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L’amministrazione del patrimonio immobiliare dei Luoghi pii elemosinieri nell’Ottocento
Maria Cristina Brunati

[Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (ex Eca) di Milano, a cura di Marco G. BASCAPÈ, Paolo M. GALIMBERTI, Sergio
REBORA, Milano – Cinisello Balsamo: Amministrazione delle II.PP.A.B. – Silvana Editoriale,
2001, pp. 372-374]


La concentrazione dei Luoghi pii elemosinieri - conseguenza della riforma avviata da Giuseppe II
e compiuta con il decreto napoleonico del 13 agosto 1801 - portò anche alla concentrazione dello
straordinario patrimonio immobiliare1 acquisito dai cinque maggiori luoghi pii superstiti (Quattro
Marie, Misericordia, Divinità, Carità e Loreto), e da quelli minori da essi assorbiti, nel corso della
loro secolare storia.
Si trattava di un patrimonio estremamente importante, non soltanto per la sua consistenza (si
estendeva infatti sopra circa 60.000 pertiche di terreno)2, ma anche dal punto di vista economico,
poiché produceva una rendita fondamentale per il mantenimento dell’attività caritativa dell’ente3,
e dal punto di vista artistico, se si considera che esso comprendeva palazzi signorili, case, chiese,
oratori, conventi, ville padronali di campagna e cascinali, spesso provenienti da antichi patrimoni
familiari.
Per tutti questi motivi gli estensori del Piano di concentrazione de’ cinque luoghi pii elemosinieri
della Comune di Milano considerarono immediatamente il problema della gestione di questi beni,
affidandola ad un Ufficio tecnico e a tre Agenzie, una per la città e due di campagna, con
personale reclutato fra quello già attivo presso le cessate amministrazioni4.
Mentre gli ingegneri d’ufficio si occupavano del “servizio tecnico peritale amministrativo”, agli
agenti spettava decidere quali fossero le riparazioni da apportare agli edifici situati all’interno
delle zone di rispettiva competenza, sovrintendere all’esecuzione dei lavori, controllare il
personale sottoposto (campari e guardaboschi), vegliare sulle proprietà, sui diritti e, in particolare,
sulle “ragioni d’acqua” di spettanza dei Luoghi pii elemosinieri, controllare la buona conduzione
dei fondi e riferire sullo stato delle coltivazioni e le eventuali migliorie apportate dai conduttori,
predisporre prospetti statistici del bestiame presente sui poderi e delle piante da tagliare. Essi
dovevano inoltre fare esazioni e pagamenti di partite affidate alla loro gestione, dirigere i lavori di
riduzione delle piante in legname d’opera e in legna da ardere e tenere nota del carico e dello
scarico degli arsenali dei legnami e dei materiali d’opera, proporre opere di miglioria ed assistere
gli ingegneri d’ufficio in occasione di visite ai fondi5.

1
  A titolo puramente indicativo si segnalano le seguenti pubblicazioni e ricerche, che possono offrire interessanti
spunti per lo studio di questo oggetto: Chilò – Negri 1973; Cascine del territorio di Milano 1975; Gabba 1980; Arte e
pietà 1980; I tempi della terra 1983; Meriggi 1987; La cascina milanese 1988; Bigatti 1995; Riboli et al. 1995;
Fiacco 1966-67; Dal Piva 1969-70; Pizzuto 1971-72; Signori 1978-79.
2
  AIMi, Aggregazioni 2, 22: Distinta de’ Luoghi Pii concentrati nel 1801 nel Capitolo Centrale Limosiniero e
prospetto della totale entrata e sua conversione (1805).
3
  AIMi, Economia. Bilanci consuntivi 3073. Dal Bilancio consuntivo della rendita e pesi del Capitolo centrale dei
Luoghi pii elemosinieri di Milano per l’anno 1801, risulta che i proventi derivanti dall’affitto dei soli beni forensi in
quell’anno ascesero a 509.944 lire, su un totale di 1.035.912 lire d’entrate.
4
  AIMi Aggregazioni 2, 23: Piano di concentrazione…; in AIMi, Ordinazioni capitolari 3026 (7 novembre 1801) è
conservato il Ruolo della pianta stabile della nuova Amministrazione dei cinque riuniti Luoghi pii, dal quale risulta
la nomina di Ercole Stagnoli, Gaetano Ratti e Cristofaro Bellotti a ingegneri d’ufficio, di Domenico Biraghi ad
agente di città, coadiuvato da Camillo Vergani e Antonio Frigerio, e di Antonio Canevaro e Giosuè Usuelli ad agenti
forensi.
5
  AIMi Uffici 3764, 1: Istruzioni per l’Ufficio Tecnico e per gli ingegneri agenti della Congregazione di Carità di
Milano, Milano, Tipografia Pietro Agnelli, 1868.
Tale organizzazione venne mantenuta in modo sostanzialmente inalterato fino a tutto il 1889,
nonostante gli avvicendamenti nell’amministrazione dell’Ente e il variare del numero delle
Agenzie e degli impiegati ad esse addetti. A partire dal 1° gennaio 1890, però, le funzioni delle
Agenzie vennero accentrate in nuovi “Riparti” dell’Ufficio tecnico retti da ingegneri non più
residenti in loco, ad eccezione di quello di Pavia, per il quale la distanza dalla sede centrale
rendeva ancora opportuno il domicilio in quella città6.
Come accennato, la rendita immobiliare costituiva una tra le principali voci all’attivo dei bilanci
dei LL.PP.EE. ed era prodotta essenzialmente dalla locazione di edifici d’abitazione in città e
soprattutto dall’affitto delle proprietà rurali. Per quanto concerne la conduzione dei fondi, i
LL.PP.EE. privilegiarono dunque il contratto d’affitto a denaro, tipico peraltro delle aree della
bassa pianura milanese e della pianura pavese in cui era ubicata la maggior parte dei
possedimenti, ricorrendo solo episodicamente, e comunque per periodi di breve durata, alla
conduzione diretta. Questo essenzialmente perché l’affitto, che aveva in genere una durata
novennale, permetteva di semplificare la gestione dell’azienda e garantiva un riscontro monetario
a breve scadenza.
La procedura relativa alla stipulazione del contratto era standardizzata e prevedeva la
deliberazione per asta pubblica, previa esposizione di “cedole invitatorie” e “deliberatorie”, cui
faceva seguito la sottoscrizione dell’istrumento d’investitura (corredato da un dettagliato
capitolato nel quale erano precisati gli obblighi delle parti) davanti ad un notaio.
All’inizio della locazione (previsto nel giorno di s. Martino) veniva compilato lo “stato di
consegna”, minuzioso inventario della proprietà con le relative preziosissime “ragioni d’acque”,
mentre al termine del contratto venivano redatti lo “stato di riconsegna” e il bilancio
dell’affittanza a cura di un ingegnere dell’ente. Rilevazioni, queste, che avevano lo scopo di
incentivare la realizzazione di opere di miglioria e scongiurare un eccessivo sfruttamento dei
terreni da parte del conduttore, soprattutto negli ultimi anni.
Naturalmente l’ente non si limitava a delegare ai fittabili gli interventi di perfezionamento dei
propri possedimenti e difatti provvedeva ad assicurare direttamente la manutenzione ordinaria e
straordinaria degli edifici e a realizzare opere di nuova costruzione (pozzi, forni, pile da riso,
stalle, ecc.).
La valorizzazione del patrimonio immobiliare era inoltre perseguita attraverso la
razionalizzazione della distribuzione dei fondi: gli amministratori favorirono così la
conservazione degli immobili più facilmente controllabili, ad esempio perché situati in località
agevolmente raggiungibili, incentivarono al contrario l’alienazione di quelli troppo lontani (come
avvenne per le case e i poderi mantovani pervenuti con l’eredità di Rosa Susani Carpi) e
promossero l’acquisto di terreni adiacenti ad altre proprietà (come nel caso delle possessioni di
Vidiserto e Cantalupo, comprate nel 1831 perché ubicate vicino a Zunico).
In questa prospettiva si può considerare anche il lascito del conte Giacomo Mellerio -
componente della direzione dei Luoghi pii elemosinieri dal 1831 alla morte - costituito
dall’esteso latifondo di Riozzo, comprendente terreni ed edifici che si inserirono in modo tanto
conveniente fra quelli già posseduti dall’ente, da lasciar presumere una pianificazione degli
acquisti da parte del testatore.
L’interesse dei LL.PP.EE. per il proprio patrimonio immobiliare non aveva, comunque, un
carattere esclusivamente economico, come rivelano i sussidi concessi ai coloni in momenti di
particolare difficoltà, gli interventi di bonifica e sistemazione degli alloggi rurali dei possedimenti
pavesi che, nel 1864, valsero all’ente l’assegnazione di una medaglia d’oro da parte della Società
Agraria di Lombardia, o ancora le indagini condotte negli anni Ottanta sopra le condizioni di vita
dei contadini che lavoravano i fondi7.
6
    AIMi, Verbali di seduta, 7 agosto 1889.
7
    Gabba 1988.

Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza (ex Eca) di Milano (cit.), 2001, pp. 372-374.
Anche in questo ambito gli agenti risultarono essere gli interlocutori privilegiati
dell’Amministrazione, ma non gli unici. Un ruolo di primo piano venne infatti riconosciuto anche
ai cappellani degli oratori ubicati sui poderi dell’ente. Essi furono chiamati esplicitamente a
cooperare con gli agenti e gli assistenti “secondo la rispettiva sfera d’azione, al conseguimento
degli scopi che si propone[va] la Congregazione”8, anche perché i contadini che abitavano nelle
cascine dei LL.PP.EE. erano generalmente portati a considerarli potenziali intermediari con la
proprietà9.
L’analisi dei caratteri fondamentali della gestione del patrimonio immobiliare sembra quindi
indicare negli amministratori la piena consapevolezza dell’importanza di questi beni per la vita
dell’ente, consapevolezza che li indusse ad adottare tutti quei provvedimenti che potessero
contribuire alla sua tutela e valorizzazione e che, al contrario, li spinse anche ad opporsi a
superiori progetti d’alienazione e conversione in rendita mobiliare10.




8
  AIMi, Verbali di seduta, 16 novembre 1883.
9
  Si segnala a titolo d’esempio l’impegno di don Pietro Belossi, cappellano dell’Oratorio di S. Lorenzo in Cantalupo,
che nel 1870 diede avvio ad una scuola festiva e serale per adulti; si veda in AIMi, Giuspatronati 822.
10
   Scotti 1874.

Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza (ex Eca) di Milano (cit.), 2001, pp. 372-374.

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Maria Cristina Brunati, "L'amministrazione del patrimonio immobiliare dei Luoghi pii elemosinieri nell'Ottocento"

  • 1. L’amministrazione del patrimonio immobiliare dei Luoghi pii elemosinieri nell’Ottocento Maria Cristina Brunati [Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ex Eca) di Milano, a cura di Marco G. BASCAPÈ, Paolo M. GALIMBERTI, Sergio REBORA, Milano – Cinisello Balsamo: Amministrazione delle II.PP.A.B. – Silvana Editoriale, 2001, pp. 372-374] La concentrazione dei Luoghi pii elemosinieri - conseguenza della riforma avviata da Giuseppe II e compiuta con il decreto napoleonico del 13 agosto 1801 - portò anche alla concentrazione dello straordinario patrimonio immobiliare1 acquisito dai cinque maggiori luoghi pii superstiti (Quattro Marie, Misericordia, Divinità, Carità e Loreto), e da quelli minori da essi assorbiti, nel corso della loro secolare storia. Si trattava di un patrimonio estremamente importante, non soltanto per la sua consistenza (si estendeva infatti sopra circa 60.000 pertiche di terreno)2, ma anche dal punto di vista economico, poiché produceva una rendita fondamentale per il mantenimento dell’attività caritativa dell’ente3, e dal punto di vista artistico, se si considera che esso comprendeva palazzi signorili, case, chiese, oratori, conventi, ville padronali di campagna e cascinali, spesso provenienti da antichi patrimoni familiari. Per tutti questi motivi gli estensori del Piano di concentrazione de’ cinque luoghi pii elemosinieri della Comune di Milano considerarono immediatamente il problema della gestione di questi beni, affidandola ad un Ufficio tecnico e a tre Agenzie, una per la città e due di campagna, con personale reclutato fra quello già attivo presso le cessate amministrazioni4. Mentre gli ingegneri d’ufficio si occupavano del “servizio tecnico peritale amministrativo”, agli agenti spettava decidere quali fossero le riparazioni da apportare agli edifici situati all’interno delle zone di rispettiva competenza, sovrintendere all’esecuzione dei lavori, controllare il personale sottoposto (campari e guardaboschi), vegliare sulle proprietà, sui diritti e, in particolare, sulle “ragioni d’acqua” di spettanza dei Luoghi pii elemosinieri, controllare la buona conduzione dei fondi e riferire sullo stato delle coltivazioni e le eventuali migliorie apportate dai conduttori, predisporre prospetti statistici del bestiame presente sui poderi e delle piante da tagliare. Essi dovevano inoltre fare esazioni e pagamenti di partite affidate alla loro gestione, dirigere i lavori di riduzione delle piante in legname d’opera e in legna da ardere e tenere nota del carico e dello scarico degli arsenali dei legnami e dei materiali d’opera, proporre opere di miglioria ed assistere gli ingegneri d’ufficio in occasione di visite ai fondi5. 1 A titolo puramente indicativo si segnalano le seguenti pubblicazioni e ricerche, che possono offrire interessanti spunti per lo studio di questo oggetto: Chilò – Negri 1973; Cascine del territorio di Milano 1975; Gabba 1980; Arte e pietà 1980; I tempi della terra 1983; Meriggi 1987; La cascina milanese 1988; Bigatti 1995; Riboli et al. 1995; Fiacco 1966-67; Dal Piva 1969-70; Pizzuto 1971-72; Signori 1978-79. 2 AIMi, Aggregazioni 2, 22: Distinta de’ Luoghi Pii concentrati nel 1801 nel Capitolo Centrale Limosiniero e prospetto della totale entrata e sua conversione (1805). 3 AIMi, Economia. Bilanci consuntivi 3073. Dal Bilancio consuntivo della rendita e pesi del Capitolo centrale dei Luoghi pii elemosinieri di Milano per l’anno 1801, risulta che i proventi derivanti dall’affitto dei soli beni forensi in quell’anno ascesero a 509.944 lire, su un totale di 1.035.912 lire d’entrate. 4 AIMi Aggregazioni 2, 23: Piano di concentrazione…; in AIMi, Ordinazioni capitolari 3026 (7 novembre 1801) è conservato il Ruolo della pianta stabile della nuova Amministrazione dei cinque riuniti Luoghi pii, dal quale risulta la nomina di Ercole Stagnoli, Gaetano Ratti e Cristofaro Bellotti a ingegneri d’ufficio, di Domenico Biraghi ad agente di città, coadiuvato da Camillo Vergani e Antonio Frigerio, e di Antonio Canevaro e Giosuè Usuelli ad agenti forensi. 5 AIMi Uffici 3764, 1: Istruzioni per l’Ufficio Tecnico e per gli ingegneri agenti della Congregazione di Carità di Milano, Milano, Tipografia Pietro Agnelli, 1868.
  • 2. Tale organizzazione venne mantenuta in modo sostanzialmente inalterato fino a tutto il 1889, nonostante gli avvicendamenti nell’amministrazione dell’Ente e il variare del numero delle Agenzie e degli impiegati ad esse addetti. A partire dal 1° gennaio 1890, però, le funzioni delle Agenzie vennero accentrate in nuovi “Riparti” dell’Ufficio tecnico retti da ingegneri non più residenti in loco, ad eccezione di quello di Pavia, per il quale la distanza dalla sede centrale rendeva ancora opportuno il domicilio in quella città6. Come accennato, la rendita immobiliare costituiva una tra le principali voci all’attivo dei bilanci dei LL.PP.EE. ed era prodotta essenzialmente dalla locazione di edifici d’abitazione in città e soprattutto dall’affitto delle proprietà rurali. Per quanto concerne la conduzione dei fondi, i LL.PP.EE. privilegiarono dunque il contratto d’affitto a denaro, tipico peraltro delle aree della bassa pianura milanese e della pianura pavese in cui era ubicata la maggior parte dei possedimenti, ricorrendo solo episodicamente, e comunque per periodi di breve durata, alla conduzione diretta. Questo essenzialmente perché l’affitto, che aveva in genere una durata novennale, permetteva di semplificare la gestione dell’azienda e garantiva un riscontro monetario a breve scadenza. La procedura relativa alla stipulazione del contratto era standardizzata e prevedeva la deliberazione per asta pubblica, previa esposizione di “cedole invitatorie” e “deliberatorie”, cui faceva seguito la sottoscrizione dell’istrumento d’investitura (corredato da un dettagliato capitolato nel quale erano precisati gli obblighi delle parti) davanti ad un notaio. All’inizio della locazione (previsto nel giorno di s. Martino) veniva compilato lo “stato di consegna”, minuzioso inventario della proprietà con le relative preziosissime “ragioni d’acque”, mentre al termine del contratto venivano redatti lo “stato di riconsegna” e il bilancio dell’affittanza a cura di un ingegnere dell’ente. Rilevazioni, queste, che avevano lo scopo di incentivare la realizzazione di opere di miglioria e scongiurare un eccessivo sfruttamento dei terreni da parte del conduttore, soprattutto negli ultimi anni. Naturalmente l’ente non si limitava a delegare ai fittabili gli interventi di perfezionamento dei propri possedimenti e difatti provvedeva ad assicurare direttamente la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici e a realizzare opere di nuova costruzione (pozzi, forni, pile da riso, stalle, ecc.). La valorizzazione del patrimonio immobiliare era inoltre perseguita attraverso la razionalizzazione della distribuzione dei fondi: gli amministratori favorirono così la conservazione degli immobili più facilmente controllabili, ad esempio perché situati in località agevolmente raggiungibili, incentivarono al contrario l’alienazione di quelli troppo lontani (come avvenne per le case e i poderi mantovani pervenuti con l’eredità di Rosa Susani Carpi) e promossero l’acquisto di terreni adiacenti ad altre proprietà (come nel caso delle possessioni di Vidiserto e Cantalupo, comprate nel 1831 perché ubicate vicino a Zunico). In questa prospettiva si può considerare anche il lascito del conte Giacomo Mellerio - componente della direzione dei Luoghi pii elemosinieri dal 1831 alla morte - costituito dall’esteso latifondo di Riozzo, comprendente terreni ed edifici che si inserirono in modo tanto conveniente fra quelli già posseduti dall’ente, da lasciar presumere una pianificazione degli acquisti da parte del testatore. L’interesse dei LL.PP.EE. per il proprio patrimonio immobiliare non aveva, comunque, un carattere esclusivamente economico, come rivelano i sussidi concessi ai coloni in momenti di particolare difficoltà, gli interventi di bonifica e sistemazione degli alloggi rurali dei possedimenti pavesi che, nel 1864, valsero all’ente l’assegnazione di una medaglia d’oro da parte della Società Agraria di Lombardia, o ancora le indagini condotte negli anni Ottanta sopra le condizioni di vita dei contadini che lavoravano i fondi7. 6 AIMi, Verbali di seduta, 7 agosto 1889. 7 Gabba 1988. Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ex Eca) di Milano (cit.), 2001, pp. 372-374.
  • 3. Anche in questo ambito gli agenti risultarono essere gli interlocutori privilegiati dell’Amministrazione, ma non gli unici. Un ruolo di primo piano venne infatti riconosciuto anche ai cappellani degli oratori ubicati sui poderi dell’ente. Essi furono chiamati esplicitamente a cooperare con gli agenti e gli assistenti “secondo la rispettiva sfera d’azione, al conseguimento degli scopi che si propone[va] la Congregazione”8, anche perché i contadini che abitavano nelle cascine dei LL.PP.EE. erano generalmente portati a considerarli potenziali intermediari con la proprietà9. L’analisi dei caratteri fondamentali della gestione del patrimonio immobiliare sembra quindi indicare negli amministratori la piena consapevolezza dell’importanza di questi beni per la vita dell’ente, consapevolezza che li indusse ad adottare tutti quei provvedimenti che potessero contribuire alla sua tutela e valorizzazione e che, al contrario, li spinse anche ad opporsi a superiori progetti d’alienazione e conversione in rendita mobiliare10. 8 AIMi, Verbali di seduta, 16 novembre 1883. 9 Si segnala a titolo d’esempio l’impegno di don Pietro Belossi, cappellano dell’Oratorio di S. Lorenzo in Cantalupo, che nel 1870 diede avvio ad una scuola festiva e serale per adulti; si veda in AIMi, Giuspatronati 822. 10 Scotti 1874. Estratto da: Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (ex Eca) di Milano (cit.), 2001, pp. 372-374.