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UNIVERSITÀ DEL SALENTO
FACOLTÀ DI ECONOMIA
Corso di Laurea Magistrale in Economia, Finanza e Assicurazioni
Tesi di Laurea in
Asset Management
La finanza comportamentale durante le
crisi finanziarie
Behavioral finance during financial
crises
RELATORE:
Ch.mo Prof. Paolo Antonio Cucurachi
STUDENTE:
Mirko Lezzi
Matricola n° 20047119
Anno Accademico 2021 - 2022
«… le emozioni sono tutto quello che abbiamo!»
Youth - La Giovinezza
Alla mia famiglia.
Grazie.
INDICE
I
Indice
INTRODUZIONE I
CAPITOLO 1 1
Introduzione alla finanza comportamentale 1
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 1
1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità attesa 3
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 10
1.3 La teoria del prospetto 14
1.3.1 Effetto certezza, riflesso ed isolamento 15
1.3.2 Fasi della teoria 24
1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione 26
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 31
1.4.1 Euristiche del giudizio 33
1.4.2 Bias cognitivi, emozionali e di contesto 42
1.4.3 Tecniche di correzione degli errori: il debiasing 53
CAPITOLO 2 58
Teorie comportamentali di portafoglio, crisi finanziarie e bolle speculative 58
2.1 Dalla Modern Portfolio Theory (MPT) alla Behavioral Portfolio Theory (BPT) 58
2.1.1 Cenni sull’efficienza informativa dei mercati e sulla teoria di Markowitz 60
2.1.2 Approfondimento sulla Behavioral Portfolio Theory (BPT) 72
2.2 Le conseguenze sui mercati: crisi finanziarie e bolle speculative 91
2.2.1 Un approccio comportamentale: il sentiment di mercato 94
2.3 Herd behavior e bolle speculative: il modello di Lux 100
CAPITOLO 3 106
Un’applicazione ai mercati finanziari tramite il backtest dei portafogli 106
3.1 La definizione del tipo d’investitore comportamentale 106
3.2 Operazione di backtest dei portafogli e valutazione delle performance 112
INDICE
II
3.3 Approfondimento: l’investitore impulsivo colto da irrazionalità durante i periodi di
crisi 128
3.3.1 a) Vendita del 25% della componente azionaria 129
3.3.2 b) Vendita del 50% della componente azionaria 131
3.3.3 c) Vendita del 100% della componente azionaria 134
3.4 Considerazioni finali 136
CONCLUSIONI I
APPENDICE I
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFIA I
Introduzione
I
Introduzione
«People in standard finance are rational
People in behavioral finance are normal»
M. Statman
La teoria del prospetto, formulata per la prima volta nel 1979 da due psicologi israeliani,
Daniel Kahneman e Amos Tversky, rappresenta la base teorica e sperimentale sul quale nel
corso dei successivi anni sorge una nuova branca dell’economia, la finanza comportamentale.
Quest’ultima si propone di spiegare, attraverso l’interdipendenza di principi di psicologia,
sociologia, antropologia e finanza, il comportamento degli investitori nella realtà dei
mercati finanziari.
L’obiettivo perseguito lungo tutto il percorso della seguente trattazione dunque è
quello di valutare come le emozioni ed i sentimenti, di cui si caratterizza la natura umana,
siano in grado di influenzare le scelte d’investimento dei risparmiatori e quali siano le
conseguenze e le anomalie dei mercati finanziari generate da tali comportamenti, tra cui le
crisi finanziarie ed il sorgere delle bolle speculative.
In particolare, il capitolo primo si occuperà di spiegare quelli che sono i fondamenti
teorici della finanza comportamentale. Partendo da un breve excursus storico
sull’evoluzione del pensiero economico, si giungerà ad approfondire la teoria classica della
finanza, basata a sua volta sulla teoria dell’utilità attesa introdotta nel 1944 dal matematico
Von Neumann e dall’economista Morgenstern, e si avrà modo di capire perché quest’ultima
viene definita una teoria normativa e cosa la differenzia dalla teoria del prospetto, definita
invece teoria positiva, posta invece alla base della finanza moderna. In particolare,
concentreremo la nostra attenzione su quest’ultima andando a descrivere le fasi della teoria e
la funzione del valore. Attraverso il continuo confronto delle suddette teorie finanziarie, si
evincerà, inizialmente su un piano puramente concettuale, il netto contrasto esistente tra
l’investitore razionale, cioè il cosiddetto homo economicus della teoria classica, e l’investitore
irrazionale frutto delle proprie distorsioni emotive e cognitive. A tal proposito, saranno
dapprima descritti alcuni fenomeni psicologici individuati da Kahneman e Tversky, quali
Introduzione
II
l’effetto certezza, l’effetto riflesso e l’effetto isolamento, e successivamente le euristiche del giudizio
e i bias cognitivi, emozionali e quelli dovuti al framing, al fine di spiegare cosa influenzi il
processo decisionale di un investitore irrazionale. In conclusione, la descrizione di alcune
tecniche di debiasing ci aiuterà a capire come limitare le conseguenze di tali fenomeni
psicologici.
Nel capitolo secondo il confronto inizialmente introdotto sul piano teorico sarà
applicato nella pratica dei mercati finanziari. Questo obiettivo sarà raggiunto descrivendo
dapprima la teoria moderna del portafoglio (Modern Portfolio Theory), che deve la sua origine al
lavoro pionieristico condotto da Markowitz nel 1952, e successivamente alcune delle più
importanti teorie comportamentali del portafoglio (Behavioral Portfolio Theory). Tra quest’ultime
saranno trattate, sia da un punto di vista teorico che analitico, la ‘Utility of Wealth Theory’ di
Markowitz (1952), la ‘Safety-First Theory’ di Roy (1952), la ‘SP/A Theory’ di Lopes (1987) e, in
particolar modo, la ‘Behavioral Portfolio Theory’ di Shefrin e Statman (2000). Dopo aver
approfondito i temi dell’efficienza dei mercati, delle frontiere efficienti e della piramide
stratificata degli investimenti, la trattazione verterà sul tema delle crisi finanziarie e della
formazione di bolle speculative quali dirette conseguenze dei comportamenti emotivi ed
irrazionali degli investitori; a tal proposito sarà importante definire anche il concetto di
sentiment di mercato degli investitori.
Sebbene i periodi di stress dei mercati finanziari, come ci dimostra la storia, possano
avere cause e conseguenze assai diverse ed eterogenee, è comunque possibile ricondurre la
struttura e l’evoluzione del fenomeno delle bolle speculative, e più in generale delle crisi
finanziarie, ad alcuni modelli proposti dagli economisti Kindleberger-Minsky, da Shiller e
soprattutto quello formalizzato da Lux che, approfondendo il concetto di comportamento
gregario (herd behavior), dimostra come avviene la formazione del contagio tra gli investitori,
cioè come le informazioni si propaghino con una velocità tale da ‘dirigere’ un’intera massa
di investitori nella stessa direzione: in caso di conseguenze positive tutti ne avranno
beneficio, in caso di conseguenze negative tutti ne subiranno i costi in egual misura.
Infine, il terzo ed ultimo capitolo ci darà modo di mettere assieme tutti i concetti, teorici
e pratici, contenuti nei capitoli precedenti grazie ad un’applicazione empirica ai mercati
finanziari. In particolare, questo sarà fatto utilizzando lo strumento di backtest dei portafogli,
Introduzione
III
ovvero una metodologia quantitativa e/o qualitativa utile per testare e valutare quali
performance avrebbe ottenuto una determinata strategia di investimento applicata
retroattivamente, cioè a partire da un determinato periodo nel passato grazie alla
disponibilità delle serie storiche dei rendimenti delle attività finanziarie quotate nei vari
mercati borsistici. Una volta definite le caratteristiche comportamentali di tre differenti
tipologie di investitori, i cosiddetti ‘behavioral investor types’, saranno costruite le rispettive asset
allocation strategiche con lo scopo di mettere in evidenza le tre differenti strategie d’investimento
messe in atto dagli stessi lungo l’arco temporale oggetto del nostro studio. Successivamente,
l’applicazione dell’operazione di backtesting per ciascuno dei portafogli d’investimento ci
consentirà di determinarne alcuni degli indicatori di performance, di rendimento e di
rischio. Tra questi ultimi porremo particolare attenzione ai cosiddetti drawdowns di
portafoglio e, per tale ragione, saranno considerati tre dei più importanti periodi storici di stress
dei mercati finanziari dell’ultimo ventennio, tra i quali lo scoppio della bolla dot.com dei primi
anni 2000, la crisi finanziaria dei mutui subprime a partire dal 2007 e, infine, la crisi pandemica
globale generata dal COVID-19; questo ci consentirà di valutare come le differenti strategie
adottate dai tre diversi investitori abbiano affrontato tali periodi di turbolenza dei mercati
finanziari. Per ultimo, supponendo l’adozione di un comportamento irrazionale in piena crisi,
sarà interessante notare come questa strategia d’investimento sia in grado di influenzare
fortemente i risultati ottenuti dalla precedente applicazione della tecnica di backtest.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
1
Capitolo 1
Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus – 1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità
attesa – 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico – 1.3 La teoria del prospetto – 1.3.1 Effetto certezza,
riflesso, isolamento – 1.3.2 Fasi della teoria – 1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione – 1.4
Fondamenti di finanza comportamentale – 1.4.1 Euristiche del giudizio – 1.4.2 Bias cognitivi ed emozionali –
1.4.3 La procedura di correzione degli errori: il debiasing
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo
economicus
La scuola classica, la cui nascita risale alla fine del ‘700, viene considerata la prima
scuola moderna ovvero quella che pone le basi della scienza economica così come la
conosciamo oggi.
Il primo esponente del pensiero classico è lo scozzese Adam Smith (1723-1790),
ritenuto il padre dell’economia politica. Tuttavia, la sua primordiale istruzione non è di
carattere economico, dal momento che tale disciplina all’epoca non era ancora ritenuta di
rilievo accademico, bensì egli riceve una istruzione filosofica sociale e morale, tanto che
diviene, nel 1752, professore all’università di Glasgow proprio di filosofia morale.
È proprio in quel momento della sua vita, precisamente nel 1759, alla quale è possibile
ricondurre la sua prima pubblicazione intitolata ‘The Theory of Moral Sentiments’, teoria dei
sentimenti morali, in cui analizza alcuni aspetti psicologici di un individuo e dei suoi
comportamenti all’interno di un sistema morale. L’opera esordisce con la seguente
affermazione:
«Per quanto egoista lo si possa supporre, l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni
principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la
loro felicità»1,
ed ancora, più avanti nella sua opera troviamo:
«È normale che le persone si rovinino spendendo soldi in oggetti la cui utilità è in qualche modo
banale. Ciò che piace a questi amanti degli oggetti di scarsa utilità non è tanto l'uso che ne fanno
quanto l'idoneità degli oggetti stessi... l'intero uso che se ne fa non vale certo la fatica di sopportarne
l'onere per procurarseli!»2
1 A. SMITH; The Theory of Moral Sentiments; 1759, parte I, sez. 1, cap. 1, p. 1.
2 Ivi, parte IV, cap. I, p. 97.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
2
Da questi due passaggi si può notare come il concetto di uomo razionale ed
esclusivamente egoistico, messo in luce poi nella sua opera successiva ben più famosa sulla
ricchezza delle nazioni (1776), era ancora un concetto non del tutto noto a Smith. Egli
introduce, quindi, a fianco del concetto di uomo egoistico il concetto di ‘simpatia’ inteso
come capacità di immedesimarsi nelle sensazioni, nelle passioni e nelle emozioni altrui; uno
strumento tramite il quale condividere ciò di cui si è testimoni, fondare i propri giudizi e
dedurne regole di comportamento in un sistema morale. In sintesi, l’essere umano
idealizzato da Smith nel suo primo lavoro è caratterizzato da egoismo, vergogna, orgoglio,
passioni e allo stesso tempo, in relazione con gli altri individui, da una capacità razionale
interiore e di ragionamento in grado di autoregolare le emozioni stesse. Egli è come guidato
da una bussola morale intrinseca3.
Un altro esponente della corrente classica è il britannico John Stuart Mill (1806-1873),
anch’egli filosofo. Nella sua opera ‘Autobiography’ del 1873 agli afferma:
«Mai, in vero, ero stato titubante nella convinzione che tutte le norme della condotta e il fine
della vita abbiano la loro riprova nella felicità. Ma ora pensavo che questo fine si dovesse raggiungere
senza farne un fine diretto. Sono felici, credo, solo quelli che hanno il loro pensiero fissato su oggetti
diversi dalla propria felicità, sulla felicità degli altri, sul progresso dell’umanità, o anche in un’arte o
in una ricerca, proseguendoli non come mezzo ma come ideale fine a sé stesso. Mirando così a
qualcos’altro, essi trovano la felicità sul loro cammino. … chiedetevi se siete felici e cesserete subito
di esserlo»4.
In questo passaggio della sua autobiografia s’intuisce come Mill decide di staccarsi
dalle teorie prettamente utilitaristiche del suo maestro Jeremy Bentham5 (1748-1832). Anche
egli, come Smith, integra il concetto di razionalità ed egoismo degli individui con la parte
emotiva degli stessi, utile per contribuire al processo decisionale finale.
È possibile affermare, quindi, che fin dalla scuola classica si è ravvisato un
collegamento, una interazione tra sfera psicologica ed emotiva dell’essere umano con la
sfera economica, intesa come sistema dentro cui tale essere interagisce con gli atri soggetti e
persegue, anche, il proprio benessere.
È con l’avvento della nuova scuola di pensiero verso la fine del 1800, quella degli
economisti neoclassici, che questa interazione tra le due sfere, cognitiva ed economica,
diventa sempre più debole fino ad annullarsi. Tale scuola, infatti, descrive l’economia come
una scienza rigorosa ed esclusivamente quantitativa, i cui maggiori esponenti tra i quali
Jevons (1835-1882), Menger (1840-1921) e Walras (1834-1910), sviluppano un concetto forte
3 M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 21.
4 J. S. MILL; Autobiography; 1873, cap. V, p. 118.
5 Bentham, ritenuto il padre dell’utilitarismo, nello spiegare la sua teoria si affida ad individui dotati di
razionalismo assoluto
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
3
e duraturo tale da essere considerato, fino agli anni ’70 del secolo successivo il concetto
economico predominate, quello di homo economicus.
Richard Thaler6, noto economista statunitense, in un suo famoso lavoro, contrappone
la figura dell’Econ (abbreviativo di homo economicus), cioè l’entità economica astratta
derivante dalle teorie neoclassiche, con la figura dello Human7, l’essere umano reale. Il
primo, a differenza del secondo, è un agente dotato di una psicologia perfettamente
razionale e possiede perfetta informazione e conoscenza, caratteristiche che lo rendono tale
da avere, infine, una perfetta capacità di ‘calcolo’ e decisionale in ogni situazione ed in ogni
fatto del mondo circostante. Detto questo, le sue analisi non sono soggette ad errori. L’homo
economicus utilizza queste due grandi virtù esclusivamente per fini egoistici, quindi,
compie delle azioni per il proprio tornaconto, per i propri interessi.
Quindi, in termini economici potremmo dire che l’Econ, nel rispetto del proprio
ordinamento di preferenze8, ha come obiettivo/vincolo la massimizzazione del proprio
benessere, della sua utilità9 in condizioni di rischio o incertezza (constrained optimization),
minimizzando i suoi costi. Thaler dà la seguente definizione:
«Gli Econs non hanno passioni, sono ottimizzatori a sangue freddo»10
Volendo, ad esempio, applicare queste caratteristiche degli agenti economici in un mercato
finanziario moderno, avremmo che chiunque, dotato di estrema razionalità e totale
informazione, scambierebbe strumenti finanziari al giusto prezzo. Da quanto detto in
precedenza è possibile, inoltre, individuare una differenza notevole dall’essere umano
proposto da Smith e Mill, in quanto, in questo caso, lo ‘spietato’ egoismo dell’agente
razionale lo porta a non entrare nella sfera emotiva caratterizzante una società morale, se
non, esclusivamente, per accrescere il proprio interesse personale. L’homo economicus così
descritto è amorale, materialista, indifferente verso il prossimo, tale per cui il benessere
collettivo può essere inteso solo come un’aggregazione delle utilità dei singoli individui.
Sulla base di questi presupposti, si sviluppa la teoria tradizionale dell’utilità attesa.
1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità attesa
6 Insignito del premio Nobel per l’economia nel 2017 per “il suo contributo negli studi sull’economia
comportamentale”.
7 R.H. THALER; Misbehaving: The Making of Behavioral Economics; New York: W. W. Norton & Company; 2015,
cap. 1, pp. 2,3.
8 Ad esempio, nella teoria del consumatore rappresenta la classificazione soggettiva dei panieri di consumo
(cioè un insieme di beni) in base alla loro desiderabilità. Tuttavia, il concetto di ordinamento può essere anche
utilizzato in altri ambiti, inteso come ordinamento tra alternative, azioni.
9 Intesa come misura della felicità.
10 R.H. THALER; op. cit., p. 4.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
4
«Se gli esseri umani sono perfettamente razionali, possiedono informazioni perfette e un perfetto
interesse personale, allora forse il loro comportamento può essere quantificato»11
La teoria dell’utilità attesa fonda le sue prime basi teoriche sul lavoro di Daniel
Bernoulli risalente al 1738 intitolato ‘Esposizione di una nuova teoria di misura del rischio’ in cui
il matematico e fisico svizzero cercò di trovare una soluzione al cosiddetto ‘Paradosso di
San Pietroburgo’12, ovvero un particolare gioco d’azzardo che, a detta dello stesso studioso,
si praticava nella città russa, da cui prese il nome. Tuttavia, una prima formulazione
adeguata del teorema è relativamente recente e risale, infatti, al 1944 grazie all’operato del
matematico John Von Neumann (1903-1957) e all’economista Oskar Morgenstern (1902-
1977) nella loro pubblicazione di ‘Theory of games and Economic Behavior’13.
Tale teoria spiega il comportamento decisionale di un agente economico, sia questo un
investitore, un consumatore, una famiglia, un manager etc., in condizioni di rischio e
incertezza, sulla base dell’ipotesi che l’utilità attesa finale dell’agente possa essere espressa
come una media ponderata delle utilità che si ottengono nei vari stati del mondo14 i cui pesi
sono rappresentati dalle probabilità con cui si verificano gli stessi.
La funzione di utilità in questione, denominata anche funzione di utilità Von
Neumann-Morgenstern può essere così definita:
𝐸𝑥𝑝𝑒𝑐𝑡𝑒𝑑 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡𝑦 = 𝑈(𝐿) = 𝑈(𝑊1, 𝑊2, … , 𝑊
𝑛; 𝜋1, 𝜋2, … , 𝜋𝑛)
= 𝑢(𝑊1)𝜋1 + 𝑢(𝑊2)𝜋2 + ⋯ + 𝑢(𝑊
𝑛)𝜋𝑛 = ∑ 𝑢(𝑊𝑖)𝜋𝑖
𝑛
𝑖=1
dove 𝜋𝑖 rappresenta la probabilità che si verifichi l’𝑖 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 stato del mondo (si
sottolinea che nel caso discreto ∑ 𝜋𝑖 = 1
𝑛
𝑖=1 e nel caso continuo ∫ 𝜋(𝑛)𝑑𝑛 = 1
𝑛
0
); 𝑊𝑖 può essere
visto come l’esito o il risultato o la conseguenza, attribuendo a tali elementi un valore
monetario, in relazione allo stesso stato del mondo 𝑖 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 ed infine 𝑢(𝑊𝑖) è denominata
funzione di utilità elementare ed esprime la desiderabilità che ha l’agente economico
rispetto a quel determinato esito, in termini più semplici, esprime quanto è “felice” di
ottenere quell’esito in particolare, tanto che la funzione di utilità elementare è spesso
denominata ‘felicity function’ in lingua anglosassone. Affinché si possa ricorrere alla teoria
dell’utilità attesa è necessario che 𝑢(∙) sia una misura ‘cardinale’, tale per cui è possibile
considerare solo trasformazioni lineari positive dell’utilità attesa al fine di non alterare
11 M. POMPIAN; Op. Cit.; p. 15.
12 Gioco in cui la vincita media tende all’infinito con l’aumentare del numero di lanci per cui è tale da
“ripagare” qualunque tipo di somma investita per partecipare al gioco. Bernoulli, tuttavia, dimostra che gli
individui, ritenuti ragionevoli, sono disposti a pagare solo una minima somma per partecipare allo stesso, da
cui il paradosso.
13 Data la validità delle basi concettuali di Bernoulli quasi due secoli prima, la teoria di Von Neumann-
Morgenstern è definita anche ‘impostazione neobernoulliana’.
14 Anche detti stati di natura. Rappresentano le possibili alternative che possono verificarsi con una data
probabilità entro cui si esplicita l’azione dell’agente che non conosce, ex-ante, quale stato si verificherà.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
5
l’ordinamento di preferenze delle azioni di un agente. 𝑈(𝐿) esprime l’utilità attesa della
‘Lottery’15 in questione.
Come detto in precedenza, questa teoria si applica al concetto di uomo economico
razionale, perfettamente informato ed in grado di effettuare ‘questi calcoli’ in maniera
precisa e rigorosa, comprendendo con esattezza gli esiti associati a ciascuno stato del
mondo. È facile intuire quindi che l’Econ sceglierà sempre ciò che gli conferisce la maggiore
utilità attesa possibile messo di fronte a varie alternative incerte o rischiose, questo perché,
preferirà sempre essere più ricco anziché esserlo di meno. La seguente Figura 1.1 ci aiuta ad
illustrare con estrema chiarezza il concetto di utilità marginale16 della ricchezza crescente
(𝑢(∙)′
> 0, derivata prima positiva) ma ad un tasso decrescente (𝑢(∙)′′
< 0,
derivata seconda negativa). Si sta considerando in questo caso un agente economico
caratterizzato da avversione al rischio, peculiarità che si rifletta nella forma della funzione.
Figura 1.1 Funzione di utilità
Fonte: R.H. THALER; Misbehaving: The Making of Behavioral Economics; p. 12.
Come si può notare, in seguito ad un aumento del livello di ricchezza pari a $10,000,
l’incremento del livello di utilità per chi è ‘più povero’ è di gran lunga superiore rispetto a
chi, di partenza, è ‘più ricco’.
15 Anche nota come ‘prospetto’. Con tale termine ci si riferisce ad uno strumento che consente di analizzare il
comportamento degli agenti economici in condizioni di incertezza. Una lotteria è composta da vari stati del
mondo, in corrispondenza dei quali corrispondono vari esiti in base alle azioni intraprese dagli agenti.
16 Tale concetto nasce nel periodo della scuola neoclassica. Esprime l'incremento del livello di utilità di cui un
soggetto beneficia dal consumo di un’unità aggiuntiva di un bene.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
6
ESEMPIO
Si consideri per semplicità il seguente prospetto17:
Stato del mondo 1.
Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟏
Stato del mondo 2.
Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟐
Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 𝑊12
Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 𝑊22
In questo caso, l’agente economico si trova di fronte a due differenti stati del mondo,
ciascuno con la rispettiva probabilità di verificarsi. Egli può compiere o la scelta 1 o la scelta
2 (le possiamo intendere come singole lotterie) alle quali corrispondono le relative
conseguenze monetarie nei due stati. Per comprendere meglio, possiamo interpretare, ad
esempio, l’agente economico come un investitore individuale che è libero di investire la
propria liquidità in due strumenti finanziari differenti (le nostre scelte 1 o 2) dai quali ottiene
due rispettivi rendimenti finanziari. Per ciascuna di queste conseguenze monetarie, o
rendimenti finanziari, egli è in grado di misurare la propria desiderabilità della stessa,
definisce cioè la sua funzione di utilità elementare soggettiva. Il prospetto precedente
diventa quindi:
Stato del mondo 1.
Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟏
Stato del mondo 2.
Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟐
Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑢(𝑊11) 𝑢(𝑊12)
Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑢(𝑊21) 𝑢(𝑊22)
A questo punto, in base a quanto discusso in precedenza, l’agente razionale effettuerà
la scelta che massimizza la sua utilità attesa.
Concludendo con un esempio numerico:
Stato del mondo 1.
Probabilità 𝝅𝟏 = 𝟔𝟎%
Stato del mondo 2.
Probabilità 𝝅𝟐 = 𝟒𝟎%
Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 = 40€ 𝑊12 = 80€
Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 = 50€ 𝑊22 = 70€
La funzione di utilità elementare del soggetto è di tipo 𝑢(𝑊𝑖) = 𝑊𝑖
2
, per cui:
17 In questo esempio puramente indicativo l’agente si trova di fronte ad un unico prospetto con molteplici
scelte. È chiaro che potrebbe anche fronteggiare la situazione in cui si trova di fronte a tanti prospetti
caratterizzati da una singola scelta. Ciò che conta, è la situazione di incertezza in sé.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
7
Stato del mondo 1.
Probabilità 𝝅𝟏 = 𝟔𝟎%
Stato del mondo 2.
Probabilità 𝝅𝟐 = 𝟒𝟎%
Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 = 1.600€ 𝑊12 = 6.400€
Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 = 2.500€ 𝑊22 = 4.900€
Si ottiene che:
𝑈(𝐿1) = 1600€ ∗ 0.6 + 6400€ ∗ 0.4 = 3.520€
𝑈(𝐿2) = 2500€ ∗ 0.6 + 4900€ ∗ 0.4 = 3.460€
L’agente economico razionale effettuerà sempre la prima scelta, in quanto 𝑈(𝐿1) >
𝑈(𝐿2).
□
Un breve approfondimento, ma doveroso, è relativo alla funzione di utilità elementare
𝑢(∙), che può avere varie forme e caratteristiche in base a quella che è la tipologia di agente
economico. Nella Figura 1.1 precedente si è considerato il caso di un agente avverso al
rischio, la cui funzione di utilità è concava. Se invece tale funzione è lineare, l’individuo è
neutrale al rischio ed infine se è convessa descrive le preferenze di un individuo propenso
al rischio. La seguente Figura 1.2 sintetizza questi concetti.
Figura 1.2 Funzioni di utilità e atteggiamento nei confronti del rischio
AVVERSIONE AL RISCHIO
• 𝑢(∙)′
> 0
• 𝑢(∙)′′
< 0
NEUTRALITA’ AL RISCHIO
• 𝑢(∙)′
> 0
• 𝑢(∙)′′
= 0
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
8
PROPENSIONE AL RISCHIO
• 𝑢(∙)′
> 0
• 𝑢(∙)′′
= 0
Fonte: D. FIASCHI, N. MECCHERI; Economia dei mercati finanziari; 2018, pp. 42, 45, 47
Ad esempio, nella teoria degli investimenti finanziari, la costruzione di un portafoglio
adeguatamente diversificato al fine di ridurre e ripartire il rischio contiene implicitamente
l’ipotesi di avversione allo stesso da perte dell’agente economico.
Si è introdotto, nel corso della discussione, il concetto di ordinamento di preferenze.
Partiamo dicendo che un soggetto economico razionale deve essere sempre in grado di
esprimere il proprio ordinamento tra diverse alternative o, ad esempio, tra le diverse scelte
viste nell’esempio precedente. Tale ordinamento, seppur soggettivo e quindi diverso da
quello degli altri agenti, deve rispettare alcune regole generali valide per ogni individuo,
sulle quali si poggia la teoria dell’utiltà attesa. Infatti, gli stessi Von Neumann e Morgenstern
partirono dai seguenti assiomi, esposti di seguito, al fine di introdurre la teoria della
decisione razionale.
1. ASSIOMA DI COMPLETEZZA
Per ogni alternativa X ed Y appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili,
vale che 𝑋 ≥ 𝑌 (preferenza debole) oppure 𝑌 > 𝑋 (preferenza stretta). Questo assiome ci dice
che un individuo razionale, posto di fronto a una duplice scelta, riesca sempre a confrontare
delle alternative e ad ordinarle in base alle proprie preferenze. Non esiste il caso in cui un
individuo non sia in grado di farlo;
2. ASSIOMA DI RIFLESSIVITA’
Per ogni alternativa X appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, X è
indifferente a sé stessa, cioè 𝑋~𝑋;
3. ASSIOMA DI TRANSITIVITA’
Per ogni alternativa X, Y e Z appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili,
se 𝑋 ≥ 𝑌 e 𝑌 ≥ 𝑍, dalla logica aristotelica, vale allora che 𝑋 ≥ 𝑍;
4. ASSIOMA DI CONTINUITA’
Data un alternativa Y, esiste sempre un insieme di possibili alternative preferite ad Y
e un insieme di possibili alternative dispreferite ad Y. Tuttavia, l’individuo tra questi due
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus
9
insiemi è sempre in grado di individuare infinite alternative che lo rendono indifferente ad
Y;
5. ASSIOMA DI NON SAZIETA’ (o di MONOTONICITA’ FORTE)
Per ogni alternativa X ed Y appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, se
vale che 𝑋 ≥ 𝑌 ma 𝑋 ≠ 𝑌 allora, di conseguenza, 𝑋 > 𝑌. Vale a dire che, se le due alternative
non coincidono esattamente tra loro, allora in base alla razionalità, l’individuò sceglierà
sempre quella preferisce maggiormente;
6. ASSIOMA DI INDIPENDENZA
Supponiamo l’esistenza di due possibili alternative X ed Y e che l’individuo, in base
alla proprire preferenze, sia in grado di ordinarle, ad esempio 𝑋 > 𝑌. Si introduce a questo
punto una terza alternativa Z. L’individuo si trova di fronte a due prospetti:
a) X con probabilità 𝛼 e Z con probabilità 1 − 𝛼;
b) Y con probabilità 𝛼 e Z con probabilità 1 − 𝛼.
L’individuo sceglie il prospetto a) perché l’esito Z è comuni ad entrambi i prospetti,
mentre tra X ed Y preferisce già in partenza X ad Y. In sintesi, nel momento in cui si
introduce un’alternativa che non altera il processo decisionale di un agente razionale, egli
sceglie solo in base a ciò che differisce tra i due prospetti.
Concludendo, è possibile affermare che, se sono soddisfatti questi assiomi in un
processo di scelta razionale, allora è possibile applicare la teoria dell’utilità attesa; viceversa,
se è possibile applicare la teoria dell’utilità attesa allora gli assiomi sono verificati.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico
10
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico
La teoria neoclassica basata sull’agente economico perfettamente razionale e
sull’utilità attesa è stata, e continua ad essere ancora oggi, di grande importanza. Tantissime
sono le relative applicazioni (alcune di queste le vedremo nel corso della trattazione), che
hanno contribuito allo sviluppo essenziale delle scienze economiche e finanziarie che
conosciamo oggi. Nonostante porti con sé un livello notevole di astrazione e di
semplificazione della realtà, questa teoria viene generalmente accettata dalla maggioranza
degli economisti dell’epoca che eliminano le relazioni dell’aspetto psicologico degli
individui nei modelli economici.
Tuttavia, nel corso del ‘900, alcuni economisti iniziano a muovere le prime critiche alle
ipotesi sottostanti queste teorie, dell’homo economicus e dell’utilità attesa, ritenute troppo
irrealistiche e poco aderenti al contesto reale, sociale ed economico. Difatti, già il continuo
alternarsi di periodi di crescita economica con periodi di forti crisi finanziarie fino ad allora
(ricordiamo la crisi del 1929) era sintomatico della presenza di agenti economici che,
evidentemente, non erano del tutto razionali, perfettamente informati e sempre capaci di
calcolare con precisione le conseguenze delle proprie decisioni in condizioni di incertezza.
John Maynard Keynes (1883-1946), noto economista britannico, ritenuto il padre della
macroeconomia e fondatore della nuova scuola di pensiero, appunto keynesiana, è colui che
riapre il discorso tra sfera psicologica e sfera economica, nel tentativo di confutare le ipotesi
della scuola neoclassica. Nella sua opera più famosa, risalente al 1936 ‘The General Theory of
Employment, Interest and Money’, sulla teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della
moneta, egli introducendo per la prima volta in ambito economico il concetto di ‘animal
spirits’ smentisce in una sola affermazione sia l’approccio della razionalità assoluta sia
quello dell’utilità attesa:
«Anche tralasciando l’instabilità dovuta alla speculazione, c’è l’instabilità dovuta alla
caratteristica intrinseca della natura umana che gran parte delle nostre attività positive dipendono
dall’ottimismo spontaneo piuttosto che dalle aspettative matematiche, sia morali che edonistiche o
economiche. La maggior parte, probabilmente, delle nostre decisioni di fare qualcosa di positivo, le cui
conseguenze saranno estese per molti giorni a venire, possono essere prese solo come risultato di
“spiriti animali”: una spinta spontanea all’azione piuttosto che all’inazione, e non come il risultato
di una media ponderata di benefici quantitativi moltiplicata per probabilità quantitative.»18
L’uomo economico, quindi, è guidato da uno spirito animale fatto di irrazionalità, di
istinto, di intuizione personale svincolata da analisi rigorose e, non meno importanti, da
emozioni forti che in alcuni momenti della vita possono portarlo all’assunzione di rischi
18 J.M. KEYNES; The General Theory of Employment, Interest and Money; Palgrave Macmillan; 1936, p.81.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico
11
notevoli perché non tutto si basa su un processo decisionale ottimizzante, pienamente
informato e ragionato come quello astratto dell’homo economicus.
Concludendo, all’indomani della ‘Grande depressione’, secondo Keynes, alla base
dell’alternarsi dei cicli economici, delle fluttuazioni finanziarie dei mercati, delle crisi che
colgono di sorpresa gli investitori c’è anche il continuo alternarsi dei comportamenti e degli
stati d’animo degli agenti economici che governano i mercati, qualcosa che non può essere
calcolato e previsto da un semplice modello matematico. Delle vere e proprie tendenze
psicologiche di massa che non possono più essere ignorate. Alcuni anni più avanti, in un
libro dell’economista Milton Friedman, si inserirà una citazione attribuita allo stesso Keynes
nell’anno 1931. Questa afferma che:
«Non vi è nulla di più pericoloso che il perseguimento di una politica di investimento razionale,
in un mondo irrazionale.»19
Il tema degli spiriti animali verrà poi ulteriormente approfondito in chiave
contemporanea da George Akerlof e Robert Shiller, entrambi premi Nobel per l’economia,
nel 2009 nel libro ‘Spiriti animali. Come la natura umana guida l'economia e perché è importante
per il capitalismo globale’, e sarà oggetto di spunti utili nel prosieguo della trattazione. La
copertina dell’opera, rappresentata di seguito, sintetizza brillantemente i concetti esposti in
precedenza
Figura 1.3 Nella copertina, gli spiriti animali ‘guidano’ le oscillazioni del mercato
Fonte: G. AKERLOF e R. SHILLER, Animal Spirits.
Un’altra critica di rilievo mossa nei confronti del pensiero neoclassico si deve ad
Herbert Simon20 (1916-2001), economista e psicologo statunitense.
«Quindi, per avere qualcosa di simile a una teoria completa della razionalità umana, dobbiamo
capire quale ruolo gioca l'emozione in essa.»21
19 https://quoteinvestigator.com/
20 È stato il primo psicologo insignito del premio Nobel per l'economia nel 1978 "per le sue pionieristiche
ricerche sul processo decisionale nelle organizzazioni economiche".
21 H. SIMON; Reason in Human Affairs; 1983, p.29.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico
12
Egli, nel 1957 in ‘Models of Man: social and rational’ propone, per la prima volta, il
concetto di ‘bounded rationality’, cioè di razionalità limitata, e lo introduce non come un
ripudio netto della teoria neoclassica ma più come un suo sviluppo. Infatti, nella teoria di
Simon, come è possibile intuire, il concetto di razionalità umana non scompare del tutto,
non rappresenta un concetto assolutamente astratto, ma deve rivisitato attraverso una
visione più conforme alla realtà.
La limitatezza della razionalità umana, infatti, è dovuta a vari fattori quali:
▪ la scarsità delle informazioni disponibili da un agente economico o, talvolta, dai
costi di acquisizione delle informazioni stesse nel presente;
▪ la limitatezza dell’arco temporale entro cui un soggetto è chiamato a prendere
decisioni in situazioni di incertezza (mancanza di tempo);
▪ limiti del sistema cognitivo degli agenti economici e delle sue risorse.
Tra questi, sicuramente l’ultimo merita di essere approfondito. In particolare, una
spiegazione per cui un individuo possa fallire nel prendere decisioni razionali che
massimizzino il suo benessere è dovuta alla limitatezza delle proprie risorse cognitive. Egli
infatti, posto di fronte ad un problema decisionale particolarmente complesso potrebbe non
essere in grado di ‘risolverlo’, di prestare la stessa attenzione per tutte le possibili scelte o
alternative che può compiere (limite di attenzione), di elaborare correttamente tutte le
informazioni in suo possesso (limite della memoria di lavoro), di immagazzinare e poi
riprendere tutti i ragionamenti che ha compiuto (limite della memoria a lungo termine) e,
infine, di effettuare una scrematura delle informazioni utilizzando esclusivamente quelle
ragionevolmente utili alla sua scelta (limite nella coerenza delle conoscenze)22.
In queste condizioni, la decisione finale presa non sarà quella ottimale. Sottolineiamo
che, tutti questi, sono procedimenti che l’homo economicus idealizzato dalla scuola
neoclassica riesce a fare senza alcun tipo di difficoltà. La Figura 1.4 sintetizza i concetti
esposti:
Figura 1.4 Natura e conseguenza della razionalità limitata
Fonte: a cura dell’autore.
22 https://www.matematicamente.it/approfondimenti/problem-solving/sp-3955/
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico
13
Infine, per concludere la trattazione relativa ai punti critici della visione neoclassica
del problema decisionale e ad alcuni suoi possibili sviluppi, arriviamo quasi verso la fine
del XX secolo, in particolare nel 1972, quando sulla famosa rivista accademica britannica
‘The Journal of Finance’ viene pubblicato un lavoro dal nome ‘Psychological Study of Human
Judgment: Implications for Investment Decision Making’ da parte dello psicologo Paul Slovic
(1938-). Egli, seguendo la teoria espressa da Simon, cita una frase di Smith con cui è
d’accordo, introducendo così il tema della psicologia applicata ai moderni mercati
finanziari:
«… non c’è alcuna scienza. È un’arte. Ora noi abbiamo i computer e qualunque tipo di calcolo
statistico può essere effettuato, ma il mercato è sempre lo stesso e riuscire a capirlo non è ancora una
cosa semplice. È intuizione personale, rilevare diversi modelli di comportamento… »23
Slovic, partendo da questa citazione, espone in chiave moderna il concetto di perfetta
informazione sui mercati finanziari di un agente economico. In particolare, egli ammette
che la tecnologia più recente fornisce a chiunque la possibilità di essere sempre più
informato in merito ad una molteplicità di aspetti, rispetto ai decenni precedenti, colmando
alcune lacune informative, ma ciò su cui si pone poca attenzione è la capacità di interpretare
abilmente questa mole enorme di informazioni al fine di riuscire a prendere la decisione
ottimale di investimento. Tema, questo, molto simile ai limiti esposti da Simon.
Nello stesso lavoro, viene infine approfondito il tema della percezione del rischio. In
particolare Slovic individua delle situazioni, dei fattori che incidono a sottostimare e
sovrastimare il rischio percepito creando così una divergenza tra rischio oggettivo e rischio
soggettivo. È anche questa fuorviante interpretazione del rischio in alcuni contesti che porta
un agente economico a prendere delle decisioni non ottimali per sé stesso, le cui
conseguenze saranno visibili nell’immediato ma soprattutto nel futuro.
È proprio sulla base di queste critiche, di queste differenti vedute dello stesso
problema, ovvero delle scelte in condizioni di incertezza degli agenti economici, che ci si
allontana sempre di più dalle teorie dell’homo economicus e dell’utilità attesa in favore di
una nuova teoria, meno astratta e più applicata alla realtà.
23 P. SLOVIC; Psychological Study of Human Judgment: Implications for Investment Decision Making; The Journal of
Finance, 1972, p.3.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
14
1.3 La teoria del prospetto
Nata dal lavoro di due psicologi israeliani, Daniel Kahneman24 (1934-) e Amos Tversky
(1937-1996), la prospect theory viene enunciata e descritta per la prima volta nel 1979 nel
paper intitolato ‘Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk’ pubblicato sulla
prestigiosa rivista scientifica ‘Econometrica’. Essa costituisce la base teorica, ma soprattutto
sperimentale, su cui si svilupperanno nel corso degli anni a seguire l’economia e la finanza
comportamentale.
Nell’introduzione al paper, anche questa nuova teoria, nasce dalle critiche rivolte alle
due colonne portanti del pensiero neoclassico, l’homo economicus e l’utilità attesa,
mettendo in discussione molte delle assunzioni fatte nella precedente trattazione. Tuttavia,
come specificato dagli stessi autori, questa teoria non ha l’obiettivo di sostituire o eliminare
del tutto la precedente, bensì si propone di esserne una sua ‘evoluzione’ o integrazione, una
sua applicazione alla realtà, ai casi concreti in cui un agente economico si trovi di fronte ad
una decisione in condizioni di incertezza. Seguendo questo approccio proposto da
Kahneman e Tversky si intuisce come entrambe le teorie possano quasi essere
complementari e costituire un unico studio del processo decisionale, non come sostitute.
Nasce, dunque, l’esigenza di definire una sostanziale differenza tra teorie cosiddette
normative (o prescrittive) e teorie positive (o descrittive). Le prime si occupano di definire
principi e regole ottimali per il raggiungimento di un determinato obiettivo o risultato.
Considerano una scelta come frutto della razionalità, escludendo dal processo decisionale
qualunque tipo di giudizio morale. Seguendo tali principi e regole, la scelta sarà sempre ‘la
migliore’ per l’individuo che la effettua, tra l’insieme delle possibili scelte. Le seconde si
occupano, invece, di descrivere e spiegare i fatti in un contesto reale, non astratto. La scelta,
seppur partendo da una ipotesi di razionalità, è soggetta alle influenze dalla sfera emotiva
e cognitiva del soggetto che, in quanto tale, è inserito nel contesto reale, e ne determinano il
processo decisionale. In conclusione, la scelta potrebbe non essere ‘la migliore’. Fatta questa
doverosa precisazione, è facile a questo punto capire il perché, in ambito finanziario, i due
psicologi proposero un legame tra le due teorie: quella tradizionale funge da teoria
normativa mentre quella comportamentale da teoria positiva. Potremmo anche definire la
teoria dell’utilità attesa come un benchmark grazie al quale valutare la bontà delle scelte
reali fatte dagli agenti economici25. Secondo Thaler, infine, l’errore della scuola neoclassica
24 È stato il secondo psicologo, dopo Simon, ad essere insignito del premio Nobel per l’economia nel
2002 per “avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in
merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”
25 E. RUBALTELLI; Teoria del prospetto: avversione alla perdita, Framing, “Senno di poi”, Conflitti, Costi
Sommersi; 2017, p. 2.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
15
è stato quello di considerare la propria teoria sia come modello astratto sia come
applicazione pratica26. È possibile schematizzare quanto sopra esposto nella Figura 1.5, in
un’accezione tipicamente finanziaria:
Figura 1.5 Teoria normativa e teoria positiva
Fonte: a cura dell’autore.
Il termine ‘prospetto’, approfondito in precedenza e posto alla stessa stregua del
termine lotteria, rappresenta la traduzione più utilizzata, in tale ambito, del termine
anglosassone ‘prospect’. Tuttavia, si ritiene opportuno sottolineare che, sebbene spesso si
scelga di non tradurre affatto il termine in italiano, la traduzione letterale del termine sta ad
indicare in maniera più coerente la prospettiva o l’opzione legata alle scelte soggettive degli
agenti27.
1.3.1 Effetto certezza, riflesso ed isolamento
Kahneman e Tversky mettono in evidenza e dimostrano le violazioni dei principi di
razionalità e di utilità attesa attraverso un approccio semplice ma innovativo, ovvero grazie
ad una serie di esperimenti consistenti nel porre problemi ipotetici di scelta a studenti e
docenti universitari. L’obiettivo non è più quello di individuare come dovrebbero
comportarsi di fronte a determinate scelte, ma quello di individuare cosa incide e influenza
fortemente il processo decisionale. In particolare, come risultato degli esperimenti condotti,
i due autori individuano alcuni fenomeni psicologici che prendono il nome di ‘certainty
effect’ (effetto certezza), ‘reflection effect’ (effetto riflesso) ed infine ‘isolation effect’ (effetto
isolamento) che spieghiamo di seguito.
CERTAINTY EFFECT – EFFETTO CERTEZZA
26 D. FIASCHI, N. MECCHERI; Op. Cit.; 2018, pp. 238-240.
27 D. KAHNEMAN; Pensieri lenti e veloci; Mondadori; 2011, p. 11.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
16
Questo effetto viene introdotto così dai due autori:
«… le persone danno maggior peso agli esiti considerati certi, rispetto a quelli semplicemente
considerati probabili… »28
Al fine di spiegare questa affermazione si ricorre ad alcuni problemi decisionali, che
riportiamo in seguito nella versione originale del paper, basati sull’esempio proposto alcuni
decenni prima, nel 1953, dal fisico ed economista Maurice Allais29 che diede origine al
cosiddetto ‘Paradosso di Allais’.
Si considerino i due seguenti problemi in cui gli esiti possibili di ciascuna alternativa
(ogni esito ha una rispettiva probabilità di verificarsi), per semplicità, possono essere intesi
come somme monetarie in euro:
PROBLEMA 1 Alternativa A Alternativa B
Esito Probabilità Esito Probabilità
2.500,00 33% 2.400,00 100%
2.400,00 66%
0,00 1%
PROBLEMA 2 Alternativa C Alternativa D
Esito Probabilità Esito Probabilità
2.500,00 33% 2.400,00 34%
0,00 67% 0,00 66%
Attraverso tali schemi decisionali si è ottenuto che nel PROBLEMA 1 ben l’82% delle
72 persone alle quali sono stati proposti entrambi i problemi ha scelto l’alternativa B. Nel
PROBLEMA 2, l’83% dello stesso campione, ha scelto l’alternativa C (per maggiore
chiarezza visiva le alternative preferite sono nel riquadro rosso). Si dimostra che, questo
schema di scelte (pattern of choice) ottenuto, vìola la teoria dell’utilità attesa; infatti, con
𝑢(0) = 0, abbiamo che:
PROBLEMA 1 𝑢(2.400,00) > 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33 + 𝑢(2.400,00) ∗ 0.66
da cui 𝑢(2.400,00) ∗ 0.34 > 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33
che è il contrario di:
28 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk; Econometrica, 1979,
p.265.
29 Insignito del premio Nobel per l’economia nel 1988 per “i suoi contributi determinanti per la teoria dei
mercati e l'utilizzo efficiente delle risorse”.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
17
PROBLEMA 2 𝑢(2.400,00) ∗ 0.34 < 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33
In sintesi, le scelte effettuate non sono tra di loro coerenti in base alla teoria dell’utilità
attesa. Infatti, ricollegandoci all’affermazione con cui è stato introdotto l’effetto certezza, si
noti che la presenza di un evento certo in un problema decisionale altera decisamente la
capacità di valutazione delle probabilità di tutti gli altri possibili esiti. Inoltre, la possibilità
di non avere alcun esito monetario con probabilità dell’1% rende particolarmente ostile la
scelta dell’alternativa A, nonostante nel PROBLEMA 2 la scelta preferita dell’alternativa C
incorpora in sé proprio quell’1% in più di non ottenere nulla. Questa incapacità di valutare
oggettivamente le probabilità da parte degli individui può portare a prendere scelte più
rischiose di altre, nonostante così non sembri. Viene meno uno dei cardini della teoria
neoclassica, cioè la capacità degli individui di effettuare sempre calcoli rigorosi e precisi.
«Ai risultati che sono quasi certi viene assegnato meno peso di quanto la loro probabilità non
giustifichi»30
Per spiegare questo atteggiamento irrazionale da parte degli individui, gli stessi
Kahneman e Tversky introducono, alcuni decenni dopo la nascita della prospect theory, il
concetto di peso decisionale. Tale peso attribuito dagli individui tende a divergere dalle
probabilità reali, nasce da qui la sovraponderazione o la sottoponderazione dei possibili
risultati. In particolare, i due psicologi pervengono alla seguente Tabella 1.1:
Tabella 1.1 Probabilità e peso decisionale
Probabilità 0 1 2 5 10 20 50 80 90 95 98 99 100
Peso
decisionale
0 5.5 8.1 13.2 18.6 26.1 42.1 60.1 71.2 79.3 87.1 91.2 100
Fonte: D. KAHNEMAN; Pensieri lenti e veloci; Mondadori; 2011, p. 261.
Probabilità reale e peso decisionale attribuito dagli individui coincidono
esclusivamente agli estremi della tabella, cioè quando un esito è del tutto impossibile o del
tutto sicuro che si possa verificare. Tra i due estremi le divergenze sono notevoli. A sinistra
della tabella notiamo la sovraponderazione di eventi improbabili (effetto possibilità) mentre
a destra la sottoponderazione di eventi molto probabili (effetto certezza). Inoltre si noti come:
ovvero, il range nel peso decisionale ottenuto dallo scarto di due punti percentuali reali
verso le due estremità è molto più consistente sull’effetto certezza che su quello di
30 D. KAHNEMAN; Op. Cit.; 2011, p. 258.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
18
possibilità; quindi tra i due, l’effetto certezza è ‘più forte’, incide di più nelle decisioni degli
individui. Vien da sé, infine, che l’homo economicus astratto della teoria neoclassica non ha
divergenze tra probabilità e peso decisionale in quanto egli è perfettamente razionale.
□
REFLECTION EFFECT – EFFETTO RIFLESSO
Al fine di presentare questo fenomeno, Kahneman e Tversky utilizzano lo stesso
approccio sperimentale adottato nel caso precedente. Tuttavia, in questa circostanza,
introducono la presenza di esiti negativi, cioè di esiti che comportano delle perdite
monetarie, oltre agli esiti positivi, che invece comportano dei guadagni, come visto in
precedenza. Si analizzano di seguito due prospetti simmetrici, ciascuno composto da
quattro problemi. Il primo prospetto contiene solo esiti positivi, mentre il secondo solo esiti
negativi di pari ammontare. La relazione di preferenza tra le alternative è espressa sia dal
riquadro rosso sia dal simbolo matematico. Si noti infine che, per ridurre la complessità di
notazione dei prospetti, è stato ovviamente omesso l’esito alternativo pari a 0,00 con
probabilità complementare rispetto a quella riportata nel prospetto, ciò non altera il
problema decisionale.
Prospetto positivo
Alternativa A Alternativa B
Esito Probabilità Esito Probabilità
PROBLEMA 1 4.000,00 80% < 3.000,00 100%
PROBLEMA 2 4.000,00 20% > 3.000,00 25%
PROBLEMA 3 3.000,00 90% > 6.000,00 45%
PROBLEMA 4 3.000,00 0.2% < 6.000,00 0.1%
Prospetto negativo
Alternativa C Alternativa D
Esito Probabilità Esito Probabilità
PROBLEMA 1’ -4.000,00 80% > -3.000,00 100%
PROBLEMA 2’ -4.000,00 20% < -3.000,00 25%
PROBLEMA 3’ -3.000,00 90% < -6.000,00 45%
PROBLEMA 4’ -3.000,00 0.2% > -6.000,00 0.1%
Kahneman e Tversky individuano che le preferenze espresse dagli studenti e dai
docenti ai quali sono stati posti i seguenti problemi sono esattamente opposte tra i due
prospetti. Infatti, come si può notare, le relazioni di preferenza del prospetto con esiti
negativi sono, come citano i due autori, l’immagine riflessa delle relazioni di preferenza del
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
19
prospetto con esiti positivi. In sintesi, l’effetto riflesso che si verifica intorno allo zero inverte
l’ordinamento di preferenze per problemi decisionali con esiti postivi e negativi. Partendo
da questa semplice verifica empirica, i due autori giungono a tre importanti implicazioni:
i. l’effetto riflesso, invertendo l’ordinamento di preferenza, inverte di
conseguenza anche l’atteggiamento verso il rischio degli agenti. Nel caso di
prospetti positivi si verifica l’avversione al rischio che, per gli stessi problemi
decisionali nel caso di prospetti negativi, si tramuta in propensione al rischio;
ii. richiamando quanto detto nel caso dell’effetto certezza che porta a
sovraponderare o sottoponderare gli esiti positivi, certi o improbabili, e ciò
risulta essere incoerente con la teoria dell’utilità attesa. Anche l’effetto riflesso,
nel caso dei corrispondenti esiti negativi, vìola i principi di utilità attesa allo
stesso modo. In seguito alla propensione al rischio nel caso delle perdite questo
porta ad attribuire un peso eccesivo (maggiore preferenza) alle perdite
semplicemente probabili o potenziali e un peso irrisorio (minore preferenza) nei
confronti delle perdite certe;
iii. l’effetto riflesso elimina l’avversione per l’incertezza e la variabilità degli esiti,
caratteristiche riscontrate nel caso dell’effetto certezza. Per spiegare questo, è
opportuno richiamare il concetto che gli individui preferiscono generalmente
prospetti caratterizzati da un maggiore valore atteso e minore varianza degli
esiti. Detto ciò, la perdita certa di -3.000,00 al 100% dovrebbe essere preferita
rispetto alle perdite probabili di -4.000,00 all’80% o 0.00 al 20% (vedi
PROBLEMA 1’) dal momento che la prima ha sia un maggior valore atteso che
una minore varianza. Chiaramente questo è incoerente con i dati rilevati dai
prospetti per via della presenza della propensione al rischio che altera la
nozione in base alla quale la certezza è generalmente desiderabile.
Arrivati a questo punto, dopo aver approfondito entrambi gli effetti strettamente legati
tra di loro, concludiamo ricordando brevemente gli aspetti più rilevanti: gli individui
cambiano atteggiamento verso il rischio nei casi in cui si trovino di fronte a problemi
decisionali con soli guadagni o sole perdite; ed infine, la presenza di esiti certi aumenta, da
una parte, l’indesiderabilità delle perdite, dall’altra, la desiderabilità dei guadagni.
□
ISOLATION EFFECT – EFFETTO ISOLAMENTO
➢ Caso I: alterazioni delle preferenze dovute alle probabilità
L’ultimo fenomeno psicologico individuato dai due autori viene denominato effetto
isolamento in seguito alla tendenza, che hanno gli individui, di semplificare un problema
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
20
decisionale complesso al fine di utilizzare le limitate risorse cognitive in loro possesso per
poterlo risolvere. In particolare, al fine di effettuare questa semplificazione, gli individui
scompongono mentalmente le alternative considerando soltanto le scelte ritenute più
importanti ed infine, tra queste, ignorano le componenti che sono comuni alle stesse e
focalizzano la propria attenzione esclusivamente sugli aspetti che differiscono. Tali
individui, quindi, effettuano la propria scelta prendendo in considerazione soltanto questi
aspetti. L’individuazione di alternative dominanti e dominate porta di frequente ad errori
nella valutazione delle probabilità delle stesse e, conseguentemente, ad esprimere delle
scelte incoerenti con i principi dell’utilità attesa dal momento che, i potenziali prospetti
contenenti le alternative, possono essere scomposti in diversi modi e portare a diversi
ordinamenti di preferenze tra le scelte.
Il seguente esempio descritto nel paper dai due autori ci aiuterà a capire con facilità
quanto detto.
Si consideri un problema decisionale a due stadi in cui, al primo stadio, si ha una
probabilità del 75% di concludere in anticipo il problema senza la possibilità di ottenere
guadagni ed un 25% di probabilità di arrivare nel secondo stadio dove, il soggetto, è tenuto
a scegliere tra due esiti positivi. Si noti che la scelta tra le alternative è effettuata prima che
il problema decisionale abbia inizio, quindi prima di sapere il risultato del primo stadio.
Problema decisionale a due stadi
1° STADIO
Alternativa 1 Alternativa 2
Esito Probabilità Esito Probabilità
Non partecipa 75% Partecipa 25%
2° STADIO
Alternativa 1 Alternativa 2
Esito Probabilità Esito Probabilità
4.000,00 80% 3.000,00 100%
All’inizio del seguente problema a due stadi, l’individuo si trova di fronte ai due
possibili guadagni con probabilità di 0.25 ∗ 0.80 = 0.20 e di 0.25 ∗ 1.00 = 0.25
rispettivamente per gli importi 4.000,00 e 3.000,00 che, come già detto in precedenza,
possiamo interpretare come somme monetarie in euro. Questi due possibili esiti con le
rispettive probabilità appena calcolate del problema a due stadi, ci rimandano al
PROBLEMA 2 visto nel caso dell’effetto riflesso, caratterizzato da uguali esiti e probabilità,
in cui veniva preferita la prima alternativa alla seconda:
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
21
PROBLEMA 2 4.000,00 20% > 3.000,00 25%
Tuttavia, nel porre il problema decisionale a due stadi agli studenti e al corpo docente
come fatto per tutti i precedenti problemi, Kahneman e Tversky individuano un
cambiamento di preferenze: il 78% dei soggetti sceglie la seconda alternativa alla prima.
PROBLEMA a
due stadi
4.000,00 20% < 3.000,00 25%
Il motivo per cui avviene questo è stato spiegato in precedenza. Gli individui, al fine
di agevolare la risoluzione del problema, ignorano la presenza del 1° stadio dello stesso e
decidono di focalizzarsi esclusivamente sugli esiti che differiscono. Questo induce ad una
scelta incoerente, dettata da una erronea valutazione delle probabilità. È proprio in questa
fattispecie che si spiega il concetto di ‘isolamento delle probabilità’. Difatti, è come se il
problema a due stati presentato fosse semplicemente una copia del PROBLEMA 1:
PROBLEMA 1 4.000,00 80% < 3.000,00 100%
Kahneman e Tversky, infine, dimostrano che le scelte possono essere alterate in seguito
all’effetto isolamento anche nel caso in cui siano gli esiti del problema decisionale ad essere
presentati in maniera differente31 agli individui e non le probabilità, come visto finora.
Tuttavia, le conclusioni alle quali si perviene sono le stesse.
□
Grazie a queste evidenze empiriche ed i conseguenti fenomeni psicologici che
inducono alla violazione costante dei principi di razionalità e dell’utilità attesa, si possono
facilmente desumere alcuni ulteriori concetti chiave impliciti che giocano un ruolo
fondamentale sia nella scelta finale da parte dei soggetti sia, in generale, in tutta la prospect
theory.
Il primo concetto che merita di essere citato è il cosiddetto effetto framing (o frame
dependence), tradotto come effetto contesto o inquadramento. Kaheneman e Tversky lo
ritengono talmente fondamentale nel processo decisionale tanto da dedicarci svariate opere
negli anni a seguire, tra cui “The framing of decisions and the psychology of choice” in cui è
riportato il famoso esperimento relativo al ‘problema della malattia asiatica’32. Alcune
31 Il ►Caso II: alterazioni delle preferenze dovute agli esiti è dimostrato in appendice al fine di evitare di
appesantire la corrente trattazione.
32 Anche in questo caso si fornisce la versione originale dell’esperimento in appendice.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
22
evidenze del framing sono state già affrontate nel caso dell’effetto riflesso ed isolamento.
Nel primo caso si è visto come, cambiando il contesto tra prospetto con esiti positivi
(potenziali guadagni) e prospetto con esiti negativi (potenziali perdite), le preferenze
venissero completamente ribaltate. Nel secondo caso, invece, è bastato che il problema
decisionale fosse posto con uno schema a due stadi anziché con uno schema standard, per
produrre una scelta differente ed incoerente nonostante gli esiti e le probabilità finali fossero
uguali. Si intuisce che questo è un comportamento irrazionale sistematico.
Ciò che stiamo dicendo è che il contesto in cui il soggetto decisore agisce induce ad
influenzarne la scelta finale, il modo in cui egli inquadra la sua situazione iniziale rispetto
alla decisione può indurlo a fare scelte eterogenee seppur in presenza di problemi
decisionali formalmente uguali. Un problema, infatti, può presentarsi o essere formulato in
una molteplicità di modi, anche in termini di linguaggio dando volutamente maggiore
enfasi ad alcune informazioni rispetto ad altre, per cui può suscitare emozioni e reazioni
contrastanti nel soggetto chiamato a decidere.
Sono tantissime le applicazioni dell’effetto framing nella realtà per cui, questo
concetto, rappresenta una delle migliori dimostrazioni del contrasto con i principi della
razionalità e dell’utilità attesa in base ai quali, indipendentemente da come un problema si
presenta, l’individuo sceglie sempre ciò che massimizza la sua utilità finale33.
Figura 1.6 Indecisione da contesto
Fonte: https://www.sharingtourism.it/conquista-il-cliente/effetti-di-framing-e-up-selling-per-aumentare-i-ricavi-in-hotel/
Un altro aspetto che si rileva dalla trattazione fatta finora è quello relativo al cosiddetto
reference point, cioè il punto di riferimento, definito da Kahneman e Tversky come il punto in
base al quale valutare i guadagni o le perdite di un problema decisionale. Tuttavia, da
quanto si è detto, è chiaro che il ‘posizionamento’ del punto di riferimento può essere
influenzato dal modo in cui il problema si presenta, dal modo in cui vengono formulati i
33 L. F. ACKERT, R. DEAVES; Behavioral finance: psychology, decision-making and markets; 2009, p.14.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
23
possibili esiti e dalle aspettative del soggetto decisore34. Come si è visto nell’effetto riflesso,
nel momento iniziale in cui si valutano guadagni o perdite, questo incide particolarmente
su come verranno percepite delle potenziali variazioni di ricchezza future. Gli individui
tendono quindi a valutare i possibili esiti di un problema più come una variazione dal punto
di riferimento anziché in termini assoluti. Ad esempio, per due soggetti che collocano il
proprio punto di riferimento in maniera soggettiva, uno stesso esito può essere percepito
come un guadagno per l’uno ed una perdita per l’altro.
Per tali ragioni, solitamente, in ambito finanziario, il reference point corrisponde al
punto di partenza determinato dalla ricchezza attuale, denominato anche status quo, in base
al quale effettuare le valutazioni. Lo status quo segna un punto di confine tra l'avversione
al rischio e la propensione al rischio35. È evidente che, anche questo aspetto chiave, è in
contrasto con la teoria dell’utilità attesa dove gli individui valutano gli esiti basandosi sul
proprio valore della ricchezza finale, indipendentemente dal punto da quella iniziale.
Andando più avanti nella trattazione, i concetti di reference point e status quo risulteranno
più chiari.
Infine, l’ultimo aspetto fondamentale individuato dai due autori che si ritiene
doveroso riportare è quello relativo alla loss aversion, cioè l’avversione alle perdite da parte
degli individui. Anche in questo caso, Kahneman e Tversky dedicano ulteriori opere negli
anni successivi in merito all’argomento, tra queste è importante citare ‘Loss Aversion in
Riskless Choice: A Reference-Dependent Model’ del 1991, in cui, in seguito al alcune situazioni
sperimentali psicologiche individuano che i soggetti attribuiscano un peso psicologico
all’incirca doppio alle perdite rispetto ai guadagni. In particolare, è possibile affermare che
gli individui giudichino in maniera asimmetrica degli esiti opposti ma di pari ammontare:
il rammarico o dispiacere per una perdita, anche solo potenziale, è circa due volte più
grande del piacere o della soddisfazione di un guadagno, anche solo potenziale, dello stesso
importo.
«… le perdite sono più importanti dei guadagni»36
Una volta definito questo meccanismo psicologico, si intuisce facilmente che gli
individui, nel prendere le proprie decisioni, ad esempio in ambito investimenti, siano
condizionati da questo e risultino particolarmente avversi alla probabilità di subire delle
perdite. È bene sottolineare che l’avversione alle perdite è un concetto diverso
dall’avversione al rischio: un individuo infatti può essere anche poco propenso ad accettare
una scommessa rischiosa per diventare ricco (avversione al rischio), tuttavia, è sicuramente
pronto ad accettare una scommessa rischiosa pur di non perdere tutto ciò che ha (avversione
34 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 274.
35 L. F. ACKERT, R. DEAVES; Op. Cit.; p.34.
36 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 279.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
24
alle perdite). Da qui, individuiamo il collegamento per accennare il concetto di avversione
alla perdita certa. In particolare, nel momento in cui le perdite non sono soltanto potenziali
ma si è in presenza di perdite pregresse o di perdite certe attuali, un individuo è pronto ad
essere fortemente propenso al rischio entrando in problemi decisionali che gli consentano
di raggiungere dei guadagni tali a coprire le perdite già realizzate, nonostante le probabilità
non siano favorevoli.
Concludendo, si intuisce che, sia nel caso di avversione alle perdite che in quello di
avversione alle perdite certe, entrano in gioco dei meccanismi psicologici che inducono a
prendere delle decisioni tutt’altro che razionali e, soprattutto nel secondo caso, decisioni
istintive anche particolarmente ‘pericolose’.
Figura 1.7 Peso di perdite e guadagni a confronto
Fonte: a cura dell’autore
1.3.2 Fasi della teoria
Kahneman e Tversky modellano definitivamente la prospect theory come approccio
descrittivo alle scelte in condizioni di incertezza, una teoria che possa tenere in
considerazione gli effetti psicologici distorsivi analizzati precedentemente. In particolare,
questa teoria, divide il processo decisionale degli individui in due distinte fasi conseguenti:
la prima, la fase di editing; e la seconda, la fase di valutazione.
1. FASE DI EDITING
Trattasi di un’analisi preliminare delle alternative, il cui scopo è quello di organizzare
e riformulare i prospetti disponibili, attraverso una molteplicità di operazioni cognitive ed
applicazioni, in modo da rendere più semplice ed intuibile la successiva fase di valutazione
e di scelta. La fase di editing è caratterizzata dalle seguenti operazioni:
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
25
I. Codifica, in cui gli individui valutano, e quindi codificano, le possibili
alternative di un problema decisionale in termini di guadagni o perdite in
relazione al proprio punto di riferimento ‘neutrale’, quindi non in valore
assoluto degli stessi;
II. Combinazione, in cui i problemi decisionali caratterizzati da esiti identici
vengono semplificati combinando le probabilità associate a tali esiti;
III. Segregazione, consistente nel “segregare”, inteso come separare, nei casi in cui
sia possibile, la parte priva di rischio da quella rischiosa in un problema
decisionale;
IV. Cancellazione, rappresenta l’essenza degli effetti di isolamento spiegati in
precedenza. Consiste nell’ignorare possibili alternative nel caso in cui queste
siano comuni a più problemi decisionali o, più in generale, nello scarto di
componenti comuni come ad esempio intere coppie di esiti-probabilità al fine
di valutare un singolo problema decisionale;
V. Semplificazione e rilevazione della dominanza, è un processo tramite il quale,
sempre al fine di semplificare i problemi decisionali e renderli più comprensibili
alle risorse cognitive, vengono ‘arrotondati’ in cifre più amichevoli sia gli esiti
che le probabilità caratterizzati da cifre poco agevoli. Si può giungere alla
semplificazione anche eliminando direttamente dalle alternative fortemente
non preferite dagli individui oppure individuando una relazione di dominanza
tra le stesse ed eliminare automaticamente le alternative poco probabili o
dominate.
Grazie alle operazioni di editing un problema decisionale viene rappresentato
mentalmente37 e ciò risulta essere fondamentale nel processo decisionale che si concretizza
nella fase successiva, relativa alla valutazione e alla scelta finale, per cui si assume che le
suddette operazioni vengano eseguite in tutti quei casi in cui siano possibili. Una importante
osservazione da fare è relativa all’ordine di esecuzione delle osservazioni. Ciascun
individuo sceglie l’ordine in base agli aspetti sui quali focalizza la propria attenzione, per
cui non esiste un ordine generale. Nella fase conclusiva dell’editing, i problemi decisionali
ai quali è sottoposto un individuo potranno avere quindi una formulazione ed una struttura
differenti rispetto alla situazione iniziale, proprio per via delle operazioni cognitive
effettuate.
2. FASE DI VALUTAZIONE
37 La rappresentazione mentale degli oggetti, o degli esiti in questo caso, era un approccio particolarmente
utilizzato in ambito della psicologia cognitiva, tuttavia, era del tutto innovativo in ambito economico nei
problemi decisionali.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
26
Ultimata la fase di editing, l’individuo confronta e valuta i problemi decisionali
semplificati nel loro insieme al fine di individuare l’alternativa dal valore più elevato. È bene
sottolineare che il termine valore può indicare un esito monetario ma può anche riguardare
problemi decisionali le cui alternative non sono espresse in valore monetario (non-monetary
outcomes). Nel paragrafo seguente si definisce come l’individuo calcoli effettivamente il
valore di un’alternativa.
1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione
All’interno della fase di valutazione che abbiamo precedentemente accennato,
troviamo due ulteriori elementi che rendono la prospect theory ancora più differente dalla
teoria dell’utilità attesa.
Infatti, al fine di determinare il valore complessivo di un’alternativa di un problema
decisionale entrano in gioco due funzioni, la funzione del valore (value function) e la
funzione di ponderazione (weighting function). Consideriamo la seguente espressione 38che
rappresenta l’alternativa alla funzione di utilità attesa Van Neumann-Morgenstern nella
teoria neoclassica:
Γ(𝐿) = 𝜐(𝑊1 − 𝑊
̅ )𝜔(𝜋1) + 𝜐(𝑊2 − 𝑊
̅ )𝜔(𝜋2) + ⋯ + 𝜐(𝑊
𝑚 − 𝑊
̅ )𝜔(𝜋𝑚) =
= ∑ 𝜐(𝑊𝑘 − 𝑊
̅ )𝜔(𝜋𝑘)
𝑚
𝑘=1
Come visto nella trattazione precedente 𝐿 indica una lotteria, che abbiamo definito
spesso in fase teorica ‘problema decisionale’, 𝜋1, … , 𝜋𝑚 sono le probabilità oggettive con cui
si verificano le alternative, 𝑊1, … , 𝑊
𝑚 rappresentano le ricchezze associate alle varie
alternative della lotteria e 𝑊
̅ indica la ricchezza iniziale dell’individuo tale per cui può
essere definita punto di riferimento che solitamente equivale allo status quo. I due elementi
ancora incogniti sono 𝜈 e 𝜔 rispettivamente la funzione di valore e la funzione di
ponderazione, il cui compito è quello di catturare tutti i fenomeni e gli effetti psicologici
tipici degli individui e derivanti dalle situazioni sperimentali di cui si è discusso in
precedenza.
▪ La funzione del valore si applica sugli scostamenti dalla ricchezza iniziale, per cui
i possibili esiti, guadagni (𝑊𝑘 − 𝑊
̅ ) > 0 o perdite (𝑊𝑘 − 𝑊
̅ ) < 0, sono valutate in termini
relativi e non assoluti. 𝜈 riflette il valore soggettivo di un esito, Γ(𝐿) il valore soggettivo di
38 D. FIASCHI, N. MECCHERI; Op. Cit.; 2018, pp. 223.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
27
un prospetto. Inoltre, in base a quanto detto nel caso dell’effetto isolamento, l’evidenza
sperimentale ha dimostrato che nei prospetti i cui gli esiti sono dei potenziali guadagni gli
individui sono generalmente avversi al rischio, quindi la funzione del valore è concava; mentre,
nei prospetti caratterizzati da esiti perdite, gli individui si dimostrano generalmente
propensi al rischio, quindi la funzione del valore è convessa. Infine, avendo già discusso in
merito all’avversione alle perdite degli individui, vien da sé che l’inclinazione della
funzione del valore è maggiore nel quadrante perdite che nel quadrante guadagni per un
esito dello stesso ammontare. In entrambi i quadranti, la funzione diventa via via meno
sensibile ai cambiamenti.
È possibile aggregare tutti questi concetti in una chiara rappresentazione della
funzione del valore.
Figura 1.8 Rappresentazione della funzione del valore
Fonte: a cura dell’autore.
▪La funzione di ponderazione si applica alle probabilità oggettive con cui si possono
verificare le alternative del problema decisionale e, in parte, rappresenta un concetto che
seppur in maniera implicita abbiamo già trattato nel caso dell’effetto certezza. Infatti,
quando si è discusso di probabilità e pesi decisionali attribuiti alle stesse da parte degli
individui, attribuzione che porta a delle sovraponderazioni e sottoponderazioni, tali termini
non erano del tutto casuali ma erano un chiaro riferimento alla funzione oggetto d’analisi.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
28
La trasformazione delle probabilità in pesi decisionali avviene non linearmente. Partendo
dai concetti già noti, ovvero che 𝜔(0) = 0 e 𝜔(1) = 1 ne aggiungiamo dei nuovi. Utilizzando
una scala della probabilità normalizzata ad 1, Kahneman e Tversky definiscono la
subcertainty39, la sotto-certezza, ovvero la proprietà in base alla quale per 0 < 𝜋 < 1 si ha che
𝜔(𝜋) + 𝜔(1 − 𝜋) < 1, quindi la somma dei pesi decisionali associata alla probabilità di
un’alternativa e del suo complementare è inferiore all’unità (cioè all’evento certo). La
pendenza della funzione di ponderazione può essere vista come una misura della sensitività
delle preferenze degli individui in seguito a delle variazioni nelle probabilità. Inoltre, per
gli esiti caratterizzati da una bassa probabilità si verifica la sovraponderazione 𝜔(𝜋𝑘) > 𝜋𝑘,
mentre per quelli caratterizzati da una media o elevata probabilità si verifica la
sottoponderazione 𝜔(𝜋𝑘) < 𝜋𝑘. Infine, la funzione è soggetta a delle discontinuità
nell’intorno degli estremi di 𝜔(0) e 𝜔(1). Tali discontinuità sono dovute alla limitatezza
cognitiva e alla presenza di incoerenza decisionale degli individui nel valutare gli eventi
estremi, ovvero nei punti in cui ciascun individuo separa soggettivamente le seguenti
coppie: impossibilità-bassa probabilità e certezza-alta probabilità. La funzione di ponderazione si
può rappresentare così come in Figura 1.9; inoltre, viene ripresentata la Tabella 1.1
modificata, con scala normalizzata ad 1 ed in cui si evidenzia la proprietà citata della sub-
certezza.
Tabella 1.2 Probabilità, peso decisionale e sub-certezza
Probabilità,
𝝅
0 0.01 0.02 0.05 0.1 0.2 0.5 0.8 0.90 0.95 0.98 0.99 1
Peso
decisionale,
𝝎(𝝅)
0 0.055 0.081 0.132 0.186 0.261 0.421 0.601 0.712 0.793 0.871 0.912 1
Probabilità,
𝟏 − 𝝅
1 0.99 0.98 0.95 0.90 0.8 0.5 0.2 0.1 0.05 0.02 0.01 0
Peso
decisionale,
𝝎(𝟏 − 𝝅)
1 0.912 0.871 0.793 0.712 0.601 0.421 0.261 0.186 0.132 0.081 0.055 0
Proprietà
sub-certezza,
𝝎(𝝅) + 𝝎(𝟏 − 𝝅)
0.967 0.952 0.925 0.898 0.862 0.841 0.862 0.898 0.925 0.952 0.967
Fonte: a cura dell’autore.
39 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 281.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
29
Figura 1.9 Rappresentazione della funzione di ponderazione
Fonte: a cura dell’autore.
Tutti gli aspetti innovativi descritti hanno evidenziato la differenza esistente tra il
concetto di utilità della teoria neoclassica e il concetto di valore della prospect theory, così
come la presenza di anomalie del comportamento e della psicologia umana che si
sottraggono ai principi della razionalità e, proprio per questo, sono più efficaci nello
spiegare le scelte in condizioni di incertezza. Come vedremo più avanti la prospect theory
risulta particolarmente coerente anche nel descrivere come gli investitori si muovono nel
contesto dei mercati finanziari. Basti pensare che, grazie ai concetti di framing e di punto di
riferimento, le valutazioni in merito ad un particolare investimento non saranno sempre le
stesse ma possono cambiare anche rapidamente nel corso del tempo, proprio in base al
contesto in cui un investitore si trova ed in base a come decide di modificare il proprio punto
di riferimento.
Tuttavia, nonostante questa teoria riuscì ad ottenere molteplici consensi nei più
svariati ambiti applicativi, furono gli stessi due autori, Kahneman e Tversky, ad introdurre
nel 1992 il concetto di cumulative prospect theory nell’opera ‘Advances in prospect theory:
Cumulative representation of uncertainty’. Da quanto si può dedurre dal titolo, questa
rappresenta ‘semplicemente’ una teoria avanzata ed un miglioramento teorico di quanto
discusso finora e ciò lo si può giustificare notando che tra le due opere siano trascorsi ben
tredici anni di sviluppi, evoluzioni ed applicazioni della teoria originaria. Per completezza
espositiva esponiamo brevemente il concetto innovativo su cui si sviluppa tutto il resto della
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.3 La teoria del prospetto
30
teoria del prospetto cumulativa. In particolare, si ha che la funzione di ponderazione viene
applicata sulla distribuzione di probabilità cumulata delle alternative e non sulle singole
probabilità delle stesse. Anche i pesi decisionali degli individui sono espressi tramite una
distribuzione cumulata. Inoltre, si effettua una distinzione della suddetta funzione nel caso
in cui si considerino guadagni o perdite che conduce a varie implicazioni, come
rappresentato in Figura 1.10, cosa che invece non avviene nella prima stesura della teoria.
Figura 1.10 Funzione di ponderazione per i guadagni (𝑊+
) e per le perdite (𝑊−
)
Fonte: D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Advances in prospect theory: Cumulative representation of
uncertainty; p. 313.
Come già detto in sede di presentazione, la prospect theory, versione originaria o
avanzata, costituisce la base teorica e sperimentale su cu si svilupperà negli anni a seguire
la finanza comportamentale, oggetto sui cui focalizzeremo la nostra attenzione nella parte
restante del capitolo.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
31
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
Cercando di entrare subito nel vivo del tema partiamo da una definizione generale al
fine di approfondirla con l’avanzare della trattazione. In particolare, per finanza
comportamentale, meglio nota in lingua anglosassone come behavioral finance, si intende una
moderna branca dell’economia che spiega, attraverso una interrelazione tra principi di
psicologia, sociologia, antropologia e finanza40, il comportamento degli investitori e cosa
genera le fluttuazioni e le ‘anomalie’ presenti sui mercati finanziari.
Figura 1.11 Componenti fondamentali della finanza comportamentale
Fonte: a cura dell’autore.
Si tratta quindi di un nuovo approccio alla finanza, di un campo di ricerca
multidisciplinare che, come già detto in precedenza, non intende sostituire le teorie
tradizionali della finanza, ma vuole integrarle e renderle applicabili in contesti reali. Infatti,
nel momento in cui i modelli tradizionali non riescono a spiegare il comportamento degli
investitori che si scontra con il principio della razionalità, subentra il ricorso agli aspetti
emotivi, cognitivi e di contesto, incorporati nella finanza comportamentale, che possono
aiutare a capire determinate logiche di investimento.
40 La psicologia studia i processi comportamentali e mentali e come questi siano stati prodotti nel contesto
esterno in cui si sviluppa l’essere umano. La sociologia è una scienza che analizza i rapporti tra l’individuo e
il gruppo sociale umano e come tali rapporti influenzano il comportamento dei soggetti stessi. Infine,
l’antropologia è una branca che ha come oggetto di studio l’uomo nel suo insieme (sociale, culturale,
psicologico) sia come individuo, sia in aggregato in svariate situazioni.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
32
«Le persone nella finanza tradizionale sono razionali. Le persone nella finanza
comportamentale sono normali»41 - Meir Statman
Parliamo di nuovo approccio dal momento che le teorie alla base della finanza
comportamentale hanno incontrato il consenso generale del mondo scientifico ed
accademico soltanto a ridosso degli anni duemila.
Ripercorrendo brevemente le origini, infatti, non si può fare a meno di citare
nuovamente gli psicologi Kahneman e Tversky che, attraverso i propri studi sperimentali a
partire dagli anni ‘70, sono riconosciuti come i pionieri della behavioral finance. Nel corso
degli anni ’80 -’90 l’approccio comportamentale in ambito finanziario inizia a riscuotere un
notevole successo soprattutto in seguito alla presentazione della teoria, per la prima volta
nei confronti della comunità scientifica, ad un seminario tenuto presso l’American Finance
Association nel 1984. È anche per questo motivo per cui il ventennio in questione è
caratterizzato da un elevato numero di pubblicazioni autorevoli che mirano ad
approfondire ed espandere i confini di applicazione della finanza comportamentale. Tra i
nomi più rilevanti è possibile citare Richard Thaler, Werner De Bondt, Meir Statman, Hersh
Shefrin, Andrei Shleifer, Vernon Smith ed infine Robert Shiller che, ciascuno per diversi
aspetti oggetto d’analisi, sono ritenuti, insieme a Kahneman e Tversky ovviamente, i padri
fondatori della finanza comportamentale. Nella seguente Tabella 1.3 si indicano
brevemente gli aspetti caratteristici degli studi dei suddetti autori, ricordando che,
un’analisi più approfondita degli stessi si effettuerà nel corso del seguente paragrafo.
Tabella 1.3 Teorie sulla finanza comportamentale
Fonte: J. PROSAD, S. KAPOOR, J. SENGUPTA; Theory of Behavioral Finance; Business Science, 2015.
41 M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p.
3.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
33
Per concludere, fu grazie all’assegnazione del premio Nobel per l’economia a
Kahneman e Smith, soltanto nel 2002, a garantire l’effettiva consacrazione della finanza
comportamentale come teoria descrittiva accettata a tutti gli effetti.
Inoltre, se il consenso e la diffusione della teoria negli Stati Uniti è stata relativamente
rapida, tale da essere ormai regolarmente insegnata nei corsi accademici, lo stesso non può
dirsi per il resto del mondo, come nel nostro Paese, dove l’affermazione della behavioral
finance si è avuta soltanto nell’ultimo decennio, grazie ad alcune opere di psicologi e docenti
accademici tra cui è possibile ricordare Paolo Legrenzi, Rino Rumiati, Barbara Alemanni ed
Enrico Rubaltelli.
Fatta questa breve introduzione passeremo ora ad analizzare quelle che sono le
‘distorsioni comportamentali’ individuate dalla letteratura e riscontrate con maggior
frequenza in ambito finanziario, come ad esempio nel caso emblematico del processo di
scelta degli investimenti. Per compiere tale analisi faremo riferimento ad una
schematizzazione ritenuta ormai consolidata nelle opere, adottata tra l’altro dall’economista
canadese Shefrin, in cui si suddividono le distorsioni comportamentali nel modo seguente:
▪ euristiche del giudizio;
▪ bias cognitivi ed emozionali;
▪ bias dovuti al framing.
1.4.1 Euristiche del giudizio
Le euristiche del giudizio vengono presentate per la prima volta al mondo accademico
da Kahneman e Tversky nel 1973 nel paper intitolato ‘Judgment Under Uncertainty: heuristics
and biases’ sebbene siano state idealizzate circa un ventennio prima da Simon.
Esse rappresentano delle regole empiriche ed approssimative, in quanto si svincolano
dal paradigma della razionalità, ma vengono costituite sulla base dell’istinto, delle
esperienze pregresse, dell’intuito, dei pregiudizi cognitivi (meglio noti come credenze) e
dalle circostanze in cui l’individuo si trova. Le possiamo considerare come delle vere e
proprie ‘scorciatoie mentali’ il cui scopo è quello di semplificare la presa di decisione
rispetto a problemi complessi o situazioni caratterizzate da informazioni incomplete. Ciò
consente di ridurre il carico cognitivo, essendo il sistema umano un sistema dalle risorse
limitate. È bene specificare che l’essere umano inconsciamente fa uso di euristiche nelle più
svariate situazioni quotidiane prendendo delle decisioni veloci ma al contempo risultano
spesso soddisfacenti ed efficaci. Si intuisce quindi che l’ambito finanziario, in particolar
modo il problema della selezione degli investimenti, non si presta alla soluzione tramite
regole euristiche in quanto risulta essere un ambito che richiede delle analisi approfondite,
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
34
delle scelte ponderate accuratamente nonché una solida base di conoscenze scientifiche e
tecniche. La scelta di selezione degli investimenti non può essere trattata alla stessa stregua
di altre operazioni quotidiane, per cui, in tal caso, la probabilità di prendere delle decisioni
erronee tramite le euristiche è molto più elevata. Tuttavia, come già detto, essendo applicate
spesso inconsciamente, per un investitore potrebbero essere difficili da evitare,
accorgendosi solo a posteriori di averle applicate.
Della letteratura in merito si riconoscono quattro tipi di euristiche che influenzano il
processo di raccolta ed elaborazione delle informazioni e, conseguentemente, ciò si
ripercuote sulle scelte di investimento: la disponibilità, la rappresentatività, l’affetto e
l’ancoraggio e aggiustamento.
LA DISPONIBILITÀ
Proprio nella prima fase di un classico problema decisionale, quella relativa alla
raccolta delle informazioni al fine di risolvere lo stesso, interviene l’euristica della
disponibilità in base alla quale gli individui sono fortemente influenzati dalle informazioni
che risultano:
• più facili da reperire (e quindi quelle più accessibili o, appunto, ‘disponibili’);
• più facili da comprendere;
• più familiari, perché relative ad aspetti sufficientemente noti all’individuo;
• più recenti, ovvero ricordare e considerare solo eventi vicini nel tempo;
• più facili da ricordare in sede decisionale (concetto di intensità del ricordo).
Ciò non significa affatto che queste siano le informazioni più rilevanti per risolvere il
problema, bensì sono soltanto quelle che emotivamente hanno un impatto maggiore
sull’individuo. Nella valutazione di un evento in termini di stima della frequenza o
probabilità, quindi, ciò che incide è la facilità soggettiva con cui si riesce a richiamare
l’evento stesso, indipendentemente dai dati reali di accadimento. In sintesi, la disponibilità
delle informazioni non ha nulla a che vedere con la frequenza di un evento.
La conseguenza di questa regola mentale approssimativa porta a distorsioni nella
percezione della realtà, a sovrastimare e sottostimare le probabilità di un evento in base ai
fattori sopraelencati ed infine a comportamenti e decisioni sbagliate o irrazionali. Vien da
sé che, al giorno d’oggi, tutti noi siamo continuamente esposti ad un elevato carico
informativo e persuasivo derivante dai mass media, dai social e dalle moderne tecnologie
che consentono una facilità d’accesso alle informazioni a chiunque. L’obiettivo deve essere
quello di discernere la frequenza delle informazioni di un evento dalla reale frequenza di
accadimento dello stesso.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
35
Possiamo interpretare quanto detto finora in sede di mercati finanziari, in quanto
l’euristica della disponibilità rappresenta una delle maggiori distorsioni decisionali in cui si
imbattono gli investitori. Basti pensare alla notevole importanza attribuita alle informazioni
più recenti che inducono molti investitori individuali a stimare le performance future come
frutto esclusivamente di quelle precedenti, offuscando del tutto alcuni investimenti
strategici nel lungo termine. In base a questo, ad esempio, gli investitori sono spesso portati
a valutare positivamente, in maniera eccessiva, titoli ormai prossimi al picco di mercato e,
in maniera opposta, ad ignorare l’investimento in titoli al ribasso42.
Inoltre, un’analisi condotta da due ricercatori in finanza comportamentale, Terrance
Odean e Brad Barber, contenuta in un working paper del 2002, ha evidenziato come la
frequenza delle informazioni sia determinante nella fase della selezione dei titoli. In
particolare, nei giorni caratterizzati da un carico informativo più elevato si rileva un
maggior numero di acquisti da parte degli investitori individuali (net buyers – high trading
volume); mentre, il diminuire delle informazioni finanziarie coincide con i giorni in cui sono
maggiori le vendite dei titoli da parte degli stessi investitori (net sellers – low trading volume).
La seguente Figura 1.12 sintetizza quanto detto.
Figura 1.12 Squilibrio degli ordini di compravendita come funzione dell’intensità di notizie
Fonte: M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John
Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 100.
Nello stesso studio si evidenzia come, invece, gli investitori professionali siano
meno inclini a cadere nella trappola mentale della disponibilità. Infatti essi, avendo
42 J. WIGGINS; Finanza comportamentale, Sei consigli per migliorare il processo decisionale negli investimenti;
Aberdeen Standards; 2019, p. 9.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
36
più tempo, più conoscenze tecniche e scientifiche, sono in grado di considerare una
gamma molto più ampia di titoli e non soltanto quelli messi in evidenza dalle notizie
più recenti o da una maggiore quantità delle stesse, per cui, tendono a focalizzarsi
su investimenti per settore o in titoli individuali che superano una determinata
analisi iniziale43.
Per concludere è possibile definire alcune caratteristiche dell’euristica oggetto d’analisi
riscontrate nella pratica da parte degli investitori44:
• recuperabilità, in base alla quale gli investimenti sono selezionati soltanto in base
alle informazioni a disposizione senza ricorrere ad ulteriori ed approfondite
ricerche, ne risulta quindi un approccio superficiale;
• categorizzazione; si investe esclusivamente in categorie di titoli a disposizione
nella memoria degli investitori, ignorandone altre che vengono richiamate con
più difficoltà ma che magari potrebbero essere più profittevoli;
• esperienza limitata, nel senso di visione ristretta. Gli investimenti vengono
selezionati in base alle proprie esperienze di vita, al settore in cui si lavora o alla
regione in cui si vive;
• risonanza, ovvero la tendenza a preferire investimenti consoni alla propria
personalità, al proprio modo di pensare o al comportamento, ignorando quelli
che risultano meno affini a tali caratteristiche.
Figura 1.13 L’euristica della disponibilità
Fonte: a cura dell’autore.
43 M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p.
100.
44 Ivi; p. 99.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
37
LA RAPPRESENTATIVITÀ
L’euristica della rappresentatività, a differenza di quella della disponibilità, si presenta
in un secondo momento ovvero quello dedicato alla elaborazione delle informazioni
raccolte nella prima fase di un tipico problema decisionale.
Tale euristica è strettamente legata alle esperienze passate del soggetto decisore. Infatti
egli, per natura, ha una innata propensione nel classificare o categorizzare mentalmente
fatti, eventi o pensieri. Creando tali categorie risulta più facile lo sforzo cognitivo nel
richiamare alla mente gli eventi stessi. Vengono quindi creati dei veri e propri stereotipi,
costituiti da caratteristiche permanenti, semplificate e comuni per ciascuna categoria. La
trappola distorsiva si manifesta nel momento in cui il soggetto decisore si scontra con un
nuovo fenomeno (inteso come fatto, evento) che è incoerente con qualunque categoria
mentale precostituita. In questo caso, tuttavia, si ricorre comunque all’utilizzo di uno
stereotipo che meglio riesca ad approssimare le caratteristiche di un fenomeno del tutto
nuovo, anche se le analogie sono del tutto differenti. Si fa riferimento, quindi, a cose che
esistono già nella propria mente perché ritenute quelle più rilevanti, quelle tipiche, anziché
categorizzarne delle nuove. La conseguenza di questa scorciatoia è che la stima delle
probabilità dei possibili eventi ed i giudizi in merito risultano influenzati da categorie
precostituite sulla base di esperienze passate differenti, consentendo certamente una presa
di decisione più semplice e che richiede un minor utilizzo di risorse cognitive, ma d’altro
canto può condurre ad una inesatta e persistente valutazione del nuovo fenomeno. In
sintesi, si dice che lo stereotipo preso in considerazione come confronto è rappresentativo di
una certa categoria di eventi.
In merito a tale euristica, non si può non citare brevemente la cosiddetta “legge dei
piccoli numeri”45 sperimentata da Kahneman e Tversky. Tale legge, costituisce un
pregiudizio mentale a causa del quale i soggetti tendono ad esprimere i propri giudizi e le
proprie stime, anche con notevole certezza, relativi ad un fenomeno facendo riferimento ad
un numero assai ristretto di dati, quindi sulla base di un piccolo campione, come se questo
fosse sufficientemente rappresentativo per ottenere stime accurate e per descrivere le
caratteristiche di un campione più esteso connesso al fenomeno stesso.
L’euristica della rappresentatività ha ovviamente i suoi riflessi in ambito finanziario
quando, ad esempio, gli investitori esaminano le performance passate di un gestore di fondi,
al fine di selezionare quello più coerente con i propri obiettivi, relativamente agli ultimi
45 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Judgment Under Uncertainty: heuristics and biases; Oregon Research Institute;
1973, p.9.
1. Introduzione alla finanza comportamentale
1.4 Fondamenti di finanza comportamentale
38
trimestri più recenti, come se questi fossero rappresentativi delle performance lungo tutto
l’arco della gestione del fondo.
La distorsione cognitiva può influenzare fortemente anche le valutazioni relative a
determinati titoli ignoti all’investitore. Infatti, sfruttando le conoscenze e le esperienze
pregresse relative ad investimenti in titoli già noti con caratteristiche simili, quali ad
esempio il settore d’investimento, l’area geografica, le performance, lo stile d’investimento
etc., si è portati automaticamente a condurre delle analisi altrettanto simili. Un’analisi
d’investimento condotta con tale superficialità, per analogie e tramite semplificazioni è del
tutto sbagliata nonché in contrasto con i principi della razionalità.
Figura 1.14 L’euristica della rappresentatività: stereotipi e categorie mentali
Fonte: https://www.thoughtco.com/what-is-the-meaning-of-stereotype-2834956 e modifiche a
cura dell’autore.
L’ANCORAGGIO E L’AGGIUSTAMENTO
Anche l’euristica dell’ancoraggio e dell’aggiustamento rientra, come quella
precedente, tra le distorsioni cognitive tipiche della fase di elaborazione delle informazioni,
successiva alla fase della raccolta.
Come abbiamo già detto, nel mezzo di un problema decisionale, il soggetto decisore
può essere chiamato a fare delle stime dei valori degli eventi, di parametri, di variabili etc.
Spesso, al fine di non effettuare calcoli complessi per i motivi di limitatezza delle risorse
umane esposti in precedenza, si definisce un valore iniziale arbitrario di tali stime, che funge
da punto di riferimento, appunto da àncora, con lo scopo poi di effettuare gli opportuni
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La finanza comportamentale durante le crisi finanziarie

  • 1. UNIVERSITÀ DEL SALENTO FACOLTÀ DI ECONOMIA Corso di Laurea Magistrale in Economia, Finanza e Assicurazioni Tesi di Laurea in Asset Management La finanza comportamentale durante le crisi finanziarie Behavioral finance during financial crises RELATORE: Ch.mo Prof. Paolo Antonio Cucurachi STUDENTE: Mirko Lezzi Matricola n° 20047119 Anno Accademico 2021 - 2022
  • 2. «… le emozioni sono tutto quello che abbiamo!» Youth - La Giovinezza Alla mia famiglia. Grazie.
  • 3. INDICE I Indice INTRODUZIONE I CAPITOLO 1 1 Introduzione alla finanza comportamentale 1 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 1 1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità attesa 3 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 10 1.3 La teoria del prospetto 14 1.3.1 Effetto certezza, riflesso ed isolamento 15 1.3.2 Fasi della teoria 24 1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione 26 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 31 1.4.1 Euristiche del giudizio 33 1.4.2 Bias cognitivi, emozionali e di contesto 42 1.4.3 Tecniche di correzione degli errori: il debiasing 53 CAPITOLO 2 58 Teorie comportamentali di portafoglio, crisi finanziarie e bolle speculative 58 2.1 Dalla Modern Portfolio Theory (MPT) alla Behavioral Portfolio Theory (BPT) 58 2.1.1 Cenni sull’efficienza informativa dei mercati e sulla teoria di Markowitz 60 2.1.2 Approfondimento sulla Behavioral Portfolio Theory (BPT) 72 2.2 Le conseguenze sui mercati: crisi finanziarie e bolle speculative 91 2.2.1 Un approccio comportamentale: il sentiment di mercato 94 2.3 Herd behavior e bolle speculative: il modello di Lux 100 CAPITOLO 3 106 Un’applicazione ai mercati finanziari tramite il backtest dei portafogli 106 3.1 La definizione del tipo d’investitore comportamentale 106 3.2 Operazione di backtest dei portafogli e valutazione delle performance 112
  • 4. INDICE II 3.3 Approfondimento: l’investitore impulsivo colto da irrazionalità durante i periodi di crisi 128 3.3.1 a) Vendita del 25% della componente azionaria 129 3.3.2 b) Vendita del 50% della componente azionaria 131 3.3.3 c) Vendita del 100% della componente azionaria 134 3.4 Considerazioni finali 136 CONCLUSIONI I APPENDICE I RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFIA I
  • 5. Introduzione I Introduzione «People in standard finance are rational People in behavioral finance are normal» M. Statman La teoria del prospetto, formulata per la prima volta nel 1979 da due psicologi israeliani, Daniel Kahneman e Amos Tversky, rappresenta la base teorica e sperimentale sul quale nel corso dei successivi anni sorge una nuova branca dell’economia, la finanza comportamentale. Quest’ultima si propone di spiegare, attraverso l’interdipendenza di principi di psicologia, sociologia, antropologia e finanza, il comportamento degli investitori nella realtà dei mercati finanziari. L’obiettivo perseguito lungo tutto il percorso della seguente trattazione dunque è quello di valutare come le emozioni ed i sentimenti, di cui si caratterizza la natura umana, siano in grado di influenzare le scelte d’investimento dei risparmiatori e quali siano le conseguenze e le anomalie dei mercati finanziari generate da tali comportamenti, tra cui le crisi finanziarie ed il sorgere delle bolle speculative. In particolare, il capitolo primo si occuperà di spiegare quelli che sono i fondamenti teorici della finanza comportamentale. Partendo da un breve excursus storico sull’evoluzione del pensiero economico, si giungerà ad approfondire la teoria classica della finanza, basata a sua volta sulla teoria dell’utilità attesa introdotta nel 1944 dal matematico Von Neumann e dall’economista Morgenstern, e si avrà modo di capire perché quest’ultima viene definita una teoria normativa e cosa la differenzia dalla teoria del prospetto, definita invece teoria positiva, posta invece alla base della finanza moderna. In particolare, concentreremo la nostra attenzione su quest’ultima andando a descrivere le fasi della teoria e la funzione del valore. Attraverso il continuo confronto delle suddette teorie finanziarie, si evincerà, inizialmente su un piano puramente concettuale, il netto contrasto esistente tra l’investitore razionale, cioè il cosiddetto homo economicus della teoria classica, e l’investitore irrazionale frutto delle proprie distorsioni emotive e cognitive. A tal proposito, saranno dapprima descritti alcuni fenomeni psicologici individuati da Kahneman e Tversky, quali
  • 6. Introduzione II l’effetto certezza, l’effetto riflesso e l’effetto isolamento, e successivamente le euristiche del giudizio e i bias cognitivi, emozionali e quelli dovuti al framing, al fine di spiegare cosa influenzi il processo decisionale di un investitore irrazionale. In conclusione, la descrizione di alcune tecniche di debiasing ci aiuterà a capire come limitare le conseguenze di tali fenomeni psicologici. Nel capitolo secondo il confronto inizialmente introdotto sul piano teorico sarà applicato nella pratica dei mercati finanziari. Questo obiettivo sarà raggiunto descrivendo dapprima la teoria moderna del portafoglio (Modern Portfolio Theory), che deve la sua origine al lavoro pionieristico condotto da Markowitz nel 1952, e successivamente alcune delle più importanti teorie comportamentali del portafoglio (Behavioral Portfolio Theory). Tra quest’ultime saranno trattate, sia da un punto di vista teorico che analitico, la ‘Utility of Wealth Theory’ di Markowitz (1952), la ‘Safety-First Theory’ di Roy (1952), la ‘SP/A Theory’ di Lopes (1987) e, in particolar modo, la ‘Behavioral Portfolio Theory’ di Shefrin e Statman (2000). Dopo aver approfondito i temi dell’efficienza dei mercati, delle frontiere efficienti e della piramide stratificata degli investimenti, la trattazione verterà sul tema delle crisi finanziarie e della formazione di bolle speculative quali dirette conseguenze dei comportamenti emotivi ed irrazionali degli investitori; a tal proposito sarà importante definire anche il concetto di sentiment di mercato degli investitori. Sebbene i periodi di stress dei mercati finanziari, come ci dimostra la storia, possano avere cause e conseguenze assai diverse ed eterogenee, è comunque possibile ricondurre la struttura e l’evoluzione del fenomeno delle bolle speculative, e più in generale delle crisi finanziarie, ad alcuni modelli proposti dagli economisti Kindleberger-Minsky, da Shiller e soprattutto quello formalizzato da Lux che, approfondendo il concetto di comportamento gregario (herd behavior), dimostra come avviene la formazione del contagio tra gli investitori, cioè come le informazioni si propaghino con una velocità tale da ‘dirigere’ un’intera massa di investitori nella stessa direzione: in caso di conseguenze positive tutti ne avranno beneficio, in caso di conseguenze negative tutti ne subiranno i costi in egual misura. Infine, il terzo ed ultimo capitolo ci darà modo di mettere assieme tutti i concetti, teorici e pratici, contenuti nei capitoli precedenti grazie ad un’applicazione empirica ai mercati finanziari. In particolare, questo sarà fatto utilizzando lo strumento di backtest dei portafogli,
  • 7. Introduzione III ovvero una metodologia quantitativa e/o qualitativa utile per testare e valutare quali performance avrebbe ottenuto una determinata strategia di investimento applicata retroattivamente, cioè a partire da un determinato periodo nel passato grazie alla disponibilità delle serie storiche dei rendimenti delle attività finanziarie quotate nei vari mercati borsistici. Una volta definite le caratteristiche comportamentali di tre differenti tipologie di investitori, i cosiddetti ‘behavioral investor types’, saranno costruite le rispettive asset allocation strategiche con lo scopo di mettere in evidenza le tre differenti strategie d’investimento messe in atto dagli stessi lungo l’arco temporale oggetto del nostro studio. Successivamente, l’applicazione dell’operazione di backtesting per ciascuno dei portafogli d’investimento ci consentirà di determinarne alcuni degli indicatori di performance, di rendimento e di rischio. Tra questi ultimi porremo particolare attenzione ai cosiddetti drawdowns di portafoglio e, per tale ragione, saranno considerati tre dei più importanti periodi storici di stress dei mercati finanziari dell’ultimo ventennio, tra i quali lo scoppio della bolla dot.com dei primi anni 2000, la crisi finanziaria dei mutui subprime a partire dal 2007 e, infine, la crisi pandemica globale generata dal COVID-19; questo ci consentirà di valutare come le differenti strategie adottate dai tre diversi investitori abbiano affrontato tali periodi di turbolenza dei mercati finanziari. Per ultimo, supponendo l’adozione di un comportamento irrazionale in piena crisi, sarà interessante notare come questa strategia d’investimento sia in grado di influenzare fortemente i risultati ottenuti dalla precedente applicazione della tecnica di backtest.
  • 8. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 1 Capitolo 1 Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus – 1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità attesa – 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico – 1.3 La teoria del prospetto – 1.3.1 Effetto certezza, riflesso, isolamento – 1.3.2 Fasi della teoria – 1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione – 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale – 1.4.1 Euristiche del giudizio – 1.4.2 Bias cognitivi ed emozionali – 1.4.3 La procedura di correzione degli errori: il debiasing 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus La scuola classica, la cui nascita risale alla fine del ‘700, viene considerata la prima scuola moderna ovvero quella che pone le basi della scienza economica così come la conosciamo oggi. Il primo esponente del pensiero classico è lo scozzese Adam Smith (1723-1790), ritenuto il padre dell’economia politica. Tuttavia, la sua primordiale istruzione non è di carattere economico, dal momento che tale disciplina all’epoca non era ancora ritenuta di rilievo accademico, bensì egli riceve una istruzione filosofica sociale e morale, tanto che diviene, nel 1752, professore all’università di Glasgow proprio di filosofia morale. È proprio in quel momento della sua vita, precisamente nel 1759, alla quale è possibile ricondurre la sua prima pubblicazione intitolata ‘The Theory of Moral Sentiments’, teoria dei sentimenti morali, in cui analizza alcuni aspetti psicologici di un individuo e dei suoi comportamenti all’interno di un sistema morale. L’opera esordisce con la seguente affermazione: «Per quanto egoista lo si possa supporre, l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità»1, ed ancora, più avanti nella sua opera troviamo: «È normale che le persone si rovinino spendendo soldi in oggetti la cui utilità è in qualche modo banale. Ciò che piace a questi amanti degli oggetti di scarsa utilità non è tanto l'uso che ne fanno quanto l'idoneità degli oggetti stessi... l'intero uso che se ne fa non vale certo la fatica di sopportarne l'onere per procurarseli!»2 1 A. SMITH; The Theory of Moral Sentiments; 1759, parte I, sez. 1, cap. 1, p. 1. 2 Ivi, parte IV, cap. I, p. 97.
  • 9. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 2 Da questi due passaggi si può notare come il concetto di uomo razionale ed esclusivamente egoistico, messo in luce poi nella sua opera successiva ben più famosa sulla ricchezza delle nazioni (1776), era ancora un concetto non del tutto noto a Smith. Egli introduce, quindi, a fianco del concetto di uomo egoistico il concetto di ‘simpatia’ inteso come capacità di immedesimarsi nelle sensazioni, nelle passioni e nelle emozioni altrui; uno strumento tramite il quale condividere ciò di cui si è testimoni, fondare i propri giudizi e dedurne regole di comportamento in un sistema morale. In sintesi, l’essere umano idealizzato da Smith nel suo primo lavoro è caratterizzato da egoismo, vergogna, orgoglio, passioni e allo stesso tempo, in relazione con gli altri individui, da una capacità razionale interiore e di ragionamento in grado di autoregolare le emozioni stesse. Egli è come guidato da una bussola morale intrinseca3. Un altro esponente della corrente classica è il britannico John Stuart Mill (1806-1873), anch’egli filosofo. Nella sua opera ‘Autobiography’ del 1873 agli afferma: «Mai, in vero, ero stato titubante nella convinzione che tutte le norme della condotta e il fine della vita abbiano la loro riprova nella felicità. Ma ora pensavo che questo fine si dovesse raggiungere senza farne un fine diretto. Sono felici, credo, solo quelli che hanno il loro pensiero fissato su oggetti diversi dalla propria felicità, sulla felicità degli altri, sul progresso dell’umanità, o anche in un’arte o in una ricerca, proseguendoli non come mezzo ma come ideale fine a sé stesso. Mirando così a qualcos’altro, essi trovano la felicità sul loro cammino. … chiedetevi se siete felici e cesserete subito di esserlo»4. In questo passaggio della sua autobiografia s’intuisce come Mill decide di staccarsi dalle teorie prettamente utilitaristiche del suo maestro Jeremy Bentham5 (1748-1832). Anche egli, come Smith, integra il concetto di razionalità ed egoismo degli individui con la parte emotiva degli stessi, utile per contribuire al processo decisionale finale. È possibile affermare, quindi, che fin dalla scuola classica si è ravvisato un collegamento, una interazione tra sfera psicologica ed emotiva dell’essere umano con la sfera economica, intesa come sistema dentro cui tale essere interagisce con gli atri soggetti e persegue, anche, il proprio benessere. È con l’avvento della nuova scuola di pensiero verso la fine del 1800, quella degli economisti neoclassici, che questa interazione tra le due sfere, cognitiva ed economica, diventa sempre più debole fino ad annullarsi. Tale scuola, infatti, descrive l’economia come una scienza rigorosa ed esclusivamente quantitativa, i cui maggiori esponenti tra i quali Jevons (1835-1882), Menger (1840-1921) e Walras (1834-1910), sviluppano un concetto forte 3 M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 21. 4 J. S. MILL; Autobiography; 1873, cap. V, p. 118. 5 Bentham, ritenuto il padre dell’utilitarismo, nello spiegare la sua teoria si affida ad individui dotati di razionalismo assoluto
  • 10. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 3 e duraturo tale da essere considerato, fino agli anni ’70 del secolo successivo il concetto economico predominate, quello di homo economicus. Richard Thaler6, noto economista statunitense, in un suo famoso lavoro, contrappone la figura dell’Econ (abbreviativo di homo economicus), cioè l’entità economica astratta derivante dalle teorie neoclassiche, con la figura dello Human7, l’essere umano reale. Il primo, a differenza del secondo, è un agente dotato di una psicologia perfettamente razionale e possiede perfetta informazione e conoscenza, caratteristiche che lo rendono tale da avere, infine, una perfetta capacità di ‘calcolo’ e decisionale in ogni situazione ed in ogni fatto del mondo circostante. Detto questo, le sue analisi non sono soggette ad errori. L’homo economicus utilizza queste due grandi virtù esclusivamente per fini egoistici, quindi, compie delle azioni per il proprio tornaconto, per i propri interessi. Quindi, in termini economici potremmo dire che l’Econ, nel rispetto del proprio ordinamento di preferenze8, ha come obiettivo/vincolo la massimizzazione del proprio benessere, della sua utilità9 in condizioni di rischio o incertezza (constrained optimization), minimizzando i suoi costi. Thaler dà la seguente definizione: «Gli Econs non hanno passioni, sono ottimizzatori a sangue freddo»10 Volendo, ad esempio, applicare queste caratteristiche degli agenti economici in un mercato finanziario moderno, avremmo che chiunque, dotato di estrema razionalità e totale informazione, scambierebbe strumenti finanziari al giusto prezzo. Da quanto detto in precedenza è possibile, inoltre, individuare una differenza notevole dall’essere umano proposto da Smith e Mill, in quanto, in questo caso, lo ‘spietato’ egoismo dell’agente razionale lo porta a non entrare nella sfera emotiva caratterizzante una società morale, se non, esclusivamente, per accrescere il proprio interesse personale. L’homo economicus così descritto è amorale, materialista, indifferente verso il prossimo, tale per cui il benessere collettivo può essere inteso solo come un’aggregazione delle utilità dei singoli individui. Sulla base di questi presupposti, si sviluppa la teoria tradizionale dell’utilità attesa. 1.1.1 Cenni sulla teoria dell’utilità attesa 6 Insignito del premio Nobel per l’economia nel 2017 per “il suo contributo negli studi sull’economia comportamentale”. 7 R.H. THALER; Misbehaving: The Making of Behavioral Economics; New York: W. W. Norton & Company; 2015, cap. 1, pp. 2,3. 8 Ad esempio, nella teoria del consumatore rappresenta la classificazione soggettiva dei panieri di consumo (cioè un insieme di beni) in base alla loro desiderabilità. Tuttavia, il concetto di ordinamento può essere anche utilizzato in altri ambiti, inteso come ordinamento tra alternative, azioni. 9 Intesa come misura della felicità. 10 R.H. THALER; op. cit., p. 4.
  • 11. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 4 «Se gli esseri umani sono perfettamente razionali, possiedono informazioni perfette e un perfetto interesse personale, allora forse il loro comportamento può essere quantificato»11 La teoria dell’utilità attesa fonda le sue prime basi teoriche sul lavoro di Daniel Bernoulli risalente al 1738 intitolato ‘Esposizione di una nuova teoria di misura del rischio’ in cui il matematico e fisico svizzero cercò di trovare una soluzione al cosiddetto ‘Paradosso di San Pietroburgo’12, ovvero un particolare gioco d’azzardo che, a detta dello stesso studioso, si praticava nella città russa, da cui prese il nome. Tuttavia, una prima formulazione adeguata del teorema è relativamente recente e risale, infatti, al 1944 grazie all’operato del matematico John Von Neumann (1903-1957) e all’economista Oskar Morgenstern (1902- 1977) nella loro pubblicazione di ‘Theory of games and Economic Behavior’13. Tale teoria spiega il comportamento decisionale di un agente economico, sia questo un investitore, un consumatore, una famiglia, un manager etc., in condizioni di rischio e incertezza, sulla base dell’ipotesi che l’utilità attesa finale dell’agente possa essere espressa come una media ponderata delle utilità che si ottengono nei vari stati del mondo14 i cui pesi sono rappresentati dalle probabilità con cui si verificano gli stessi. La funzione di utilità in questione, denominata anche funzione di utilità Von Neumann-Morgenstern può essere così definita: 𝐸𝑥𝑝𝑒𝑐𝑡𝑒𝑑 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡𝑦 = 𝑈(𝐿) = 𝑈(𝑊1, 𝑊2, … , 𝑊 𝑛; 𝜋1, 𝜋2, … , 𝜋𝑛) = 𝑢(𝑊1)𝜋1 + 𝑢(𝑊2)𝜋2 + ⋯ + 𝑢(𝑊 𝑛)𝜋𝑛 = ∑ 𝑢(𝑊𝑖)𝜋𝑖 𝑛 𝑖=1 dove 𝜋𝑖 rappresenta la probabilità che si verifichi l’𝑖 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 stato del mondo (si sottolinea che nel caso discreto ∑ 𝜋𝑖 = 1 𝑛 𝑖=1 e nel caso continuo ∫ 𝜋(𝑛)𝑑𝑛 = 1 𝑛 0 ); 𝑊𝑖 può essere visto come l’esito o il risultato o la conseguenza, attribuendo a tali elementi un valore monetario, in relazione allo stesso stato del mondo 𝑖 − 𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 ed infine 𝑢(𝑊𝑖) è denominata funzione di utilità elementare ed esprime la desiderabilità che ha l’agente economico rispetto a quel determinato esito, in termini più semplici, esprime quanto è “felice” di ottenere quell’esito in particolare, tanto che la funzione di utilità elementare è spesso denominata ‘felicity function’ in lingua anglosassone. Affinché si possa ricorrere alla teoria dell’utilità attesa è necessario che 𝑢(∙) sia una misura ‘cardinale’, tale per cui è possibile considerare solo trasformazioni lineari positive dell’utilità attesa al fine di non alterare 11 M. POMPIAN; Op. Cit.; p. 15. 12 Gioco in cui la vincita media tende all’infinito con l’aumentare del numero di lanci per cui è tale da “ripagare” qualunque tipo di somma investita per partecipare al gioco. Bernoulli, tuttavia, dimostra che gli individui, ritenuti ragionevoli, sono disposti a pagare solo una minima somma per partecipare allo stesso, da cui il paradosso. 13 Data la validità delle basi concettuali di Bernoulli quasi due secoli prima, la teoria di Von Neumann- Morgenstern è definita anche ‘impostazione neobernoulliana’. 14 Anche detti stati di natura. Rappresentano le possibili alternative che possono verificarsi con una data probabilità entro cui si esplicita l’azione dell’agente che non conosce, ex-ante, quale stato si verificherà.
  • 12. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 5 l’ordinamento di preferenze delle azioni di un agente. 𝑈(𝐿) esprime l’utilità attesa della ‘Lottery’15 in questione. Come detto in precedenza, questa teoria si applica al concetto di uomo economico razionale, perfettamente informato ed in grado di effettuare ‘questi calcoli’ in maniera precisa e rigorosa, comprendendo con esattezza gli esiti associati a ciascuno stato del mondo. È facile intuire quindi che l’Econ sceglierà sempre ciò che gli conferisce la maggiore utilità attesa possibile messo di fronte a varie alternative incerte o rischiose, questo perché, preferirà sempre essere più ricco anziché esserlo di meno. La seguente Figura 1.1 ci aiuta ad illustrare con estrema chiarezza il concetto di utilità marginale16 della ricchezza crescente (𝑢(∙)′ > 0, derivata prima positiva) ma ad un tasso decrescente (𝑢(∙)′′ < 0, derivata seconda negativa). Si sta considerando in questo caso un agente economico caratterizzato da avversione al rischio, peculiarità che si rifletta nella forma della funzione. Figura 1.1 Funzione di utilità Fonte: R.H. THALER; Misbehaving: The Making of Behavioral Economics; p. 12. Come si può notare, in seguito ad un aumento del livello di ricchezza pari a $10,000, l’incremento del livello di utilità per chi è ‘più povero’ è di gran lunga superiore rispetto a chi, di partenza, è ‘più ricco’. 15 Anche nota come ‘prospetto’. Con tale termine ci si riferisce ad uno strumento che consente di analizzare il comportamento degli agenti economici in condizioni di incertezza. Una lotteria è composta da vari stati del mondo, in corrispondenza dei quali corrispondono vari esiti in base alle azioni intraprese dagli agenti. 16 Tale concetto nasce nel periodo della scuola neoclassica. Esprime l'incremento del livello di utilità di cui un soggetto beneficia dal consumo di un’unità aggiuntiva di un bene.
  • 13. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 6 ESEMPIO Si consideri per semplicità il seguente prospetto17: Stato del mondo 1. Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟏 Stato del mondo 2. Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟐 Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 𝑊12 Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 𝑊22 In questo caso, l’agente economico si trova di fronte a due differenti stati del mondo, ciascuno con la rispettiva probabilità di verificarsi. Egli può compiere o la scelta 1 o la scelta 2 (le possiamo intendere come singole lotterie) alle quali corrispondono le relative conseguenze monetarie nei due stati. Per comprendere meglio, possiamo interpretare, ad esempio, l’agente economico come un investitore individuale che è libero di investire la propria liquidità in due strumenti finanziari differenti (le nostre scelte 1 o 2) dai quali ottiene due rispettivi rendimenti finanziari. Per ciascuna di queste conseguenze monetarie, o rendimenti finanziari, egli è in grado di misurare la propria desiderabilità della stessa, definisce cioè la sua funzione di utilità elementare soggettiva. Il prospetto precedente diventa quindi: Stato del mondo 1. Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟏 Stato del mondo 2. Probabilità che si verifichi: 𝝅𝟐 Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑢(𝑊11) 𝑢(𝑊12) Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑢(𝑊21) 𝑢(𝑊22) A questo punto, in base a quanto discusso in precedenza, l’agente razionale effettuerà la scelta che massimizza la sua utilità attesa. Concludendo con un esempio numerico: Stato del mondo 1. Probabilità 𝝅𝟏 = 𝟔𝟎% Stato del mondo 2. Probabilità 𝝅𝟐 = 𝟒𝟎% Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 = 40€ 𝑊12 = 80€ Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 = 50€ 𝑊22 = 70€ La funzione di utilità elementare del soggetto è di tipo 𝑢(𝑊𝑖) = 𝑊𝑖 2 , per cui: 17 In questo esempio puramente indicativo l’agente si trova di fronte ad un unico prospetto con molteplici scelte. È chiaro che potrebbe anche fronteggiare la situazione in cui si trova di fronte a tanti prospetti caratterizzati da una singola scelta. Ciò che conta, è la situazione di incertezza in sé.
  • 14. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 7 Stato del mondo 1. Probabilità 𝝅𝟏 = 𝟔𝟎% Stato del mondo 2. Probabilità 𝝅𝟐 = 𝟒𝟎% Scelta 1 = 𝑳𝟏 𝑊11 = 1.600€ 𝑊12 = 6.400€ Scelta 2 = 𝑳𝟐 𝑊21 = 2.500€ 𝑊22 = 4.900€ Si ottiene che: 𝑈(𝐿1) = 1600€ ∗ 0.6 + 6400€ ∗ 0.4 = 3.520€ 𝑈(𝐿2) = 2500€ ∗ 0.6 + 4900€ ∗ 0.4 = 3.460€ L’agente economico razionale effettuerà sempre la prima scelta, in quanto 𝑈(𝐿1) > 𝑈(𝐿2). □ Un breve approfondimento, ma doveroso, è relativo alla funzione di utilità elementare 𝑢(∙), che può avere varie forme e caratteristiche in base a quella che è la tipologia di agente economico. Nella Figura 1.1 precedente si è considerato il caso di un agente avverso al rischio, la cui funzione di utilità è concava. Se invece tale funzione è lineare, l’individuo è neutrale al rischio ed infine se è convessa descrive le preferenze di un individuo propenso al rischio. La seguente Figura 1.2 sintetizza questi concetti. Figura 1.2 Funzioni di utilità e atteggiamento nei confronti del rischio AVVERSIONE AL RISCHIO • 𝑢(∙)′ > 0 • 𝑢(∙)′′ < 0 NEUTRALITA’ AL RISCHIO • 𝑢(∙)′ > 0 • 𝑢(∙)′′ = 0
  • 15. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 8 PROPENSIONE AL RISCHIO • 𝑢(∙)′ > 0 • 𝑢(∙)′′ = 0 Fonte: D. FIASCHI, N. MECCHERI; Economia dei mercati finanziari; 2018, pp. 42, 45, 47 Ad esempio, nella teoria degli investimenti finanziari, la costruzione di un portafoglio adeguatamente diversificato al fine di ridurre e ripartire il rischio contiene implicitamente l’ipotesi di avversione allo stesso da perte dell’agente economico. Si è introdotto, nel corso della discussione, il concetto di ordinamento di preferenze. Partiamo dicendo che un soggetto economico razionale deve essere sempre in grado di esprimere il proprio ordinamento tra diverse alternative o, ad esempio, tra le diverse scelte viste nell’esempio precedente. Tale ordinamento, seppur soggettivo e quindi diverso da quello degli altri agenti, deve rispettare alcune regole generali valide per ogni individuo, sulle quali si poggia la teoria dell’utiltà attesa. Infatti, gli stessi Von Neumann e Morgenstern partirono dai seguenti assiomi, esposti di seguito, al fine di introdurre la teoria della decisione razionale. 1. ASSIOMA DI COMPLETEZZA Per ogni alternativa X ed Y appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, vale che 𝑋 ≥ 𝑌 (preferenza debole) oppure 𝑌 > 𝑋 (preferenza stretta). Questo assiome ci dice che un individuo razionale, posto di fronto a una duplice scelta, riesca sempre a confrontare delle alternative e ad ordinarle in base alle proprie preferenze. Non esiste il caso in cui un individuo non sia in grado di farlo; 2. ASSIOMA DI RIFLESSIVITA’ Per ogni alternativa X appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, X è indifferente a sé stessa, cioè 𝑋~𝑋; 3. ASSIOMA DI TRANSITIVITA’ Per ogni alternativa X, Y e Z appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, se 𝑋 ≥ 𝑌 e 𝑌 ≥ 𝑍, dalla logica aristotelica, vale allora che 𝑋 ≥ 𝑍; 4. ASSIOMA DI CONTINUITA’ Data un alternativa Y, esiste sempre un insieme di possibili alternative preferite ad Y e un insieme di possibili alternative dispreferite ad Y. Tuttavia, l’individuo tra questi due
  • 16. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.1 Evoluzione del pensiero economico: la nascita dell’homo economicus 9 insiemi è sempre in grado di individuare infinite alternative che lo rendono indifferente ad Y; 5. ASSIOMA DI NON SAZIETA’ (o di MONOTONICITA’ FORTE) Per ogni alternativa X ed Y appartenente all’insieme di tutte le alternative possibili, se vale che 𝑋 ≥ 𝑌 ma 𝑋 ≠ 𝑌 allora, di conseguenza, 𝑋 > 𝑌. Vale a dire che, se le due alternative non coincidono esattamente tra loro, allora in base alla razionalità, l’individuò sceglierà sempre quella preferisce maggiormente; 6. ASSIOMA DI INDIPENDENZA Supponiamo l’esistenza di due possibili alternative X ed Y e che l’individuo, in base alla proprire preferenze, sia in grado di ordinarle, ad esempio 𝑋 > 𝑌. Si introduce a questo punto una terza alternativa Z. L’individuo si trova di fronte a due prospetti: a) X con probabilità 𝛼 e Z con probabilità 1 − 𝛼; b) Y con probabilità 𝛼 e Z con probabilità 1 − 𝛼. L’individuo sceglie il prospetto a) perché l’esito Z è comuni ad entrambi i prospetti, mentre tra X ed Y preferisce già in partenza X ad Y. In sintesi, nel momento in cui si introduce un’alternativa che non altera il processo decisionale di un agente razionale, egli sceglie solo in base a ciò che differisce tra i due prospetti. Concludendo, è possibile affermare che, se sono soddisfatti questi assiomi in un processo di scelta razionale, allora è possibile applicare la teoria dell’utilità attesa; viceversa, se è possibile applicare la teoria dell’utilità attesa allora gli assiomi sono verificati.
  • 17. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 10 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico La teoria neoclassica basata sull’agente economico perfettamente razionale e sull’utilità attesa è stata, e continua ad essere ancora oggi, di grande importanza. Tantissime sono le relative applicazioni (alcune di queste le vedremo nel corso della trattazione), che hanno contribuito allo sviluppo essenziale delle scienze economiche e finanziarie che conosciamo oggi. Nonostante porti con sé un livello notevole di astrazione e di semplificazione della realtà, questa teoria viene generalmente accettata dalla maggioranza degli economisti dell’epoca che eliminano le relazioni dell’aspetto psicologico degli individui nei modelli economici. Tuttavia, nel corso del ‘900, alcuni economisti iniziano a muovere le prime critiche alle ipotesi sottostanti queste teorie, dell’homo economicus e dell’utilità attesa, ritenute troppo irrealistiche e poco aderenti al contesto reale, sociale ed economico. Difatti, già il continuo alternarsi di periodi di crescita economica con periodi di forti crisi finanziarie fino ad allora (ricordiamo la crisi del 1929) era sintomatico della presenza di agenti economici che, evidentemente, non erano del tutto razionali, perfettamente informati e sempre capaci di calcolare con precisione le conseguenze delle proprie decisioni in condizioni di incertezza. John Maynard Keynes (1883-1946), noto economista britannico, ritenuto il padre della macroeconomia e fondatore della nuova scuola di pensiero, appunto keynesiana, è colui che riapre il discorso tra sfera psicologica e sfera economica, nel tentativo di confutare le ipotesi della scuola neoclassica. Nella sua opera più famosa, risalente al 1936 ‘The General Theory of Employment, Interest and Money’, sulla teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, egli introducendo per la prima volta in ambito economico il concetto di ‘animal spirits’ smentisce in una sola affermazione sia l’approccio della razionalità assoluta sia quello dell’utilità attesa: «Anche tralasciando l’instabilità dovuta alla speculazione, c’è l’instabilità dovuta alla caratteristica intrinseca della natura umana che gran parte delle nostre attività positive dipendono dall’ottimismo spontaneo piuttosto che dalle aspettative matematiche, sia morali che edonistiche o economiche. La maggior parte, probabilmente, delle nostre decisioni di fare qualcosa di positivo, le cui conseguenze saranno estese per molti giorni a venire, possono essere prese solo come risultato di “spiriti animali”: una spinta spontanea all’azione piuttosto che all’inazione, e non come il risultato di una media ponderata di benefici quantitativi moltiplicata per probabilità quantitative.»18 L’uomo economico, quindi, è guidato da uno spirito animale fatto di irrazionalità, di istinto, di intuizione personale svincolata da analisi rigorose e, non meno importanti, da emozioni forti che in alcuni momenti della vita possono portarlo all’assunzione di rischi 18 J.M. KEYNES; The General Theory of Employment, Interest and Money; Palgrave Macmillan; 1936, p.81.
  • 18. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 11 notevoli perché non tutto si basa su un processo decisionale ottimizzante, pienamente informato e ragionato come quello astratto dell’homo economicus. Concludendo, all’indomani della ‘Grande depressione’, secondo Keynes, alla base dell’alternarsi dei cicli economici, delle fluttuazioni finanziarie dei mercati, delle crisi che colgono di sorpresa gli investitori c’è anche il continuo alternarsi dei comportamenti e degli stati d’animo degli agenti economici che governano i mercati, qualcosa che non può essere calcolato e previsto da un semplice modello matematico. Delle vere e proprie tendenze psicologiche di massa che non possono più essere ignorate. Alcuni anni più avanti, in un libro dell’economista Milton Friedman, si inserirà una citazione attribuita allo stesso Keynes nell’anno 1931. Questa afferma che: «Non vi è nulla di più pericoloso che il perseguimento di una politica di investimento razionale, in un mondo irrazionale.»19 Il tema degli spiriti animali verrà poi ulteriormente approfondito in chiave contemporanea da George Akerlof e Robert Shiller, entrambi premi Nobel per l’economia, nel 2009 nel libro ‘Spiriti animali. Come la natura umana guida l'economia e perché è importante per il capitalismo globale’, e sarà oggetto di spunti utili nel prosieguo della trattazione. La copertina dell’opera, rappresentata di seguito, sintetizza brillantemente i concetti esposti in precedenza Figura 1.3 Nella copertina, gli spiriti animali ‘guidano’ le oscillazioni del mercato Fonte: G. AKERLOF e R. SHILLER, Animal Spirits. Un’altra critica di rilievo mossa nei confronti del pensiero neoclassico si deve ad Herbert Simon20 (1916-2001), economista e psicologo statunitense. «Quindi, per avere qualcosa di simile a una teoria completa della razionalità umana, dobbiamo capire quale ruolo gioca l'emozione in essa.»21 19 https://quoteinvestigator.com/ 20 È stato il primo psicologo insignito del premio Nobel per l'economia nel 1978 "per le sue pionieristiche ricerche sul processo decisionale nelle organizzazioni economiche". 21 H. SIMON; Reason in Human Affairs; 1983, p.29.
  • 19. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 12 Egli, nel 1957 in ‘Models of Man: social and rational’ propone, per la prima volta, il concetto di ‘bounded rationality’, cioè di razionalità limitata, e lo introduce non come un ripudio netto della teoria neoclassica ma più come un suo sviluppo. Infatti, nella teoria di Simon, come è possibile intuire, il concetto di razionalità umana non scompare del tutto, non rappresenta un concetto assolutamente astratto, ma deve rivisitato attraverso una visione più conforme alla realtà. La limitatezza della razionalità umana, infatti, è dovuta a vari fattori quali: ▪ la scarsità delle informazioni disponibili da un agente economico o, talvolta, dai costi di acquisizione delle informazioni stesse nel presente; ▪ la limitatezza dell’arco temporale entro cui un soggetto è chiamato a prendere decisioni in situazioni di incertezza (mancanza di tempo); ▪ limiti del sistema cognitivo degli agenti economici e delle sue risorse. Tra questi, sicuramente l’ultimo merita di essere approfondito. In particolare, una spiegazione per cui un individuo possa fallire nel prendere decisioni razionali che massimizzino il suo benessere è dovuta alla limitatezza delle proprie risorse cognitive. Egli infatti, posto di fronte ad un problema decisionale particolarmente complesso potrebbe non essere in grado di ‘risolverlo’, di prestare la stessa attenzione per tutte le possibili scelte o alternative che può compiere (limite di attenzione), di elaborare correttamente tutte le informazioni in suo possesso (limite della memoria di lavoro), di immagazzinare e poi riprendere tutti i ragionamenti che ha compiuto (limite della memoria a lungo termine) e, infine, di effettuare una scrematura delle informazioni utilizzando esclusivamente quelle ragionevolmente utili alla sua scelta (limite nella coerenza delle conoscenze)22. In queste condizioni, la decisione finale presa non sarà quella ottimale. Sottolineiamo che, tutti questi, sono procedimenti che l’homo economicus idealizzato dalla scuola neoclassica riesce a fare senza alcun tipo di difficoltà. La Figura 1.4 sintetizza i concetti esposti: Figura 1.4 Natura e conseguenza della razionalità limitata Fonte: a cura dell’autore. 22 https://www.matematicamente.it/approfondimenti/problem-solving/sp-3955/
  • 20. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.2 Critiche e sviluppi del pensiero neoclassico 13 Infine, per concludere la trattazione relativa ai punti critici della visione neoclassica del problema decisionale e ad alcuni suoi possibili sviluppi, arriviamo quasi verso la fine del XX secolo, in particolare nel 1972, quando sulla famosa rivista accademica britannica ‘The Journal of Finance’ viene pubblicato un lavoro dal nome ‘Psychological Study of Human Judgment: Implications for Investment Decision Making’ da parte dello psicologo Paul Slovic (1938-). Egli, seguendo la teoria espressa da Simon, cita una frase di Smith con cui è d’accordo, introducendo così il tema della psicologia applicata ai moderni mercati finanziari: «… non c’è alcuna scienza. È un’arte. Ora noi abbiamo i computer e qualunque tipo di calcolo statistico può essere effettuato, ma il mercato è sempre lo stesso e riuscire a capirlo non è ancora una cosa semplice. È intuizione personale, rilevare diversi modelli di comportamento… »23 Slovic, partendo da questa citazione, espone in chiave moderna il concetto di perfetta informazione sui mercati finanziari di un agente economico. In particolare, egli ammette che la tecnologia più recente fornisce a chiunque la possibilità di essere sempre più informato in merito ad una molteplicità di aspetti, rispetto ai decenni precedenti, colmando alcune lacune informative, ma ciò su cui si pone poca attenzione è la capacità di interpretare abilmente questa mole enorme di informazioni al fine di riuscire a prendere la decisione ottimale di investimento. Tema, questo, molto simile ai limiti esposti da Simon. Nello stesso lavoro, viene infine approfondito il tema della percezione del rischio. In particolare Slovic individua delle situazioni, dei fattori che incidono a sottostimare e sovrastimare il rischio percepito creando così una divergenza tra rischio oggettivo e rischio soggettivo. È anche questa fuorviante interpretazione del rischio in alcuni contesti che porta un agente economico a prendere delle decisioni non ottimali per sé stesso, le cui conseguenze saranno visibili nell’immediato ma soprattutto nel futuro. È proprio sulla base di queste critiche, di queste differenti vedute dello stesso problema, ovvero delle scelte in condizioni di incertezza degli agenti economici, che ci si allontana sempre di più dalle teorie dell’homo economicus e dell’utilità attesa in favore di una nuova teoria, meno astratta e più applicata alla realtà. 23 P. SLOVIC; Psychological Study of Human Judgment: Implications for Investment Decision Making; The Journal of Finance, 1972, p.3.
  • 21. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 14 1.3 La teoria del prospetto Nata dal lavoro di due psicologi israeliani, Daniel Kahneman24 (1934-) e Amos Tversky (1937-1996), la prospect theory viene enunciata e descritta per la prima volta nel 1979 nel paper intitolato ‘Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk’ pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica ‘Econometrica’. Essa costituisce la base teorica, ma soprattutto sperimentale, su cui si svilupperanno nel corso degli anni a seguire l’economia e la finanza comportamentale. Nell’introduzione al paper, anche questa nuova teoria, nasce dalle critiche rivolte alle due colonne portanti del pensiero neoclassico, l’homo economicus e l’utilità attesa, mettendo in discussione molte delle assunzioni fatte nella precedente trattazione. Tuttavia, come specificato dagli stessi autori, questa teoria non ha l’obiettivo di sostituire o eliminare del tutto la precedente, bensì si propone di esserne una sua ‘evoluzione’ o integrazione, una sua applicazione alla realtà, ai casi concreti in cui un agente economico si trovi di fronte ad una decisione in condizioni di incertezza. Seguendo questo approccio proposto da Kahneman e Tversky si intuisce come entrambe le teorie possano quasi essere complementari e costituire un unico studio del processo decisionale, non come sostitute. Nasce, dunque, l’esigenza di definire una sostanziale differenza tra teorie cosiddette normative (o prescrittive) e teorie positive (o descrittive). Le prime si occupano di definire principi e regole ottimali per il raggiungimento di un determinato obiettivo o risultato. Considerano una scelta come frutto della razionalità, escludendo dal processo decisionale qualunque tipo di giudizio morale. Seguendo tali principi e regole, la scelta sarà sempre ‘la migliore’ per l’individuo che la effettua, tra l’insieme delle possibili scelte. Le seconde si occupano, invece, di descrivere e spiegare i fatti in un contesto reale, non astratto. La scelta, seppur partendo da una ipotesi di razionalità, è soggetta alle influenze dalla sfera emotiva e cognitiva del soggetto che, in quanto tale, è inserito nel contesto reale, e ne determinano il processo decisionale. In conclusione, la scelta potrebbe non essere ‘la migliore’. Fatta questa doverosa precisazione, è facile a questo punto capire il perché, in ambito finanziario, i due psicologi proposero un legame tra le due teorie: quella tradizionale funge da teoria normativa mentre quella comportamentale da teoria positiva. Potremmo anche definire la teoria dell’utilità attesa come un benchmark grazie al quale valutare la bontà delle scelte reali fatte dagli agenti economici25. Secondo Thaler, infine, l’errore della scuola neoclassica 24 È stato il secondo psicologo, dopo Simon, ad essere insignito del premio Nobel per l’economia nel 2002 per “avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza” 25 E. RUBALTELLI; Teoria del prospetto: avversione alla perdita, Framing, “Senno di poi”, Conflitti, Costi Sommersi; 2017, p. 2.
  • 22. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 15 è stato quello di considerare la propria teoria sia come modello astratto sia come applicazione pratica26. È possibile schematizzare quanto sopra esposto nella Figura 1.5, in un’accezione tipicamente finanziaria: Figura 1.5 Teoria normativa e teoria positiva Fonte: a cura dell’autore. Il termine ‘prospetto’, approfondito in precedenza e posto alla stessa stregua del termine lotteria, rappresenta la traduzione più utilizzata, in tale ambito, del termine anglosassone ‘prospect’. Tuttavia, si ritiene opportuno sottolineare che, sebbene spesso si scelga di non tradurre affatto il termine in italiano, la traduzione letterale del termine sta ad indicare in maniera più coerente la prospettiva o l’opzione legata alle scelte soggettive degli agenti27. 1.3.1 Effetto certezza, riflesso ed isolamento Kahneman e Tversky mettono in evidenza e dimostrano le violazioni dei principi di razionalità e di utilità attesa attraverso un approccio semplice ma innovativo, ovvero grazie ad una serie di esperimenti consistenti nel porre problemi ipotetici di scelta a studenti e docenti universitari. L’obiettivo non è più quello di individuare come dovrebbero comportarsi di fronte a determinate scelte, ma quello di individuare cosa incide e influenza fortemente il processo decisionale. In particolare, come risultato degli esperimenti condotti, i due autori individuano alcuni fenomeni psicologici che prendono il nome di ‘certainty effect’ (effetto certezza), ‘reflection effect’ (effetto riflesso) ed infine ‘isolation effect’ (effetto isolamento) che spieghiamo di seguito. CERTAINTY EFFECT – EFFETTO CERTEZZA 26 D. FIASCHI, N. MECCHERI; Op. Cit.; 2018, pp. 238-240. 27 D. KAHNEMAN; Pensieri lenti e veloci; Mondadori; 2011, p. 11.
  • 23. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 16 Questo effetto viene introdotto così dai due autori: «… le persone danno maggior peso agli esiti considerati certi, rispetto a quelli semplicemente considerati probabili… »28 Al fine di spiegare questa affermazione si ricorre ad alcuni problemi decisionali, che riportiamo in seguito nella versione originale del paper, basati sull’esempio proposto alcuni decenni prima, nel 1953, dal fisico ed economista Maurice Allais29 che diede origine al cosiddetto ‘Paradosso di Allais’. Si considerino i due seguenti problemi in cui gli esiti possibili di ciascuna alternativa (ogni esito ha una rispettiva probabilità di verificarsi), per semplicità, possono essere intesi come somme monetarie in euro: PROBLEMA 1 Alternativa A Alternativa B Esito Probabilità Esito Probabilità 2.500,00 33% 2.400,00 100% 2.400,00 66% 0,00 1% PROBLEMA 2 Alternativa C Alternativa D Esito Probabilità Esito Probabilità 2.500,00 33% 2.400,00 34% 0,00 67% 0,00 66% Attraverso tali schemi decisionali si è ottenuto che nel PROBLEMA 1 ben l’82% delle 72 persone alle quali sono stati proposti entrambi i problemi ha scelto l’alternativa B. Nel PROBLEMA 2, l’83% dello stesso campione, ha scelto l’alternativa C (per maggiore chiarezza visiva le alternative preferite sono nel riquadro rosso). Si dimostra che, questo schema di scelte (pattern of choice) ottenuto, vìola la teoria dell’utilità attesa; infatti, con 𝑢(0) = 0, abbiamo che: PROBLEMA 1 𝑢(2.400,00) > 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33 + 𝑢(2.400,00) ∗ 0.66 da cui 𝑢(2.400,00) ∗ 0.34 > 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33 che è il contrario di: 28 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk; Econometrica, 1979, p.265. 29 Insignito del premio Nobel per l’economia nel 1988 per “i suoi contributi determinanti per la teoria dei mercati e l'utilizzo efficiente delle risorse”.
  • 24. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 17 PROBLEMA 2 𝑢(2.400,00) ∗ 0.34 < 𝑢(2.500,00) ∗ 0.33 In sintesi, le scelte effettuate non sono tra di loro coerenti in base alla teoria dell’utilità attesa. Infatti, ricollegandoci all’affermazione con cui è stato introdotto l’effetto certezza, si noti che la presenza di un evento certo in un problema decisionale altera decisamente la capacità di valutazione delle probabilità di tutti gli altri possibili esiti. Inoltre, la possibilità di non avere alcun esito monetario con probabilità dell’1% rende particolarmente ostile la scelta dell’alternativa A, nonostante nel PROBLEMA 2 la scelta preferita dell’alternativa C incorpora in sé proprio quell’1% in più di non ottenere nulla. Questa incapacità di valutare oggettivamente le probabilità da parte degli individui può portare a prendere scelte più rischiose di altre, nonostante così non sembri. Viene meno uno dei cardini della teoria neoclassica, cioè la capacità degli individui di effettuare sempre calcoli rigorosi e precisi. «Ai risultati che sono quasi certi viene assegnato meno peso di quanto la loro probabilità non giustifichi»30 Per spiegare questo atteggiamento irrazionale da parte degli individui, gli stessi Kahneman e Tversky introducono, alcuni decenni dopo la nascita della prospect theory, il concetto di peso decisionale. Tale peso attribuito dagli individui tende a divergere dalle probabilità reali, nasce da qui la sovraponderazione o la sottoponderazione dei possibili risultati. In particolare, i due psicologi pervengono alla seguente Tabella 1.1: Tabella 1.1 Probabilità e peso decisionale Probabilità 0 1 2 5 10 20 50 80 90 95 98 99 100 Peso decisionale 0 5.5 8.1 13.2 18.6 26.1 42.1 60.1 71.2 79.3 87.1 91.2 100 Fonte: D. KAHNEMAN; Pensieri lenti e veloci; Mondadori; 2011, p. 261. Probabilità reale e peso decisionale attribuito dagli individui coincidono esclusivamente agli estremi della tabella, cioè quando un esito è del tutto impossibile o del tutto sicuro che si possa verificare. Tra i due estremi le divergenze sono notevoli. A sinistra della tabella notiamo la sovraponderazione di eventi improbabili (effetto possibilità) mentre a destra la sottoponderazione di eventi molto probabili (effetto certezza). Inoltre si noti come: ovvero, il range nel peso decisionale ottenuto dallo scarto di due punti percentuali reali verso le due estremità è molto più consistente sull’effetto certezza che su quello di 30 D. KAHNEMAN; Op. Cit.; 2011, p. 258.
  • 25. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 18 possibilità; quindi tra i due, l’effetto certezza è ‘più forte’, incide di più nelle decisioni degli individui. Vien da sé, infine, che l’homo economicus astratto della teoria neoclassica non ha divergenze tra probabilità e peso decisionale in quanto egli è perfettamente razionale. □ REFLECTION EFFECT – EFFETTO RIFLESSO Al fine di presentare questo fenomeno, Kahneman e Tversky utilizzano lo stesso approccio sperimentale adottato nel caso precedente. Tuttavia, in questa circostanza, introducono la presenza di esiti negativi, cioè di esiti che comportano delle perdite monetarie, oltre agli esiti positivi, che invece comportano dei guadagni, come visto in precedenza. Si analizzano di seguito due prospetti simmetrici, ciascuno composto da quattro problemi. Il primo prospetto contiene solo esiti positivi, mentre il secondo solo esiti negativi di pari ammontare. La relazione di preferenza tra le alternative è espressa sia dal riquadro rosso sia dal simbolo matematico. Si noti infine che, per ridurre la complessità di notazione dei prospetti, è stato ovviamente omesso l’esito alternativo pari a 0,00 con probabilità complementare rispetto a quella riportata nel prospetto, ciò non altera il problema decisionale. Prospetto positivo Alternativa A Alternativa B Esito Probabilità Esito Probabilità PROBLEMA 1 4.000,00 80% < 3.000,00 100% PROBLEMA 2 4.000,00 20% > 3.000,00 25% PROBLEMA 3 3.000,00 90% > 6.000,00 45% PROBLEMA 4 3.000,00 0.2% < 6.000,00 0.1% Prospetto negativo Alternativa C Alternativa D Esito Probabilità Esito Probabilità PROBLEMA 1’ -4.000,00 80% > -3.000,00 100% PROBLEMA 2’ -4.000,00 20% < -3.000,00 25% PROBLEMA 3’ -3.000,00 90% < -6.000,00 45% PROBLEMA 4’ -3.000,00 0.2% > -6.000,00 0.1% Kahneman e Tversky individuano che le preferenze espresse dagli studenti e dai docenti ai quali sono stati posti i seguenti problemi sono esattamente opposte tra i due prospetti. Infatti, come si può notare, le relazioni di preferenza del prospetto con esiti negativi sono, come citano i due autori, l’immagine riflessa delle relazioni di preferenza del
  • 26. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 19 prospetto con esiti positivi. In sintesi, l’effetto riflesso che si verifica intorno allo zero inverte l’ordinamento di preferenze per problemi decisionali con esiti postivi e negativi. Partendo da questa semplice verifica empirica, i due autori giungono a tre importanti implicazioni: i. l’effetto riflesso, invertendo l’ordinamento di preferenza, inverte di conseguenza anche l’atteggiamento verso il rischio degli agenti. Nel caso di prospetti positivi si verifica l’avversione al rischio che, per gli stessi problemi decisionali nel caso di prospetti negativi, si tramuta in propensione al rischio; ii. richiamando quanto detto nel caso dell’effetto certezza che porta a sovraponderare o sottoponderare gli esiti positivi, certi o improbabili, e ciò risulta essere incoerente con la teoria dell’utilità attesa. Anche l’effetto riflesso, nel caso dei corrispondenti esiti negativi, vìola i principi di utilità attesa allo stesso modo. In seguito alla propensione al rischio nel caso delle perdite questo porta ad attribuire un peso eccesivo (maggiore preferenza) alle perdite semplicemente probabili o potenziali e un peso irrisorio (minore preferenza) nei confronti delle perdite certe; iii. l’effetto riflesso elimina l’avversione per l’incertezza e la variabilità degli esiti, caratteristiche riscontrate nel caso dell’effetto certezza. Per spiegare questo, è opportuno richiamare il concetto che gli individui preferiscono generalmente prospetti caratterizzati da un maggiore valore atteso e minore varianza degli esiti. Detto ciò, la perdita certa di -3.000,00 al 100% dovrebbe essere preferita rispetto alle perdite probabili di -4.000,00 all’80% o 0.00 al 20% (vedi PROBLEMA 1’) dal momento che la prima ha sia un maggior valore atteso che una minore varianza. Chiaramente questo è incoerente con i dati rilevati dai prospetti per via della presenza della propensione al rischio che altera la nozione in base alla quale la certezza è generalmente desiderabile. Arrivati a questo punto, dopo aver approfondito entrambi gli effetti strettamente legati tra di loro, concludiamo ricordando brevemente gli aspetti più rilevanti: gli individui cambiano atteggiamento verso il rischio nei casi in cui si trovino di fronte a problemi decisionali con soli guadagni o sole perdite; ed infine, la presenza di esiti certi aumenta, da una parte, l’indesiderabilità delle perdite, dall’altra, la desiderabilità dei guadagni. □ ISOLATION EFFECT – EFFETTO ISOLAMENTO ➢ Caso I: alterazioni delle preferenze dovute alle probabilità L’ultimo fenomeno psicologico individuato dai due autori viene denominato effetto isolamento in seguito alla tendenza, che hanno gli individui, di semplificare un problema
  • 27. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 20 decisionale complesso al fine di utilizzare le limitate risorse cognitive in loro possesso per poterlo risolvere. In particolare, al fine di effettuare questa semplificazione, gli individui scompongono mentalmente le alternative considerando soltanto le scelte ritenute più importanti ed infine, tra queste, ignorano le componenti che sono comuni alle stesse e focalizzano la propria attenzione esclusivamente sugli aspetti che differiscono. Tali individui, quindi, effettuano la propria scelta prendendo in considerazione soltanto questi aspetti. L’individuazione di alternative dominanti e dominate porta di frequente ad errori nella valutazione delle probabilità delle stesse e, conseguentemente, ad esprimere delle scelte incoerenti con i principi dell’utilità attesa dal momento che, i potenziali prospetti contenenti le alternative, possono essere scomposti in diversi modi e portare a diversi ordinamenti di preferenze tra le scelte. Il seguente esempio descritto nel paper dai due autori ci aiuterà a capire con facilità quanto detto. Si consideri un problema decisionale a due stadi in cui, al primo stadio, si ha una probabilità del 75% di concludere in anticipo il problema senza la possibilità di ottenere guadagni ed un 25% di probabilità di arrivare nel secondo stadio dove, il soggetto, è tenuto a scegliere tra due esiti positivi. Si noti che la scelta tra le alternative è effettuata prima che il problema decisionale abbia inizio, quindi prima di sapere il risultato del primo stadio. Problema decisionale a due stadi 1° STADIO Alternativa 1 Alternativa 2 Esito Probabilità Esito Probabilità Non partecipa 75% Partecipa 25% 2° STADIO Alternativa 1 Alternativa 2 Esito Probabilità Esito Probabilità 4.000,00 80% 3.000,00 100% All’inizio del seguente problema a due stadi, l’individuo si trova di fronte ai due possibili guadagni con probabilità di 0.25 ∗ 0.80 = 0.20 e di 0.25 ∗ 1.00 = 0.25 rispettivamente per gli importi 4.000,00 e 3.000,00 che, come già detto in precedenza, possiamo interpretare come somme monetarie in euro. Questi due possibili esiti con le rispettive probabilità appena calcolate del problema a due stadi, ci rimandano al PROBLEMA 2 visto nel caso dell’effetto riflesso, caratterizzato da uguali esiti e probabilità, in cui veniva preferita la prima alternativa alla seconda:
  • 28. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 21 PROBLEMA 2 4.000,00 20% > 3.000,00 25% Tuttavia, nel porre il problema decisionale a due stadi agli studenti e al corpo docente come fatto per tutti i precedenti problemi, Kahneman e Tversky individuano un cambiamento di preferenze: il 78% dei soggetti sceglie la seconda alternativa alla prima. PROBLEMA a due stadi 4.000,00 20% < 3.000,00 25% Il motivo per cui avviene questo è stato spiegato in precedenza. Gli individui, al fine di agevolare la risoluzione del problema, ignorano la presenza del 1° stadio dello stesso e decidono di focalizzarsi esclusivamente sugli esiti che differiscono. Questo induce ad una scelta incoerente, dettata da una erronea valutazione delle probabilità. È proprio in questa fattispecie che si spiega il concetto di ‘isolamento delle probabilità’. Difatti, è come se il problema a due stati presentato fosse semplicemente una copia del PROBLEMA 1: PROBLEMA 1 4.000,00 80% < 3.000,00 100% Kahneman e Tversky, infine, dimostrano che le scelte possono essere alterate in seguito all’effetto isolamento anche nel caso in cui siano gli esiti del problema decisionale ad essere presentati in maniera differente31 agli individui e non le probabilità, come visto finora. Tuttavia, le conclusioni alle quali si perviene sono le stesse. □ Grazie a queste evidenze empiriche ed i conseguenti fenomeni psicologici che inducono alla violazione costante dei principi di razionalità e dell’utilità attesa, si possono facilmente desumere alcuni ulteriori concetti chiave impliciti che giocano un ruolo fondamentale sia nella scelta finale da parte dei soggetti sia, in generale, in tutta la prospect theory. Il primo concetto che merita di essere citato è il cosiddetto effetto framing (o frame dependence), tradotto come effetto contesto o inquadramento. Kaheneman e Tversky lo ritengono talmente fondamentale nel processo decisionale tanto da dedicarci svariate opere negli anni a seguire, tra cui “The framing of decisions and the psychology of choice” in cui è riportato il famoso esperimento relativo al ‘problema della malattia asiatica’32. Alcune 31 Il ►Caso II: alterazioni delle preferenze dovute agli esiti è dimostrato in appendice al fine di evitare di appesantire la corrente trattazione. 32 Anche in questo caso si fornisce la versione originale dell’esperimento in appendice.
  • 29. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 22 evidenze del framing sono state già affrontate nel caso dell’effetto riflesso ed isolamento. Nel primo caso si è visto come, cambiando il contesto tra prospetto con esiti positivi (potenziali guadagni) e prospetto con esiti negativi (potenziali perdite), le preferenze venissero completamente ribaltate. Nel secondo caso, invece, è bastato che il problema decisionale fosse posto con uno schema a due stadi anziché con uno schema standard, per produrre una scelta differente ed incoerente nonostante gli esiti e le probabilità finali fossero uguali. Si intuisce che questo è un comportamento irrazionale sistematico. Ciò che stiamo dicendo è che il contesto in cui il soggetto decisore agisce induce ad influenzarne la scelta finale, il modo in cui egli inquadra la sua situazione iniziale rispetto alla decisione può indurlo a fare scelte eterogenee seppur in presenza di problemi decisionali formalmente uguali. Un problema, infatti, può presentarsi o essere formulato in una molteplicità di modi, anche in termini di linguaggio dando volutamente maggiore enfasi ad alcune informazioni rispetto ad altre, per cui può suscitare emozioni e reazioni contrastanti nel soggetto chiamato a decidere. Sono tantissime le applicazioni dell’effetto framing nella realtà per cui, questo concetto, rappresenta una delle migliori dimostrazioni del contrasto con i principi della razionalità e dell’utilità attesa in base ai quali, indipendentemente da come un problema si presenta, l’individuo sceglie sempre ciò che massimizza la sua utilità finale33. Figura 1.6 Indecisione da contesto Fonte: https://www.sharingtourism.it/conquista-il-cliente/effetti-di-framing-e-up-selling-per-aumentare-i-ricavi-in-hotel/ Un altro aspetto che si rileva dalla trattazione fatta finora è quello relativo al cosiddetto reference point, cioè il punto di riferimento, definito da Kahneman e Tversky come il punto in base al quale valutare i guadagni o le perdite di un problema decisionale. Tuttavia, da quanto si è detto, è chiaro che il ‘posizionamento’ del punto di riferimento può essere influenzato dal modo in cui il problema si presenta, dal modo in cui vengono formulati i 33 L. F. ACKERT, R. DEAVES; Behavioral finance: psychology, decision-making and markets; 2009, p.14.
  • 30. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 23 possibili esiti e dalle aspettative del soggetto decisore34. Come si è visto nell’effetto riflesso, nel momento iniziale in cui si valutano guadagni o perdite, questo incide particolarmente su come verranno percepite delle potenziali variazioni di ricchezza future. Gli individui tendono quindi a valutare i possibili esiti di un problema più come una variazione dal punto di riferimento anziché in termini assoluti. Ad esempio, per due soggetti che collocano il proprio punto di riferimento in maniera soggettiva, uno stesso esito può essere percepito come un guadagno per l’uno ed una perdita per l’altro. Per tali ragioni, solitamente, in ambito finanziario, il reference point corrisponde al punto di partenza determinato dalla ricchezza attuale, denominato anche status quo, in base al quale effettuare le valutazioni. Lo status quo segna un punto di confine tra l'avversione al rischio e la propensione al rischio35. È evidente che, anche questo aspetto chiave, è in contrasto con la teoria dell’utilità attesa dove gli individui valutano gli esiti basandosi sul proprio valore della ricchezza finale, indipendentemente dal punto da quella iniziale. Andando più avanti nella trattazione, i concetti di reference point e status quo risulteranno più chiari. Infine, l’ultimo aspetto fondamentale individuato dai due autori che si ritiene doveroso riportare è quello relativo alla loss aversion, cioè l’avversione alle perdite da parte degli individui. Anche in questo caso, Kahneman e Tversky dedicano ulteriori opere negli anni successivi in merito all’argomento, tra queste è importante citare ‘Loss Aversion in Riskless Choice: A Reference-Dependent Model’ del 1991, in cui, in seguito al alcune situazioni sperimentali psicologiche individuano che i soggetti attribuiscano un peso psicologico all’incirca doppio alle perdite rispetto ai guadagni. In particolare, è possibile affermare che gli individui giudichino in maniera asimmetrica degli esiti opposti ma di pari ammontare: il rammarico o dispiacere per una perdita, anche solo potenziale, è circa due volte più grande del piacere o della soddisfazione di un guadagno, anche solo potenziale, dello stesso importo. «… le perdite sono più importanti dei guadagni»36 Una volta definito questo meccanismo psicologico, si intuisce facilmente che gli individui, nel prendere le proprie decisioni, ad esempio in ambito investimenti, siano condizionati da questo e risultino particolarmente avversi alla probabilità di subire delle perdite. È bene sottolineare che l’avversione alle perdite è un concetto diverso dall’avversione al rischio: un individuo infatti può essere anche poco propenso ad accettare una scommessa rischiosa per diventare ricco (avversione al rischio), tuttavia, è sicuramente pronto ad accettare una scommessa rischiosa pur di non perdere tutto ciò che ha (avversione 34 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 274. 35 L. F. ACKERT, R. DEAVES; Op. Cit.; p.34. 36 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 279.
  • 31. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 24 alle perdite). Da qui, individuiamo il collegamento per accennare il concetto di avversione alla perdita certa. In particolare, nel momento in cui le perdite non sono soltanto potenziali ma si è in presenza di perdite pregresse o di perdite certe attuali, un individuo è pronto ad essere fortemente propenso al rischio entrando in problemi decisionali che gli consentano di raggiungere dei guadagni tali a coprire le perdite già realizzate, nonostante le probabilità non siano favorevoli. Concludendo, si intuisce che, sia nel caso di avversione alle perdite che in quello di avversione alle perdite certe, entrano in gioco dei meccanismi psicologici che inducono a prendere delle decisioni tutt’altro che razionali e, soprattutto nel secondo caso, decisioni istintive anche particolarmente ‘pericolose’. Figura 1.7 Peso di perdite e guadagni a confronto Fonte: a cura dell’autore 1.3.2 Fasi della teoria Kahneman e Tversky modellano definitivamente la prospect theory come approccio descrittivo alle scelte in condizioni di incertezza, una teoria che possa tenere in considerazione gli effetti psicologici distorsivi analizzati precedentemente. In particolare, questa teoria, divide il processo decisionale degli individui in due distinte fasi conseguenti: la prima, la fase di editing; e la seconda, la fase di valutazione. 1. FASE DI EDITING Trattasi di un’analisi preliminare delle alternative, il cui scopo è quello di organizzare e riformulare i prospetti disponibili, attraverso una molteplicità di operazioni cognitive ed applicazioni, in modo da rendere più semplice ed intuibile la successiva fase di valutazione e di scelta. La fase di editing è caratterizzata dalle seguenti operazioni:
  • 32. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 25 I. Codifica, in cui gli individui valutano, e quindi codificano, le possibili alternative di un problema decisionale in termini di guadagni o perdite in relazione al proprio punto di riferimento ‘neutrale’, quindi non in valore assoluto degli stessi; II. Combinazione, in cui i problemi decisionali caratterizzati da esiti identici vengono semplificati combinando le probabilità associate a tali esiti; III. Segregazione, consistente nel “segregare”, inteso come separare, nei casi in cui sia possibile, la parte priva di rischio da quella rischiosa in un problema decisionale; IV. Cancellazione, rappresenta l’essenza degli effetti di isolamento spiegati in precedenza. Consiste nell’ignorare possibili alternative nel caso in cui queste siano comuni a più problemi decisionali o, più in generale, nello scarto di componenti comuni come ad esempio intere coppie di esiti-probabilità al fine di valutare un singolo problema decisionale; V. Semplificazione e rilevazione della dominanza, è un processo tramite il quale, sempre al fine di semplificare i problemi decisionali e renderli più comprensibili alle risorse cognitive, vengono ‘arrotondati’ in cifre più amichevoli sia gli esiti che le probabilità caratterizzati da cifre poco agevoli. Si può giungere alla semplificazione anche eliminando direttamente dalle alternative fortemente non preferite dagli individui oppure individuando una relazione di dominanza tra le stesse ed eliminare automaticamente le alternative poco probabili o dominate. Grazie alle operazioni di editing un problema decisionale viene rappresentato mentalmente37 e ciò risulta essere fondamentale nel processo decisionale che si concretizza nella fase successiva, relativa alla valutazione e alla scelta finale, per cui si assume che le suddette operazioni vengano eseguite in tutti quei casi in cui siano possibili. Una importante osservazione da fare è relativa all’ordine di esecuzione delle osservazioni. Ciascun individuo sceglie l’ordine in base agli aspetti sui quali focalizza la propria attenzione, per cui non esiste un ordine generale. Nella fase conclusiva dell’editing, i problemi decisionali ai quali è sottoposto un individuo potranno avere quindi una formulazione ed una struttura differenti rispetto alla situazione iniziale, proprio per via delle operazioni cognitive effettuate. 2. FASE DI VALUTAZIONE 37 La rappresentazione mentale degli oggetti, o degli esiti in questo caso, era un approccio particolarmente utilizzato in ambito della psicologia cognitiva, tuttavia, era del tutto innovativo in ambito economico nei problemi decisionali.
  • 33. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 26 Ultimata la fase di editing, l’individuo confronta e valuta i problemi decisionali semplificati nel loro insieme al fine di individuare l’alternativa dal valore più elevato. È bene sottolineare che il termine valore può indicare un esito monetario ma può anche riguardare problemi decisionali le cui alternative non sono espresse in valore monetario (non-monetary outcomes). Nel paragrafo seguente si definisce come l’individuo calcoli effettivamente il valore di un’alternativa. 1.3.3 Funzione del valore e funzione di ponderazione All’interno della fase di valutazione che abbiamo precedentemente accennato, troviamo due ulteriori elementi che rendono la prospect theory ancora più differente dalla teoria dell’utilità attesa. Infatti, al fine di determinare il valore complessivo di un’alternativa di un problema decisionale entrano in gioco due funzioni, la funzione del valore (value function) e la funzione di ponderazione (weighting function). Consideriamo la seguente espressione 38che rappresenta l’alternativa alla funzione di utilità attesa Van Neumann-Morgenstern nella teoria neoclassica: Γ(𝐿) = 𝜐(𝑊1 − 𝑊 ̅ )𝜔(𝜋1) + 𝜐(𝑊2 − 𝑊 ̅ )𝜔(𝜋2) + ⋯ + 𝜐(𝑊 𝑚 − 𝑊 ̅ )𝜔(𝜋𝑚) = = ∑ 𝜐(𝑊𝑘 − 𝑊 ̅ )𝜔(𝜋𝑘) 𝑚 𝑘=1 Come visto nella trattazione precedente 𝐿 indica una lotteria, che abbiamo definito spesso in fase teorica ‘problema decisionale’, 𝜋1, … , 𝜋𝑚 sono le probabilità oggettive con cui si verificano le alternative, 𝑊1, … , 𝑊 𝑚 rappresentano le ricchezze associate alle varie alternative della lotteria e 𝑊 ̅ indica la ricchezza iniziale dell’individuo tale per cui può essere definita punto di riferimento che solitamente equivale allo status quo. I due elementi ancora incogniti sono 𝜈 e 𝜔 rispettivamente la funzione di valore e la funzione di ponderazione, il cui compito è quello di catturare tutti i fenomeni e gli effetti psicologici tipici degli individui e derivanti dalle situazioni sperimentali di cui si è discusso in precedenza. ▪ La funzione del valore si applica sugli scostamenti dalla ricchezza iniziale, per cui i possibili esiti, guadagni (𝑊𝑘 − 𝑊 ̅ ) > 0 o perdite (𝑊𝑘 − 𝑊 ̅ ) < 0, sono valutate in termini relativi e non assoluti. 𝜈 riflette il valore soggettivo di un esito, Γ(𝐿) il valore soggettivo di 38 D. FIASCHI, N. MECCHERI; Op. Cit.; 2018, pp. 223.
  • 34. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 27 un prospetto. Inoltre, in base a quanto detto nel caso dell’effetto isolamento, l’evidenza sperimentale ha dimostrato che nei prospetti i cui gli esiti sono dei potenziali guadagni gli individui sono generalmente avversi al rischio, quindi la funzione del valore è concava; mentre, nei prospetti caratterizzati da esiti perdite, gli individui si dimostrano generalmente propensi al rischio, quindi la funzione del valore è convessa. Infine, avendo già discusso in merito all’avversione alle perdite degli individui, vien da sé che l’inclinazione della funzione del valore è maggiore nel quadrante perdite che nel quadrante guadagni per un esito dello stesso ammontare. In entrambi i quadranti, la funzione diventa via via meno sensibile ai cambiamenti. È possibile aggregare tutti questi concetti in una chiara rappresentazione della funzione del valore. Figura 1.8 Rappresentazione della funzione del valore Fonte: a cura dell’autore. ▪La funzione di ponderazione si applica alle probabilità oggettive con cui si possono verificare le alternative del problema decisionale e, in parte, rappresenta un concetto che seppur in maniera implicita abbiamo già trattato nel caso dell’effetto certezza. Infatti, quando si è discusso di probabilità e pesi decisionali attribuiti alle stesse da parte degli individui, attribuzione che porta a delle sovraponderazioni e sottoponderazioni, tali termini non erano del tutto casuali ma erano un chiaro riferimento alla funzione oggetto d’analisi.
  • 35. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 28 La trasformazione delle probabilità in pesi decisionali avviene non linearmente. Partendo dai concetti già noti, ovvero che 𝜔(0) = 0 e 𝜔(1) = 1 ne aggiungiamo dei nuovi. Utilizzando una scala della probabilità normalizzata ad 1, Kahneman e Tversky definiscono la subcertainty39, la sotto-certezza, ovvero la proprietà in base alla quale per 0 < 𝜋 < 1 si ha che 𝜔(𝜋) + 𝜔(1 − 𝜋) < 1, quindi la somma dei pesi decisionali associata alla probabilità di un’alternativa e del suo complementare è inferiore all’unità (cioè all’evento certo). La pendenza della funzione di ponderazione può essere vista come una misura della sensitività delle preferenze degli individui in seguito a delle variazioni nelle probabilità. Inoltre, per gli esiti caratterizzati da una bassa probabilità si verifica la sovraponderazione 𝜔(𝜋𝑘) > 𝜋𝑘, mentre per quelli caratterizzati da una media o elevata probabilità si verifica la sottoponderazione 𝜔(𝜋𝑘) < 𝜋𝑘. Infine, la funzione è soggetta a delle discontinuità nell’intorno degli estremi di 𝜔(0) e 𝜔(1). Tali discontinuità sono dovute alla limitatezza cognitiva e alla presenza di incoerenza decisionale degli individui nel valutare gli eventi estremi, ovvero nei punti in cui ciascun individuo separa soggettivamente le seguenti coppie: impossibilità-bassa probabilità e certezza-alta probabilità. La funzione di ponderazione si può rappresentare così come in Figura 1.9; inoltre, viene ripresentata la Tabella 1.1 modificata, con scala normalizzata ad 1 ed in cui si evidenzia la proprietà citata della sub- certezza. Tabella 1.2 Probabilità, peso decisionale e sub-certezza Probabilità, 𝝅 0 0.01 0.02 0.05 0.1 0.2 0.5 0.8 0.90 0.95 0.98 0.99 1 Peso decisionale, 𝝎(𝝅) 0 0.055 0.081 0.132 0.186 0.261 0.421 0.601 0.712 0.793 0.871 0.912 1 Probabilità, 𝟏 − 𝝅 1 0.99 0.98 0.95 0.90 0.8 0.5 0.2 0.1 0.05 0.02 0.01 0 Peso decisionale, 𝝎(𝟏 − 𝝅) 1 0.912 0.871 0.793 0.712 0.601 0.421 0.261 0.186 0.132 0.081 0.055 0 Proprietà sub-certezza, 𝝎(𝝅) + 𝝎(𝟏 − 𝝅) 0.967 0.952 0.925 0.898 0.862 0.841 0.862 0.898 0.925 0.952 0.967 Fonte: a cura dell’autore. 39 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Op. Cit.; p. 281.
  • 36. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 29 Figura 1.9 Rappresentazione della funzione di ponderazione Fonte: a cura dell’autore. Tutti gli aspetti innovativi descritti hanno evidenziato la differenza esistente tra il concetto di utilità della teoria neoclassica e il concetto di valore della prospect theory, così come la presenza di anomalie del comportamento e della psicologia umana che si sottraggono ai principi della razionalità e, proprio per questo, sono più efficaci nello spiegare le scelte in condizioni di incertezza. Come vedremo più avanti la prospect theory risulta particolarmente coerente anche nel descrivere come gli investitori si muovono nel contesto dei mercati finanziari. Basti pensare che, grazie ai concetti di framing e di punto di riferimento, le valutazioni in merito ad un particolare investimento non saranno sempre le stesse ma possono cambiare anche rapidamente nel corso del tempo, proprio in base al contesto in cui un investitore si trova ed in base a come decide di modificare il proprio punto di riferimento. Tuttavia, nonostante questa teoria riuscì ad ottenere molteplici consensi nei più svariati ambiti applicativi, furono gli stessi due autori, Kahneman e Tversky, ad introdurre nel 1992 il concetto di cumulative prospect theory nell’opera ‘Advances in prospect theory: Cumulative representation of uncertainty’. Da quanto si può dedurre dal titolo, questa rappresenta ‘semplicemente’ una teoria avanzata ed un miglioramento teorico di quanto discusso finora e ciò lo si può giustificare notando che tra le due opere siano trascorsi ben tredici anni di sviluppi, evoluzioni ed applicazioni della teoria originaria. Per completezza espositiva esponiamo brevemente il concetto innovativo su cui si sviluppa tutto il resto della
  • 37. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.3 La teoria del prospetto 30 teoria del prospetto cumulativa. In particolare, si ha che la funzione di ponderazione viene applicata sulla distribuzione di probabilità cumulata delle alternative e non sulle singole probabilità delle stesse. Anche i pesi decisionali degli individui sono espressi tramite una distribuzione cumulata. Inoltre, si effettua una distinzione della suddetta funzione nel caso in cui si considerino guadagni o perdite che conduce a varie implicazioni, come rappresentato in Figura 1.10, cosa che invece non avviene nella prima stesura della teoria. Figura 1.10 Funzione di ponderazione per i guadagni (𝑊+ ) e per le perdite (𝑊− ) Fonte: D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Advances in prospect theory: Cumulative representation of uncertainty; p. 313. Come già detto in sede di presentazione, la prospect theory, versione originaria o avanzata, costituisce la base teorica e sperimentale su cu si svilupperà negli anni a seguire la finanza comportamentale, oggetto sui cui focalizzeremo la nostra attenzione nella parte restante del capitolo.
  • 38. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 31 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale Cercando di entrare subito nel vivo del tema partiamo da una definizione generale al fine di approfondirla con l’avanzare della trattazione. In particolare, per finanza comportamentale, meglio nota in lingua anglosassone come behavioral finance, si intende una moderna branca dell’economia che spiega, attraverso una interrelazione tra principi di psicologia, sociologia, antropologia e finanza40, il comportamento degli investitori e cosa genera le fluttuazioni e le ‘anomalie’ presenti sui mercati finanziari. Figura 1.11 Componenti fondamentali della finanza comportamentale Fonte: a cura dell’autore. Si tratta quindi di un nuovo approccio alla finanza, di un campo di ricerca multidisciplinare che, come già detto in precedenza, non intende sostituire le teorie tradizionali della finanza, ma vuole integrarle e renderle applicabili in contesti reali. Infatti, nel momento in cui i modelli tradizionali non riescono a spiegare il comportamento degli investitori che si scontra con il principio della razionalità, subentra il ricorso agli aspetti emotivi, cognitivi e di contesto, incorporati nella finanza comportamentale, che possono aiutare a capire determinate logiche di investimento. 40 La psicologia studia i processi comportamentali e mentali e come questi siano stati prodotti nel contesto esterno in cui si sviluppa l’essere umano. La sociologia è una scienza che analizza i rapporti tra l’individuo e il gruppo sociale umano e come tali rapporti influenzano il comportamento dei soggetti stessi. Infine, l’antropologia è una branca che ha come oggetto di studio l’uomo nel suo insieme (sociale, culturale, psicologico) sia come individuo, sia in aggregato in svariate situazioni.
  • 39. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 32 «Le persone nella finanza tradizionale sono razionali. Le persone nella finanza comportamentale sono normali»41 - Meir Statman Parliamo di nuovo approccio dal momento che le teorie alla base della finanza comportamentale hanno incontrato il consenso generale del mondo scientifico ed accademico soltanto a ridosso degli anni duemila. Ripercorrendo brevemente le origini, infatti, non si può fare a meno di citare nuovamente gli psicologi Kahneman e Tversky che, attraverso i propri studi sperimentali a partire dagli anni ‘70, sono riconosciuti come i pionieri della behavioral finance. Nel corso degli anni ’80 -’90 l’approccio comportamentale in ambito finanziario inizia a riscuotere un notevole successo soprattutto in seguito alla presentazione della teoria, per la prima volta nei confronti della comunità scientifica, ad un seminario tenuto presso l’American Finance Association nel 1984. È anche per questo motivo per cui il ventennio in questione è caratterizzato da un elevato numero di pubblicazioni autorevoli che mirano ad approfondire ed espandere i confini di applicazione della finanza comportamentale. Tra i nomi più rilevanti è possibile citare Richard Thaler, Werner De Bondt, Meir Statman, Hersh Shefrin, Andrei Shleifer, Vernon Smith ed infine Robert Shiller che, ciascuno per diversi aspetti oggetto d’analisi, sono ritenuti, insieme a Kahneman e Tversky ovviamente, i padri fondatori della finanza comportamentale. Nella seguente Tabella 1.3 si indicano brevemente gli aspetti caratteristici degli studi dei suddetti autori, ricordando che, un’analisi più approfondita degli stessi si effettuerà nel corso del seguente paragrafo. Tabella 1.3 Teorie sulla finanza comportamentale Fonte: J. PROSAD, S. KAPOOR, J. SENGUPTA; Theory of Behavioral Finance; Business Science, 2015. 41 M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 3.
  • 40. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 33 Per concludere, fu grazie all’assegnazione del premio Nobel per l’economia a Kahneman e Smith, soltanto nel 2002, a garantire l’effettiva consacrazione della finanza comportamentale come teoria descrittiva accettata a tutti gli effetti. Inoltre, se il consenso e la diffusione della teoria negli Stati Uniti è stata relativamente rapida, tale da essere ormai regolarmente insegnata nei corsi accademici, lo stesso non può dirsi per il resto del mondo, come nel nostro Paese, dove l’affermazione della behavioral finance si è avuta soltanto nell’ultimo decennio, grazie ad alcune opere di psicologi e docenti accademici tra cui è possibile ricordare Paolo Legrenzi, Rino Rumiati, Barbara Alemanni ed Enrico Rubaltelli. Fatta questa breve introduzione passeremo ora ad analizzare quelle che sono le ‘distorsioni comportamentali’ individuate dalla letteratura e riscontrate con maggior frequenza in ambito finanziario, come ad esempio nel caso emblematico del processo di scelta degli investimenti. Per compiere tale analisi faremo riferimento ad una schematizzazione ritenuta ormai consolidata nelle opere, adottata tra l’altro dall’economista canadese Shefrin, in cui si suddividono le distorsioni comportamentali nel modo seguente: ▪ euristiche del giudizio; ▪ bias cognitivi ed emozionali; ▪ bias dovuti al framing. 1.4.1 Euristiche del giudizio Le euristiche del giudizio vengono presentate per la prima volta al mondo accademico da Kahneman e Tversky nel 1973 nel paper intitolato ‘Judgment Under Uncertainty: heuristics and biases’ sebbene siano state idealizzate circa un ventennio prima da Simon. Esse rappresentano delle regole empiriche ed approssimative, in quanto si svincolano dal paradigma della razionalità, ma vengono costituite sulla base dell’istinto, delle esperienze pregresse, dell’intuito, dei pregiudizi cognitivi (meglio noti come credenze) e dalle circostanze in cui l’individuo si trova. Le possiamo considerare come delle vere e proprie ‘scorciatoie mentali’ il cui scopo è quello di semplificare la presa di decisione rispetto a problemi complessi o situazioni caratterizzate da informazioni incomplete. Ciò consente di ridurre il carico cognitivo, essendo il sistema umano un sistema dalle risorse limitate. È bene specificare che l’essere umano inconsciamente fa uso di euristiche nelle più svariate situazioni quotidiane prendendo delle decisioni veloci ma al contempo risultano spesso soddisfacenti ed efficaci. Si intuisce quindi che l’ambito finanziario, in particolar modo il problema della selezione degli investimenti, non si presta alla soluzione tramite regole euristiche in quanto risulta essere un ambito che richiede delle analisi approfondite,
  • 41. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 34 delle scelte ponderate accuratamente nonché una solida base di conoscenze scientifiche e tecniche. La scelta di selezione degli investimenti non può essere trattata alla stessa stregua di altre operazioni quotidiane, per cui, in tal caso, la probabilità di prendere delle decisioni erronee tramite le euristiche è molto più elevata. Tuttavia, come già detto, essendo applicate spesso inconsciamente, per un investitore potrebbero essere difficili da evitare, accorgendosi solo a posteriori di averle applicate. Della letteratura in merito si riconoscono quattro tipi di euristiche che influenzano il processo di raccolta ed elaborazione delle informazioni e, conseguentemente, ciò si ripercuote sulle scelte di investimento: la disponibilità, la rappresentatività, l’affetto e l’ancoraggio e aggiustamento. LA DISPONIBILITÀ Proprio nella prima fase di un classico problema decisionale, quella relativa alla raccolta delle informazioni al fine di risolvere lo stesso, interviene l’euristica della disponibilità in base alla quale gli individui sono fortemente influenzati dalle informazioni che risultano: • più facili da reperire (e quindi quelle più accessibili o, appunto, ‘disponibili’); • più facili da comprendere; • più familiari, perché relative ad aspetti sufficientemente noti all’individuo; • più recenti, ovvero ricordare e considerare solo eventi vicini nel tempo; • più facili da ricordare in sede decisionale (concetto di intensità del ricordo). Ciò non significa affatto che queste siano le informazioni più rilevanti per risolvere il problema, bensì sono soltanto quelle che emotivamente hanno un impatto maggiore sull’individuo. Nella valutazione di un evento in termini di stima della frequenza o probabilità, quindi, ciò che incide è la facilità soggettiva con cui si riesce a richiamare l’evento stesso, indipendentemente dai dati reali di accadimento. In sintesi, la disponibilità delle informazioni non ha nulla a che vedere con la frequenza di un evento. La conseguenza di questa regola mentale approssimativa porta a distorsioni nella percezione della realtà, a sovrastimare e sottostimare le probabilità di un evento in base ai fattori sopraelencati ed infine a comportamenti e decisioni sbagliate o irrazionali. Vien da sé che, al giorno d’oggi, tutti noi siamo continuamente esposti ad un elevato carico informativo e persuasivo derivante dai mass media, dai social e dalle moderne tecnologie che consentono una facilità d’accesso alle informazioni a chiunque. L’obiettivo deve essere quello di discernere la frequenza delle informazioni di un evento dalla reale frequenza di accadimento dello stesso.
  • 42. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 35 Possiamo interpretare quanto detto finora in sede di mercati finanziari, in quanto l’euristica della disponibilità rappresenta una delle maggiori distorsioni decisionali in cui si imbattono gli investitori. Basti pensare alla notevole importanza attribuita alle informazioni più recenti che inducono molti investitori individuali a stimare le performance future come frutto esclusivamente di quelle precedenti, offuscando del tutto alcuni investimenti strategici nel lungo termine. In base a questo, ad esempio, gli investitori sono spesso portati a valutare positivamente, in maniera eccessiva, titoli ormai prossimi al picco di mercato e, in maniera opposta, ad ignorare l’investimento in titoli al ribasso42. Inoltre, un’analisi condotta da due ricercatori in finanza comportamentale, Terrance Odean e Brad Barber, contenuta in un working paper del 2002, ha evidenziato come la frequenza delle informazioni sia determinante nella fase della selezione dei titoli. In particolare, nei giorni caratterizzati da un carico informativo più elevato si rileva un maggior numero di acquisti da parte degli investitori individuali (net buyers – high trading volume); mentre, il diminuire delle informazioni finanziarie coincide con i giorni in cui sono maggiori le vendite dei titoli da parte degli stessi investitori (net sellers – low trading volume). La seguente Figura 1.12 sintetizza quanto detto. Figura 1.12 Squilibrio degli ordini di compravendita come funzione dell’intensità di notizie Fonte: M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 100. Nello stesso studio si evidenzia come, invece, gli investitori professionali siano meno inclini a cadere nella trappola mentale della disponibilità. Infatti essi, avendo 42 J. WIGGINS; Finanza comportamentale, Sei consigli per migliorare il processo decisionale negli investimenti; Aberdeen Standards; 2019, p. 9.
  • 43. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 36 più tempo, più conoscenze tecniche e scientifiche, sono in grado di considerare una gamma molto più ampia di titoli e non soltanto quelli messi in evidenza dalle notizie più recenti o da una maggiore quantità delle stesse, per cui, tendono a focalizzarsi su investimenti per settore o in titoli individuali che superano una determinata analisi iniziale43. Per concludere è possibile definire alcune caratteristiche dell’euristica oggetto d’analisi riscontrate nella pratica da parte degli investitori44: • recuperabilità, in base alla quale gli investimenti sono selezionati soltanto in base alle informazioni a disposizione senza ricorrere ad ulteriori ed approfondite ricerche, ne risulta quindi un approccio superficiale; • categorizzazione; si investe esclusivamente in categorie di titoli a disposizione nella memoria degli investitori, ignorandone altre che vengono richiamate con più difficoltà ma che magari potrebbero essere più profittevoli; • esperienza limitata, nel senso di visione ristretta. Gli investimenti vengono selezionati in base alle proprie esperienze di vita, al settore in cui si lavora o alla regione in cui si vive; • risonanza, ovvero la tendenza a preferire investimenti consoni alla propria personalità, al proprio modo di pensare o al comportamento, ignorando quelli che risultano meno affini a tali caratteristiche. Figura 1.13 L’euristica della disponibilità Fonte: a cura dell’autore. 43 M.M. POMPIAN; Behavioral Finance and Wealth Management; Wiley Finance, John Wiley&Sons, Inc, 2006, p. 100. 44 Ivi; p. 99.
  • 44. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 37 LA RAPPRESENTATIVITÀ L’euristica della rappresentatività, a differenza di quella della disponibilità, si presenta in un secondo momento ovvero quello dedicato alla elaborazione delle informazioni raccolte nella prima fase di un tipico problema decisionale. Tale euristica è strettamente legata alle esperienze passate del soggetto decisore. Infatti egli, per natura, ha una innata propensione nel classificare o categorizzare mentalmente fatti, eventi o pensieri. Creando tali categorie risulta più facile lo sforzo cognitivo nel richiamare alla mente gli eventi stessi. Vengono quindi creati dei veri e propri stereotipi, costituiti da caratteristiche permanenti, semplificate e comuni per ciascuna categoria. La trappola distorsiva si manifesta nel momento in cui il soggetto decisore si scontra con un nuovo fenomeno (inteso come fatto, evento) che è incoerente con qualunque categoria mentale precostituita. In questo caso, tuttavia, si ricorre comunque all’utilizzo di uno stereotipo che meglio riesca ad approssimare le caratteristiche di un fenomeno del tutto nuovo, anche se le analogie sono del tutto differenti. Si fa riferimento, quindi, a cose che esistono già nella propria mente perché ritenute quelle più rilevanti, quelle tipiche, anziché categorizzarne delle nuove. La conseguenza di questa scorciatoia è che la stima delle probabilità dei possibili eventi ed i giudizi in merito risultano influenzati da categorie precostituite sulla base di esperienze passate differenti, consentendo certamente una presa di decisione più semplice e che richiede un minor utilizzo di risorse cognitive, ma d’altro canto può condurre ad una inesatta e persistente valutazione del nuovo fenomeno. In sintesi, si dice che lo stereotipo preso in considerazione come confronto è rappresentativo di una certa categoria di eventi. In merito a tale euristica, non si può non citare brevemente la cosiddetta “legge dei piccoli numeri”45 sperimentata da Kahneman e Tversky. Tale legge, costituisce un pregiudizio mentale a causa del quale i soggetti tendono ad esprimere i propri giudizi e le proprie stime, anche con notevole certezza, relativi ad un fenomeno facendo riferimento ad un numero assai ristretto di dati, quindi sulla base di un piccolo campione, come se questo fosse sufficientemente rappresentativo per ottenere stime accurate e per descrivere le caratteristiche di un campione più esteso connesso al fenomeno stesso. L’euristica della rappresentatività ha ovviamente i suoi riflessi in ambito finanziario quando, ad esempio, gli investitori esaminano le performance passate di un gestore di fondi, al fine di selezionare quello più coerente con i propri obiettivi, relativamente agli ultimi 45 D. KAHNEMAN, A. TVERSKY; Judgment Under Uncertainty: heuristics and biases; Oregon Research Institute; 1973, p.9.
  • 45. 1. Introduzione alla finanza comportamentale 1.4 Fondamenti di finanza comportamentale 38 trimestri più recenti, come se questi fossero rappresentativi delle performance lungo tutto l’arco della gestione del fondo. La distorsione cognitiva può influenzare fortemente anche le valutazioni relative a determinati titoli ignoti all’investitore. Infatti, sfruttando le conoscenze e le esperienze pregresse relative ad investimenti in titoli già noti con caratteristiche simili, quali ad esempio il settore d’investimento, l’area geografica, le performance, lo stile d’investimento etc., si è portati automaticamente a condurre delle analisi altrettanto simili. Un’analisi d’investimento condotta con tale superficialità, per analogie e tramite semplificazioni è del tutto sbagliata nonché in contrasto con i principi della razionalità. Figura 1.14 L’euristica della rappresentatività: stereotipi e categorie mentali Fonte: https://www.thoughtco.com/what-is-the-meaning-of-stereotype-2834956 e modifiche a cura dell’autore. L’ANCORAGGIO E L’AGGIUSTAMENTO Anche l’euristica dell’ancoraggio e dell’aggiustamento rientra, come quella precedente, tra le distorsioni cognitive tipiche della fase di elaborazione delle informazioni, successiva alla fase della raccolta. Come abbiamo già detto, nel mezzo di un problema decisionale, il soggetto decisore può essere chiamato a fare delle stime dei valori degli eventi, di parametri, di variabili etc. Spesso, al fine di non effettuare calcoli complessi per i motivi di limitatezza delle risorse umane esposti in precedenza, si definisce un valore iniziale arbitrario di tali stime, che funge da punto di riferimento, appunto da àncora, con lo scopo poi di effettuare gli opportuni