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Il governo vara una manovra da 45,5 miliardi con
l'avallo attivo di Napolitano, nuovo Vittorio Emanuele III
Per far uscire il capitalismo dalla crisi un
massacro sociale senza precedenti
Nella Costituzione il pareggio di bilancio e la totale libertà alle imprese.
Deroghe al contratto nazionale e all'art. 18. Scure su Tfr e tredicesime degli
statali. Tentato golpe sulle pensioni. Donne in pensione a 65 anni.
Privatizzazioni e liberalizzazioni nei servizi pubblici. Soppresse le festività
del 25 Aprile, 1° Maggio e 2 giugno. Cancellato il sistema di tracciabilità dei
rifiuti. Misure di facciata per la "casta". Una stangata di 1.365 euro a
famiglia
Sollevare la piazza per abbattere il massacratore
sociale

Il 12 agosto, con il pretesto ufficiale di frenare la nuova ondata di crolli borsistici
e di rispondere alle richieste della Banca centrale europea di un intervento
urgente sui nostri conti pubblici, il Consiglio dei ministri, in una riunione di solo
due ore e all'unanimità, ha approvato una nuova stangata antipopolare da 45,5
miliardi che anticipa di un anno, dal 2014 al 2013, il pareggio di bilancio
perseguito dalla micidiale manovra di lacrime e sangue varata dal governo il 30
giugno scorso e approvata a tempo di record il 15 luglio dal parlamento nero,
grazie anche alla resa incondizionata dell'"opposizione" sollecitata e ottenuta da
Napolitano.
Una manovra-bis da 20 miliardi nel 2012 e 25,5 per il 2013, secondo quanto
dichiarato da Berlusconi e Tremonti, che anche stavolta non tocca minimamente
i patrimoni e le rendite dei ricchi e i privilegi della "casta" dei politicanti borghesi,
per scaricare invece i costi della crisi del sistema capitalistico solo sulle spalle
dei lavoratori e delle masse popolari. Ma che anzi aggiunge nuove e ancor più
odiose misure antipopolari a quella precedente, che costeranno in media,
secondo le associazioni dei consumatori, ben 1.365 euro a famiglia, allargando
e aggravando il massacro sociale portato avanti sistematicamente dal governo
neofascista del neoduce Berlusconi.

Le dimensioni della stangata
Come non definire infatti massacro sociale misure come l'ulteriore anticipazione
di ben 5 anni, rispetto a quanto già stabilito appena un mese prima, cioè dal
2020 al 2015, del progressivo innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per
le lavoratrici del settore privato (nel pubblico impiego era già stato imposto
l'anno scorso)? Da raggiungere oltretutto nel 2027 anziché nel 2032? O l'odioso
e anticostituzionale rinvio di due anni del Tfr (Trattamento di fine rapporto o
liquidazione), aggravato dalla cancellazione della tredicesima in caso di non
raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa, a carico dei lavoratori del
pubblico impiego, già pesantemente puniti dal blocco degli stipendi e delle
assunzioni previsto dalla manovra di giugno? Oppure, ancora, il taglio di ben
10,5 miliardi in due anni di trasferimenti a Regioni ed Enti locali (di cui 6 già nel
prossimo anno), che sommati ai circa 15 già tagliati nel 2010, riducono
praticamente a zero le risorse disponibili per finanziare i servizi e le spese
sociali, per la sanità, la scuola, gli asili nido, i trasporti locali, l'assistenza agli
anziani e ai disabili, la manutenzione delle strade e delle altre infrastrutture
pubbliche e così via?
A questo massacro sociale immediato ed evidente se ne aggiunge uno più
insidioso e destinato ad avere conseguenze incalcolabili nel prossimo futuro: si
tratta dell'inserimento dell'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione, che
mira a fornire il pretesto legale per tutti i tagli alla spesa pubblica e le stangate
future che i governi borghesi riterranno "necessarie"; che si accompagna alla
modifica dell'articolo 41 della Carta, per sopprimere ogni vincolo anche solo
formale alla completa libertà di impresa, in base al principio ultra liberista che "è
consentito tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge". Non a caso
Tremonti ha voluto rimarcare che la manovra contiene un "meccanismo efficace
di privatizzazione dei servizi locali e una normativa efficace sulle
municipalizzate, oltre a norme per la semplificazione e le liberalizzazioni che
anticipano la riforma dell'articolo 41 della Costituzione".
Il ministro si riferiva evidentemente alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni dei
servizi pubblici, cioè agli incentivi stabiliti per i Comuni che dismetteranno
mettendole sul mercato le aziende municipalizzate di servizi, il che fra l'altro
contraddice in pieno la volontà popolare in difesa dei beni comuni espressa con
il referendum di giugno contro la privatizzazione dell'acqua. Della stessa logica
liberistica e perfino filo mafiosa fa parte anche la cancellazione, in quanto
"spesa non indispensabile", del sistema computerizzato di tracciamento dei rifiuti
pericolosi, dalla produzione fino allo smaltimento, ormai quasi completato e sul
punto di entrare in funzione: un favore oggettivo alle ecomafie, come non ha
potuto fare a meno di ammettere lo stesso ministro dell'Ambiente, Stefania
Prestigiacomo.

Infame golpe fascista contro i diritti sindacali
Altrettanto infame e anticostituzionale è il tentativo del governo di utilizzare la
manovra e sfruttare il pretesto della crisi finanziaria e l'ombrello della UE per
regolare i conti con la CGIL e dare un colpo demolitore decisivo ai diritti
sindacali e politici dei lavoratori, inserendo tra le pieghe del provvedimento
quelle misure liberticide e fasciste, come la libertà di licenziamento e la
soppressione delle ricorrenze della tradizione proletaria e antifascista, che non
era riuscito finora ad imporre per altra via: parliamo dell'articolo 8 del decreto
governativo, che trasforma in legge erga omnes, cioè valida per tutti, gli effetti
dell'accordo capitolazionista dello scorso 28 giugno sui contratti e la
rappresentanza sindacale (firmato arbitrariamente anche dalla segreteria della
CGIL), con la possibilità, nei contratti aziendali, di derogare dai contratti
nazionali e dalle disposizioni di legge, compreso lo Statuto dei lavoratori.
E ciò anche per quanto riguarda in particolare l'articolo 18 sulla giusta causa per
i licenziamenti, il cui inserimento nella manovra è stato voluto espressamente
dal ministro del Lavoro Sacconi, con il tacito assenso dei collaborazionisti
Bonanni e Angeletti; insieme alla norma che estende retroattivamente l'accordo
del 28 giugno agli accordi aziendali confermati con referendum dalla
maggioranza degli interessati. Un evidente regalo, quest'ultimo, a Marchionne e
al suo modello di relazioni industriali mussoliniane, e che lo mette al riparo dalle
cause intentate dalla FIOM contro l'imposizione anche ai suoi iscritti degli
accordi capestro di Pomigliano e Mirafiori. E parliamo anche dell'accorpamento
alla domenica (vale a dire in pratica la soppressione) delle festività non religiose;
che poi guarda caso sono proprio quelle che da tempo la destra neofascista e
leghista chiedeva di abolire, cioè 1° Maggio (Giornata internazionale dei
lavoratori), 25 Aprile (Liberazione dal nazifascismo) e 2 Giugno (festa della
Repubblica).
"Una vera operazione fascista e antidemocratica che cancella 100 anni di storia
del sindacato confederale e del movimento dei lavoratori", l'ha definita
giustamente il coordinatore della corrente "La CGIL che vogliamo", Rinaldini, il
quale ha anche chiesto al segretario Susanna Camusso che venga sospesa la
consultazione (fra l'altro ristretta ai soli iscritti) sull'accordo del 28 giugno
rinviandola a dopo lo sciopero del 6 settembre.

Misure demagogiche e di facciata contro la "casta"
Per quanto riguarda invece i "tagli alla casta" le misure sono più che altro
demagogiche e di facciata, come i 5-6 miliardi di tagli ai ministeri (che si
ripercuoteranno però anche sulla quantità e qualità dei servizi), il taglio della
metà dell'indennità ai parlamentari che hanno un reddito uguale o superiore
all'indennità stessa, l'accorpamento dei piccoli comuni sotto i 1.000 abitanti,
circa 1.500, e l'abolizione delle province sotto i 300 mila abitanti, circa 38 su
109, con la conseguente soppressione - come si è vantato Berlusconi - di circa
54 mila poltrone. Ma c'è da dire che queste due ultime misure, soprattutto
l'eliminazione di tanti piccoli comuni, non saranno prive di ricadute negative
anche per la vita delle comunità coinvolte (scuole, trasporti e altri servizi
indispensabili).
Dal lato delle entrate, scontata la contrarietà assoluta di Berlusconi ad una tassa
sui patrimoni, e quella di Tremonti ad un aumento dell'IVA perché vorrebbe
tenersela come carta di riserva per ridurre le tasse ai ricchi, il governo si è
limitato ad alcune misure di sapore demagogico, come il cosiddetto "contributo
di solidarietà" per tre anni sui redditi medio-alti, ossia una tassazione del 5% sui
redditi sopra i 90 mila euro annui e del 10% su quelli al di sopra dei 150 mila
euro (peraltro rimessa subito in discussione dallo stesso Berlusconi che teme
ricadute sui suoi consensi elettorali), l'aumento della tassazione sulle rendite
finanziare dal 12,5 al 20% (ma con l'esclusione dei titoli di Stato), l'aumento dei
prelievi su giochi e tabacchi; più qualche blanda misura di contrasto all'evasione
fiscale, come la tracciabilità dei pagamenti sopra i 2.500 euro (recentemente
elevata da 500 a 5.000 euro dallo stesso Berlusconi) e l'aumento delle sanzioni
per chi non rilascia scontrini e ricevute fiscali, fino alla chiusura dell'attività.
Misure risibili e demagogiche per eludere l'unica che potrebbe colpire veramente
e subito gli evasori fiscali: una drastica imposta progressiva sui medi e grandi
patrimoni, che però il neoduce vede come il fumo negli occhi perché colpirebbe
al cuore i ceti che maggiormente lo sostengono.

Il ruolo di Napolitano e l'ipocrisia del neoduce
Anche stavolta il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, spalleggiato peraltro
dal governatore uscente di Bankitalia, nonché futuro presidente della Banca
centrale europea (BCE), Draghi, ha giocato un ruolo fondamentale per il varo in
tempi rapidi della manovra, al punto da interrompere le vacanze, mentre la crisi
infuriava nei mercati finanziari, per convocare Letta, Tremonti, Bersani e Casini
al Quirinale e sollecitare ai primi due un immediato intervento del governo, e ai
due leader dell'"opposizione" quel clima di "coesione", in nome dei superiori
interessi nazionali, che ormai va invocando ad ogni piè sospinto e che ha
richiamato con enfasi anche al meeting di Comunione e liberazione, dove ha
ricevuto un'accoglienza trionfale. E non appena ha ricevuto il decreto della
manovra del massacro sociale l'ha subito controfirmata, non trovandoci "nessun
profilo di incostituzionalità", nonostante ve ne siano invece di evidenti: come
quelli che anticipano con legge ordinaria le modifiche agli articoli 41 e 81 della
Costituzione, che aboliscono surrettiziamente l'articolo 18 e le festività "laiche",
che impongono il blocco del Tfr e delle tredicesime dei dipendenti pubblici ed
altri ancora.
Quanto al massacratore sociale in capo, Berlusconi, da quel macellaio che è,
dopo aver appena affondato i denti nella carne viva dei lavoratori e delle masse
popolari, si è messo a piangere le classiche lacrime di coccodrillo, facendo finta
di non aver voluto lui la stangata, ma di esservi stato costretto unicamente dai
"mercati" e dalla BCE, facendo riferimento ad una lettera, che peraltro si è
rifiutato di rendere pubblica, in cui le autorità monetarie europee subordinavano
l'acquisto dei nostri titoli di Stato al varo immediato della manovra: "Il nostro
cuore gronda sangue perché, come abbiamo sempre detto, mai avremmo voluto
mettere le mani nelle tasche degli italiani", si è lamentato ipocritamente il
neoduce, "ma andiamo nella direzione indicata dalla BCE che con l'acquisto dei
nostri titoli ha frenato la speculazione internazionale contro l'Italia".
Il nuovo Mussolini non si riferiva certo all'aumento dell'età pensionabile alle
donne, o alle misure punitive ai pubblici dipendenti, e nemmeno all'attacco ai
diritti dei lavoratori o ai tagli a regioni e comuni, bensì unicamente alla "tassa di
solidarietà" che rischia di alienargli parte del suo elettorato, e che non gli è
riuscito di scambiare con l'aumento dell'IVA a causa dell'opposizione di
Tremonti, come gli è riuscito invece di bloccare il ventilato aumento dell'Irpef agli
autonomi con reddito al di sopra dei 55 mila euro. Perciò ha messo subito in
chiaro che la manovra potrà essere emendata in parlamento (quantomeno al
Senato, mentre alla Camera ha fatto capire che metterà la fiducia), aprendo
anche al "concorso dell'opposizione", ed ha avviato una trattativa con la Lega
per accordarsi su qualche altra voce da tagliare, fermo restando la sua
avversione viscerale per ogni ipotesi di patrimoniale, per poter abolire o
quantomeno ridurre al minimo la "tassa di solidarietà".
Se dipendesse solo da lui, come ha dichiarato senza il minimo pudore, al posto
di questa tassa privatizzerebbe tutte le grandi aziende pubbliche (Rai, Enel, Eni,
Poste, Ferrovie ecc.), venderebbe l'intero patrimonio dello Stato e tutte le 700
municipalizzate, taglierebbe le pensioni di anzianità e porterebbe subito l'età
pensionabile a 67 anni, come chiedono infatti a gran voce i cosiddetti "frondisti"
ultra liberisti del PDL a cui strizza l'occhio; e per soprammercato ci
aggiungerebbe un altro "scudo fiscale", oppure un altro bel "condono tombale",
col che prenderebbe i classici due piccioni con una fava: fare cassa e premiare i
ricchi, gli evasori e i mafiosi, che poi rappresentano il suo bacino elettorale. In
ogni caso, anche se alla fine fosse costretto ad approvare la manovra così
com'è col voto di fiducia, potrà sempre attribuirne l'esclusiva paternità a
Tremonti, del quale non vede l'ora di sbarazzarsi.
Da parte sua la Lega si dice indisponibile a toccare le pensioni di anzianità, che
il PDL (ma anche Casini) vorrebbero invece tagliare aumentando sia l'età
pensionabile che gli anni di contribuzione, mentre lo stesso PD non è del tutto
contrario a parlarne.
Invece il partito di Bossi, Calderoli e Maroni è disponibile a tagliare le pensioni di
reversibilità e di accompagnamento, cosicché mentre con una mano si erge a
difensore delle "pensioni del Nord", con l'altra offre alla mannaia del neoduce
quelle delle vedove e degli invalidi, pensando evidentemente che la maggior
parte di esse stiano al Sud e quindi non riguardino il suo elettorato. Un autentico
tentativo di golpe pensionistico.
Alla fine il neoduce e i caporioni della Lega si sarebbero accordati per tagliare
invece proprio le pensioni di anzianità, per eliminare del tutto la "tassa di
solidarietà" e per attenuare i tagli ai comuni, come richiesto da Maroni che si è
fatto interprete delle pressioni di molti sindaci e amministratori del Nord che
sostengono la sua corrente. Anche per la presidente di Confindustria,
Marcegaglia, "con l'aumento dell'IVA e le pensioni il decreto del governo
diventerebbe accettabile". Mentre invece l'articolo 8 del decreto (quello voluto da
Sacconi, ndr) non si tocca, perché "è coerente con l'accordo del 28 giugno e dà
alle parti la possibilità di gestire una maggiore flessibilità" (intervista a La
Repubblica del 28 agosto).
Con lo sciopero indetto dalla CGIL e per la lotta di piazza
Contro la manovra del governo, anche e soprattutto sotto la pressione della
FIOM e della base sindacale, la segreteria della CGIL si è decisa a proclamare
uno sciopero generale di 8 ore per il prossimo 6 settembre, ferocemente
attaccato da governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti, sciopero che
invece noi appoggiamo e invitiamo tutti a sostenere. Bisogna anzi parteciparvi in
massa anche per alzarne il livello rivendicativo e politico antigovernativo, che la
segreteria Camusso cerca di circoscrivere a pura testimonianza se non piegare
addirittura a "difesa dello spirito" dell'accordo interconfederale capitolazionista
del 28 giugno, che ha spianato invece la strada all'attacco ai contratti nazionali e
all'articolo 18 e alla vergognosa ammucchiata di inizio agosto tra governo,
padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti. In questo quadro salutiamo
con favore la decisione dei sindacati di base, tra cui Usb, Orsa, Cib-Unicobas,
Usi, Sincobas, Snater e Slaicobas, di indire anch'essi lo sciopero di 8 ore nella
stessa giornata, ma sulla base di una piattaforma che unisce alla lotta "contro le
manovre del governo e le politiche dell'Unione europea che vogliono tutelare le
banche e la finanza", anche quella "contro il patto sociale e l'attacco ai diritti dei
lavoratori".
I lavoratori, le masse popolari e tutti i sinceri democratici e antifascisti, non
devono delegare questa cruciale e irrinunciabile battaglia all'"opposizione"
parlamentare di cartone, che non solo non chiama alla lotta nelle piazze per
affossare il decreto del governo, ma auspica al massimo una schermaglia
strettamente parlamentare per "modificarlo" (sempre ammesso che il governo
non chiuda subito la partita col voto di fiducia). A parte infatti il democristiano
Casini, che vorrebbe addirittura che si tagliassero le pensioni di anzianità e
chiede solo "correzioni" che tengano conto dei carichi familiari, anche per il
presidenzialista Di Pietro la manovra è fatta di "luci e ombre" (sic) e promette
che "faremo la nostra parte in parlamento per correggere le cose che non
vanno", mentre per Bersani la manovra del governo sarebbe solo "iniqua e
inadeguata".
Il segretario del PD liberale non sarebbe poi indisponibile a "discutere" di
pensioni, è nettamente favorevole a liberalizzazioni e privatizzazioni, glissa
come sempre sulla patrimoniale e nicchia sullo sciopero della CGIL, cedendo
alle pressioni delle correnti interne vicine a CISL e UIL, tanto da dirsi
preoccupato che con lo sciopero non si rompa lo "spirito unitario dell'accordo del
28 giugno". Nel PD sta anzi circolando un documento di alcuni deputati,
appoggiato platealmente anche da Chiamparino, che attacca lo sciopero
chiedendo addirittura di rinviarlo a dopo il "confronto parlamentare"!
Quel che occorre invece, è sollevare la piazza, per affossare del tutto la
micidiale stangata del governo e abbattere il massacratore sociale, Berlusconi.
Solo con la lotta di piazza e un nuovo 25 Aprile sarà possibile buttare giù il
nuovo Mussolini e stroncare il suo tentativo di far pagare la crisi finanziaria del
capitalismo ai lavoratori e alle masse popolari e usarla come una leva per
attuare il suo disegno piduista e golpista di controriforma neofascista,
presidenzialista e federalista della Costituzione.



Una nuova edizione del Patto di Palazzo Vidoni

Ammucchiata governo, padroni, banchieri
e sindacalisti collaborazionisti
La Camusso si fa rappresentare dalla Marcegaglia
La sinistra CGIL non ci sta

La Segreteria nazionale della Cgil nella sua riunione allargata ai segretari
generali di categoria e territoriali, tenutasi il 23 agosto scorso ha indetto per il 6
settembre prossimo lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie pubbliche
e private per cambiare, si legge in una nota la manovra economica di 47 miliardi
di euro varata dal consiglio dei ministra su proposta di Tremonti il 14 agosto,
giudicata "depressiva, socialmente iniqua, inefficace e antisindacale".
Nell'ambito della protesta sono previste 100 manifestazioni territoriali. Una
buona notizia, una decisione giusta, seppure tardiva, che il PMLI appoggia; che
si associa all'altra buona notizia: anche l'Unione sindacale di base (Usb) ha
deciso per lo stesso giorno di proclamare lo sciopero generale.
Alla buon'ora, verrebbe da dire, di fronte a una megastangata governativa che
colpisce pesantemente e quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i
pensionati già ridotti praticamente alla fame, mette in ginocchio gli enti locali con
conseguenze devastanti per i servizi pubblici e assistenziali, cancella, per giunta
per decreto (fascista), l'intero impianto dei diritti e delle libertà sindacali, dal
contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, via l'art. 18 e introduzione della
libertà di licenziamento senza "giusta causa", dal diritto dei lavoratori di votare
gli accordi e di eleggere i propri rappresentanti aziendali al diritto di sciopero.
Mentre non viene tolto un euro alla grande e media borghesia, non vengono
toccate le rendite finanziarie e patrimoniali, non viene scalfita la evasione fiscale
e contributiva. E tuttavia appare ormai certo che Susanna Camusso, segretario
generale Cgil, più che per convinzione sia stata costretta a prendere questa
decisione tattica per coprirsi a sinistra dopo aver dato vita il 5 agosto alla
riedizione del Patto di Palazzo Vidoni e alla vergognosa ammucchiata con il
governo Berlusconi, i padroni, i banchieri e gli altri sindacalisti collaborazionisti,
allorché la Camusso si faceva rappresentare dalla Marcegaglia e da quel
documento in 6 punti, proposto, si badi bene, dal presidente di Confindutria e da
quello dell'ABI (Associazione banche Italiane) e sottoscritto dalle cosiddette
"parti sociali", ossia dalle associazioni degli imprenditori di industria, commercio
e artigianato, da quelle del credito e dai sindacati collaborazionisti, compresa la
Cgil della Camusso. Un documento per spingere il governo, secondo le
intenzioni dei promotori, ad assumere misure urgenti per affrontare la crisi
economica e finanziaria debordante e sempre più minacciosa, scritto però
interamente per tutelare gli interessi padronali sulla base dell'antioperaia ricetta
neoliberista. Vedi il punto sulla spesa pubblica che va tagliata con l'accetta per
ottenere il pareggio entro il 2014, vedi il punto sulle liberalizzazioni e le
privatizzazioni, vedi il punto che chiede tagli drastici nelle pubblica
amministrazione, vedi soprattutto quello dedicato alla "modernizzazione delle
relazioni sindacali" proseguendo il cammino iniziato con l'accordo del 28 giugno
e dove quello che interessa non è l'alleggerimento del fisco su salari e pensioni
ma la "detassazione dei premi di risultato". Un documento che la Cgil non
avrebbe dovuto assolutamente firmare perché i contenuti sono del tutto antitetici
alla linea e alla natura del sindacato che dovrebbe difendere gli interessi dei
lavoratori ma anche perché si appiattiscono sugli interessi dei padroni secondo
un'ispirazione tipica del corporativismo fascista.
All'incontro tenutosi a Palazzo Chigi lo stesso giorno tra governo e "parti sociali"
dove la Marcegaglia a nome di tutti (associazioni padronali e sindacati) e quindi
anche della Cgil (sic!) ha illustrato il suddetto documento, faceva seguito un
secondo incontro il 10 agosto dove il governo rispondeva alla sua maniera,
inserendosi proprio in alcuni varchi aperti dal suddetto documento per
prospettare provvedimenti selvaggi di dimensioni enormi, ivi compreso un
capitolo dedicato al lavoro contenuto nell'art. 8 che riprende, sia pure
accentuandoli, i contenuti dell'accordo del 28 giugno, dandogli forza di legge, poi
ripresi nella manovra di ferragosto. Sia nel primo che nel secondo incontro si è
trattato di una vergognosa ammucchiata governo, padroni, banchieri e
sindacalisti collaborazionisti impegnata a non far affondare la traballante barca
capitalistica italiana. E fatte le debite differenze, invece che a Palazzo Chigi
sembrava di essere a Palazzo Vidoni dove nel 1925 Mussolini e i sindacati
fascisti firmarono il Patto che inchiavardava le relazioni industriali alle
corporazioni e alla dittatura fascista.
La linea della Camusso è stata, e fino a prova contraria è ancora, quella di
ricomporre, da destra, l'unità con i sindacati collaborazionisti, la Cisl e la Uil di
Bonanni e Angeletti in testa, di rientrare senza condizioni al tavolo della trattativa
con Confindustria, di perseguire il "patto sociale" col governo "per la crescita e lo
sviluppo" anche a costo di sacrificare gli interessi dei lavoratori. Il più grosso di
questi fatti è rappresentato, senza dubbio, dall'accordo siglato il 28 giugno
scorso, solo dopo due giorni di trattativa, dal presidente di Confindustria e dai
segretari di Cgil, Cisl, Uil. Un accordo che riscrive le regole della contrattazione
e della rappresentanza sindacale secondo gli interessi dei padroni e del governo
Berlusconi, che rappresenta una capitolazione totale della Cgil sia alla linea filo
padronale e filogovernativa dell'accordo separato del 2009 tra Confindustria e i
leader dei sindacati collaborazionisti, sia alle nuove relazioni industriali di
stampo mussoliniano imposte da Marchionne alla FIAT di Pomigliano, di
Mirafiori e alla Bertone di Grugliasco. Un accordo firmato senza alcun mandato
né dei lavoratori né delle strutture sindacali, che introduce quelle deroghe al
contratto nazionale prima sempre rifiutate, toglie ai lavoratori il diritto di votare gli
accordi contrattuali, permette la sostituzione delle RSU con le RSA, le prime
elette dai lavoratori le seconde nominate dalle burocrazie sindacali, lede il diritto
di sciopero. Un accordo che vanifica due anni di dure lotte condotte proprio
contro questo tipo di relazioni industriali.
Le posizioni assunte dalla Camusso e dal suo gruppo dirigente, molto gravi e da
condannare con estrema fermezza, non sono però passate sotto silenzio
all'interno della Confederazione. La sinistra che già aveva criticato metodo e
merito dell'accordo del 28 giugno si è fatta sentire usando parole di esplicito
dissenso verso il segretario generale. "La Cgil mai, nella sua lunga storia - ha
affermato Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de 'La Cgil che vogliamo' in
una dichiarazione - si è sognata di sottoscrivere un documento nel quale non
fosse visibile e riconosciuta la valorizzazione della qualità e la dignità del
lavoro". "È inaudito - ha proseguito - che la Marcegaglia possa rappresentare
delle proposte anche a nome e per conto delle Organizzazioni Sindacali:
un'umiliazione della Cgil e un affronto alle lotte, agli scioperi, ai sacrifici delle
lavoratrici e dei lavoratori che hanno creduto nella Cgil". "Si conferma anche in
questo caso dopo l'accordo del 28 giugno, una gestione della Cgil come fosse
proprietà di 2 o 3 dirigenti".
Non meno caustico Giorgio Cremaschi, presidente del CC della FIOM che
stigmatizza la Camusso che "ha firmato con la presidente della Confindustria e
con tutte le altre parti sociali un documento che è estraneo totalmente ai principi
e alle scelte della Cgil. La segretaria generale della Cgil - ha aggiunto - è
totalmente fuori da qualsiasi mandato della sua organizzazione e sta
compromettendo una storia politica e sociale enorme". "Non era mai successo -
ha affermato Maurizio Landini segretario generale Fiom - che per decreto legge
un governo provasse a cancellare l'esistenza del Contratto Nazionale e aprisse
alla libertà di licenziare". "La Cgil - ha continuato - deve trarre le dovute
conseguenze dall'uso fatto dal governo dell'accordo interconfederale del 28
giugno 2011 e delle proposte delle parti sociali del 4 agosto 2011". Ossia
proclamare lo sciopero generale, come poi è avvenuto, e rigettare l'accordo.
L'indizione dello sciopero generale è stato un atto importante. Ma da solo non
basta. Occorre che esso sia non un punto di arrivo ma un punto di partenza per
costruire tempestivamente e in modo serrato una mobilitazione operaia e
popolare la più ampia ed efficace possibile capace di respingere la manovra
nella sua globalità e di mandare a casa il governo Berlusconi, che è l'unico
modo per impedire il massacro sociale senza precedenti in atto.
In questo contesto l'accordo del 28 giugno che tanto piace a governo,
Confindustria, sindacati collaborazionisti e alla destra e alla "sinistra" borghese
deve essere interamente sconfessato.
Giù le mani dal 25 Aprile, 1°
Maggio e 2 Giugno
Il comma 24 dell'art. 1 del Decreto Legge (DL) del 13 agosto 2011, n. 138
prevede che "a decorrere dall'anno 2012 con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, da emanare
entro il 30 novembre dell'anno precedente, sono stabilite annualmente le date in
cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad
accordi con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei
Santi Patroni in modo tale che, sulla base della più diffusa prassi europea, le
stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima
domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica".
Così il 25 Aprile, il 1° Maggio e il 2 Giugno, le uniche tre feste non religiose in
vigore in Italia verrebbero abolite dal calendario. Nessun problema per le feste
cattoliche.
Il ministro dell'economia e delle finanze Tremonti, PDL, giustifica tale
inaccettabile proposta con motivazioni economiche, sostenendo che essa
consentirebbe di ottenere un "formidabile aumento di produttività". In realtà non
regge la pretesa del governo di addossare al 25 Aprile, al 1° Maggio e al 2
Giugno parte della responsabilità della crisi in cui versa il capitalismo italiano e
internazionale. Lo hanno sottolineato persino degli economisti liberali, molti dei
quali, pur non addentrandosi nell'analisi politica delle motivazioni che
sorreggono l'attacco del governo alle tre feste suddette, giudicano
sostanzialmente irrilevante il rientro in termini di rilancio dell'economia di tale
norma.
Ben lungi dal migliorare le condizioni economiche delle masse popolari e
lavoratrici, in testa la classe operaia, tale norma è una componente significativa
dell'attacco micidiale alla contrattazione nazionale, ai diritti dei lavoratori,
all'occupazione, ai servizi contenuto nel DL 138, tentando di mettere con le
spalle al muro e frenare la lotta di classe, cancellandone la storia e le forme
organizzative, i simboli e i riferimenti culturali e attuali, oltre che la storia
dell'antifascismo.
Tale provvedimento, davanti al quale alcuni leader della "sinistra" borghese
rimangono "sorpresi" non nasce improvvisamente, ma mette le sue radici nella
incessante costruzione del nuovo regime neofascista operata nel ventennio
berlusconiano e favorita dalla "sinistra" borghese, con cui il nuovo Mussolini,
Berlusconi, ha restaurato il fascismo in Italia sotto nuove forme, nuovi metodi e
nuovi vessilli, realizzando anno per anno e passo dopo passo il nero disegno
neofascista e presidenzialista tracciato nel "piano di rinascita democratica" e
nello "schema R" della P2 e di Gelli. Un attacco finale del quale negli anni vi
sono stati indizi chiarissimi. Non a caso il PMLI da anni a più riprese ha
rivendicato "Giù le mani dal 25 Aprile!" e "Giù le mani dal 1° Maggio", anche
contro gli esponenti del "centro-sinistra", come il berluschino sindaco fiorentino
Renzi che ha imposto l'apertura dei negozi il 1° Maggio con la conseguente
rinuncia alla festività per i lavoratori del commercio.
Danno fastidio al governo queste tre feste tutte nate o ripristinate dopo
l'abbattimento del ventennio mussoliniano. Il 25 Aprile (1945) è la data
dell'insurrezione armata di Milano, con la quale si mise fine all'occupazione
nazifascista. Il 1° Maggio, ufficializzato dalla Seconda Internazionale nel 1889 e
ratificato in Italia due anni dopo, ha un evidente carattere di classe per
l'emancipazione del proletariato e la conquista del socialismo. Abolito da
Mussolini venne ripristinato dopo la Liberazione. Il 2 Giugno (1946) è la data del
Referendum istituzionale con il quale le masse popolari italiane scelsero la
forma dello Stato repubblicana, sancendo la fine della criminale monarchia dei
Savoia, principale pilastro del fascismo.
Ininterrottamente i gerarchi berlusconiani si sono scagliati con livore contro il 25
Aprile e il 1° Maggio, in particolare, provando a snaturarne il significato con una
martellante propaganda sulla conciliazione nazionale e l'interclassismo,
tentando di trasformarle in feste unitarie, patriottarde, corporative, come è
successo, purtroppo, al 2 Giugno, il cui significato popolare che va ripristinato è
stato oscurato a favore di quello nazionalista e imperialista, anche grazie
all'opera nefasta del rinnegato Napolitano. Il 25 Aprile e il 1° Maggio
mantengono intatto il loro carattere popolare e antifascista e la loro stessa
esistenza rappresenta un simbolo e insieme un monito rispettivamente contro i
neofascisti e contro il padronato. Ecco perché costoro vogliono definitivamente
sbarazzarsene e cancellarli una volta per sempre. Sfruttare ancor di più i
lavoratori costringendoli allo sfruttamento salariato persino in queste due date
che sono sacre per gli antifascisti e per la classe operaia.
È allora chiaro che è di vitale importanza per il governo del neoduce privare la
classe operaia e le masse lavoratrici e popolari oltre che dei loro diritti anche
della loro memoria storica, dell'esempio di decenni di lotte vittoriose antifasciste,
per i diritti dei lavoratori e progressiste, degli esempi delle forme corrette di lotta,
sintetizzate nelle date simbolo del 25 Aprile, 1° Maggio e 2 Giugno.
Contro la cancellazione delle feste suddette si sono schierate organizzazioni
come Anpi, Cgil e Articolo 21 e altre che hanno lanciato delle iniziative e delle
petizioni per cancellare questo obbrobrio normativo. Sabato 3 settembre avrà
luogo a Torino una manifestazione pubblica promossa dall'ANPI contro la
mostruosa decisione del governo e con l'inizio del nuovo anno scolastico una
petizione, in difesa delle tre ricorrenze, sarà portata in tutti gli istituti di ogni
ordine e grado.
Per il PMLI, in questo frangente politico e sociale vi è la necessità e l'urgenza
che tutte le masse antifasciste e democratiche si mobilitino e scendano in piazza
per difendere queste ricorrenze e mandare a casa il governo Berlusconi. Infatti
l'unica soluzione per impedire lo scempio sociale, economico e politico è
sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale e il suo governo
neofascista, antioperaio, razzista, xenofobo, corrotto, mafioso e guerrafondaio.
Auspichiamo che le piazze del 6 settembre in occasione dello sciopero generale
della Cgil diano un sonoro ceffone al neoduce e ai suoi tirapiedi della destra e
della "sinistra" borghesi, riempendosi di bandiere rosse con la falce e martello, di
cartelli in difesa del 25 Aprile, del 1° Maggio e del 2 Giugno e che ovunque
vengano sturate le orecchie al governo con "Bella Ciao" e gli inni del 1° Maggio.
Giù le mani dal 25 Aprile, dal 1° Maggio e dal 2 Giugno!




Napolitano rinuncia alle briciole non allo
stipendio
Il presidente della Repubblica restituirà 68 euro al mese
fino alla fine del suo mandato

Nel tentativo di placare la crescente indignazione popolare contro le due
micidiali stangate, i lauti stipendi e i privilegi da nababbo delle cosche
parlamentari che non sono stati minimamente toccati dalle manovre economiche
varate dal governo del neoduce Berlusconi col pieno avallo del nuovo Vittorio
Emanuele III Napolitano; a fine luglio il Quirinale ha diffuso una nota per
annunciare pomposamente al ministro dell'Economia e delle Finanze che il capo
dello Stato ha deciso di rinunciare a partire dal corrente anno e fino alla
scadenza del suo mandato nel 2013, all'adeguamento automatico del suo
stipendio all'indice dei prezzi al consumo così come stabilito dalla legge 23 luglio
1985, n. 372 ai sensi dell'art. 84 della Costituzione.
Messa così la decisione del rinnegato Napolitano potrebbe sembrare proprio "un
bel gesto, sia pure simbolico" o addirittura costituire "il buon esempio per la
casta" affinché si decida a fare altrettanto.
In realtà la falsa "fermezza" di Napolitano sfiora il ridicolo, perché a conti fatti il
capo dello Stato rinuncerà alla "faraonica" cifra di 68 euro netti al mese da qui
fino al 2013 anno in cui finirà il suo mandato.
Fino ad allora Napolitano continuerà a incassare 240 mila euro all'anno, oltre 12
mila euro al mese di stipendio, mentre il suo ufficio al Quirinale continuerà ad
avere una dotazione di 228 milioni l'anno, ossia più dei 112 dell'Eliseo e dei 43
di Buckingham Palace messi insieme. Inoltre costui riceve la ricchissima
pensione da ex-parlamentare pensionato.
Alle suindicate "restrizioni" spiega ancora il Qurinale "si aggiungono i risparmi
effettuati nel periodo 2006-2011 che ammontano complessivamente a
56.316.000 euro" realizzati tutti sulla pelle del personale e dei dipendenti dei
livelli più bassi del Quirinale attraverso il blocco del turnover, soppressione del
meccanismo di allineamento automatico delle retribuzioni a quelle del personale
del Senato, congelamento fino al 2013 degli importi tabellari degli stipendi e
delle pensioni, riduzione dei compensi per il personale comandato e distaccato e
di numerose indennità, contenimento degli straordinari, riduzione delle ferie,
aumento dell'orario di lavoro e riorganizzazione amministrativa interna.
Insomma, il Colle ha partorito un topolino.



Con l'attuale normativa previdenziale
Il 42% dei giovani raggiungerà una
pensione di solo mille euro al mese
Continua a mietere vittime la macelleria sociale scatenata dal governo del
neoduce Berlusconi e ancora una volta colpisce i giovani.
Secondo quanto segnala il progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove
politiche sociali" condotto da Censis e Unipol, il 42% dei dipendenti giovani
attualmente fra i 25 e i 34 anni, intorno al 2050 andranno in pensione con meno
di mille euro al mese, in generale addirittura meno dello stipendio di "inizio
carriera".
Ma non finisce qui, in quanto questa previsione riguarda i 4 milioni di giovani che
si trovano con un contratto standard: le cose andranno ancora peggio per i
tantissimi giovani della stessa fascia d'età autonomi, con contratti atipici o che
non sono ancora riusciti a trovare lavoro, che vanno tenuti in considerazione
dato che la disoccupazione giovanile, interessando oltre 1 milione di giovani al di
sotto dei 35 anni (con il Mezzogiorno che supera la media nazionale di dieci
punti percentuali), è una piaga sociale di dimensioni enormi.
Il quadro si fa ancora più grave se si pensa che, con il costante aumento di
pensionati in Italia, il sistema pensionistico rischia davvero di crollare e di
lasciare alla fame innumerevoli pensionati, come già dimostra il costante
abbassamento del tasso di sostituzione, cioè l'importo della pensione rispetto
all'ultima retribuzione (oggi al 70% e nel 2040 al 60%, secondo l'indagine citata).
Ha un bel da dire Sacconi, ministro del Welfare, che queste proiezioni sono
"molto opinabili" (sic), proponendo persino "forme di previdenza e assistenza
complementari" (leggi: "private"), che andrebbero ulteriormente a gravare
economicamente sulle masse popolari.
Si tratta comunque di un altro frutto amaro della crisi del capitalismo, sistema
che nega ai giovani speranze e sicurezza per il futuro, il tutto aggravato da un
governo che si tappa occhi e orecchie davanti alle richieste delle masse, e che
quindi va buttato giù quanto prima.
"I marxisti-leninisti si battono per un sistema pensionistico pubblico unificato,
legato alla dinamica salariale, finanziato dalla contribuzione obbligatoria. In
concreto chiedono il ripristino dell'età pensionabile a 60 anni per gli uomini e 55
per le donne e il mantenimento dei 35 anni contributivi per la pensione
d'anzianità. Chiedono il ripristino del calcolo della pensione sulla retribuzione,
quella degli ultimi 5 anni lavorati, la riduzione del minimo di contribuzione a 5
anni per il diritto alla pensione minima, in conseguenza anche del dilagare del
lavoro precario e dell'aumento del periodo di disoccupazione. Chiedono un
adeguamento reale delle pensioni in base al costo della vita e alla dinamica
salariale, da realizzare attraverso un efficace meccanismo automatico di scala
mobile. Inoltre i marxisti-leninisti chiedono la separazione dei fondi della
previdenza di competenza dell'Inps e simili da quelli dell'assistenza e sostegno
all'occupazione che sono di competenza dei ministeri, e l'eliminazione dei
privilegi pensionistici ai parlamentari, ministri e alle cariche pubbliche locali, ai
manager pubblici e privati". (Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI)



La Merkel e Sarkozy dettano la linea per salvare la
moneta unica dalla crisi
"Servono un governo per l'euro e il
pareggio di bilancio in tutte le
Costituzioni"
L'intesa tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca
Angela Merkel aveva dato il via libera, nel vertice straordinario dei paesi
dell'Eurozona dello scorso 21 luglio a Bruxelles, al secondo intervento
finanziario da 158 miliardi di euro per salvare la Grecia dalla bancarotta e con
essa l'euro. Sono gli stessi due protagonisti che dopo gli ulteriori scossoni
generati in Borsa dalla speculazione finanziaria, che colpivano i titoli di Stato
dell'Italia e arrivavano a minacciare persino quelli francesi a inizio agosto,
intervenivano di nuovo e dettavano la linea per salvare la moneta unica dalla
crisi.
Il vertice franco-tedesco del 16 agosto a Parigi lanciava alcune proposte di
intervento fra le quali la creazione di un "governo economico" per l'Europa
diretto da un presidente in carica per due anni e mezzo; "Io e la signora Merkel -
spiegava Sarkozy nella conferenza stampa - proponiamo che il candidato sia
Herman Van Rompuy", l'attuale presidente del Consiglio europeo. L'organismo
sarebbe costituito dai capi di Stato e di governo e si dovrebbe riunire almeno
due volte l'anno, precisavano la Merkel e Sarkozy in una lettera che il 17 agosto
inviavano a Van Rompuy, con la richiesta ufficiale dell'assunzione dell'incarico di
presidente del nuovo organismo di governo della zona euro.
Un organismo che nelle intenzioni dei due paesi promotori dovrebbe "guidare"
almeno in questa fase la difesa politica e economica dell'euro. Non è certo
possibile per le due potenze imperialiste che parte di queste responsabilità siano
assunte autonomamente dalla Banca centrale europea (Bce), che da novembre
sarà guidata dall'italiano Mario Draghi, intervenuta direttamente sui mercati
finanziari per comprare, dopo quelli greci, i titoli di stato italiani e spagnoli. Dopo
aver imposto al governo Berlusconi di dare il via alla superstangata, di concerto
con Berlino e Parigi.
Tanto che nella conferenza stampa a fine vertice Sarkozy e Merkel hanno avuto
parole di elogio per i governi di Italia e Spagna: "Hanno preso in questi giorni
decisioni molti importanti per la credibilità della zona euro", ovvero hanno fatto
quello che gli abbiamo chiesto.
E pretendono che sia eseguito anche il secondo "consiglio" messo a punto nel
vertice parigino, il pareggio di bilancio, una regola obbligatoria da inserire nella
carta costituzionale quantomeno dei 17 paesi membri dell'eurozona, poiché è
indispensabile un "rafforzamento della sorveglianza e dell'integrazione delle
politiche di bilancio".
Il pareggio di bilancio è la "regola d'oro" che la Merkel e Sarkozy intendono
imporre a tutti gli altri paesi entro la metà del 2012. La Germania l'ha già inserita
nella sua costituzione e chiede agli altri paesi di fare altrettanto: "ci deve essere
un obbligo nazionale, anche se si forma all'interno delle varie nazioni
un'opposizione", ha spiegato la Merkel. Per salvare l'euro che "resta il nostro
avvenire", ha sostenuto la cancelliera, bisogna porre fine ai bilanci statali in
deficit. Anche se c'è un prezzo da pagare, come quello che è stato messo nel
conto della Grecia e dell'Italia e che i governi scaricano sulle masse popolari.
Il pareggio del bilancio pubblico deve diventare un obbligo e chi non lo
rispettasse dovrebbe incorrere in sanzioni secondo l'asse franco-tedesco. Che
sono previste nella lettera inviata a Van Rompuy nella quale Sarkozy e Merkel
sostengono che "in futuro i pagamenti provenienti dai fondi strutturali e di
coesione dell'Unione Europea (destinati agli interventi di sviluppo, ndr)
dovrebbero essere sospesi nei paesi della zona euro che non si conformeranno
alle raccomandazioni sulle procedure di riduzione dei deficit eccessivi".
Tutta la serie di proposte avanzate, scrivono nel messaggio, "dovranno essere
messe in atto in modo da rafforzare la coesione dell'Unione Europea nel suo
insieme. Il Parlamento europeo, la Commissione europea e i parlamenti
nazionali dovranno associarsi a questo processo in conformità alle loro rispettive
prerogative". Ovvero seguire la linea da loro dettata.




Rapporto Svimez e dati di Confartigianato
All'Italia il record di disoccupazione
giovanile nella UE
Nel Sud 2 giovani su 3 non lavorano né studiano

Le recenti rilevazioni di Confartigianato e il Rapporto Svimez (Associazione per
lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), che sarà presentato il 27 settembre,
mettono in luce che sono circa 1,2 milioni (15,9%) i giovani al di sotto dei 35
anni senza lavoro, mentre fra i ragazzi fino a 24 anni il tasso di disoccupazione
arriva al 29,6%; le cose peggiorano molto se si analizzano i dati relativi al
Mezzogiorno, dove i disoccupati under 35 sono il 25,1%. Il picco lo tocca la
Sicilia con il 28,1%, seguita da Campania (27,6%), Basilicata (26,7%), Sardegna
(25,2%), Calabria (23,4%) e Puglia (23%). Sono dati che consegnano all'Italia il
record di disoccupazione giovanile nell'Unione europea.
Si segnala infine che gli "inattivi" (cioè coloro che non cercano nemmeno lavoro)
fra i 25 e i 54 anni sono il 23,2% contro il 15,2% della media europea.
Il Rapporto Svimez, concentrandosi sulla situazione critica del Mezzogiorno,
segnala che ormai due giovani su tre sono senza lavoro. La disoccupazione nel
Sud nel 2010 è salita al 13,4%, ma il dato reale (tenendo conto di chi non cerca
attivamente lavoro o è in cassa integrazione) svetta al 25,3%. Al contempo,
l'occupazione giovanile si arena al 31,7% e addirittura al 23,3% per le ragazze.
Il Rapporto segnala pure che ci sono 167 mila laureati "fuori dal sistema
formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e
Calabria".
La situazione non accenna a migliorare ed è anzi in costante peggioramento
come conseguenza della gravissima crisi del capitalismo e della macelleria
sociale provocata dal governo Berlusconi. È proprio Confartigianato a
confermarlo, rivelando come la crescita tanto della disoccupazione quanto della
"inattività" giovanili sia andata crescendo fra il 2008 e il 2011, parallelamente
alla crescita di domanda di manodopera da parte delle imprese italiane.
A fronte di questa piaga sociale Confartigianato propone un incremento e
un'agevolazione dell'uso dell'apprendistato, indicando che "il 12,5% delle
assunzioni nelle imprese artigiane avvengono attraverso l'apprendistato, a
fronte del 7,2% nelle altre aziende". Non ci stancheremo mai di ripetere che
l'apprendistato è una forma semigratuita di sfruttamento del lavoro giovanile
senza alcuna garanzia di assunzione finale, pertanto va assolutamente abolito.



Catania, 31 luglio 2011
Vittoriosa e rossa inaugurazione della
sede della Cellula "Stalin" della provincia
di Catania del PMLI
Scuderi: "Compagni della provincia di Catania siete
artefici storici dello sviluppo e della nuova fase della
vostra gloriosa Cellula"

Dal corrispondente della Cellula "Stalin" della provincia di Catania
Il 31 luglio, data dell'inaugurazione della sede della Cellula "Stalin" della
provincia di Catania del PMLI, rimarrà indelebile nei ricordi dei marxisti-leninisti
catanesi. Come ha indicato la Commissione per il lavoro di organizzazione del
CC del PMLI: "L'apertura della sede della vostra Cellula costituisce un evento
per tutto il nostro amato Partito, che guarda a voi con ammirazione e vi
applaude per questo successo politico-organizzativo-logistico che crea migliori
condizioni per il vostro ammirevole e infaticabile lavoro al servizio delle masse
del vostro territorio e della nobile causa del socialismo". Parole che spronano e
caricano ancor più i marxisti-leninisti della provincia di Catania, pronti a far della
sede una forte base rossa.
La giornata del 31 è iniziata alle 8,30, orario in cui i compagni catanesi del PMLI
e la Responsabile del PMLI per la Sicilia, compagna Vitrano, si sono ritrovati in
sede pronti ad accogliere i delegati delle altre istanze siciliane del Partito e gli
altri partecipanti.
La sala era stata precedentemente addobbata di rosso con le bandiere dei
Maestri e del Partito in evidenza. Per tutto il perimetro della sede erano affissi
manifesti storici e recenti con le parole d'ordine del PMLI. Dietro la presidenza
campeggiava il bellissimo striscione con la scritta "Inaugurazione della sede
della Cellula 'Stalin' della provincia di Catania" e il simbolo del PMLI con la falce
e martello. Sotto i ritratti dei Maestri e il manifesto per il proselitismo 2011, da un
lato, e dall'altro quello della Commemorazione di Mao 2011. Sui ripiani erano in
bella evidenza le pubblicazioni del Partito e "Il Bolscevico". L'addobbo della
sede è stato ammirato da tutti i presenti ed elogiato dalla Responsabile
regionale.
L'evento ha incuriosito alcuni passanti e alcuni residenti che sono entrati nella
sede informandosi, facendo gli auguri e acquistando del materiale.
Alle ore 10,30, quando tutti i militanti, i simpatizzanti e gli amici del Partito erano
ormai presenti, si è dato inizio all'inaugurazione ufficiale della sede. Mentre
risuonava "Il Sole Rosso", la presidenza, composta dal Segretario della Cellula
"Stalin" della provincia di Catania, compagno Sesto Schembri, dalla
Responsabile regionale per la Sicilia, e dal compagno Gabriele, prendeva posto
e di fronte ad essa sedeva il resto dei partecipanti.
Alle 10,35 il Segretario della Cellula "Stalin" legge il saluto del Segretario
generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, che aveva inviato alla riunione
della Cellula che si era svolta nel giorno precedente. Il messaggio, tra l'altro
dice: "invio a tutti voi, artefici storici dello sviluppo e della nuova fase della vostra
gloriosa Cellula, un fraterno, solidale e riconoscente saluto, le mie più calorose
congratulazioni e gli auguri più fervidi". Alle 10,40 è il compagno Gabriele a
leggere il saluto della Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del
PMLI. In seguito, alle 10,45, il compagno Sesto Schembri legge il proprio saluto,
nel quale, tra l'altro dice:
"Grazie di essere qui presenti e di avere accettato l'invito per l'inaugurazione
della sede della Cellula 'Stalin' della provincia di Catania. Con il processo di
radicamento del PMLI, nel movimento di massa catanese si sentiva il bisogno
fra i compagni e gli amici del Partito di avere un luogo in cui riunirsi per studiare
e dibattere collettivamente la linea politica del Partito, studiare i principi per
marxismo-leninismo-pensiero di Mao, alla cui base si trova la filosofia del
materialismo storico e dialettico, una scienza applicata al sociale con la
concezione proletaria del mondo.
La sede sarà aperta a tutti i simpatizzanti e amici del Partito per varie iniziative,
assemblee e dibattiti". Nel suo saluto il compagno ha anche tracciato l'attività
politica della Cellula nel recente passato e gli impegni per il prossimo futuro.
Al termine del suo saluto Schembri ha comunicato ai partecipanti
dell'inaugurazione la possibilità di intervenire per fare gli auguri, dopo i saluti
delle Cellule e Organizzazioni siciliane del PMLI.
Alle 11,05 la compagna Vitrano ha letto il proprio saluto nel quale, tra l'altro,
dice: "I compagni della provincia di Catania sono impegnati incessantemente nel
lavoro di radicamento, ma care compagne e compagni presenti oggi a questa
inaugurazione, il lavoro di radicamento del PMLI non è affare solo dei militanti e
dei simpatizzanti della Cellula. Se anche a voi sta a cuore lo sviluppo del Partito
e la causa del socialismo date una mano come potete nella provincia di Catania.
Dateci una mano a tenere aperta la sede. Dateci un contributo economico,
anche piccolo, se potete, aiutateci a portare le insegne del PMLI in piazza,
scrivete per 'Il Bolscevico', aiutateci a scrivere comunicati stampa sui problemi
della città e a diffonderli insieme ai volantini". Ella ha concluso con un elogio ai
compagni della provincia di Catania e con l'invito a tutti a partecipare l'11
settembre alla Commemorazione di Mao, che verrà tenuta dal Segretario
generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi.
Alle 11,15 il compagno Gabriele ha letto i saluti dei Responsabili regionali e di
alcune Cellule e Organizzazioni del Partito. A conclusione del saluto della
Cellula "Nerina 'Lucia' Paoletti" di Firenze, la presidenza ha spiegato ai presenti,
molti dei quali giovani che non conoscono la storia del Partito, suscitando un
commosso e caloroso applauso, chi è stata la compagna Lucia una dei primi
quattro Pionieri del PMLI e come "ha dato tutta la sua vita e il suo tempo al
Partito", lasciando un enorme vuoto quando è prematuramente scomparsa nel
2006.
Tutte le istanze che hanno espresso i propri auguri sono state ringraziate con
una lettera della Cellula "Stalin" in cui si legge: "ringraziamo il Segretario
generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, la Commissione per il lavoro di
organizzazione del CC del PMLI, la Responsabile per la Sicilia del PMLI,
compagna Giovanna Vitrano, che per l'occasione è stata presente, e tutte le
istanze centrali e di base per gli auguri, gli elogi e gli incoraggiamenti che ci
avete inviato per l'inaugurazione della sede della Cellula 'Stalin' della provincia
di Catania. Questa è una vittoria che appartiene a tutto il Partito dai quattro
Pionieri che ci hanno dato gli strumenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao
calati creativamente nel nostro contesto storico e sviluppati scientificamente per
abbattere il capitalismo oramai in putrefazione, alle istanze centrali e quelle di
base. In questa sede è come se fossimo presenti tutti e con voi condividiamo
questa base rossa per l'Italia unita, rossa e socialista. Grazie ancora compagni
per i vostri elogi che abbiamo ricevuto con gioia rivoluzionaria".
Alle 11,25 il compagno Sesto Schembri ha invitato i delegati delle istanze
siciliane a portare il loro saluto. In ordine hanno preso la parola un militante della
Cellula "1° Maggio-Portella 1947" di Palermo, il Segretario della Cellula "Mao" di
Troina e il Segretario della Cellula "Lunga Marcia" di Messina.
Alle 11,45 sono intervenuti alcuni simpatizzanti ed amici che hanno espresso il
loro giudizio positivo nei confronti dell'apertura di questa base rossa marxista-
leninista, che rappresenta un punto di riferimento di fronte unito per obbiettivi
comuni. Il compagno Mimmo Impellizzeri ha portato i suoi auguri a nome del
circolo "Che Guevara" di Misterbianco, in provincia di Catania e il compagno
Salvo D'Arrigo ha portato i saluti e gli auguri a nome dei Comunisti italiani di
Catania. In seguito hanno preso la parola la compagna Alba e il compagno
Gabriele che hanno ribadito il proprio impegno politico nella provincia di Catania
per portare avanti la linea politica e di massa del Partito, il marxismo-leninismo-
pensiero di Mao all'interno del movimento catanese, nell'ottica di fare del PMLI
un Gigante Rosso non solo nella testa ma anche nel corpo.
L'inaugurazione si è conclusa con un brindisi mentre risuonavano i tre Inni del
Partito "Il Sole Rosso", "L'Internazionale" e "Bandiera Rossa". È seguito un
rinfresco offerto dalla compagna Vitrano. Alcuni simpatizzanti e amici hanno
portato vino e dolci locali ed una pianta.
Il rinfresco si è svolto in un clima di armonia e di festa proletaria marxista-
leninista e ha visto intrecciarsi dialoghi e confronti fra compagni e amici
provenienti da diverse storie sociali.
I militanti e i simpatizzanti della Cellula "Stalin" della provincia di Catania
difficilmente dimenticheranno questa storica e giornata durante la quale si sono
sentiti fedeli continuatori della gloriosa opera dei pionieri del PMLI.



Criminali bombardamenti della Nato
Vittoria del popolo libico. Abbattuto il
regime di Gheddafi
Il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico ha lanciato il 30
agosto da Bengasi un ultimatum ai militari asserragliati nella città di Sirte e in
alcuni altri centri minori ancora fedeli a Gheddafi affinché si arrendano entro
pochi giorni: in poco più di una decina di giorni l'offensiva finale lanciata dagli
insorti ha travolto le difese di Tripoli. Nella capitale, al momento in cui scriviamo,
continuano gli scontri, Gheddafi è introvabile con le forze del Cnt, dei servizi
inglesi e francesi e gli aerei della Nato che continuano a dargli la caccia ma
oramai il suo regime è crollato, non esiste più. Il popolo libico ha vinto. Ha vinto
una prima importante battaglia per la democrazia e la libertà, altre lo aspettano
affinché non cada dalla padella di Gheddafi nella brace imperialista.
In contemporanea all'annuncio del presidente del Cnt da Bengasi ha parlato la
Nato, il cui portavoce da Bruxelles ha sottolineato che le operazioni continuano,
"la nostra missione è ancora necessaria", in particolare nella zona di Sirte. Non
ha spiegato come i bombardamenti sulle truppe rimaste fedeli a Gheddafi
possano rientrare nella missione "umanitaria" della Nato per proteggere i civili,
non poteva farlo ma non ce ne è stato bisogno, oramai non serve più nemmeno
il richiamo formale alla risoluzione Onu numero 1973 del 17 marzo scorso che
ha legittimato l'aggressione imperialista alla Libia.
L'offensiva finale delle forze del Cnt era scattata il 19 agosto e in un paio di
giorni gli insorti prendevano definitivamente il controllo di alcune località
strategiche al centro da mesi degli scontri, dall'importante porto petrolifero di
Brega, alla città di Zlitan a quella di As Zawiyah, a soli 30 chilometri a ovest della
capitale, con la sua grande raffineria e lungo la principale strada di collegamento
con la Tunisia. Da queste località partiva l'attacco a tenaglia su Tripoli, nei cui
quartieri periferici gli scontri iniziavano già il 21 agosto e dove si facevano intensi
i bombardamenti Nato, che colpivano le caserme e i centri di comando
dell'esercito di Gheddafi come pure le abitazioni. Le sedi militari erano raggiunte
successivamente da reparti degli insorti guidati in diversi casi dalle "truppe
speciali" imperialiste.
Il mandato Onu escludeva l'impiego di truppe di terra, un impiego formalmente
accettato ma contemporaneamente violato dalla Gran Bretagna; lo ha ammesso
il ministro degli esteri William Hague che ha confermato come le Sas britanniche
siano sul terreno per ordine del premier Cameron. Violato da agenti americani,
francesi e qatarioti impegnati quantomeno a dirigere i tiri dei bombardieri.
Gli scontri principali a Tripoli terminavano il 28 agosto e i rappresentanti del Cnt
dichiaravano l'emergenza umanitaria per la mancanza di acqua, scorte di viveri,
elettricità, carburante e medicinali negli ospedali dove moltissimi feriti sono morti
per mancanza di cure.
Il Cnt ha chiesto un immediato aiuto umanitario e finanziario, non ha soldi
nemmeno per pagare i propri dipendenti. Dovrebbe attendere che le Nazioni
Unite revochino l'embargo imposto lo scorso marzo sulla Libia per poter
accedere ai beni libici sequestrati nelle banche di Washington, Londra e Parigi
che si trattengono oltre 100 miliardi di dollari. L'Onu può sbloccare i fondi al
momento in cui il Consiglio transitorio sarà riconosciuto come il legittimo
rappresentante della nazione libica. Per le emergenze stanno studiando una
soluzione i tre paesi che hanno diretto l'aggressione imperialista e che si
pongono come principali tutori della nuova Libia e del suo petrolio insieme
all'Italia.



Accordo tra democratici e repubblicani sul debito Usa
per evitare il fallimento
Obama capitola alla destra
Selvaggi tagli alla spesa pubblica. La sua sinistra lo attacca: "Svende lo
Stato sociale". Declassato il debito Usa
Il dollaro non è più la moneta sovrana nel mondo

"I leader dei partiti, di tutte e due le Camere, hanno raggiunto un accordo che
ridurrà il deficit ed eviterà il default, che avrebbe avuto un effetto devastante
sulla nostra economia. La prima parte dell'accordo taglierà le spese di 1.000
miliardi di dollari in dieci anni. Il risultato sarà il livello più basso di spesa
nazionale da quando Eisenhower era presidente, ma a un livello che ci
consentirà ancora di fare investimenti per creare occupazione in settori come
l'istruzione e la ricerca". Con queste rassicuranti parole ai primi di agosto il
Presidente Usa Barack Obama ha annunciato l'accordo tra la Casa Bianca e i
leader del Congresso sull'innalzamento del tetto del debito per complessivi
2.100 miliardi di dollari.
Frutto di un piano concordato tra il repubblicano McConnell e il leader dei
Democratici in Senato, Harry Reid, la manovra di lacrime e sangue preannuncia
una micidiale stangata per il popolo americano. Altro che compromesso "per
evitare di ritrovarci in una crisi simile fra 6, 8 o 12 mesi", come sostiene Obama,
in tanti parlano di pura e semplice capitolazione al programma dei neofascisti
repubblicani: l'America non alza di un dollaro le tasse e la Casa Bianca dovrà
fare selvaggi tagli alla spesa pubblica. Anche la "sinistra" del Partito lo accusa di
essere stato troppo arrendevole nei confronti della destra e di essere finito "a
parlare come loro, a pensare come loro, ad agire come loro". Tanto è vero che,
dimenticate le parole che avevano fatto la sua fortuna: "Hope" e "Change",
anche i sondaggi dicono che la sua popolarità è scesa sotto il 40 per cento, ed è
in calo verticale anche sul suo blog in Twitter (9 milioni e mezzo di utenti). A
quelle parole egli ha preferito le citazioni di Ronald Reagan con le quali ha
chiesto agli americani di premere sul Congresso per fare approvare i tagli a
programmi come Medicare e ai sussidi per l'agricoltura.
Non solo, il suo elettorato gli rimprovera anche l'aumento delle truppe in
Afghanistan, la conferma dei tagli alle tasse ai più ricchi dell'era Bush, la
mancata promessa della chiusura di Guantanamo, la falsa "riforma" sanitaria.
Persino il New York Times, che fin qui lo aveva sempre sostenuto, titolava: "Con
un bilancio che pende a destra Obama allarga la spaccatura nel suo partito: a
rischio nel 2012 i voti liberal".
Ma forse il più duro colpo, per le sue ambizioni di risollevare le sorti
dell'imperialismo americano, gli sono venute dal declassamento del debito Usa
ad opera di Standard & Poor's. La valutazione AAA è stata infatti abbassata di
un gradino, a AA+. "Il piano di risanamento - scriveva S&P - non è adeguato a
quanto sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito.
L'efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in
un momento in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano". Il rating, spiegava
Jean-Michel Six, capo economista europeo di S&P: "Non è una sanzione o una
punizione. Facciamo delle diagnosi che permettono di confrontare la qualità del
credito". Sta di fatto che si tratta di una decisione senza precedenti, in quanto è
la prima volta che gli Usa si vedono ridurre il grado di affidabilità da una delle tre
principali agenzie di rating, affidabilità che ora è inferiore a quella della
Germania, della Francia o del Canada. Secondo gli analisti questa decisione
"avrà un impatto sull'appetito degli investitori esteri per il debito americano, visto
che nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l'1% del debito americano,
mentre ora ne controllano ben il 46%".
Tutti segnali della grave decadenza dell'economia reale Usa, dominata dalla
speculazione e conseguenza anche di un costo del denaro eccezionalmente
basso e del fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha
permesso agli Usa di farsi finanziare per decenni il debito statale ed estero dal
resto del mondo. Emblematica in tal senso la reazione della nuova
superpotenza imperialista emergente. "La Cina, il più grande creditore dell'unica
superpotenza mondiale, ha tutto il diritto - si legge in un durissimo commento
diffuso dall'agenzia Nuova Cina - di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei
problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi
denominati in dollari". "I giorni in cui lo zio Sam, piegato dai debiti, poteva
facilmente dilapidare quantità infinite di prestiti stranieri sono ormai contati", si
legge ancora nel comunicato. Ancor più duro Guan Jianzhong, presidente
dell'agenzia di rating cinese Dagong: "La risposta degli Stati Uniti al problema
del debito è stata arrogante. Non ci vorrà molto tempo prima che scoppi la crisi
del debito sovrano Usa. La crisi del debito Usa è più preoccupante di quella
dell'eurozona, sia perché in Europa tocca solo pochi paesi ma anche per le
diverse soluzioni adottate".
Tutto ciò dimostra, dal punto di vista economico, che gli Usa non sono più in
grado di assolvere a quella funzione di dominio incontrastato della
"globalizzazione" imperialista e che il dollaro non può più continuare a essere
l'unica moneta di riserva e di transazione mondiale. Dal punto di vista politico
testimoniano che si stanno sgretolando le illusioni che la "sinistra" borghese
aveva sparso a piene mani a livello mondiale con l'elezione di Obama alla Casa
Bianca.



Freddato dalla polizia
La morte di un giovane a Londra innesca
una rivolta popolare
La Cellula "Stalin" di Londra prende posizione e solidarizza con i
rivoltosi

Dal corrispondente della Cellula "Stalin" di Londra
Giovedì 4 agosto a Londra è stato ucciso dalla polizia a colpi di arma da fuoco
Mark Duggan, un giovane nero di 29 anni, con piccoli precedenti penali, padre di
4 figli. Il fatto è avvenuto a Tottenham, un quartiere della periferia nord della
capitale britannica. In un primo tempo la polizia aveva sostenuto che il giovane
avesse una pistola e per questo è stata chiamata l'unità speciale dato che la
polizia a Londra normalmente non è dotata di armi da fuoco. L'unità speciale ha
cercato di fermare il giovane e dopo un inseguimento rocambolesco sono riusciti
a bloccarlo sul ponte di Tottenham e gli hanno sparato.
Le notizie girate subito dopo erano molto frammentarie e confuse, si parlava
anche di un poliziotto ferito e di un conflitto a fuoco, per questo la polizia era
stata costretta a rispondere al fuoco ed a uccidere Duggan. Molti giorni dopo si è
invece saputo che il giovane era completamente disarmato. Le indagini sono
ancora in corso e probabilmente ci sarà una commissione d'inchiesta perché la
dinamica non è per niente chiara e di sicuro c'è solo che un ragazzo è stato
ucciso come un cane.
Sabato sera un gruppo nutrito di persone e tra di essi i parenti di Mark si sono
presentati davanti al commissariato di Tottenham per avere delle risposte circa
la dinamica dei fatti e anche per protestare perché la polizia ancor prima di
parlare con i parenti aveva già dato la sua versione ai media dipingendo come
un gangster questo ragazzo che era ben conosciuto nel quartiere come una
persona con piccoli precedenti penali ma assolutamente innocua. La protesta da
pacifica ha cominciato a diventare sempre più accesa fino a che è scattata una
rabbia che si è presto tramutata in rivolta vera e propria con l'incendio di
macchine e il saccheggio di un centro commerciale. Il giorno dopo High Road
sembrava una zona di guerra e questo a seguito della politica repressiva e del
comportamento poliziesco.
Tottenham è il sesto quartiere più degradato di Londra, ha il più alto livello di
disoccupazione dell'intera città, più del 50% dei disoccupati sono giovani, il 40%
dei ragazzi vive in condizioni di assoluta povertà, circa il 9% dei benefit erogati
in tutto il Regno Unito vengono dati per quel quartiere. Il comune quest'anno ha
tagliato del 75% i fondi per giovani, chiuso ben 8 dei 12 centri del quartiere per i
giovani, i sussidi per le famiglie continuano a essere tagliati. Inoltre nel quartiere
gira molta droga, e i ragazzi sono stufi di essere trattati come bestie dalla polizia
a cui troppo spesso, basta che uno sia nero e indossi una felpa con il cappuccio,
per etichettarlo come spacciatore, fermarlo in malo modo, cacciarlo in macchina
e perquisirlo.
Da gennaio a maggio di quest'anno la polizia a Tottenham ha fermato per un
controllo 5.497 persone. Si capisce dunque come l'uccisione di Mark Duggan sia
stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della rabbia popolare, specie tra i
giovani.
La protesta si è estesa giorno dopo giorno in altri quartieri emarginati della città,
come Clapton, Brixton, Hackney, Croydon e altre zone centrali. Poi è stata la
volta di altre città del Regno Unito come Birmingham, Bristol, Manchester e
Liverpool. All'inizio della settimana il premier Cameron era già tornato dalla sua
vacanza perché la città di Londra era fuori di controllo e ha richiamato
precipitosamente altri 16.000 poliziotti per pattugliare le strade e sedare le
rivolte. Mentre blindavano la città hanno sapientemente dato in pasto ai media le
"veline" sulle razzie nei negozi, le testimonianze di persone disperate, con lo
scopo preciso di far passare questa sacrosanta rivolta popolare per un maxi-
saccheggio ad opera di grosse gang e fine a se stessa.
Dopo una settimana la situazione si è calmata. Ci sono stati 5 morti e decine di
feriti, anche tra la polizia e oltre mille, forse duemila, gli incarcerati. Il fascista e
criminale Cameron, ancora non arrestato per il suo vergognoso ruolo nello
scandalo Murdoch si ritiene soddisfatto per aver fermato quelli che lui chiama
delinquenti e già pensa di autorizzare la polizia ad usare i cannoni ad acqua o le
pallottole di gomma, nascondendo alla nazione e al mondo di quanto il Regno
Unito in realtà abbia situazioni di estremo disagio sociale. E invece di
rimboccarsi le maniche, destinare più risorse economiche dove servono, cioè
alle masse popolari inglesi, preferisce arricchire sempre di più i soliti squali
capitalisti e continuare a sovvenzionare le loro guerre imperialiste.
Le masse sono disorientate perché tanti non si rendono conto di cosa sta
succedendo grazie alla disinformazione dei giornali e telegiornali di regime,
mentre sono pochi i media che denunciano le cose come stanno, cioè che si è
trattato di una sacrosanta rabbia popolare e denunciano il fatto che l'omicidio di
Duggan è l'ultimo di una serie di assassinii che la polizia cerca di coprire. Pare
che dal 1998 ne siano stati uccisi 333 e nessun poliziotto è stato punito.
La Cellula "Stalin" di Londra del PMLI, che ha preso posizione sui fatti accaduti
sostiene totalmente l'eroica rivolta popolare, solidarizza con i parenti della
vittima e condanna il governo del reazionario e repressore Cameron.
Presa di posizione della Cellula "Stalin" di Londra del
PMLI
La rivolta che ha infiammato le città
britanniche è la risposta al disagio,
all'emarginazione economica e sociale a
cui il governo condanna le masse
popolari
Ciò che sta accadendo negli ultimi giorni qui a Londra non è un incidente e
nemmeno l'opera di un piccolo gruppo di fanatici e vandali che esternano la loro
frustrazione per le strade della città ma è ben altro. Ciò che sta accadendo è il
risultato inevitabile del degrado sociale e politico. Come ogni cosa occorre fare
un'attenta valutazione scientifica e di classe su ciò che ci circonda e non limitarsi
semplicemente alla "buccia" delle cose.
La violenza scaturita in queste ultime ore a Londra è il frutto di un grido delle
masse mai udito dal governo britannico, ossia un apparato sordo e muto che
reprime sistematicamente gli oppressi di questa nazione (frequenti ronde per le
strade, organismi cooperativi come i Police Community Support Officers,
quantitativi esagerati di telecamere dappertutto, perquisizioni, ecc.).
Mark Duggan era un giovane che non meritava di essere ammazzato come un
cane, qualunque cosa abbia commesso poteva e doveva essere fermato in
maniera diversa e non letale, ma così purtroppo non è stato. La sua uccisione a
colpi di arma da fuoco da parte di un poliziotto non è minimamente giustificabile.
La polizia britannica, contrariamente a quello che pensano alcuni stolti
liberaloidi, non è affatto migliore o più diplomatica rispetto a quella italiana del
neoduce Berlusconi, al contrario è anche peggio, l'unica differenza è che sa
"nascondere" meglio la rogna sotto la moquette. La sua vera diplomazia è nel
depistaggio e nel camuffare la verità alle masse con un tipico stile ormai noto a
tutti. Nelle ultime ore i media (BBC in primis) hanno già preparato e confezionato
le versioni da vendere all'opinione pubblica facendo passare una più che
sacrosanta rivolta popolare (essendo qualche migliaio il numero di persone in
lotta con le "forze dell'ordine") in un atto vandalistico di piccolo gruppo.
Niente di più falso!
Abbiamo dirette testimonianze di persone coinvolte e numerose altre fonti che
attestano il contrario. Da Walthamstow a Tottenham, da Enfield ad Hackney, da
Peckam a Brixton fino ad arrivare addirittura a varie città come Birmingham e
altre zone del Paese, il consenso delle masse verso i rivoltosi è sempre più alto
di ora in ora e non è minimamente vero che la comunità "vive nel panico".
Possiamo dire questo: la situazione di violenza non rende felice nessuno ma è
purtroppo inevitabile per dare un chiaro messaggio a questo governo
neofascista, capitalista e sordo. L'Inghilterra, essendo una nazione capitalista e
imperialista, ha un apparato giuridico, istituzionale e poliziesco che è lì per
proteggere la classe dominante borghese al potere e reprimere invece le classi
oppresse, ossia il proletariato e le masse popolari. Le perquisizioni frequenti che
fanno a Londra, specie nei quartieri popolari verso stranieri e maggiormente
verso i neri, sono una realtà aberrante che sta crescendo di giorno in giorno e le
masse hanno provato a esternare il loro dissenso in numerosissime occasioni
senza che il governo abbia fatto nulla a riguardo, al contrario rispondendo con
fredde pratiche burocratiche borghesi e alimentando così il malcontento
generale. Non ci pare che il governo abbia fatto arrestare, perquisire o uccidere
criminali come Cameron, Murdoch, Branson o tutti quei dirigenti delle banche,
multinazionali (molti di questi non pagano nemmeno le tasse e fanno profitti da
miliardi di sterline) e vari pezzi da novanta della City che guadagnano cifre
stratosferiche sfruttando il lavoro altrui e spesso facendo truffe che sono
addirittura legalizzate dalla stessa democrazia britannica. Come mai non
arrestano questi uomini?
La verità è che è più facile uccidere a sangue freddo un giovane nero perché ha
un cappuccio e magari anche un piccolo quantitativo di droga in tasca piuttosto
che persone "rispettabili". Questo è lo specchio della disuguaglianza sociale che
impera in questo Paese da sempre e del silenzio mediatico che cerca di
stroncare ogni forma di dissenso e rivolta. Ammettiamo che una parte di questa
violenza sia gratuita e mal esercitata (vetrine di piccoli negozi rotte, ecc.) ma
sosteniamo totalmente gli scontri contro le "forze dell'ordine" in quanto quella è
cosa ben diversa dal vandalismo.
In ogni rivolta ci sono esagerazioni e anche ingiustizie per cui degli innocenti
possono purtroppo essere colpiti, ma questo è soltanto un piccolo tassello di
quello che è un più grande mosaico. La cosa importante è comprendere il
motivo per il quale è nata questa rivolta e non limitarsi alle vetrine spaccate. La
BBC sta cercando di far passare "come al solito" questa rivolta come un'azione
malata di pochi drogati quando in realtà è molto di più.
L'uccisione di Duggan è il simbolo di una repressione sociale e neofascista, è il
simbolo di un'ennesima ingiustizia della borghesia nei confronti degli oppressi e
dei poveri. Non esistono mezzi termini e non bisogna limitarsi a predicare
ipocritamente il falso moralismo intellettualoide di carattere borghese e
antipopolare (persino il Popolo Viola London non ha mancato di mostrare la sua
vera natura). Al contrario dobbiamo comprendere il motivo di tutto questo, fare
un bilancio scientifico di ciò e sostenere la più che lecita rivolta popolare di
questo sempre più crescente numero di persone contro le "forze dell'ordine" e il
governo del reazionario Cameron.
Proprio come in Italia, anche qui i media stanno cercando di confezionare la
verità del regime intervistando un limitato numero di persone che sono contro
questa rivolta, facendole passare come "opinione pubblica generale". Esponenti
di Scotland Yard, Comuni ed istituzioni varie hanno concentrato tutta la loro
attenzione e condanna (degna della più fetida fogna fascista) verso gli atti di
"vandalismo" e tutto ciò che vende meglio. Non solo non hanno espresso
minimamente rimorso per la morte del giovane, ma hanno avuto il coraggio di
dire che la polizia sta perdendo il controllo della città e che "occorrerebbe
rinforzare l'apparato poliziesco sulle strade per reprimere ancora di più".
Questo conferma quello che noi del Partito marxista-leninista italiano diciamo da
sempre: che la lotta di classe è la forza motrice della società e che la classe
oppressa (il proletariato) non può elemosinare le briciole dalla borghesia ma
deve rovesciare la classe borghese al potere non tramite il parlamentarismo e
l'elettoralismo ma con l'uso della forza e della violenza di massa (ripetiamo, di
massa e non di piccolo gruppo).
La Cellula "Stalin" di Londra del PMLI sostiene fermamente l'eroica rivolta
popolare di questi giorni in Gran Bretagna, condanna senza esitazione questo
governo e le "forze dell'ordine", solidarizza con i familiari del giovane Mark e
spera vivamente che questa scintilla sia finalmente di ispirazione per altri focolai
di lotta.
Questo governo la deve smettere di considerare la sterlina inglese come una
suprema divinità da servire mettendo le masse e i loro bisogni in secondo piano,
la deve smettere di reprimere il dissenso. Malcontento e degrado che non sono
altro che la conseguenza del sistema capitalistico e quando una rivolta è
popolare lo Stato e i suoi servi si devono mettere da parte, perché per quanto
possano temporaneamente "avere la meglio" sulle masse hanno già segnato il
fallimento del loro stesso destino. Le masse non dimenticano, le masse lottano,
le masse faranno tesoro di questa esperienza storica per quelle che saranno
future rivolte ancora più grandi e mirate ad abbattere il sistema capitalistico, vero
problema di base.
Viva la rivolta popolare inglese!
Che la lotta popolare si estenda a tante altre città del Paese!
Abbasso le "forze dell'ordine" britanniche!
Abbasso il governo del reazionario Cameron!
Viva la lotta di classe!



Non si arresta la grandiosa mobilitazione studentesca
in Cile
Sciopero di 48 ore contro il criminale
governo di Santiago
Ucciso un sedicenne
Almeno 600 mila lavoratori e studenti hanno partecipato alle manifestazioni che
si sono svolte in tutto il paese nel corso dello sciopero di 48 ore indetto dalla
Centrale unitaria del lavoratori (Cut) per il 24 e 25 agosto scorsi. Allo sciopero
hanno partecipato in massa i dipendenti pubblici, in particolare della scuola,
molti i lavoratori delle imprese private, moltissimi gli studenti universitari e delle
scuole superiori uniti nella richiesta di un'Assemblea costituente che porti a una
nuova costituzione che elimini quella varata nell'80 dalla dittatura di Pinochet e
rimasta sostanzialmente invariata anche durante i dieci anni di governo del
"centrosinistra", dal 1999 al 2009, e del successivo governo di destra del
presidente Sebastian Piñera. Lavoratori e studenti cileni chiedono la tutela dei
diritti del lavoro e dell'ambiente, pensioni e sanità pubbliche, il potenziamento
della scuola pubblica.
Chiedono la modifica di un testo costituzionale che criminalizza i movimenti
sociali e li definisce "terroristi" e che permette al criminale governo di Santiago di
proibire le manifestazioni. O di dare il via libera alla polizia per attaccarle come è
accaduto in diverse manifestazioni durante lo sciopero, dove ci sono stati anche
oltre 1.400 manifestanti arrestati. Fino alla sera del 25 agosto quando la polizia
ha ucciso un giovane di 16 anni che partecipava alle proteste nel quartiere di
Jaime Eyzaguirre, a Santiago.
La mobilitazione contro il regime di destra del presidente Sebastian Piñera era
iniziata nella scorsa primavera con una manifestazione studentesca a Santiago
cui avevano partecipato poche migliaia di studenti. La denuncia della
"mercificazione dell'educazione" e la rivendicazione di "un'istruzione gratuita e di
qualità" trovava spazio nelle scuole superiori, che venivano occupate dagli
studenti in lotta, e nelle università dove molti giovani si indebitano per anni per
pagare le rette. Il 16 giugno son in 200 mila gli studenti che manifestano nelle
piazze, la più grande manifestazione dalla fine della dittatura, per chiedere al
governo maggiori risorse da investire nell'istruzione, un abbassamento dei
prezzi nel trasporto pubblico, agevolazioni economiche agli studenti e
l'abbattimento delle disuguaglianze tra scuola pubblica e la privilegiata scuola
privata.
Una lotta che costringe il presidente Sebastián Piñera a sostituire il 18 luglio il
ministro dell'Istruzione e a avviare un dialogo con i rappresentanti degli studenti.
Che respingono le proposte governative, che non mettono al centro la scuola
pubblica, e promuovono nuove manifestazioni come quella a Santiago del 5
agosto, vietata dal governo e appoggiata dalla popolazione. La polizia attacca i
cortei studenteschi nella capitale e nelle altre città con un bilancio di molti feriti e
un migliaio di arrestati. Proteste e scontri che si ripetono il 10 agosto a Santiago,
Valparaiso, Conception e in altri centri minori.
La protesta studentesca non si fa intimidire e si unisce a quella dei lavoraratori
nello sciopero del 24 e 25 agosto. E prepara una nuova grande mobilitazione
per l'11 settembre, nell'anniversario del colpo di stato del '73.
Dopo un attacco della resistenza a un pullman di militari
Rappresaglia nazista dei sionisti a Gaza
I bombardamenti aerei dei sionisti sulla striscia di Gaza si ripetono con una
cadenza che quasi non fa più notizia; lo diventa quando in soli tre giorni causano
15 morti, tra i quali almeno tre ragazzi, e una cinquantina di feriti come è
avvenuto tra il 18 e il 20 di agosto durante una rappresaglia nazista in seguito a
una serie di attacchi della resistenza fra i quali quello a un pullman di militari a
pochi chilometri da Eilat, la località turistica sul Mar Rosso al confine con l'Egitto.
L'attacco del 18 agosto è stato condotto da un gruppo di una trentina di
palestinesi armati di mitra che hanno intercettato il bus diretto a Eilat e altri
mezzi e che dopo lo scontro con i soldati sionisti sono in gran parte riusciti a
fuggire.
Nella reazione all'attacco della resistenza palestinese le forze di Tel Aviv hanno
ucciso anche tre ufficiali di polizia egiziani alla frontiera tra i due paesi. Altri due
soldati egiziani erano uccisi dalle forze aeree sioniste mentre pattugliavano il
confine di Rafah. L'Egitto chiedeva le scuse ufficiali; che non sono arrivate.
Il regime di Tel Aviv era impegnato nella rappresaglia contro la striscia di Gaza e
il governo palestinese guidato da Hamas. "La vera responsabile di questo
attacco è Gaza, risponderemo con forza e determinazione", annunciava il
ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che chiudeva i valichi di transito per
la striscia di Gaza e inviava l'aviazione a colpire tutte le città della striscia e
alcuni campi profughi.
Gli attacchi continuavano nei due giorni successivi con un pesante bilancio di
vittime, fra le quali molti civili. Fonti mediche palestinesi denunciavano che molti
feriti avevano lacerazioni non dovute a bombe normali ma lesioni simili a quelli
delle vittime dell'Operazione Piombo Fuso, quando i sionisti utilizzarono le
proibite bombe al fosforo.
La rappresaglia sionista era condannata da Hamas e finanche dal presidente
dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, che chiedeva una
riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell'Onu per fermare "la
pericolosa escalation contro la Striscia di Gaza e l'uccisione di civili".
Uno dei responsabili di Hamas a Gaza affermava che la rappresaglia di Tel Aviv
serviva al regime sionista anche per spostare l'attenzione sulla "sicurezza" del
paese e spegnere il fuoco della protesta sociale che si stava sviluppando a Tel
Aviv e nelle altre principali città.
Almeno 250 mila manifestanti avevano partecipato alle manifestazioni del 7
agosto contro il caro vita; la più grande manifestazione nel paese per chiedere
affitti più bassi, salari minimi più alti, scuole gratuite. Una protesta che
continuava il 13 agosto con manifestazioni nelle città più piccole e alle quali
partecipano per la prima volta anche diversi arabo-israeliani. Un movimento che
stava mettendo in difficoltà il governo Netanyau e che ha sospeso le iniziative al
rombo dei cacciabombardieri su Gaza.



Il capo del governo Salmond mente e bara
sulle cifre della disoccupazione che
dilaga in Scozia
Dal corrispondente dell'Organizzazione di Aberdeen (Scozia) del PMLI
Il dibattito sull'urgenza di rivedere le politiche economiche e di rilanciare una
nuova proposta per l'occupazione apertosi nell'estate 2007, ossia allo scoccare
dell'ennesima crisi capitalistica, è più che mai all'ordine del giorno in Scozia.
Le dichiarazioni del capo del governo scozzese Alex Salmond, rilasciate lo
scorso 10 agosto in occasione di un'intervista radio al programma della BBC
"Good Morning Scotland" (GMS), ribadivano l'impegno del Partito Nazionale
Scozzese, un partito reazionario, nell'assicurare stabilità economica agli
scozzesi, in special modo ai lavoratori del settore pubblico, affermando che non
vi sono tagli previsti in questo settore. Si è vantato di un fatiscente primato
scozzese in tempi di crisi rispetto al resto della Gran Bretagna: un alto tasso di
occupazione e un calo della disoccupazione. Tale dichiarazione, smentita
pesantemente dalle molteplici recenti relazioni sulla disoccupazione giovanile e
sui tagli nel settore pubblico, ha dato vita a una serie di reazioni a catena che
hanno visto un forte dissenso da parte dei giovani, dei lavoratori, dei sindacati e
dell'opposizione.
Secondo le statistiche rilasciate dal sindacato dei pubblici dipendenti GMB, il
tasso di disoccupazione è particolarmente preoccupante tra i giovani e
giovanissimi nella fascia d'età 16-24 che nel Nord Ayrshire toccano picchi di
30,3%. Dati provenienti dall'Ufficio delle statistiche nazionali (ONS) rivelano che
73.000 giovani, uno su quattro in alcune aree della Scozia, sono disoccupati.
Contrariamente a quanto affermato da Salmond, un numero sempre maggiore di
lavoratori sta subendo riduzioni delle ore lavorative ed un cambiamento di
contratto da full time a part time. Inoltre, la preoccupazione degli scozzesi
aumenta sempre più a causa dell'inflazione e dell'impatto che questa ha sul
costo della vita e sul loro potere di acquisto.
Ancora una volta invece le misure del governo favoriscono i padroni e non le
masse popolari ed i giovani in cerca di lavoro.
A dimostrazione di ciò vi sono le misure prese dal Partito Nazionalista Scozzese
che ha cancellato il progetto di collegamenti ferroviari all'aeroporto di Glasgow
che si prevedeva avrebbe creato circa 1.300 posti di lavoro e gli innumerevoli
ritardi su ulteriori progetti di infrastrutture. Sono stati stanziati fondi per 1 trilione
di sterline dal governo scozzese al fine di salvare dalla bancarotta alcune
banche e per aiutare gli amici del grande business. Nessun aiuto è stato
previsto però per i giovani e giovanissimi così pesantemente colpiti dalla crisi
finanziaria mondiale capitalistica. Nessun provvedimento per assicurare lavori
stabili, formazione adeguata ed un salario decente.
L'Ufficio di Consulenza Legale ai Cittadini (Citizens Advice Scotland) ha
segnalato che dallo scoccare della crisi economica la disoccupazione giovanile
ha raggiunto picchi spaventosi negli ultimi tre anni. L'inchiesta "Being Young
Being Heard" infatti rivela che il numero di giovani scozzesi nella fascia d'età 18-
24 richiedente indennità di disoccupazione è aumentato vertiginosamente dal
2007: da 23.400 richiedenti in agosto 2007 a 41.895 ad agosto 2010, un
aumento di ben 79 punti percentuali. Il sindacalista Jim McFarlane della
coalizione socialista in una recente dichiarazione ha affermato che è necessario
un programma di investimento nella creazione di occupazione per i giovani per
poter garantire lavori socialmente utili indispensabili in Scozia. Il portavoce della
campagna locale "Youth Fight For Jobs", Luke Ivory, ha dichiarato: "Tutti i
principali partiti sembrano incapaci di offrire soluzioni alla crisi della
disoccupazione giovanile che sta raggiungendo livelli disperati. Tutti loro
promettono tagli selvaggi alla spesa pubblica che creerà soltanto più
disoccupazione e tagli enormi al finanziamento per l'istruzione".
Il cuore della questione, attorno al quale ruotano affannosamente i politicanti
borghesi all'interno del parlamento al fine di arginare le ripercussioni
catastrofiche dell'attuale crisi economica, è rappresentato dalle contraddizioni
insite al sistema capitalistico stesso e le sue nefaste conseguenze che si
abbattono sulle masse popolari tutte ugualmente colpite senza alcuna
discriminazione tra studentesse, studenti, operaie, operai, lavoratrici e lavoratori
del settore pubblico.
Come si leggeva nel commento de "Il Bolscevico" n. 29 del 28 luglio scorso, "Gli
Stati borghesi in balia della finanza internazionale", quello che emerge sempre
più in maniera lampante è il ruolo assolutamente preponderante e determinante
di una centrale finanziaria internazionale in grado di condizionare le economie
dei singoli Stati. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, è un sistema
parassitario tutto improntato al raggiungimento del massimo profitto; non tiene
conto delle necessità delle masse popolari, piuttosto le schiaccia e costringe a
pagare le conseguenze degli sporchi giochi di potere della grande finanza
internazionale.
L'Organizzazione di Aberdeen del PMLI esprime piena solidarietà alle masse
popolari scozzesi così pesantemente colpite dalla crisi finanziaria mondiale del
capitalismo.

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  • 2. Il governo vara una manovra da 45,5 miliardi con l'avallo attivo di Napolitano, nuovo Vittorio Emanuele III Per far uscire il capitalismo dalla crisi un massacro sociale senza precedenti Nella Costituzione il pareggio di bilancio e la totale libertà alle imprese. Deroghe al contratto nazionale e all'art. 18. Scure su Tfr e tredicesime degli statali. Tentato golpe sulle pensioni. Donne in pensione a 65 anni. Privatizzazioni e liberalizzazioni nei servizi pubblici. Soppresse le festività del 25 Aprile, 1° Maggio e 2 giugno. Cancellato il sistema di tracciabilità dei rifiuti. Misure di facciata per la "casta". Una stangata di 1.365 euro a famiglia Sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale Il 12 agosto, con il pretesto ufficiale di frenare la nuova ondata di crolli borsistici e di rispondere alle richieste della Banca centrale europea di un intervento urgente sui nostri conti pubblici, il Consiglio dei ministri, in una riunione di solo due ore e all'unanimità, ha approvato una nuova stangata antipopolare da 45,5 miliardi che anticipa di un anno, dal 2014 al 2013, il pareggio di bilancio perseguito dalla micidiale manovra di lacrime e sangue varata dal governo il 30 giugno scorso e approvata a tempo di record il 15 luglio dal parlamento nero, grazie anche alla resa incondizionata dell'"opposizione" sollecitata e ottenuta da Napolitano. Una manovra-bis da 20 miliardi nel 2012 e 25,5 per il 2013, secondo quanto dichiarato da Berlusconi e Tremonti, che anche stavolta non tocca minimamente i patrimoni e le rendite dei ricchi e i privilegi della "casta" dei politicanti borghesi, per scaricare invece i costi della crisi del sistema capitalistico solo sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari. Ma che anzi aggiunge nuove e ancor più odiose misure antipopolari a quella precedente, che costeranno in media, secondo le associazioni dei consumatori, ben 1.365 euro a famiglia, allargando e aggravando il massacro sociale portato avanti sistematicamente dal governo neofascista del neoduce Berlusconi. Le dimensioni della stangata Come non definire infatti massacro sociale misure come l'ulteriore anticipazione di ben 5 anni, rispetto a quanto già stabilito appena un mese prima, cioè dal 2020 al 2015, del progressivo innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per le lavoratrici del settore privato (nel pubblico impiego era già stato imposto l'anno scorso)? Da raggiungere oltretutto nel 2027 anziché nel 2032? O l'odioso e anticostituzionale rinvio di due anni del Tfr (Trattamento di fine rapporto o
  • 3. liquidazione), aggravato dalla cancellazione della tredicesima in caso di non raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa, a carico dei lavoratori del pubblico impiego, già pesantemente puniti dal blocco degli stipendi e delle assunzioni previsto dalla manovra di giugno? Oppure, ancora, il taglio di ben 10,5 miliardi in due anni di trasferimenti a Regioni ed Enti locali (di cui 6 già nel prossimo anno), che sommati ai circa 15 già tagliati nel 2010, riducono praticamente a zero le risorse disponibili per finanziare i servizi e le spese sociali, per la sanità, la scuola, gli asili nido, i trasporti locali, l'assistenza agli anziani e ai disabili, la manutenzione delle strade e delle altre infrastrutture pubbliche e così via? A questo massacro sociale immediato ed evidente se ne aggiunge uno più insidioso e destinato ad avere conseguenze incalcolabili nel prossimo futuro: si tratta dell'inserimento dell'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione, che mira a fornire il pretesto legale per tutti i tagli alla spesa pubblica e le stangate future che i governi borghesi riterranno "necessarie"; che si accompagna alla modifica dell'articolo 41 della Carta, per sopprimere ogni vincolo anche solo formale alla completa libertà di impresa, in base al principio ultra liberista che "è consentito tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge". Non a caso Tremonti ha voluto rimarcare che la manovra contiene un "meccanismo efficace di privatizzazione dei servizi locali e una normativa efficace sulle municipalizzate, oltre a norme per la semplificazione e le liberalizzazioni che anticipano la riforma dell'articolo 41 della Costituzione". Il ministro si riferiva evidentemente alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni dei servizi pubblici, cioè agli incentivi stabiliti per i Comuni che dismetteranno mettendole sul mercato le aziende municipalizzate di servizi, il che fra l'altro contraddice in pieno la volontà popolare in difesa dei beni comuni espressa con il referendum di giugno contro la privatizzazione dell'acqua. Della stessa logica liberistica e perfino filo mafiosa fa parte anche la cancellazione, in quanto "spesa non indispensabile", del sistema computerizzato di tracciamento dei rifiuti pericolosi, dalla produzione fino allo smaltimento, ormai quasi completato e sul punto di entrare in funzione: un favore oggettivo alle ecomafie, come non ha potuto fare a meno di ammettere lo stesso ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Infame golpe fascista contro i diritti sindacali Altrettanto infame e anticostituzionale è il tentativo del governo di utilizzare la manovra e sfruttare il pretesto della crisi finanziaria e l'ombrello della UE per regolare i conti con la CGIL e dare un colpo demolitore decisivo ai diritti sindacali e politici dei lavoratori, inserendo tra le pieghe del provvedimento quelle misure liberticide e fasciste, come la libertà di licenziamento e la soppressione delle ricorrenze della tradizione proletaria e antifascista, che non era riuscito finora ad imporre per altra via: parliamo dell'articolo 8 del decreto governativo, che trasforma in legge erga omnes, cioè valida per tutti, gli effetti
  • 4. dell'accordo capitolazionista dello scorso 28 giugno sui contratti e la rappresentanza sindacale (firmato arbitrariamente anche dalla segreteria della CGIL), con la possibilità, nei contratti aziendali, di derogare dai contratti nazionali e dalle disposizioni di legge, compreso lo Statuto dei lavoratori. E ciò anche per quanto riguarda in particolare l'articolo 18 sulla giusta causa per i licenziamenti, il cui inserimento nella manovra è stato voluto espressamente dal ministro del Lavoro Sacconi, con il tacito assenso dei collaborazionisti Bonanni e Angeletti; insieme alla norma che estende retroattivamente l'accordo del 28 giugno agli accordi aziendali confermati con referendum dalla maggioranza degli interessati. Un evidente regalo, quest'ultimo, a Marchionne e al suo modello di relazioni industriali mussoliniane, e che lo mette al riparo dalle cause intentate dalla FIOM contro l'imposizione anche ai suoi iscritti degli accordi capestro di Pomigliano e Mirafiori. E parliamo anche dell'accorpamento alla domenica (vale a dire in pratica la soppressione) delle festività non religiose; che poi guarda caso sono proprio quelle che da tempo la destra neofascista e leghista chiedeva di abolire, cioè 1° Maggio (Giornata internazionale dei lavoratori), 25 Aprile (Liberazione dal nazifascismo) e 2 Giugno (festa della Repubblica). "Una vera operazione fascista e antidemocratica che cancella 100 anni di storia del sindacato confederale e del movimento dei lavoratori", l'ha definita giustamente il coordinatore della corrente "La CGIL che vogliamo", Rinaldini, il quale ha anche chiesto al segretario Susanna Camusso che venga sospesa la consultazione (fra l'altro ristretta ai soli iscritti) sull'accordo del 28 giugno rinviandola a dopo lo sciopero del 6 settembre. Misure demagogiche e di facciata contro la "casta" Per quanto riguarda invece i "tagli alla casta" le misure sono più che altro demagogiche e di facciata, come i 5-6 miliardi di tagli ai ministeri (che si ripercuoteranno però anche sulla quantità e qualità dei servizi), il taglio della metà dell'indennità ai parlamentari che hanno un reddito uguale o superiore all'indennità stessa, l'accorpamento dei piccoli comuni sotto i 1.000 abitanti, circa 1.500, e l'abolizione delle province sotto i 300 mila abitanti, circa 38 su 109, con la conseguente soppressione - come si è vantato Berlusconi - di circa 54 mila poltrone. Ma c'è da dire che queste due ultime misure, soprattutto l'eliminazione di tanti piccoli comuni, non saranno prive di ricadute negative anche per la vita delle comunità coinvolte (scuole, trasporti e altri servizi indispensabili). Dal lato delle entrate, scontata la contrarietà assoluta di Berlusconi ad una tassa sui patrimoni, e quella di Tremonti ad un aumento dell'IVA perché vorrebbe tenersela come carta di riserva per ridurre le tasse ai ricchi, il governo si è limitato ad alcune misure di sapore demagogico, come il cosiddetto "contributo di solidarietà" per tre anni sui redditi medio-alti, ossia una tassazione del 5% sui redditi sopra i 90 mila euro annui e del 10% su quelli al di sopra dei 150 mila
  • 5. euro (peraltro rimessa subito in discussione dallo stesso Berlusconi che teme ricadute sui suoi consensi elettorali), l'aumento della tassazione sulle rendite finanziare dal 12,5 al 20% (ma con l'esclusione dei titoli di Stato), l'aumento dei prelievi su giochi e tabacchi; più qualche blanda misura di contrasto all'evasione fiscale, come la tracciabilità dei pagamenti sopra i 2.500 euro (recentemente elevata da 500 a 5.000 euro dallo stesso Berlusconi) e l'aumento delle sanzioni per chi non rilascia scontrini e ricevute fiscali, fino alla chiusura dell'attività. Misure risibili e demagogiche per eludere l'unica che potrebbe colpire veramente e subito gli evasori fiscali: una drastica imposta progressiva sui medi e grandi patrimoni, che però il neoduce vede come il fumo negli occhi perché colpirebbe al cuore i ceti che maggiormente lo sostengono. Il ruolo di Napolitano e l'ipocrisia del neoduce Anche stavolta il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, spalleggiato peraltro dal governatore uscente di Bankitalia, nonché futuro presidente della Banca centrale europea (BCE), Draghi, ha giocato un ruolo fondamentale per il varo in tempi rapidi della manovra, al punto da interrompere le vacanze, mentre la crisi infuriava nei mercati finanziari, per convocare Letta, Tremonti, Bersani e Casini al Quirinale e sollecitare ai primi due un immediato intervento del governo, e ai due leader dell'"opposizione" quel clima di "coesione", in nome dei superiori interessi nazionali, che ormai va invocando ad ogni piè sospinto e che ha richiamato con enfasi anche al meeting di Comunione e liberazione, dove ha ricevuto un'accoglienza trionfale. E non appena ha ricevuto il decreto della manovra del massacro sociale l'ha subito controfirmata, non trovandoci "nessun profilo di incostituzionalità", nonostante ve ne siano invece di evidenti: come quelli che anticipano con legge ordinaria le modifiche agli articoli 41 e 81 della Costituzione, che aboliscono surrettiziamente l'articolo 18 e le festività "laiche", che impongono il blocco del Tfr e delle tredicesime dei dipendenti pubblici ed altri ancora. Quanto al massacratore sociale in capo, Berlusconi, da quel macellaio che è, dopo aver appena affondato i denti nella carne viva dei lavoratori e delle masse popolari, si è messo a piangere le classiche lacrime di coccodrillo, facendo finta di non aver voluto lui la stangata, ma di esservi stato costretto unicamente dai "mercati" e dalla BCE, facendo riferimento ad una lettera, che peraltro si è rifiutato di rendere pubblica, in cui le autorità monetarie europee subordinavano l'acquisto dei nostri titoli di Stato al varo immediato della manovra: "Il nostro cuore gronda sangue perché, come abbiamo sempre detto, mai avremmo voluto mettere le mani nelle tasche degli italiani", si è lamentato ipocritamente il neoduce, "ma andiamo nella direzione indicata dalla BCE che con l'acquisto dei nostri titoli ha frenato la speculazione internazionale contro l'Italia". Il nuovo Mussolini non si riferiva certo all'aumento dell'età pensionabile alle donne, o alle misure punitive ai pubblici dipendenti, e nemmeno all'attacco ai diritti dei lavoratori o ai tagli a regioni e comuni, bensì unicamente alla "tassa di
  • 6. solidarietà" che rischia di alienargli parte del suo elettorato, e che non gli è riuscito di scambiare con l'aumento dell'IVA a causa dell'opposizione di Tremonti, come gli è riuscito invece di bloccare il ventilato aumento dell'Irpef agli autonomi con reddito al di sopra dei 55 mila euro. Perciò ha messo subito in chiaro che la manovra potrà essere emendata in parlamento (quantomeno al Senato, mentre alla Camera ha fatto capire che metterà la fiducia), aprendo anche al "concorso dell'opposizione", ed ha avviato una trattativa con la Lega per accordarsi su qualche altra voce da tagliare, fermo restando la sua avversione viscerale per ogni ipotesi di patrimoniale, per poter abolire o quantomeno ridurre al minimo la "tassa di solidarietà". Se dipendesse solo da lui, come ha dichiarato senza il minimo pudore, al posto di questa tassa privatizzerebbe tutte le grandi aziende pubbliche (Rai, Enel, Eni, Poste, Ferrovie ecc.), venderebbe l'intero patrimonio dello Stato e tutte le 700 municipalizzate, taglierebbe le pensioni di anzianità e porterebbe subito l'età pensionabile a 67 anni, come chiedono infatti a gran voce i cosiddetti "frondisti" ultra liberisti del PDL a cui strizza l'occhio; e per soprammercato ci aggiungerebbe un altro "scudo fiscale", oppure un altro bel "condono tombale", col che prenderebbe i classici due piccioni con una fava: fare cassa e premiare i ricchi, gli evasori e i mafiosi, che poi rappresentano il suo bacino elettorale. In ogni caso, anche se alla fine fosse costretto ad approvare la manovra così com'è col voto di fiducia, potrà sempre attribuirne l'esclusiva paternità a Tremonti, del quale non vede l'ora di sbarazzarsi. Da parte sua la Lega si dice indisponibile a toccare le pensioni di anzianità, che il PDL (ma anche Casini) vorrebbero invece tagliare aumentando sia l'età pensionabile che gli anni di contribuzione, mentre lo stesso PD non è del tutto contrario a parlarne. Invece il partito di Bossi, Calderoli e Maroni è disponibile a tagliare le pensioni di reversibilità e di accompagnamento, cosicché mentre con una mano si erge a difensore delle "pensioni del Nord", con l'altra offre alla mannaia del neoduce quelle delle vedove e degli invalidi, pensando evidentemente che la maggior parte di esse stiano al Sud e quindi non riguardino il suo elettorato. Un autentico tentativo di golpe pensionistico. Alla fine il neoduce e i caporioni della Lega si sarebbero accordati per tagliare invece proprio le pensioni di anzianità, per eliminare del tutto la "tassa di solidarietà" e per attenuare i tagli ai comuni, come richiesto da Maroni che si è fatto interprete delle pressioni di molti sindaci e amministratori del Nord che sostengono la sua corrente. Anche per la presidente di Confindustria, Marcegaglia, "con l'aumento dell'IVA e le pensioni il decreto del governo diventerebbe accettabile". Mentre invece l'articolo 8 del decreto (quello voluto da Sacconi, ndr) non si tocca, perché "è coerente con l'accordo del 28 giugno e dà alle parti la possibilità di gestire una maggiore flessibilità" (intervista a La Repubblica del 28 agosto).
  • 7. Con lo sciopero indetto dalla CGIL e per la lotta di piazza Contro la manovra del governo, anche e soprattutto sotto la pressione della FIOM e della base sindacale, la segreteria della CGIL si è decisa a proclamare uno sciopero generale di 8 ore per il prossimo 6 settembre, ferocemente attaccato da governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti, sciopero che invece noi appoggiamo e invitiamo tutti a sostenere. Bisogna anzi parteciparvi in massa anche per alzarne il livello rivendicativo e politico antigovernativo, che la segreteria Camusso cerca di circoscrivere a pura testimonianza se non piegare addirittura a "difesa dello spirito" dell'accordo interconfederale capitolazionista del 28 giugno, che ha spianato invece la strada all'attacco ai contratti nazionali e all'articolo 18 e alla vergognosa ammucchiata di inizio agosto tra governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti. In questo quadro salutiamo con favore la decisione dei sindacati di base, tra cui Usb, Orsa, Cib-Unicobas, Usi, Sincobas, Snater e Slaicobas, di indire anch'essi lo sciopero di 8 ore nella stessa giornata, ma sulla base di una piattaforma che unisce alla lotta "contro le manovre del governo e le politiche dell'Unione europea che vogliono tutelare le banche e la finanza", anche quella "contro il patto sociale e l'attacco ai diritti dei lavoratori". I lavoratori, le masse popolari e tutti i sinceri democratici e antifascisti, non devono delegare questa cruciale e irrinunciabile battaglia all'"opposizione" parlamentare di cartone, che non solo non chiama alla lotta nelle piazze per affossare il decreto del governo, ma auspica al massimo una schermaglia strettamente parlamentare per "modificarlo" (sempre ammesso che il governo non chiuda subito la partita col voto di fiducia). A parte infatti il democristiano Casini, che vorrebbe addirittura che si tagliassero le pensioni di anzianità e chiede solo "correzioni" che tengano conto dei carichi familiari, anche per il presidenzialista Di Pietro la manovra è fatta di "luci e ombre" (sic) e promette che "faremo la nostra parte in parlamento per correggere le cose che non vanno", mentre per Bersani la manovra del governo sarebbe solo "iniqua e inadeguata". Il segretario del PD liberale non sarebbe poi indisponibile a "discutere" di pensioni, è nettamente favorevole a liberalizzazioni e privatizzazioni, glissa come sempre sulla patrimoniale e nicchia sullo sciopero della CGIL, cedendo alle pressioni delle correnti interne vicine a CISL e UIL, tanto da dirsi preoccupato che con lo sciopero non si rompa lo "spirito unitario dell'accordo del 28 giugno". Nel PD sta anzi circolando un documento di alcuni deputati, appoggiato platealmente anche da Chiamparino, che attacca lo sciopero chiedendo addirittura di rinviarlo a dopo il "confronto parlamentare"! Quel che occorre invece, è sollevare la piazza, per affossare del tutto la micidiale stangata del governo e abbattere il massacratore sociale, Berlusconi. Solo con la lotta di piazza e un nuovo 25 Aprile sarà possibile buttare giù il nuovo Mussolini e stroncare il suo tentativo di far pagare la crisi finanziaria del capitalismo ai lavoratori e alle masse popolari e usarla come una leva per
  • 8. attuare il suo disegno piduista e golpista di controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. Una nuova edizione del Patto di Palazzo Vidoni Ammucchiata governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti La Camusso si fa rappresentare dalla Marcegaglia La sinistra CGIL non ci sta La Segreteria nazionale della Cgil nella sua riunione allargata ai segretari generali di categoria e territoriali, tenutasi il 23 agosto scorso ha indetto per il 6 settembre prossimo lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie pubbliche e private per cambiare, si legge in una nota la manovra economica di 47 miliardi di euro varata dal consiglio dei ministra su proposta di Tremonti il 14 agosto, giudicata "depressiva, socialmente iniqua, inefficace e antisindacale". Nell'ambito della protesta sono previste 100 manifestazioni territoriali. Una buona notizia, una decisione giusta, seppure tardiva, che il PMLI appoggia; che si associa all'altra buona notizia: anche l'Unione sindacale di base (Usb) ha deciso per lo stesso giorno di proclamare lo sciopero generale. Alla buon'ora, verrebbe da dire, di fronte a una megastangata governativa che colpisce pesantemente e quasi esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati già ridotti praticamente alla fame, mette in ginocchio gli enti locali con conseguenze devastanti per i servizi pubblici e assistenziali, cancella, per giunta per decreto (fascista), l'intero impianto dei diritti e delle libertà sindacali, dal contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, via l'art. 18 e introduzione della libertà di licenziamento senza "giusta causa", dal diritto dei lavoratori di votare gli accordi e di eleggere i propri rappresentanti aziendali al diritto di sciopero. Mentre non viene tolto un euro alla grande e media borghesia, non vengono toccate le rendite finanziarie e patrimoniali, non viene scalfita la evasione fiscale e contributiva. E tuttavia appare ormai certo che Susanna Camusso, segretario generale Cgil, più che per convinzione sia stata costretta a prendere questa decisione tattica per coprirsi a sinistra dopo aver dato vita il 5 agosto alla riedizione del Patto di Palazzo Vidoni e alla vergognosa ammucchiata con il governo Berlusconi, i padroni, i banchieri e gli altri sindacalisti collaborazionisti, allorché la Camusso si faceva rappresentare dalla Marcegaglia e da quel documento in 6 punti, proposto, si badi bene, dal presidente di Confindutria e da quello dell'ABI (Associazione banche Italiane) e sottoscritto dalle cosiddette "parti sociali", ossia dalle associazioni degli imprenditori di industria, commercio e artigianato, da quelle del credito e dai sindacati collaborazionisti, compresa la Cgil della Camusso. Un documento per spingere il governo, secondo le
  • 9. intenzioni dei promotori, ad assumere misure urgenti per affrontare la crisi economica e finanziaria debordante e sempre più minacciosa, scritto però interamente per tutelare gli interessi padronali sulla base dell'antioperaia ricetta neoliberista. Vedi il punto sulla spesa pubblica che va tagliata con l'accetta per ottenere il pareggio entro il 2014, vedi il punto sulle liberalizzazioni e le privatizzazioni, vedi il punto che chiede tagli drastici nelle pubblica amministrazione, vedi soprattutto quello dedicato alla "modernizzazione delle relazioni sindacali" proseguendo il cammino iniziato con l'accordo del 28 giugno e dove quello che interessa non è l'alleggerimento del fisco su salari e pensioni ma la "detassazione dei premi di risultato". Un documento che la Cgil non avrebbe dovuto assolutamente firmare perché i contenuti sono del tutto antitetici alla linea e alla natura del sindacato che dovrebbe difendere gli interessi dei lavoratori ma anche perché si appiattiscono sugli interessi dei padroni secondo un'ispirazione tipica del corporativismo fascista. All'incontro tenutosi a Palazzo Chigi lo stesso giorno tra governo e "parti sociali" dove la Marcegaglia a nome di tutti (associazioni padronali e sindacati) e quindi anche della Cgil (sic!) ha illustrato il suddetto documento, faceva seguito un secondo incontro il 10 agosto dove il governo rispondeva alla sua maniera, inserendosi proprio in alcuni varchi aperti dal suddetto documento per prospettare provvedimenti selvaggi di dimensioni enormi, ivi compreso un capitolo dedicato al lavoro contenuto nell'art. 8 che riprende, sia pure accentuandoli, i contenuti dell'accordo del 28 giugno, dandogli forza di legge, poi ripresi nella manovra di ferragosto. Sia nel primo che nel secondo incontro si è trattato di una vergognosa ammucchiata governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti impegnata a non far affondare la traballante barca capitalistica italiana. E fatte le debite differenze, invece che a Palazzo Chigi sembrava di essere a Palazzo Vidoni dove nel 1925 Mussolini e i sindacati fascisti firmarono il Patto che inchiavardava le relazioni industriali alle corporazioni e alla dittatura fascista. La linea della Camusso è stata, e fino a prova contraria è ancora, quella di ricomporre, da destra, l'unità con i sindacati collaborazionisti, la Cisl e la Uil di Bonanni e Angeletti in testa, di rientrare senza condizioni al tavolo della trattativa con Confindustria, di perseguire il "patto sociale" col governo "per la crescita e lo sviluppo" anche a costo di sacrificare gli interessi dei lavoratori. Il più grosso di questi fatti è rappresentato, senza dubbio, dall'accordo siglato il 28 giugno scorso, solo dopo due giorni di trattativa, dal presidente di Confindustria e dai segretari di Cgil, Cisl, Uil. Un accordo che riscrive le regole della contrattazione e della rappresentanza sindacale secondo gli interessi dei padroni e del governo Berlusconi, che rappresenta una capitolazione totale della Cgil sia alla linea filo padronale e filogovernativa dell'accordo separato del 2009 tra Confindustria e i leader dei sindacati collaborazionisti, sia alle nuove relazioni industriali di stampo mussoliniano imposte da Marchionne alla FIAT di Pomigliano, di Mirafiori e alla Bertone di Grugliasco. Un accordo firmato senza alcun mandato
  • 10. né dei lavoratori né delle strutture sindacali, che introduce quelle deroghe al contratto nazionale prima sempre rifiutate, toglie ai lavoratori il diritto di votare gli accordi contrattuali, permette la sostituzione delle RSU con le RSA, le prime elette dai lavoratori le seconde nominate dalle burocrazie sindacali, lede il diritto di sciopero. Un accordo che vanifica due anni di dure lotte condotte proprio contro questo tipo di relazioni industriali. Le posizioni assunte dalla Camusso e dal suo gruppo dirigente, molto gravi e da condannare con estrema fermezza, non sono però passate sotto silenzio all'interno della Confederazione. La sinistra che già aveva criticato metodo e merito dell'accordo del 28 giugno si è fatta sentire usando parole di esplicito dissenso verso il segretario generale. "La Cgil mai, nella sua lunga storia - ha affermato Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de 'La Cgil che vogliamo' in una dichiarazione - si è sognata di sottoscrivere un documento nel quale non fosse visibile e riconosciuta la valorizzazione della qualità e la dignità del lavoro". "È inaudito - ha proseguito - che la Marcegaglia possa rappresentare delle proposte anche a nome e per conto delle Organizzazioni Sindacali: un'umiliazione della Cgil e un affronto alle lotte, agli scioperi, ai sacrifici delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno creduto nella Cgil". "Si conferma anche in questo caso dopo l'accordo del 28 giugno, una gestione della Cgil come fosse proprietà di 2 o 3 dirigenti". Non meno caustico Giorgio Cremaschi, presidente del CC della FIOM che stigmatizza la Camusso che "ha firmato con la presidente della Confindustria e con tutte le altre parti sociali un documento che è estraneo totalmente ai principi e alle scelte della Cgil. La segretaria generale della Cgil - ha aggiunto - è totalmente fuori da qualsiasi mandato della sua organizzazione e sta compromettendo una storia politica e sociale enorme". "Non era mai successo - ha affermato Maurizio Landini segretario generale Fiom - che per decreto legge un governo provasse a cancellare l'esistenza del Contratto Nazionale e aprisse alla libertà di licenziare". "La Cgil - ha continuato - deve trarre le dovute conseguenze dall'uso fatto dal governo dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e delle proposte delle parti sociali del 4 agosto 2011". Ossia proclamare lo sciopero generale, come poi è avvenuto, e rigettare l'accordo. L'indizione dello sciopero generale è stato un atto importante. Ma da solo non basta. Occorre che esso sia non un punto di arrivo ma un punto di partenza per costruire tempestivamente e in modo serrato una mobilitazione operaia e popolare la più ampia ed efficace possibile capace di respingere la manovra nella sua globalità e di mandare a casa il governo Berlusconi, che è l'unico modo per impedire il massacro sociale senza precedenti in atto. In questo contesto l'accordo del 28 giugno che tanto piace a governo, Confindustria, sindacati collaborazionisti e alla destra e alla "sinistra" borghese deve essere interamente sconfessato.
  • 11. Giù le mani dal 25 Aprile, 1° Maggio e 2 Giugno Il comma 24 dell'art. 1 del Decreto Legge (DL) del 13 agosto 2011, n. 138 prevede che "a decorrere dall'anno 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, da emanare entro il 30 novembre dell'anno precedente, sono stabilite annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi Patroni in modo tale che, sulla base della più diffusa prassi europea, le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica". Così il 25 Aprile, il 1° Maggio e il 2 Giugno, le uniche tre feste non religiose in vigore in Italia verrebbero abolite dal calendario. Nessun problema per le feste cattoliche. Il ministro dell'economia e delle finanze Tremonti, PDL, giustifica tale inaccettabile proposta con motivazioni economiche, sostenendo che essa consentirebbe di ottenere un "formidabile aumento di produttività". In realtà non regge la pretesa del governo di addossare al 25 Aprile, al 1° Maggio e al 2 Giugno parte della responsabilità della crisi in cui versa il capitalismo italiano e internazionale. Lo hanno sottolineato persino degli economisti liberali, molti dei quali, pur non addentrandosi nell'analisi politica delle motivazioni che sorreggono l'attacco del governo alle tre feste suddette, giudicano sostanzialmente irrilevante il rientro in termini di rilancio dell'economia di tale norma. Ben lungi dal migliorare le condizioni economiche delle masse popolari e lavoratrici, in testa la classe operaia, tale norma è una componente significativa dell'attacco micidiale alla contrattazione nazionale, ai diritti dei lavoratori, all'occupazione, ai servizi contenuto nel DL 138, tentando di mettere con le spalle al muro e frenare la lotta di classe, cancellandone la storia e le forme organizzative, i simboli e i riferimenti culturali e attuali, oltre che la storia dell'antifascismo. Tale provvedimento, davanti al quale alcuni leader della "sinistra" borghese rimangono "sorpresi" non nasce improvvisamente, ma mette le sue radici nella incessante costruzione del nuovo regime neofascista operata nel ventennio berlusconiano e favorita dalla "sinistra" borghese, con cui il nuovo Mussolini, Berlusconi, ha restaurato il fascismo in Italia sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli, realizzando anno per anno e passo dopo passo il nero disegno neofascista e presidenzialista tracciato nel "piano di rinascita democratica" e nello "schema R" della P2 e di Gelli. Un attacco finale del quale negli anni vi
  • 12. sono stati indizi chiarissimi. Non a caso il PMLI da anni a più riprese ha rivendicato "Giù le mani dal 25 Aprile!" e "Giù le mani dal 1° Maggio", anche contro gli esponenti del "centro-sinistra", come il berluschino sindaco fiorentino Renzi che ha imposto l'apertura dei negozi il 1° Maggio con la conseguente rinuncia alla festività per i lavoratori del commercio. Danno fastidio al governo queste tre feste tutte nate o ripristinate dopo l'abbattimento del ventennio mussoliniano. Il 25 Aprile (1945) è la data dell'insurrezione armata di Milano, con la quale si mise fine all'occupazione nazifascista. Il 1° Maggio, ufficializzato dalla Seconda Internazionale nel 1889 e ratificato in Italia due anni dopo, ha un evidente carattere di classe per l'emancipazione del proletariato e la conquista del socialismo. Abolito da Mussolini venne ripristinato dopo la Liberazione. Il 2 Giugno (1946) è la data del Referendum istituzionale con il quale le masse popolari italiane scelsero la forma dello Stato repubblicana, sancendo la fine della criminale monarchia dei Savoia, principale pilastro del fascismo. Ininterrottamente i gerarchi berlusconiani si sono scagliati con livore contro il 25 Aprile e il 1° Maggio, in particolare, provando a snaturarne il significato con una martellante propaganda sulla conciliazione nazionale e l'interclassismo, tentando di trasformarle in feste unitarie, patriottarde, corporative, come è successo, purtroppo, al 2 Giugno, il cui significato popolare che va ripristinato è stato oscurato a favore di quello nazionalista e imperialista, anche grazie all'opera nefasta del rinnegato Napolitano. Il 25 Aprile e il 1° Maggio mantengono intatto il loro carattere popolare e antifascista e la loro stessa esistenza rappresenta un simbolo e insieme un monito rispettivamente contro i neofascisti e contro il padronato. Ecco perché costoro vogliono definitivamente sbarazzarsene e cancellarli una volta per sempre. Sfruttare ancor di più i lavoratori costringendoli allo sfruttamento salariato persino in queste due date che sono sacre per gli antifascisti e per la classe operaia. È allora chiaro che è di vitale importanza per il governo del neoduce privare la classe operaia e le masse lavoratrici e popolari oltre che dei loro diritti anche della loro memoria storica, dell'esempio di decenni di lotte vittoriose antifasciste, per i diritti dei lavoratori e progressiste, degli esempi delle forme corrette di lotta, sintetizzate nelle date simbolo del 25 Aprile, 1° Maggio e 2 Giugno. Contro la cancellazione delle feste suddette si sono schierate organizzazioni come Anpi, Cgil e Articolo 21 e altre che hanno lanciato delle iniziative e delle petizioni per cancellare questo obbrobrio normativo. Sabato 3 settembre avrà luogo a Torino una manifestazione pubblica promossa dall'ANPI contro la mostruosa decisione del governo e con l'inizio del nuovo anno scolastico una petizione, in difesa delle tre ricorrenze, sarà portata in tutti gli istituti di ogni ordine e grado. Per il PMLI, in questo frangente politico e sociale vi è la necessità e l'urgenza che tutte le masse antifasciste e democratiche si mobilitino e scendano in piazza per difendere queste ricorrenze e mandare a casa il governo Berlusconi. Infatti
  • 13. l'unica soluzione per impedire lo scempio sociale, economico e politico è sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale e il suo governo neofascista, antioperaio, razzista, xenofobo, corrotto, mafioso e guerrafondaio. Auspichiamo che le piazze del 6 settembre in occasione dello sciopero generale della Cgil diano un sonoro ceffone al neoduce e ai suoi tirapiedi della destra e della "sinistra" borghesi, riempendosi di bandiere rosse con la falce e martello, di cartelli in difesa del 25 Aprile, del 1° Maggio e del 2 Giugno e che ovunque vengano sturate le orecchie al governo con "Bella Ciao" e gli inni del 1° Maggio. Giù le mani dal 25 Aprile, dal 1° Maggio e dal 2 Giugno! Napolitano rinuncia alle briciole non allo stipendio Il presidente della Repubblica restituirà 68 euro al mese fino alla fine del suo mandato Nel tentativo di placare la crescente indignazione popolare contro le due micidiali stangate, i lauti stipendi e i privilegi da nababbo delle cosche parlamentari che non sono stati minimamente toccati dalle manovre economiche varate dal governo del neoduce Berlusconi col pieno avallo del nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano; a fine luglio il Quirinale ha diffuso una nota per annunciare pomposamente al ministro dell'Economia e delle Finanze che il capo dello Stato ha deciso di rinunciare a partire dal corrente anno e fino alla scadenza del suo mandato nel 2013, all'adeguamento automatico del suo stipendio all'indice dei prezzi al consumo così come stabilito dalla legge 23 luglio 1985, n. 372 ai sensi dell'art. 84 della Costituzione. Messa così la decisione del rinnegato Napolitano potrebbe sembrare proprio "un bel gesto, sia pure simbolico" o addirittura costituire "il buon esempio per la casta" affinché si decida a fare altrettanto. In realtà la falsa "fermezza" di Napolitano sfiora il ridicolo, perché a conti fatti il capo dello Stato rinuncerà alla "faraonica" cifra di 68 euro netti al mese da qui fino al 2013 anno in cui finirà il suo mandato. Fino ad allora Napolitano continuerà a incassare 240 mila euro all'anno, oltre 12 mila euro al mese di stipendio, mentre il suo ufficio al Quirinale continuerà ad avere una dotazione di 228 milioni l'anno, ossia più dei 112 dell'Eliseo e dei 43 di Buckingham Palace messi insieme. Inoltre costui riceve la ricchissima pensione da ex-parlamentare pensionato. Alle suindicate "restrizioni" spiega ancora il Qurinale "si aggiungono i risparmi effettuati nel periodo 2006-2011 che ammontano complessivamente a 56.316.000 euro" realizzati tutti sulla pelle del personale e dei dipendenti dei
  • 14. livelli più bassi del Quirinale attraverso il blocco del turnover, soppressione del meccanismo di allineamento automatico delle retribuzioni a quelle del personale del Senato, congelamento fino al 2013 degli importi tabellari degli stipendi e delle pensioni, riduzione dei compensi per il personale comandato e distaccato e di numerose indennità, contenimento degli straordinari, riduzione delle ferie, aumento dell'orario di lavoro e riorganizzazione amministrativa interna. Insomma, il Colle ha partorito un topolino. Con l'attuale normativa previdenziale Il 42% dei giovani raggiungerà una pensione di solo mille euro al mese Continua a mietere vittime la macelleria sociale scatenata dal governo del neoduce Berlusconi e ancora una volta colpisce i giovani. Secondo quanto segnala il progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali" condotto da Censis e Unipol, il 42% dei dipendenti giovani attualmente fra i 25 e i 34 anni, intorno al 2050 andranno in pensione con meno di mille euro al mese, in generale addirittura meno dello stipendio di "inizio carriera". Ma non finisce qui, in quanto questa previsione riguarda i 4 milioni di giovani che si trovano con un contratto standard: le cose andranno ancora peggio per i tantissimi giovani della stessa fascia d'età autonomi, con contratti atipici o che non sono ancora riusciti a trovare lavoro, che vanno tenuti in considerazione dato che la disoccupazione giovanile, interessando oltre 1 milione di giovani al di sotto dei 35 anni (con il Mezzogiorno che supera la media nazionale di dieci punti percentuali), è una piaga sociale di dimensioni enormi. Il quadro si fa ancora più grave se si pensa che, con il costante aumento di pensionati in Italia, il sistema pensionistico rischia davvero di crollare e di lasciare alla fame innumerevoli pensionati, come già dimostra il costante abbassamento del tasso di sostituzione, cioè l'importo della pensione rispetto all'ultima retribuzione (oggi al 70% e nel 2040 al 60%, secondo l'indagine citata). Ha un bel da dire Sacconi, ministro del Welfare, che queste proiezioni sono "molto opinabili" (sic), proponendo persino "forme di previdenza e assistenza complementari" (leggi: "private"), che andrebbero ulteriormente a gravare economicamente sulle masse popolari. Si tratta comunque di un altro frutto amaro della crisi del capitalismo, sistema che nega ai giovani speranze e sicurezza per il futuro, il tutto aggravato da un governo che si tappa occhi e orecchie davanti alle richieste delle masse, e che quindi va buttato giù quanto prima. "I marxisti-leninisti si battono per un sistema pensionistico pubblico unificato,
  • 15. legato alla dinamica salariale, finanziato dalla contribuzione obbligatoria. In concreto chiedono il ripristino dell'età pensionabile a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne e il mantenimento dei 35 anni contributivi per la pensione d'anzianità. Chiedono il ripristino del calcolo della pensione sulla retribuzione, quella degli ultimi 5 anni lavorati, la riduzione del minimo di contribuzione a 5 anni per il diritto alla pensione minima, in conseguenza anche del dilagare del lavoro precario e dell'aumento del periodo di disoccupazione. Chiedono un adeguamento reale delle pensioni in base al costo della vita e alla dinamica salariale, da realizzare attraverso un efficace meccanismo automatico di scala mobile. Inoltre i marxisti-leninisti chiedono la separazione dei fondi della previdenza di competenza dell'Inps e simili da quelli dell'assistenza e sostegno all'occupazione che sono di competenza dei ministeri, e l'eliminazione dei privilegi pensionistici ai parlamentari, ministri e alle cariche pubbliche locali, ai manager pubblici e privati". (Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI) La Merkel e Sarkozy dettano la linea per salvare la moneta unica dalla crisi "Servono un governo per l'euro e il pareggio di bilancio in tutte le Costituzioni" L'intesa tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva dato il via libera, nel vertice straordinario dei paesi dell'Eurozona dello scorso 21 luglio a Bruxelles, al secondo intervento finanziario da 158 miliardi di euro per salvare la Grecia dalla bancarotta e con essa l'euro. Sono gli stessi due protagonisti che dopo gli ulteriori scossoni generati in Borsa dalla speculazione finanziaria, che colpivano i titoli di Stato dell'Italia e arrivavano a minacciare persino quelli francesi a inizio agosto, intervenivano di nuovo e dettavano la linea per salvare la moneta unica dalla crisi. Il vertice franco-tedesco del 16 agosto a Parigi lanciava alcune proposte di intervento fra le quali la creazione di un "governo economico" per l'Europa diretto da un presidente in carica per due anni e mezzo; "Io e la signora Merkel - spiegava Sarkozy nella conferenza stampa - proponiamo che il candidato sia Herman Van Rompuy", l'attuale presidente del Consiglio europeo. L'organismo sarebbe costituito dai capi di Stato e di governo e si dovrebbe riunire almeno due volte l'anno, precisavano la Merkel e Sarkozy in una lettera che il 17 agosto inviavano a Van Rompuy, con la richiesta ufficiale dell'assunzione dell'incarico di presidente del nuovo organismo di governo della zona euro.
  • 16. Un organismo che nelle intenzioni dei due paesi promotori dovrebbe "guidare" almeno in questa fase la difesa politica e economica dell'euro. Non è certo possibile per le due potenze imperialiste che parte di queste responsabilità siano assunte autonomamente dalla Banca centrale europea (Bce), che da novembre sarà guidata dall'italiano Mario Draghi, intervenuta direttamente sui mercati finanziari per comprare, dopo quelli greci, i titoli di stato italiani e spagnoli. Dopo aver imposto al governo Berlusconi di dare il via alla superstangata, di concerto con Berlino e Parigi. Tanto che nella conferenza stampa a fine vertice Sarkozy e Merkel hanno avuto parole di elogio per i governi di Italia e Spagna: "Hanno preso in questi giorni decisioni molti importanti per la credibilità della zona euro", ovvero hanno fatto quello che gli abbiamo chiesto. E pretendono che sia eseguito anche il secondo "consiglio" messo a punto nel vertice parigino, il pareggio di bilancio, una regola obbligatoria da inserire nella carta costituzionale quantomeno dei 17 paesi membri dell'eurozona, poiché è indispensabile un "rafforzamento della sorveglianza e dell'integrazione delle politiche di bilancio". Il pareggio di bilancio è la "regola d'oro" che la Merkel e Sarkozy intendono imporre a tutti gli altri paesi entro la metà del 2012. La Germania l'ha già inserita nella sua costituzione e chiede agli altri paesi di fare altrettanto: "ci deve essere un obbligo nazionale, anche se si forma all'interno delle varie nazioni un'opposizione", ha spiegato la Merkel. Per salvare l'euro che "resta il nostro avvenire", ha sostenuto la cancelliera, bisogna porre fine ai bilanci statali in deficit. Anche se c'è un prezzo da pagare, come quello che è stato messo nel conto della Grecia e dell'Italia e che i governi scaricano sulle masse popolari. Il pareggio del bilancio pubblico deve diventare un obbligo e chi non lo rispettasse dovrebbe incorrere in sanzioni secondo l'asse franco-tedesco. Che sono previste nella lettera inviata a Van Rompuy nella quale Sarkozy e Merkel sostengono che "in futuro i pagamenti provenienti dai fondi strutturali e di coesione dell'Unione Europea (destinati agli interventi di sviluppo, ndr) dovrebbero essere sospesi nei paesi della zona euro che non si conformeranno alle raccomandazioni sulle procedure di riduzione dei deficit eccessivi". Tutta la serie di proposte avanzate, scrivono nel messaggio, "dovranno essere messe in atto in modo da rafforzare la coesione dell'Unione Europea nel suo insieme. Il Parlamento europeo, la Commissione europea e i parlamenti nazionali dovranno associarsi a questo processo in conformità alle loro rispettive prerogative". Ovvero seguire la linea da loro dettata. Rapporto Svimez e dati di Confartigianato All'Italia il record di disoccupazione
  • 17. giovanile nella UE Nel Sud 2 giovani su 3 non lavorano né studiano Le recenti rilevazioni di Confartigianato e il Rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), che sarà presentato il 27 settembre, mettono in luce che sono circa 1,2 milioni (15,9%) i giovani al di sotto dei 35 anni senza lavoro, mentre fra i ragazzi fino a 24 anni il tasso di disoccupazione arriva al 29,6%; le cose peggiorano molto se si analizzano i dati relativi al Mezzogiorno, dove i disoccupati under 35 sono il 25,1%. Il picco lo tocca la Sicilia con il 28,1%, seguita da Campania (27,6%), Basilicata (26,7%), Sardegna (25,2%), Calabria (23,4%) e Puglia (23%). Sono dati che consegnano all'Italia il record di disoccupazione giovanile nell'Unione europea. Si segnala infine che gli "inattivi" (cioè coloro che non cercano nemmeno lavoro) fra i 25 e i 54 anni sono il 23,2% contro il 15,2% della media europea. Il Rapporto Svimez, concentrandosi sulla situazione critica del Mezzogiorno, segnala che ormai due giovani su tre sono senza lavoro. La disoccupazione nel Sud nel 2010 è salita al 13,4%, ma il dato reale (tenendo conto di chi non cerca attivamente lavoro o è in cassa integrazione) svetta al 25,3%. Al contempo, l'occupazione giovanile si arena al 31,7% e addirittura al 23,3% per le ragazze. Il Rapporto segnala pure che ci sono 167 mila laureati "fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e Calabria". La situazione non accenna a migliorare ed è anzi in costante peggioramento come conseguenza della gravissima crisi del capitalismo e della macelleria sociale provocata dal governo Berlusconi. È proprio Confartigianato a confermarlo, rivelando come la crescita tanto della disoccupazione quanto della "inattività" giovanili sia andata crescendo fra il 2008 e il 2011, parallelamente alla crescita di domanda di manodopera da parte delle imprese italiane. A fronte di questa piaga sociale Confartigianato propone un incremento e un'agevolazione dell'uso dell'apprendistato, indicando che "il 12,5% delle assunzioni nelle imprese artigiane avvengono attraverso l'apprendistato, a fronte del 7,2% nelle altre aziende". Non ci stancheremo mai di ripetere che l'apprendistato è una forma semigratuita di sfruttamento del lavoro giovanile senza alcuna garanzia di assunzione finale, pertanto va assolutamente abolito. Catania, 31 luglio 2011 Vittoriosa e rossa inaugurazione della sede della Cellula "Stalin" della provincia
  • 18. di Catania del PMLI Scuderi: "Compagni della provincia di Catania siete artefici storici dello sviluppo e della nuova fase della vostra gloriosa Cellula" Dal corrispondente della Cellula "Stalin" della provincia di Catania Il 31 luglio, data dell'inaugurazione della sede della Cellula "Stalin" della provincia di Catania del PMLI, rimarrà indelebile nei ricordi dei marxisti-leninisti catanesi. Come ha indicato la Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI: "L'apertura della sede della vostra Cellula costituisce un evento per tutto il nostro amato Partito, che guarda a voi con ammirazione e vi applaude per questo successo politico-organizzativo-logistico che crea migliori condizioni per il vostro ammirevole e infaticabile lavoro al servizio delle masse del vostro territorio e della nobile causa del socialismo". Parole che spronano e caricano ancor più i marxisti-leninisti della provincia di Catania, pronti a far della sede una forte base rossa. La giornata del 31 è iniziata alle 8,30, orario in cui i compagni catanesi del PMLI e la Responsabile del PMLI per la Sicilia, compagna Vitrano, si sono ritrovati in sede pronti ad accogliere i delegati delle altre istanze siciliane del Partito e gli altri partecipanti. La sala era stata precedentemente addobbata di rosso con le bandiere dei Maestri e del Partito in evidenza. Per tutto il perimetro della sede erano affissi manifesti storici e recenti con le parole d'ordine del PMLI. Dietro la presidenza campeggiava il bellissimo striscione con la scritta "Inaugurazione della sede della Cellula 'Stalin' della provincia di Catania" e il simbolo del PMLI con la falce e martello. Sotto i ritratti dei Maestri e il manifesto per il proselitismo 2011, da un lato, e dall'altro quello della Commemorazione di Mao 2011. Sui ripiani erano in bella evidenza le pubblicazioni del Partito e "Il Bolscevico". L'addobbo della sede è stato ammirato da tutti i presenti ed elogiato dalla Responsabile regionale. L'evento ha incuriosito alcuni passanti e alcuni residenti che sono entrati nella sede informandosi, facendo gli auguri e acquistando del materiale. Alle ore 10,30, quando tutti i militanti, i simpatizzanti e gli amici del Partito erano ormai presenti, si è dato inizio all'inaugurazione ufficiale della sede. Mentre risuonava "Il Sole Rosso", la presidenza, composta dal Segretario della Cellula "Stalin" della provincia di Catania, compagno Sesto Schembri, dalla Responsabile regionale per la Sicilia, e dal compagno Gabriele, prendeva posto e di fronte ad essa sedeva il resto dei partecipanti. Alle 10,35 il Segretario della Cellula "Stalin" legge il saluto del Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, che aveva inviato alla riunione della Cellula che si era svolta nel giorno precedente. Il messaggio, tra l'altro
  • 19. dice: "invio a tutti voi, artefici storici dello sviluppo e della nuova fase della vostra gloriosa Cellula, un fraterno, solidale e riconoscente saluto, le mie più calorose congratulazioni e gli auguri più fervidi". Alle 10,40 è il compagno Gabriele a leggere il saluto della Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI. In seguito, alle 10,45, il compagno Sesto Schembri legge il proprio saluto, nel quale, tra l'altro dice: "Grazie di essere qui presenti e di avere accettato l'invito per l'inaugurazione della sede della Cellula 'Stalin' della provincia di Catania. Con il processo di radicamento del PMLI, nel movimento di massa catanese si sentiva il bisogno fra i compagni e gli amici del Partito di avere un luogo in cui riunirsi per studiare e dibattere collettivamente la linea politica del Partito, studiare i principi per marxismo-leninismo-pensiero di Mao, alla cui base si trova la filosofia del materialismo storico e dialettico, una scienza applicata al sociale con la concezione proletaria del mondo. La sede sarà aperta a tutti i simpatizzanti e amici del Partito per varie iniziative, assemblee e dibattiti". Nel suo saluto il compagno ha anche tracciato l'attività politica della Cellula nel recente passato e gli impegni per il prossimo futuro. Al termine del suo saluto Schembri ha comunicato ai partecipanti dell'inaugurazione la possibilità di intervenire per fare gli auguri, dopo i saluti delle Cellule e Organizzazioni siciliane del PMLI. Alle 11,05 la compagna Vitrano ha letto il proprio saluto nel quale, tra l'altro, dice: "I compagni della provincia di Catania sono impegnati incessantemente nel lavoro di radicamento, ma care compagne e compagni presenti oggi a questa inaugurazione, il lavoro di radicamento del PMLI non è affare solo dei militanti e dei simpatizzanti della Cellula. Se anche a voi sta a cuore lo sviluppo del Partito e la causa del socialismo date una mano come potete nella provincia di Catania. Dateci una mano a tenere aperta la sede. Dateci un contributo economico, anche piccolo, se potete, aiutateci a portare le insegne del PMLI in piazza, scrivete per 'Il Bolscevico', aiutateci a scrivere comunicati stampa sui problemi della città e a diffonderli insieme ai volantini". Ella ha concluso con un elogio ai compagni della provincia di Catania e con l'invito a tutti a partecipare l'11 settembre alla Commemorazione di Mao, che verrà tenuta dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi. Alle 11,15 il compagno Gabriele ha letto i saluti dei Responsabili regionali e di alcune Cellule e Organizzazioni del Partito. A conclusione del saluto della Cellula "Nerina 'Lucia' Paoletti" di Firenze, la presidenza ha spiegato ai presenti, molti dei quali giovani che non conoscono la storia del Partito, suscitando un commosso e caloroso applauso, chi è stata la compagna Lucia una dei primi quattro Pionieri del PMLI e come "ha dato tutta la sua vita e il suo tempo al Partito", lasciando un enorme vuoto quando è prematuramente scomparsa nel 2006. Tutte le istanze che hanno espresso i propri auguri sono state ringraziate con una lettera della Cellula "Stalin" in cui si legge: "ringraziamo il Segretario
  • 20. generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, la Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI, la Responsabile per la Sicilia del PMLI, compagna Giovanna Vitrano, che per l'occasione è stata presente, e tutte le istanze centrali e di base per gli auguri, gli elogi e gli incoraggiamenti che ci avete inviato per l'inaugurazione della sede della Cellula 'Stalin' della provincia di Catania. Questa è una vittoria che appartiene a tutto il Partito dai quattro Pionieri che ci hanno dato gli strumenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao calati creativamente nel nostro contesto storico e sviluppati scientificamente per abbattere il capitalismo oramai in putrefazione, alle istanze centrali e quelle di base. In questa sede è come se fossimo presenti tutti e con voi condividiamo questa base rossa per l'Italia unita, rossa e socialista. Grazie ancora compagni per i vostri elogi che abbiamo ricevuto con gioia rivoluzionaria". Alle 11,25 il compagno Sesto Schembri ha invitato i delegati delle istanze siciliane a portare il loro saluto. In ordine hanno preso la parola un militante della Cellula "1° Maggio-Portella 1947" di Palermo, il Segretario della Cellula "Mao" di Troina e il Segretario della Cellula "Lunga Marcia" di Messina. Alle 11,45 sono intervenuti alcuni simpatizzanti ed amici che hanno espresso il loro giudizio positivo nei confronti dell'apertura di questa base rossa marxista- leninista, che rappresenta un punto di riferimento di fronte unito per obbiettivi comuni. Il compagno Mimmo Impellizzeri ha portato i suoi auguri a nome del circolo "Che Guevara" di Misterbianco, in provincia di Catania e il compagno Salvo D'Arrigo ha portato i saluti e gli auguri a nome dei Comunisti italiani di Catania. In seguito hanno preso la parola la compagna Alba e il compagno Gabriele che hanno ribadito il proprio impegno politico nella provincia di Catania per portare avanti la linea politica e di massa del Partito, il marxismo-leninismo- pensiero di Mao all'interno del movimento catanese, nell'ottica di fare del PMLI un Gigante Rosso non solo nella testa ma anche nel corpo. L'inaugurazione si è conclusa con un brindisi mentre risuonavano i tre Inni del Partito "Il Sole Rosso", "L'Internazionale" e "Bandiera Rossa". È seguito un rinfresco offerto dalla compagna Vitrano. Alcuni simpatizzanti e amici hanno portato vino e dolci locali ed una pianta. Il rinfresco si è svolto in un clima di armonia e di festa proletaria marxista- leninista e ha visto intrecciarsi dialoghi e confronti fra compagni e amici provenienti da diverse storie sociali. I militanti e i simpatizzanti della Cellula "Stalin" della provincia di Catania difficilmente dimenticheranno questa storica e giornata durante la quale si sono sentiti fedeli continuatori della gloriosa opera dei pionieri del PMLI. Criminali bombardamenti della Nato Vittoria del popolo libico. Abbattuto il
  • 21. regime di Gheddafi Il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) libico ha lanciato il 30 agosto da Bengasi un ultimatum ai militari asserragliati nella città di Sirte e in alcuni altri centri minori ancora fedeli a Gheddafi affinché si arrendano entro pochi giorni: in poco più di una decina di giorni l'offensiva finale lanciata dagli insorti ha travolto le difese di Tripoli. Nella capitale, al momento in cui scriviamo, continuano gli scontri, Gheddafi è introvabile con le forze del Cnt, dei servizi inglesi e francesi e gli aerei della Nato che continuano a dargli la caccia ma oramai il suo regime è crollato, non esiste più. Il popolo libico ha vinto. Ha vinto una prima importante battaglia per la democrazia e la libertà, altre lo aspettano affinché non cada dalla padella di Gheddafi nella brace imperialista. In contemporanea all'annuncio del presidente del Cnt da Bengasi ha parlato la Nato, il cui portavoce da Bruxelles ha sottolineato che le operazioni continuano, "la nostra missione è ancora necessaria", in particolare nella zona di Sirte. Non ha spiegato come i bombardamenti sulle truppe rimaste fedeli a Gheddafi possano rientrare nella missione "umanitaria" della Nato per proteggere i civili, non poteva farlo ma non ce ne è stato bisogno, oramai non serve più nemmeno il richiamo formale alla risoluzione Onu numero 1973 del 17 marzo scorso che ha legittimato l'aggressione imperialista alla Libia. L'offensiva finale delle forze del Cnt era scattata il 19 agosto e in un paio di giorni gli insorti prendevano definitivamente il controllo di alcune località strategiche al centro da mesi degli scontri, dall'importante porto petrolifero di Brega, alla città di Zlitan a quella di As Zawiyah, a soli 30 chilometri a ovest della capitale, con la sua grande raffineria e lungo la principale strada di collegamento con la Tunisia. Da queste località partiva l'attacco a tenaglia su Tripoli, nei cui quartieri periferici gli scontri iniziavano già il 21 agosto e dove si facevano intensi i bombardamenti Nato, che colpivano le caserme e i centri di comando dell'esercito di Gheddafi come pure le abitazioni. Le sedi militari erano raggiunte successivamente da reparti degli insorti guidati in diversi casi dalle "truppe speciali" imperialiste. Il mandato Onu escludeva l'impiego di truppe di terra, un impiego formalmente accettato ma contemporaneamente violato dalla Gran Bretagna; lo ha ammesso il ministro degli esteri William Hague che ha confermato come le Sas britanniche siano sul terreno per ordine del premier Cameron. Violato da agenti americani, francesi e qatarioti impegnati quantomeno a dirigere i tiri dei bombardieri. Gli scontri principali a Tripoli terminavano il 28 agosto e i rappresentanti del Cnt dichiaravano l'emergenza umanitaria per la mancanza di acqua, scorte di viveri, elettricità, carburante e medicinali negli ospedali dove moltissimi feriti sono morti per mancanza di cure. Il Cnt ha chiesto un immediato aiuto umanitario e finanziario, non ha soldi nemmeno per pagare i propri dipendenti. Dovrebbe attendere che le Nazioni
  • 22. Unite revochino l'embargo imposto lo scorso marzo sulla Libia per poter accedere ai beni libici sequestrati nelle banche di Washington, Londra e Parigi che si trattengono oltre 100 miliardi di dollari. L'Onu può sbloccare i fondi al momento in cui il Consiglio transitorio sarà riconosciuto come il legittimo rappresentante della nazione libica. Per le emergenze stanno studiando una soluzione i tre paesi che hanno diretto l'aggressione imperialista e che si pongono come principali tutori della nuova Libia e del suo petrolio insieme all'Italia. Accordo tra democratici e repubblicani sul debito Usa per evitare il fallimento Obama capitola alla destra Selvaggi tagli alla spesa pubblica. La sua sinistra lo attacca: "Svende lo Stato sociale". Declassato il debito Usa Il dollaro non è più la moneta sovrana nel mondo "I leader dei partiti, di tutte e due le Camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia. La prima parte dell'accordo taglierà le spese di 1.000 miliardi di dollari in dieci anni. Il risultato sarà il livello più basso di spesa nazionale da quando Eisenhower era presidente, ma a un livello che ci consentirà ancora di fare investimenti per creare occupazione in settori come l'istruzione e la ricerca". Con queste rassicuranti parole ai primi di agosto il Presidente Usa Barack Obama ha annunciato l'accordo tra la Casa Bianca e i leader del Congresso sull'innalzamento del tetto del debito per complessivi 2.100 miliardi di dollari. Frutto di un piano concordato tra il repubblicano McConnell e il leader dei Democratici in Senato, Harry Reid, la manovra di lacrime e sangue preannuncia una micidiale stangata per il popolo americano. Altro che compromesso "per evitare di ritrovarci in una crisi simile fra 6, 8 o 12 mesi", come sostiene Obama, in tanti parlano di pura e semplice capitolazione al programma dei neofascisti repubblicani: l'America non alza di un dollaro le tasse e la Casa Bianca dovrà fare selvaggi tagli alla spesa pubblica. Anche la "sinistra" del Partito lo accusa di essere stato troppo arrendevole nei confronti della destra e di essere finito "a parlare come loro, a pensare come loro, ad agire come loro". Tanto è vero che, dimenticate le parole che avevano fatto la sua fortuna: "Hope" e "Change", anche i sondaggi dicono che la sua popolarità è scesa sotto il 40 per cento, ed è in calo verticale anche sul suo blog in Twitter (9 milioni e mezzo di utenti). A quelle parole egli ha preferito le citazioni di Ronald Reagan con le quali ha chiesto agli americani di premere sul Congresso per fare approvare i tagli a
  • 23. programmi come Medicare e ai sussidi per l'agricoltura. Non solo, il suo elettorato gli rimprovera anche l'aumento delle truppe in Afghanistan, la conferma dei tagli alle tasse ai più ricchi dell'era Bush, la mancata promessa della chiusura di Guantanamo, la falsa "riforma" sanitaria. Persino il New York Times, che fin qui lo aveva sempre sostenuto, titolava: "Con un bilancio che pende a destra Obama allarga la spaccatura nel suo partito: a rischio nel 2012 i voti liberal". Ma forse il più duro colpo, per le sue ambizioni di risollevare le sorti dell'imperialismo americano, gli sono venute dal declassamento del debito Usa ad opera di Standard & Poor's. La valutazione AAA è stata infatti abbassata di un gradino, a AA+. "Il piano di risanamento - scriveva S&P - non è adeguato a quanto sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito. L'efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in un momento in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano". Il rating, spiegava Jean-Michel Six, capo economista europeo di S&P: "Non è una sanzione o una punizione. Facciamo delle diagnosi che permettono di confrontare la qualità del credito". Sta di fatto che si tratta di una decisione senza precedenti, in quanto è la prima volta che gli Usa si vedono ridurre il grado di affidabilità da una delle tre principali agenzie di rating, affidabilità che ora è inferiore a quella della Germania, della Francia o del Canada. Secondo gli analisti questa decisione "avrà un impatto sull'appetito degli investitori esteri per il debito americano, visto che nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l'1% del debito americano, mentre ora ne controllano ben il 46%". Tutti segnali della grave decadenza dell'economia reale Usa, dominata dalla speculazione e conseguenza anche di un costo del denaro eccezionalmente basso e del fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha permesso agli Usa di farsi finanziare per decenni il debito statale ed estero dal resto del mondo. Emblematica in tal senso la reazione della nuova superpotenza imperialista emergente. "La Cina, il più grande creditore dell'unica superpotenza mondiale, ha tutto il diritto - si legge in un durissimo commento diffuso dall'agenzia Nuova Cina - di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari". "I giorni in cui lo zio Sam, piegato dai debiti, poteva facilmente dilapidare quantità infinite di prestiti stranieri sono ormai contati", si legge ancora nel comunicato. Ancor più duro Guan Jianzhong, presidente dell'agenzia di rating cinese Dagong: "La risposta degli Stati Uniti al problema del debito è stata arrogante. Non ci vorrà molto tempo prima che scoppi la crisi del debito sovrano Usa. La crisi del debito Usa è più preoccupante di quella dell'eurozona, sia perché in Europa tocca solo pochi paesi ma anche per le diverse soluzioni adottate". Tutto ciò dimostra, dal punto di vista economico, che gli Usa non sono più in grado di assolvere a quella funzione di dominio incontrastato della "globalizzazione" imperialista e che il dollaro non può più continuare a essere
  • 24. l'unica moneta di riserva e di transazione mondiale. Dal punto di vista politico testimoniano che si stanno sgretolando le illusioni che la "sinistra" borghese aveva sparso a piene mani a livello mondiale con l'elezione di Obama alla Casa Bianca. Freddato dalla polizia La morte di un giovane a Londra innesca una rivolta popolare La Cellula "Stalin" di Londra prende posizione e solidarizza con i rivoltosi Dal corrispondente della Cellula "Stalin" di Londra Giovedì 4 agosto a Londra è stato ucciso dalla polizia a colpi di arma da fuoco Mark Duggan, un giovane nero di 29 anni, con piccoli precedenti penali, padre di 4 figli. Il fatto è avvenuto a Tottenham, un quartiere della periferia nord della capitale britannica. In un primo tempo la polizia aveva sostenuto che il giovane avesse una pistola e per questo è stata chiamata l'unità speciale dato che la polizia a Londra normalmente non è dotata di armi da fuoco. L'unità speciale ha cercato di fermare il giovane e dopo un inseguimento rocambolesco sono riusciti a bloccarlo sul ponte di Tottenham e gli hanno sparato. Le notizie girate subito dopo erano molto frammentarie e confuse, si parlava anche di un poliziotto ferito e di un conflitto a fuoco, per questo la polizia era stata costretta a rispondere al fuoco ed a uccidere Duggan. Molti giorni dopo si è invece saputo che il giovane era completamente disarmato. Le indagini sono ancora in corso e probabilmente ci sarà una commissione d'inchiesta perché la dinamica non è per niente chiara e di sicuro c'è solo che un ragazzo è stato ucciso come un cane. Sabato sera un gruppo nutrito di persone e tra di essi i parenti di Mark si sono presentati davanti al commissariato di Tottenham per avere delle risposte circa la dinamica dei fatti e anche per protestare perché la polizia ancor prima di parlare con i parenti aveva già dato la sua versione ai media dipingendo come un gangster questo ragazzo che era ben conosciuto nel quartiere come una persona con piccoli precedenti penali ma assolutamente innocua. La protesta da pacifica ha cominciato a diventare sempre più accesa fino a che è scattata una rabbia che si è presto tramutata in rivolta vera e propria con l'incendio di macchine e il saccheggio di un centro commerciale. Il giorno dopo High Road sembrava una zona di guerra e questo a seguito della politica repressiva e del comportamento poliziesco. Tottenham è il sesto quartiere più degradato di Londra, ha il più alto livello di disoccupazione dell'intera città, più del 50% dei disoccupati sono giovani, il 40%
  • 25. dei ragazzi vive in condizioni di assoluta povertà, circa il 9% dei benefit erogati in tutto il Regno Unito vengono dati per quel quartiere. Il comune quest'anno ha tagliato del 75% i fondi per giovani, chiuso ben 8 dei 12 centri del quartiere per i giovani, i sussidi per le famiglie continuano a essere tagliati. Inoltre nel quartiere gira molta droga, e i ragazzi sono stufi di essere trattati come bestie dalla polizia a cui troppo spesso, basta che uno sia nero e indossi una felpa con il cappuccio, per etichettarlo come spacciatore, fermarlo in malo modo, cacciarlo in macchina e perquisirlo. Da gennaio a maggio di quest'anno la polizia a Tottenham ha fermato per un controllo 5.497 persone. Si capisce dunque come l'uccisione di Mark Duggan sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della rabbia popolare, specie tra i giovani. La protesta si è estesa giorno dopo giorno in altri quartieri emarginati della città, come Clapton, Brixton, Hackney, Croydon e altre zone centrali. Poi è stata la volta di altre città del Regno Unito come Birmingham, Bristol, Manchester e Liverpool. All'inizio della settimana il premier Cameron era già tornato dalla sua vacanza perché la città di Londra era fuori di controllo e ha richiamato precipitosamente altri 16.000 poliziotti per pattugliare le strade e sedare le rivolte. Mentre blindavano la città hanno sapientemente dato in pasto ai media le "veline" sulle razzie nei negozi, le testimonianze di persone disperate, con lo scopo preciso di far passare questa sacrosanta rivolta popolare per un maxi- saccheggio ad opera di grosse gang e fine a se stessa. Dopo una settimana la situazione si è calmata. Ci sono stati 5 morti e decine di feriti, anche tra la polizia e oltre mille, forse duemila, gli incarcerati. Il fascista e criminale Cameron, ancora non arrestato per il suo vergognoso ruolo nello scandalo Murdoch si ritiene soddisfatto per aver fermato quelli che lui chiama delinquenti e già pensa di autorizzare la polizia ad usare i cannoni ad acqua o le pallottole di gomma, nascondendo alla nazione e al mondo di quanto il Regno Unito in realtà abbia situazioni di estremo disagio sociale. E invece di rimboccarsi le maniche, destinare più risorse economiche dove servono, cioè alle masse popolari inglesi, preferisce arricchire sempre di più i soliti squali capitalisti e continuare a sovvenzionare le loro guerre imperialiste. Le masse sono disorientate perché tanti non si rendono conto di cosa sta succedendo grazie alla disinformazione dei giornali e telegiornali di regime, mentre sono pochi i media che denunciano le cose come stanno, cioè che si è trattato di una sacrosanta rabbia popolare e denunciano il fatto che l'omicidio di Duggan è l'ultimo di una serie di assassinii che la polizia cerca di coprire. Pare che dal 1998 ne siano stati uccisi 333 e nessun poliziotto è stato punito. La Cellula "Stalin" di Londra del PMLI, che ha preso posizione sui fatti accaduti sostiene totalmente l'eroica rivolta popolare, solidarizza con i parenti della vittima e condanna il governo del reazionario e repressore Cameron.
  • 26. Presa di posizione della Cellula "Stalin" di Londra del PMLI La rivolta che ha infiammato le città britanniche è la risposta al disagio, all'emarginazione economica e sociale a cui il governo condanna le masse popolari Ciò che sta accadendo negli ultimi giorni qui a Londra non è un incidente e nemmeno l'opera di un piccolo gruppo di fanatici e vandali che esternano la loro frustrazione per le strade della città ma è ben altro. Ciò che sta accadendo è il risultato inevitabile del degrado sociale e politico. Come ogni cosa occorre fare un'attenta valutazione scientifica e di classe su ciò che ci circonda e non limitarsi semplicemente alla "buccia" delle cose. La violenza scaturita in queste ultime ore a Londra è il frutto di un grido delle masse mai udito dal governo britannico, ossia un apparato sordo e muto che reprime sistematicamente gli oppressi di questa nazione (frequenti ronde per le strade, organismi cooperativi come i Police Community Support Officers, quantitativi esagerati di telecamere dappertutto, perquisizioni, ecc.). Mark Duggan era un giovane che non meritava di essere ammazzato come un cane, qualunque cosa abbia commesso poteva e doveva essere fermato in maniera diversa e non letale, ma così purtroppo non è stato. La sua uccisione a colpi di arma da fuoco da parte di un poliziotto non è minimamente giustificabile. La polizia britannica, contrariamente a quello che pensano alcuni stolti liberaloidi, non è affatto migliore o più diplomatica rispetto a quella italiana del neoduce Berlusconi, al contrario è anche peggio, l'unica differenza è che sa "nascondere" meglio la rogna sotto la moquette. La sua vera diplomazia è nel depistaggio e nel camuffare la verità alle masse con un tipico stile ormai noto a tutti. Nelle ultime ore i media (BBC in primis) hanno già preparato e confezionato le versioni da vendere all'opinione pubblica facendo passare una più che sacrosanta rivolta popolare (essendo qualche migliaio il numero di persone in lotta con le "forze dell'ordine") in un atto vandalistico di piccolo gruppo. Niente di più falso! Abbiamo dirette testimonianze di persone coinvolte e numerose altre fonti che attestano il contrario. Da Walthamstow a Tottenham, da Enfield ad Hackney, da Peckam a Brixton fino ad arrivare addirittura a varie città come Birmingham e altre zone del Paese, il consenso delle masse verso i rivoltosi è sempre più alto di ora in ora e non è minimamente vero che la comunità "vive nel panico".
  • 27. Possiamo dire questo: la situazione di violenza non rende felice nessuno ma è purtroppo inevitabile per dare un chiaro messaggio a questo governo neofascista, capitalista e sordo. L'Inghilterra, essendo una nazione capitalista e imperialista, ha un apparato giuridico, istituzionale e poliziesco che è lì per proteggere la classe dominante borghese al potere e reprimere invece le classi oppresse, ossia il proletariato e le masse popolari. Le perquisizioni frequenti che fanno a Londra, specie nei quartieri popolari verso stranieri e maggiormente verso i neri, sono una realtà aberrante che sta crescendo di giorno in giorno e le masse hanno provato a esternare il loro dissenso in numerosissime occasioni senza che il governo abbia fatto nulla a riguardo, al contrario rispondendo con fredde pratiche burocratiche borghesi e alimentando così il malcontento generale. Non ci pare che il governo abbia fatto arrestare, perquisire o uccidere criminali come Cameron, Murdoch, Branson o tutti quei dirigenti delle banche, multinazionali (molti di questi non pagano nemmeno le tasse e fanno profitti da miliardi di sterline) e vari pezzi da novanta della City che guadagnano cifre stratosferiche sfruttando il lavoro altrui e spesso facendo truffe che sono addirittura legalizzate dalla stessa democrazia britannica. Come mai non arrestano questi uomini? La verità è che è più facile uccidere a sangue freddo un giovane nero perché ha un cappuccio e magari anche un piccolo quantitativo di droga in tasca piuttosto che persone "rispettabili". Questo è lo specchio della disuguaglianza sociale che impera in questo Paese da sempre e del silenzio mediatico che cerca di stroncare ogni forma di dissenso e rivolta. Ammettiamo che una parte di questa violenza sia gratuita e mal esercitata (vetrine di piccoli negozi rotte, ecc.) ma sosteniamo totalmente gli scontri contro le "forze dell'ordine" in quanto quella è cosa ben diversa dal vandalismo. In ogni rivolta ci sono esagerazioni e anche ingiustizie per cui degli innocenti possono purtroppo essere colpiti, ma questo è soltanto un piccolo tassello di quello che è un più grande mosaico. La cosa importante è comprendere il motivo per il quale è nata questa rivolta e non limitarsi alle vetrine spaccate. La BBC sta cercando di far passare "come al solito" questa rivolta come un'azione malata di pochi drogati quando in realtà è molto di più. L'uccisione di Duggan è il simbolo di una repressione sociale e neofascista, è il simbolo di un'ennesima ingiustizia della borghesia nei confronti degli oppressi e dei poveri. Non esistono mezzi termini e non bisogna limitarsi a predicare ipocritamente il falso moralismo intellettualoide di carattere borghese e antipopolare (persino il Popolo Viola London non ha mancato di mostrare la sua vera natura). Al contrario dobbiamo comprendere il motivo di tutto questo, fare un bilancio scientifico di ciò e sostenere la più che lecita rivolta popolare di questo sempre più crescente numero di persone contro le "forze dell'ordine" e il governo del reazionario Cameron. Proprio come in Italia, anche qui i media stanno cercando di confezionare la verità del regime intervistando un limitato numero di persone che sono contro
  • 28. questa rivolta, facendole passare come "opinione pubblica generale". Esponenti di Scotland Yard, Comuni ed istituzioni varie hanno concentrato tutta la loro attenzione e condanna (degna della più fetida fogna fascista) verso gli atti di "vandalismo" e tutto ciò che vende meglio. Non solo non hanno espresso minimamente rimorso per la morte del giovane, ma hanno avuto il coraggio di dire che la polizia sta perdendo il controllo della città e che "occorrerebbe rinforzare l'apparato poliziesco sulle strade per reprimere ancora di più". Questo conferma quello che noi del Partito marxista-leninista italiano diciamo da sempre: che la lotta di classe è la forza motrice della società e che la classe oppressa (il proletariato) non può elemosinare le briciole dalla borghesia ma deve rovesciare la classe borghese al potere non tramite il parlamentarismo e l'elettoralismo ma con l'uso della forza e della violenza di massa (ripetiamo, di massa e non di piccolo gruppo). La Cellula "Stalin" di Londra del PMLI sostiene fermamente l'eroica rivolta popolare di questi giorni in Gran Bretagna, condanna senza esitazione questo governo e le "forze dell'ordine", solidarizza con i familiari del giovane Mark e spera vivamente che questa scintilla sia finalmente di ispirazione per altri focolai di lotta. Questo governo la deve smettere di considerare la sterlina inglese come una suprema divinità da servire mettendo le masse e i loro bisogni in secondo piano, la deve smettere di reprimere il dissenso. Malcontento e degrado che non sono altro che la conseguenza del sistema capitalistico e quando una rivolta è popolare lo Stato e i suoi servi si devono mettere da parte, perché per quanto possano temporaneamente "avere la meglio" sulle masse hanno già segnato il fallimento del loro stesso destino. Le masse non dimenticano, le masse lottano, le masse faranno tesoro di questa esperienza storica per quelle che saranno future rivolte ancora più grandi e mirate ad abbattere il sistema capitalistico, vero problema di base. Viva la rivolta popolare inglese! Che la lotta popolare si estenda a tante altre città del Paese! Abbasso le "forze dell'ordine" britanniche! Abbasso il governo del reazionario Cameron! Viva la lotta di classe! Non si arresta la grandiosa mobilitazione studentesca in Cile Sciopero di 48 ore contro il criminale governo di Santiago Ucciso un sedicenne
  • 29. Almeno 600 mila lavoratori e studenti hanno partecipato alle manifestazioni che si sono svolte in tutto il paese nel corso dello sciopero di 48 ore indetto dalla Centrale unitaria del lavoratori (Cut) per il 24 e 25 agosto scorsi. Allo sciopero hanno partecipato in massa i dipendenti pubblici, in particolare della scuola, molti i lavoratori delle imprese private, moltissimi gli studenti universitari e delle scuole superiori uniti nella richiesta di un'Assemblea costituente che porti a una nuova costituzione che elimini quella varata nell'80 dalla dittatura di Pinochet e rimasta sostanzialmente invariata anche durante i dieci anni di governo del "centrosinistra", dal 1999 al 2009, e del successivo governo di destra del presidente Sebastian Piñera. Lavoratori e studenti cileni chiedono la tutela dei diritti del lavoro e dell'ambiente, pensioni e sanità pubbliche, il potenziamento della scuola pubblica. Chiedono la modifica di un testo costituzionale che criminalizza i movimenti sociali e li definisce "terroristi" e che permette al criminale governo di Santiago di proibire le manifestazioni. O di dare il via libera alla polizia per attaccarle come è accaduto in diverse manifestazioni durante lo sciopero, dove ci sono stati anche oltre 1.400 manifestanti arrestati. Fino alla sera del 25 agosto quando la polizia ha ucciso un giovane di 16 anni che partecipava alle proteste nel quartiere di Jaime Eyzaguirre, a Santiago. La mobilitazione contro il regime di destra del presidente Sebastian Piñera era iniziata nella scorsa primavera con una manifestazione studentesca a Santiago cui avevano partecipato poche migliaia di studenti. La denuncia della "mercificazione dell'educazione" e la rivendicazione di "un'istruzione gratuita e di qualità" trovava spazio nelle scuole superiori, che venivano occupate dagli studenti in lotta, e nelle università dove molti giovani si indebitano per anni per pagare le rette. Il 16 giugno son in 200 mila gli studenti che manifestano nelle piazze, la più grande manifestazione dalla fine della dittatura, per chiedere al governo maggiori risorse da investire nell'istruzione, un abbassamento dei prezzi nel trasporto pubblico, agevolazioni economiche agli studenti e l'abbattimento delle disuguaglianze tra scuola pubblica e la privilegiata scuola privata. Una lotta che costringe il presidente Sebastián Piñera a sostituire il 18 luglio il ministro dell'Istruzione e a avviare un dialogo con i rappresentanti degli studenti. Che respingono le proposte governative, che non mettono al centro la scuola pubblica, e promuovono nuove manifestazioni come quella a Santiago del 5 agosto, vietata dal governo e appoggiata dalla popolazione. La polizia attacca i cortei studenteschi nella capitale e nelle altre città con un bilancio di molti feriti e un migliaio di arrestati. Proteste e scontri che si ripetono il 10 agosto a Santiago, Valparaiso, Conception e in altri centri minori. La protesta studentesca non si fa intimidire e si unisce a quella dei lavoraratori nello sciopero del 24 e 25 agosto. E prepara una nuova grande mobilitazione per l'11 settembre, nell'anniversario del colpo di stato del '73.
  • 30. Dopo un attacco della resistenza a un pullman di militari Rappresaglia nazista dei sionisti a Gaza I bombardamenti aerei dei sionisti sulla striscia di Gaza si ripetono con una cadenza che quasi non fa più notizia; lo diventa quando in soli tre giorni causano 15 morti, tra i quali almeno tre ragazzi, e una cinquantina di feriti come è avvenuto tra il 18 e il 20 di agosto durante una rappresaglia nazista in seguito a una serie di attacchi della resistenza fra i quali quello a un pullman di militari a pochi chilometri da Eilat, la località turistica sul Mar Rosso al confine con l'Egitto. L'attacco del 18 agosto è stato condotto da un gruppo di una trentina di palestinesi armati di mitra che hanno intercettato il bus diretto a Eilat e altri mezzi e che dopo lo scontro con i soldati sionisti sono in gran parte riusciti a fuggire. Nella reazione all'attacco della resistenza palestinese le forze di Tel Aviv hanno ucciso anche tre ufficiali di polizia egiziani alla frontiera tra i due paesi. Altri due soldati egiziani erano uccisi dalle forze aeree sioniste mentre pattugliavano il confine di Rafah. L'Egitto chiedeva le scuse ufficiali; che non sono arrivate. Il regime di Tel Aviv era impegnato nella rappresaglia contro la striscia di Gaza e il governo palestinese guidato da Hamas. "La vera responsabile di questo attacco è Gaza, risponderemo con forza e determinazione", annunciava il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che chiudeva i valichi di transito per la striscia di Gaza e inviava l'aviazione a colpire tutte le città della striscia e alcuni campi profughi. Gli attacchi continuavano nei due giorni successivi con un pesante bilancio di vittime, fra le quali molti civili. Fonti mediche palestinesi denunciavano che molti feriti avevano lacerazioni non dovute a bombe normali ma lesioni simili a quelli delle vittime dell'Operazione Piombo Fuso, quando i sionisti utilizzarono le proibite bombe al fosforo. La rappresaglia sionista era condannata da Hamas e finanche dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, che chiedeva una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell'Onu per fermare "la pericolosa escalation contro la Striscia di Gaza e l'uccisione di civili". Uno dei responsabili di Hamas a Gaza affermava che la rappresaglia di Tel Aviv serviva al regime sionista anche per spostare l'attenzione sulla "sicurezza" del paese e spegnere il fuoco della protesta sociale che si stava sviluppando a Tel Aviv e nelle altre principali città. Almeno 250 mila manifestanti avevano partecipato alle manifestazioni del 7 agosto contro il caro vita; la più grande manifestazione nel paese per chiedere affitti più bassi, salari minimi più alti, scuole gratuite. Una protesta che continuava il 13 agosto con manifestazioni nelle città più piccole e alle quali
  • 31. partecipano per la prima volta anche diversi arabo-israeliani. Un movimento che stava mettendo in difficoltà il governo Netanyau e che ha sospeso le iniziative al rombo dei cacciabombardieri su Gaza. Il capo del governo Salmond mente e bara sulle cifre della disoccupazione che dilaga in Scozia Dal corrispondente dell'Organizzazione di Aberdeen (Scozia) del PMLI Il dibattito sull'urgenza di rivedere le politiche economiche e di rilanciare una nuova proposta per l'occupazione apertosi nell'estate 2007, ossia allo scoccare dell'ennesima crisi capitalistica, è più che mai all'ordine del giorno in Scozia. Le dichiarazioni del capo del governo scozzese Alex Salmond, rilasciate lo scorso 10 agosto in occasione di un'intervista radio al programma della BBC "Good Morning Scotland" (GMS), ribadivano l'impegno del Partito Nazionale Scozzese, un partito reazionario, nell'assicurare stabilità economica agli scozzesi, in special modo ai lavoratori del settore pubblico, affermando che non vi sono tagli previsti in questo settore. Si è vantato di un fatiscente primato scozzese in tempi di crisi rispetto al resto della Gran Bretagna: un alto tasso di occupazione e un calo della disoccupazione. Tale dichiarazione, smentita pesantemente dalle molteplici recenti relazioni sulla disoccupazione giovanile e sui tagli nel settore pubblico, ha dato vita a una serie di reazioni a catena che hanno visto un forte dissenso da parte dei giovani, dei lavoratori, dei sindacati e dell'opposizione. Secondo le statistiche rilasciate dal sindacato dei pubblici dipendenti GMB, il tasso di disoccupazione è particolarmente preoccupante tra i giovani e giovanissimi nella fascia d'età 16-24 che nel Nord Ayrshire toccano picchi di 30,3%. Dati provenienti dall'Ufficio delle statistiche nazionali (ONS) rivelano che 73.000 giovani, uno su quattro in alcune aree della Scozia, sono disoccupati. Contrariamente a quanto affermato da Salmond, un numero sempre maggiore di lavoratori sta subendo riduzioni delle ore lavorative ed un cambiamento di contratto da full time a part time. Inoltre, la preoccupazione degli scozzesi aumenta sempre più a causa dell'inflazione e dell'impatto che questa ha sul costo della vita e sul loro potere di acquisto. Ancora una volta invece le misure del governo favoriscono i padroni e non le masse popolari ed i giovani in cerca di lavoro. A dimostrazione di ciò vi sono le misure prese dal Partito Nazionalista Scozzese che ha cancellato il progetto di collegamenti ferroviari all'aeroporto di Glasgow che si prevedeva avrebbe creato circa 1.300 posti di lavoro e gli innumerevoli
  • 32. ritardi su ulteriori progetti di infrastrutture. Sono stati stanziati fondi per 1 trilione di sterline dal governo scozzese al fine di salvare dalla bancarotta alcune banche e per aiutare gli amici del grande business. Nessun aiuto è stato previsto però per i giovani e giovanissimi così pesantemente colpiti dalla crisi finanziaria mondiale capitalistica. Nessun provvedimento per assicurare lavori stabili, formazione adeguata ed un salario decente. L'Ufficio di Consulenza Legale ai Cittadini (Citizens Advice Scotland) ha segnalato che dallo scoccare della crisi economica la disoccupazione giovanile ha raggiunto picchi spaventosi negli ultimi tre anni. L'inchiesta "Being Young Being Heard" infatti rivela che il numero di giovani scozzesi nella fascia d'età 18- 24 richiedente indennità di disoccupazione è aumentato vertiginosamente dal 2007: da 23.400 richiedenti in agosto 2007 a 41.895 ad agosto 2010, un aumento di ben 79 punti percentuali. Il sindacalista Jim McFarlane della coalizione socialista in una recente dichiarazione ha affermato che è necessario un programma di investimento nella creazione di occupazione per i giovani per poter garantire lavori socialmente utili indispensabili in Scozia. Il portavoce della campagna locale "Youth Fight For Jobs", Luke Ivory, ha dichiarato: "Tutti i principali partiti sembrano incapaci di offrire soluzioni alla crisi della disoccupazione giovanile che sta raggiungendo livelli disperati. Tutti loro promettono tagli selvaggi alla spesa pubblica che creerà soltanto più disoccupazione e tagli enormi al finanziamento per l'istruzione". Il cuore della questione, attorno al quale ruotano affannosamente i politicanti borghesi all'interno del parlamento al fine di arginare le ripercussioni catastrofiche dell'attuale crisi economica, è rappresentato dalle contraddizioni insite al sistema capitalistico stesso e le sue nefaste conseguenze che si abbattono sulle masse popolari tutte ugualmente colpite senza alcuna discriminazione tra studentesse, studenti, operaie, operai, lavoratrici e lavoratori del settore pubblico. Come si leggeva nel commento de "Il Bolscevico" n. 29 del 28 luglio scorso, "Gli Stati borghesi in balia della finanza internazionale", quello che emerge sempre più in maniera lampante è il ruolo assolutamente preponderante e determinante di una centrale finanziaria internazionale in grado di condizionare le economie dei singoli Stati. L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, è un sistema parassitario tutto improntato al raggiungimento del massimo profitto; non tiene conto delle necessità delle masse popolari, piuttosto le schiaccia e costringe a pagare le conseguenze degli sporchi giochi di potere della grande finanza internazionale. L'Organizzazione di Aberdeen del PMLI esprime piena solidarietà alle masse popolari scozzesi così pesantemente colpite dalla crisi finanziaria mondiale del capitalismo.