nyerere per la Tanzania.
Diversa la storia nelle colonie di insediamento dei settlers e nelle colonie portoghesi
dove i movimenti esistenti non trovarono una opposizione del governo esistente tale
da non permettere di emergere nella vita politica nazionale, nella quale a questi
8
A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp.316.
9
Ibidem, pp. 333.
movimenti non venne permesso di entrare e dovettero utilizzare la lotta armata per
ottenere uno spazio nella vita politica del paese. In generale laddove lo Stato
raggiunge la sua indipendenza questo eredita l’apparato e le strutture che erano
appartenute alla potenza coloniale. Le nuove élite al potere vanno a sostituirsi a quelle
precedenti in una architettura dello Stato asimmetrica, fortemente centralizzata nelle
istituzioni politiche, sullo stampo di quelle modellate in età coloniale. Evidenti furono
squilibri tra regioni della stessa nazione, in alcuni casi si ereditarono infrastrutture
fisiche e sociali adatte allo sviluppo economico, mentre in altre regioni il vuoto
amministrativo ereditato rendeva difficoltosa la sfida dei nuovi governi di
modernizzazione dell’economia. L’eredità ideologica che lasciarono Francia e Regno
Unito era una concezione assolutistica dell’organizzazione del potere che portava ad
etichettare come “tribalismi” o pretese regionali rivendicazioni che invece avevano
voce legittima10
. La maschera dietro cui si nascosero i partiti al potere era quella di
una nazione coesa. Volevano insinuare un meccanismo che portasse a collegare la
voce del governo o del partito al potere come la voce della nazione e delle sue
esigenze, e la voce di alcune fazioni come illegittima e in alcuni casi dannosa per la
coesione nazionale. Questa eredità ideologica si tramuta in un ben preciso assetto di
organizzazione politica: il partito unico.
Il partito unico prevede l’identificazione tra l’organo burocratico e amministrativo del
partito con quello statale, ad un tale livello di fusione che partito e Stato diventano un
unico ente; il dissenso, rischioso per uno Stato giovane, veniva così ostracizzato. La
Tanzania e il suo capo di Stato, Nyerere, non furono estranei a queste logiche e
l’identificazione tra Stato e partito fu completa nel 197711
.
L’adozione del partito unico tuttavia non fu necessaria a mantenere stabile la
situazione geopolitica. Un nuovo fenomeno si affacciò nell’Africa sub-sahariana a
partire dalla metà degli anni sessanta: l’ingresso dei militari in politica. Sorti come
censori della corruzione che dilagava nei governi civili, passarono poi a rappresentare
anche rivendicazioni regionali, le stesse che nella prima fase dell’indipendenza
venivano messe a tacere12
. In Tanzania non ci sarà un regime militare al governo ma si
assisterà ad un ammutinamento degli eserciti nel 1964, in concomitanza con la crisi di
Zanzibar. Tralasciando gli interventi dell’esercito in politica, che non sono
direttamente collegati con il fenomeno della colonizzazione e che si dilatano in un
10
Ibidem, pp. 339-340.
11
A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia: L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli,
2013, pp. 63-64.
12
A.M. GENTILI, op. cit. pp.359-360.
periodo che va dagli anni sessanta fino a metà degli anni novanta, la prima fase della
decolonizzazione avvenne, generalmente, senza particolari scontri armati tra
movimenti di liberazione ed ex potenza.
Discorso diverso invece per la seconda ondata delle decolonizzazioni da collocarsi
durante gli anni settanta. I paesi protagonisti saranno gli Stati delle cosiddette colonie
di settlers, Sudafrica, Kenya e Rhodesia del Sud, e le colonie portoghesi, su tutte
Angola e Mozambico.
In questi Stati la presenza di una minoranza bianca, saldamente al potere, riuscì negli
anni sessanta a rigettare tutte le istanze di indipendenza dei movimenti di liberazione
dilagando spesso nella repressione armata. In risposta i movimenti diventarono
movimenti armati dove la lotta, sotto forma di guerriglia, aveva preso il posto del
dialogo al fine di raggiungere la libertà politica. Questi movimenti, spesso insediati
stabilmente in una regione dello Stato, trovarono, in contrasto alla netta opposizione
dei governi bianchi al potere, l’assistenza dei governi africani che già avevano
raggiunto l’indipendenza nella prima fase. Tra questi stati ci sarà anche la Tanzania, il
cui capo di Stato, Nyerere, ricoprirà un ruolo di guida essenziale per questi
movimenti.
In alcuni stati, come Rhodesia del Sud e Angola, oltre all’opposizione governo-
movimento di liberazione, ci sarà anche una forte opposizione tra più movimenti di
liberazione. In Rhodesia Zapu e Zanu si opposero durante la lotta per l’indipendenza e
anche successivamente, in quanto esprimevano la voce di popolazioni di regioni e
ordine sociale differente, e per via, anche, degli aiuti economici che ricevevano
provenienti da Stati differenti: dalla Repubblica Popolare Cinese, la Zanu, e
dall’Unione Sovietica, la Zapu13
. In Angola troviamo invece tre movimenti, MPLA,
FNLA e UNITA, che, a causa dell’ingresso nel paese degli interessi della guerra
fredda, si trovarono a opporsi l’un l’altro per la guida del paese. Altri movimenti che
combatterono per l’indipendenza in opposizione al governo coloniale troviamo il
Frelimo in Mozambico, movimento nato in Tanzania sotto la guida di Nyerere, e il
PAIGC in Guinea Bissau.
Dopo le indipendenze di Angola e Mozambico, entrambe raggiunte nel 1975, rimasero
due stati in cui le élite bianche al potere avevano sviluppato un paradigma per il
mantenimento dello stauts e l’esclusione di altri dalla vita politica. In Sudafrica il
termine apartheid venne coniato nel 1948 dal National Party, partito dei nazionalisti
13
O. ALUKO, T.M. SHAW, Southern Africa in the 1980s, Londra, 1985, pp.8.
africani, e affonda le sue radici nella Native Land Law del 191314
nella quale si
riscontrano i prodromi di quelle leggi di segregazione estese nei contenuti dagli anni
cinquanta. L’apartheid fu una direzione politica perseguita dal governo dell’NP in
Sudafrica, e anche dai governi della Rhodesia del Sud anche se mai dichiaratamente
con questo nome, necessaria all’esigenza di mantenere la supremazia bianca al potere.
La pratica fu di istituzionalizzare e legalizzare la separazione nella vita politica,
lavorativa e sociale dei gruppi bianchi dalla parte della popolazione non-bianca
mediante una serie di misure legislative che limitavano le possibilità economiche e la
mobilità sociale dei gruppi esclusi; nell’ideologia e nella terminologia applicata fu una
pratica razzista in quanto la “razza divenne un criterio base per l’accesso alle
opportunità”15
.
L’opposizione a questi regimi segregazionisti sarà una questione che unirà tutti gli
stati dell’Africa australe che avevano ottenuto l’indipendenza dagli anni sessanta, ai
quali si aggiunsero gli stati dell’indipendenza combattuta Angola e Mozambico.
Le modalità di opposizione scelte furono: appelli a stati occidentali e istituti
internazionali e la diretta opposizione appoggiando le forze che dall’interno e
dall’esterno cercavano di contrastare questi regimi. Si dovrà aspettare il 1994 per
vedere l’ultimo di questi due baluardi del potere bianco, quello sudafricano, venire
abbattuto e iniziare la propria sfida contro le eredità di più di cinquant’anni di
apartheid. Parte della vittoria sul razzismo è da ricondurre a quegli uomini politici che
fecero della ferma opposizione la propria bandiera. Tra questi, come vedremo, ci sarà
anche Julius Nyerere.
1.3 L’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale
Per trattare le attività diplomatiche di un paese, seppur di recente indipendenza,
durante gli anni sessanta è imprescindibile parlare anche di quell’istituto della
diplomazia conosciuto come Organizzazione delle Nazioni Unite.
Fondata nel 1945 dagli stati usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale, sulle ceneri
della fallimentare Società delle Nazioni, ha come scopi mantenere la pace, la sicurezza
internazionale e risolvere, pacificamente, le controversie internazionali che potrebbero
portare ad una rottura degli equilibri. Un principio notevolmente importante che
troviamo nello statuto delle nazioni unite è quello di autodeterminazione dei popoli,
ripreso successivamente nella conferenza di Bandung, e apprezzato da quanti, Nyerere
14
M. ZAMPONI, Breve storia del Sudafrica: Dalla segregazione alla democrazia, Roma, 2009, pp. 15.
15
Ibidem, pp. 75.
incluso, si battevano o combattevano per le indipendenze. Durante gli anni della
presidenza di Nyerere ci furono diversi contatti tra questa organizzazione
intergovernativa e il presidente. La maggior parte di questi contatti vertevano sulle
lotte di liberazione che si stavano combattendo in quegli anni e si contano anche
dichiarazioni di denuncia nei confronti dei regimi di segregazione di Rhodesia e di
Sudafrica. L’ONU dagli anni sessanta inaugura inoltre una nuova linea politica di
militarizzazione passiva: il Peacekeeping.
Questa pratica prevede un intervento di militari, personale senza armamenti o con
armamento leggero. Un intervento di Peacekeeping si vede necessario quando le due
fazioni in un conflitto richiedono la presenza di una terza fazione, i caschi blu, per
garantire una serie di iniziative come pratiche di disarmo, corridoi umanitari per civili,
siglare un cessate il fuoco o come semplici osservatori. Principalmente attivi durante i
conflitti civili, una delle prime missioni che si trovò ad affrontare fu la crisi del Congo
(1960-1965) dove la Tanzania era direttamente coinvolta, per il supporto politico che
concedeva riconoscendo come legittimo il governo di Lumumba. Un ulteriore istituto
intergovernativo molto importante in questi anni è la Banca Mondiale, una delle
istituzioni a finalità rigide definite dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nata,
sulla carta, dagli accordi di Bretton Woods del 1944 muove i suoi primi passi nel 1947
erogando il suo primo prestito alla Francia16
. Lo scopo è quello di concedere prestiti
agli Stati per sostenerne la ricostruzione e lo sviluppo. Con i processi di
decolonizzazione i paesi a cui erogare prestiti aumentarono e allo stesso modo
aumentavano anche i richiedenti, ovvero paesi che chiedevano una udienza per
spiegare la necessità di capitali. La realtà del sub continente sub-sahariano fu
strettamente collegata all’erogazione di questi aiuti. Con la messa in discussione dello
Stato Sviluppista, nel quale l’intervento pubblico è centrale, e con le elezioni di leader
di stampo neoliberista e dal marcato conservatorismo liberale si inserì nella vita
politica internazionale un nuovo modello di sviluppo, che venne successivamente
chiamato Washington Consensus. Quello che ne seguì fu un nuovo modello
economico universale che si basava su pochi concetti neoliberisti, tra questi la
privatizzazione dei servizi fino ad allora erogati dallo Stato, come istruzione e sanità17
.
Nei primi anni ottanta i report degli analisti degli istituti della finanza internazionali si
muovevano nella medesima direzione. Tra questi vi è il Berg Report del 1981, redatto
da Elliott Berg un economista americano che lavorava per la Banca Mondiale,
16
Ibidem, pp. 214.
17
A.M. GENTILI, op. cit. pp. 426.
focalizzandosi sulle economie dell’Africa sub-sahariana, riprendeva in pieno queste
politiche neoliberiste. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna l’elezione di governi
conservatori aveva facilitato il passaggio a questo modello, discorso diverso per quegli
stati di recente indipendenza fortemente legati ad un welfare state garantito dallo
Stato. La strategia adottata dalla Banca Mondiale fu quella di garantire gli
investimenti a questi stati, fortemente dipendenti dal capitale estero, con delle
condizioni. Vennero creati pacchetti di leggi ad hoc con i quali aiuti ed investimenti
venivano accompagnati.
Denominati Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) contenevano tagli
secondo la formula “meno Stato più mercato”18
.
Nonostante in Tanzania si tentò l’applicazione di un esperimento socialista unico,
supportato da molti osservatori internazionali, e proprio per questa notorietà era
diventato attrattiva per molti investimenti, il destino dell’economia Tanzaniana non fu
diverso e al termine degli anni settanta dovette arrendersi ad applicare una serie di
programmi di riforma economica19
. Le motivazioni che portarono ad abbracciare il
nuovo modello verranno trattate nel terzo capitolo.
18
Idem.
19
A. PALLOTTI, op. cit. pp. 158.
Capitolo 2: storia della Tanzania e del presidente
Nyerere
2.1 Il Tanganyika indipendente
La popolazione che compone la Tanzania al momento dell’indipendenza dalla Gran
Bretagna deriva da un passato di mescolanza linguistica e culturale, frutto di
migrazioni e spostamenti sul territorio. In questa area posta a sud della penisola del
corno, si stabilirono, a partire dal XVI secolo, popolazioni di lingua khoisan, lingua
sopravvissuta principalmente in Africa australe ad eccezione dei ceppi hadza e
sandawe, isolate appunto nell’attuale Tanzania20
. Le popolazioni nell’area si
dedicarono ad un sistema di caccia e raccolta, nelle dinamiche di una economia di
sussistenza limitata, ovvero ad un sistema di produzione necessario a garantire i
bisogni di base per la sopravvivenza dei nuclei che compongono la comunità21
. Il
successivo passaggio da un’economia di sussistenza limitata a scambi locali e
regionali venne reso possibile dall’incontro con popolazioni costiere principalmente
agro-pastorali22
. L’incontro tra comunità a economia differenti introdusse dunque il
concetto del baratto, mentre le continue migrazioni delle popolazioni provenienti dal
Golfo Persico, sopratutto dalla regione dello Shiraz della Persia23
, portarono alla
stabilizzazione di comunità arabe nelle coste della Tanzania, specialmente sull’isola di
Zanzibar, dove si instaurò un sultanato, autentico Stato indipendente di età pre-
coloniale.
Nel XIX secolo l’Africa orientale, mentre l’Africa occidentale era inserita sempre più
nei circuiti commerciali internazionali, rimanevano immutate pratiche di tipo
predatorio legate al commercio di schiavi e avorio24
. La stabilizzazione di popolazioni
arabe portò dal punto di vista linguistico la nascita graduale del ceppo swahili,
amalgama di origine bantu e apporti dall’arabo25
, e dal punto di vista economico
segnò l’inizio delle colture di piantagione di cocco e chiodi di garofano su base
schiavista, il che portò ad un aumento della richiesta di schiavi nell’area e
all’intensificarsi delle pratiche predatorie dell’entroterra26
. Con la decretata
20
J. DIAMOND, Armi, acciaio e malattie: Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni,
Torino, 1998, pp. 300-301.
21
A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp.359-360.
22
Ibidem, pp. 29.
23
Ibidem, pp. 34.
24
Idem
25
Idem
26
Idem
illegittimità della tratta degli schiavi da parte di Londra e di Parigi, il volume della
tratta aumentò in Africa orientale per sopperire alle richieste del mercato. Il passaggio
dal commercio illecito al commercio “lecito” non decretò un arresto della schiavitù,
mentre ne decretò una evoluzione in sistemi più ramificati in regioni che non erano
state influenzate fino a quel momento, in quanto l’estensione del mercato lecito, come
avorio e piantagioni, richiedeva un numero maggiore di forza lavoro27
.
La colonizzazione in Africa orientale si manifestò su società in preda ad un sistema in
“anarchia sociale”28
, legata alla tratta ancora in atto. I contatti con compagnie
commerciali europee erano avvenute già a partire dalla metà del XIX secolo,
principalmente nelle coste, e in seguito a compagnie commerciali tedesche e
britanniche che tentavano di risalire il corso del fiume Rufiji.
Quando fu sancito il criterio di effettiva occupazione alla conferenza internazionale di
Berlino (1884-1885) la regione divenne diretto possesso dell’impero tedesco29
.
Tedeschi e Britannici si spartirono l’area, soprattutto la regione sotto il controllo del
regno del Buganda, di importanza strategica per le relazioni di vassallaggio che aveva
su regni minori limitrofi30
. La compagnia tedesca che aveva in concessione
dall’impero tedesco l’amministrazione della colonia trovò difficoltà nell’applicare il
principio dell’effettiva occupazione, principalmente per mancanza di personale
similarmente a quello che accadeva nelle colonie portoghesi; così come le altre
colonie dell’impero, il territorio era diventato proprietà di Compagnie private che
sfruttavano l’area per scopi economici e soprattutto minerari31
, in linea con la corsa ai
giacimenti che aveva guidato lo scramble dell’Africa.
La sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale decretò un passaggio delle colonie ad
altri amministratori. La Tanzania venne concessa nel 1922 come amministrazione
all’impero britannico, e tale rimase fino al 1963, realizzando così il progetto di
viabilità ipotizzato da Cecil Rhodes, proprietario della più grande compagnia
commerciale britannica nel continente, di collegare, attraverso un sistema ferroviario,
i domini britannici dall’Egitto al Sudafrica32
.
L'introduzione dell'indirect rule, sistema di gestione in vigore nelle colonie
britanniche che prevedeva la cooptazione dei capi tradizionali nell’amministrazione
27
A.M. GENTILI, op. cit. pp. 57.
28
Ibidem, pp. 55.
29
F.CAMMARANO, G. GUAZZALOCA, M.S. PIRETTI, Storia contemporanea: Dal XIX al XXI
secolo, Milano, 2009, pp. 57.
30
A.M. GENTILI, op. cit. pp. 157-158.
31
Ibidem, pp. 186.
32
Ibidem, pp. 197.
della colonia stessa, nella colonia del Tanganyika e una rapida intensificazione delle
colture di prodotti agricoli provocò anche forti tensioni tra i capi locali e larghi strati
della popolazione, in quanto significò, per gli agricoltori soprattutto delle regioni del
Kilimanjaro e del Buhaya33
, nuove opportunità di emancipazione, che non potevano
essere fruite da tutti. Alla differenziazione economica tra aree diverse, essenziale per
permettere alla colonia di iniziare un processo di sviluppo industriale, si accompagnò
la questione dell'individuazione dei diritti di proprietà della terra, portando allo
scontro i contadini con i nuovi poteri, conferiti dalle autorità coloniali ai capi
tradizionali, distorcendo l'equilibrio dell'accesso alla terra che in anni si era
consolidato34
. I rapporti con le autorità amministrative rimasero per tutta la durata del
periodo coloniale caratterizzati dal dissenso, specialmente nei casi in cui nuove
imposte venivano decise. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale l'economia del
Tanganyika rimase legata alla piccola produzione agricola, tuttavia gli sforzi per
cominciare il processo di industrializzazione erano ancora molti35
.
Acquisito lo status di “amministrazione fiduciaria” dalla Gran Bretagna dopo il
conflitto mondiale, le politiche di Londra dovettero dirigersi verso la promozione di
un progresso politico che avrebbe dovuto accompagnare la colonia fino
all'indipendenza. Si aprì dunque per tutte le colonie britanniche un periodo di riforme
volte allo sviluppo economico e sociale. Nel Tanganyika queste iniziative concessero,
si, più diritti politici agli africani (nel 1945 due capi africani entrarono a far parte del
consiglio legislativo36
) ma al contempo questi stessi provvedimenti servirono a
ridisegnare l'architettura istituzionale nelle aree periferiche al fine di rendere più
stabili i capi rurali. In un periodo di ricostruzione post bellico i possedimenti
coloniali, e l’esclusività economica con essi, diventavano un fattore essenziale per la
sopravvivenza della madrepatria. Sull’onda di questa nuova importanza delle colonie,
gli Stati europei non potevano concedere le indipendenze senza le necessarie
riflessioni. Il rapporto colonia-madrepatria si evolveva dunque in partnership, ovvero
si garantiva la graduale evoluzione ed emancipazione politica ed economica delle
colonie ma allo stesso tempo di imbrigliava il possedimento e si manteneva intatta la
dipendenza dalla madrepatria. In questo periodo troviamo investimenti per le
infrastrutture, la meccanizzazione agricola e l’ammodernamento dei quadri politici. Il
tutto avveniva in un clima internazionale avverso, soprattutto da enti come l’Onu, che
33
A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia: L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo,
Soveria Mannelli, 2013, pp. 46-47.
34
Idem
35
Ibidem, pp. 48
36
Idem
etichettavano queste riforme come neocolonialismo, e invocavano
l’autodeterminazione37
. Diventò dunque chiaro che si doveva passare alla
negoziazione delle indipendenze per poter salvaguardare interessi economici e
allineamenti politici38
.
In Tanzania gli anni cinquanta furono caratterizzati dal continuo confronto tra il
governo coloniale e la TANU, partito politico evoluto da una associazione precedente,
la TAA (Tanganyika African Association), che era riuscita ad incanalare le proteste
frammentate nelle aree rurali, dei contadini contrari ai criteri di redistribuzione della
terra, e dei movimenti sindacali nelle zone urbane, dando il volto del colonialismo alle
cause del malcontento della popolazione:
Yet in Tanzania the great mass campaigns of the 1950s
and the early 1960s were for independence. We
campaigned against colonialism, against foreign
domination39
.
Incanalate le proteste da parte di tutte le fasce della popolazione, la TANU diventava
il simbolo della lotta anticoloniale nel paese, guidata da un nuovo leader, Julius
Nyerere, succeduto a Kirilo Japhet che aveva fallito precedentemente il tentativo di
portare gli interessi degli agricoltori meru di fronte alle Nazioni Unite nel 195240
,
riscuotendo inoltre un notevole successo elettorale alle elezioni del 1958. In queste
elezioni, che si svolsero secondo le regole del governo coloniale, era richiesto che in
ogni collegio venissero eletti tre rappresentanti, uno per ogni gruppo razziale presente
nel paese, africani, arabi ed europei, mentre ogni elettore doveva esprimere tre
preferenze. Lo scopo era ottenere sia una rappresentanza europea nei collegi, sia
garantire una grande partecipazione africana alle elezioni. Nonostante la politica della
TANU fosse di non partecipare alle elezioni, poiché avevano compreso il gioco
nascosto del governo coloniale, Nyerere persuase i vertici a partecipare permettendo al
partito di ottenere 13 seggi contro gli 8 ottenuti dagli europei, conseguendo una
vittoria che porterà nel 1960 ad un successo plebiscitario alle nuove elezioni41
.
Palesato il successo elettorale della TANU guidata da Nyerere, quest’ultimo formerà il
37
A.M. GENTILI, op. cit. pp. 316-318.
38
A.M. GENTILI, op. cit. pp. 337.
39
J. NYERERE, Freedom and socialism: a selection of writings and speeches, Nairobi, 1968, pp. 27.
40
A. PALLOTTI, op. cit. pp. 52.
41
Ibidem, pp. 54.
suo primo governo nel 1961 permettendo al Tanganyika di ottenere formalmente
l’indipendenza. Sul piano delle relazioni internazionali questo fu il biglietto da visita
con cui Julius Nyerere si presentò agli occhi della politica internazionale: fautore di
una indipendenza negoziata con la Gran Bretagna.
2.2 L’ideologia socialista di Nyerere
Al momento dell’indipendenza il Tanganyika era uno dei paesi più poveri del
continente. Il problema principale del neo nato Stato indipendente era la scarsa
diversificazione economica, essenzialmente basata sull’esportazione delle materie
prime (cotone, caffè, sisal, carne, tabacco, tè e minerale, tra cui tungsteno, piombo e
rame) e la forte dipendenza dal finanziamento estero42
. Inoltre, nonostante la raggiunta
indipendenza e l’enfasi di Nyerere sul concetto della Self-reliance, gran parte
dell’esportazione, delle banche e dell’amministrazione era ancora controllato dalla
Gran Bretagna43
.
Il miglioramento degli standard di vita e l’eliminazione della povertà sarà uno degli
obbiettivi primari del Tanganyika. Le modalità con cui, in un primo momento,
Nyerere cercherà di raggiungere questi obbiettivi sarà una continuazione della politica
della Gran Bretagna di industrializzazione attraverso gli aiuti internazionali44
.
Dopo i deludenti risultati ottenuti perseguendo questa politica, i vertici delle TANU
decisero di rivalutare il modello di sviluppo applicandone uno legato ad una ideologia
socialista. L’Ujamaa prevedeva elaborati piani di sviluppo di stampo verticistico di
modernizzazione agricola mediante la meccanizzazione di grandi aziende commerciali
e dall’estensioni di campi coltivati da piccoli contadini. Il fulcro della politica era,
oltre ai capitali statali e alla costruzione di strutture adeguate, l’unione tra singoli
nuclei famigliari (ujamaa significa “famiglia estesa” in lingua swahili) dediti
all’agricoltura al fine di mettere in comune i mezzi produttivi45
. Questa politica
muoveva infatti le sue considerazioni dal fatto che l’habitat disperso, caratteristico
delle popolazioni della Tanzania, non permetteva la fruizione delle infrastrutture che
lo Stato metteva a disposizione, quindi raggruppare in villaggi diventava essenziale
42
G. RIST, Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale, Torino, 1997, pp. 128-129.
43
Idem
44
A. PALLOTTI, op. cit. pp. 61
45
Ibidem, pp. 57.
per far funzionare la democrazia locale46
. La politica iniziale fu di creare
raggruppamenti su base volontaria (Village Settlement Scheme 1962) mentre, quando
fu chiaro che il progetto era in lento completamento, lo spostamento divenne
obbligatorio (Operation Planned Village 1974). Nel 1973 i villaggi comprendevano
due milioni di persone, nel 1977 tredici milioni47
. Difficile pensare che, quello che
Nyerere definiva un “successo formidabile”, fosse stato raggiunto senza pratiche
coercitive. Questo modello, infatti, procurò una notevole perdita di consensi alla
TANU che da dieci anni era ormai diventato il partito unico. Nyerere era consapevole
delle difficoltà, economiche e sociali, che la pianificazione della produzione agricola
aveva causato, tuttavia le sue felicitazioni erano nei riguardi dei notevoli
miglioramenti che la Tanzania aveva raggiunto nei campi di sanità, istruzione e
uguaglianza delle condizioni, raggiungendo cifre statistiche che, dal successivo ed
imminente declino economico della fine settanta, non raggiungerà più.
La Dichiarazione di Arusha del 1967, il manifesto dell’Ujamaa, era stata
accompagnata da un grande interesse, soprattutto da parte dei teorici dello sviluppo,
per questo originale laboratorio che tentava l’applicazione di una formula di
socialismo unica nel suo genere. Tuttavia la corona ideologica che poggiava sul capo
del modello economico socialista fu l’aspetto che maggiormente inserì Nyerere nel
dibattito internazionale. Pensata per la divulgazione tra la popolazione tanzaniana, la
Dichiarazione faceva ampio uso di pratiche pedagogiche, come esempi concreti o
proverbi, al fine di essere più comprensibile per i destinatari, per la gran parte
contadini analfabeti. Questo non arrestò una divulgazione internazionale del progetto
dell’Ujamaa. Il lato pratico economico, come abbiamo visto, prevedeva la proprietà
collettiva dei mezzi di produzione con una media centralizzazione del controllo
economico. Sul lato dottrinale invece venne definito come un “socialismo umanista”
con apporti originali, in quanto mai associati insieme in una dottrina socialista, come
la Self-Reliance e l’autonomia, non autarchia, che prevedeva investimenti privati e
internazionali ma a condizioni particolari48
. L’unicità di questa dottrina venne
enfatizzata spesso da Nyerere; il ragionamento partiva dal presupposto che esistesse
una universalità del pensiero socialista, che tenesse conto delle differenze tra uomini e
che fosse equamente applicato ad essi. Una dottrina generale senza discriminazioni
razziali, con la democrazia come parte costitutiva e dove l’uomo, attraverso il lavoro,
46
G. RIST, op, cit, pp. 134-135.
47
idem
48
Ibidem, pp. 132-133
contribuisse a creare il benessere che doveva venire ripartito nella società49
. Da queste
premesse Nyerere crea un socialismo particolare, adatto alle circostanze della
Tanzania, dove l’innovazione risiede nel sostituire l’uomo, perno del socialismo
universale, con la famiglia tradizionale della Tanzania, che per determinate condizioni
storiche si era organizzata autonomamente attraverso sistemi di produzione socialisti.
A riguardo Nyerere scrive:
traditional Tanzanian society had many socialist
characteristic. […] they were not socialists by
deliberate design. […] There was no very great
difference in the amount of good available to the
different member of the society. All these are socialists
characteristics. […] These conditions still prevail over
large areas of Tanzania […] they provide basis on which
modern socialism can be built50
.
Il manto socialista che Nyerere stende facendo un’analisi storica del proprio paese è
sicuramente il frutto degli studi che lui stesso ha svolto all’estero, specialmente ad
Edimburgo dove ha conseguito la laurea e dove è entrato in contatto con i precetti
della Fabian Society51
, dai cui insegnamenti sviluppò la similitudine tra società
tradizionale tanzaniana e socialismo. Il ragionamento di Nyerere prosegue asserendo
che, nonostante la società tradizionale abbia elementi intrinseci di socialismo, questi si
manifestano in maniera talmente labile da non permettere una vera svolta verso lo
sviluppo economico. La consapevolezza che i contadini devono acquisire riguardo al
ruolo che devono svolgere in questo progetto è essenziale. Nyerere tuttavia,
lucidamente, è consapevole del fatto che, nonostante non precluda la proprietà privata,
la proprietà pubblica sui mezzi di produzione è l’unica soluzione realmente efficace
per permettere all’ujamaa di realizzarsi:
49
J. NYERERE, op. cit. pp. 4-5
50
J. NYERERE, op. cit. pp. 16
51
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood,
Maryknoll, 1976, pp. 46.
The question of public ownership arises when men have
to co-operate together in the pursuit of a particular
objective. […] when the product is necessary for the
decent life of others it must be involved in the control
over it52
.
La notizia che una ex colonia britannica abbracciava una dottrina socialista, più legata
al blocco sovietico nelle logiche della guerra fredda, non fu accolta certamente con
positiva approvazione nei palazzi del potere delle potenze occidentali. Come vedremo
in seguito la questione filosovietica fu una costante dei rapporti con i paesi occidentali,
soprattutto con gli Stati Uniti. Nyerere, anche prima della dichiarazione di Arusha,
aveva espresso la sua neutralità nei riguardi delle questioni bipolari asserendo che
l’applicazione di un modello socialista, che godeva di maggiore fortuna, si, nei paesi
di orbita sovietica (ma Nyerere non nascose mai questo fatto), era contingente alla
situazione in cui si trovava la Tanzania. Nyerere aveva identificato, tra tutti i modelli
possibili, uno socialista perché meglio si sposava con le caratteristiche intrinseche del
paese senza soffermarsi sulle dinamiche bipolari, riflessioni, secondo Nyerere, che
venivano fatte da altri, ma che non appartenevano al percorso che la Tanzania voleva
svolgere. Per smorzare le critiche che gli venivano rivolte Nyerere definì la Tanzania,
contrariamente a quello che si diceva, più vicina a posizioni filo-occidentali,
sostenendo che l’eredità coloniale poneva la Tanzania, al momento dell’indipendenza,
in una condizione di maggiore vicinanza all’occidente capitalista, nelle parole di
Nyerere:
Tanzania was part of the Western capitalist world while
it was under colonial domination […] our independent
nation inherited a few capitalist institutions, and some of
our people adopted capitalist and individualist ideas as a
result of their education53
.
52
Ibidem, pp. 8
53
J. NYERERE, op. cit. pp. 17.
Le affermazioni di Nyerere dimostrano la consapevolezza che possedeva della realtà
internazionale. Sapeva che difficilmente uno Stato che otteneva l’indipendenza negli
anni sessanta sarebbe potuto passare inerme dalla questione degli allineamenti. La sua
tattica fu quella di prendere di petto la questione sostenendo sempre la neutralità del
proprio paese sulla questione inserendo, addirittura, nel suo manifesto socialista, la
politica di non-allineamento e utilizzando la carta delle Nazioni Unite come tutela
giuridica per la sua politica neutrale. Le preoccupazioni dei paesi occidentali erano
basate sull’analisi che Nyerere fece del socialismo, utile alla Tanzania, poiché per
definire la bontà di quel modello partì dalle differenze di questo con il modello
capitalista. Questo ragionamento venne tradotto da molti studiosi come abbandono del
modello capitalista e un’adesione al blocco sovietico. Sostengo invece che le
intenzioni di Nyerere fossero quelle di provare la bontà dell’applicazione del
socialismo in Tanzania partendo da un ragionamento logico di antitesi del capitalismo.
Nei confronti del capitalismo sostiene che il suo scopo sia “creare un mercato” per
perseguire, dalla produzione e dalla vendita di beni, un profitto, il perno del modello
capitalista. Nyerere continua sostenendo che tutto ciò che avviene in queste società è
finalizzato alla creazione di un mercato e all’ottenimento di un profitto54
.
Nonostante Nyerere si sforzi di presentare questa visione come una semplice
descrizione senza opinioni, è difficile non pensare che Nyerere non avesse una
opinione, negativa, al riguardo, in parte causata dalla sua formazione accademica.
Il vero nodo è tuttavia che, tralasciato il pensiero dell’uomo Nyerere sul capitalismo,
le sue parole da Presidente della Tanzania sono di semplice descrizione del fenomeno,
da cui si possono o meno prendere le distanze, per spiegare, in antitesi, il motivo per
cui l’applicazione del socialismo sarebbe stata vincente in Tanzania:
To a socialist, the first priority of production must be
the manufacture and distribution of such good as will
allow every member of the society to have sufficient
food, clothing and shelter, to sustain a decent life. Other
goods would be produced only if they some way hastened
the day when this goal was reached55
.
54
J. NYERERE, op. cit. pp. 10.
55
Ibidem, pp. 11.
Emerge chiaramente che l’allontanamento dal modello capitalista è una questione di
necessità dello Stato Tanzania e non sicuramente una questione politica. Nonostante
quello che si ritiene essere il vero intento di Nyerere, la tensione politica e ideologica
di quegli anni ha fatto sì che il suo messaggio di neutralità venisse, talvolta,
interpretato in maniera distorta.
2.3 L’influenza di altri pensatori
Nell’ideologia di Nyerere è presente un forte elemento di fiducia nel genere umano. Al
lucido realismo, che sempre accompagna le sue riflessioni sulla realtà politica
nazionale e regionale, fonde un ottimismo legato alla realizzazione degli obbiettivi che
prefigge al suo paese, qualsiasi sia la difficoltà. Le basi di questo ottimismo sono da
rintracciare necessariamente nella formazione dei missionari cattolici americani che gli
è stata impartita56
. Nonostante molti critici abbiano nel corso degli anni etichettato
Nyerere come un “comunista”, questo non cita Marx o Engels come su guide
filosofiche, bensì Papa Giovanni XXIII e il frate gesuita Pierre Theilard de Chardin.
Ad entrambi Nyerere riconosce la sua posizione sull’universalità dell’essere umano57
.
Oltre a questi precetti, più legati alla filosofia e alla teologia, ma comunque presenti
nel suo pensiero in forme rivisitate, legate al suo pensiero socialista troviamo Mahtma
Gandhi e Mao Tse-Tung. Con il politico indiano condivide la visione che il paese,
l’India come la Tanzania, debba ricercare il successo economico da uno sviluppo
dell’economia agricola, visioni entrambe legate alle realtà contingenti dei due paesi, e
che il rifiuto del capitalismo non è necessariamente una avversione al medesimo.
Inoltre quando nel 1962 Nyerere deciderà di rinunciare ai suoi doveri, e alla carica in
favore di Rashidi Kawawa, di primo ministro per intraprendere un viaggio nei villaggi
della Tanzania farà riferimento proprio a Gandhi, perché, come quest’ultimo,
desiderava essere più vicino alla popolazione per meglio valutare le loro necessità58
.
Il discorso attorno all’influenza che Mao Tse-Tung ha avuto nei confronti di Nyerere è
in parte più articolato e si lega, necessariamente, con le pratiche economiche del
governo della Repubblica Popolare Cinese, in particolare in riferimento alle comuni
cinesi. La figura di Mao Tse-Tung si inserisce nella risposta che Nyerere dà alle
56
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 49.
57
Idem
58
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 71-72.
critiche di quanti sostengono che il socialismo della Tanzania sia un socialismo
copiato. Nyerere, in risposta, affermerà che:
their experience could promote thought and ideas about
our own rural organization, provided that we go to learn,
[…] not to copy59
Inoltre Nyerere, attento lettore della storia internazionale, fa riferimento alla
Rivoluzione Cinese, dalla quale dice di aver appreso una lezione di coraggio,
entusiasmo, disciplina e intelligente applicazione delle politiche necessarie e
circostanziali per un paese60
. Nyerere soprattutto imparerà che non esiste una ricetta
economica pronta e adatta da applicare ad ogni nazione. Le politiche devono sempre
essere il frutto di una attenta pianificazione e di una consapevolezza dei limiti e dei
punti di forza della realtà statale a cui si vanno ad applicare. Nyerere compie tutto
questo con un acume notevole.
59
J. NYERERE, op. cit. pp. 21.
60
Ibidem, pp. 33.
Capitolo 3: La Tanzania e le relazioni internazionali
3.1 L’arena delle relazioni internazionali
A mezzanotte del nove dicembre 1961, la cerimonia della bandiera decretò
ufficialmente la nascita dello Stato del Tanganyika. Sul piano della politica interna i
giorni precedenti a questa data decretarono un cambio di personale in tutti i quadri
amministrativi e burocratici, dal livello ministeriale a quello locale, un cambio che
vedeva il personale del governo coloniale lasciare spazio a cittadini tanzaniani legati
al partito della TANU. Questo processo culminerà il nove di dicembre con
l’instaurazione dei nuovi effettivi nel parlamento61
e con la cerimonia del
conferimento del potere al nuovo governo, guidato ovviamente da Julius Nyerere, che
acquisiva il titolo di primo ministro. Nonostante il paese avesse di fronte la notevole
sfida di mantenersi sui binari dello sviluppo economico e dell’ammodernamento, sfida
alla quale venivano diretti quasi tutti i capitali pervenuti nelle casse del paese, un
notevole sforzo economico venne fatto per stabilire e mantenere delle sedi
diplomatiche della Tanzania nel mondo. Missioni diplomatiche vennero avviate, su
diretta iniziative di Nyerere, in paesi occidentali, come a Londra, Bonn e Washington,
in Africa sub-sahariana a Nairobi e Kampala, in Asia a Nuova Delhi e, la più
controversa, a Mosca62
, oltre ovviamente alla delegazione alle Nazioni Unite.
Mantenere queste missioni diplomatiche costò alle casse della Tanzania ingenti risorse
che per questo motivo non vennero dirette in altri progetti.
L’obbiettivo di Nyerere fu quello di mandare un messaggio forte e chiaro: la politica
estera sarà una nostra, dei tanzaniani, e una mia, Nyerere, prerogativa. Essere
consapevoli dello sforzo economico che la nazione avrebbe dovuto affrontare negli
anni successivi e comunque prelevare una parte di quei fondi per destinarli alla
politica estera presenta al meglio la personalità politica di Nyerere e della sua
consapevolezza che per fare della diplomazia erano necessarie le sedi diplomatiche e
le ambasciate63
. Il mantenimento di queste iniziative politiche era la base per far
risaltare gli interessi della Tanzania e della regione come se Nyerere, avendo
analizzato la situazione, avesse compreso le difficoltà a cui l’Africa australe sarebbe
andata incontro e la necessità che gli appelli internazionali si spargessero con celerità.
La pronta risposta fu che la Tanzania, in particolare nella città di Dar es Salaam, fu
61
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood,
Maryknoll, 1976, pp. 70.
62
Ibidem, pp. 131.
63
Idem
uno dei paesi nella regione che accolse il maggior numero di missioni diplomatiche da
parte dei paesi esteri. Nel 1963, poco più di un anno dopo dall’indipendenza, le
missioni diplomatiche raggiungevano il numero di trenta64
. Concedere un così alto
numero di accrediti diplomatici per un paese indipendente era una sorta di
consacrazione da parte della realtà internazionale che, con queste iniziative, affermava
di comprendere l’importanza intrinseca che la Tanzania copriva nella regione.
Tuttavia, come vedremo in seguito, le dinamiche della guerra fredda giocarono un
ruolo anche nello scambio di missioni diplomatiche tra la Tanzania e il resto del
mondo.
Un’ulteriore considerazione da fare nei riguardi delle ambasciate aperte dalla
Tanzania è di natura economica. Come detto i fondi per mantenere operative queste
iniziative ricadeva essenzialmente sui programmi di sviluppo che la Tanzania
necessitava di intraprendere. Era inoltre chiaro che i fondi necessari per attuare quegli
stessi programmi di sviluppo erano da ricercare all’estero. Nel progetto di Nyerere
quelle missioni erano un costo da pagare per poter instaurare rapporti più stretti con
gli Stati che avrebbero finanziato i programmi di sviluppo economico della Tanzania.
Nyerere qui offre una incredibile lezione pratica dell’applicazione della politica estera
e dei suoi effetti sulla politica interna; il grande numero di finanziamenti che la
Tanzania riceverà sembrano dare ragione al Presidente.
La seconda fase del progetto diplomatico tanzaniano prevedeva dunque lo stringere
dei contatti con i paesi stranieri per sottoscrivere dei trattati. Sul piano internazionale
la politica della Tanzania può distinguersi in una componente passiva e di una attiva.
L’arretratezza economica, le scarse risorse minerarie ed estrattive del suolo,
imponevano alla Tanzania un ruolo di passività nei trattati internazionali, in quanto,
laddove venivano siglati, essi prevedevano solitamente aiuti che da altri Stati
giungevano in Tanzania. Le caratteristiche del paese permettevano unicamente scambi
attivi di natura culturale, come quelli che accumunarono scuole dell’Unione Sovietica
e della Tanzania65
. I trattati che la Tanzania siglerà non prevedevano soltanto
trasferimenti di fondi, indubbiamente vitali per l’economia del paese, ma anche
assistenze tecniche con personale estero, come ricorderà Nyerere in un passo del suo
discorso dell’8 giugno 1965 all’Assemblea Nazionale:
64
Ibidem, pp. 132.
65
Ibidem, pp. 152-153.
We have now working here in Tanganyika people from ten
countries as different as Russia, Yugoslavia, Canada,
USA, China, etc. […] we currently have applications for
technical help lodged with a total of 17 counties66
.
Nel medesimo discorso Nyerere farà riferimento anche alla posizione della Tanzania
nei confronti degli aiuti internazionali:
On the question of the overseas aid there is nothing new for me to
say. We have made clear our need for it, our appreciation of it
when it is given, and our determination that it shall not affect our
national independence67
.
L’ideologia socialista dell’Ujamaa prevedeva infatti una autonomia non autarchica in
cui l’aiuto, principalmente con la forma di assistenza tecnica, e gli investimenti,
principalmente capitali, non fossero esclusi68
, anzi, come espresso dalle parole del
Presiedente, apprezzati nella misura in cui non fossero legati a richieste che potessero
ledere alla sovranità nazionale. Il riferimento alla guerra fredda è molto chiaro.
Nyerere voleva evitare la condizione di vassallaggio e sudditanza politica che si
instaurava tra Stati Uniti, Unione Sovietica e i loro paesi satellite.
Il punto di forza della politica estera della Tanzania starà proprio nella rete
diplomatica che Nyerere aveva contribuito a creare; il ruolo di primo piano che il
paese, e il suo presidente, si ritaglierà, sarà quello di guida regionale dell’Africa
australe e orientale. Con la maggior parte dei paesi della regione ancora sotto la
dominazione coloniale, quella portoghese, o sotto regimi razzisti, Sudafrica e
Rhodesia, il ruolo della Tanzania sarà quella di dare volto, voce e una politica
diplomatica ai movimenti di liberazione di questi Stati. Tranne qualche caso
particolare, come la guerra civile in Nigeria in cui Nyerere supportava la secessione
del Biafra69
, Israele70
e Vietnam71
, tutti casi in cui la voce di Nyerere non riuscì a
rappresentare al meglio gli interessi in gioco, le questioni che trattavano le spinose
66
J. NYERERE, Freedom and socialism: a selection of writings and speeches, Nairobi, 1968, pp. 46.
67
Idem
68
G. RIST, Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale, Torino, 1997, pp. 133.
69
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.96.
70
J. NYERERE, op. cit. pp. 371-372.
71
Idem
questioni dell’indipendenza dei paesi confinanti permisero alla Tanzania di ritagliarsi
un posto notevole al tavolo delle relazioni internazionali. I paragrafi seguenti
analizzano nello specifico le relazioni con alcuni Stati o enti internazionali specifici.
3.2 Gli istituti della diplomazia: l’Organizzazione delle Nazioni Unite
Tra tutte le missioni diplomatiche avviate dal governo di Nyerere una delle più
importanti fu, senza dubbio, la delegazione di New York presso le Nazioni Unite.
Il rapporto che lega le Nazioni Unite con Nyerere è positivo. Nyerere si rivelerà
conoscitore dello statuto delle Nazioni Unite, che più volte citerà affinché venga
applicato. Nyerere instaurerà ben presto un continuo dialogo con le commissioni
specifiche delle Nazioni Unite, come la Commissione Speciale per la
Decolonizzazione, attiva dal 1961, e soprattutto farà numerosi appelli all’Assemblea
Generale. Nyerere aveva compreso che le Nazioni Unite potevano essere un alleato
valido per un paese in via di sviluppo, e soprattutto comprese che quella era la
piattaforma ideale per veicolare i messaggi di decolonizzazione di cui lui voleva farsi
promotore. La Tanzania fu uno dei primi Stati ad ottenere l’indipendenza nell’Africa
orientale72
e, data la mentalità votata alla politica estera di Nyerere, questo comportò
il rendersi portavoce degli altri Stati che ancora erano invischiati nel processo.
L’opinione che Nyerere ha delle Nazioni Unite è legata alla dottrina del realismo
politico, una dottrina che riconosce i rapporti di potere tra enti e Stati nella politica
internazionale, la sua visione infatti è pienamente consapevole dei limiti che
l’organizzazione possiede ma anche dei vantaggi che può sortire un dialogo con essa.
I limiti delle Nazioni Unite che Nyerere rintraccia sono legati alla condizione di
inferiorità che lega l’organizzazione con le due superpotenze dell’epoca: gli Stati
Uniti e l’Unione Sovietica. L’amarezza di Nyerere per questa incapacità della Nazioni
Unite di prevalere emerge in un discorso del 1967 che Nyerere rivolge ai suoi
compagni di partito durante la biennale conferenza nazionale della TANU. In questo
suo discorso parla delle situazioni internazionali, non regionali, guerra in Vietnam e
la situazione israelo-araba, in cui la Tanzania prese specifiche posizioni politiche.
Legata al coinvolgimento delle Nazioni Unite in queste vicende afferma:
In the face of these two great International conflicts,
[…] the United Nations has been able to do very little. In
72
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.131; A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia:
L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli, 2013, pp. 55.
Vietnam in particular it has been completely helpless; its
Secretary General has tried time and again to intervene
in the cause of peace, and every time he has been
rebuffed73
.
In connessione allo sconforto per le scarse capacità di intervento nei conflitti in cui
Stati Uniti e Unione Sovietica giocano un qualche ruolo, muovendo gli ingranaggi per
i loro interessi, Nyerere afferma limpidamente i limiti delle Nazioni Unite:
The United Nations is weak when a powerful states wish
to ignore it. […] For big powers can live with the illusion of self-
sufficiency74
.
Tuttavia Nyerere non scoraggia la partecipazione alle Nazioni Unite, anzi riconosce
che solo con la partecipazione unanime di tutti i paesi, che a questa organizzazione
decidono di sottostare, questa possa rafforzarsi nelle sue possibilità di azione:
Yet it is important that we should not in consequence
lose faith in the United Nations, not reduce our support
of it. […] Rather than abandon the United Nations we
must work steadfastly and persistently towards
strengthening it75
.
Nyerere prosegue poi a definire quali, secondo lui, sono i vantaggi per le piccole
potenze, tra le quali inserisce anche la Tanzania:
Only in a organization such as the United Nations can we
hope to make our voice heard on International issues76
.
73
J. NYERERE, op. cit. pp. 372.
74
J. NYERERE, op. cit. pp. 372.
75
Idem
76
J. NYERERE, op. cit. 373.
Si riconosce dunque un’importanza vitale alle Nazioni Unite da parte delle piccole
potenze che, nel caso di Nyerere e dell’Africa australe, corrispondono a quei paesi di
recente indipendenza o che hanno difficoltà ad ottenerla. Quando negli anni settanta
si entrerà nel vivo delle lotte di indipendenza combattute, mentre la Tanzania sarà la
base di molti di questi movimenti, Nyerere ne incarnerà la voce anche presso questo
organo. Tuttavia Nyerere non è un politico da accettare una organizzazione come
questa, con un ruolo delicato ed importante, senza proporre sue personali opinioni.
In questo caso la critica, e il conseguente consiglio, che Nyerere muove nei confronti
delle Nazioni Unite riguarda la non rappresentazione di un paese con il quale la
Tanzania stringeva da qualche anno intensi rapporti di co-operazione: la Repubblica
Popolare Cinese. Formalmente l’appartenenza della Cina come paese membro non
era mai stata revocata, tuttavia il seggio della Cina dal 1949 rappresentava il
precedente governo che, a seguito della guerra civile cinese, si era stabilito nell’isola
di Formosa77
(Taiwan) appoggiato dagli Stati Uniti, mentre a Pechino veniva
proclama la Repubblica Popolare Cinese, supportata dall’Unione Sovietica, che
tuttavia, a causa del veto dei paesi occidentali, non avrebbe ottenuto riconoscimento
formale sino al 1971. Nonostante la questione si intersecasse con le spinose questioni
della guerra fredda, a Nyerere parve che il principio di autodeterminazione dei popoli,
contenuto nello stesso Statuto delle Nazioni Unite, non fosse stato in questo caso
applicato, e non mancò di rimarcarlo nella medesima occasione:
There is, however, one further point I must make with
reference to the United Nations. […] That is the fact
that People’s Republic of China is still excluded from
United Nations. […] This is absurd. While the most
populous nation on earth is excluded the United Nations
will continue to be hamstrung on all Far Eastern questions
[…] Tanzania will continue to advocate China’s admission
to her rightful place. […] its existence must be
accepted78
.
77
F.CAMMARANO, G. GUAZZALOCA, M.S. PIRETTI, Storia contemporanea: Dal XIX al XXI
secolo, Milano, 2009, pp. 245.
78
J. NYERERE, op. cit. 373.
Oltre a queste chiare posizioni sulle Nazioni Unite, Nyerere ha sempre colto
l’occasione per ricordare il debito che la Tanzania ha con questa organizzazione
internazionale, per il ruolo che svolge nel mantenere la pace nel mondo e per avere,
spesso, i diritti umani come nucleo delle sue azioni. Riconosce l’unicità di questo ente
al livello delle relazioni internazionali, e gli sforzi che compie anche per realtà non
strettamente internazionali ma regionali, come l’Africa australe79
. Nyerere riconosce
anche un ruolo importante alle organizzazioni come WHO (World Health
Organization) e la FAO (Food and Agriculture Organization) e il loro considerevole
aiuto per migliorare le condizioni di vita dei cittadini in Tanzania80
.
Tra i numerosi appelli che Nyerere rivolge alle Nazioni Unite, oltre al reiterato
appello del riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese81
, uno dei più
importanti sarà legato alla questione della Rhodesia del Sud e del suo regime razzista,
appello di cui Nyerere sarà portavoce. A seguito della UDI, la Dichiarazione
Unilaterale di Indipendenza che nel 1965 sancì la nascita, in Rhodesia del Sud, di uno
Stato a regime controllato dalla minoranza bianca del paese, il dibattito degli
oppositori a questo regime prese piede nell’organizzazione continentale preposta:
l’OAU (Organization of African Unity). Dopo la dichiarazione dell’UDI si tenne una
riunione speciale sulla questione proprio a Dar es Salaam, a riprova dell’importanza
centrale della Tanzania, la cui risoluzione decretò come primo punto un embargo
economico e diplomatico contro la Rhodesia82
. Nonostante la ratifica di questa
risoluzione che impegnava i paesi firmatari ad applicare questa iniziativa, alcuni paesi
interruppero solo in parte le loro relazioni con la Rhodesia. Inoltre, nonostante
Nyerere avesse fatto pressioni affinché la Gran Bretagna risolvesse in tempi brevi la
questione, era consapevole che attraverso il Sudafrica, presso il quale non era attivo
alcun embargo, la Rhodesia si poteva rifornire di tutti i beni di cui aveva bisogno
senza dipendere dagli altri Stati della regione e limitando di gran lunga le
ripercussioni sull’economia del paese83
. Nyerere si rese subito conto che, visto il
rifiuto del Sudafrica di perseguire la linea della risoluzione, gli sforzi degli altri paesi
erano pressoché inutili. Nyerere era tuttavia consapevole che le Nazioni Unite
avrebbero potuto imporre una sanzione di questo tipo; l’appello fu dunque quello di
fare riferimento al Capitolo 7 dello Statuto affinché la sanzione diventasse
79
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.130.
80
Ibidem, pp.131.
81
J. NYERERE, op. cit. pp. 100.
82
O. ALUKO, T.M. SHAW, Southern Africa in the 1980s, London, 1985, pp. 7.
83
Idem
obbligatoria anche per gli Stati che non la applicavano. Sulle pagine di rivista
americana di politica estera Nyerere scriverà sulla questione:
This official neutrality is at the moment possible because
the economic sanctions are voluntary acts of each
separate nation state. By refusing to participate in these
sanctions South Africa is thus breaking no international
law. This situation would be changed if the United
Nations adopted Chapter 7 of the Charter, which makes
sanctions mandatory on all members84
.
Con queste parole Nyerere dimostrava di conoscere l’importanza delle Nazioni Unite
e di riconoscere anche i limiti giuridici differenti che due organizzazioni diverse,
come l’OAU e l’ONU, possedevano.
All’interno dell’Assemblea Generale la Tanzania è stata spesso chiamata a votare per
risoluzioni che contemplavano l’Africa ma anche altri continenti, la logica di voto
applicata dalla Tanzania era spesso quella del blocco Afro-Asiatico, utilizzato anche
per mantenere alta la pressione sul regime di Apartheid in Sudafrica. Questo blocco
compatto nelle votazioni delle Nazioni Unite riuscì ad arrivare a contare 71 membri85
,
un numero considerevole con un notevole peso nelle votazioni. Era il trionfo della
politica di uguaglianza delle popolazioni, in cui Nyerere credeva, dei paesi con un
comune passato coloniale.
Una questione a parte merita il rapporto della Tanzania con la Banca Mondiale,
formalmente una istituzione delle Nazioni Unite ma di difficile collocazione politica
in quanto il suo presidente è eletto direttamente dal Presidente degli Stati Uniti e non
dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. A seguito delle richieste di supporto economico
da parte della Tanzania, la Banca Mondiale decise di finanziare le politiche di
progresso intraprese dal paese. La convinzione della Banca Mondiale era che in un
paese come la Tanzania la maggior parte delle risorse dovessero essere rivolte allo
sviluppo dell’agricoltura, in linea con l’ideologia dell’Ujamaa teorizzata da
Nyerere86
. Gli investimenti che la Banca Mondiale indirizzò verso la Tanzania
84
J. NYERERE, op. cit pp.153
85
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.132.
86
M. VON FREYHOLD, Ujamaa villages in Tanzania: analysis of a social experiment, Londra, 1979,
pp. 108.
tuttavia erano accompagnati da una visione particolare di come l’economia della
Tanzania dovesse svilupparsi, visione che talvolta contraddiceva l’ideologia socialista
del Presidente Nyerere. L’Ujamaa prevedeva tre fasi87
, al termine dei quali si
raggiungeva l’obbiettivo delle fattorie comunitarie, legate al quel processo di
“villaggizzazione” descritto nel capitolo precedente, la seconda fase, la penultima,
prevedeva l’unione dei lotti di terra di privati, con le rispettive fattorie agricole, in
quello che venivano chiamate block-farms (letteralmente fattorie in blocco) che
avevano la forma dei villaggi comunitari, previsti nella fase successiva, ma ancora
formalmente di proprietà privata. La Banca Mondiale si concentrò particolarmente
negli investimenti sulle block-farms facendo rallentare e poi definitivamente fermare
il sogno di raggiungere la terza fase della villaggizzazione. Molti teorici sostengono
che la concentrazione degli investimenti particolarmente su questa fase intermedia
fosse una pratica voluta, e che a seguito di questo rallentamento nel processo anche la
stessa Tanzania virò sulla formazione di fattoria parastatali, poiché appariva più facile
controllarle invece che permettere ai villaggi dell’Ujamaa di maturare88
.
Alcuni addetti ai lavori affermarono che già dal 1972 c’era una direttiva del governo
della Tanzania che affermava di favorire le block-farms89
. La Banca Mondiale non si
era opposta al controllo verticistico della produzione nazionale ma alla
collettivizzazione comunitaria che era alla base del progetto socialista. Secondo
Michaela Von Freyhold se il tentativo della Tanzania di perseguire il socialismo fosse
stato più tenace sarebbe stato più complicato ricevere supporto economico90
. Mentre
la Banca Mondiale fece un tentativo, poi vittorioso, di riportare il modello di sviluppo
della Tanzania su binari più consoni all’istituzione stessa91
.
3.3 Gran Bretagna: tra consuetudine e innovazione
L’indipendenza concordata tra Tanzania e la Gran Bretagna era servita a quest’ultima
per dimostrare che la lotta armata poteva essere evitata e che la Gran Bretagna poteva
portare all’indipendenza le sue colonie senza spargimenti di sangue92
.
Questa politica della Gran Bretagna era stata promulgata dal suo Primo Ministro
Harold Macmillan e professata nel discorso wind of change tenuto da quest’ultimo a
87
Ibidem, pp. 112.
88
Ibidem, pp. 113.
89
Ibidem, pp. 112.
90
Ibidem, pp. 115.
91
Idem
92
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 67.
Città del Capo93
. La conferenza costituzionale della Tanzania fu la più veloce tra tutti
i possedimenti britannici, durò solo ventiquattro ore, questo a riprova della volontà di
rendere indipendente lo Stato94
.
La definitiva benedizione all’indipendenza dell’ex colonia venne dal Segretario di
Stato delle Colonie dell’Impero, Iain Macleod che accettò Nyerere come primo
ministro (Nyerere veniva dalla vittoria plebiscitaria alle elezioni del 196095
) ancora
prima che l’indipendenza fosse formalmente dichiarata96
. Al momento
dell’indipendenza sembrò che i due Stati fossero in una situazione di armoniosa
convivenza. Alla cerimonia inaugurale presenziò il Principe Filippo come membro
della famiglia reale97
. Formalmente l’indipendenza era iniziata sotto i migliori
auspici. La condizione di ex colonia britannica mise la Tanzania nella condizione di
richiedere un sostegno economico, per il progetto dell’Ujamaa, alla Gran Bretagna
prima di tutti gli altri Stati. La questione finanziaria pose le prime frizioni tra i due
Stati. A Luglio 1961, mentre si stavano facendo i preparativi per il passaggio
amministrativo e burocratico dal governo coloniale a quello tanzaniano, si discusse la
questione della independence dowry, la dote che la Gran Bretagna concedeva ai paesi
neo indipendenti98
. La posizione della Gran Bretagna sulla questione prevedeva che i
bisogni finanziari della Tanzania venissero soddisfatti dalle Nazioni Unite in quanto
quest’ultima aveva posto sotto la Gran Bretagna la colonia come amministrazione
fiduciaria99
. Il Ministro delle Finanze del Tanganyika, Sir Ernest Vasey, aveva
formalmente richiesto a Londra un prestito di 24 milioni di sterline da apportare ad un
piano di sviluppo triennale che era in fase di realizzazione100
. Il Segretario Macleod
informò gli emissari del governo che, a causa delle politiche di austerità intraprese dal
governo di Londra, le pretese finanziarie dovevano essere dimezzate101
. La risposta di
Nyerere fu di sfruttare la tesa situazione della guerra fredda a proprio vantaggio.
Seguendo la politica nazionale di non-allineamento Nyerere enfatizzò la necessità di
ottenere i fondi per iniziare un piano di modernizzazione economica, se questi fondi
non fossero stati forniti dalla Gran Bretagna allora avrebbe fatto formale richiesta al
governo di Mosca102
. Il Governatore della Colonia del Tanganyika Richard Turnbull,
93
Idem
94
Ibidem, pp. 68.
95
A. PALLOTTI, op. cit. pp. 54
96
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 68.
97
Ibidem, pp. 70.
98
Ibidem, pp. 68.
99
Idem
100
Ibidem, pp. 69.
101
Idem
102
Idem
che era in ottimi rapporti con Nyerere tanto da venire considerato un ospite gradito
nel paese103
, volò a Londra per riportare al governo il rischio che si sarebbe corso
lasciando che il Tanganyika si avvicinasse all’orbita sovietica alla ricerca di aiuti
economici, cosa che accadrà in ogni caso data la politica di non-allineamento
perseguita da Nyerere. Allarmati dalla situazione Londra concesse il prestito in tutta
la sua interezza104
. La prima trattativa tra lo stato della Tanzania indipendente e
Londra aveva visto Nyerere sfruttare sapientemente la difficile situazione
internazionale per garantire il successo degli interessi nazionali. Un secondo
momento di tensione tra i due paesi si ebbe nel 1964 quando a Zanzibar scoppiò una
rivolta a seguito di una escalation militare iniziata dalla notizia che il governo di
Londra voleva concedere l’indipendenza all’isola mantenendo il sultano di Zanzibar
al potere. L’ammutinamento dell’esercito fu guidato da Abeid Karume, leader
dell’Afro-Shirazi Party, che prese il controllo totale dell’isola e procedette
all’espulsione di 15 mila tra arabi e asiatici. La situazione venne risolta
dall’intervento delle truppe Britanniche, chiamate da Nyerere, e dalla promessa del
Presidente della Tanzania fatta a Karume di unificare i due paesi e di garantire a
questo una carica politica nel nuovo assetto politico. Abeid Karume diventerà
vicepresidente della Tanzania unificata105
.
Le tensioni tra Tanzania e Gran Bretagna raggiungeranno l’apice dopo la
Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza di Ian Smith che assicurò il potere alla
supremazia bianca in Rhodesia. La reazione della Tanzania e degli Stati africani
limitrofi fu, attraverso una seduta dell’OAU, di decretare l’embargo economico e
diplomatico con il regime di Smith, mentre Nyerere, portavoce a livello
internazionale della regione fece un appello all’allora primo ministro della Gran
Bretagna, il laburista Harold Wilson, affinché ripristinasse la legalità al più presto.
Le pressioni e le minacce del Governo Wilson furono accompagnate dalla
dichiarazione dello stesso di non voler usare la forza contro il regime di Smith106
.
La risposta della Tanzania fu quella di rompere i contatti diplomatici con il Regno
Unito. Wilson in risposta congelò i nuovi aiuti economici previsti per la Tanzania107
.
La delusione per il mancato intervento in Rhodesia e per la sua blanda presa di
posizione derivava dal fatto che la Tanzania indicava la Gran Bretagna come l’organo
preposto per ripristinare la legalità e i diritti negati ed abusati in Rhodesia. Nyerere
103
Ibidem, pp. 71.
104
Ibidem, pp. 69.
105
A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp. 388.
106
A. PALLOTTI, op. cit. 94.
107
Idem; J. NYERERE, op. cit. pp. 203.
fece riferimento all’illegalità del governo di Smith dichiarando che questo era ancora
colonia britannica e che quindi un governo unilaterale non aveva, o non avrebbe
dovuto avere, validità giuridica. Eppure Londra era restia ad intervenire e riportare la
legalità in Rhodesia. In un intervento del 2 dicembre 1965, presso il consiglio dei
ministri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, Nyerere spiegò le motivazioni che
avrebbero portato la Tanzania alla decisione di interrompere le relazioni diplomatiche
con Londra. Nyerere spiega come in un primo momento le politiche del governo di
Wilson fossero in linea con la risoluzione che l’OAU voleva adottare. Il parlamento
inglese aveva infatti approvato delle restrizioni economiche contro il governo di
Smith, principalmente bloccando le importazioni dalla Rhodesia di tabacco e di
petrolio108
. Nyerere riporta inoltre di come il Segretario degli Affari Esteri britannico
fosse stato mandato alle Nazioni Unite per avere un appoggio internazionale sulla
questione109
. Il 20 novembre 1965 una risoluzione del consiglio di sicurezza era stata
accettata, in questa si faceva appello a tutti gli Stati membri affinché rompessero le
relazioni economiche con la Rhodesia del Sud110
. Il 23 novembre, riporta Nyerere
spiegando il passo indietro della Gran Bretagna, il ministro Wilson rivedeva la sua
posizione sull’embargo, soprattutto per i prodotti petroliferi, dando come spiegazione
il fatto che si dovessero riconsiderare le ripercussione che questo embargo avrebbe
prodotto sullo Zambia, stato confinante e fortemente dipendente dall’economia della
Rhodesia. Nyerere, deluso dal volta faccia di Londra si limitò a ricordare un semplice
fatto:
That Zambia had supported the resolution appare
irrelevant to the British Prime Minister111
.
Nyerere criticava inoltre come, de facto, il potere fosse in uno stato di auto-governo
dal 1923112
, ricordava inoltre, fattore quest’ultimo ancora più preoccupante per gli
Stati dell’area, di come, nel 1963, l’amministrazione dell’esercito e delle forze
dell’aviazione fossero passate sotto il controllo esclusivo delle autorità di Salisbury113
,
sulle quali, apparentemente, Londra aveva ormai poco controllo. Nyerere inoltre
compie nella stessa circostanza un nuovo appello a Londra ricordando che la
108
Ibidem, pp. 124.
109
Idem
110
Idem
111
Idem
112
Ibidem, pp. 118.
113
Ibidem, pp. 119.
costituzione, sotto la quale il governo illegale di Smith si era insediato, prevedeva
ancora dei poteri in mano al governo e al parlamento di Londra:
We do not demand that British troops should die in
Southern Rhodesia; We do not demand that Smith’s
forces should die. If this matter can be settled
peacefully no one will be more happy than Africa. but it
must be settled. Further it must be settled quickly.
Great principles are at the stake. […] Britain has done
the very minimum, and left African state to live under
threat to its livelihood from the rebels114
.
Successivamente a questi appelli la situazione non muterà più di tanto, nonostante il
raggiungimento di un parziale embargo economico per la Rhodesia Nyerere comprese
che il regime di Smith non avrebbe avuto troppe ripercussioni fintanto che il
Sudafrica poteva fornire sostentamento economico e armi al regime115
. Inoltre dopo
che il Malawi cominciò a fare gli interessi dei regimi dell’Apartheid e a rendere
difficoltoso raggiungere delle risoluzioni alle sedute dell’OAU116
, Nyerere deciderà di
cambiare la strategia e di supportare apertamente e materialmente i movimenti di
liberazione che combatteranno in Rhodesia. La questione dell’UDI segnò un
definitivo declino delle relazioni diplomatiche con Londra, relazioni che
riprenderanno con una certa continuità solo a partire dagli anni ottanta quando la
Tanzania, abbandonati definitivamente i progetti socialisti, cominciava ad affrontare
le sfide dei programmi di aggiustamento strutturale117
.
3.4 La guerra fredda e la politica dei blocchi
Nel clima generale di paranoia bellica che accompagna tutti gli anni sessanta della
guerra fredda, la Tanzania venne etichettata, spesso dalla stampa americana, come
paese comunista. Nonostante Nyerere stesso avesse ribadito, all’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite nel dicembre del 1961 la propria politica di non-allineamento118
,
114
Ibidem, pp. 123.
115
O. ALUKO, T.M. SHAW, op. cit. pp. 7.
116
Ibidem, pp. 8.
117
A. PALLOTTI, op. cit. 157.
118
J. NYERERE, op. cit. 51.
alla medesima assemblea, Adlai Stevenson, ambasciatore della delegazione degli
Stati Uniti, chiese a Nyerere di appoggiare la causa del governo di Washington di
proseguire con l’esclusione della Repubblica Popolare Cinese da Stato di membro
delle Nazioni Unite119
.
Nyerere per placare le accuse aveva affermato che la Tanzania era più legata al
mondo occidentale grazie al suo passato di ex colonia britannica120
. Le ragioni delle
accuse dei paesi occidentali sono da riscontrarsi nelle relazioni che la Tanzania
intratteneva con nazioni comuniste, come Unione Sovietica, Cina e Jugoslavia.
Rapporti diplomatici, culturali ed economici121
, che però mantenevano sempre le
prerogative, volute da Nyerere, del non-allineamento. Nonostante la minaccia di
rivolgersi a Mosca122
che Nyerere fece al governo di Londra, quando quest’ultimo non
voleva garantire un prestito di 24 milioni di sterline, le relazioni economiche con i
sovietici si limitarono a interscambi scolastici e a un prestito base, che Mosca offriva
a tutti i paesi non filoccidentali richiedenti, da 20 milioni di dollari123
. In seguito la
Tanzania si avvicinò maggiormente a Pechino, relazione che tratterò in un paragrafo
successivo, anche per la volontà di Mosca di dedicarsi maggiormente ai governi dei
paesi arabi124
. Gli scambi economici tra Cina e Tanzania misero nuovamente il paese
sotto la lente di ingrandimento dei paesi occidentali che avevano ricominciato ad
evocare la contaminazione comunista125
. Nyerere affermerà, ironico, riguardo alla
questione:
Sometimes I wonder whether the Western countries are
not rapidly developing an inferiority complex towards the
Eastern countries, and China in particular126
.
Nyerere seguiterà nuovamente a rassicurare i più scettici della bontà delle relazioni
della Tanzania guidate dal principio di non-allineamento. Tuttavia Nyerere fu
infastidito dal fatto che i paesi del blocco occidentale sembravano darsi
maggiormente da fare per criticare le relazioni diplomatiche di un paese, presunto
119
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 71.
120
J. NYERERE, op. cit. 17.
121
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 152.
122
Ibidem, pp. 69.
123
Ibidem, pp. 152.
124
Ibidem, pp. 153.
125
J. NYERERE, op. cit. 51
126
Ibidem, pp. 52.
comunista, mentre non si preoccupavano delle pratiche coloniali e di segregazione
razziale ancora in atto presenti in Africa127
. Secondo Nyerere erano queste le questioni
che dovevano realmente interessare ai paesi democratici occidentali. Attraverso le
parole di Nyerere:
The continuation of colonialism and racialism in the
Portuguese colonies, in Southern Rhodesia, and in South
Africa is a daily affront to all the principles of
democracy […] on which we stand. And it is the thing
which really ought to be worrying the West very much
indeed, because it is these matters which will really
affect the relations of the West with Africa128
.
Sempre legato alla guerra fredda, Nyerere non mancherà di far notare il suo
disappunto al governo di Washington sulla questione della guerra in Vietnam129
.
Inoltre la medesima ideologia dei blocchi causò la fine delle relazioni diplomatiche
con la Repubblica Federale Tedesca. La causa fu il riconoscimento diplomatico che la
Tanzania concesse alla Repubblica Democratica Tedesca130
, accettando un consolato
non-ufficiale da questa, pratica in uso già in altri Stati africani131
. La risposta della
Germania Ovest fu di interrompere un investimento diretto che i due Stati stavano per
sottoscrivere132
.
Nyerere riuscì ad ogni modo a sviare l’attenzione sul proprio paese, in quegli anni
c’era infatti il rischio che un neo stato indipendente diventasse teatro di conflitti
regionali. Spesso erano la valvola di sfogo di escalation militari più ampie che
interessavano le due grandi potenze in gioco. Per la Tanzania il rischio di diventare il
teatro di questi conflitti era reale. Nyerere sapeva infatti che, a causa del ritiro della
marina britannica dell’Oceano Indiano e del vuoto militare e geopolitico
conseguente133
, il controllo di isole e litorali che si affacciavano sull’oceano diventava
vitale per Washington e Mosca. Gi sforzi di Nyerere furono al fine di mantenere
127
Idem
128
Idem
129
Ibidem, pp. 74.
130
G. HYDEN, R. MUKANDALA, Agencies in foreign aid, Chippenham, 1999, pp. 35.
131
J. NYERERE, op. cit. 202.
132
Idem
133
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 156.
l’Oceano Indiano come una zona di pace, sforzi che si tradussero nel tentativo di
conferenze di paese non-allineati per proibire le attività militari navali nella
regione134
. Gli sforzi di Nyerere furono sufficienti ad evitare conflitti nell’area che
tuttavia si ripresentarono un decina di anni dopo, negli anni settanta, trovando terreno
fertile nelle rimanenti lotte armate di liberazione.
3.5 Le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e gli investimenti
dell’USAID
Quando fu chiamato a descrivere le relazioni diplomatiche che legavano la Tanzania
con gli Stati Uniti Nyerere definì queste come uncooperative coldness135
, una
freddezza non cooperativa principalmente legata alle differenze ideologiche tra i due
paesi. Nyerere definiva gli Stati Uniti come la bandiera del capitalismo, definito
“animalismo”136
(Unyama in swahili), in cui il più forte prevarica sul più debole con
la sua natura predatoria in un capitalismo in cui il profitto è l’unico bisogno primario;
Nyerere aveva inoltre suggellato, nel suo manifesto politico della Dichiarazione di
Arusha, una chiara ideologia, nella quale veniva spiegato come il capitalismo fosse
inutile e nocivo per un società come quella tanzaniana137
. Tralasciando le relazioni
economiche tra i due paesi, questione di cui mi occuperò più avanti nel paragrafo, le
relazioni diplomatiche erano partite secondo i migliori auspici. Al momento
dell’indipendenza la delegazione statunitense aveva consegnato una lettera a Nyerere,
scritta dal Presidente Kennedy, nella quale quest’ultimo si complimentava della
pacifica indipendenza raggiunta e garantiva al governo di Dar es Salaam un prestito
di 10 milioni di dollari per dei piani di sviluppo138
. Il rapporto tra Nyerere e Kennedy
continuò via missiva per mesi sino alla visita a Washington di Nyerere su invito del
Presidente Kennedy139
nel 1963. Nyerere racconterà poi di come durante l’incontro
avesse chiesto al Presidente Kennedy della ragione dietro gli investimenti che gli Stati
Uniti stavano compiendo nei confronti della Tanzania. Kennedy affermò che il
motivo principale di quei fondi non era l’altruismo ma questioni di interesse della
nazione. Incalzato su questo punto, Kennedy affermò che l’interesse giaceva
principalmente nella costruzione di una difesa nazionale e internazionale contro
134
Idem
135
G. HYDEN, R. MUKANDALA, op. cit. 42; J. NYERERE, op. cit. 202
136
G. HYDEN, R. MUKANDALA, op. cit. 42.
137
J. NYERERE, op. cit. 10-12
138
W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 70-71.
139
Ibidem, pp. 75.
Politica regionale e internazionale della Tanzania di Nyerere
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Politica regionale e internazionale della Tanzania di Nyerere

  • 1. Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Scuola di Scienze Politiche Corso di Laurea in Scienze Politiche Sociali e Internazionali Tesi di Laurea in Storia e Istituzione dell’Africa subsahariana Politica regionale e internazionale della Tanzania di Nyerere CANDIDATO RELATORE Francesco Bonomi Dott. Corrado Tornimbeni SESSIONE II ANNO ACCADEMICO 2013-2014
  • 2.
  • 3. Indice INTRODUZIONE…………………………………………………........... 2 CAPITOLO 1: LA GUERRA FREDDA E GLI ALBORI DELLA DIPLOMAZIA…………………….…………………… 5 1.1 Breve quadro storico e politico internazionale degli anni ’60 e ’70……………………………………...……………...5 1.2 Quadro storico regionale: la decolonizzazione in Africa subsahariana……………………………………………………….….. 8 1.3 L’organizzazione delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale……….... 12 CAPITOLO 2: STORIA DELLA TANZANIA E DEL PRESIDENTE NYERERE…………………………………….….......... 15 2.1 Il Tanganyika indipendente…………………………………............... 15 2.2 L’ideologia socialista di Nyerere………………………………….......19 2.3 L’influenza di altri pensatori………………………………………..... 23 CAPITOLO 3: LA TANZANIA E LE RELAZIONI INTERNAZIONALI……………………………….…. 26 3.1 L’arena delle relazioni internazionali…………………...………….... 26 3.2 Gli istituti della diplomazia: l’Organizzazione delle Nazioni Unite…………………………………….………….…. 29 3.3 Gran Bretagna: tra consuetudine e innovazione………….………….. 34 3.4 La guerra fredda e la politica dei blocchi……………………………. 38 3.5 Le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e gli investimenti dell’USAID…………………………………………………….……. 40 3.6 Repubblica Popolare Cinese: relazioni economiche e diplomatiche… 45 CAPITOLO 4: GUIDA EGEMONE DELLA POLITICA REGIONALE……………………………………..…… 50 4.1 La politica regionale di Nyerere e i rapporti con lo Zambia…………. 50 4.2 Il ruolo della Tanzania nell’Organizzazione dell’Unità Africana……. 53 4.3 Eastern African Community e rapporto con l’Uganda………….…… 59 CONCLUSIONI………………………………………………………… 63
  • 4. BIBLIOGRAFIA………………………………………………………... 65 Introduzione L'oggetto centrale di questa tesi sono le politiche diplomatiche e le relazioni internazionali concluse, promosse o ideate da Julius Nyerere, leader della Tanzania indipendente e punto di riferimento dei movimenti di liberazione dell'Africa australe a partire dai primi anni sessanta. Parlando di politiche diplomatiche non deve indicare che si tratterà unicamente di statuti o trattati conclusi dalla Tanzania con altri stati o con organizzazioni internazionali, ma altresì si tratterà anche di statement, affermazioni e discorsi espressi dall'allora capo di stato della Tanzania, Nyerere, che valgono come espressioni vere e proprie della politica estera del paese. Nelle relazioni internazionali le affermazioni di un capo di stato hanno valore come i trattati e sono espressione della politica che quello stesso stato promuoverà. La legge interna è il mezzo con cui uno stato si relaziona con i suoi cittadini. Al momento dell'indipendenza un stato sovrano avrà altri interlocutori con cui dialogare, ovvero gli altri stati sovrani, in cui le caratteristiche rilevanti per aver voce in capitolo sono, soprattutto, la forza militare e economica. Nonostante si ricorra alla diplomazia per evitare la soluzione delle armi alle controversie internazionali, esse, le armi, sono sempre presenti e ad esse si può sempre ricorrere. Stando questa premessa si sarebbe portati a pensare che chi è forte economicamente e/o militarmente abbia maggiore rilievo della diplomazia. L'affermazione è valida ma lungi dall'essere sempre corretta. Nella diplomazia è rilevante anche il carisma degli uomini che la esprimono e da qui muovo le prime motivazioni per cercare di rispondere al dilemma: perché la Tanzania? Economicamente limitata e dipendente dall'assistenza finanziaria estera, la Tanzania non aveva le caratteristiche per poter fare la voce grossa nella politica estera; eppure, grazie al talento, al carisma e alla visione di Julius Nyerere, si ritagliò uno spazio notevole nel tavolo delle relazioni diplomatiche. Uno spazio più grande di quello che ci si potesse aspettare. Questa peculiarità rende la Tanzania di Nyerere un'alternativa interessante a chi sostiene che la politica estera venga gestita dalle potenze economiche e militari. Non va dimenticato tuttavia che la diplomazia di Nyerere avviene durante la guerra fredda, un periodo storico pregnante per le relazioni internazionali e di difficile lettura. I nuovi stati che si affacciavano nelle relazioni internazionali, come gli stati africani negli anni sessanta, diventarono terreno di scontro nella logica dei due blocchi
  • 5. ideologici. A posteriori possiamo affermare che la Tanzania riuscì a ottenere con la diplomazia uno spazio internazionale maggiore di quanto i suoi mezzi iniziali non le permettessero, ma quello che mi motiva è chiedermi se e in che misura le logiche della guerra fredda, e tutti gli attori internazionali che in esse operarono, hanno contribuito a far sì che la Tanzania si ritagliasse tale spazio. Trattandosi di uno studio limitato cronologicamente agli anni in cui Nyerere è stato la guida del paese, la maggior parte delle fonti saranno testi bibliografici accademici entro i quali ho rintracciato sezioni e paragrafi che trattano, in alcuni casi in maniera estesa in altri marginalmente, dei rapporti della Tanzania con stati della medesima regione, con stati di altri continenti e con organizzazioni internazionali, proseguendo poi a visionare quelli che gli autori dei testi indicano a loro volta come fonti bibliografiche per la stesura dei paragrafi stessi e procedendo a visionare queste nuove fonti e ricominciando il setaccio di paragrafi pertinenti al tema. Trovano inoltre spazio tra le fonti articoli accademici di riviste specializzate. L'architettura che voglio dare a questo studio prevede una prima sezione in cui tento di fornire un quadro generale, storico e politico, e una visione del fare diplomazia negli anni sessanta e settanta. Parallelamente a questo un approfondimento della vita politica ed economica della Tanzania agli albori del suo ciclo di stato indipendente. Nel concludere la prima sezione tratterò della figura di Julius Nyerere, della sua ideologia e dei suoi possibili precursori. Lo scopo della prima sezione è presentare economicamente e politicamente gli attori che andranno a relazionarsi mediante la diplomazia e la politica estera: la Tanzania e il suo presidente da una parte e gli attori e gli enti internazionali dall'altra. La seconda sezione tratta, mediante un criterio geografico, delle relazioni internazionali che vedono coinvolta la Tanzania. Relazioni con stati sovrani con cui sussisteranno rapporti di natura economica, politica o ideologica e con organizzazioni internazionali, imprescindibili quando si affronta il tema della politica estera. La terza parte infine, seguendo quel criterio geografico sopracitato, si focalizza sulle relazioni regionali della Tanzania, il cui apporto sarà storicamente rilevante ed incisivo. Trattando delle relazioni diplomatiche, sia nel contesto internazionale che in quello regionale, spesso la voce della Tanzania sarà quella del presidente Nyerere, in quanto a quest'ultimo si possono ricondurre la maggior parte dei, se non tutti i, compimenti raggiunti dallo stato africano.
  • 6. Nyerere è stata una delle figure politiche più attive e influenti in Africa sub-sahariana. La sua più grande capacità, come tanti altri personaggi della storia contemporanea, è capire che la realtà, politica ed economica, muta velocemente e con schemi di difficile comprensione. E nella politica internazionale queste mutazioni si esprimono con l’influenza di stati su altri stati in una logica di scambi reciproci. Nyerere faceva tesoro di tutte le influenze che il mondo cercava di avere sulla Tanzania e abilmente ha sfruttato, in molti casi, queste influenze per altri scopi, nazionali e regionali. Da questo studio emergerà un continuo scambio di influenze tra Nyerere e una moltitudine di attori internazionali. Una conclusione sarà dunque quella di presentare queste influenze e ricostruire da quali radici mossero i primi passi iniziative che portarono a eventi rilevanti per la storia regionale dell’Africa australe.
  • 7. Capitolo 1: La guerra fredda e gli albori della diplomazia 1.1 Breve quadro storico e politico internazionale degli anni ’60 e ‘70 Se la guerra fredda è stato un conflitto passato alla storia come statico, immobile e, sostanzialmente, non combattuto in prima linea dalle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, fu grazie a conflitti regionali minori che fungevano da valvola di sfogo alle pressioni che le due potenze accumulavano. La procedura con cui spesso si arrivava a questi conflitti regionali prevedeva un supporto a movimenti politici o militari di altre nazioni, spesso legati ad una ideologia similare a quella delle due potenze, capitalista per gli Stati Uniti, comunista o di socialismo scientifico per l’Unione Sovietica. La ricerca di paesi da allineare in uno dei due blocchi si intensificò durante gli anni sessanta, anni in cui molti Stati ottennero l’indipendenza dalle colonie. Le potenze coloniali, che ora gravitavano nel blocco occidentale insieme agli Stati Uniti, concedendo le indipendenze in Africa e in Asia fecero entrare nell’arena della politica internazionale un gran numero di nuovi Stati, verso i quali l’Unione Sovietica avrebbe cercato di indirizzare il proprio supporto, politico ed economico, per farli diventare paesi satellite. L’obbiettivo era di ottenere nuove pedine nello scacchiere internazionale. In Asia, negli anni cinquanta e sessanta, i conflitti in Corea e in Vietnam dimostrarono che il rischio di conflitti su territori periferici era reale, lezione che probabilmente non passò inosservata a Nyerere. In Africa sub-sahariana un primo momento di tensione si ebbe durante la Crisi del Congo, che durò dal 1960 al 1965, in cui l’Unione Sovietica supportò, anche con la vendita di armi, il primo ministro Patrice Lumumba e, dopo l’assassinio di quest’ultimo, il suo successore Gizenga, mentre gli Stati Uniti supportavano il governo di Kasa-Vubu. Anche la Tanzania si inserì nel contesto del conflitto, conflitto regionale che assunse un assetto globale, supportando il leader dell’indipendenza Lumumba. Normalizzata la situazione in Congo, l’Unione Sovietica perse interesse nel continente, dedicandosi maggiormente ad ottenere una posizione dominante sugli Stati asiatici e arabi1 . Negli anni settanta tuttavia si assistette ad un rinnovato interesse nell’Africa da parte dell’Unione Sovietica, soprattutto quando la maggior parte dei 1 G. PAGLIANI, Quando due elefanti lottano è l’erba che soffre, Milano, 2000, pp. 28.
  • 8. movimenti di liberazione abbracciò l’ideologia di un socialismo scientifico di stampo marxista-leninista. Emblema del rinnovato interesse sovietico nel continente sarà la guerra di liberazione in Angola, che rappresentava l’opportunità di una guerra a basso costo, in termini di supporto economico, e non vincolante per l’esercito, in quanto sul campo combattevano il movimento di liberazione e truppe cubane2 . Il rinnovato interesse per l’Africa da parte dell’Unione Sovietica non passò inosservato a Washington che intensificò i propri sforzi per opporsi agli interessi sovietici nell’area, portando nuovamente un conflitto regionale su un piano globale. L’intervento sovietico fu inoltre impostato in chiave anti-cinese, in quando la Repubblica Popolare Cinese aveva occupato il vuoto politico lasciato nel sub-continente dalla Russia e supportava, economicamente e con tecnici, vari Stati sub-sahariani, tra i quali la Tanzania. La Tanzania infatti, nel momento in cui cercava dei paesi donatori per avere i fondi per iniziare un processo di sviluppo dell’economia, ricevette in un primo momento aiuti economici dall’Unione Sovietica per poi, a seguito del disinteresse sovietico per un paese non-allineato come la Tanzania, virare sul più consistente supporto cinese3 . La stessa Tanzania rischiò di diventare un terreno di scontro per le due potenze, in quanto la fine della colonizzazione britannica nell’area aveva creato un vuoto di potere militare navale sulle coste che davano sull’Oceano Indiano4 . Con il regime portoghese ancora stabile in Mozambico (il Portogallo era un paese alleato della NATO) i tentativi di avere un appoggio nell’area per i sovietici passarono necessariamente per la Tanzania, paese che aveva inoltre abbracciato una ideologia socialista. Tuttavia Nyerere aveva sempre dichiarato la politica di non-allineamento del suo paese per le questioni della guerra fredda, e continuò a seguire questa linea anche quando Mosca propose investimenti in Tanzania in cambio di un allineamento sovietico. Il cappello sotto cui si muovono tutte le politiche tra stati negli anni sessanta e settanta sarà dunque quello della divisione in blocchi ideologici. In concomitanza alla guerra fredda, tralasciando volontariamente tutti i casi di conflitti politici o armati che ad essa sono direttamente conducibili, si possono riscontrare eventi rilevanti per il caso di studio in esame, poiché, studiandone le politiche internazionali, bisogna considerare come politiche internazionali di altri paesi ebbero effetti sulla Tanzania. 2 Idem 3 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood, Maryknoll, 1976, pp. 152- 153. 4 Ibidem, pp. 156.
  • 9. Due eventi rilevanti furono le crisi petrolifera ed energetica, rispettivamente del 1973 e del 1979. La crisi Energetica del 1973, causata dall’interruzione improvvisa del flusso di petrolio da parte dei paesi esportatori (membri dell’OPEC) verso i paesi importatori, portò ad una diminuzione energetica in tutto il mondo con effetti anche su alcuni Stati dell’Africa sub sahariana, in particolare nell’Africa australe in cui molte economie si basavano sulla produzione di materie prime. Gli effetti di questa prima crisi energetica si fecero sentire in Tanzania, con disagi legati soprattutto ai trasporti. Il costo delle importazioni aumentò del 10% causando diminuzioni nella spesa pubblica e calo del potere di acquisto5 . La crisi Energetica del 1979 invece fu causata dalla rivoluzione iraniana che comportò un innalzamento del prezzo del bene nei mercati internazionali, portò ad uno shock macroeconomico dell’offerta con conseguenti disagi per i paesi che erano dipendenti dall’importazione del petrolio per più del 70%6 . La risposta a questa crisi fu un contro- shock di ricerca di petrolio di produzione non-OPEC per i paesi che avevano le risorse naturali adatte a tale autosufficienza. Paesi come la Tanzania, invece, non avendo risorse naturali ed economiche sufficienti per cercare forme energetiche alternative, subirono effetti devastanti dall’embargo del petrolio che portò anche alla ridiscussione totale del modello socialista della Tanzania che, già in crisi, aveva ricevuto il colpo di grazia a causa della politica economica estera di un paese di un altro continente. Per capire le dimensioni degli effetti si pensi che il costo dell’importazione del petrolio copriva la metà dei guadagni delle esportazioni del paese. Il settore più colpito fu quello dei trasporti, essenziale per una economia in via di sviluppo come la Tanzania, che assorbiva due terzi dei prodotti petroliferi totali importati. Un ulteriore effetto si ebbe sui derivati dal petrolio come il cherosene usato su larga scala per finalità domestiche, come cucinare, e usi cittadini, come l’illuminazione nelle strade7 . Un terzo evento rilevante di politica estera in questi anni che ebbe effetti notevoli sulla politica estera tanzaniana fu la conferenza afroasiatica di Bandung. Cinque paesi che avevano un comune passato di ex colonie (India, Pakistan, Sri Lanka, Birmania e Indonesia) invitarono rappresentanti dei popoli che stavano combattendo per l’indipendenza. L’obbiettivo era la discussione, nel quadro geopolitico della guerra fredda, della propria condizione di paesi dall’economia arretrata, nei mezzi e nelle infrastrutture, dei livelli di alfabetizzazione e del lontano obbiettivo di uno sviluppo 5 J. BOESEN, Tanzania: Crisis and Struggle for survival, Uppsala, 1986, pp. 66. 6 P. KRUGMAN, R. WELLS, Macroeconomia, Bologna, 2006, pp. 245. 7 J. BOESEN, op. cit. pp. 159.
  • 10. industriale sulla strada già tracciata degli stati sviluppati. I 29 paesi che il 18 aprile del 1955 risposero all’appello assistettero ad una conferenza dove prevalsero i toni della moderazione, senza scadere in posizioni filosovietiche o filoccidentali, e si unirono in concerto nel dichiarare la necessaria fine del colonialismo. Al termine della conferenza venne inoltre redatto una dichiarazione per promuovere la pace nel mondo e la cooperazione. I 10 punti contenuti nella dichiarazione riprendono i principi della Carta delle Nazioni Unite. La Tanzania, che nel 1955 era ancora possedimento britannico, non partecipò alla conferenza, neppure rappresentanti della TANU, il movimento, poi partito, da cui emergerà Julius Nyerere presidente e padre dell’indipendenza nazionale, inviò suoi delegati. Ma la lezione emersa dalla conferenza di Bandung non sfuggirà a Nyerere. Dalla conferenza infatti, come sua diretta conseguenza, emerse la volontà di un nuovo allineamento dello scacchiere internazionale, figlio dell’idea di quel neutralismo attivo di cui aveva parlato il primo ministro della Repubblica Popolare Cinese Zhou Enlai. Promotori erano quei paesi che rifiutavano la distinzione tra Est e Ovest del mondo, e accettavano una divisione del mondo in paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, in cui i primi cooperassero con i secondi per superare la differenza tra paesi poveri e paesi ricchi. Nyerere abbraccerà in pieno questa visione, e ogni manifestazione della politica estera del suo paese rispecchierà i principi del Movimento dei paesi non allineati. In particolare nel ruolo che Nyerere ricoprirà come guida regionale e come garante dei movimenti di liberazione dell’africa australe il concetto di cui si farà portabandiera è quello dell’autodeterminazione dei popoli. Emerge dunque che Stati Uniti e Unione Sovietica erano i due attori principali che guidavano la scena politica internazionale; inoltre assistiamo alla presenza di una volontà di alcuni paesi di non volersi accasare in una delle due famiglie di blocchi ideologici ma di dettare una terza via. L’emergere di voci terze fu possibile, in questo periodo, grazie ai processi di decolonizzazione. Con questo fenomeno molti stati raggiunsero l’indipendenza e il potere sovrano sul proprio territorio e cercarono di ritagliarsi uno spazio nell’arena della politica internazionale. Uno di questi stati sarà la Tanzania, che comincerà a ritagliarsi quello spazio dal 1961. 1.2 Quadro storico regionale: la decolonizzazione in Africa sub- sahariana
  • 11. Terminata la seconda guerra mondiale era ormai chiaro alle due grandi potenze coloniali nel continente, Francia e Regno Unito, che i processi di decolonizzazione erano imminenti. La conclusione del conflitto aveva lasciato difficoltà economiche nei paesi che l’avevano combattuta e le colonie riacquistavano un nuovo peso per le economie che dovevano risollevarsi. Diventava essenziale mantenere il mercato esclusivo con le colonie per avere un costante flusso di materie da queste. Nel primo dopoguerra Francia e Regno Unito cominciarono una serie di riforme costituzionali e amministrative per rilanciare le economie dei possedimenti coloniali con la promessa, eventuale, di una futura decolonizzazione ad ammodernamento avvenuto. Una delle tesi8 che emerse dall’analisi di questo periodo storico fu di interpretare queste riforme come una volontà di modernizzazione dei possedimenti, dell’economia in primis, ma con una scarsa propensione a voler concedere l’indipendenza, il tutto nella logica di un vero e proprio neo-colonialismo, da attuarsi appoggiando, all’interno delle colonie, forze politiche che avrebbero comunque permesso una continuità delle relazioni con la madrepatria. Nonostante la Francia avesse provato a mantenere saldo il controllo delle colonie con interventi militari (guerra d’Indocina e guerra franco-algerina), entrambi rivelatisi vani, si procedette nella direzione sopra descritta, preferendo l’influenza al controllo diretto. Rientrano dunque nella medesima logica le indipendenze concordate. Tuttavia, nonostante si cercasse di instaurare rapporti con forze favorevoli all’ex Stato coloniale, Londra e Parigi dovettero fare i conti con i movimenti di liberazione nazionale, di genesi spontanea, che volevano l’indipendenza del paese, alcuni di questi senza vincoli alcuni, meno di tutti vincoli economici con l’ex potenza coloniale. Da ricordare tuttavia che alcuni tentativi di mantenere strette relazioni tra madrepatria e colonia furono accolti dagli stessi movimenti di liberazione, come il caso della proposta federativa fatta da De Gaulle di realizzare una Unione Africana guidata da Parigi9 . Si assistette dunque a diverse indipendenze in cui movimenti e partiti politici, con una visione politica nazionale, ottennero i primi incarichi di governo negli Stati indipendenti. L’identificazione tra le figure a capo di questi partiti con i padri della nazione fu immediata. Tra i più famosi ricordiamo Kenneth Kaunda per lo Zambia, Patrice Lumumba per il Congo belga e Julius Nyerere per la Tanzania. Diversa la storia nelle colonie di insediamento dei settlers e nelle colonie portoghesi dove i movimenti esistenti non trovarono una opposizione del governo esistente tale da non permettere di emergere nella vita politica nazionale, nella quale a questi 8 A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp.316. 9 Ibidem, pp. 333.
  • 12. movimenti non venne permesso di entrare e dovettero utilizzare la lotta armata per ottenere uno spazio nella vita politica del paese. In generale laddove lo Stato raggiunge la sua indipendenza questo eredita l’apparato e le strutture che erano appartenute alla potenza coloniale. Le nuove élite al potere vanno a sostituirsi a quelle precedenti in una architettura dello Stato asimmetrica, fortemente centralizzata nelle istituzioni politiche, sullo stampo di quelle modellate in età coloniale. Evidenti furono squilibri tra regioni della stessa nazione, in alcuni casi si ereditarono infrastrutture fisiche e sociali adatte allo sviluppo economico, mentre in altre regioni il vuoto amministrativo ereditato rendeva difficoltosa la sfida dei nuovi governi di modernizzazione dell’economia. L’eredità ideologica che lasciarono Francia e Regno Unito era una concezione assolutistica dell’organizzazione del potere che portava ad etichettare come “tribalismi” o pretese regionali rivendicazioni che invece avevano voce legittima10 . La maschera dietro cui si nascosero i partiti al potere era quella di una nazione coesa. Volevano insinuare un meccanismo che portasse a collegare la voce del governo o del partito al potere come la voce della nazione e delle sue esigenze, e la voce di alcune fazioni come illegittima e in alcuni casi dannosa per la coesione nazionale. Questa eredità ideologica si tramuta in un ben preciso assetto di organizzazione politica: il partito unico. Il partito unico prevede l’identificazione tra l’organo burocratico e amministrativo del partito con quello statale, ad un tale livello di fusione che partito e Stato diventano un unico ente; il dissenso, rischioso per uno Stato giovane, veniva così ostracizzato. La Tanzania e il suo capo di Stato, Nyerere, non furono estranei a queste logiche e l’identificazione tra Stato e partito fu completa nel 197711 . L’adozione del partito unico tuttavia non fu necessaria a mantenere stabile la situazione geopolitica. Un nuovo fenomeno si affacciò nell’Africa sub-sahariana a partire dalla metà degli anni sessanta: l’ingresso dei militari in politica. Sorti come censori della corruzione che dilagava nei governi civili, passarono poi a rappresentare anche rivendicazioni regionali, le stesse che nella prima fase dell’indipendenza venivano messe a tacere12 . In Tanzania non ci sarà un regime militare al governo ma si assisterà ad un ammutinamento degli eserciti nel 1964, in concomitanza con la crisi di Zanzibar. Tralasciando gli interventi dell’esercito in politica, che non sono direttamente collegati con il fenomeno della colonizzazione e che si dilatano in un 10 Ibidem, pp. 339-340. 11 A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia: L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli, 2013, pp. 63-64. 12 A.M. GENTILI, op. cit. pp.359-360.
  • 13. periodo che va dagli anni sessanta fino a metà degli anni novanta, la prima fase della decolonizzazione avvenne, generalmente, senza particolari scontri armati tra movimenti di liberazione ed ex potenza. Discorso diverso invece per la seconda ondata delle decolonizzazioni da collocarsi durante gli anni settanta. I paesi protagonisti saranno gli Stati delle cosiddette colonie di settlers, Sudafrica, Kenya e Rhodesia del Sud, e le colonie portoghesi, su tutte Angola e Mozambico. In questi Stati la presenza di una minoranza bianca, saldamente al potere, riuscì negli anni sessanta a rigettare tutte le istanze di indipendenza dei movimenti di liberazione dilagando spesso nella repressione armata. In risposta i movimenti diventarono movimenti armati dove la lotta, sotto forma di guerriglia, aveva preso il posto del dialogo al fine di raggiungere la libertà politica. Questi movimenti, spesso insediati stabilmente in una regione dello Stato, trovarono, in contrasto alla netta opposizione dei governi bianchi al potere, l’assistenza dei governi africani che già avevano raggiunto l’indipendenza nella prima fase. Tra questi stati ci sarà anche la Tanzania, il cui capo di Stato, Nyerere, ricoprirà un ruolo di guida essenziale per questi movimenti. In alcuni stati, come Rhodesia del Sud e Angola, oltre all’opposizione governo- movimento di liberazione, ci sarà anche una forte opposizione tra più movimenti di liberazione. In Rhodesia Zapu e Zanu si opposero durante la lotta per l’indipendenza e anche successivamente, in quanto esprimevano la voce di popolazioni di regioni e ordine sociale differente, e per via, anche, degli aiuti economici che ricevevano provenienti da Stati differenti: dalla Repubblica Popolare Cinese, la Zanu, e dall’Unione Sovietica, la Zapu13 . In Angola troviamo invece tre movimenti, MPLA, FNLA e UNITA, che, a causa dell’ingresso nel paese degli interessi della guerra fredda, si trovarono a opporsi l’un l’altro per la guida del paese. Altri movimenti che combatterono per l’indipendenza in opposizione al governo coloniale troviamo il Frelimo in Mozambico, movimento nato in Tanzania sotto la guida di Nyerere, e il PAIGC in Guinea Bissau. Dopo le indipendenze di Angola e Mozambico, entrambe raggiunte nel 1975, rimasero due stati in cui le élite bianche al potere avevano sviluppato un paradigma per il mantenimento dello stauts e l’esclusione di altri dalla vita politica. In Sudafrica il termine apartheid venne coniato nel 1948 dal National Party, partito dei nazionalisti 13 O. ALUKO, T.M. SHAW, Southern Africa in the 1980s, Londra, 1985, pp.8.
  • 14. africani, e affonda le sue radici nella Native Land Law del 191314 nella quale si riscontrano i prodromi di quelle leggi di segregazione estese nei contenuti dagli anni cinquanta. L’apartheid fu una direzione politica perseguita dal governo dell’NP in Sudafrica, e anche dai governi della Rhodesia del Sud anche se mai dichiaratamente con questo nome, necessaria all’esigenza di mantenere la supremazia bianca al potere. La pratica fu di istituzionalizzare e legalizzare la separazione nella vita politica, lavorativa e sociale dei gruppi bianchi dalla parte della popolazione non-bianca mediante una serie di misure legislative che limitavano le possibilità economiche e la mobilità sociale dei gruppi esclusi; nell’ideologia e nella terminologia applicata fu una pratica razzista in quanto la “razza divenne un criterio base per l’accesso alle opportunità”15 . L’opposizione a questi regimi segregazionisti sarà una questione che unirà tutti gli stati dell’Africa australe che avevano ottenuto l’indipendenza dagli anni sessanta, ai quali si aggiunsero gli stati dell’indipendenza combattuta Angola e Mozambico. Le modalità di opposizione scelte furono: appelli a stati occidentali e istituti internazionali e la diretta opposizione appoggiando le forze che dall’interno e dall’esterno cercavano di contrastare questi regimi. Si dovrà aspettare il 1994 per vedere l’ultimo di questi due baluardi del potere bianco, quello sudafricano, venire abbattuto e iniziare la propria sfida contro le eredità di più di cinquant’anni di apartheid. Parte della vittoria sul razzismo è da ricondurre a quegli uomini politici che fecero della ferma opposizione la propria bandiera. Tra questi, come vedremo, ci sarà anche Julius Nyerere. 1.3 L’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale Per trattare le attività diplomatiche di un paese, seppur di recente indipendenza, durante gli anni sessanta è imprescindibile parlare anche di quell’istituto della diplomazia conosciuto come Organizzazione delle Nazioni Unite. Fondata nel 1945 dagli stati usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale, sulle ceneri della fallimentare Società delle Nazioni, ha come scopi mantenere la pace, la sicurezza internazionale e risolvere, pacificamente, le controversie internazionali che potrebbero portare ad una rottura degli equilibri. Un principio notevolmente importante che troviamo nello statuto delle nazioni unite è quello di autodeterminazione dei popoli, ripreso successivamente nella conferenza di Bandung, e apprezzato da quanti, Nyerere 14 M. ZAMPONI, Breve storia del Sudafrica: Dalla segregazione alla democrazia, Roma, 2009, pp. 15. 15 Ibidem, pp. 75.
  • 15. incluso, si battevano o combattevano per le indipendenze. Durante gli anni della presidenza di Nyerere ci furono diversi contatti tra questa organizzazione intergovernativa e il presidente. La maggior parte di questi contatti vertevano sulle lotte di liberazione che si stavano combattendo in quegli anni e si contano anche dichiarazioni di denuncia nei confronti dei regimi di segregazione di Rhodesia e di Sudafrica. L’ONU dagli anni sessanta inaugura inoltre una nuova linea politica di militarizzazione passiva: il Peacekeeping. Questa pratica prevede un intervento di militari, personale senza armamenti o con armamento leggero. Un intervento di Peacekeeping si vede necessario quando le due fazioni in un conflitto richiedono la presenza di una terza fazione, i caschi blu, per garantire una serie di iniziative come pratiche di disarmo, corridoi umanitari per civili, siglare un cessate il fuoco o come semplici osservatori. Principalmente attivi durante i conflitti civili, una delle prime missioni che si trovò ad affrontare fu la crisi del Congo (1960-1965) dove la Tanzania era direttamente coinvolta, per il supporto politico che concedeva riconoscendo come legittimo il governo di Lumumba. Un ulteriore istituto intergovernativo molto importante in questi anni è la Banca Mondiale, una delle istituzioni a finalità rigide definite dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nata, sulla carta, dagli accordi di Bretton Woods del 1944 muove i suoi primi passi nel 1947 erogando il suo primo prestito alla Francia16 . Lo scopo è quello di concedere prestiti agli Stati per sostenerne la ricostruzione e lo sviluppo. Con i processi di decolonizzazione i paesi a cui erogare prestiti aumentarono e allo stesso modo aumentavano anche i richiedenti, ovvero paesi che chiedevano una udienza per spiegare la necessità di capitali. La realtà del sub continente sub-sahariano fu strettamente collegata all’erogazione di questi aiuti. Con la messa in discussione dello Stato Sviluppista, nel quale l’intervento pubblico è centrale, e con le elezioni di leader di stampo neoliberista e dal marcato conservatorismo liberale si inserì nella vita politica internazionale un nuovo modello di sviluppo, che venne successivamente chiamato Washington Consensus. Quello che ne seguì fu un nuovo modello economico universale che si basava su pochi concetti neoliberisti, tra questi la privatizzazione dei servizi fino ad allora erogati dallo Stato, come istruzione e sanità17 . Nei primi anni ottanta i report degli analisti degli istituti della finanza internazionali si muovevano nella medesima direzione. Tra questi vi è il Berg Report del 1981, redatto da Elliott Berg un economista americano che lavorava per la Banca Mondiale, 16 Ibidem, pp. 214. 17 A.M. GENTILI, op. cit. pp. 426.
  • 16. focalizzandosi sulle economie dell’Africa sub-sahariana, riprendeva in pieno queste politiche neoliberiste. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna l’elezione di governi conservatori aveva facilitato il passaggio a questo modello, discorso diverso per quegli stati di recente indipendenza fortemente legati ad un welfare state garantito dallo Stato. La strategia adottata dalla Banca Mondiale fu quella di garantire gli investimenti a questi stati, fortemente dipendenti dal capitale estero, con delle condizioni. Vennero creati pacchetti di leggi ad hoc con i quali aiuti ed investimenti venivano accompagnati. Denominati Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) contenevano tagli secondo la formula “meno Stato più mercato”18 . Nonostante in Tanzania si tentò l’applicazione di un esperimento socialista unico, supportato da molti osservatori internazionali, e proprio per questa notorietà era diventato attrattiva per molti investimenti, il destino dell’economia Tanzaniana non fu diverso e al termine degli anni settanta dovette arrendersi ad applicare una serie di programmi di riforma economica19 . Le motivazioni che portarono ad abbracciare il nuovo modello verranno trattate nel terzo capitolo. 18 Idem. 19 A. PALLOTTI, op. cit. pp. 158.
  • 17.
  • 18. Capitolo 2: storia della Tanzania e del presidente Nyerere 2.1 Il Tanganyika indipendente La popolazione che compone la Tanzania al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna deriva da un passato di mescolanza linguistica e culturale, frutto di migrazioni e spostamenti sul territorio. In questa area posta a sud della penisola del corno, si stabilirono, a partire dal XVI secolo, popolazioni di lingua khoisan, lingua sopravvissuta principalmente in Africa australe ad eccezione dei ceppi hadza e sandawe, isolate appunto nell’attuale Tanzania20 . Le popolazioni nell’area si dedicarono ad un sistema di caccia e raccolta, nelle dinamiche di una economia di sussistenza limitata, ovvero ad un sistema di produzione necessario a garantire i bisogni di base per la sopravvivenza dei nuclei che compongono la comunità21 . Il successivo passaggio da un’economia di sussistenza limitata a scambi locali e regionali venne reso possibile dall’incontro con popolazioni costiere principalmente agro-pastorali22 . L’incontro tra comunità a economia differenti introdusse dunque il concetto del baratto, mentre le continue migrazioni delle popolazioni provenienti dal Golfo Persico, sopratutto dalla regione dello Shiraz della Persia23 , portarono alla stabilizzazione di comunità arabe nelle coste della Tanzania, specialmente sull’isola di Zanzibar, dove si instaurò un sultanato, autentico Stato indipendente di età pre- coloniale. Nel XIX secolo l’Africa orientale, mentre l’Africa occidentale era inserita sempre più nei circuiti commerciali internazionali, rimanevano immutate pratiche di tipo predatorio legate al commercio di schiavi e avorio24 . La stabilizzazione di popolazioni arabe portò dal punto di vista linguistico la nascita graduale del ceppo swahili, amalgama di origine bantu e apporti dall’arabo25 , e dal punto di vista economico segnò l’inizio delle colture di piantagione di cocco e chiodi di garofano su base schiavista, il che portò ad un aumento della richiesta di schiavi nell’area e all’intensificarsi delle pratiche predatorie dell’entroterra26 . Con la decretata 20 J. DIAMOND, Armi, acciaio e malattie: Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Torino, 1998, pp. 300-301. 21 A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp.359-360. 22 Ibidem, pp. 29. 23 Ibidem, pp. 34. 24 Idem 25 Idem 26 Idem
  • 19. illegittimità della tratta degli schiavi da parte di Londra e di Parigi, il volume della tratta aumentò in Africa orientale per sopperire alle richieste del mercato. Il passaggio dal commercio illecito al commercio “lecito” non decretò un arresto della schiavitù, mentre ne decretò una evoluzione in sistemi più ramificati in regioni che non erano state influenzate fino a quel momento, in quanto l’estensione del mercato lecito, come avorio e piantagioni, richiedeva un numero maggiore di forza lavoro27 . La colonizzazione in Africa orientale si manifestò su società in preda ad un sistema in “anarchia sociale”28 , legata alla tratta ancora in atto. I contatti con compagnie commerciali europee erano avvenute già a partire dalla metà del XIX secolo, principalmente nelle coste, e in seguito a compagnie commerciali tedesche e britanniche che tentavano di risalire il corso del fiume Rufiji. Quando fu sancito il criterio di effettiva occupazione alla conferenza internazionale di Berlino (1884-1885) la regione divenne diretto possesso dell’impero tedesco29 . Tedeschi e Britannici si spartirono l’area, soprattutto la regione sotto il controllo del regno del Buganda, di importanza strategica per le relazioni di vassallaggio che aveva su regni minori limitrofi30 . La compagnia tedesca che aveva in concessione dall’impero tedesco l’amministrazione della colonia trovò difficoltà nell’applicare il principio dell’effettiva occupazione, principalmente per mancanza di personale similarmente a quello che accadeva nelle colonie portoghesi; così come le altre colonie dell’impero, il territorio era diventato proprietà di Compagnie private che sfruttavano l’area per scopi economici e soprattutto minerari31 , in linea con la corsa ai giacimenti che aveva guidato lo scramble dell’Africa. La sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale decretò un passaggio delle colonie ad altri amministratori. La Tanzania venne concessa nel 1922 come amministrazione all’impero britannico, e tale rimase fino al 1963, realizzando così il progetto di viabilità ipotizzato da Cecil Rhodes, proprietario della più grande compagnia commerciale britannica nel continente, di collegare, attraverso un sistema ferroviario, i domini britannici dall’Egitto al Sudafrica32 . L'introduzione dell'indirect rule, sistema di gestione in vigore nelle colonie britanniche che prevedeva la cooptazione dei capi tradizionali nell’amministrazione 27 A.M. GENTILI, op. cit. pp. 57. 28 Ibidem, pp. 55. 29 F.CAMMARANO, G. GUAZZALOCA, M.S. PIRETTI, Storia contemporanea: Dal XIX al XXI secolo, Milano, 2009, pp. 57. 30 A.M. GENTILI, op. cit. pp. 157-158. 31 Ibidem, pp. 186. 32 Ibidem, pp. 197.
  • 20. della colonia stessa, nella colonia del Tanganyika e una rapida intensificazione delle colture di prodotti agricoli provocò anche forti tensioni tra i capi locali e larghi strati della popolazione, in quanto significò, per gli agricoltori soprattutto delle regioni del Kilimanjaro e del Buhaya33 , nuove opportunità di emancipazione, che non potevano essere fruite da tutti. Alla differenziazione economica tra aree diverse, essenziale per permettere alla colonia di iniziare un processo di sviluppo industriale, si accompagnò la questione dell'individuazione dei diritti di proprietà della terra, portando allo scontro i contadini con i nuovi poteri, conferiti dalle autorità coloniali ai capi tradizionali, distorcendo l'equilibrio dell'accesso alla terra che in anni si era consolidato34 . I rapporti con le autorità amministrative rimasero per tutta la durata del periodo coloniale caratterizzati dal dissenso, specialmente nei casi in cui nuove imposte venivano decise. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale l'economia del Tanganyika rimase legata alla piccola produzione agricola, tuttavia gli sforzi per cominciare il processo di industrializzazione erano ancora molti35 . Acquisito lo status di “amministrazione fiduciaria” dalla Gran Bretagna dopo il conflitto mondiale, le politiche di Londra dovettero dirigersi verso la promozione di un progresso politico che avrebbe dovuto accompagnare la colonia fino all'indipendenza. Si aprì dunque per tutte le colonie britanniche un periodo di riforme volte allo sviluppo economico e sociale. Nel Tanganyika queste iniziative concessero, si, più diritti politici agli africani (nel 1945 due capi africani entrarono a far parte del consiglio legislativo36 ) ma al contempo questi stessi provvedimenti servirono a ridisegnare l'architettura istituzionale nelle aree periferiche al fine di rendere più stabili i capi rurali. In un periodo di ricostruzione post bellico i possedimenti coloniali, e l’esclusività economica con essi, diventavano un fattore essenziale per la sopravvivenza della madrepatria. Sull’onda di questa nuova importanza delle colonie, gli Stati europei non potevano concedere le indipendenze senza le necessarie riflessioni. Il rapporto colonia-madrepatria si evolveva dunque in partnership, ovvero si garantiva la graduale evoluzione ed emancipazione politica ed economica delle colonie ma allo stesso tempo di imbrigliava il possedimento e si manteneva intatta la dipendenza dalla madrepatria. In questo periodo troviamo investimenti per le infrastrutture, la meccanizzazione agricola e l’ammodernamento dei quadri politici. Il tutto avveniva in un clima internazionale avverso, soprattutto da enti come l’Onu, che 33 A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia: L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli, 2013, pp. 46-47. 34 Idem 35 Ibidem, pp. 48 36 Idem
  • 21. etichettavano queste riforme come neocolonialismo, e invocavano l’autodeterminazione37 . Diventò dunque chiaro che si doveva passare alla negoziazione delle indipendenze per poter salvaguardare interessi economici e allineamenti politici38 . In Tanzania gli anni cinquanta furono caratterizzati dal continuo confronto tra il governo coloniale e la TANU, partito politico evoluto da una associazione precedente, la TAA (Tanganyika African Association), che era riuscita ad incanalare le proteste frammentate nelle aree rurali, dei contadini contrari ai criteri di redistribuzione della terra, e dei movimenti sindacali nelle zone urbane, dando il volto del colonialismo alle cause del malcontento della popolazione: Yet in Tanzania the great mass campaigns of the 1950s and the early 1960s were for independence. We campaigned against colonialism, against foreign domination39 . Incanalate le proteste da parte di tutte le fasce della popolazione, la TANU diventava il simbolo della lotta anticoloniale nel paese, guidata da un nuovo leader, Julius Nyerere, succeduto a Kirilo Japhet che aveva fallito precedentemente il tentativo di portare gli interessi degli agricoltori meru di fronte alle Nazioni Unite nel 195240 , riscuotendo inoltre un notevole successo elettorale alle elezioni del 1958. In queste elezioni, che si svolsero secondo le regole del governo coloniale, era richiesto che in ogni collegio venissero eletti tre rappresentanti, uno per ogni gruppo razziale presente nel paese, africani, arabi ed europei, mentre ogni elettore doveva esprimere tre preferenze. Lo scopo era ottenere sia una rappresentanza europea nei collegi, sia garantire una grande partecipazione africana alle elezioni. Nonostante la politica della TANU fosse di non partecipare alle elezioni, poiché avevano compreso il gioco nascosto del governo coloniale, Nyerere persuase i vertici a partecipare permettendo al partito di ottenere 13 seggi contro gli 8 ottenuti dagli europei, conseguendo una vittoria che porterà nel 1960 ad un successo plebiscitario alle nuove elezioni41 . Palesato il successo elettorale della TANU guidata da Nyerere, quest’ultimo formerà il 37 A.M. GENTILI, op. cit. pp. 316-318. 38 A.M. GENTILI, op. cit. pp. 337. 39 J. NYERERE, Freedom and socialism: a selection of writings and speeches, Nairobi, 1968, pp. 27. 40 A. PALLOTTI, op. cit. pp. 52. 41 Ibidem, pp. 54.
  • 22. suo primo governo nel 1961 permettendo al Tanganyika di ottenere formalmente l’indipendenza. Sul piano delle relazioni internazionali questo fu il biglietto da visita con cui Julius Nyerere si presentò agli occhi della politica internazionale: fautore di una indipendenza negoziata con la Gran Bretagna. 2.2 L’ideologia socialista di Nyerere Al momento dell’indipendenza il Tanganyika era uno dei paesi più poveri del continente. Il problema principale del neo nato Stato indipendente era la scarsa diversificazione economica, essenzialmente basata sull’esportazione delle materie prime (cotone, caffè, sisal, carne, tabacco, tè e minerale, tra cui tungsteno, piombo e rame) e la forte dipendenza dal finanziamento estero42 . Inoltre, nonostante la raggiunta indipendenza e l’enfasi di Nyerere sul concetto della Self-reliance, gran parte dell’esportazione, delle banche e dell’amministrazione era ancora controllato dalla Gran Bretagna43 . Il miglioramento degli standard di vita e l’eliminazione della povertà sarà uno degli obbiettivi primari del Tanganyika. Le modalità con cui, in un primo momento, Nyerere cercherà di raggiungere questi obbiettivi sarà una continuazione della politica della Gran Bretagna di industrializzazione attraverso gli aiuti internazionali44 . Dopo i deludenti risultati ottenuti perseguendo questa politica, i vertici delle TANU decisero di rivalutare il modello di sviluppo applicandone uno legato ad una ideologia socialista. L’Ujamaa prevedeva elaborati piani di sviluppo di stampo verticistico di modernizzazione agricola mediante la meccanizzazione di grandi aziende commerciali e dall’estensioni di campi coltivati da piccoli contadini. Il fulcro della politica era, oltre ai capitali statali e alla costruzione di strutture adeguate, l’unione tra singoli nuclei famigliari (ujamaa significa “famiglia estesa” in lingua swahili) dediti all’agricoltura al fine di mettere in comune i mezzi produttivi45 . Questa politica muoveva infatti le sue considerazioni dal fatto che l’habitat disperso, caratteristico delle popolazioni della Tanzania, non permetteva la fruizione delle infrastrutture che lo Stato metteva a disposizione, quindi raggruppare in villaggi diventava essenziale 42 G. RIST, Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale, Torino, 1997, pp. 128-129. 43 Idem 44 A. PALLOTTI, op. cit. pp. 61 45 Ibidem, pp. 57.
  • 23. per far funzionare la democrazia locale46 . La politica iniziale fu di creare raggruppamenti su base volontaria (Village Settlement Scheme 1962) mentre, quando fu chiaro che il progetto era in lento completamento, lo spostamento divenne obbligatorio (Operation Planned Village 1974). Nel 1973 i villaggi comprendevano due milioni di persone, nel 1977 tredici milioni47 . Difficile pensare che, quello che Nyerere definiva un “successo formidabile”, fosse stato raggiunto senza pratiche coercitive. Questo modello, infatti, procurò una notevole perdita di consensi alla TANU che da dieci anni era ormai diventato il partito unico. Nyerere era consapevole delle difficoltà, economiche e sociali, che la pianificazione della produzione agricola aveva causato, tuttavia le sue felicitazioni erano nei riguardi dei notevoli miglioramenti che la Tanzania aveva raggiunto nei campi di sanità, istruzione e uguaglianza delle condizioni, raggiungendo cifre statistiche che, dal successivo ed imminente declino economico della fine settanta, non raggiungerà più. La Dichiarazione di Arusha del 1967, il manifesto dell’Ujamaa, era stata accompagnata da un grande interesse, soprattutto da parte dei teorici dello sviluppo, per questo originale laboratorio che tentava l’applicazione di una formula di socialismo unica nel suo genere. Tuttavia la corona ideologica che poggiava sul capo del modello economico socialista fu l’aspetto che maggiormente inserì Nyerere nel dibattito internazionale. Pensata per la divulgazione tra la popolazione tanzaniana, la Dichiarazione faceva ampio uso di pratiche pedagogiche, come esempi concreti o proverbi, al fine di essere più comprensibile per i destinatari, per la gran parte contadini analfabeti. Questo non arrestò una divulgazione internazionale del progetto dell’Ujamaa. Il lato pratico economico, come abbiamo visto, prevedeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione con una media centralizzazione del controllo economico. Sul lato dottrinale invece venne definito come un “socialismo umanista” con apporti originali, in quanto mai associati insieme in una dottrina socialista, come la Self-Reliance e l’autonomia, non autarchia, che prevedeva investimenti privati e internazionali ma a condizioni particolari48 . L’unicità di questa dottrina venne enfatizzata spesso da Nyerere; il ragionamento partiva dal presupposto che esistesse una universalità del pensiero socialista, che tenesse conto delle differenze tra uomini e che fosse equamente applicato ad essi. Una dottrina generale senza discriminazioni razziali, con la democrazia come parte costitutiva e dove l’uomo, attraverso il lavoro, 46 G. RIST, op, cit, pp. 134-135. 47 idem 48 Ibidem, pp. 132-133
  • 24. contribuisse a creare il benessere che doveva venire ripartito nella società49 . Da queste premesse Nyerere crea un socialismo particolare, adatto alle circostanze della Tanzania, dove l’innovazione risiede nel sostituire l’uomo, perno del socialismo universale, con la famiglia tradizionale della Tanzania, che per determinate condizioni storiche si era organizzata autonomamente attraverso sistemi di produzione socialisti. A riguardo Nyerere scrive: traditional Tanzanian society had many socialist characteristic. […] they were not socialists by deliberate design. […] There was no very great difference in the amount of good available to the different member of the society. All these are socialists characteristics. […] These conditions still prevail over large areas of Tanzania […] they provide basis on which modern socialism can be built50 . Il manto socialista che Nyerere stende facendo un’analisi storica del proprio paese è sicuramente il frutto degli studi che lui stesso ha svolto all’estero, specialmente ad Edimburgo dove ha conseguito la laurea e dove è entrato in contatto con i precetti della Fabian Society51 , dai cui insegnamenti sviluppò la similitudine tra società tradizionale tanzaniana e socialismo. Il ragionamento di Nyerere prosegue asserendo che, nonostante la società tradizionale abbia elementi intrinseci di socialismo, questi si manifestano in maniera talmente labile da non permettere una vera svolta verso lo sviluppo economico. La consapevolezza che i contadini devono acquisire riguardo al ruolo che devono svolgere in questo progetto è essenziale. Nyerere tuttavia, lucidamente, è consapevole del fatto che, nonostante non precluda la proprietà privata, la proprietà pubblica sui mezzi di produzione è l’unica soluzione realmente efficace per permettere all’ujamaa di realizzarsi: 49 J. NYERERE, op. cit. pp. 4-5 50 J. NYERERE, op. cit. pp. 16 51 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood, Maryknoll, 1976, pp. 46.
  • 25. The question of public ownership arises when men have to co-operate together in the pursuit of a particular objective. […] when the product is necessary for the decent life of others it must be involved in the control over it52 . La notizia che una ex colonia britannica abbracciava una dottrina socialista, più legata al blocco sovietico nelle logiche della guerra fredda, non fu accolta certamente con positiva approvazione nei palazzi del potere delle potenze occidentali. Come vedremo in seguito la questione filosovietica fu una costante dei rapporti con i paesi occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti. Nyerere, anche prima della dichiarazione di Arusha, aveva espresso la sua neutralità nei riguardi delle questioni bipolari asserendo che l’applicazione di un modello socialista, che godeva di maggiore fortuna, si, nei paesi di orbita sovietica (ma Nyerere non nascose mai questo fatto), era contingente alla situazione in cui si trovava la Tanzania. Nyerere aveva identificato, tra tutti i modelli possibili, uno socialista perché meglio si sposava con le caratteristiche intrinseche del paese senza soffermarsi sulle dinamiche bipolari, riflessioni, secondo Nyerere, che venivano fatte da altri, ma che non appartenevano al percorso che la Tanzania voleva svolgere. Per smorzare le critiche che gli venivano rivolte Nyerere definì la Tanzania, contrariamente a quello che si diceva, più vicina a posizioni filo-occidentali, sostenendo che l’eredità coloniale poneva la Tanzania, al momento dell’indipendenza, in una condizione di maggiore vicinanza all’occidente capitalista, nelle parole di Nyerere: Tanzania was part of the Western capitalist world while it was under colonial domination […] our independent nation inherited a few capitalist institutions, and some of our people adopted capitalist and individualist ideas as a result of their education53 . 52 Ibidem, pp. 8 53 J. NYERERE, op. cit. pp. 17.
  • 26. Le affermazioni di Nyerere dimostrano la consapevolezza che possedeva della realtà internazionale. Sapeva che difficilmente uno Stato che otteneva l’indipendenza negli anni sessanta sarebbe potuto passare inerme dalla questione degli allineamenti. La sua tattica fu quella di prendere di petto la questione sostenendo sempre la neutralità del proprio paese sulla questione inserendo, addirittura, nel suo manifesto socialista, la politica di non-allineamento e utilizzando la carta delle Nazioni Unite come tutela giuridica per la sua politica neutrale. Le preoccupazioni dei paesi occidentali erano basate sull’analisi che Nyerere fece del socialismo, utile alla Tanzania, poiché per definire la bontà di quel modello partì dalle differenze di questo con il modello capitalista. Questo ragionamento venne tradotto da molti studiosi come abbandono del modello capitalista e un’adesione al blocco sovietico. Sostengo invece che le intenzioni di Nyerere fossero quelle di provare la bontà dell’applicazione del socialismo in Tanzania partendo da un ragionamento logico di antitesi del capitalismo. Nei confronti del capitalismo sostiene che il suo scopo sia “creare un mercato” per perseguire, dalla produzione e dalla vendita di beni, un profitto, il perno del modello capitalista. Nyerere continua sostenendo che tutto ciò che avviene in queste società è finalizzato alla creazione di un mercato e all’ottenimento di un profitto54 . Nonostante Nyerere si sforzi di presentare questa visione come una semplice descrizione senza opinioni, è difficile non pensare che Nyerere non avesse una opinione, negativa, al riguardo, in parte causata dalla sua formazione accademica. Il vero nodo è tuttavia che, tralasciato il pensiero dell’uomo Nyerere sul capitalismo, le sue parole da Presidente della Tanzania sono di semplice descrizione del fenomeno, da cui si possono o meno prendere le distanze, per spiegare, in antitesi, il motivo per cui l’applicazione del socialismo sarebbe stata vincente in Tanzania: To a socialist, the first priority of production must be the manufacture and distribution of such good as will allow every member of the society to have sufficient food, clothing and shelter, to sustain a decent life. Other goods would be produced only if they some way hastened the day when this goal was reached55 . 54 J. NYERERE, op. cit. pp. 10. 55 Ibidem, pp. 11.
  • 27. Emerge chiaramente che l’allontanamento dal modello capitalista è una questione di necessità dello Stato Tanzania e non sicuramente una questione politica. Nonostante quello che si ritiene essere il vero intento di Nyerere, la tensione politica e ideologica di quegli anni ha fatto sì che il suo messaggio di neutralità venisse, talvolta, interpretato in maniera distorta. 2.3 L’influenza di altri pensatori Nell’ideologia di Nyerere è presente un forte elemento di fiducia nel genere umano. Al lucido realismo, che sempre accompagna le sue riflessioni sulla realtà politica nazionale e regionale, fonde un ottimismo legato alla realizzazione degli obbiettivi che prefigge al suo paese, qualsiasi sia la difficoltà. Le basi di questo ottimismo sono da rintracciare necessariamente nella formazione dei missionari cattolici americani che gli è stata impartita56 . Nonostante molti critici abbiano nel corso degli anni etichettato Nyerere come un “comunista”, questo non cita Marx o Engels come su guide filosofiche, bensì Papa Giovanni XXIII e il frate gesuita Pierre Theilard de Chardin. Ad entrambi Nyerere riconosce la sua posizione sull’universalità dell’essere umano57 . Oltre a questi precetti, più legati alla filosofia e alla teologia, ma comunque presenti nel suo pensiero in forme rivisitate, legate al suo pensiero socialista troviamo Mahtma Gandhi e Mao Tse-Tung. Con il politico indiano condivide la visione che il paese, l’India come la Tanzania, debba ricercare il successo economico da uno sviluppo dell’economia agricola, visioni entrambe legate alle realtà contingenti dei due paesi, e che il rifiuto del capitalismo non è necessariamente una avversione al medesimo. Inoltre quando nel 1962 Nyerere deciderà di rinunciare ai suoi doveri, e alla carica in favore di Rashidi Kawawa, di primo ministro per intraprendere un viaggio nei villaggi della Tanzania farà riferimento proprio a Gandhi, perché, come quest’ultimo, desiderava essere più vicino alla popolazione per meglio valutare le loro necessità58 . Il discorso attorno all’influenza che Mao Tse-Tung ha avuto nei confronti di Nyerere è in parte più articolato e si lega, necessariamente, con le pratiche economiche del governo della Repubblica Popolare Cinese, in particolare in riferimento alle comuni cinesi. La figura di Mao Tse-Tung si inserisce nella risposta che Nyerere dà alle 56 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 49. 57 Idem 58 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 71-72.
  • 28. critiche di quanti sostengono che il socialismo della Tanzania sia un socialismo copiato. Nyerere, in risposta, affermerà che: their experience could promote thought and ideas about our own rural organization, provided that we go to learn, […] not to copy59 Inoltre Nyerere, attento lettore della storia internazionale, fa riferimento alla Rivoluzione Cinese, dalla quale dice di aver appreso una lezione di coraggio, entusiasmo, disciplina e intelligente applicazione delle politiche necessarie e circostanziali per un paese60 . Nyerere soprattutto imparerà che non esiste una ricetta economica pronta e adatta da applicare ad ogni nazione. Le politiche devono sempre essere il frutto di una attenta pianificazione e di una consapevolezza dei limiti e dei punti di forza della realtà statale a cui si vanno ad applicare. Nyerere compie tutto questo con un acume notevole. 59 J. NYERERE, op. cit. pp. 21. 60 Ibidem, pp. 33.
  • 29. Capitolo 3: La Tanzania e le relazioni internazionali 3.1 L’arena delle relazioni internazionali A mezzanotte del nove dicembre 1961, la cerimonia della bandiera decretò ufficialmente la nascita dello Stato del Tanganyika. Sul piano della politica interna i giorni precedenti a questa data decretarono un cambio di personale in tutti i quadri amministrativi e burocratici, dal livello ministeriale a quello locale, un cambio che vedeva il personale del governo coloniale lasciare spazio a cittadini tanzaniani legati al partito della TANU. Questo processo culminerà il nove di dicembre con l’instaurazione dei nuovi effettivi nel parlamento61 e con la cerimonia del conferimento del potere al nuovo governo, guidato ovviamente da Julius Nyerere, che acquisiva il titolo di primo ministro. Nonostante il paese avesse di fronte la notevole sfida di mantenersi sui binari dello sviluppo economico e dell’ammodernamento, sfida alla quale venivano diretti quasi tutti i capitali pervenuti nelle casse del paese, un notevole sforzo economico venne fatto per stabilire e mantenere delle sedi diplomatiche della Tanzania nel mondo. Missioni diplomatiche vennero avviate, su diretta iniziative di Nyerere, in paesi occidentali, come a Londra, Bonn e Washington, in Africa sub-sahariana a Nairobi e Kampala, in Asia a Nuova Delhi e, la più controversa, a Mosca62 , oltre ovviamente alla delegazione alle Nazioni Unite. Mantenere queste missioni diplomatiche costò alle casse della Tanzania ingenti risorse che per questo motivo non vennero dirette in altri progetti. L’obbiettivo di Nyerere fu quello di mandare un messaggio forte e chiaro: la politica estera sarà una nostra, dei tanzaniani, e una mia, Nyerere, prerogativa. Essere consapevoli dello sforzo economico che la nazione avrebbe dovuto affrontare negli anni successivi e comunque prelevare una parte di quei fondi per destinarli alla politica estera presenta al meglio la personalità politica di Nyerere e della sua consapevolezza che per fare della diplomazia erano necessarie le sedi diplomatiche e le ambasciate63 . Il mantenimento di queste iniziative politiche era la base per far risaltare gli interessi della Tanzania e della regione come se Nyerere, avendo analizzato la situazione, avesse compreso le difficoltà a cui l’Africa australe sarebbe andata incontro e la necessità che gli appelli internazionali si spargessero con celerità. La pronta risposta fu che la Tanzania, in particolare nella città di Dar es Salaam, fu 61 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, Tanzania and Nyerere: a study of Ujamaa and nationhood, Maryknoll, 1976, pp. 70. 62 Ibidem, pp. 131. 63 Idem
  • 30. uno dei paesi nella regione che accolse il maggior numero di missioni diplomatiche da parte dei paesi esteri. Nel 1963, poco più di un anno dopo dall’indipendenza, le missioni diplomatiche raggiungevano il numero di trenta64 . Concedere un così alto numero di accrediti diplomatici per un paese indipendente era una sorta di consacrazione da parte della realtà internazionale che, con queste iniziative, affermava di comprendere l’importanza intrinseca che la Tanzania copriva nella regione. Tuttavia, come vedremo in seguito, le dinamiche della guerra fredda giocarono un ruolo anche nello scambio di missioni diplomatiche tra la Tanzania e il resto del mondo. Un’ulteriore considerazione da fare nei riguardi delle ambasciate aperte dalla Tanzania è di natura economica. Come detto i fondi per mantenere operative queste iniziative ricadeva essenzialmente sui programmi di sviluppo che la Tanzania necessitava di intraprendere. Era inoltre chiaro che i fondi necessari per attuare quegli stessi programmi di sviluppo erano da ricercare all’estero. Nel progetto di Nyerere quelle missioni erano un costo da pagare per poter instaurare rapporti più stretti con gli Stati che avrebbero finanziato i programmi di sviluppo economico della Tanzania. Nyerere qui offre una incredibile lezione pratica dell’applicazione della politica estera e dei suoi effetti sulla politica interna; il grande numero di finanziamenti che la Tanzania riceverà sembrano dare ragione al Presidente. La seconda fase del progetto diplomatico tanzaniano prevedeva dunque lo stringere dei contatti con i paesi stranieri per sottoscrivere dei trattati. Sul piano internazionale la politica della Tanzania può distinguersi in una componente passiva e di una attiva. L’arretratezza economica, le scarse risorse minerarie ed estrattive del suolo, imponevano alla Tanzania un ruolo di passività nei trattati internazionali, in quanto, laddove venivano siglati, essi prevedevano solitamente aiuti che da altri Stati giungevano in Tanzania. Le caratteristiche del paese permettevano unicamente scambi attivi di natura culturale, come quelli che accumunarono scuole dell’Unione Sovietica e della Tanzania65 . I trattati che la Tanzania siglerà non prevedevano soltanto trasferimenti di fondi, indubbiamente vitali per l’economia del paese, ma anche assistenze tecniche con personale estero, come ricorderà Nyerere in un passo del suo discorso dell’8 giugno 1965 all’Assemblea Nazionale: 64 Ibidem, pp. 132. 65 Ibidem, pp. 152-153.
  • 31. We have now working here in Tanganyika people from ten countries as different as Russia, Yugoslavia, Canada, USA, China, etc. […] we currently have applications for technical help lodged with a total of 17 counties66 . Nel medesimo discorso Nyerere farà riferimento anche alla posizione della Tanzania nei confronti degli aiuti internazionali: On the question of the overseas aid there is nothing new for me to say. We have made clear our need for it, our appreciation of it when it is given, and our determination that it shall not affect our national independence67 . L’ideologia socialista dell’Ujamaa prevedeva infatti una autonomia non autarchica in cui l’aiuto, principalmente con la forma di assistenza tecnica, e gli investimenti, principalmente capitali, non fossero esclusi68 , anzi, come espresso dalle parole del Presiedente, apprezzati nella misura in cui non fossero legati a richieste che potessero ledere alla sovranità nazionale. Il riferimento alla guerra fredda è molto chiaro. Nyerere voleva evitare la condizione di vassallaggio e sudditanza politica che si instaurava tra Stati Uniti, Unione Sovietica e i loro paesi satellite. Il punto di forza della politica estera della Tanzania starà proprio nella rete diplomatica che Nyerere aveva contribuito a creare; il ruolo di primo piano che il paese, e il suo presidente, si ritaglierà, sarà quello di guida regionale dell’Africa australe e orientale. Con la maggior parte dei paesi della regione ancora sotto la dominazione coloniale, quella portoghese, o sotto regimi razzisti, Sudafrica e Rhodesia, il ruolo della Tanzania sarà quella di dare volto, voce e una politica diplomatica ai movimenti di liberazione di questi Stati. Tranne qualche caso particolare, come la guerra civile in Nigeria in cui Nyerere supportava la secessione del Biafra69 , Israele70 e Vietnam71 , tutti casi in cui la voce di Nyerere non riuscì a rappresentare al meglio gli interessi in gioco, le questioni che trattavano le spinose 66 J. NYERERE, Freedom and socialism: a selection of writings and speeches, Nairobi, 1968, pp. 46. 67 Idem 68 G. RIST, Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale, Torino, 1997, pp. 133. 69 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.96. 70 J. NYERERE, op. cit. pp. 371-372. 71 Idem
  • 32. questioni dell’indipendenza dei paesi confinanti permisero alla Tanzania di ritagliarsi un posto notevole al tavolo delle relazioni internazionali. I paragrafi seguenti analizzano nello specifico le relazioni con alcuni Stati o enti internazionali specifici. 3.2 Gli istituti della diplomazia: l’Organizzazione delle Nazioni Unite Tra tutte le missioni diplomatiche avviate dal governo di Nyerere una delle più importanti fu, senza dubbio, la delegazione di New York presso le Nazioni Unite. Il rapporto che lega le Nazioni Unite con Nyerere è positivo. Nyerere si rivelerà conoscitore dello statuto delle Nazioni Unite, che più volte citerà affinché venga applicato. Nyerere instaurerà ben presto un continuo dialogo con le commissioni specifiche delle Nazioni Unite, come la Commissione Speciale per la Decolonizzazione, attiva dal 1961, e soprattutto farà numerosi appelli all’Assemblea Generale. Nyerere aveva compreso che le Nazioni Unite potevano essere un alleato valido per un paese in via di sviluppo, e soprattutto comprese che quella era la piattaforma ideale per veicolare i messaggi di decolonizzazione di cui lui voleva farsi promotore. La Tanzania fu uno dei primi Stati ad ottenere l’indipendenza nell’Africa orientale72 e, data la mentalità votata alla politica estera di Nyerere, questo comportò il rendersi portavoce degli altri Stati che ancora erano invischiati nel processo. L’opinione che Nyerere ha delle Nazioni Unite è legata alla dottrina del realismo politico, una dottrina che riconosce i rapporti di potere tra enti e Stati nella politica internazionale, la sua visione infatti è pienamente consapevole dei limiti che l’organizzazione possiede ma anche dei vantaggi che può sortire un dialogo con essa. I limiti delle Nazioni Unite che Nyerere rintraccia sono legati alla condizione di inferiorità che lega l’organizzazione con le due superpotenze dell’epoca: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’amarezza di Nyerere per questa incapacità della Nazioni Unite di prevalere emerge in un discorso del 1967 che Nyerere rivolge ai suoi compagni di partito durante la biennale conferenza nazionale della TANU. In questo suo discorso parla delle situazioni internazionali, non regionali, guerra in Vietnam e la situazione israelo-araba, in cui la Tanzania prese specifiche posizioni politiche. Legata al coinvolgimento delle Nazioni Unite in queste vicende afferma: In the face of these two great International conflicts, […] the United Nations has been able to do very little. In 72 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.131; A. PALLOTTI, Alla ricerca della democrazia: L’Africa sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Soveria Mannelli, 2013, pp. 55.
  • 33. Vietnam in particular it has been completely helpless; its Secretary General has tried time and again to intervene in the cause of peace, and every time he has been rebuffed73 . In connessione allo sconforto per le scarse capacità di intervento nei conflitti in cui Stati Uniti e Unione Sovietica giocano un qualche ruolo, muovendo gli ingranaggi per i loro interessi, Nyerere afferma limpidamente i limiti delle Nazioni Unite: The United Nations is weak when a powerful states wish to ignore it. […] For big powers can live with the illusion of self- sufficiency74 . Tuttavia Nyerere non scoraggia la partecipazione alle Nazioni Unite, anzi riconosce che solo con la partecipazione unanime di tutti i paesi, che a questa organizzazione decidono di sottostare, questa possa rafforzarsi nelle sue possibilità di azione: Yet it is important that we should not in consequence lose faith in the United Nations, not reduce our support of it. […] Rather than abandon the United Nations we must work steadfastly and persistently towards strengthening it75 . Nyerere prosegue poi a definire quali, secondo lui, sono i vantaggi per le piccole potenze, tra le quali inserisce anche la Tanzania: Only in a organization such as the United Nations can we hope to make our voice heard on International issues76 . 73 J. NYERERE, op. cit. pp. 372. 74 J. NYERERE, op. cit. pp. 372. 75 Idem 76 J. NYERERE, op. cit. 373.
  • 34. Si riconosce dunque un’importanza vitale alle Nazioni Unite da parte delle piccole potenze che, nel caso di Nyerere e dell’Africa australe, corrispondono a quei paesi di recente indipendenza o che hanno difficoltà ad ottenerla. Quando negli anni settanta si entrerà nel vivo delle lotte di indipendenza combattute, mentre la Tanzania sarà la base di molti di questi movimenti, Nyerere ne incarnerà la voce anche presso questo organo. Tuttavia Nyerere non è un politico da accettare una organizzazione come questa, con un ruolo delicato ed importante, senza proporre sue personali opinioni. In questo caso la critica, e il conseguente consiglio, che Nyerere muove nei confronti delle Nazioni Unite riguarda la non rappresentazione di un paese con il quale la Tanzania stringeva da qualche anno intensi rapporti di co-operazione: la Repubblica Popolare Cinese. Formalmente l’appartenenza della Cina come paese membro non era mai stata revocata, tuttavia il seggio della Cina dal 1949 rappresentava il precedente governo che, a seguito della guerra civile cinese, si era stabilito nell’isola di Formosa77 (Taiwan) appoggiato dagli Stati Uniti, mentre a Pechino veniva proclama la Repubblica Popolare Cinese, supportata dall’Unione Sovietica, che tuttavia, a causa del veto dei paesi occidentali, non avrebbe ottenuto riconoscimento formale sino al 1971. Nonostante la questione si intersecasse con le spinose questioni della guerra fredda, a Nyerere parve che il principio di autodeterminazione dei popoli, contenuto nello stesso Statuto delle Nazioni Unite, non fosse stato in questo caso applicato, e non mancò di rimarcarlo nella medesima occasione: There is, however, one further point I must make with reference to the United Nations. […] That is the fact that People’s Republic of China is still excluded from United Nations. […] This is absurd. While the most populous nation on earth is excluded the United Nations will continue to be hamstrung on all Far Eastern questions […] Tanzania will continue to advocate China’s admission to her rightful place. […] its existence must be accepted78 . 77 F.CAMMARANO, G. GUAZZALOCA, M.S. PIRETTI, Storia contemporanea: Dal XIX al XXI secolo, Milano, 2009, pp. 245. 78 J. NYERERE, op. cit. 373.
  • 35. Oltre a queste chiare posizioni sulle Nazioni Unite, Nyerere ha sempre colto l’occasione per ricordare il debito che la Tanzania ha con questa organizzazione internazionale, per il ruolo che svolge nel mantenere la pace nel mondo e per avere, spesso, i diritti umani come nucleo delle sue azioni. Riconosce l’unicità di questo ente al livello delle relazioni internazionali, e gli sforzi che compie anche per realtà non strettamente internazionali ma regionali, come l’Africa australe79 . Nyerere riconosce anche un ruolo importante alle organizzazioni come WHO (World Health Organization) e la FAO (Food and Agriculture Organization) e il loro considerevole aiuto per migliorare le condizioni di vita dei cittadini in Tanzania80 . Tra i numerosi appelli che Nyerere rivolge alle Nazioni Unite, oltre al reiterato appello del riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese81 , uno dei più importanti sarà legato alla questione della Rhodesia del Sud e del suo regime razzista, appello di cui Nyerere sarà portavoce. A seguito della UDI, la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza che nel 1965 sancì la nascita, in Rhodesia del Sud, di uno Stato a regime controllato dalla minoranza bianca del paese, il dibattito degli oppositori a questo regime prese piede nell’organizzazione continentale preposta: l’OAU (Organization of African Unity). Dopo la dichiarazione dell’UDI si tenne una riunione speciale sulla questione proprio a Dar es Salaam, a riprova dell’importanza centrale della Tanzania, la cui risoluzione decretò come primo punto un embargo economico e diplomatico contro la Rhodesia82 . Nonostante la ratifica di questa risoluzione che impegnava i paesi firmatari ad applicare questa iniziativa, alcuni paesi interruppero solo in parte le loro relazioni con la Rhodesia. Inoltre, nonostante Nyerere avesse fatto pressioni affinché la Gran Bretagna risolvesse in tempi brevi la questione, era consapevole che attraverso il Sudafrica, presso il quale non era attivo alcun embargo, la Rhodesia si poteva rifornire di tutti i beni di cui aveva bisogno senza dipendere dagli altri Stati della regione e limitando di gran lunga le ripercussioni sull’economia del paese83 . Nyerere si rese subito conto che, visto il rifiuto del Sudafrica di perseguire la linea della risoluzione, gli sforzi degli altri paesi erano pressoché inutili. Nyerere era tuttavia consapevole che le Nazioni Unite avrebbero potuto imporre una sanzione di questo tipo; l’appello fu dunque quello di fare riferimento al Capitolo 7 dello Statuto affinché la sanzione diventasse 79 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.130. 80 Ibidem, pp.131. 81 J. NYERERE, op. cit. pp. 100. 82 O. ALUKO, T.M. SHAW, Southern Africa in the 1980s, London, 1985, pp. 7. 83 Idem
  • 36. obbligatoria anche per gli Stati che non la applicavano. Sulle pagine di rivista americana di politica estera Nyerere scriverà sulla questione: This official neutrality is at the moment possible because the economic sanctions are voluntary acts of each separate nation state. By refusing to participate in these sanctions South Africa is thus breaking no international law. This situation would be changed if the United Nations adopted Chapter 7 of the Charter, which makes sanctions mandatory on all members84 . Con queste parole Nyerere dimostrava di conoscere l’importanza delle Nazioni Unite e di riconoscere anche i limiti giuridici differenti che due organizzazioni diverse, come l’OAU e l’ONU, possedevano. All’interno dell’Assemblea Generale la Tanzania è stata spesso chiamata a votare per risoluzioni che contemplavano l’Africa ma anche altri continenti, la logica di voto applicata dalla Tanzania era spesso quella del blocco Afro-Asiatico, utilizzato anche per mantenere alta la pressione sul regime di Apartheid in Sudafrica. Questo blocco compatto nelle votazioni delle Nazioni Unite riuscì ad arrivare a contare 71 membri85 , un numero considerevole con un notevole peso nelle votazioni. Era il trionfo della politica di uguaglianza delle popolazioni, in cui Nyerere credeva, dei paesi con un comune passato coloniale. Una questione a parte merita il rapporto della Tanzania con la Banca Mondiale, formalmente una istituzione delle Nazioni Unite ma di difficile collocazione politica in quanto il suo presidente è eletto direttamente dal Presidente degli Stati Uniti e non dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. A seguito delle richieste di supporto economico da parte della Tanzania, la Banca Mondiale decise di finanziare le politiche di progresso intraprese dal paese. La convinzione della Banca Mondiale era che in un paese come la Tanzania la maggior parte delle risorse dovessero essere rivolte allo sviluppo dell’agricoltura, in linea con l’ideologia dell’Ujamaa teorizzata da Nyerere86 . Gli investimenti che la Banca Mondiale indirizzò verso la Tanzania 84 J. NYERERE, op. cit pp.153 85 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp.132. 86 M. VON FREYHOLD, Ujamaa villages in Tanzania: analysis of a social experiment, Londra, 1979, pp. 108.
  • 37. tuttavia erano accompagnati da una visione particolare di come l’economia della Tanzania dovesse svilupparsi, visione che talvolta contraddiceva l’ideologia socialista del Presidente Nyerere. L’Ujamaa prevedeva tre fasi87 , al termine dei quali si raggiungeva l’obbiettivo delle fattorie comunitarie, legate al quel processo di “villaggizzazione” descritto nel capitolo precedente, la seconda fase, la penultima, prevedeva l’unione dei lotti di terra di privati, con le rispettive fattorie agricole, in quello che venivano chiamate block-farms (letteralmente fattorie in blocco) che avevano la forma dei villaggi comunitari, previsti nella fase successiva, ma ancora formalmente di proprietà privata. La Banca Mondiale si concentrò particolarmente negli investimenti sulle block-farms facendo rallentare e poi definitivamente fermare il sogno di raggiungere la terza fase della villaggizzazione. Molti teorici sostengono che la concentrazione degli investimenti particolarmente su questa fase intermedia fosse una pratica voluta, e che a seguito di questo rallentamento nel processo anche la stessa Tanzania virò sulla formazione di fattoria parastatali, poiché appariva più facile controllarle invece che permettere ai villaggi dell’Ujamaa di maturare88 . Alcuni addetti ai lavori affermarono che già dal 1972 c’era una direttiva del governo della Tanzania che affermava di favorire le block-farms89 . La Banca Mondiale non si era opposta al controllo verticistico della produzione nazionale ma alla collettivizzazione comunitaria che era alla base del progetto socialista. Secondo Michaela Von Freyhold se il tentativo della Tanzania di perseguire il socialismo fosse stato più tenace sarebbe stato più complicato ricevere supporto economico90 . Mentre la Banca Mondiale fece un tentativo, poi vittorioso, di riportare il modello di sviluppo della Tanzania su binari più consoni all’istituzione stessa91 . 3.3 Gran Bretagna: tra consuetudine e innovazione L’indipendenza concordata tra Tanzania e la Gran Bretagna era servita a quest’ultima per dimostrare che la lotta armata poteva essere evitata e che la Gran Bretagna poteva portare all’indipendenza le sue colonie senza spargimenti di sangue92 . Questa politica della Gran Bretagna era stata promulgata dal suo Primo Ministro Harold Macmillan e professata nel discorso wind of change tenuto da quest’ultimo a 87 Ibidem, pp. 112. 88 Ibidem, pp. 113. 89 Ibidem, pp. 112. 90 Ibidem, pp. 115. 91 Idem 92 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 67.
  • 38. Città del Capo93 . La conferenza costituzionale della Tanzania fu la più veloce tra tutti i possedimenti britannici, durò solo ventiquattro ore, questo a riprova della volontà di rendere indipendente lo Stato94 . La definitiva benedizione all’indipendenza dell’ex colonia venne dal Segretario di Stato delle Colonie dell’Impero, Iain Macleod che accettò Nyerere come primo ministro (Nyerere veniva dalla vittoria plebiscitaria alle elezioni del 196095 ) ancora prima che l’indipendenza fosse formalmente dichiarata96 . Al momento dell’indipendenza sembrò che i due Stati fossero in una situazione di armoniosa convivenza. Alla cerimonia inaugurale presenziò il Principe Filippo come membro della famiglia reale97 . Formalmente l’indipendenza era iniziata sotto i migliori auspici. La condizione di ex colonia britannica mise la Tanzania nella condizione di richiedere un sostegno economico, per il progetto dell’Ujamaa, alla Gran Bretagna prima di tutti gli altri Stati. La questione finanziaria pose le prime frizioni tra i due Stati. A Luglio 1961, mentre si stavano facendo i preparativi per il passaggio amministrativo e burocratico dal governo coloniale a quello tanzaniano, si discusse la questione della independence dowry, la dote che la Gran Bretagna concedeva ai paesi neo indipendenti98 . La posizione della Gran Bretagna sulla questione prevedeva che i bisogni finanziari della Tanzania venissero soddisfatti dalle Nazioni Unite in quanto quest’ultima aveva posto sotto la Gran Bretagna la colonia come amministrazione fiduciaria99 . Il Ministro delle Finanze del Tanganyika, Sir Ernest Vasey, aveva formalmente richiesto a Londra un prestito di 24 milioni di sterline da apportare ad un piano di sviluppo triennale che era in fase di realizzazione100 . Il Segretario Macleod informò gli emissari del governo che, a causa delle politiche di austerità intraprese dal governo di Londra, le pretese finanziarie dovevano essere dimezzate101 . La risposta di Nyerere fu di sfruttare la tesa situazione della guerra fredda a proprio vantaggio. Seguendo la politica nazionale di non-allineamento Nyerere enfatizzò la necessità di ottenere i fondi per iniziare un piano di modernizzazione economica, se questi fondi non fossero stati forniti dalla Gran Bretagna allora avrebbe fatto formale richiesta al governo di Mosca102 . Il Governatore della Colonia del Tanganyika Richard Turnbull, 93 Idem 94 Ibidem, pp. 68. 95 A. PALLOTTI, op. cit. pp. 54 96 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 68. 97 Ibidem, pp. 70. 98 Ibidem, pp. 68. 99 Idem 100 Ibidem, pp. 69. 101 Idem 102 Idem
  • 39. che era in ottimi rapporti con Nyerere tanto da venire considerato un ospite gradito nel paese103 , volò a Londra per riportare al governo il rischio che si sarebbe corso lasciando che il Tanganyika si avvicinasse all’orbita sovietica alla ricerca di aiuti economici, cosa che accadrà in ogni caso data la politica di non-allineamento perseguita da Nyerere. Allarmati dalla situazione Londra concesse il prestito in tutta la sua interezza104 . La prima trattativa tra lo stato della Tanzania indipendente e Londra aveva visto Nyerere sfruttare sapientemente la difficile situazione internazionale per garantire il successo degli interessi nazionali. Un secondo momento di tensione tra i due paesi si ebbe nel 1964 quando a Zanzibar scoppiò una rivolta a seguito di una escalation militare iniziata dalla notizia che il governo di Londra voleva concedere l’indipendenza all’isola mantenendo il sultano di Zanzibar al potere. L’ammutinamento dell’esercito fu guidato da Abeid Karume, leader dell’Afro-Shirazi Party, che prese il controllo totale dell’isola e procedette all’espulsione di 15 mila tra arabi e asiatici. La situazione venne risolta dall’intervento delle truppe Britanniche, chiamate da Nyerere, e dalla promessa del Presidente della Tanzania fatta a Karume di unificare i due paesi e di garantire a questo una carica politica nel nuovo assetto politico. Abeid Karume diventerà vicepresidente della Tanzania unificata105 . Le tensioni tra Tanzania e Gran Bretagna raggiungeranno l’apice dopo la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza di Ian Smith che assicurò il potere alla supremazia bianca in Rhodesia. La reazione della Tanzania e degli Stati africani limitrofi fu, attraverso una seduta dell’OAU, di decretare l’embargo economico e diplomatico con il regime di Smith, mentre Nyerere, portavoce a livello internazionale della regione fece un appello all’allora primo ministro della Gran Bretagna, il laburista Harold Wilson, affinché ripristinasse la legalità al più presto. Le pressioni e le minacce del Governo Wilson furono accompagnate dalla dichiarazione dello stesso di non voler usare la forza contro il regime di Smith106 . La risposta della Tanzania fu quella di rompere i contatti diplomatici con il Regno Unito. Wilson in risposta congelò i nuovi aiuti economici previsti per la Tanzania107 . La delusione per il mancato intervento in Rhodesia e per la sua blanda presa di posizione derivava dal fatto che la Tanzania indicava la Gran Bretagna come l’organo preposto per ripristinare la legalità e i diritti negati ed abusati in Rhodesia. Nyerere 103 Ibidem, pp. 71. 104 Ibidem, pp. 69. 105 A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore: Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, 1995, pp. 388. 106 A. PALLOTTI, op. cit. 94. 107 Idem; J. NYERERE, op. cit. pp. 203.
  • 40. fece riferimento all’illegalità del governo di Smith dichiarando che questo era ancora colonia britannica e che quindi un governo unilaterale non aveva, o non avrebbe dovuto avere, validità giuridica. Eppure Londra era restia ad intervenire e riportare la legalità in Rhodesia. In un intervento del 2 dicembre 1965, presso il consiglio dei ministri dell’Organizzazione dell’Unità Africana, Nyerere spiegò le motivazioni che avrebbero portato la Tanzania alla decisione di interrompere le relazioni diplomatiche con Londra. Nyerere spiega come in un primo momento le politiche del governo di Wilson fossero in linea con la risoluzione che l’OAU voleva adottare. Il parlamento inglese aveva infatti approvato delle restrizioni economiche contro il governo di Smith, principalmente bloccando le importazioni dalla Rhodesia di tabacco e di petrolio108 . Nyerere riporta inoltre di come il Segretario degli Affari Esteri britannico fosse stato mandato alle Nazioni Unite per avere un appoggio internazionale sulla questione109 . Il 20 novembre 1965 una risoluzione del consiglio di sicurezza era stata accettata, in questa si faceva appello a tutti gli Stati membri affinché rompessero le relazioni economiche con la Rhodesia del Sud110 . Il 23 novembre, riporta Nyerere spiegando il passo indietro della Gran Bretagna, il ministro Wilson rivedeva la sua posizione sull’embargo, soprattutto per i prodotti petroliferi, dando come spiegazione il fatto che si dovessero riconsiderare le ripercussione che questo embargo avrebbe prodotto sullo Zambia, stato confinante e fortemente dipendente dall’economia della Rhodesia. Nyerere, deluso dal volta faccia di Londra si limitò a ricordare un semplice fatto: That Zambia had supported the resolution appare irrelevant to the British Prime Minister111 . Nyerere criticava inoltre come, de facto, il potere fosse in uno stato di auto-governo dal 1923112 , ricordava inoltre, fattore quest’ultimo ancora più preoccupante per gli Stati dell’area, di come, nel 1963, l’amministrazione dell’esercito e delle forze dell’aviazione fossero passate sotto il controllo esclusivo delle autorità di Salisbury113 , sulle quali, apparentemente, Londra aveva ormai poco controllo. Nyerere inoltre compie nella stessa circostanza un nuovo appello a Londra ricordando che la 108 Ibidem, pp. 124. 109 Idem 110 Idem 111 Idem 112 Ibidem, pp. 118. 113 Ibidem, pp. 119.
  • 41. costituzione, sotto la quale il governo illegale di Smith si era insediato, prevedeva ancora dei poteri in mano al governo e al parlamento di Londra: We do not demand that British troops should die in Southern Rhodesia; We do not demand that Smith’s forces should die. If this matter can be settled peacefully no one will be more happy than Africa. but it must be settled. Further it must be settled quickly. Great principles are at the stake. […] Britain has done the very minimum, and left African state to live under threat to its livelihood from the rebels114 . Successivamente a questi appelli la situazione non muterà più di tanto, nonostante il raggiungimento di un parziale embargo economico per la Rhodesia Nyerere comprese che il regime di Smith non avrebbe avuto troppe ripercussioni fintanto che il Sudafrica poteva fornire sostentamento economico e armi al regime115 . Inoltre dopo che il Malawi cominciò a fare gli interessi dei regimi dell’Apartheid e a rendere difficoltoso raggiungere delle risoluzioni alle sedute dell’OAU116 , Nyerere deciderà di cambiare la strategia e di supportare apertamente e materialmente i movimenti di liberazione che combatteranno in Rhodesia. La questione dell’UDI segnò un definitivo declino delle relazioni diplomatiche con Londra, relazioni che riprenderanno con una certa continuità solo a partire dagli anni ottanta quando la Tanzania, abbandonati definitivamente i progetti socialisti, cominciava ad affrontare le sfide dei programmi di aggiustamento strutturale117 . 3.4 La guerra fredda e la politica dei blocchi Nel clima generale di paranoia bellica che accompagna tutti gli anni sessanta della guerra fredda, la Tanzania venne etichettata, spesso dalla stampa americana, come paese comunista. Nonostante Nyerere stesso avesse ribadito, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 1961 la propria politica di non-allineamento118 , 114 Ibidem, pp. 123. 115 O. ALUKO, T.M. SHAW, op. cit. pp. 7. 116 Ibidem, pp. 8. 117 A. PALLOTTI, op. cit. 157. 118 J. NYERERE, op. cit. 51.
  • 42. alla medesima assemblea, Adlai Stevenson, ambasciatore della delegazione degli Stati Uniti, chiese a Nyerere di appoggiare la causa del governo di Washington di proseguire con l’esclusione della Repubblica Popolare Cinese da Stato di membro delle Nazioni Unite119 . Nyerere per placare le accuse aveva affermato che la Tanzania era più legata al mondo occidentale grazie al suo passato di ex colonia britannica120 . Le ragioni delle accuse dei paesi occidentali sono da riscontrarsi nelle relazioni che la Tanzania intratteneva con nazioni comuniste, come Unione Sovietica, Cina e Jugoslavia. Rapporti diplomatici, culturali ed economici121 , che però mantenevano sempre le prerogative, volute da Nyerere, del non-allineamento. Nonostante la minaccia di rivolgersi a Mosca122 che Nyerere fece al governo di Londra, quando quest’ultimo non voleva garantire un prestito di 24 milioni di sterline, le relazioni economiche con i sovietici si limitarono a interscambi scolastici e a un prestito base, che Mosca offriva a tutti i paesi non filoccidentali richiedenti, da 20 milioni di dollari123 . In seguito la Tanzania si avvicinò maggiormente a Pechino, relazione che tratterò in un paragrafo successivo, anche per la volontà di Mosca di dedicarsi maggiormente ai governi dei paesi arabi124 . Gli scambi economici tra Cina e Tanzania misero nuovamente il paese sotto la lente di ingrandimento dei paesi occidentali che avevano ricominciato ad evocare la contaminazione comunista125 . Nyerere affermerà, ironico, riguardo alla questione: Sometimes I wonder whether the Western countries are not rapidly developing an inferiority complex towards the Eastern countries, and China in particular126 . Nyerere seguiterà nuovamente a rassicurare i più scettici della bontà delle relazioni della Tanzania guidate dal principio di non-allineamento. Tuttavia Nyerere fu infastidito dal fatto che i paesi del blocco occidentale sembravano darsi maggiormente da fare per criticare le relazioni diplomatiche di un paese, presunto 119 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 71. 120 J. NYERERE, op. cit. 17. 121 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 152. 122 Ibidem, pp. 69. 123 Ibidem, pp. 152. 124 Ibidem, pp. 153. 125 J. NYERERE, op. cit. 51 126 Ibidem, pp. 52.
  • 43. comunista, mentre non si preoccupavano delle pratiche coloniali e di segregazione razziale ancora in atto presenti in Africa127 . Secondo Nyerere erano queste le questioni che dovevano realmente interessare ai paesi democratici occidentali. Attraverso le parole di Nyerere: The continuation of colonialism and racialism in the Portuguese colonies, in Southern Rhodesia, and in South Africa is a daily affront to all the principles of democracy […] on which we stand. And it is the thing which really ought to be worrying the West very much indeed, because it is these matters which will really affect the relations of the West with Africa128 . Sempre legato alla guerra fredda, Nyerere non mancherà di far notare il suo disappunto al governo di Washington sulla questione della guerra in Vietnam129 . Inoltre la medesima ideologia dei blocchi causò la fine delle relazioni diplomatiche con la Repubblica Federale Tedesca. La causa fu il riconoscimento diplomatico che la Tanzania concesse alla Repubblica Democratica Tedesca130 , accettando un consolato non-ufficiale da questa, pratica in uso già in altri Stati africani131 . La risposta della Germania Ovest fu di interrompere un investimento diretto che i due Stati stavano per sottoscrivere132 . Nyerere riuscì ad ogni modo a sviare l’attenzione sul proprio paese, in quegli anni c’era infatti il rischio che un neo stato indipendente diventasse teatro di conflitti regionali. Spesso erano la valvola di sfogo di escalation militari più ampie che interessavano le due grandi potenze in gioco. Per la Tanzania il rischio di diventare il teatro di questi conflitti era reale. Nyerere sapeva infatti che, a causa del ritiro della marina britannica dell’Oceano Indiano e del vuoto militare e geopolitico conseguente133 , il controllo di isole e litorali che si affacciavano sull’oceano diventava vitale per Washington e Mosca. Gi sforzi di Nyerere furono al fine di mantenere 127 Idem 128 Idem 129 Ibidem, pp. 74. 130 G. HYDEN, R. MUKANDALA, Agencies in foreign aid, Chippenham, 1999, pp. 35. 131 J. NYERERE, op. cit. 202. 132 Idem 133 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 156.
  • 44. l’Oceano Indiano come una zona di pace, sforzi che si tradussero nel tentativo di conferenze di paese non-allineati per proibire le attività militari navali nella regione134 . Gli sforzi di Nyerere furono sufficienti ad evitare conflitti nell’area che tuttavia si ripresentarono un decina di anni dopo, negli anni settanta, trovando terreno fertile nelle rimanenti lotte armate di liberazione. 3.5 Le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e gli investimenti dell’USAID Quando fu chiamato a descrivere le relazioni diplomatiche che legavano la Tanzania con gli Stati Uniti Nyerere definì queste come uncooperative coldness135 , una freddezza non cooperativa principalmente legata alle differenze ideologiche tra i due paesi. Nyerere definiva gli Stati Uniti come la bandiera del capitalismo, definito “animalismo”136 (Unyama in swahili), in cui il più forte prevarica sul più debole con la sua natura predatoria in un capitalismo in cui il profitto è l’unico bisogno primario; Nyerere aveva inoltre suggellato, nel suo manifesto politico della Dichiarazione di Arusha, una chiara ideologia, nella quale veniva spiegato come il capitalismo fosse inutile e nocivo per un società come quella tanzaniana137 . Tralasciando le relazioni economiche tra i due paesi, questione di cui mi occuperò più avanti nel paragrafo, le relazioni diplomatiche erano partite secondo i migliori auspici. Al momento dell’indipendenza la delegazione statunitense aveva consegnato una lettera a Nyerere, scritta dal Presidente Kennedy, nella quale quest’ultimo si complimentava della pacifica indipendenza raggiunta e garantiva al governo di Dar es Salaam un prestito di 10 milioni di dollari per dei piani di sviluppo138 . Il rapporto tra Nyerere e Kennedy continuò via missiva per mesi sino alla visita a Washington di Nyerere su invito del Presidente Kennedy139 nel 1963. Nyerere racconterà poi di come durante l’incontro avesse chiesto al Presidente Kennedy della ragione dietro gli investimenti che gli Stati Uniti stavano compiendo nei confronti della Tanzania. Kennedy affermò che il motivo principale di quei fondi non era l’altruismo ma questioni di interesse della nazione. Incalzato su questo punto, Kennedy affermò che l’interesse giaceva principalmente nella costruzione di una difesa nazionale e internazionale contro 134 Idem 135 G. HYDEN, R. MUKANDALA, op. cit. 42; J. NYERERE, op. cit. 202 136 G. HYDEN, R. MUKANDALA, op. cit. 42. 137 J. NYERERE, op. cit. 10-12 138 W.R. DUGGAN, J.R. CIVILLE, op. cit. pp. 70-71. 139 Ibidem, pp. 75.