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Tito Maccio Plauto

Nasce a Sarsina poco prima del 250 a.C. Di origini modeste, inizia a lavorare in
una compagnia teatrale girovaga. In seguito cade in miseria e trova lavoro come
garzone di un fornaio a Roma. Nel tempo libero compone commedie che lo resero
noto. Muore nel 184 a.C.
Il nome Tito Maccio Plauto rimanda al mondo teatrale: Maccus, come una
machera della fabula atellana; Plauto, come “piedi piatti”, o “dalle orecchie
lunghe”.
Marco Terenzio Varrone ha attribuito a Plauto 21 commedie (commedie
Varroniane).
Plauto scrive palliate attingendo alle opere della commedia nuova greca. Le trame
presentano intrecci complessi ma anche ripetitivi.
I componimenti possono essere suddivisi in 7 gruppi: dei sosia, dell'agnizione,
della beffa, del romanzesco, della caricatura, del servus callidus, composita.
Personaggi Principali                                                       Personaggi secondari
- Euclione: è un vecchio e povero cittadino, reso avaro dalla miseria       - Lare Familiare: I Lari sono figure caratteristiche della religione
della sua famiglia. Per vivere lavora un piccolo appezzamento di            Romana; rappresentano gli spiriti protettori degli antenati defunti,
terreno che ha ereditato dal padre. Un giorno per volontà del Lare          che vegliavano sulla famiglia. All’inizio della commedia il Lare della
protettore della famiglia ritrova una pentola piena d’oro; questo           famiglia di Euclione presenta la vicenda, e le circostanze che lo hanno
avvenimento lo rende ancora più avaro e timoroso di perdere la sua          indotto a rivelare la pentola d’oro nascosta da suo nonno.
nuova fonte di ricchezza.
                                                                            - Stafila: è una vecchia serva che governa da anni la casa di Euclione;
- Megadoro: è il vicino di Euclione e, dopo l’esortazione della sorella,    dopo il ritrovamento della pentola viene più volte maltrattata dal suo
decide di chiedergli in sposa Fedra. E’ di famiglia nobile e non ha         padrone che la accusa ripetutamente di aver rivelato il segreto della
preso moglie perché è timoroso delle numerose richieste che una             pentola agli avventori della casa. E’ lei che si preoccupa di nascondere
moglie del suo rango sociale avrebbe potuto avvallare. Sposando             la gravidanza di Fedra, figlia di Euclione.
Fedra risolverebbe i suoi problemi perché la giovane non ha dote da
offrire.                                                                    - Eunomia: è la sorella di Megadoro, facoltoso vicino di Euclione;
                                                                            appare solo quando lo esorta a prendere moglie, visto l’avvicinarsi per
- Liconide: è un ricco giovane, nipote di Megadoro, che si invaghisce       lui della mezza età.
di Fedra e consuma con lei l’amore. Suo è il figlio portata in grembo
dal questa. Liconide prega lo zio di lasciare che sia lui a sposare Fedra   - Strobilo: è uno dei servi di Megadoro, incaricato di dividere fra
e, quando rende a Euclione la pentola rubata dal suo servo, riceve la       questi ed Euclione i beni comperati per il matrimonio.
sua benedizione ed una moneta d’oro.                                        - Congrione e Antrace: sono i due cuochi assunti da Megadoro per le
- Servo di Liconide: dopo aver udito Euclione pregare la dea Fede di        nozze; sono entrambi di ceto basso, come si nota dalle espressioni che
aiutarlo a nascondere la sua pentola d’oro decide che rubarla               usano e dai doppi sensi che colgono nelle frasi, tipici di un ceto
potrebbe essere un ottimo modo per ottenere la libertà; offre in            sociale di basso livello culturale.
cambio di questa la pentola al suo padrone, che però rifiuta e              - Pitodico: si pensa che questo nome venga attribuito per errore a
riconsegna la pentola ad Euclione.                                          Strobilo in quanto viene nominato solo una volta nella commedia. Si
                                                                            pensa che ciò sia causato da un errore commesso dagli Amanuensi
                                                                            che hanno copiato il libro.
                                                                            - Fedra: è la figlia di Euclione; prima dell’inizio della vicenda fornica
                                                                            con Liconide e rimani incinta. Viene chiesta in sposa prima da
                                                                            Megadoro e poi da Liconide stesso.
Contenuto della vicenda
Euclione è un vecchio avaro che ha trovato nel giardino di casa una pentola d'oro, sepolta da suo nonno, avaro come lui. Dal
momento del ritrovamento, la pentola con l’oro diventa l’unico pensiero di Euclione, un pensiero ossessivo che condiziona
il suo modo di guardare gli avvenimenti e di comprendere ciò che gli viene detto.
Euclione nasconde dapprima in casa propria la pentola, ma, quando il vicino, Megadoro, consigliato dalla sorella, gli chiede
in moglie la figlia e gli manda parte dei suoi servi per cucinare il pranzo nuziale, va a nasconderla nel tempio della Buona
Fede.
Liconide, nipote di Megadoro, vorrebbe sposare Fedria, che ha sedotto e che sta per partorire suo figlio; sotto pressione
della sorella, Megadoro decide di non sposare la figlia del vecchio avaro ma di lasciarla sposare con suo nipote, che fa
seguire Euclione dal servo Strobilo.
Euclione torna a controllare il suo oro nel tempio e s’imbatte in Strobilo; insospettito dal suo atteggiamento furtivo, l’accusa
di furto e lo sottopone ad una perquisizione.
Il servo, che non sospettava l’esistenza della pignatta d’oro, ora la intuisce e, certo che il sospettoso Euclione non lascerà il
suo tesoro là dove lo ha nascosto, lo spia e scopre la sua intenzione di trasferirlo in un boschetto dedicato al dio Silvano.
Decide quindi di precederlo sul posto e di scoprire dove esso verrà nascosto, per poi impadronirsene, cosa che
puntualmente avviene. Ritornato con il bottino a casa di Megadoro, il servo nasconde la pignatta.
Nello spiazzo tra le due case Liconide ed Euclione s’incontrano. Euclione si lamenta, disperato, del grave torto subito, della
violazione del suo bene più prezioso. Liconide interpreta, erroneamente, che egli si dolga per la figlia e si accusa di essere
l’autore del torto subito da Euclione. I due si scambiano una serie di battute basate sull’equivoco. L’avaro, preso solo dal suo
oro, non si è neppure accorto che la figlia era incinta e prossima al parto e fatica a capire la confessione del giovane. Quando
finalmente comprende l’equivoco, entra in casa a verificare di persona il parto della figlia e consente a malincuore lo
sposalizio con il giovane.
Appare sulla scena il servo di Liconide che, comunicando al padrone di essersi arricchito, gli chiede di scioglierlo dalla
schiavitù, Liconide dopo essersi infuriato e averlo minacciato accetta lo scambio. I due giovani si sposano e come regalo di
nozze Euclione gli dona la pentola.
Argumentum II
Aulam repertam auri plenam Euclio
Vi summa servat, miseris adfectus modis.
Lyconides istius vitiat filiam.
Volt hanc Megadorus indotatam ducere,
Lubensque ut faciat dat coquos cum obsonio.
Auro formidat Euclio, abstrudit foris.
Re omni inspecta compressoris servolus
Id surpit. illic Euclioni rem refert.
Ab eo donatur auro, uxore et filio.
Il canticum di Euclione
EVCLIO Perii interii occidi. quo curram? quo non curram? tene, tene. quem? quis?
nescio, nil video, caecus eo atque equidem quo eam aut ubi sim aut qui sim
nequeo cum animo certum investigare. obsecro vos ego, mi auxilio,                  715
oro obtestor, sitis et hominem demonstretis, quis eam abstulerit.
quid est? quid ridetis? novi omnes, scio fures esse hic complures,
qui vestitu et creta occultant sese atque sedent quasi sint frugi.
quid ais tu? tibi credere certum est, nam esse bonum ex voltu cognosco.
hem, nemo habet horum? occidisti. dic igitur, quis habet? nescis?                   720
heu me miserum, misere perii,
male perditus, pessime ornatus eo:
tantum gemiti et mali maestitiaeque
hic dies mi optulit, famem et pauperiem.
perditissimus ego sum omnium in terra;
nam quid mi opust vita, qui tantum auri
perdidi, quod concustodivi
sedulo? egomet me defraudavi
animumque meum geniumque meum;                                                       725
nunc eo alii laetificantur
meo malo et damno. pati nequeo.
L’avaro da Plauto a Molière
                                          dal II secolo d.c. a oggi



L’Aulularia si può considerare il prototipo della ‘commedia di carattere’ e, come tale, esercitò un
grandissimo influsso sulla tradizione comica successiva. La commedia plautina ebbe molto
successo nei tempi antichi e nuovamente a partire dall’Umanesimo e fu anche assai imitata:

- Nella tarda latinità (V secolo d.C.) le vicende della famiglia di Euclione furono continuate in una
commedia moralistica in prosa ritmica, destinata alla lettura e intitolata Querolus sive Aulularia,
dove compare il figlio di Euclione lamentoso quanto lui per la malasorte e dove si contende
analogamente un tesoro nascosto, sullo sfondo della Gallia romanizzata.

- Tra gli imitatori, anche l’italiano Goldoni, nel Settecento, riprese il motivo dell’avaro in tre delle
commedie minori.

- Il più famoso emulo di Plauto fu Molière, che nell’Avre (1667) immortalò la figura di Harpagon.
L’avarizia di Euclione

 Prologo vv. 9-14
 Euclione e Stafila Atto I vv. 40-119
 Euclione e Megadoro Atto II vv. 179-265
 Euclione e Congrione Atto III vv. 406-474
 Megadoro e Euclione vv. 475-586
 Scontro con il servo Atto IV vv. 587-681
 Il canticum di Euclione vv. 713-726
 Liconide e Euclione vv. 727-807
Molière, Avare
L'avaro è una commedia in cinque atti scritta nel1668 dal commediografo francese Molière che vede
protagonista il vecchio taccagno Arpagone o, in francese, Harpagon.

Il nome stesso del protagonista è desunto da un grecismo plautino, harpagare (=”rapinare”), verbo
legato alla radice greca harp, la medesima del latino rapio e dei suoi derivati.



                                                      Trama
Arpagone, il vecchio protagonista, è a dir poco odiato dai suoi due figli, Cleante ed Elisa. Cleante lo odia perché
Arpagone vuole sposare la giovane e povera Marianna che lui segretamente ama; Elisa, invece, lo detesta perché
vuole darla in sposa all’anziano Signor Anselmo che è disposto a prenderla senza alcuna dote. Cleante fa rubare
dal suo servo, La Flèche, la cassetta dove lo stizzoso Arpagone tiene tutti i suoi averi pensando di usarla come
merce di scambio con il padre per avere Marianna. Ma il padre accusa di furto il suo intendente Valerio, che da
tempo ha imbastito una storia d'amore con Elisa. Tutto s'aggiusta con l'arrivo del ricco Anselmo che, invece di
chiedere ufficialmente la mano di Elisa, riconosce che nella bella Marianna e nell'intendente Valerio i suoi figli,
che credeva da tempo morti in un naufragio. Convolate a giuste nozze le due coppie di innamorati, Arpagone
ritroverà il suo tanto bramato ed adorato tesoro. In questa commedia Molière riesce magistralmente a
ridicolizzare all'estremo l'avarizia e la totale mancanza di sentimenti del vecchio Arpagone rendendole,
soprattutto nelle scene in cui sono poste a confronto con gli impeti giovanili del figlio Cleante,
drammaticamente amare.
I due capolavori a confronto

Similitudini:

- Molière ha ripreso e sviluppato ulteriormente nelle loro potenzialità comiche le scene più
divertenti dell’Aulularia:

. lo scontro con il servo

. il furto del tesoro e la conseguente scena di disperazione (hyperlink)

. il dialogo tra l’avaro e l’aspirante genero incentrato sull’equivoco.

- Comune alle due commedie è la centralità assoluta della figura del protagonista che rivela
profondissime verità psicologiche.
Molière, Avaro (atto IV, scena settima)
Arpagone grida al ladro fin dal giardino, ed entra senza cappello
ARPAGONE
Al ladro! al ladro! all'assassino! al brigante! Giustizia, giusto Cielo! sono perduto, assassinato, mi
hanno tagliato la gola, mi hanno derubato di tutto il denaro. E chi può essere? Che fine ha fatto?
Dov'è? Dove si nasconde? Che cosa posso fare per trovarlo? Dove correre? Dove non correre? Sarà
di là? Sarà di qua? E tu chi sei? Fermati. Rendimi i soldi, manigoldo... (Si afferra da sé il braccio)
Ah! sono io. Son tutto in confusione, non so più dove sono, chi sono e quel che faccio. Misero me!
povero mio denaro, povero mio denaro, amico mio carissimo! mi hanno privato di te; ti hanno
portato via, ho perduto il mio sostegno, la mia consolazione, la mia gioia; tutto è finito, non ho più
niente da fare al mondo, non posso vivere senza di te. È la fine, più non resisto; son lì per morire,
sono morto, son seppellito; c'è qualcuno che voglia resuscitarmi, che mi renda l'amato denaro o che
mi indichi chi l'ha preso? Eh? che avete detto? No, non c'è nessuno qui attorno. Chiunque abbia
fatto il colpo, de- v'essere rimasto vigile a spiare il momento buono; e ha scelto giustamente di
intervenire quando stavo parlando con quel traditore di mio figlio. Usciamo. Voglio ricorrere alla
giustizia e coinvolgere tutta la casa; fantesche, servitori, figlio, figlia, e me compreso. Quanta gente
vedo riunita! Chiunque mi cada sotto gli occhi, mi fa nascere il sospetto, vedo il mio ladro in ogni
cosa. Eh! di che si parla laggiù? Di colui che mi ha derubato? Che chiasso si sta facendo là in alto?
Che c'entri il mio ladro? Disgrazia, se avete notizie del ladro, vi supplico, parlate. Non sarà nascosto
in mezzo a voi? Tutti mi guardano e se la ridono; garantito, hanno a che fare col furto, non c'è
dubbio. Su, presto, commissari, armigeri, bargelli, giudici, supplizi, patiboli e carnefici. Voglio fare
impiccare tutti; e se non ritrovo il mio denaro, m'impiccherò io stesso.
Plauto, Aulularia (Atto III, vv. 713-726)

EUCLIONE
Morto, sono morto, e sepolto pure. Dove correre? Dove non correre? Fermalo, fermalo! Ma chi? E chi? Non
lo so, non vedo nulla, vado alla cieca, e non so dove vado, dove sono, chi sono, non riesco a stabilirlo. (Verso
gli spettatori.)Voi, vi supplico! Venite in mio aiuto, vi prego, vi imploro, indicatemi l’uomo che me l’ha
rubato. Che vai dicendo, tu? Sì, a te si può prestar fiducia, dalla faccia sembri uno perbene. Ehi, che c’è?
Perché ridete? Vi conosco,io, tutti quanti, so bene che ci sono molti ladri qui dentro, che si nascondono
sotto la toga imbiancata* e stanno lì, seduti come dei galantuomini. Ehi, chi di loro ce l’ha? Mi hai ucciso.
Dimmelo, su: chi ce l’ha? Non lo sai? Oh misero, me misero, miseramente morto! Malamente perduto, mi
aggiro malconcio. Troppe lacrime mi ha afflitto questo giorno, e dolori e tristezze, e fame e povertà.
Perduto, io sono il più perduto che ci sia sulla terra. Ma sì, che mi serve la vita se ho perduto tutto
quell’oro? Tutto quell’oro che custodivo con tutto il mio zelo? Io ho defraudato me stesso, l’animo mio, il
mio Lare. Altri gioiscono adesso della mia sventura e del mio danno. E non ce la faccio a sopportarlo.
Differenze
“Arpagone è un antico avaro che si va trasformando in un moderno finanziere; mentre
l’avarizia tradizionale si configura come una degormazione maniavale di un’economia
tesaurizzatrice, l’avarizia dell’usuraio Arpagone ha caratteristiche decisamente più moderne,
e si inquadra più propriamente in una civiltà e un’economia mercantilista o addirittura
capitalistica.” L. Lunari, L’avaro di Molière tra teatro e realtà, introd. a Molière, L’avaro, BUR, Milano 1981, pp. 22-23
     - Uno spazio di gran lunga maggiore è assegnato, come avviene sempre nella
     commedia d’età rinascimentale e moderna, all’intreccio amoroso dove sono due le
     coppie di innamorati.

     - La commedia francese è assai più complessa di quella plautina nell’intreccio e nei
     personaggi che si muovono sullo sgondo sociale della borghesia parigina
     settecentesca.

     - Un’altra differenza ancora più importante riguarda proprio la figura del protagnista:
     l’avarizia di Arpagone non si manifesta soltanto in paradossali dimostrazioni di
     spilorceria, ma si estrinseca anche nell’esercizio dell’usura, ricavandone interessi.
Fonti

Molière tra teatro e realtà
World Wide Web

Traduzione adottata di:
Giovanna Faranda

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  • 1.
  • 2. Tito Maccio Plauto Nasce a Sarsina poco prima del 250 a.C. Di origini modeste, inizia a lavorare in una compagnia teatrale girovaga. In seguito cade in miseria e trova lavoro come garzone di un fornaio a Roma. Nel tempo libero compone commedie che lo resero noto. Muore nel 184 a.C. Il nome Tito Maccio Plauto rimanda al mondo teatrale: Maccus, come una machera della fabula atellana; Plauto, come “piedi piatti”, o “dalle orecchie lunghe”. Marco Terenzio Varrone ha attribuito a Plauto 21 commedie (commedie Varroniane). Plauto scrive palliate attingendo alle opere della commedia nuova greca. Le trame presentano intrecci complessi ma anche ripetitivi. I componimenti possono essere suddivisi in 7 gruppi: dei sosia, dell'agnizione, della beffa, del romanzesco, della caricatura, del servus callidus, composita.
  • 3. Personaggi Principali Personaggi secondari - Euclione: è un vecchio e povero cittadino, reso avaro dalla miseria - Lare Familiare: I Lari sono figure caratteristiche della religione della sua famiglia. Per vivere lavora un piccolo appezzamento di Romana; rappresentano gli spiriti protettori degli antenati defunti, terreno che ha ereditato dal padre. Un giorno per volontà del Lare che vegliavano sulla famiglia. All’inizio della commedia il Lare della protettore della famiglia ritrova una pentola piena d’oro; questo famiglia di Euclione presenta la vicenda, e le circostanze che lo hanno avvenimento lo rende ancora più avaro e timoroso di perdere la sua indotto a rivelare la pentola d’oro nascosta da suo nonno. nuova fonte di ricchezza. - Stafila: è una vecchia serva che governa da anni la casa di Euclione; - Megadoro: è il vicino di Euclione e, dopo l’esortazione della sorella, dopo il ritrovamento della pentola viene più volte maltrattata dal suo decide di chiedergli in sposa Fedra. E’ di famiglia nobile e non ha padrone che la accusa ripetutamente di aver rivelato il segreto della preso moglie perché è timoroso delle numerose richieste che una pentola agli avventori della casa. E’ lei che si preoccupa di nascondere moglie del suo rango sociale avrebbe potuto avvallare. Sposando la gravidanza di Fedra, figlia di Euclione. Fedra risolverebbe i suoi problemi perché la giovane non ha dote da offrire. - Eunomia: è la sorella di Megadoro, facoltoso vicino di Euclione; appare solo quando lo esorta a prendere moglie, visto l’avvicinarsi per - Liconide: è un ricco giovane, nipote di Megadoro, che si invaghisce lui della mezza età. di Fedra e consuma con lei l’amore. Suo è il figlio portata in grembo dal questa. Liconide prega lo zio di lasciare che sia lui a sposare Fedra - Strobilo: è uno dei servi di Megadoro, incaricato di dividere fra e, quando rende a Euclione la pentola rubata dal suo servo, riceve la questi ed Euclione i beni comperati per il matrimonio. sua benedizione ed una moneta d’oro. - Congrione e Antrace: sono i due cuochi assunti da Megadoro per le - Servo di Liconide: dopo aver udito Euclione pregare la dea Fede di nozze; sono entrambi di ceto basso, come si nota dalle espressioni che aiutarlo a nascondere la sua pentola d’oro decide che rubarla usano e dai doppi sensi che colgono nelle frasi, tipici di un ceto potrebbe essere un ottimo modo per ottenere la libertà; offre in sociale di basso livello culturale. cambio di questa la pentola al suo padrone, che però rifiuta e - Pitodico: si pensa che questo nome venga attribuito per errore a riconsegna la pentola ad Euclione. Strobilo in quanto viene nominato solo una volta nella commedia. Si pensa che ciò sia causato da un errore commesso dagli Amanuensi che hanno copiato il libro. - Fedra: è la figlia di Euclione; prima dell’inizio della vicenda fornica con Liconide e rimani incinta. Viene chiesta in sposa prima da Megadoro e poi da Liconide stesso.
  • 4. Contenuto della vicenda Euclione è un vecchio avaro che ha trovato nel giardino di casa una pentola d'oro, sepolta da suo nonno, avaro come lui. Dal momento del ritrovamento, la pentola con l’oro diventa l’unico pensiero di Euclione, un pensiero ossessivo che condiziona il suo modo di guardare gli avvenimenti e di comprendere ciò che gli viene detto. Euclione nasconde dapprima in casa propria la pentola, ma, quando il vicino, Megadoro, consigliato dalla sorella, gli chiede in moglie la figlia e gli manda parte dei suoi servi per cucinare il pranzo nuziale, va a nasconderla nel tempio della Buona Fede. Liconide, nipote di Megadoro, vorrebbe sposare Fedria, che ha sedotto e che sta per partorire suo figlio; sotto pressione della sorella, Megadoro decide di non sposare la figlia del vecchio avaro ma di lasciarla sposare con suo nipote, che fa seguire Euclione dal servo Strobilo. Euclione torna a controllare il suo oro nel tempio e s’imbatte in Strobilo; insospettito dal suo atteggiamento furtivo, l’accusa di furto e lo sottopone ad una perquisizione. Il servo, che non sospettava l’esistenza della pignatta d’oro, ora la intuisce e, certo che il sospettoso Euclione non lascerà il suo tesoro là dove lo ha nascosto, lo spia e scopre la sua intenzione di trasferirlo in un boschetto dedicato al dio Silvano. Decide quindi di precederlo sul posto e di scoprire dove esso verrà nascosto, per poi impadronirsene, cosa che puntualmente avviene. Ritornato con il bottino a casa di Megadoro, il servo nasconde la pignatta. Nello spiazzo tra le due case Liconide ed Euclione s’incontrano. Euclione si lamenta, disperato, del grave torto subito, della violazione del suo bene più prezioso. Liconide interpreta, erroneamente, che egli si dolga per la figlia e si accusa di essere l’autore del torto subito da Euclione. I due si scambiano una serie di battute basate sull’equivoco. L’avaro, preso solo dal suo oro, non si è neppure accorto che la figlia era incinta e prossima al parto e fatica a capire la confessione del giovane. Quando finalmente comprende l’equivoco, entra in casa a verificare di persona il parto della figlia e consente a malincuore lo sposalizio con il giovane. Appare sulla scena il servo di Liconide che, comunicando al padrone di essersi arricchito, gli chiede di scioglierlo dalla schiavitù, Liconide dopo essersi infuriato e averlo minacciato accetta lo scambio. I due giovani si sposano e come regalo di nozze Euclione gli dona la pentola.
  • 5. Argumentum II Aulam repertam auri plenam Euclio Vi summa servat, miseris adfectus modis. Lyconides istius vitiat filiam. Volt hanc Megadorus indotatam ducere, Lubensque ut faciat dat coquos cum obsonio. Auro formidat Euclio, abstrudit foris. Re omni inspecta compressoris servolus Id surpit. illic Euclioni rem refert. Ab eo donatur auro, uxore et filio.
  • 6. Il canticum di Euclione EVCLIO Perii interii occidi. quo curram? quo non curram? tene, tene. quem? quis? nescio, nil video, caecus eo atque equidem quo eam aut ubi sim aut qui sim nequeo cum animo certum investigare. obsecro vos ego, mi auxilio, 715 oro obtestor, sitis et hominem demonstretis, quis eam abstulerit. quid est? quid ridetis? novi omnes, scio fures esse hic complures, qui vestitu et creta occultant sese atque sedent quasi sint frugi. quid ais tu? tibi credere certum est, nam esse bonum ex voltu cognosco. hem, nemo habet horum? occidisti. dic igitur, quis habet? nescis? 720 heu me miserum, misere perii, male perditus, pessime ornatus eo: tantum gemiti et mali maestitiaeque hic dies mi optulit, famem et pauperiem. perditissimus ego sum omnium in terra; nam quid mi opust vita, qui tantum auri perdidi, quod concustodivi sedulo? egomet me defraudavi animumque meum geniumque meum; 725 nunc eo alii laetificantur meo malo et damno. pati nequeo.
  • 7. L’avaro da Plauto a Molière dal II secolo d.c. a oggi L’Aulularia si può considerare il prototipo della ‘commedia di carattere’ e, come tale, esercitò un grandissimo influsso sulla tradizione comica successiva. La commedia plautina ebbe molto successo nei tempi antichi e nuovamente a partire dall’Umanesimo e fu anche assai imitata: - Nella tarda latinità (V secolo d.C.) le vicende della famiglia di Euclione furono continuate in una commedia moralistica in prosa ritmica, destinata alla lettura e intitolata Querolus sive Aulularia, dove compare il figlio di Euclione lamentoso quanto lui per la malasorte e dove si contende analogamente un tesoro nascosto, sullo sfondo della Gallia romanizzata. - Tra gli imitatori, anche l’italiano Goldoni, nel Settecento, riprese il motivo dell’avaro in tre delle commedie minori. - Il più famoso emulo di Plauto fu Molière, che nell’Avre (1667) immortalò la figura di Harpagon.
  • 8. L’avarizia di Euclione  Prologo vv. 9-14  Euclione e Stafila Atto I vv. 40-119  Euclione e Megadoro Atto II vv. 179-265  Euclione e Congrione Atto III vv. 406-474  Megadoro e Euclione vv. 475-586  Scontro con il servo Atto IV vv. 587-681  Il canticum di Euclione vv. 713-726  Liconide e Euclione vv. 727-807
  • 9. Molière, Avare L'avaro è una commedia in cinque atti scritta nel1668 dal commediografo francese Molière che vede protagonista il vecchio taccagno Arpagone o, in francese, Harpagon. Il nome stesso del protagonista è desunto da un grecismo plautino, harpagare (=”rapinare”), verbo legato alla radice greca harp, la medesima del latino rapio e dei suoi derivati. Trama Arpagone, il vecchio protagonista, è a dir poco odiato dai suoi due figli, Cleante ed Elisa. Cleante lo odia perché Arpagone vuole sposare la giovane e povera Marianna che lui segretamente ama; Elisa, invece, lo detesta perché vuole darla in sposa all’anziano Signor Anselmo che è disposto a prenderla senza alcuna dote. Cleante fa rubare dal suo servo, La Flèche, la cassetta dove lo stizzoso Arpagone tiene tutti i suoi averi pensando di usarla come merce di scambio con il padre per avere Marianna. Ma il padre accusa di furto il suo intendente Valerio, che da tempo ha imbastito una storia d'amore con Elisa. Tutto s'aggiusta con l'arrivo del ricco Anselmo che, invece di chiedere ufficialmente la mano di Elisa, riconosce che nella bella Marianna e nell'intendente Valerio i suoi figli, che credeva da tempo morti in un naufragio. Convolate a giuste nozze le due coppie di innamorati, Arpagone ritroverà il suo tanto bramato ed adorato tesoro. In questa commedia Molière riesce magistralmente a ridicolizzare all'estremo l'avarizia e la totale mancanza di sentimenti del vecchio Arpagone rendendole, soprattutto nelle scene in cui sono poste a confronto con gli impeti giovanili del figlio Cleante, drammaticamente amare.
  • 10. I due capolavori a confronto Similitudini: - Molière ha ripreso e sviluppato ulteriormente nelle loro potenzialità comiche le scene più divertenti dell’Aulularia: . lo scontro con il servo . il furto del tesoro e la conseguente scena di disperazione (hyperlink) . il dialogo tra l’avaro e l’aspirante genero incentrato sull’equivoco. - Comune alle due commedie è la centralità assoluta della figura del protagonista che rivela profondissime verità psicologiche.
  • 11. Molière, Avaro (atto IV, scena settima) Arpagone grida al ladro fin dal giardino, ed entra senza cappello ARPAGONE Al ladro! al ladro! all'assassino! al brigante! Giustizia, giusto Cielo! sono perduto, assassinato, mi hanno tagliato la gola, mi hanno derubato di tutto il denaro. E chi può essere? Che fine ha fatto? Dov'è? Dove si nasconde? Che cosa posso fare per trovarlo? Dove correre? Dove non correre? Sarà di là? Sarà di qua? E tu chi sei? Fermati. Rendimi i soldi, manigoldo... (Si afferra da sé il braccio) Ah! sono io. Son tutto in confusione, non so più dove sono, chi sono e quel che faccio. Misero me! povero mio denaro, povero mio denaro, amico mio carissimo! mi hanno privato di te; ti hanno portato via, ho perduto il mio sostegno, la mia consolazione, la mia gioia; tutto è finito, non ho più niente da fare al mondo, non posso vivere senza di te. È la fine, più non resisto; son lì per morire, sono morto, son seppellito; c'è qualcuno che voglia resuscitarmi, che mi renda l'amato denaro o che mi indichi chi l'ha preso? Eh? che avete detto? No, non c'è nessuno qui attorno. Chiunque abbia fatto il colpo, de- v'essere rimasto vigile a spiare il momento buono; e ha scelto giustamente di intervenire quando stavo parlando con quel traditore di mio figlio. Usciamo. Voglio ricorrere alla giustizia e coinvolgere tutta la casa; fantesche, servitori, figlio, figlia, e me compreso. Quanta gente vedo riunita! Chiunque mi cada sotto gli occhi, mi fa nascere il sospetto, vedo il mio ladro in ogni cosa. Eh! di che si parla laggiù? Di colui che mi ha derubato? Che chiasso si sta facendo là in alto? Che c'entri il mio ladro? Disgrazia, se avete notizie del ladro, vi supplico, parlate. Non sarà nascosto in mezzo a voi? Tutti mi guardano e se la ridono; garantito, hanno a che fare col furto, non c'è dubbio. Su, presto, commissari, armigeri, bargelli, giudici, supplizi, patiboli e carnefici. Voglio fare impiccare tutti; e se non ritrovo il mio denaro, m'impiccherò io stesso.
  • 12. Plauto, Aulularia (Atto III, vv. 713-726) EUCLIONE Morto, sono morto, e sepolto pure. Dove correre? Dove non correre? Fermalo, fermalo! Ma chi? E chi? Non lo so, non vedo nulla, vado alla cieca, e non so dove vado, dove sono, chi sono, non riesco a stabilirlo. (Verso gli spettatori.)Voi, vi supplico! Venite in mio aiuto, vi prego, vi imploro, indicatemi l’uomo che me l’ha rubato. Che vai dicendo, tu? Sì, a te si può prestar fiducia, dalla faccia sembri uno perbene. Ehi, che c’è? Perché ridete? Vi conosco,io, tutti quanti, so bene che ci sono molti ladri qui dentro, che si nascondono sotto la toga imbiancata* e stanno lì, seduti come dei galantuomini. Ehi, chi di loro ce l’ha? Mi hai ucciso. Dimmelo, su: chi ce l’ha? Non lo sai? Oh misero, me misero, miseramente morto! Malamente perduto, mi aggiro malconcio. Troppe lacrime mi ha afflitto questo giorno, e dolori e tristezze, e fame e povertà. Perduto, io sono il più perduto che ci sia sulla terra. Ma sì, che mi serve la vita se ho perduto tutto quell’oro? Tutto quell’oro che custodivo con tutto il mio zelo? Io ho defraudato me stesso, l’animo mio, il mio Lare. Altri gioiscono adesso della mia sventura e del mio danno. E non ce la faccio a sopportarlo.
  • 13. Differenze “Arpagone è un antico avaro che si va trasformando in un moderno finanziere; mentre l’avarizia tradizionale si configura come una degormazione maniavale di un’economia tesaurizzatrice, l’avarizia dell’usuraio Arpagone ha caratteristiche decisamente più moderne, e si inquadra più propriamente in una civiltà e un’economia mercantilista o addirittura capitalistica.” L. Lunari, L’avaro di Molière tra teatro e realtà, introd. a Molière, L’avaro, BUR, Milano 1981, pp. 22-23 - Uno spazio di gran lunga maggiore è assegnato, come avviene sempre nella commedia d’età rinascimentale e moderna, all’intreccio amoroso dove sono due le coppie di innamorati. - La commedia francese è assai più complessa di quella plautina nell’intreccio e nei personaggi che si muovono sullo sgondo sociale della borghesia parigina settecentesca. - Un’altra differenza ancora più importante riguarda proprio la figura del protagnista: l’avarizia di Arpagone non si manifesta soltanto in paradossali dimostrazioni di spilorceria, ma si estrinseca anche nell’esercizio dell’usura, ricavandone interessi.
  • 14. Fonti Molière tra teatro e realtà World Wide Web Traduzione adottata di: Giovanna Faranda