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Consiglio Nazionale del Notariato
Studio n. 3-2024/B
I DUBBI RAPPORTI TRA
L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE,
IL DOLO EVENTUALE E L’OBBLIGO DI RICEVERE ATTI NOTARILI
di Marco Krogh
(Approvato dalla Commissione Antiriciclaggio il 14 marzo 2024)
(Approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato 22 marzo 2024)
ABSTRACT
L’astratta possibilità che l’omessa segnalazione sia un fatto che possa costituire elemento oggettivo
di un reato è espressamente prevista dall’art. 58 del decreto antiriciclaggio. Questa ipotesi
ricorrerà quando sia provata nell’autore dell’omissione l’esistenza dell’elemento psicologico del
dolo, anche nella sua forma più attenuata del dolo eventuale. Tuttavia, questa ipotesi, alla luce dei
principi affermati dalle sezioni unite penali della Cassazione ricorrerà esclusivamente quando sia
data prova non solo della certezza o della ragionevole certezza della conoscenza di tutti gli
elementi costituivi del reato, ma anche della volontà, da parte dell’autore dell’omessa segnalazione
della volontà di realizzare l’evento delittuoso. Volontà che non potrà essere desunta dalla mera
rappresentazione dei fatti che costituiscono la fattispecie criminosa, ma dovrà essere provata in
modo positivo attraverso l’utilizzo dei criteri indicati dalle sezioni unite della Cassazione per
ricostruire la precisa volontà diretta alla commissione del reato ovvero a concorrere nella
commissione del reato. L’art. 43 del cod. pen. impone di individuare e provare all’interno
dell’elemento psicologico del dolo non solo l’aspetto intellettivo della conoscenza e
rappresentazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, ma anche l’aspetto
volitivo della volontà di commettere l’azione criminosa o di realizzare l’evento criminoso. La mera
accettazione del rischio quale elemento caratterizzante il dolo eventuale, di manualistica memoria,
è di per sé insufficiente a descrivere ed individuare gli elementi minimi necessari ad integrare
l’elemento psicologico nella forma del dolo eventuale.
Le sezioni unite della Cassazione invitano al massimo rigore nella ricostruzione dell’elemento
psicologico in tutti i casi in cui l’astratta configurabilità di un’ipotesi delittuosa si realizza
all’interno dello svolgimento di attività lecite e nel caso del notaio, all’interno di un’attività che il
professionista non può rifiutarsi di prestare perché obbligato dalla legge professionale (art. 27
della legge notarile) e come ribadito dall’art. 42 del decreto antiriciclaggio che impone in questo
caso un’espressa deroga all’obbligo di astensione.
Peraltro l’errata equivalenza, anche per eccesso, omessa SOS = dolo eventuale rischia di frustrare
le specifiche finalità delle Direttive comunitarie e della normativa di prevenzione e contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e creare danni al sistema con l’inoltro di SOS
2
prudenziali e “difensive” in controtendenza con gli obiettivi UIF che sollecitano compilazione ed
inoltro di SOS non seriali, ma accurate e mirate a rendere efficiente il sistema.
Sommario
1. Considerazioni preliminari ed inquadramento del problema...........................................................2
2. Le nozioni di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio. La nozione
penale e la nozione amministrativa..................................................................................................5
2.1 L’autoriciclaggio ed i reati tributari...........................................................................................7
2.2 La nozione amministrativa di riciclaggio...................................................................................9
3. Il dolo eventuale. La teoria cognitiva, la teoria volitiva, la ricostruzione del dolo eventuale
nella sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione ............................................................10
4. Il concorso apparente di norme..................................................................................................14
4.1 L’omessa segnalazione basata sulla presunta conoscenza di dati ed informazioni non acquisiti
........................................................................................................................................................16
5 La relazione tra segnalazione di operazione sospetta e rapporto all’A.G...................................17
5.1 L’obbligo di ricevere l’atto notarile ed il concorso nel reato...................................................19
5.2 Il rapporto tra AML e rifiuto dell’atto da parte del notaio in un approccio costituzionale–
olistico, nel pensiero del notaio Cesare Licini ..............................................................................20
6. Conclusioni ................................................................................................................................22
* * * * *
1. Considerazioni preliminari ed inquadramento del problema.
Il 1° comma dell’art.58 del d.lgs. 21 novembre 2007 n.231 (decreto antiriciclaggio) dispone: “1.
Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione
di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro.”.
L’incipit contenuto nell’inciso “salvo che il fatto costituisca reato” impone all’interprete più di un
interrogativo e qualche riflessione sulle relazioni tra l’omessa segnalazione, la violazione
amministrativa ed il concorso nel reato. L’incipit del primo comma è ripetuto anche nel secondo
comma che punisce l’omessa segnalazione qualificata come grave, ripetuta o sistematica ovvero
plurima. La precisazione del Legislatore contenuta nell’inciso sembra confermare il principio del ne
bis in idem e della specialità contenuto nell’art.9 della legge 24 novembre1981 n.689 che
espressamente dispone che “Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una
disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che
prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.”. In quest’ottica, il “salvo
che…” contenuto nei primi due commi dell’art.58 poco sembra aggiungere a principi consolidati
nel nostro ordinamento, tuttavia l’indagine riveste un certo interesse in quanto il reato di riciclaggio
è un delitto a forma libera che può essere commesso, in concorso, con qualunque condotta attiva o
anche omissiva purché idonea alla realizzazione dell’evento criminoso. Sotto questo aspetto,
3
l’omessa segnalazione, in via del tutto astratta, può essere un elemento della fattispecie idoneo ad
integrare il concorso nel reato di riciclaggio nella sua più ampia accezione.
Prima di qualunque indagine e riflessione, va chiarito che la violazione amministrativa per omessa
segnalazione e il reato di riciclaggio si distinguono principalmente per l’elemento psicologico
richiesto dal legislatore per l’una e l’altra fattispecie: mentre per integrare la violazione
ammnistrativa è sufficiente la mera negligenza dell’autore nella valutazione dei dati ed informazioni
a sua disposizione, per integrare il delitto di riciclaggio è necessario che l’autore abbia agito con
dolo e, quindi che il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del
delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione
(art.43 cod. pen.). Da un punto di vista fattuale, per integrare la violazione prevista dall’art. 58 del
decreto antiriciclaggio è sufficiente che i dati e le informazioni acquisite dall’autore facciano
emergere motivi di sospetto, una rappresentazione dei fatti che si colloca in un’area dominata dal
dubbio e dall’incertezza in cui i dati a disposizione sono incerti ed equivoci, sebbene meritevoli di
approfondimento, in un’area che precede la cd. “notizia di reato”. Peraltro, va aggiunto che il
combinato disposto degli artt.35 e 58 del decreto antiriciclaggio punisce espressamente con la
violazione amministrativa espressamente il destinatario degli obblighi antiriciclaggio che pur
sapendo che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità,
provengano da attività criminosa ometta di darne comunicazione all’UIF. Sembra, quindi, che per
espressa previsione e scelta del legislatore la mera omissione di segnalazione, anche nella
consapevolezza che siano in corso o che siano state compiute operazione di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo ovvero che i fondi utilizzati provengano da attività delittuose, se non
accompagnata da elementi ulteriori integri la violazione amministrativa e non possa, per il principio
di specialità di cui al richiamato art. 9 della legge 689/81, integrare il concorso nel reato di
riciclaggio (1)
.
Queste considerazioni preliminari sono utili per introdurre l’argomento che merita maggiore
attenzione relativo all’astratta possibilità che un’omessa segnalazione possa integrare per il
destinatario degli obblighi antiriciclaggio il concorso nel reato di riciclaggio (o di autoriciclaggio)
valorizzando quale elemento soggettivo il dolo eventuale dell’autore, da intendersi come astratta
previsione ed accettazione della realizzazione dell’evento criminoso.
L’equazione, così prospettata, omessa segnalazione = dolo eventuale appare approssimativa ed
inaccettabile in assenza di ulteriori elementi idonei a caratterizzare la fattispecie penale, se così
fosse, ci troveremmo, quanto meno, di fronte ad un palese conflitto tra l’art. 35 del decreto
antiriciclaggio che espressamente sanziona chi omette di segnalare l’operazione sospetta pur
sapendo che l’operazione è finalizzata al riciclaggio e la norma penale che punisce chi concorre nel
reato di riciclaggio.
Il principio di specialità tra violazioni amministrative replica il principio di specialità contenuto
nell’art. 15 del codice penale, in caso di concorso apparente tra norme penali ed è stato recepito
dall’art. 50 del CEDU il quale espressamente dispone che nessuno può essere perseguito o
condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una
sentenza penale definitiva conformemente alla legge. Va ricordato che le sanzioni amministrative
(1) Sul punto M. Krogh – A Pesaresi, I dubbi rapporti tra omessa SOS e dolo eventuale, in DB non solo Diritto Bancario,
2024 al link https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/2024/02/2024-Krogh-Pesaresi-Omessa-SOS-e-dolo-
eventuale.pdf. Sulla compatibilità del dolo eventuale con il reato di riciclaggio, cfr. Cass.2° sez. penale 23 ottobre 2018
n.56633 e Cass. 6 dicembre 2023 n.30245, al link Eutekne:
https://www.eutekne.info/Sezioni/Art_961894_per_il_riciclaggio_basta_il_dolo_eventuale.aspx dove si afferma che il
dolo eventuale può integrare il reato di riciclaggio laddove ci sia da parte dell’agente la rappresentazione della
provenienza illecita del denaro. Il principio, come vedremo, va integrato con i criteri dettati dalle sezioni unite della
Cassazione nella sentenza 18 aprile 2014 n.38343 che dettano criteri rigorosi per la ricostruzione dell’elemento
psicologico del dolo eventuale, sia per quanto riguarda la rappresentazione dei fati, sia per quanto riguarda la volontà
dell’evento o dell’azione criminosa.
4
previste dal decreto antiriciclaggio sono per l’Ordinamento UE “sanzioni sostanzialmente penali”
soggette alle stesse regole delle sanzioni penali. Come osservato (2)
, sul punto la Corte di giustizia
ha accolto nel tempo una qualificazione sostanzialistica della natura penale del procedimento e
della sanzione. Ciò significa, in altri termini, che al di là della qualificazione formale di una
determinata sanzione, come operata dal singolo ordinamento nazionale, ciò che rileva ai fini della
delimitazione del campo di applicazione della garanzia di cui si discute è la sua natura sostanziale,
riconducibile in quanto tale al suo carattere afflittivo. Ora, la Corte di giustizia ha avuto modo di
precisare che, ai fini della valutazione della natura penale di procedimenti e sanzioni, dovrebbero
essere tenuti in considerazione tre criteri. Il primo sarebbe quello relativo al modo in cui
l’ordinamento nazionale qualifica sul piano giuridico l’illecito perseguito; il secondo sarebbe
relativo alla natura dell’illecito; il terzo atterrebbe al grado di severità della sanzione alla quale il
soggetto va potenzialmente incontro (3)
.
Partendo da queste premesse, l’area di indagine va circoscritta, in via principale, all’esame delle
seguenti norme:
- agli artt. 35 e 58, che sanzionano la violazione dell’obbligo di segnalazione di operazione
sospetta;
- all’art. 43 del cod. pen., che definisce l’elemento soggettivo nel reato doloso e colposo;
- agli artt. 648 bis, ter e ter1, che puniscono il riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e
l’autoriciclaggio;
- all’art. 9 della legge 689/81, che stabilisce il principio di specialità in caso di concorrenza
apparente tra norme che stabiliscono una sanzione amministrative ed una sanzione penale
per il medesimo fatto;
Come ulteriore osservazione, di ordine sistematico, da tenere presente nell’esame dell’interferenza
dell’area penale con l’area delle violazioni amministrativi in caso di omessa segnalazione è la scelta
compiuta dal legislatore nel regolamentare le altre principali violazioni degli obblighi
antiriciclaggio: la violazione degli obblighi di adeguata verifica e la violazione degli obblighi di
conservazione. Per queste due violazioni il legislatore ha mantenuto distinte le condotte dell’autore
della violazione: in caso di comportamento dolosamente fraudolento (utilizzo e conservazione di
dati falsi) la fattispecie è punita penalmente con la reclusione e la multa (delitto), restando punite
con la sanzione amministrativa le ipotesi residuali, relative all’omessa acquisizione e/o
conservazione di dati ed informazioni. Per l’omessa segnalazione, al contrario, il legislatore non ha
distinto le violazioni commesse intenzionalmente, da punire con una sanzione penale, da quelle
residuali punite con una sanzione amministrativa, ma si è limitato a prevedere, nell’incipit dell’art.
58 che l’omessa segnalazione è un fatto che può comportare l’applicazione di una sanzione
amministrativa ovvero, in presenza degli altri presupposti di legge, il concorso nel reato. L’omessa
segnalazione all’interno di una fattispecie penale richiede, per superare il conflitto apparente di
norme, elementi ulteriori, tipici dell’area penale, rispetto a quelli previsti nell’art. 35 del decreto
antiriciclaggio.
Va osservato che l’art. 35 del decreto antiriciclaggio non prevede una singola fattispecie, ma una
pluralità di condotte punibili con la sanzione amministrativa che possono così sintetizzarsi:
(2) G. Vitale, “La Cassazione ritorna sul rapporto tra doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem. Quale ruolo per la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? in Il Diritto dell’unione Europea, Giappichelli, Fascicolo 1, 2022 al link
https://www.dirittounioneeuropea.eu/Article/Archive/index_html?ida=242&idn=30&idi=-1&idu=-
1#:~:text=Ci%C3%B2%20significa%2C%20in%20buona%20sostanza,ottica%20di%20bilanciamento%20di%20valori
(3) In tal senso, Corte giust. 5 giugno 2012, C-489/10, Bonda, punto 37; Corte giust. 26 febbraio 2013, C-617/10,
Fransson, punto 35
5
1) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sa che siano in corso o che siano state
compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che
comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa;
2) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sospetta che siano in corso o che siano
state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che
comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa;
3) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario ha motivi ragionevoli per sospettare
che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità,
provengano da attività criminosa.
La conoscenza nella fattispecie prevista e punita dall’art. 35, pertanto, quale elemento fattuale della
violazione abbraccia sia il caso in cui sussistono semplici motivi di sospetto sia l’ipotesi in cui il
destinatario più che un sospetto conosca che l’operazione è finalizzata al riciclaggio, al
finanziamento del terrorismo ovvero che i fondi provengano da un’attività criminosa. In queste tre
ipotesi, per espressa volontà del legislatore, l’autore della violazione è soggetto ad una sanzione
ammnistrativa. Laddove, quindi, non emergano elementi ulteriori a caratterizzare la fattispecie il
legislatore, per una precisa scelta di politica legislativa, ha inteso comminare all’autore una
sanzione amministrativa e non penale.
Peraltro, come corollario di questa scelta del legislatore, possiamo ricavare dall’esame della norma
nel suo combinato disposto con l’art. 42 ultimo comma del decreto antiriciclaggio, l’ulteriore
indicazione che anche laddove il destinatario degli obblighi antiriciclaggio sa che siano in corso o
che siano state compiute operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che
comunque i fondi utilizzati provengano da attività criminosa, l'operazione dovrà comunque essere
eseguita laddove sussiste un obbligo di legge di ricevere l'atto. Per i notai, come è noto, l’art.27
della legge notarile (l. 16 febbraio 1913 n.89) impone l’obbligo di ricevere l’atto notarile. In questo
caso, pertanto, è prevista una deroga all’obbligo di astensione e nulla potrà essere contestato al
professionista per aver eseguito la prestazione richiesta, fermo restando l’obbligo di effettuare
tempestivamente la segnalazione di operazione sospetta, che comunque rappresenta un post factum
rispetto all’obbligo di ricevere la prestazione.
2. Le nozioni di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio. La
nozione penale e la nozione amministrativa.
I reati di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio si perfezionano, secondo il
paradigma degli artt. 648 bis, ter e ter1:
 laddove si sostituisca o trasferisca denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non
colposo; ovvero si compiano in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare
l'identificazione della loro provenienza delittuosa;
 laddove si impieghino in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità
provenienti da delitto;
 laddove, avendo commesso o concorso a commettere un delitto, si impieghino,
sostituiscano, trasferiscano, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o
speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in
modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, fatte
salve le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera
utilizzazione o al godimento personale.
6
Il reato di riciclaggio previsto dall’art. 648 bis cod. pen., così come quello di reimpiego di proventi
illeciti previsto dall’art. 648 ter cod. pen., sono reati plurioffensivi: sono reati contro il patrimonio,
l’amministrazione della giustizia, contro l’ordine pubblico e contro l’ordine economico. Sono reati
istantanei di mera condotta e di pericolo concreto. Sono reati a forma libera per i quali l’elemento
psicologico richiesto il dolo generico.
Soffermiamoci sui due elementi distintivi dei suddetti reati: la condotta e l’elemento psicologico.
Per quanto riguarda la condotta, abbiamo detto che il riciclaggio ed il reimpiego di proventi illeciti
sono reati a forma libera, pertanto, possono configurarsi sia attraverso condotte attive che attraverso
condotte omissive. Per quanto riguarda l’elemento psicologico, si tratta di reati che richiedono il
dolo generico. Il dolo generico potrà manifestarsi in tutte le sue forme e, quindi come dolo
intenzionale, come dolo diretto ovvero nella sua forma più lieve definita dolo eventuale. Va
ricordato, inoltre, che a monte dei reati di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi
illeciti c’è un reato presupposto (delitto) quale elemento fondamentale dei reati stessi e, pertanto,
l’elemento psicologico dovrà riguardare anche la conoscenza da parte dell’autore del reato di
riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti del delitto presupposto,
rappresentazione che deve essere accompagnata dalla volontà di sostituire o trasferire il denaro, i
beni o le altre utilità provenienti dal delitto stesso ovvero di impiegarle in attività economiche o
finanziarie. In buona sostanza l’autore del reato, secondo il paradigma previsto dall’art. 43 del cod.
pen. deve sapere e volere: “il risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere
l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od
omissione”.
Va ricordato che le sezioni unite della Cassazione (sent.30 marzo 2010 n.12433) in tema di dolo
eventuale nel reato di ricettazione (art.648 c.p.) hanno affermato il seguente principio utilizzabile
anche per i reati di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti per identità di
ratio: “perché possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto,
rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di
noncuranza o di mero disinteresse; è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco,
che impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere
una ricettazione, e il non agire, perciò, richiamando un criterio elaborato in dottrina per descrivere
il dolo eventuale, può ragionevolmente concludersi che questo rispetto alla ricettazione è
ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della
cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza (4)
.
In buona sostanza, l’elemento psicologico richiesto per il perfezionamento dei delitti di riciclaggio,
di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti è il dolo generico che deve investire, anche
nella sua forma più lieve, la conoscenza, e non il mero sospetto, che i beni, il danaro o le altre utilità
provengano da un delitto e la volontà di dissimulare la provenienza dei beni, del denaro o delle altre
utilità. Come vedremo, la mera rappresentazione non è elemento sufficiente ad integrare il dolo,
nemmeno nella sua forma più lieve.
È espressamente prevista una clausola di riserva nell’incipit degli artt. 648-bis e 648-ter (“fuori dei
casi di concorso nel reato”) con la quale si esclude che i suddetti reati possano essere commessi da
chi si è reso autore, anche a titolo di concorso, del reato presupposto.
La clausola di riserva di cui si è appena fatto cenno, rendeva lecito o comunque fuori dall’area
penale l’utilizzo da parte dell’autore del reato dei proventi del reato stesso; si riteneva che l’utilizzo
dei proventi illeciti fosse una conseguenza diretta del reato commesso e rientrasse nella pena
(4) In questo senso cfr. ex multis: Cass. pen., Sez. II, 17 giugno 2011, dep 1 luglio 2011, n. 25960.
7
prevista per il reato stesso. La grande attenzione degli ultimi vent’anni sui rischi provocati
dall’immissione di somme di provenienza illecita sempre più rilevanti in circuiti legali
dell’economia alterando il mercato e la libera concorrenza ha imposto al nostro legislatore di
introdurre accanto al reato di riciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti anche il reato di
autoriciclaggio, già sanzionato negli altri Paesi dell’UE. Il reato di autoriciclaggio è stato introdotto
dall’art. 3 comma 3 della legge 186/2014, con decorrenza dal 1° gennaio 2015 e trova la sua
disciplina giuridica nell’articolo 648 ter 1 c.p. che dispone:
“Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a
chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce,
trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le
altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente
l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro
12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo
punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità
provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-
legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e
successive modificazioni.
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le
altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o
finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le
condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e
l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”
2.1 L’autoriciclaggio ed i reati tributari
L’introduzione del reato di autoriciclaggio si inserisce all’interno di una precisa scelta di politica
legislativa tendente a combattere in modo efficace ed efficiente tutte le forme di impego di denaro,
beni ed altre utilità di provenienza illecita, tenuto conto dei gravi danni che il fenomeno provoca
non solo al danneggiato del reato presupposto ed all’amministrazione della giustizia, ma anche agli
enormi danni al mondo finanziario ed economico provocati dall’alterazione delle regole della
concorrenza e del mercato, attraverso l’immissione di capitali di provenienza illecita in circuiti
legali.
Le fattispecie che verosimilmente sono maggiormente coinvolte dalla nuova figura di reato
riguardano quelle rientranti nell’area dei reati tributari nella forma del reimpiego in attività
economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, dei proventi derivanti dall’evasione fiscale.
Sebbene il reato di autoriciclaggio sia un “reato proprio” sarà configurabile il concorso da parte di
terzi che abbiano fornito un significativo contributo materiale o morale penalmente rilevante alla
realizzazione dell’attività criminosa con la consapevolezza e la volontà di concorrere nell’azione
criminosa (5
).
(5
) Sul tema dei rapporti tra reati tributari ed attività notarile, cfr. R. Cordeiro Guerra Reati fiscali e normativa
antiriciclaggio: i confini dell’obbligo di segnalazione a carico dei notai. Studio n. 261-2013/B, approvato dal Consiglio
Nazionale del Notariato il 19 aprile 2013; M. Krogh, Atti simulati o fraudolenti finalizzati alla sottrazione di beni alla
riscossione di imposte, Studio civilistico n. 149-2012/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio
Nazionale del Notariato in data 15 marzo 2012.
8
Le condotte, anche per il reato di autoriciclaggio, sono punibili laddove sussista il dolo generico.
Per il perfezionamento del reato è necessaria non solo un’attività dissimulatoria, ma anche che la
stessa sia idonea ad ostacolare concretamente la provenienza delittuosa da del denaro, dei beni o
delle altre utilità di provenienza illecita. Inoltre, il 4° comma dell’art. 648.ter1 cod. pen., paletta
ulteriormente i confini dell’attività criminosa precisando, come causa di esclusione della
punibilità, la mera utilizzazione o il godimento personale dei proventi illeciti. Consapevolezza e
volontà dovranno riguardare anche questi ulteriori elementi essenziali per il perfezionamento del
reato.
Merita qualche ulteriore osservazione il collegamento tra l’evasione fiscale ed il riciclaggio,
considerato che, in molte ipotesi, il denaro utilizzato da chi si è sottratto al pagamento delle imposte
non può considerarsi “generato” dal reato tributario quanto, piuttosto, sottratto alla imposizione
fiscale pur essendo proveniente da un’attività lecita. In buona sostanza, se è vero che il reato
tributario può essere presupposto dell’autoriciclaggio, in concreto, le fattispecie in cui ciò può
manifestarsi appaiono sfuggenti soprattutto perché, di fatto, alcune fattispecie previste come reati
tributari non sembrano idonee a mutare la provenienza del denaro o della ricchezza oggetto di
evasione fiscale da un’area di liceità ad un’area di illiceità. Le somme di denaro (o altro bene) non
dichiarate al fisco pur integrando, in presenza di determinati presupposti, reato tributario, non si
trasformerebbero, tout court per la commissione del reato tributario stesso, in “provento di attività
illecita” (ovviamente se frutto di attività imprenditoriale o professionale lecita e non provento di
reato) e, quindi, non costituirebbero presupposto idoneo per integrare il reato di autoriciclaggio ex
art. 648 ter1 c.p. Il profitto illecito è riferibile all'imposta evasa, ma non alla ricchezza non
dichiarata: il danno erariale (bene protetto) non coinciderebbe con la ricchezza non dichiarata ma
con l'imposta evasa. Peraltro, nella struttura di quasi tutti reati tributari il momento perfezionativo
del reato coincide non con la commissione del fatto illecito, ma con la presentazione della
dichiarazione annuale. Di conseguenza, la rappresentazione da parte di un terzo della provenienza
sarà particolarmente difficile e non potrà che fermarsi, nella migliore delle ipotesi, alle soglie del
mero sospetto. Un’interpretazione eccessivamente estesa o addirittura analogica del termine
"provenienza" utilizzato dal legislatore, tale da ricomprendere qualunque bene che in qualche modo
abbia riferimento con il reato tributario, rischierebbe di essere contrastante con il principio di
legalità che invita, al contrario, ad interpretazioni particolarmente rigorose soprattutto all’interno di
fattispecie la cui violazione è punita con sanzioni penali o amministrative (sostanzialmente penali,
secondo la definizione UE). Peraltro, un'interpretazione più articolata delle fattispecie è sicuramente
apprezzabile anche sotto l’aspetto delle oggettive difficoltà ad intercettare operazioni
economiche tendenti a riciclare non denaro (o altri beni) di provenienza illecita, ma denaro non
dichiarato al fisco, in assenza di qualunque mezzo investigativo a disposizione del professionista
diretto a controllare contabilità, bilanci e dichiarazioni fiscali del cliente. Sul punto è interessante
riportare quanto affermato dall’ABI nella circolare serie legale n.2 del 5 febbraio 2009, nota 9
secondo cui “dalla categoria dei delitti-presupposto devono essere esclusi i delitti in materia di
imposte dirette e sul valore aggiunto, che non producono ricchezze, mentre in detta categoria
devono essere ricompresi i delitti di contrabbando doganale, che invece producono ricchezza, la
quale proviene quindi da essi” (6)
.
Peraltro, giova sottolineare che i reati tributari si consumano, per lo più, solo in presenza del
superamento di determinate soglie d'importo, ovvero in presenza di altri presupposti, accertabili
esclusivamente attraverso l'analisi di documenti contabili e dichiarazioni che il notaio non può
acquisire in pubblici registri e che, di regola, non rientrano tra i documenti che il notaio acquisisce
in ragione della prestazione da eseguire (art.2 del decreto antiriciclaggio). Il decreto antiriciclaggio,
(6) G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2005, 248.
9
giova sottolineare, obbliga i destinatari ad acquisire dati ed informazioni (e non documentazione)
sulla situazione economico-patrimoniale del cliente solo in caso di un rischio elevato che si traduce
nell’obbligo di adeguata verifica rafforzata. I dati e le informazioni forniti dal cliente andranno
verificati, secondo quanto disposto dall’art. 19 del decreto antiriciclaggio, “solo laddove, in
relazione ad essi, sussistano dubbi, incertezze o incongruenze.”
I reati tributari possono, in linea astratta, costituire presupposto ai fini di un eventuale segnalazione
di condotte riciclatorie; tuttavia, in concreto, è necessario, ai fini della segnalazione dell’operazione
come sospetta, verificare la oggettiva sussistenza del presupposto della provenienza delittuosa del
denaro (o altro bene) utilizzato e la sussistenza degli altri presupposti che integrano la fattispecie
criminosa (ad esempio, nelle ipotesi di reato di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.Lgs. n. 74/00 la
sussistenza delle soglie significative che integrano il reato e la sussistenza del dolo specifico),
tenendo conto che il più delle volte, come già accennato, i reati tributari si consumano solo al
momento della presentazione della dichiarazione annuale (7)
.
Il concorso nel reato di autoriciclaggio da parte di un terzo estraneo al reato presupposto, sotto il
profilo psicologico, presuppone non solo la conoscenza da parte del terzo del reato presupposto
stesso nei suoi elementi essenziali, ma anche la conoscenza degli altri elementi previsti dall’art.
648-ter1, in senso positivo, quali l’impiego dei proventi illeciti in attività economiche, finanziarie,
imprenditoriali o speculative ed in senso negativo, nel senso di escludere che l’impiego abbia
finalità di godimento personale accompagnata dalla volontà, da ricostruire secondo le rigorose
indicazioni tracciate dalle sezioni unite della Cassazione penale con la sentenza del 18 settembre
2014 n.38343 che esamineremo nel seguito del presente scritto. La Cassazione (8
), peraltro, sulla
partecipazione dell’extraneus nel reato di autoriciclaggio ha ritenuto che il terzo risponda non a
titolo di concorso, ma per un diverso titolo di reato che potrà essere il riciclaggio punito dall’art.
648 bis cod. pen. o il reimpiego di proventi illeciti punito dall’art. 648 ter cod. pen.:“La
diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti non deve
meravigliare, non costituendo una novità per il sistema penale vigente, che ricorre a questa
soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla dottrina "a
soggettività ristretta". Ad esempio, con riferimento al delitto di evasione (art. 385 c.p.), costituente,
come l'autoriciclaggio, reato proprio, il concorso di terzi estranei non detenuti è autonomamente
incriminato a titolo di procurata evasione, ex art. 386 c.p., valorizzando, come osservato dalla
dottrina, "il diverso giudizio di colpevolezza che investe la condotta dell'intraneo e dell'estraneo
(l'istintiva tendenza alla libertà incide infatti in chiave di attenuazione sulla rimproverabilità
soggettiva del recluso, rispetto a chi non si trovi ristretto in carcere".
2.2 La nozione amministrativa di riciclaggio
Le tre fattispecie di cui si è fatto fin qui cenno coprono l’area che possiamo definire “penale” del
riciclaggio e dell’autoriciclaggio; il d.lgs. 231/2007 definisce all’art. 2 la nozione di riciclaggio
nella sua dimensione di prevenzione amministrativa, includendo anche fattispecie che, da un punto
di vista penale, non sono riconducibili al riciclaggio in senso stretto. Ai sensi dell’art. 2 del d.lgs.
231/2007 s'intende per riciclaggio:
(7) Cfr. M. Krogh C. Licini, La normativa antiriciclaggio e antiterrorismo per i professionisti, in Letture Notarili, Collana
diretta da Giancarlo Laurini, IPSOA, 2009, pag. 51 e segg. Sulla compatibilità tra dolo specifico e dolo eventuale cfr.:
Cass, sez. V penale, 29 dicembre 2022 n.49427. Sul particolare rigore richiesto nell’accertamento dell’elemento
soggettivo del reato di omessa dichiarazione, ribadendo, expressis verbis, che la fattispecie de qua non possa essere
desunta dal mero fatto materiale dell’inadempimento dell’obbligo dichiarativo ovvero dalla culpa in vigilando del
professionista, cfr. Cass., IV sez. penale, 14 settembre 2022 n.39482.
(8) Cfr. Cass. Pen. 18 aprile 2018 n.17235 al link di Altalex, Wolters e Kluver
https://www.altalex.com/massimario/cassazione-penale/2018/17235/reati-contro-l-ordine-pubblico-in-genere-
riciclaggio-autoriciclaggio-soggetto-non
10
“a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono
da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o
dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a
sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione,
movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni
provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
c)l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro
ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
d)la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere a), b) e c) l'associazione per commettere tale
atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il
fatto di agevolarne l'esecuzione.
Il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono
svolte fuori dai confini nazionali. La conoscenza, l'intenzione o la finalità, che debbono costituire
un elemento delle azioni di cui al comma 4 possono essere dedotte da circostanze di fatto
obiettive.”.
Il disallineamento tra la nozione penale e la nozione amministrativa di riciclaggio è dovuto alla
necessità di omogeneizzare la nozione amministrativa di riciclaggio con la definizione di riciclaggio
dettata dal GAFI nelle sue Raccomandazioni agli Stati membri. La lotta al riciclaggio è una lotta
che per essere efficiente deve essere globale e richiede lo sforzo congiunto di tutti gli Stati membri i
quali dovranno agire utilizzando non solo i medesimi strumenti di lotta al riciclaggio, ma anche
condividendo le medesime definizioni. Aree territoriali grigie o con definizioni non univoche
nell’era della globalizzazione e del mondo virtuale rischiano di rendere inefficiente l’intero sistema.
Il disallineamento all’interno del nostro sistema aveva maggior rilevanza, prima dell’introduzione
del reato di autoriciclaggio la cui nozione era già ricompresa nella definizione amministrativa di
riciclaggio. Attualmente all’interno della nozione amministrativa di riciclaggio sono ricomprese, nel
nostro Ordinamento, tutte fattispecie che hanno anche rilevanza penale.
Ciò che differenzia in modo netto l’area penale e l’area amministrativa del riciclaggio è l’elemento
psicologico di chi commette la violazione. I delitti di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e
di autoriciclaggio presuppongono nell’autore, così come nel concorrente nel reato, il dolo generico
che potrà manifestarsi anche nella più lieve forma del dolo eventuale. Per le violazioni
amministrative, invece, sarà indifferente ricondurre la condotta dell’autore al dolo o alla semplice
colpa, l’unico limite sarà dato dalla buona fede e dall’errore di fatto. Per quanto riguarda il notaio
quale destinatario degli obblighi antiriciclaggio, va detto che la prestazione notarile, in linea
astratta, può essere, da un punto di vista fattuale, un elemento causale idoneo alla realizzazione
della fattispecie criminosa da parte del cliente e, quindi, l’interrogativo che dobbiamo porci e quale
responsabilità può essere imputata al notaio che svolga la prestazione professionale che si dimostri
strumentale rispetto alla realizzazione del reato di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti o di
autoriciclaggio e, di conseguenza, se, in quali casi ed in presenza di quali presupposti il notaio possa
essere ritenuto concorrente nel relativo reato commesso dal cliente, tenuto conto che il notaio non
può rifiutare il proprio ministero, ai sensi dell’art. 27 della legge notarile e non può astenersi dalla
prestazione, ai sensi dell’art.42 del decreto antiriciclaggio.
3. Il dolo eventuale. La teoria cognitiva, la teoria volitiva, la ricostruzione del dolo
eventuale nella sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione
11
L’ipotesi che merita particolare attenzione ed approfondimento riguarda l’elemento psicologico che
accompagna l’omessa segnalazione di un’operazione sospetta sotto il profilo della ricorrenza o
meno del dolo eventuale nell’autore dell’omessa segnalazione. L’ipotesi astratta merita
approfondimento nella misura in cui la diversità dell’elemento psicologico che accompagna la
condotta dell’autore può spostare la fattispecie dall’area delle violazioni amministrative all’area
penale. Va aggiunto che oltre l’elemento psicologico va approfondito anche il tema della
concorrenza tra norme per identità dell’elemento fattuale (l’omessa segnalazione) presente in
entrambe le fattispecie. Invero, escluso, per espressa previsione del legislatore, il cumulo tra
sanzione amministrativa e sanzione penale, è necessario verificare se sia sufficiente che all’omessa
segnalazione si accompagni l’elemento psicologico del dolo, anche nella sua forma più lieve del
dolo eventuale, ovvero se l’attrazione della fattispecie nell’area penale richieda qualche elemento
ulteriore e soprattutto cosa si intenda per partecipazione dolosa nel reato di riciclaggio, di reimpiego
di proventi illeciti e di autoriciclaggio. Le risposte agli interrogativi posti presuppongono un esame
dei principi che regolano il dolo eventuale e dei principi che risolvono i conflitti in caso di concorso
apparente tra norme che dettano disposizione relative alla medesima fattispecie.
Per quanto riguarda il dolo eventuale, nella manualistica tradizionale (9)
troviamo che l’elemento
psicologico intenzionale viene fatto coincidere l’accettazione del rischio che si verifichi l’evento
delittuoso da parte dell’autore del reato e viene distinto dalla colpa cosciente (che rappresenta il più
alto grado di negligenza) in quanto, in questo secondo caso, l’agente ha la fiducia o la speranza che
l’evento non si verifichi, in buona sostanza, in un caso l’autore accetta il rischio della verificazione
dell’evento e nell’altro non prende in considerazione questa eventualità perché fiducioso che
l’evento stesso non si verifichi. La differenza tra l’uno e l’altro elemento psicologico è radicata,
pertanto, in uno stato d’animo interiore, più o meno imperscrutabile, con una connotazione
negativa: il dolo è escluso, anche nella sua forma più lieve, se l’evento pur possibile, pur
rappresentato nei suoi elementi nella mente dell’autore (fase intellettiva), non è voluto (fase
volitiva).
La teoria dell’accettazione del rischio offre solo apparentemente un criterio distintivo tra l’uno e
l’altro stato soggettivo rischiando, in concreto, di rendere estremamente labile il confine tra
principio di legalità, che impone criteri oggettivi di individuazione tra ciò che è lecito e ciò che è
illecito, e soggettivizzazione del diritto affidata ad una discrezionale valutazione probabilistica delle
intenzioni del soggetto da parte del giudice.
In dottrina ed in giurisprudenza si sono evidenziati i limiti delle varie teorie in tema di dolo
eventuale e della linea di demarcazione con la colpa cosciente valorizzando, secondo alcuni,
l’elemento rappresentativo della fattispecie ponendo l’accento sulla mera consapevolezza
“statistica” della possibilità che l’evento si verifichi, secondo un calcolo probabilistico (teoria della
rappresentazione), secondo altri valorizzando l’elemento volitivo richiedendo non solo un’astratta
rappresentazione della possibilità che l’evento delittuoso si verifichi, ma una volontà, ricostruita
attraverso elementi oggettivi, che l’evento sia ascrivibile ad una precisa scelta intenzionale
dell’autore (teoria della volizione).
Va detto che l’art.43 del cod. pen. espressamente richiede, per poter ascrivere una condotta all’area
del dolo, sia l’elemento intellettivo della conoscenza e rappresentazione della fattispecie, sia
(9) Sulle teorie sul dolo eventuale, cfr.: A. Cappellini, Il dolo eventuale e i suoi indicatori: le sezioni unite Thyssen e il loro
impatto sulla giurisprudenza successiva, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, al seguente link
https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/3962-il-dolo-eventuale-e-i-suoi-indicatori-le-sezioni-unite-thyssen-e-il-
loro-impatto-sulla-giurispruden
12
l’elemento volitivo, legato all’intenzione ci compiere l’azione criminosa (nella forma anche
dell’omissione di una condotta dovuta) ovvero di realizzare l’evento criminoso. Nessun dubbio che,
nella ricostruzione della fattispecie delittuosa entrambi gli elementi, coscienza e volontà, dovranno
coesistere per poter ritenere sussistente l’elemento psicologico del dolo. La differenza tra le due
teorie, a ben vedere, è da ascriversi alle modalità di ricostruzione dell’elemento volitivo nella
condotta dell’agente: in un caso, dalla rappresentazione che un evento abbia la possibilità di
verificarsi si fa discendere la volontà di accettare il rischio che quell’evento si verifichi, a meno che
l’agente pur rappresentandosi la possibilità che quell’evento si verifichi ha fiducia, speranza o
certezza che quell’evento non si verificherà; nell’altro caso, per ascrivere la condotta al dolo, anche
eventuale, dovrà ricostruirsi in concreto non solo l’esistenza nell’agente della rappresentazione
dell’evento ma anche l’intenzione di voler cagionare quell’evento.
Una formula, utilizzata in dottrina ed in giurisprudenza per distinguere, in concreto, l’elemento
psicologico della colpa, nella sua forma più grave di colpa cosciente, dal dolo, nella sua forma più
lieve di dolo eventuale è la “formula di Frank”, così denominata in omaggio all’illustre
giuspenalista tedesco, secondo cui per verificare, nel caso concreto, se l’autore abbia agito con dolo
o con colpa ci si deve porre l’interrogativo se l’agente avrebbe ugualmente osservato la condotta
incriminata nel caso in cui avesse avuto la certezza del verificarsi dell’evento. In caso di risposta
positiva la condotta sarebbe ascrivibile al dolo, in caso di risposta negativa, alla colpa cosciente (cd.
controfattuale alla stregua della formula di Frank) (10)
.
Tracce di entrambe le teorie si trovano in dottrina e giurisprudenza e sono state ricostruite,
unitamente alla cd. formula di Frank, dalle sezioni unite della Cassazione penale nella sentenza
relativa alla nota vicenda della Thyssenkrupp (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 24/4/2014 -
data udienza pubblica – 18/9/2014 - data deposito, n. 38343/14), in modo estremamente
approfondito e puntuale. La sentenza si dilunga ed esamina, funditus, le teorie sul dolo eventuale,
presenti in dottrina ed in giurisprudenza, per giungere alla conclusione che la ricostruzione del dolo
eventuale richiede rigorosi criteri che devono investire sia la fase della conoscenza, della
rappresentazione dei fatti (fase intellettiva) sia la volontà (fase volitiva), tenuto conto che il dolo
eventuale non può che presentarsi, nella quasi totalità dei casi, nella realtà fattuale se non in modo
sfuggente e relegato nella sfera più interiore della psiche umana. Osservano le Sezioni Unite della
Cassazione che “la "previsione negativa" circa la possibilità che l'evento si realizzi, che costituisce
l'unico criterio idoneo a definire rigorosamente il meccanismo psicologico della colpa cosciente,
rappresenta il punto debole della costruzione. Infatti il codice esige la previsione dell'evento e non
la previsione negativa”. “Il concetto di prova negativa è equivoco e sistematicamente inaccettabile.
Sotto il profilo dell'oggetto, la previsione di un non evento finisce col postulare come oggetto del
nesso psichico un requisito che non fa parte del fatto tipico: del fatto tipico fa parte l'evento, non la
sua negazione. Si parla di un'azione compiuta nonostante la previsione dell'evento. Ciò significa
che detta previsione deve sussistere al momento della condotta, non deve essere stata sostituita da
una non-previsione o contro-previsione, come quella implicita nella rimozione del dubbio.
L'avverbio "nonostante" sottolinea efficacemente il permanere di un fattore-ostacolo che dovrebbe
frapporsi alla condotta.”.
Il dato fondamentale che emerge nella ricostruzione del dolo eventuale da parte delle sezioni unite
della Cassazione è l’affermazione che la mera rappresentazione, intesa come conoscenza dei fatti,
non implica necessariamente volontà dell’evento ed allo stesso tempo la volontà dell’evento, per
essere ascritta al dolo, deve necessariamente presupporre la conoscenza e l’esatta rappresentazione
di tutti gli elementi fondamentali della fattispecie criminosa. Coscienza e volontà, sapere e volere
(10) A. Marinangeli L’elemento psicologico del dolo eventuale e della colpa cosciente nei contesti a rischio di base
consentito, in Diritto.it , 2020, al link https://www.diritto.it/lelemento-psicologico-del-dolo-eventuale-e-della-colpa-
cosciente-nei-contesti-a-rischio-di-base-consentito/
13
hanno la medesima rilevanza all’interno dell’art. 43 del cod. pen. ed entrambi sono essenziali per
ascrivere una condotta all’area del dolo o della colpa. Esemplificazioni assiomatiche che giungono
alla conclusione che laddove ci sia rappresentazione dei fatti necessariamente debba esserci anche
volontà dell’evento legata ad una presunta accettazione del rischio lascerebbe spazi di
discrezionalità nell’applicazione della norma, trascurando, ad esempio che anche nella colpa è
espressamente previsto che l’agente possa aver previsto nonostante la previsione dell’evento (art. 61
n.3 cod. pen.). Non possono che condividersi le conclusioni a cui giungono le sezioni unite della
Cassazione laddove affermano che “va escluso che un'imputazione dolosa possa fondarsi su
presupposti psicologici concernenti il fatto tipico e in particolare l'evento, i quali in realtà si
riducano alla dimensione rappresentativa, con un'abrogazione surrettizia del riferimento cardine
alla volontà. Senza riferimento al ruolo del volere, il dolo si trasforma in una categoria puramente
normativa, il cui confine con la colpa viene a dipendere soltanto dalla discrezionalità tipica delle
valutazioni normative”.
D’altronde, un’applicazione estensiva del concetto di dolo eventuale rischierebbe di rendere
estremamente incerto l’agire umano all’interno delle normali attività lecite, professionali,
imprenditoriali o della vita comune. Se bastasse una semplice rappresentazione dei fatti,
accompagnata dalla presunzione assiomatica che chi si è rappresentato una fattispecie, o aveva la
possibilità di rappresentarsi una fattispecie, ne ha di conseguenza anche accettato tutti i rischi
conseguenti, si rischierebbe di trasformare la responsabilità per dolo in una sorta di responsabilità
oggettiva, principalmente in quei settori governati da un’elevata complessità normativa. L’esistenza
o meno dell’elemento psicologico del dolo rischierebbe di essere confinata ad una dubbia
ricostruzione di un percorso mentale interiore basata su un’arbitraria ed apodittica equivalenza
“poiché sapeva, presumo anche che volesse”. Riportando un altro passaggio significativo delle
sezioni unite della Cassazione:” Ciò che è di decisivo rilievo è che si faccia riferimento ad un reale
atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle prospettive della
propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto, che esso sia rapportato allo
specifico evento lesivo ed implichi ponderata, consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia
a realizzarsi. Lo stesso stato di dubbio irrisolto, conviene ripeterlo, non risolve il problema del dolo
eventuale: indica un indizio, ma è pur sempre necessario dimostrare che lo stato d'incertezza sia
accompagnato dalla già evocata, positiva adesione all'evento; dalla scelta di agire a costo di
ledere l'interesse protetto dalla legge.”
La problematica del dolo eventuale si sposta, pertanto, da un pano di mera astrattezza ad un piano di
ricerca concreta della volontà che laddove non sia accertabile in modo diretto deve essere ricostruita
non sulla base di una presunta e non dimostrata accettazione del rischio ricostruita sulla base della
rappresentazione dei fatti da parte dell’agente, ma utilizzando determinati indicatori che si pongono
come elementi univoci idonei a ricostruire con certezza l’esistenza di una precisa volontà
dell’agente.
Le sezioni unite elencano, in via esemplificativa una serie di indicatori da utilizzare nella
ricostruzione della volontà quali: i) la lontananza dell’osservare una condotta “standard”; ii) la
personalità, la storia e le precedenti esperienze dell’agente; iii) la durata e la ripetizione della
condotta; iv) la condotta successiva al fatto; v) Il fine della condotta, la sua motivazione di fondo; e
la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali, cioè la congruenza del "prezzo" connesso
all'evento non direttamente voluto rispetto al progetto d'azione. Il tema è cruciale, interessa
direttamente il processo in esame e sarà ripreso più avanti; vi) la probabile verificazione
dell’evento; vii) La probabilità di verificazione dell'evento; viii) il contesto lecito o illecito. Una
situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo, mentre un contesto lecito solitamente
mostra un insieme di regole cautelari ed apre la plausibile prospettiva dell'errore commesso da un
agente non disposto ad accettare fino in fondo conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale
14
antagonismo rispetto all'imperativo della legge, tipico del dolo; ix) il controfattuale alla stregua
della formula di Frank.
La lista è esemplificativa, ma sottolinea l’importanza fondamentale di una ricerca di indici precisi,
univoci, certi che devono essere dimostrati nella ricostruzione non solo della rappresentazione dei
fatti nell’autore della condotta, ma anche nella precisa ricostruzione della sua intenzione di volere
l’evento.
Nella stessa linea logica tracciata dalle sezioni unite della cassazione si colloca, come già detto,
anche la pronunzia delle Sezioni Unite in tema di ricettazione (11)
, che nell’economia del presente
scritto è particolarmente conferente perché, la ricettazione rientra nell’ampia nozione
“amministrativa” di riciclaggio come definita nell’art. 2 del d.lgs. 231/2007. La sentenza reca
alcune notazioni e propone una soluzione che trovano la loro radice nelle peculiarità del reato cui si
riferisce: quello di ricettazione in raffronto con la contigua fattispecie di incauto acquisto. In
proposito si considera che il dolo eventuale non forma oggetto di una testuale previsione legislativa:
la sua costruzione è rimessa all'interprete ed è ben possibile che per particolari reati assuma
caratteristiche specifiche. Si è in effetti in un contesto inusuale nella giurisprudenza: non si tratta del
classico reato di evento lesivo, ma di una fattispecie nella quale rileva anche il presupposto della
condotta costituito dalla provenienza della cosa da delitto. La Corte chiarisce che la componente
rappresentativa del dolo deve investire il fatto nel suo complesso, non solo l'evento ma tutti gli
elementi della fattispecie. Inoltre, la peculiarità del contesto normativo, la necessità di una nitida
linea di demarcazione tra le fattispecie induce a ritenere che il dolo eventuale richiede, nel reato di
ricettazione, circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che
la cosa provenga da delitto, sicché un ragionevole convincimento che l'agente ha consapevolmente
accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto
inequivoci, che rendano palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi
ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur
non attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello
del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell'agente della concreta
possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perché possa ravvisarsi il dolo
eventuale non basta un semplice dubbio, ma si richiede una situazione fattuale di significato
inequivoco, che impone all'agente una scelta consapevole tra l'agire, accettando l'eventualità di
commettere una ricettazione, e il non agire.
In estrema sintesi, l’elemento psicologico del dolo eventuale, secondo i principi enunciati dalle
sezioni unite della Cassazione, va ricostruito in termini non di approssimazione ma di certezza della
rappresentazione di tutti gli elementi della fattispecie delittuosa e per quanto riguarda il riciclaggio,
la conoscenza del reato presupposto nei suoi elementi essenziali e di certezza della volontà di
perseguire l’evento delittuoso attraverso una condotta attiva o anche omissiva.
4. Il concorso apparente di norme.
Il secondo aspetto da prendere in considerazione nell’esame delle conseguenze legate ad un’omessa
segnalazione di operazione sospetta riguarda il concorso apparente di norme. Come più volte detto,
il medesimo principio che vige nel diritto penale ed espresso nell’art. 15 del cod. pen. secondo cui:
“Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa
(11) Cass. Sezioni unite penali, n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323
15
materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge
generale, salvo che sia altrimenti stabilito”, vige anche in caso di concorrenza di una norma penale
con una norma che prevede l’applicazione di sanzioni amministrative. Il principio di specialità è di
diretta applicazione del divieto noto come “ne bis in idem”, secondo cui nessuno può essere punito
due volte per lo stesso fatto e, come detto nella parte iniziale del presente scritto, ribadito nell’art.
50 del CEDU applicabile in tutti i casi in cui ci sia concorso tra norme penali e norme
“sostanzialmente” penali, come possono essere definite le sanzioni amministrative in materia di
riciclaggio.
L’incipit del 1° e del 2° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio che sanzione l’omessa
segnalazione di operazioni sospette, come già detto, è “Salvo che il fatto costituisca reato”: il fatto a
cui si riferisce la disposizione è “l’omessa segnalazione di operazione sospetta” e, pertanto, il
legislatore espressamente prevede che questa condotta possa in qualche modo costituire elemento di
una fattispecie punita come reato. Se ciò è vero, e non può essere messo in discussione perché
espressamente previsto, è altrettanto vero che la norma si collega all’art. 35 del decreto
antiriciclaggio che fissa in modo altrettanto chiaro una serie di condotte che costituiscono violazioni
amministrative e non possono, allo stesso tempo, essere punite come delitti. Non sembra che
l’elemento discretivo tra violazione amministrativa e reato possa ascriversi, per quanto fin qui
esposto e per i principi affermati dalle sezioni unite della Cassazione, esclusivamente ad una più o
meno precisa rappresentazione dei fatti che possono essere posti a fondamento di una segnalazione
di operazione sospetta. Le tre fattispecie fissate dall’art. 35 del decreto antiriciclaggio, riportando
quanto già indicato nella parte iniziale del presente scritto, sono:
1. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sa che siano in corso o che siano state
compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che
comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa;
2. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sospetta che siano in corso o che siano
state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che
comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa;
3. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario ha motivi ragionevoli per sospettare
che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità,
provengano da attività criminosa.
La seconda e la terza fattispecie sono difficilmente configurabili come fattispecie che possano far
rientrare la condotta omissiva nell’area del dolo, anche nella forma più attenuata del dolo eventuale,
perché ci troviamo di fronte ad un mero sospetto, ad una rappresentazione della realtà basata su un
grado di incertezza che può sorreggere un’attività di prevenzione amministrativa, qual è l’obbligo di
segnalazione di operazione sospetta, ma che non è connotata da quegli elementi di ragionevole
certezza che possano far ipotizzare che il destinatario degli obblighi antiriciclaggio abbia
intenzionalmente voluto concorrere nella commissione del reato di riciclaggio attraverso un
comportamento omissivo. Mancherebbe nella descrizione delle due fattispecie la certezza o la
ragionevole certezza che il denaro, i beni o le alte utilità utilizzate all’interno della prestazione
provengano dalla commissione di un reato (presupposto) e siano utilizzate allo scopo di
dissimularne la provenienza ovvero nella fattispecie di cui all’art. 648ter1 cod. pen. anche in attività
economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Il mero sospetto, per definizione non è
assimilabile alla certezza o alla ragionevole certezza richiesta dall’art. 43, secondo l’interpretazione
delle sezioni unite della Cassazione, per integrare l’elemento psicologico del dolo, anche nella sua
forma più lieve del dolo eventuale. Resta da esaminare la prima fattispecie contenuta nell’art. 35 del
decreto antiriciclaggio ossia quando il professionista sa che siano in corso o che siano state
compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i
fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa. Mi sembra che
16
questa fattispecie vada esaminata alla luce dei rigorosi principi affermati dalle sezioni unite sia
nell’ultima sentenza del 2014, sopra riportata, così come alla luce delle indicazioni fornite, sempre
dalle sezioni unite della Cassazione, nella sentenza, in tema di ricettazione del 2009, anch’essa
sopra riportata: non è sufficiente, perché la condotta sia considerata dolosa, la mera
rappresentazione, la conoscenza del fatto (nel nostro caso la provenienza delle somme da attività
criminosa), ma è necessario che accanto all’aspetto intellettivo, della conoscenza, ci sia la prova
oggettiva della volontà, attraverso la condotta omissiva, di realizzare l’evento criminoso punito
dalla norma penale. Solo interpretata nei termini così rigorosi può risolversi il conflitto tra norma
amministrativa e norma penale. Il Legislatore, per una precisa sua scelta, ha espressamente previsto
che il destinatario degli obblighi antiriciclaggio che sa della provenienza criminosa dei fondi
utilizzati o che sa che sono in corso o che siano state compiute operazioni di riciclaggio ed omette
di eseguire la segnalazione dell’operazione all’UIF commette una violazione amministrativa, a
meno che non risulta provata attraverso l’esame concreto di indicatori oggettivi anche l’intenzione
di concorrere nel reato. In buona sostanza, l’accettazione del rischio, di manualistica memoria, non
può ricondursi ad una semplice rappresentazione dei fatti ma deve essere accompagnata dalla prova
di una concreta ed individuata volontà di commettere il reato o di concorrere alla commissione del
reato (12
)
4.1 L’omessa segnalazione basata sulla presunta conoscenza di dati ed
informazioni non acquisiti
L’indagine sul dolo eventuale nel caso in esame offre lo spunto anche per un’ulteriore indagine che
riguarda l’elemento soggettivo nella violazione amministrativa per omessa segnalazione.
Come è noto, la violazione amministrativa si perfeziona senza che abbia rilevanza l’elemento
soggettivo e pertanto la sanzione è comminata senza necessità che sia provata la colpa o il dolo
dell’agente (con il limite della buona fede e dell’errore di fatto). Nel caso dell’omessa segnalazione
il legislatore nella indicazione delle tre tipologie di violazione previste dall’art. 35 del decreto
antiriciclaggio indica, quale elemento fondamentale per perfezionare la fattispecie, che l’agente,
sappia, sospetti o abbia motivi ragionevoli di sospettare. L’interrogativo al quale dare una risposta è
se il sapere o il sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di
riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro
entità, provengano da attività criminosa siano elementi che appartengono all’aspetto oggettivo cd.
fattuale della fattispecie e che, pertanto debbano esistere ed essere provati che esistano nella sfera di
conoscenza dell’autore ovvero se possano essere ritenuti elementi che l’autore avrebbe dovuto
conoscere usando l’ordinaria diligenza nello svolgimento dell’adeguata verifica. Aderendo a questa
seconda opzione, la violazione imputabile al destinatario degli obblighi antiriciclaggio
riguarderebbe sia il comportamento di chi pur conoscendo determinati fatti abbia sottovalutato
negligentemente la necessità della segnalazione, sia il comportamento di chi ha omesso la
segnalazione pur in assenza della conoscenza dei dati e delle informazioni che lo avrebbero
obbligato alla segnalazione.
L’omessa adeguata verifica, in altri termini, si potrebbe trasformare in omessa segnalazione di
operazione sospetta allorquando i dati e le informazioni che il destinatario avrebbe potuto acquisire
avrebbero obbligato ad una segnalazione. Questa interpretazione, a mio avviso, è errata perché
confonde un elemento di fatto oggettivo (la conoscenza o il sospetto) che deve esistere per integrare
(12) Troviamo traccia della fondamentale importanza dell’elemento psicologico e della ricerca della volontà dell’evento,
oltre che della mera rappresentazione dei fatti, per poter imputare un fatto illecito, risultante da un atto notarile, a titolo
di concorso al notaio nella sentenza, in tema di lottizzazione abusiva, delle sezioni unite della Cassazione penale in data
3 febbraio 1990, Foro Italiano, Giurisprudenza penale, c.697 e segg. con nota di G.Giorgio
17
la violazione con l’elemento soggettivo che può anche essere presunto ed attiene ad una negligente
valutazione dei dati e delle informazioni acquisite. D’altronde il legislatore non potrebbe trattare
alla stessa stregua il comportamento di chi pur avendo conoscenza di determinati dati ed
informazioni omette una segnalazione rispetto a chi è stato negligente non nella valutazione
dell’eventuale segnalazione, ma in un momento antecedente relativo allo svolgimento dell’adeguata
verifica. Il diverso grado di negligenze è regolato da norme distinte: l’omessa adeguata verifica e
l’omessa segnalazione sono violazioni che prevedono sanzioni diverse, ciascuna proporzionata al
diverso grado di negligenza. Ragionando diversamente il destinatario degli obblighi antiriciclaggio
sarebbe passibile di sanzione per omessa segnalazione pur non sapendo e pur non avendo alcun
elemento per sospettare che la prestazione sia finalizzata ad operazioni di riciclaggio. L’elemento
psicologico per le sanzioni amministrative richiede comunque l’esistenza quanto meno della colpa
e, quindi, nel nostro caso di una carente e negligente valutazione dei dati ed informazioni in suo
possesso.
La portata del 5° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio andrà, pertanto limitata, secondo
un’interpretazione costituzionalmente corretta, ai soli casi in cui l’incolpato abbia intenzionalmente
falsificato o abbia intenzionalmente fatto uso i dati e le informazioni relative al cliente, al titolare
effettivo, all’esecutore, allo scopo o alla natura della prestazione professionale ovvero abbia
intenzionalmente acquisito e/o conservato dati falsi o informazioni non veritiere relative sul cliente,
sul titolare effettivo, sull’esecutore, sullo scopo o sulla natura della prestazione professionale
ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti
dati ed informazioni. In buona sostanza, il 5° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio
presuppone comunque l’esistenza e conoscenza da parte dell’incolpato dei fatti su cui si basa
l’omessa segnalazione (13
).
5 La relazione tra segnalazione di operazione sospetta e rapporto all’A.G.
In ultimo, va sottolineato che per il notaio sussiste una deroga all’obbligo di astensione e, per una
precisa scelta di politica legislativa, è obbligato a ricevere la prestazione anche laddove sappia o
abbia motivo di sospettare che l’operazione sia finalizzata al riciclaggio o che i fondi provengano da
un’attività criminosa, fermo restando l’obbligo tempestivo di segnalazione dell’operazione all’UIF.
In nessun caso, pertanto, al notaio potrà essere contestato il fatto di aver ricevuto un atto che
presenti questi elementi. Peraltro, va ricordato che le norme in materia di segnalazione di operazioni
sospette nulla dispongono in ordine ai rapporti tra l’obbligo di segnalazione previsto nel decreto
legislativo e l’obbligo di rapporto a carico del notaio previsto, in via generale dall’art. 331 c.p.p. (14)
.
(13) Sul punto, anche A. Pesaresi e M. Krogh, L’apparato sanzionatorio: un sistema da migliorare, al link della Biblioteca
online della Fondazione del Notariato https://biblioteca.fondazionenotariato.it/art/apparato-sanzionatorio-un-sistema-
da-migliorare.html , Sul sistema sanzionatorio anche: M. Nastri, Il dito, la luna e l’eterogenesi dei fini: riflessioni sul ruolo
del notaio nell’antiriciclaggio, in Notariato 6/2023, pag. 611 e ss,; G. Laurini, Antiriciclaggio: il ruolo del Notaio tra
responsabilità e sanzioni, in Notariato 1/2024, pag. 5 e segg; G. Antonelli, Le sanzioni Antiriciclaggio, in Notariato
1/2024, pag.24 e segg.; G. Musolino, Antiriciclaggio: Rilievi per un’interpretazione adeguata al professionista, in
Notariato 1/2024, pag. 25 e segg.; C. Licini, L’impegno dell’UNIL per la razionalizzazione della normativa antiriciclaggio a
livello internazionale, in Notariato 1/2024, pag.46 e segg.
(14) Art. 361 c.p. - (Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale) - Il pubblico ufficiale, il quale omette o
ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire, un reato di cui ha
avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire sessantamila (€ 30,99) a un milione
(€ 516,46).
La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto
comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa
18
E’ da ritenere, condividendo le conclusioni cui era giunto lo studio n. 15-2006 del Consiglio
Nazionale del Notariato (15)
, che la condotta del notaio che segnala un’operazione sospetta all’UIC
(oggi all’UIF ovvero agli ordini professionali nei casi consentiti) realizza, al contempo, anche la
condotta prescritta dall’art. 331 c.p.p. e 361 c.p. e che, pertanto si ritiene, con la segnalazione di
operazione sospetta all’UIF, assolto anche l’obbligo di rapporto di cui alle suddette norme.
D’altronde, la normativa antiriciclaggio ed antifinanziamento del terrorismo si pone come
normativa speciale ed in parte derogatoria rispetto alle norme di diritto comune; in particolare, tutte
le disposizioni contenute nel decreto antiriciclaggio, dettate per tutelare la riservatezza e la
segretezza del nome del segnalante, obiettivo prioritario del sistema antiriciclaggio ed
antiterrorismo, sarebbero vanificate in caso di rapporto inoltrato, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., al
pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria.
Sotto altro aspetto, inoltre, la presenza di una pluralità d’indagini condotte da Autorità diverse
potrebbe creare conflitti d’interesse in grado di compromettere il buon esito dell’attività
investigativa. A ciò si aggiunga che la conoscenza della notizia criminis, da parte dell’Autorità
giudiziaria, è assicurata, all’interno del sistema dalla comunicazione della segnalazione da parte
dell’UIF, nei casi previsti dalla legge, alla DNA e al Nucleo speciale di polizia valutaria della
Guardia di finanza.
A conferma di ciò c’è anche il dato letterale dell’art. 40, 1° comma lett. d) del decreto
antiriciclaggio che espressamente prevede: La UIF, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria,
definisce i criteri per l'approfondimento finanziario delle segnalazioni di operazioni sospette ed
espleta le seguenti attività: (…) “d) in attuazione di quanto previsto dall'articolo 8, comma 1,
lettera a) e fermo quanto previsto dall'articolo 331 del codice di procedura penale in ordine
all'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria, trasmette, senza indugio, anche sulla base di
protocolli d'intesa, le segnalazioni di operazioni che presentano un rischio di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo e i risultati delle analisi svolte, incluse le informazioni ad esse
pertinenti relative ai reati presupposto associati nonché le comunicazioni di cui all'articolo 10,
comma 4, e le relative analisi, alla Direzione investigativa antimafia e al Nucleo speciale di polizia
valutaria della Guardia di finanza, che, a loro volta, le trasmettono tempestivamente al
Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo qualora siano attinenti alla criminalità
organizzata o al terrorismo”. Sarà, di conseguenza l’UIF a valutare la necessità e/o l’opportunità di
inoltrare rapporto all’A.G., valutando anche la necessità di salvaguardare la riservatezza del
segnalante che rappresenta una priorità all’interno del sistema della prevenzione del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo.
Ulteriore interrogativo si pone laddove il notaio, nella sua veste di pubblico ufficiale, in
ottemperanza agli obblighi di legge a suo carico abbia inoltrato, ricorrendone i presupposti, rapporto
all’A.G. in relazione ad una prestazione professionale ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio
(art. 331 c.p.p.), ci si chiede se in questo caso venga meno la necessità da parte del notaio di
inoltrare anche all’UIF la segnalazione dell’operazione sospetta e, se in caso di omessa
segnalazione possa essergli contestata la violazione amministrativa. Va osservato che, se è vero che
la segnalazione potrà comunque essere inoltrata all’UIF replicando e duplicando il contenuto del
rapporto, in caso di sua omissione non potrà essere contestata al notaio alcuna violazione per
assenza di lesione del bene giuridico protetto dalla disposizione che obbliga alla segnalazione:
l’inoltro del rapporto assicura che la notitia criminis sia resa disponibile e sottoposta al vaglio delle
Autorità preposte alla prevenzione e repressione dei reati. Sarà compito di chi riceve il rapporto
(15) Cfr. Le sanzioni; il reato di riciclaggio e il concorso del professionista, studio 15 – 2006, approvato dal Consiglio
Nazionale del Notariato il 31 luglio 2006, autore V. D’Ascola.
19
effettuare le indagini e gli approfondimenti sulla base dei compiti che istituzionalmente gli
competono.
5.1 L’obbligo di ricevere l’atto notarile ed il concorso nel reato
Per una precisa scelta di politica legislativa, che ritroviamo codificata anche nel decreto
antiriciclaggio, in un efficiente bilanciamento da una parte, tra gli obblighi, nell’interesse dello
Stato, imposti al cittadino di rivolgersi ad un notaio (o ad un altro pubblico ufficiale autorizzato) per
la stipula di determinati atti, ai fini del loro perfezionamento o della loro piena efficacia e, da altra
parte, l’esercizio dell’autonomia privata, espressione delle libertà fondamentali della persona, non
soggetta a preventive verifiche o nulla osta, se non nei casi espressamente previsti dalla legge, il
legislatore ha previsto che il notaio, così come ogni altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non
possa rifiutare il proprio ministero, salvo il caso che “l‘atto sia espressamente proibito dalla legge”
ovvero che gli “atti” siano “manifestamente contrari all’ordine pubblico ed al buon costume”
(artt.27 e 28 della legge notarile). Da un lato (l’art.27 della legge notarile) non consente al notaio di
rifiutare il proprio ministero e sanziona la violazione di questo obbligo con norme disciplinari e nei
casi più gravi penali (art. 328 cod. pen. - omissione d’atti d’ufficio) e da altro lato (art. 28 della
legge notarile) dispone che il notaio non possa ricevere atti che siano “espressamente proibito dalla
legge” o che siano “manifestamente contrari all’ordine pubblico ed al buon costume (16
).
L’art. 28 della legge notarile appare come un limite eccezionale imposto alle persone alla possibilità
di disporre dei propri diritti ed alla libera esplicazione della propria autonomia privata nelle
relazioni sociali ed economiche. Ci si pone l’interrogativo se ed in che modo sia regolata l’ipotesi in
cui la prestazione notarile sia strumentale alla commissione di un reato. Sicuramente il notaio non
potrà ricevere un atto con causa illecita, nessun dubbio che un contratto di meretricio ovvero un
contratto con cui una delle parti si obblighi a commettere un reato rientri nella previsione dell’art.
28 della legge notarile (17
). Ben diverso è il caso in cui dall’atto non emergono motivi di
ragionevole certezza che l’atto stesso sia strumentale alla commissione di un reato, ma emergano
esclusivamente motivi di sospetto ovvero siano presenti elementi o frammenti di realtà che in
qualche modo meritano indagini ed approfondimenti per ricondurre con ragionevole certezza la
relativa prestazione professionale al di fuori o all’interno dell’area di interesse penale. In tutti questi
casi per il notaio sussiste, se si trova in presenza di una notizia di reato, il mero obbligo di rapporto
all’A.G. e laddove si rientri nell’area della prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo l’obbligo di segnalare l’operazione come sospetta.
L’art. 1345 c.c. dispone che il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo
esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe. Non è sufficiente che una sola delle
parti concluda il contratto per finalità illecite, ma è necessario l’accordo di entrambe le parti e per
giustificare l’irricevibilità dell’atto da parte del notaio, ai sensi dell’art. 28 della legge notarile, i
(16) Per un’ampia disamina dei rapporti tra l’art. 27 e l’art.28 della legge notarile: A. Fusaro, Sui confini della
responsabilità disciplinare notarile: a proposito della clausola compromissoria statutaria delle nullità relative, studio
n.248, approvato dalla Commissione civilistica del Consiglio Nazionale del Notariato in data 28 dicembre 2011.
(17) L’affermazione contenuta nella sentenza della Cass. 29 gennaio 2016 n.1716, in materia disciplinare, secondo cui
la violazione della norma penale conduce, alla violazione dell'articolo 28 della legge notarile, perché l'attività negoziale
compiuta in spregio della norma penale è colpita da nullità derivante dal contrasto con disposizioni di legge imperative è
un’affermazione che dà per accertata la conoscenza da parte del notaio di tutti gli elementi fattuali della fattispecie
penale e la volontà del notaio di concorrere alla commissione del reato stesso, ma il vero punto di criticità riguarda
proprio la ricostruzione degli elementi fattuali e psicologici che non possono ritenersi esistenti per il sol fatto che si è
posto in essere un atto che è formalmente con causa lecita e solo per la compresenza di elementi ulteriori ed attraverso
la ricostruzione della cd. causa concreta potrebbe essere ascritta all’area penale.
20
motivi illeciti comuni devono essere evidenti e manifesti secondo dati oggettivi emergenti dall’atto
stesso, senza possibilità di diversa interpretazione.
L’inoltro del rapporto all’A.G., così come la segnalazione di operazione sospetta all’UIF sono il
compromesso codificato dal Legislatore in una lettura combinata degli artt. 27 e 28 della legge
notarile, dell’art. 361 del cod. pen, e dell’art. 42 del decreto antiriciclaggio che consente da una
parte all’autonomia privata di non trovare freni burocratici, basati su impressioni, motivi soggettivi,
frammenti di realtà, alla sua libera esplicazione e dall’altra consente all’Autorità istituzionalmente
preposta di intervenire per gli approfondimenti e le analisi necessarie per la prevenzione e
repressione dei reati. Il notaio, come ogni altro pubblico ufficiale è utilizzato come terminale di
notizie di reato che dovranno essere poi analizzate ed approfondite dalle Autorità preposte, ma resta
un pubblico ufficiale il cui compito istituzionale e rogare atti notarili cui attribuire pubblica fede e
non preposto ad analisi finanziarie o indagini di polizia giudiziaria. L’art. 2 del decreto
antiriciclaggio su questo punto è estremamente chiaro: “…i soggetti obbligati …adempiono agli
obblighi previsti a loro carico dal presente decreto tenendo conto dei dati e delle informazioni
acquisiti o posseduti nell'esercizio della propria attività istituzionale o professionale.”
Va aggiunto, sotto altro punto di vista, che l’inoltro di un rapporto o la segnalazione di
un’operazione sospetta, sono circostanze probanti dell’assenza nel professionista di qualunque
volontà di commettere o di concorrere alla commissione di un reato, anche alla luce dei criteri
tracciati dalle sezioni unite della Cassazione del 2014 quali indici ricostruttivi della volontà
dell’evento. D’altronde, appare inverosimile e contraddittorio immaginare che il professionista che
abbia voluto concorrere nel reato si autodenunci all’Autorità dopo aver concorso nel reato stesso!
Nel contempo per le ragioni sopra esposte non sarà possibile ritenere che la mera omissione del
rapporto o la mera omissione della segnalazione dell’operazione come sospetta all’UIF possano
essere elementi fattuali che consentono essi soli di considerare la condotta del professionista come
delittuosa, sarà necessaria una rigorosa ricostruzione di tutti gli elementi della fattispecie per
individuare l’elemento psicologico nel suo duplice aspetto di una rappresentazione esauriente dei
fatti accompagnata dalla volontà dell’evento criminoso. Esemplificazioni nella ricostruzione
dell’elemento psicologico, laddove esso sia elemento essenziale per contestare la commissione di
un delitto nello svolgimento di attività lecite, rischia di portare ad una soggettivizzazione del diritto
e ad una dannosa incertezza nell’area della contrattazione e della circolazione dei beni.
5.2 Il rapporto tra AML e rifiuto dell’atto da parte del notaio in un approccio
costituzionale–olistico, nel pensiero del notaio Cesare Licini (18)
Il rapporto tra AML ed obbligo del notaio di ricevere l’atto notarile, secondo il paradigma degli artt.
27 e 28 della Legge notarile può essere inquadrato seguendo un approccio costituzionale-olistico,
partendo dall’art 24 Costituzione, che afferma la inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e
grado del procedimento, attuando la finalità essenziale di “garantire a tutti la possibilità di tutelare
in giudizio le proprie ragioni”.
Questa essenzialità, assicurata col massimo di assistenza tecnica mediante la salvaguardia del
vincolo del segreto professionale, a cui viene riconosciuto il rango costituzionale a tutela della piena
difesa dei diritti individuali, nel sistema AML è il fondamento dell’esonero dei professionisti per le
informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso
dell'esame della posizione giuridica o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza
innanzi a un'Autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento.
(18) Il presente paragrafo è stato messo a disposizione ed è tratto dallo scritto di C. Licini, “Osservazioni a margine del
Regolamento UE AML e della VI Direttiva AML”, di prossima pubblicazione
21
Questa prescrizione è a presidio dell’intera area della tutela giudiziaria: ma, più profondamente,
protegge il diritto alla tutela della persona umana a 360 gradi, sia nella dimensione patologica che in
quella fisiologica, e deve estendersi con la stessa forza, per completarsi, ai rapporti correnti fra
soggetti giuridici in materie rilevanti per il diritto, affinché si svolgano in libertà e certezza (artt. 41,
42 Cost.), ancor più se si considera che ne va di mezzo potenzialmente anche il "bene giuridico" del
soggetto economico-controparte, di cui bisogna supporre l’estraneità.
Con il pendant, quindi, sul versante del servizio notarile quale “infrastruttura della sfera pubblica” e
della ”cittadinanza”, che integra il bene pubblico degli spazi connettivi e di protezione dei cittadini
nella c.d. amministrazione (preventiva) della giustizia: (i) da un lato, dell’art. 27 L. Not., che
obbliga il notaio a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto; e (ii) dall’altro, del divieto
di rifiutare di ricevere l’atto notarile, se non ove si sia al cospetto previsto dall’art. 28, L. Not. di
ricevere atti espressamente proibiti dalla legge. Gli artt. 27 e 28 della legge organica notarile, norme
primarie che integrano le condizioni stabilite dal diritto nazionale, disegnano l’area del legittimo
rifiuto a ricevere un atto notarile, che, nell’interesse dell’individuo non può essere
“costituzionalmente” fermata se non davanti ad atto espressamente proibito, o manifestamente
contrario al buon costume o all’ordine pubblico (e non solo sospettato).
Gli avverbi “espressamente” e “manifestamente” si spiegano con l’intenzione del legislatore, di
realizzare l’interesse generale ed individuale, non l’interesse del notaio, a che i rapporti fra soggetti
giuridici si svolgano in libertà e certezza (artt. 41, 42 Cost.), imponendo una delimitazione univoca
e non discrezionale del potere di rifiuto del servizio notarile, a tutela della libertà del diritto degli
individui di attuare i propri assetti giuridici, ammantato dei profili di costituzionalità discendenti
dall’esercizio di pubblica funzione, in sinergia con l’inviolabilità del diritto alla difesa.
Sono, tutti, declinazione del principio della “rule of law”. Dette disposizioni sono contenute in un
atto di rango legislativo primario (L. 89 del 1913), innervato di rilevanza costituzionale: è certo che
siamo al cospetto di materia compresa in una “riserva di competenza a favore della legge ordinaria
dello Stato”. E cardinale è la prevenzione posta dalle prescrizioni che vietano, solo il ricevimento di
atti, espressamente proibiti dalla legge (art. 28, n. 1, L.N.). Di conseguenza se il notaio è richiesto
per il ricevimento di determinati atti che, sulla base del riscontro di elementi oggettivi idonei, siano
riportabili con elementi di certezza, e non di solo sospetto, alla fattispecie criminosa del riciclaggio,
egli sarà tenuto a rifiutarsi di prestare il proprio ministero sulla base di quanto disposto dall’art. 28
della legge notarile, che vieta al notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge o
manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico. Altrimenti riceve l’atto, perché
sennò, provocherebbe un vulnus al diritto di libertà della iniziativa economica, che in Italia è di
rango costituzionale, cioè rafforzato.
Pertanto, imporre al notaio l’obbligo di prendere la decisione di sospendere la stipula dell’atto
notarile, in base ad un suo giudizio soggettivo/opinione e non oggettivo, costituito dal sospetto, lede
per definizione il diritto alla libertà dell’iniziativa economica spettante ad ogni persona come
estrinsecazione della sua libertà, altrettanto costituzionale, in forza dell’Articolo 41 Cost., giusta il
quale l'iniziativa economica privata è libera, con lo stesso peso specifico del diritto alla difesa in
giudizio; mentre dall’altro lato il notaio non può sottrarsi al ricevimento dell’atto ai sensi dell’art.
28 Legge Not., se non quando l’impedimento è oggettivo e di legge, essendo dovuto, il rifiuto, solo
se gli atti sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o
all'ordine pubblico.
La mera supposizione, soggettiva e incerta (i.e.: non manifesta), che un atto possa racchiudere
un’azione riciclatoria, è sufficiente a condurre tutto l’apparato AML dentro l’area che contrasta con
22
l’utilità sociale ex art. 41 Cost.? O è, proprio per la sua “labilità”, troppo poco? E basta per
innervare un apparato ostativo, legittimato in forza del secondo comma dell’art. 41, ad
implementare “i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”?
I nostri spazi di indipendenza, “c.d. contro-limiti” all’applicazione e l’efficacia diretta delle norme
del diritto europeo, si declinano nel limite invalicabile dei Principi Fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e nei diritti inalienabili della persona.
La Corte Costituzionale (Sentenza 13 luglio 2007 n. 284) afferma: “Ora, nel sistema dei rapporti tra
ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte,
consolidatasi, in forza dell’art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del
1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune
l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi (…). La
non applicazione (del diritto interno) deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite,
sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e dei diritti inalienabili della persona”: tra i limiti che incontra la prevalenza del
diritto europeo rispetto al diritto interno, anche in relazione all’interpretazione dell’art. 11 Cost.,
non vi sono solo quelli di parità con gli altri Stati (…) e dei diritti inalienabili della persona. Il
novero di questi limiti (cosiddetti controlimiti), inoltre, non si ferma ai diritti inalienabili della
persona, ma si estende oltre che ai Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale, anche
alle disposizioni di cui alla Parte I della Costituzione, le quali rappresentano la proiezione
programmatica dei Principi Fondamentali. Con un po' di “ortopedia giuridica” non può dubitarsi
che fra i diritti costituzionalmente inalienabili della persona vadano ricompresi tanto il diritto alla
difesa, che la pretesa che i rapporti fra soggetti giuridici si svolgano in libertà e certezza, nel senso
sopra esposto.
6. Conclusioni
L’astratta possibilità che l’omessa segnalazione sia un fatto che possa costituire elemento oggettivo
di un reato è espressamente prevista dall’art. 58 del decreto antiriciclaggio. Questa ipotesi ricorrerà
quando sia provata nell’autore dell’omissione l’esistenza dell’elemento psicologico del dolo, anche
nella sua forma più attenuata del dolo eventuale. Tuttavia, questa ipotesi, alla luce dei principi
affermati dalle sezioni unite penali della Cassazione ricorrerà esclusivamente quando sia data prova
non solo della certezza o della ragionevole certezza della conoscenza di tutti gli elementi costituivi
del reato e, per quanto riguarda il concorso nel riciclaggio, nel reimpiego di proventi illeciti e
nell’autoriciclaggio, anche la conoscenza del reato presupposto nei suoi elementi fondamentali, ma
anche della volontà, da parte dell’autore dell’omessa segnalazione della volontà di realizzare
l’evento delittuoso. Volontà che non potrà essere desunta dalla mera rappresentazione dei fatti che
costituiscono la fattispecie criminosa, ma dovrà essere provata in modo positivo attraverso l’utilizzo
dei criteri indicati dalle sezioni unite della Cassazione per ricostruire la precisa volontà diretta alla
commissione del reato ovvero a concorrere nella commissione del reato. L’art. 43 del cod. pen.
impone di individuare e provare all’interno dell’elemento psicologico del dolo non solo l’aspetto
intellettivo della conoscenza e rappresentazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie
delittuosa, ma anche l’aspetto volitivo della volontà di commettere l’azione criminosa o di
realizzare l’evento criminoso. La mera accettazione del rischio quale elemento caratterizzante il
dolo eventuale, di manualistica memoria, è di per sé insufficiente a descrivere ed individuare gli
elementi minimi necessari ad integrare l’elemento psicologico nella forma del dolo eventuale.
23
Nella valutazione dell’esistenza o meno del dolo particolare attenzione dovrà esse riposta, per i
professionisti, sul seguente criterio indicato dalle sezioni unite della Cassazione penale con
riferimento allo svolgimento di attività lecite: Una situazione illecita di base indizia più gravemente
il dolo, mentre un contesto lecito solitamente mostra un insieme di regole cautelari ed apre la
plausibile prospettiva dell'errore commesso da un agente non disposto ad accettare fino in fondo
conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale antagonismo rispetto all'imperativo della
legge, tipico del dolo. In buona sostanza, le sezioni unite della Cassazione invitano al massimo
rigore nella ricostruzione dell’elemento psicologico in tutti i casi in cui l’astratta configurabilità di
un’ipotesi delittuosa si realizza all’interno dello svolgimento di attività lecite e nel caso del notaio,
all’interno di un’attività che il professionista non può rifiutarsi di prestare perché obbligato dalla
legge professionale (art. 27 della legge notarile) e come ribadito dall’art. 42 del decreto
antiriciclaggio che impone in questo caso un’espressa deroga all’obbligo di astensione.
Peraltro l’errata equivalenza, anche per eccesso, omessa SOS = dolo eventuale rischia di frustrare le
specifiche finalità delle Direttive comunitarie e della normativa di prevenzione e contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e creare danni al sistema con l’inoltro di SOS
prudenziali e “difensive” in controtendenza con gli obiettivi UIF che sollecitano compilazione ed
inoltro di SOS non seriali, ma accurate e mirate a rendere efficiente il sistema.
Il rigore nell’accertamento delle violazioni degli obblighi antiriciclaggio è fondamentale non solo
per rendere efficiente il sistema che deve essere orientato non a contrastare violazioni meramente
formali di una normativa dai contorni incerti, ma a contrastare comportamenti che si pongono in
contrasto con la tutela del bene giuridico protetto dalle norme.

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I DUBBI RAPPORTI TRA L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE, IL DOLO EVENTUALE E L’OBBLIGO DI RICEVERE ATTI NOTARILI di Marco Krogh

  • 1. Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 3-2024/B I DUBBI RAPPORTI TRA L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE, IL DOLO EVENTUALE E L’OBBLIGO DI RICEVERE ATTI NOTARILI di Marco Krogh (Approvato dalla Commissione Antiriciclaggio il 14 marzo 2024) (Approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato 22 marzo 2024) ABSTRACT L’astratta possibilità che l’omessa segnalazione sia un fatto che possa costituire elemento oggettivo di un reato è espressamente prevista dall’art. 58 del decreto antiriciclaggio. Questa ipotesi ricorrerà quando sia provata nell’autore dell’omissione l’esistenza dell’elemento psicologico del dolo, anche nella sua forma più attenuata del dolo eventuale. Tuttavia, questa ipotesi, alla luce dei principi affermati dalle sezioni unite penali della Cassazione ricorrerà esclusivamente quando sia data prova non solo della certezza o della ragionevole certezza della conoscenza di tutti gli elementi costituivi del reato, ma anche della volontà, da parte dell’autore dell’omessa segnalazione della volontà di realizzare l’evento delittuoso. Volontà che non potrà essere desunta dalla mera rappresentazione dei fatti che costituiscono la fattispecie criminosa, ma dovrà essere provata in modo positivo attraverso l’utilizzo dei criteri indicati dalle sezioni unite della Cassazione per ricostruire la precisa volontà diretta alla commissione del reato ovvero a concorrere nella commissione del reato. L’art. 43 del cod. pen. impone di individuare e provare all’interno dell’elemento psicologico del dolo non solo l’aspetto intellettivo della conoscenza e rappresentazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, ma anche l’aspetto volitivo della volontà di commettere l’azione criminosa o di realizzare l’evento criminoso. La mera accettazione del rischio quale elemento caratterizzante il dolo eventuale, di manualistica memoria, è di per sé insufficiente a descrivere ed individuare gli elementi minimi necessari ad integrare l’elemento psicologico nella forma del dolo eventuale. Le sezioni unite della Cassazione invitano al massimo rigore nella ricostruzione dell’elemento psicologico in tutti i casi in cui l’astratta configurabilità di un’ipotesi delittuosa si realizza all’interno dello svolgimento di attività lecite e nel caso del notaio, all’interno di un’attività che il professionista non può rifiutarsi di prestare perché obbligato dalla legge professionale (art. 27 della legge notarile) e come ribadito dall’art. 42 del decreto antiriciclaggio che impone in questo caso un’espressa deroga all’obbligo di astensione. Peraltro l’errata equivalenza, anche per eccesso, omessa SOS = dolo eventuale rischia di frustrare le specifiche finalità delle Direttive comunitarie e della normativa di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e creare danni al sistema con l’inoltro di SOS
  • 2. 2 prudenziali e “difensive” in controtendenza con gli obiettivi UIF che sollecitano compilazione ed inoltro di SOS non seriali, ma accurate e mirate a rendere efficiente il sistema. Sommario 1. Considerazioni preliminari ed inquadramento del problema...........................................................2 2. Le nozioni di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio. La nozione penale e la nozione amministrativa..................................................................................................5 2.1 L’autoriciclaggio ed i reati tributari...........................................................................................7 2.2 La nozione amministrativa di riciclaggio...................................................................................9 3. Il dolo eventuale. La teoria cognitiva, la teoria volitiva, la ricostruzione del dolo eventuale nella sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione ............................................................10 4. Il concorso apparente di norme..................................................................................................14 4.1 L’omessa segnalazione basata sulla presunta conoscenza di dati ed informazioni non acquisiti ........................................................................................................................................................16 5 La relazione tra segnalazione di operazione sospetta e rapporto all’A.G...................................17 5.1 L’obbligo di ricevere l’atto notarile ed il concorso nel reato...................................................19 5.2 Il rapporto tra AML e rifiuto dell’atto da parte del notaio in un approccio costituzionale– olistico, nel pensiero del notaio Cesare Licini ..............................................................................20 6. Conclusioni ................................................................................................................................22 * * * * * 1. Considerazioni preliminari ed inquadramento del problema. Il 1° comma dell’art.58 del d.lgs. 21 novembre 2007 n.231 (decreto antiriciclaggio) dispone: “1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro.”. L’incipit contenuto nell’inciso “salvo che il fatto costituisca reato” impone all’interprete più di un interrogativo e qualche riflessione sulle relazioni tra l’omessa segnalazione, la violazione amministrativa ed il concorso nel reato. L’incipit del primo comma è ripetuto anche nel secondo comma che punisce l’omessa segnalazione qualificata come grave, ripetuta o sistematica ovvero plurima. La precisazione del Legislatore contenuta nell’inciso sembra confermare il principio del ne bis in idem e della specialità contenuto nell’art.9 della legge 24 novembre1981 n.689 che espressamente dispone che “Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.”. In quest’ottica, il “salvo che…” contenuto nei primi due commi dell’art.58 poco sembra aggiungere a principi consolidati nel nostro ordinamento, tuttavia l’indagine riveste un certo interesse in quanto il reato di riciclaggio è un delitto a forma libera che può essere commesso, in concorso, con qualunque condotta attiva o anche omissiva purché idonea alla realizzazione dell’evento criminoso. Sotto questo aspetto,
  • 3. 3 l’omessa segnalazione, in via del tutto astratta, può essere un elemento della fattispecie idoneo ad integrare il concorso nel reato di riciclaggio nella sua più ampia accezione. Prima di qualunque indagine e riflessione, va chiarito che la violazione amministrativa per omessa segnalazione e il reato di riciclaggio si distinguono principalmente per l’elemento psicologico richiesto dal legislatore per l’una e l’altra fattispecie: mentre per integrare la violazione ammnistrativa è sufficiente la mera negligenza dell’autore nella valutazione dei dati ed informazioni a sua disposizione, per integrare il delitto di riciclaggio è necessario che l’autore abbia agito con dolo e, quindi che il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art.43 cod. pen.). Da un punto di vista fattuale, per integrare la violazione prevista dall’art. 58 del decreto antiriciclaggio è sufficiente che i dati e le informazioni acquisite dall’autore facciano emergere motivi di sospetto, una rappresentazione dei fatti che si colloca in un’area dominata dal dubbio e dall’incertezza in cui i dati a disposizione sono incerti ed equivoci, sebbene meritevoli di approfondimento, in un’area che precede la cd. “notizia di reato”. Peraltro, va aggiunto che il combinato disposto degli artt.35 e 58 del decreto antiriciclaggio punisce espressamente con la violazione amministrativa espressamente il destinatario degli obblighi antiriciclaggio che pur sapendo che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa ometta di darne comunicazione all’UIF. Sembra, quindi, che per espressa previsione e scelta del legislatore la mera omissione di segnalazione, anche nella consapevolezza che siano in corso o che siano state compiute operazione di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero che i fondi utilizzati provengano da attività delittuose, se non accompagnata da elementi ulteriori integri la violazione amministrativa e non possa, per il principio di specialità di cui al richiamato art. 9 della legge 689/81, integrare il concorso nel reato di riciclaggio (1) . Queste considerazioni preliminari sono utili per introdurre l’argomento che merita maggiore attenzione relativo all’astratta possibilità che un’omessa segnalazione possa integrare per il destinatario degli obblighi antiriciclaggio il concorso nel reato di riciclaggio (o di autoriciclaggio) valorizzando quale elemento soggettivo il dolo eventuale dell’autore, da intendersi come astratta previsione ed accettazione della realizzazione dell’evento criminoso. L’equazione, così prospettata, omessa segnalazione = dolo eventuale appare approssimativa ed inaccettabile in assenza di ulteriori elementi idonei a caratterizzare la fattispecie penale, se così fosse, ci troveremmo, quanto meno, di fronte ad un palese conflitto tra l’art. 35 del decreto antiriciclaggio che espressamente sanziona chi omette di segnalare l’operazione sospetta pur sapendo che l’operazione è finalizzata al riciclaggio e la norma penale che punisce chi concorre nel reato di riciclaggio. Il principio di specialità tra violazioni amministrative replica il principio di specialità contenuto nell’art. 15 del codice penale, in caso di concorso apparente tra norme penali ed è stato recepito dall’art. 50 del CEDU il quale espressamente dispone che nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge. Va ricordato che le sanzioni amministrative (1) Sul punto M. Krogh – A Pesaresi, I dubbi rapporti tra omessa SOS e dolo eventuale, in DB non solo Diritto Bancario, 2024 al link https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/2024/02/2024-Krogh-Pesaresi-Omessa-SOS-e-dolo- eventuale.pdf. Sulla compatibilità del dolo eventuale con il reato di riciclaggio, cfr. Cass.2° sez. penale 23 ottobre 2018 n.56633 e Cass. 6 dicembre 2023 n.30245, al link Eutekne: https://www.eutekne.info/Sezioni/Art_961894_per_il_riciclaggio_basta_il_dolo_eventuale.aspx dove si afferma che il dolo eventuale può integrare il reato di riciclaggio laddove ci sia da parte dell’agente la rappresentazione della provenienza illecita del denaro. Il principio, come vedremo, va integrato con i criteri dettati dalle sezioni unite della Cassazione nella sentenza 18 aprile 2014 n.38343 che dettano criteri rigorosi per la ricostruzione dell’elemento psicologico del dolo eventuale, sia per quanto riguarda la rappresentazione dei fati, sia per quanto riguarda la volontà dell’evento o dell’azione criminosa.
  • 4. 4 previste dal decreto antiriciclaggio sono per l’Ordinamento UE “sanzioni sostanzialmente penali” soggette alle stesse regole delle sanzioni penali. Come osservato (2) , sul punto la Corte di giustizia ha accolto nel tempo una qualificazione sostanzialistica della natura penale del procedimento e della sanzione. Ciò significa, in altri termini, che al di là della qualificazione formale di una determinata sanzione, come operata dal singolo ordinamento nazionale, ciò che rileva ai fini della delimitazione del campo di applicazione della garanzia di cui si discute è la sua natura sostanziale, riconducibile in quanto tale al suo carattere afflittivo. Ora, la Corte di giustizia ha avuto modo di precisare che, ai fini della valutazione della natura penale di procedimenti e sanzioni, dovrebbero essere tenuti in considerazione tre criteri. Il primo sarebbe quello relativo al modo in cui l’ordinamento nazionale qualifica sul piano giuridico l’illecito perseguito; il secondo sarebbe relativo alla natura dell’illecito; il terzo atterrebbe al grado di severità della sanzione alla quale il soggetto va potenzialmente incontro (3) . Partendo da queste premesse, l’area di indagine va circoscritta, in via principale, all’esame delle seguenti norme: - agli artt. 35 e 58, che sanzionano la violazione dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta; - all’art. 43 del cod. pen., che definisce l’elemento soggettivo nel reato doloso e colposo; - agli artt. 648 bis, ter e ter1, che puniscono il riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e l’autoriciclaggio; - all’art. 9 della legge 689/81, che stabilisce il principio di specialità in caso di concorrenza apparente tra norme che stabiliscono una sanzione amministrative ed una sanzione penale per il medesimo fatto; Come ulteriore osservazione, di ordine sistematico, da tenere presente nell’esame dell’interferenza dell’area penale con l’area delle violazioni amministrativi in caso di omessa segnalazione è la scelta compiuta dal legislatore nel regolamentare le altre principali violazioni degli obblighi antiriciclaggio: la violazione degli obblighi di adeguata verifica e la violazione degli obblighi di conservazione. Per queste due violazioni il legislatore ha mantenuto distinte le condotte dell’autore della violazione: in caso di comportamento dolosamente fraudolento (utilizzo e conservazione di dati falsi) la fattispecie è punita penalmente con la reclusione e la multa (delitto), restando punite con la sanzione amministrativa le ipotesi residuali, relative all’omessa acquisizione e/o conservazione di dati ed informazioni. Per l’omessa segnalazione, al contrario, il legislatore non ha distinto le violazioni commesse intenzionalmente, da punire con una sanzione penale, da quelle residuali punite con una sanzione amministrativa, ma si è limitato a prevedere, nell’incipit dell’art. 58 che l’omessa segnalazione è un fatto che può comportare l’applicazione di una sanzione amministrativa ovvero, in presenza degli altri presupposti di legge, il concorso nel reato. L’omessa segnalazione all’interno di una fattispecie penale richiede, per superare il conflitto apparente di norme, elementi ulteriori, tipici dell’area penale, rispetto a quelli previsti nell’art. 35 del decreto antiriciclaggio. Va osservato che l’art. 35 del decreto antiriciclaggio non prevede una singola fattispecie, ma una pluralità di condotte punibili con la sanzione amministrativa che possono così sintetizzarsi: (2) G. Vitale, “La Cassazione ritorna sul rapporto tra doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem. Quale ruolo per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? in Il Diritto dell’unione Europea, Giappichelli, Fascicolo 1, 2022 al link https://www.dirittounioneeuropea.eu/Article/Archive/index_html?ida=242&idn=30&idi=-1&idu=- 1#:~:text=Ci%C3%B2%20significa%2C%20in%20buona%20sostanza,ottica%20di%20bilanciamento%20di%20valori (3) In tal senso, Corte giust. 5 giugno 2012, C-489/10, Bonda, punto 37; Corte giust. 26 febbraio 2013, C-617/10, Fransson, punto 35
  • 5. 5 1) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sa che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa; 2) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sospetta che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa; 3) l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario ha motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa. La conoscenza nella fattispecie prevista e punita dall’art. 35, pertanto, quale elemento fattuale della violazione abbraccia sia il caso in cui sussistono semplici motivi di sospetto sia l’ipotesi in cui il destinatario più che un sospetto conosca che l’operazione è finalizzata al riciclaggio, al finanziamento del terrorismo ovvero che i fondi provengano da un’attività criminosa. In queste tre ipotesi, per espressa volontà del legislatore, l’autore della violazione è soggetto ad una sanzione ammnistrativa. Laddove, quindi, non emergano elementi ulteriori a caratterizzare la fattispecie il legislatore, per una precisa scelta di politica legislativa, ha inteso comminare all’autore una sanzione amministrativa e non penale. Peraltro, come corollario di questa scelta del legislatore, possiamo ricavare dall’esame della norma nel suo combinato disposto con l’art. 42 ultimo comma del decreto antiriciclaggio, l’ulteriore indicazione che anche laddove il destinatario degli obblighi antiriciclaggio sa che siano in corso o che siano state compiute operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi utilizzati provengano da attività criminosa, l'operazione dovrà comunque essere eseguita laddove sussiste un obbligo di legge di ricevere l'atto. Per i notai, come è noto, l’art.27 della legge notarile (l. 16 febbraio 1913 n.89) impone l’obbligo di ricevere l’atto notarile. In questo caso, pertanto, è prevista una deroga all’obbligo di astensione e nulla potrà essere contestato al professionista per aver eseguito la prestazione richiesta, fermo restando l’obbligo di effettuare tempestivamente la segnalazione di operazione sospetta, che comunque rappresenta un post factum rispetto all’obbligo di ricevere la prestazione. 2. Le nozioni di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio. La nozione penale e la nozione amministrativa. I reati di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio si perfezionano, secondo il paradigma degli artt. 648 bis, ter e ter1:  laddove si sostituisca o trasferisca denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero si compiano in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa;  laddove si impieghino in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto;  laddove, avendo commesso o concorso a commettere un delitto, si impieghino, sostituiscano, trasferiscano, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa, fatte salve le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
  • 6. 6 Il reato di riciclaggio previsto dall’art. 648 bis cod. pen., così come quello di reimpiego di proventi illeciti previsto dall’art. 648 ter cod. pen., sono reati plurioffensivi: sono reati contro il patrimonio, l’amministrazione della giustizia, contro l’ordine pubblico e contro l’ordine economico. Sono reati istantanei di mera condotta e di pericolo concreto. Sono reati a forma libera per i quali l’elemento psicologico richiesto il dolo generico. Soffermiamoci sui due elementi distintivi dei suddetti reati: la condotta e l’elemento psicologico. Per quanto riguarda la condotta, abbiamo detto che il riciclaggio ed il reimpiego di proventi illeciti sono reati a forma libera, pertanto, possono configurarsi sia attraverso condotte attive che attraverso condotte omissive. Per quanto riguarda l’elemento psicologico, si tratta di reati che richiedono il dolo generico. Il dolo generico potrà manifestarsi in tutte le sue forme e, quindi come dolo intenzionale, come dolo diretto ovvero nella sua forma più lieve definita dolo eventuale. Va ricordato, inoltre, che a monte dei reati di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti c’è un reato presupposto (delitto) quale elemento fondamentale dei reati stessi e, pertanto, l’elemento psicologico dovrà riguardare anche la conoscenza da parte dell’autore del reato di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti del delitto presupposto, rappresentazione che deve essere accompagnata dalla volontà di sostituire o trasferire il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal delitto stesso ovvero di impiegarle in attività economiche o finanziarie. In buona sostanza l’autore del reato, secondo il paradigma previsto dall’art. 43 del cod. pen. deve sapere e volere: “il risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Va ricordato che le sezioni unite della Cassazione (sent.30 marzo 2010 n.12433) in tema di dolo eventuale nel reato di ricettazione (art.648 c.p.) hanno affermato il seguente principio utilizzabile anche per i reati di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti per identità di ratio: “perché possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire, perciò, richiamando un criterio elaborato in dottrina per descrivere il dolo eventuale, può ragionevolmente concludersi che questo rispetto alla ricettazione è ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza (4) . In buona sostanza, l’elemento psicologico richiesto per il perfezionamento dei delitti di riciclaggio, di autoriciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti è il dolo generico che deve investire, anche nella sua forma più lieve, la conoscenza, e non il mero sospetto, che i beni, il danaro o le altre utilità provengano da un delitto e la volontà di dissimulare la provenienza dei beni, del denaro o delle altre utilità. Come vedremo, la mera rappresentazione non è elemento sufficiente ad integrare il dolo, nemmeno nella sua forma più lieve. È espressamente prevista una clausola di riserva nell’incipit degli artt. 648-bis e 648-ter (“fuori dei casi di concorso nel reato”) con la quale si esclude che i suddetti reati possano essere commessi da chi si è reso autore, anche a titolo di concorso, del reato presupposto. La clausola di riserva di cui si è appena fatto cenno, rendeva lecito o comunque fuori dall’area penale l’utilizzo da parte dell’autore del reato dei proventi del reato stesso; si riteneva che l’utilizzo dei proventi illeciti fosse una conseguenza diretta del reato commesso e rientrasse nella pena (4) In questo senso cfr. ex multis: Cass. pen., Sez. II, 17 giugno 2011, dep 1 luglio 2011, n. 25960.
  • 7. 7 prevista per il reato stesso. La grande attenzione degli ultimi vent’anni sui rischi provocati dall’immissione di somme di provenienza illecita sempre più rilevanti in circuiti legali dell’economia alterando il mercato e la libera concorrenza ha imposto al nostro legislatore di introdurre accanto al reato di riciclaggio e di reimpiego di proventi illeciti anche il reato di autoriciclaggio, già sanzionato negli altri Paesi dell’UE. Il reato di autoriciclaggio è stato introdotto dall’art. 3 comma 3 della legge 186/2014, con decorrenza dal 1° gennaio 2015 e trova la sua disciplina giuridica nell’articolo 648 ter 1 c.p. che dispone: “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto- legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648” 2.1 L’autoriciclaggio ed i reati tributari L’introduzione del reato di autoriciclaggio si inserisce all’interno di una precisa scelta di politica legislativa tendente a combattere in modo efficace ed efficiente tutte le forme di impego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza illecita, tenuto conto dei gravi danni che il fenomeno provoca non solo al danneggiato del reato presupposto ed all’amministrazione della giustizia, ma anche agli enormi danni al mondo finanziario ed economico provocati dall’alterazione delle regole della concorrenza e del mercato, attraverso l’immissione di capitali di provenienza illecita in circuiti legali. Le fattispecie che verosimilmente sono maggiormente coinvolte dalla nuova figura di reato riguardano quelle rientranti nell’area dei reati tributari nella forma del reimpiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, dei proventi derivanti dall’evasione fiscale. Sebbene il reato di autoriciclaggio sia un “reato proprio” sarà configurabile il concorso da parte di terzi che abbiano fornito un significativo contributo materiale o morale penalmente rilevante alla realizzazione dell’attività criminosa con la consapevolezza e la volontà di concorrere nell’azione criminosa (5 ). (5 ) Sul tema dei rapporti tra reati tributari ed attività notarile, cfr. R. Cordeiro Guerra Reati fiscali e normativa antiriciclaggio: i confini dell’obbligo di segnalazione a carico dei notai. Studio n. 261-2013/B, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 19 aprile 2013; M. Krogh, Atti simulati o fraudolenti finalizzati alla sottrazione di beni alla riscossione di imposte, Studio civilistico n. 149-2012/C, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 15 marzo 2012.
  • 8. 8 Le condotte, anche per il reato di autoriciclaggio, sono punibili laddove sussista il dolo generico. Per il perfezionamento del reato è necessaria non solo un’attività dissimulatoria, ma anche che la stessa sia idonea ad ostacolare concretamente la provenienza delittuosa da del denaro, dei beni o delle altre utilità di provenienza illecita. Inoltre, il 4° comma dell’art. 648.ter1 cod. pen., paletta ulteriormente i confini dell’attività criminosa precisando, come causa di esclusione della punibilità, la mera utilizzazione o il godimento personale dei proventi illeciti. Consapevolezza e volontà dovranno riguardare anche questi ulteriori elementi essenziali per il perfezionamento del reato. Merita qualche ulteriore osservazione il collegamento tra l’evasione fiscale ed il riciclaggio, considerato che, in molte ipotesi, il denaro utilizzato da chi si è sottratto al pagamento delle imposte non può considerarsi “generato” dal reato tributario quanto, piuttosto, sottratto alla imposizione fiscale pur essendo proveniente da un’attività lecita. In buona sostanza, se è vero che il reato tributario può essere presupposto dell’autoriciclaggio, in concreto, le fattispecie in cui ciò può manifestarsi appaiono sfuggenti soprattutto perché, di fatto, alcune fattispecie previste come reati tributari non sembrano idonee a mutare la provenienza del denaro o della ricchezza oggetto di evasione fiscale da un’area di liceità ad un’area di illiceità. Le somme di denaro (o altro bene) non dichiarate al fisco pur integrando, in presenza di determinati presupposti, reato tributario, non si trasformerebbero, tout court per la commissione del reato tributario stesso, in “provento di attività illecita” (ovviamente se frutto di attività imprenditoriale o professionale lecita e non provento di reato) e, quindi, non costituirebbero presupposto idoneo per integrare il reato di autoriciclaggio ex art. 648 ter1 c.p. Il profitto illecito è riferibile all'imposta evasa, ma non alla ricchezza non dichiarata: il danno erariale (bene protetto) non coinciderebbe con la ricchezza non dichiarata ma con l'imposta evasa. Peraltro, nella struttura di quasi tutti reati tributari il momento perfezionativo del reato coincide non con la commissione del fatto illecito, ma con la presentazione della dichiarazione annuale. Di conseguenza, la rappresentazione da parte di un terzo della provenienza sarà particolarmente difficile e non potrà che fermarsi, nella migliore delle ipotesi, alle soglie del mero sospetto. Un’interpretazione eccessivamente estesa o addirittura analogica del termine "provenienza" utilizzato dal legislatore, tale da ricomprendere qualunque bene che in qualche modo abbia riferimento con il reato tributario, rischierebbe di essere contrastante con il principio di legalità che invita, al contrario, ad interpretazioni particolarmente rigorose soprattutto all’interno di fattispecie la cui violazione è punita con sanzioni penali o amministrative (sostanzialmente penali, secondo la definizione UE). Peraltro, un'interpretazione più articolata delle fattispecie è sicuramente apprezzabile anche sotto l’aspetto delle oggettive difficoltà ad intercettare operazioni economiche tendenti a riciclare non denaro (o altri beni) di provenienza illecita, ma denaro non dichiarato al fisco, in assenza di qualunque mezzo investigativo a disposizione del professionista diretto a controllare contabilità, bilanci e dichiarazioni fiscali del cliente. Sul punto è interessante riportare quanto affermato dall’ABI nella circolare serie legale n.2 del 5 febbraio 2009, nota 9 secondo cui “dalla categoria dei delitti-presupposto devono essere esclusi i delitti in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto, che non producono ricchezze, mentre in detta categoria devono essere ricompresi i delitti di contrabbando doganale, che invece producono ricchezza, la quale proviene quindi da essi” (6) . Peraltro, giova sottolineare che i reati tributari si consumano, per lo più, solo in presenza del superamento di determinate soglie d'importo, ovvero in presenza di altri presupposti, accertabili esclusivamente attraverso l'analisi di documenti contabili e dichiarazioni che il notaio non può acquisire in pubblici registri e che, di regola, non rientrano tra i documenti che il notaio acquisisce in ragione della prestazione da eseguire (art.2 del decreto antiriciclaggio). Il decreto antiriciclaggio, (6) G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2005, 248.
  • 9. 9 giova sottolineare, obbliga i destinatari ad acquisire dati ed informazioni (e non documentazione) sulla situazione economico-patrimoniale del cliente solo in caso di un rischio elevato che si traduce nell’obbligo di adeguata verifica rafforzata. I dati e le informazioni forniti dal cliente andranno verificati, secondo quanto disposto dall’art. 19 del decreto antiriciclaggio, “solo laddove, in relazione ad essi, sussistano dubbi, incertezze o incongruenze.” I reati tributari possono, in linea astratta, costituire presupposto ai fini di un eventuale segnalazione di condotte riciclatorie; tuttavia, in concreto, è necessario, ai fini della segnalazione dell’operazione come sospetta, verificare la oggettiva sussistenza del presupposto della provenienza delittuosa del denaro (o altro bene) utilizzato e la sussistenza degli altri presupposti che integrano la fattispecie criminosa (ad esempio, nelle ipotesi di reato di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.Lgs. n. 74/00 la sussistenza delle soglie significative che integrano il reato e la sussistenza del dolo specifico), tenendo conto che il più delle volte, come già accennato, i reati tributari si consumano solo al momento della presentazione della dichiarazione annuale (7) . Il concorso nel reato di autoriciclaggio da parte di un terzo estraneo al reato presupposto, sotto il profilo psicologico, presuppone non solo la conoscenza da parte del terzo del reato presupposto stesso nei suoi elementi essenziali, ma anche la conoscenza degli altri elementi previsti dall’art. 648-ter1, in senso positivo, quali l’impiego dei proventi illeciti in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative ed in senso negativo, nel senso di escludere che l’impiego abbia finalità di godimento personale accompagnata dalla volontà, da ricostruire secondo le rigorose indicazioni tracciate dalle sezioni unite della Cassazione penale con la sentenza del 18 settembre 2014 n.38343 che esamineremo nel seguito del presente scritto. La Cassazione (8 ), peraltro, sulla partecipazione dell’extraneus nel reato di autoriciclaggio ha ritenuto che il terzo risponda non a titolo di concorso, ma per un diverso titolo di reato che potrà essere il riciclaggio punito dall’art. 648 bis cod. pen. o il reimpiego di proventi illeciti punito dall’art. 648 ter cod. pen.:“La diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti non deve meravigliare, non costituendo una novità per il sistema penale vigente, che ricorre a questa soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla dottrina "a soggettività ristretta". Ad esempio, con riferimento al delitto di evasione (art. 385 c.p.), costituente, come l'autoriciclaggio, reato proprio, il concorso di terzi estranei non detenuti è autonomamente incriminato a titolo di procurata evasione, ex art. 386 c.p., valorizzando, come osservato dalla dottrina, "il diverso giudizio di colpevolezza che investe la condotta dell'intraneo e dell'estraneo (l'istintiva tendenza alla libertà incide infatti in chiave di attenuazione sulla rimproverabilità soggettiva del recluso, rispetto a chi non si trovi ristretto in carcere". 2.2 La nozione amministrativa di riciclaggio Le tre fattispecie di cui si è fatto fin qui cenno coprono l’area che possiamo definire “penale” del riciclaggio e dell’autoriciclaggio; il d.lgs. 231/2007 definisce all’art. 2 la nozione di riciclaggio nella sua dimensione di prevenzione amministrativa, includendo anche fattispecie che, da un punto di vista penale, non sono riconducibili al riciclaggio in senso stretto. Ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 231/2007 s'intende per riciclaggio: (7) Cfr. M. Krogh C. Licini, La normativa antiriciclaggio e antiterrorismo per i professionisti, in Letture Notarili, Collana diretta da Giancarlo Laurini, IPSOA, 2009, pag. 51 e segg. Sulla compatibilità tra dolo specifico e dolo eventuale cfr.: Cass, sez. V penale, 29 dicembre 2022 n.49427. Sul particolare rigore richiesto nell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato di omessa dichiarazione, ribadendo, expressis verbis, che la fattispecie de qua non possa essere desunta dal mero fatto materiale dell’inadempimento dell’obbligo dichiarativo ovvero dalla culpa in vigilando del professionista, cfr. Cass., IV sez. penale, 14 settembre 2022 n.39482. (8) Cfr. Cass. Pen. 18 aprile 2018 n.17235 al link di Altalex, Wolters e Kluver https://www.altalex.com/massimario/cassazione-penale/2018/17235/reati-contro-l-ordine-pubblico-in-genere- riciclaggio-autoriciclaggio-soggetto-non
  • 10. 10 “a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c)l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d)la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere a), b) e c) l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione. Il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte fuori dai confini nazionali. La conoscenza, l'intenzione o la finalità, che debbono costituire un elemento delle azioni di cui al comma 4 possono essere dedotte da circostanze di fatto obiettive.”. Il disallineamento tra la nozione penale e la nozione amministrativa di riciclaggio è dovuto alla necessità di omogeneizzare la nozione amministrativa di riciclaggio con la definizione di riciclaggio dettata dal GAFI nelle sue Raccomandazioni agli Stati membri. La lotta al riciclaggio è una lotta che per essere efficiente deve essere globale e richiede lo sforzo congiunto di tutti gli Stati membri i quali dovranno agire utilizzando non solo i medesimi strumenti di lotta al riciclaggio, ma anche condividendo le medesime definizioni. Aree territoriali grigie o con definizioni non univoche nell’era della globalizzazione e del mondo virtuale rischiano di rendere inefficiente l’intero sistema. Il disallineamento all’interno del nostro sistema aveva maggior rilevanza, prima dell’introduzione del reato di autoriciclaggio la cui nozione era già ricompresa nella definizione amministrativa di riciclaggio. Attualmente all’interno della nozione amministrativa di riciclaggio sono ricomprese, nel nostro Ordinamento, tutte fattispecie che hanno anche rilevanza penale. Ciò che differenzia in modo netto l’area penale e l’area amministrativa del riciclaggio è l’elemento psicologico di chi commette la violazione. I delitti di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio presuppongono nell’autore, così come nel concorrente nel reato, il dolo generico che potrà manifestarsi anche nella più lieve forma del dolo eventuale. Per le violazioni amministrative, invece, sarà indifferente ricondurre la condotta dell’autore al dolo o alla semplice colpa, l’unico limite sarà dato dalla buona fede e dall’errore di fatto. Per quanto riguarda il notaio quale destinatario degli obblighi antiriciclaggio, va detto che la prestazione notarile, in linea astratta, può essere, da un punto di vista fattuale, un elemento causale idoneo alla realizzazione della fattispecie criminosa da parte del cliente e, quindi, l’interrogativo che dobbiamo porci e quale responsabilità può essere imputata al notaio che svolga la prestazione professionale che si dimostri strumentale rispetto alla realizzazione del reato di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti o di autoriciclaggio e, di conseguenza, se, in quali casi ed in presenza di quali presupposti il notaio possa essere ritenuto concorrente nel relativo reato commesso dal cliente, tenuto conto che il notaio non può rifiutare il proprio ministero, ai sensi dell’art. 27 della legge notarile e non può astenersi dalla prestazione, ai sensi dell’art.42 del decreto antiriciclaggio. 3. Il dolo eventuale. La teoria cognitiva, la teoria volitiva, la ricostruzione del dolo eventuale nella sentenza delle sezioni unite penali della Cassazione
  • 11. 11 L’ipotesi che merita particolare attenzione ed approfondimento riguarda l’elemento psicologico che accompagna l’omessa segnalazione di un’operazione sospetta sotto il profilo della ricorrenza o meno del dolo eventuale nell’autore dell’omessa segnalazione. L’ipotesi astratta merita approfondimento nella misura in cui la diversità dell’elemento psicologico che accompagna la condotta dell’autore può spostare la fattispecie dall’area delle violazioni amministrative all’area penale. Va aggiunto che oltre l’elemento psicologico va approfondito anche il tema della concorrenza tra norme per identità dell’elemento fattuale (l’omessa segnalazione) presente in entrambe le fattispecie. Invero, escluso, per espressa previsione del legislatore, il cumulo tra sanzione amministrativa e sanzione penale, è necessario verificare se sia sufficiente che all’omessa segnalazione si accompagni l’elemento psicologico del dolo, anche nella sua forma più lieve del dolo eventuale, ovvero se l’attrazione della fattispecie nell’area penale richieda qualche elemento ulteriore e soprattutto cosa si intenda per partecipazione dolosa nel reato di riciclaggio, di reimpiego di proventi illeciti e di autoriciclaggio. Le risposte agli interrogativi posti presuppongono un esame dei principi che regolano il dolo eventuale e dei principi che risolvono i conflitti in caso di concorso apparente tra norme che dettano disposizione relative alla medesima fattispecie. Per quanto riguarda il dolo eventuale, nella manualistica tradizionale (9) troviamo che l’elemento psicologico intenzionale viene fatto coincidere l’accettazione del rischio che si verifichi l’evento delittuoso da parte dell’autore del reato e viene distinto dalla colpa cosciente (che rappresenta il più alto grado di negligenza) in quanto, in questo secondo caso, l’agente ha la fiducia o la speranza che l’evento non si verifichi, in buona sostanza, in un caso l’autore accetta il rischio della verificazione dell’evento e nell’altro non prende in considerazione questa eventualità perché fiducioso che l’evento stesso non si verifichi. La differenza tra l’uno e l’altro elemento psicologico è radicata, pertanto, in uno stato d’animo interiore, più o meno imperscrutabile, con una connotazione negativa: il dolo è escluso, anche nella sua forma più lieve, se l’evento pur possibile, pur rappresentato nei suoi elementi nella mente dell’autore (fase intellettiva), non è voluto (fase volitiva). La teoria dell’accettazione del rischio offre solo apparentemente un criterio distintivo tra l’uno e l’altro stato soggettivo rischiando, in concreto, di rendere estremamente labile il confine tra principio di legalità, che impone criteri oggettivi di individuazione tra ciò che è lecito e ciò che è illecito, e soggettivizzazione del diritto affidata ad una discrezionale valutazione probabilistica delle intenzioni del soggetto da parte del giudice. In dottrina ed in giurisprudenza si sono evidenziati i limiti delle varie teorie in tema di dolo eventuale e della linea di demarcazione con la colpa cosciente valorizzando, secondo alcuni, l’elemento rappresentativo della fattispecie ponendo l’accento sulla mera consapevolezza “statistica” della possibilità che l’evento si verifichi, secondo un calcolo probabilistico (teoria della rappresentazione), secondo altri valorizzando l’elemento volitivo richiedendo non solo un’astratta rappresentazione della possibilità che l’evento delittuoso si verifichi, ma una volontà, ricostruita attraverso elementi oggettivi, che l’evento sia ascrivibile ad una precisa scelta intenzionale dell’autore (teoria della volizione). Va detto che l’art.43 del cod. pen. espressamente richiede, per poter ascrivere una condotta all’area del dolo, sia l’elemento intellettivo della conoscenza e rappresentazione della fattispecie, sia (9) Sulle teorie sul dolo eventuale, cfr.: A. Cappellini, Il dolo eventuale e i suoi indicatori: le sezioni unite Thyssen e il loro impatto sulla giurisprudenza successiva, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, al seguente link https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/3962-il-dolo-eventuale-e-i-suoi-indicatori-le-sezioni-unite-thyssen-e-il- loro-impatto-sulla-giurispruden
  • 12. 12 l’elemento volitivo, legato all’intenzione ci compiere l’azione criminosa (nella forma anche dell’omissione di una condotta dovuta) ovvero di realizzare l’evento criminoso. Nessun dubbio che, nella ricostruzione della fattispecie delittuosa entrambi gli elementi, coscienza e volontà, dovranno coesistere per poter ritenere sussistente l’elemento psicologico del dolo. La differenza tra le due teorie, a ben vedere, è da ascriversi alle modalità di ricostruzione dell’elemento volitivo nella condotta dell’agente: in un caso, dalla rappresentazione che un evento abbia la possibilità di verificarsi si fa discendere la volontà di accettare il rischio che quell’evento si verifichi, a meno che l’agente pur rappresentandosi la possibilità che quell’evento si verifichi ha fiducia, speranza o certezza che quell’evento non si verificherà; nell’altro caso, per ascrivere la condotta al dolo, anche eventuale, dovrà ricostruirsi in concreto non solo l’esistenza nell’agente della rappresentazione dell’evento ma anche l’intenzione di voler cagionare quell’evento. Una formula, utilizzata in dottrina ed in giurisprudenza per distinguere, in concreto, l’elemento psicologico della colpa, nella sua forma più grave di colpa cosciente, dal dolo, nella sua forma più lieve di dolo eventuale è la “formula di Frank”, così denominata in omaggio all’illustre giuspenalista tedesco, secondo cui per verificare, nel caso concreto, se l’autore abbia agito con dolo o con colpa ci si deve porre l’interrogativo se l’agente avrebbe ugualmente osservato la condotta incriminata nel caso in cui avesse avuto la certezza del verificarsi dell’evento. In caso di risposta positiva la condotta sarebbe ascrivibile al dolo, in caso di risposta negativa, alla colpa cosciente (cd. controfattuale alla stregua della formula di Frank) (10) . Tracce di entrambe le teorie si trovano in dottrina e giurisprudenza e sono state ricostruite, unitamente alla cd. formula di Frank, dalle sezioni unite della Cassazione penale nella sentenza relativa alla nota vicenda della Thyssenkrupp (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 24/4/2014 - data udienza pubblica – 18/9/2014 - data deposito, n. 38343/14), in modo estremamente approfondito e puntuale. La sentenza si dilunga ed esamina, funditus, le teorie sul dolo eventuale, presenti in dottrina ed in giurisprudenza, per giungere alla conclusione che la ricostruzione del dolo eventuale richiede rigorosi criteri che devono investire sia la fase della conoscenza, della rappresentazione dei fatti (fase intellettiva) sia la volontà (fase volitiva), tenuto conto che il dolo eventuale non può che presentarsi, nella quasi totalità dei casi, nella realtà fattuale se non in modo sfuggente e relegato nella sfera più interiore della psiche umana. Osservano le Sezioni Unite della Cassazione che “la "previsione negativa" circa la possibilità che l'evento si realizzi, che costituisce l'unico criterio idoneo a definire rigorosamente il meccanismo psicologico della colpa cosciente, rappresenta il punto debole della costruzione. Infatti il codice esige la previsione dell'evento e non la previsione negativa”. “Il concetto di prova negativa è equivoco e sistematicamente inaccettabile. Sotto il profilo dell'oggetto, la previsione di un non evento finisce col postulare come oggetto del nesso psichico un requisito che non fa parte del fatto tipico: del fatto tipico fa parte l'evento, non la sua negazione. Si parla di un'azione compiuta nonostante la previsione dell'evento. Ciò significa che detta previsione deve sussistere al momento della condotta, non deve essere stata sostituita da una non-previsione o contro-previsione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. L'avverbio "nonostante" sottolinea efficacemente il permanere di un fattore-ostacolo che dovrebbe frapporsi alla condotta.”. Il dato fondamentale che emerge nella ricostruzione del dolo eventuale da parte delle sezioni unite della Cassazione è l’affermazione che la mera rappresentazione, intesa come conoscenza dei fatti, non implica necessariamente volontà dell’evento ed allo stesso tempo la volontà dell’evento, per essere ascritta al dolo, deve necessariamente presupporre la conoscenza e l’esatta rappresentazione di tutti gli elementi fondamentali della fattispecie criminosa. Coscienza e volontà, sapere e volere (10) A. Marinangeli L’elemento psicologico del dolo eventuale e della colpa cosciente nei contesti a rischio di base consentito, in Diritto.it , 2020, al link https://www.diritto.it/lelemento-psicologico-del-dolo-eventuale-e-della-colpa- cosciente-nei-contesti-a-rischio-di-base-consentito/
  • 13. 13 hanno la medesima rilevanza all’interno dell’art. 43 del cod. pen. ed entrambi sono essenziali per ascrivere una condotta all’area del dolo o della colpa. Esemplificazioni assiomatiche che giungono alla conclusione che laddove ci sia rappresentazione dei fatti necessariamente debba esserci anche volontà dell’evento legata ad una presunta accettazione del rischio lascerebbe spazi di discrezionalità nell’applicazione della norma, trascurando, ad esempio che anche nella colpa è espressamente previsto che l’agente possa aver previsto nonostante la previsione dell’evento (art. 61 n.3 cod. pen.). Non possono che condividersi le conclusioni a cui giungono le sezioni unite della Cassazione laddove affermano che “va escluso che un'imputazione dolosa possa fondarsi su presupposti psicologici concernenti il fatto tipico e in particolare l'evento, i quali in realtà si riducano alla dimensione rappresentativa, con un'abrogazione surrettizia del riferimento cardine alla volontà. Senza riferimento al ruolo del volere, il dolo si trasforma in una categoria puramente normativa, il cui confine con la colpa viene a dipendere soltanto dalla discrezionalità tipica delle valutazioni normative”. D’altronde, un’applicazione estensiva del concetto di dolo eventuale rischierebbe di rendere estremamente incerto l’agire umano all’interno delle normali attività lecite, professionali, imprenditoriali o della vita comune. Se bastasse una semplice rappresentazione dei fatti, accompagnata dalla presunzione assiomatica che chi si è rappresentato una fattispecie, o aveva la possibilità di rappresentarsi una fattispecie, ne ha di conseguenza anche accettato tutti i rischi conseguenti, si rischierebbe di trasformare la responsabilità per dolo in una sorta di responsabilità oggettiva, principalmente in quei settori governati da un’elevata complessità normativa. L’esistenza o meno dell’elemento psicologico del dolo rischierebbe di essere confinata ad una dubbia ricostruzione di un percorso mentale interiore basata su un’arbitraria ed apodittica equivalenza “poiché sapeva, presumo anche che volesse”. Riportando un altro passaggio significativo delle sezioni unite della Cassazione:” Ciò che è di decisivo rilievo è che si faccia riferimento ad un reale atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto, che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata, consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi. Lo stesso stato di dubbio irrisolto, conviene ripeterlo, non risolve il problema del dolo eventuale: indica un indizio, ma è pur sempre necessario dimostrare che lo stato d'incertezza sia accompagnato dalla già evocata, positiva adesione all'evento; dalla scelta di agire a costo di ledere l'interesse protetto dalla legge.” La problematica del dolo eventuale si sposta, pertanto, da un pano di mera astrattezza ad un piano di ricerca concreta della volontà che laddove non sia accertabile in modo diretto deve essere ricostruita non sulla base di una presunta e non dimostrata accettazione del rischio ricostruita sulla base della rappresentazione dei fatti da parte dell’agente, ma utilizzando determinati indicatori che si pongono come elementi univoci idonei a ricostruire con certezza l’esistenza di una precisa volontà dell’agente. Le sezioni unite elencano, in via esemplificativa una serie di indicatori da utilizzare nella ricostruzione della volontà quali: i) la lontananza dell’osservare una condotta “standard”; ii) la personalità, la storia e le precedenti esperienze dell’agente; iii) la durata e la ripetizione della condotta; iv) la condotta successiva al fatto; v) Il fine della condotta, la sua motivazione di fondo; e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali, cioè la congruenza del "prezzo" connesso all'evento non direttamente voluto rispetto al progetto d'azione. Il tema è cruciale, interessa direttamente il processo in esame e sarà ripreso più avanti; vi) la probabile verificazione dell’evento; vii) La probabilità di verificazione dell'evento; viii) il contesto lecito o illecito. Una situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo, mentre un contesto lecito solitamente mostra un insieme di regole cautelari ed apre la plausibile prospettiva dell'errore commesso da un agente non disposto ad accettare fino in fondo conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale
  • 14. 14 antagonismo rispetto all'imperativo della legge, tipico del dolo; ix) il controfattuale alla stregua della formula di Frank. La lista è esemplificativa, ma sottolinea l’importanza fondamentale di una ricerca di indici precisi, univoci, certi che devono essere dimostrati nella ricostruzione non solo della rappresentazione dei fatti nell’autore della condotta, ma anche nella precisa ricostruzione della sua intenzione di volere l’evento. Nella stessa linea logica tracciata dalle sezioni unite della cassazione si colloca, come già detto, anche la pronunzia delle Sezioni Unite in tema di ricettazione (11) , che nell’economia del presente scritto è particolarmente conferente perché, la ricettazione rientra nell’ampia nozione “amministrativa” di riciclaggio come definita nell’art. 2 del d.lgs. 231/2007. La sentenza reca alcune notazioni e propone una soluzione che trovano la loro radice nelle peculiarità del reato cui si riferisce: quello di ricettazione in raffronto con la contigua fattispecie di incauto acquisto. In proposito si considera che il dolo eventuale non forma oggetto di una testuale previsione legislativa: la sua costruzione è rimessa all'interprete ed è ben possibile che per particolari reati assuma caratteristiche specifiche. Si è in effetti in un contesto inusuale nella giurisprudenza: non si tratta del classico reato di evento lesivo, ma di una fattispecie nella quale rileva anche il presupposto della condotta costituito dalla provenienza della cosa da delitto. La Corte chiarisce che la componente rappresentativa del dolo deve investire il fatto nel suo complesso, non solo l'evento ma tutti gli elementi della fattispecie. Inoltre, la peculiarità del contesto normativo, la necessità di una nitida linea di demarcazione tra le fattispecie induce a ritenere che il dolo eventuale richiede, nel reato di ricettazione, circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicché un ragionevole convincimento che l'agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perché possa ravvisarsi il dolo eventuale non basta un semplice dubbio, ma si richiede una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all'agente una scelta consapevole tra l'agire, accettando l'eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire. In estrema sintesi, l’elemento psicologico del dolo eventuale, secondo i principi enunciati dalle sezioni unite della Cassazione, va ricostruito in termini non di approssimazione ma di certezza della rappresentazione di tutti gli elementi della fattispecie delittuosa e per quanto riguarda il riciclaggio, la conoscenza del reato presupposto nei suoi elementi essenziali e di certezza della volontà di perseguire l’evento delittuoso attraverso una condotta attiva o anche omissiva. 4. Il concorso apparente di norme. Il secondo aspetto da prendere in considerazione nell’esame delle conseguenze legate ad un’omessa segnalazione di operazione sospetta riguarda il concorso apparente di norme. Come più volte detto, il medesimo principio che vige nel diritto penale ed espresso nell’art. 15 del cod. pen. secondo cui: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa (11) Cass. Sezioni unite penali, n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323
  • 15. 15 materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”, vige anche in caso di concorrenza di una norma penale con una norma che prevede l’applicazione di sanzioni amministrative. Il principio di specialità è di diretta applicazione del divieto noto come “ne bis in idem”, secondo cui nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto e, come detto nella parte iniziale del presente scritto, ribadito nell’art. 50 del CEDU applicabile in tutti i casi in cui ci sia concorso tra norme penali e norme “sostanzialmente” penali, come possono essere definite le sanzioni amministrative in materia di riciclaggio. L’incipit del 1° e del 2° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio che sanzione l’omessa segnalazione di operazioni sospette, come già detto, è “Salvo che il fatto costituisca reato”: il fatto a cui si riferisce la disposizione è “l’omessa segnalazione di operazione sospetta” e, pertanto, il legislatore espressamente prevede che questa condotta possa in qualche modo costituire elemento di una fattispecie punita come reato. Se ciò è vero, e non può essere messo in discussione perché espressamente previsto, è altrettanto vero che la norma si collega all’art. 35 del decreto antiriciclaggio che fissa in modo altrettanto chiaro una serie di condotte che costituiscono violazioni amministrative e non possono, allo stesso tempo, essere punite come delitti. Non sembra che l’elemento discretivo tra violazione amministrativa e reato possa ascriversi, per quanto fin qui esposto e per i principi affermati dalle sezioni unite della Cassazione, esclusivamente ad una più o meno precisa rappresentazione dei fatti che possono essere posti a fondamento di una segnalazione di operazione sospetta. Le tre fattispecie fissate dall’art. 35 del decreto antiriciclaggio, riportando quanto già indicato nella parte iniziale del presente scritto, sono: 1. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sa che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa; 2. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario sospetta che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa; 3. l’omessa segnalazione nel caso in cui il destinatario ha motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa. La seconda e la terza fattispecie sono difficilmente configurabili come fattispecie che possano far rientrare la condotta omissiva nell’area del dolo, anche nella forma più attenuata del dolo eventuale, perché ci troviamo di fronte ad un mero sospetto, ad una rappresentazione della realtà basata su un grado di incertezza che può sorreggere un’attività di prevenzione amministrativa, qual è l’obbligo di segnalazione di operazione sospetta, ma che non è connotata da quegli elementi di ragionevole certezza che possano far ipotizzare che il destinatario degli obblighi antiriciclaggio abbia intenzionalmente voluto concorrere nella commissione del reato di riciclaggio attraverso un comportamento omissivo. Mancherebbe nella descrizione delle due fattispecie la certezza o la ragionevole certezza che il denaro, i beni o le alte utilità utilizzate all’interno della prestazione provengano dalla commissione di un reato (presupposto) e siano utilizzate allo scopo di dissimularne la provenienza ovvero nella fattispecie di cui all’art. 648ter1 cod. pen. anche in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Il mero sospetto, per definizione non è assimilabile alla certezza o alla ragionevole certezza richiesta dall’art. 43, secondo l’interpretazione delle sezioni unite della Cassazione, per integrare l’elemento psicologico del dolo, anche nella sua forma più lieve del dolo eventuale. Resta da esaminare la prima fattispecie contenuta nell’art. 35 del decreto antiriciclaggio ossia quando il professionista sa che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa. Mi sembra che
  • 16. 16 questa fattispecie vada esaminata alla luce dei rigorosi principi affermati dalle sezioni unite sia nell’ultima sentenza del 2014, sopra riportata, così come alla luce delle indicazioni fornite, sempre dalle sezioni unite della Cassazione, nella sentenza, in tema di ricettazione del 2009, anch’essa sopra riportata: non è sufficiente, perché la condotta sia considerata dolosa, la mera rappresentazione, la conoscenza del fatto (nel nostro caso la provenienza delle somme da attività criminosa), ma è necessario che accanto all’aspetto intellettivo, della conoscenza, ci sia la prova oggettiva della volontà, attraverso la condotta omissiva, di realizzare l’evento criminoso punito dalla norma penale. Solo interpretata nei termini così rigorosi può risolversi il conflitto tra norma amministrativa e norma penale. Il Legislatore, per una precisa sua scelta, ha espressamente previsto che il destinatario degli obblighi antiriciclaggio che sa della provenienza criminosa dei fondi utilizzati o che sa che sono in corso o che siano state compiute operazioni di riciclaggio ed omette di eseguire la segnalazione dell’operazione all’UIF commette una violazione amministrativa, a meno che non risulta provata attraverso l’esame concreto di indicatori oggettivi anche l’intenzione di concorrere nel reato. In buona sostanza, l’accettazione del rischio, di manualistica memoria, non può ricondursi ad una semplice rappresentazione dei fatti ma deve essere accompagnata dalla prova di una concreta ed individuata volontà di commettere il reato o di concorrere alla commissione del reato (12 ) 4.1 L’omessa segnalazione basata sulla presunta conoscenza di dati ed informazioni non acquisiti L’indagine sul dolo eventuale nel caso in esame offre lo spunto anche per un’ulteriore indagine che riguarda l’elemento soggettivo nella violazione amministrativa per omessa segnalazione. Come è noto, la violazione amministrativa si perfeziona senza che abbia rilevanza l’elemento soggettivo e pertanto la sanzione è comminata senza necessità che sia provata la colpa o il dolo dell’agente (con il limite della buona fede e dell’errore di fatto). Nel caso dell’omessa segnalazione il legislatore nella indicazione delle tre tipologie di violazione previste dall’art. 35 del decreto antiriciclaggio indica, quale elemento fondamentale per perfezionare la fattispecie, che l’agente, sappia, sospetti o abbia motivi ragionevoli di sospettare. L’interrogativo al quale dare una risposta è se il sapere o il sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa siano elementi che appartengono all’aspetto oggettivo cd. fattuale della fattispecie e che, pertanto debbano esistere ed essere provati che esistano nella sfera di conoscenza dell’autore ovvero se possano essere ritenuti elementi che l’autore avrebbe dovuto conoscere usando l’ordinaria diligenza nello svolgimento dell’adeguata verifica. Aderendo a questa seconda opzione, la violazione imputabile al destinatario degli obblighi antiriciclaggio riguarderebbe sia il comportamento di chi pur conoscendo determinati fatti abbia sottovalutato negligentemente la necessità della segnalazione, sia il comportamento di chi ha omesso la segnalazione pur in assenza della conoscenza dei dati e delle informazioni che lo avrebbero obbligato alla segnalazione. L’omessa adeguata verifica, in altri termini, si potrebbe trasformare in omessa segnalazione di operazione sospetta allorquando i dati e le informazioni che il destinatario avrebbe potuto acquisire avrebbero obbligato ad una segnalazione. Questa interpretazione, a mio avviso, è errata perché confonde un elemento di fatto oggettivo (la conoscenza o il sospetto) che deve esistere per integrare (12) Troviamo traccia della fondamentale importanza dell’elemento psicologico e della ricerca della volontà dell’evento, oltre che della mera rappresentazione dei fatti, per poter imputare un fatto illecito, risultante da un atto notarile, a titolo di concorso al notaio nella sentenza, in tema di lottizzazione abusiva, delle sezioni unite della Cassazione penale in data 3 febbraio 1990, Foro Italiano, Giurisprudenza penale, c.697 e segg. con nota di G.Giorgio
  • 17. 17 la violazione con l’elemento soggettivo che può anche essere presunto ed attiene ad una negligente valutazione dei dati e delle informazioni acquisite. D’altronde il legislatore non potrebbe trattare alla stessa stregua il comportamento di chi pur avendo conoscenza di determinati dati ed informazioni omette una segnalazione rispetto a chi è stato negligente non nella valutazione dell’eventuale segnalazione, ma in un momento antecedente relativo allo svolgimento dell’adeguata verifica. Il diverso grado di negligenze è regolato da norme distinte: l’omessa adeguata verifica e l’omessa segnalazione sono violazioni che prevedono sanzioni diverse, ciascuna proporzionata al diverso grado di negligenza. Ragionando diversamente il destinatario degli obblighi antiriciclaggio sarebbe passibile di sanzione per omessa segnalazione pur non sapendo e pur non avendo alcun elemento per sospettare che la prestazione sia finalizzata ad operazioni di riciclaggio. L’elemento psicologico per le sanzioni amministrative richiede comunque l’esistenza quanto meno della colpa e, quindi, nel nostro caso di una carente e negligente valutazione dei dati ed informazioni in suo possesso. La portata del 5° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio andrà, pertanto limitata, secondo un’interpretazione costituzionalmente corretta, ai soli casi in cui l’incolpato abbia intenzionalmente falsificato o abbia intenzionalmente fatto uso i dati e le informazioni relative al cliente, al titolare effettivo, all’esecutore, allo scopo o alla natura della prestazione professionale ovvero abbia intenzionalmente acquisito e/o conservato dati falsi o informazioni non veritiere relative sul cliente, sul titolare effettivo, sull’esecutore, sullo scopo o sulla natura della prestazione professionale ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dati ed informazioni. In buona sostanza, il 5° comma dell’art. 58 del decreto antiriciclaggio presuppone comunque l’esistenza e conoscenza da parte dell’incolpato dei fatti su cui si basa l’omessa segnalazione (13 ). 5 La relazione tra segnalazione di operazione sospetta e rapporto all’A.G. In ultimo, va sottolineato che per il notaio sussiste una deroga all’obbligo di astensione e, per una precisa scelta di politica legislativa, è obbligato a ricevere la prestazione anche laddove sappia o abbia motivo di sospettare che l’operazione sia finalizzata al riciclaggio o che i fondi provengano da un’attività criminosa, fermo restando l’obbligo tempestivo di segnalazione dell’operazione all’UIF. In nessun caso, pertanto, al notaio potrà essere contestato il fatto di aver ricevuto un atto che presenti questi elementi. Peraltro, va ricordato che le norme in materia di segnalazione di operazioni sospette nulla dispongono in ordine ai rapporti tra l’obbligo di segnalazione previsto nel decreto legislativo e l’obbligo di rapporto a carico del notaio previsto, in via generale dall’art. 331 c.p.p. (14) . (13) Sul punto, anche A. Pesaresi e M. Krogh, L’apparato sanzionatorio: un sistema da migliorare, al link della Biblioteca online della Fondazione del Notariato https://biblioteca.fondazionenotariato.it/art/apparato-sanzionatorio-un-sistema- da-migliorare.html , Sul sistema sanzionatorio anche: M. Nastri, Il dito, la luna e l’eterogenesi dei fini: riflessioni sul ruolo del notaio nell’antiriciclaggio, in Notariato 6/2023, pag. 611 e ss,; G. Laurini, Antiriciclaggio: il ruolo del Notaio tra responsabilità e sanzioni, in Notariato 1/2024, pag. 5 e segg; G. Antonelli, Le sanzioni Antiriciclaggio, in Notariato 1/2024, pag.24 e segg.; G. Musolino, Antiriciclaggio: Rilievi per un’interpretazione adeguata al professionista, in Notariato 1/2024, pag. 25 e segg.; C. Licini, L’impegno dell’UNIL per la razionalizzazione della normativa antiriciclaggio a livello internazionale, in Notariato 1/2024, pag.46 e segg. (14) Art. 361 c.p. - (Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale) - Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire sessantamila (€ 30,99) a un milione (€ 516,46). La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto. Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa
  • 18. 18 E’ da ritenere, condividendo le conclusioni cui era giunto lo studio n. 15-2006 del Consiglio Nazionale del Notariato (15) , che la condotta del notaio che segnala un’operazione sospetta all’UIC (oggi all’UIF ovvero agli ordini professionali nei casi consentiti) realizza, al contempo, anche la condotta prescritta dall’art. 331 c.p.p. e 361 c.p. e che, pertanto si ritiene, con la segnalazione di operazione sospetta all’UIF, assolto anche l’obbligo di rapporto di cui alle suddette norme. D’altronde, la normativa antiriciclaggio ed antifinanziamento del terrorismo si pone come normativa speciale ed in parte derogatoria rispetto alle norme di diritto comune; in particolare, tutte le disposizioni contenute nel decreto antiriciclaggio, dettate per tutelare la riservatezza e la segretezza del nome del segnalante, obiettivo prioritario del sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo, sarebbero vanificate in caso di rapporto inoltrato, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., al pubblico ministero o ad un ufficiale di polizia giudiziaria. Sotto altro aspetto, inoltre, la presenza di una pluralità d’indagini condotte da Autorità diverse potrebbe creare conflitti d’interesse in grado di compromettere il buon esito dell’attività investigativa. A ciò si aggiunga che la conoscenza della notizia criminis, da parte dell’Autorità giudiziaria, è assicurata, all’interno del sistema dalla comunicazione della segnalazione da parte dell’UIF, nei casi previsti dalla legge, alla DNA e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. A conferma di ciò c’è anche il dato letterale dell’art. 40, 1° comma lett. d) del decreto antiriciclaggio che espressamente prevede: La UIF, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, definisce i criteri per l'approfondimento finanziario delle segnalazioni di operazioni sospette ed espleta le seguenti attività: (…) “d) in attuazione di quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera a) e fermo quanto previsto dall'articolo 331 del codice di procedura penale in ordine all'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria, trasmette, senza indugio, anche sulla base di protocolli d'intesa, le segnalazioni di operazioni che presentano un rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e i risultati delle analisi svolte, incluse le informazioni ad esse pertinenti relative ai reati presupposto associati nonché le comunicazioni di cui all'articolo 10, comma 4, e le relative analisi, alla Direzione investigativa antimafia e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, che, a loro volta, le trasmettono tempestivamente al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo qualora siano attinenti alla criminalità organizzata o al terrorismo”. Sarà, di conseguenza l’UIF a valutare la necessità e/o l’opportunità di inoltrare rapporto all’A.G., valutando anche la necessità di salvaguardare la riservatezza del segnalante che rappresenta una priorità all’interno del sistema della prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Ulteriore interrogativo si pone laddove il notaio, nella sua veste di pubblico ufficiale, in ottemperanza agli obblighi di legge a suo carico abbia inoltrato, ricorrendone i presupposti, rapporto all’A.G. in relazione ad una prestazione professionale ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio (art. 331 c.p.p.), ci si chiede se in questo caso venga meno la necessità da parte del notaio di inoltrare anche all’UIF la segnalazione dell’operazione sospetta e, se in caso di omessa segnalazione possa essergli contestata la violazione amministrativa. Va osservato che, se è vero che la segnalazione potrà comunque essere inoltrata all’UIF replicando e duplicando il contenuto del rapporto, in caso di sua omissione non potrà essere contestata al notaio alcuna violazione per assenza di lesione del bene giuridico protetto dalla disposizione che obbliga alla segnalazione: l’inoltro del rapporto assicura che la notitia criminis sia resa disponibile e sottoposta al vaglio delle Autorità preposte alla prevenzione e repressione dei reati. Sarà compito di chi riceve il rapporto (15) Cfr. Le sanzioni; il reato di riciclaggio e il concorso del professionista, studio 15 – 2006, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 31 luglio 2006, autore V. D’Ascola.
  • 19. 19 effettuare le indagini e gli approfondimenti sulla base dei compiti che istituzionalmente gli competono. 5.1 L’obbligo di ricevere l’atto notarile ed il concorso nel reato Per una precisa scelta di politica legislativa, che ritroviamo codificata anche nel decreto antiriciclaggio, in un efficiente bilanciamento da una parte, tra gli obblighi, nell’interesse dello Stato, imposti al cittadino di rivolgersi ad un notaio (o ad un altro pubblico ufficiale autorizzato) per la stipula di determinati atti, ai fini del loro perfezionamento o della loro piena efficacia e, da altra parte, l’esercizio dell’autonomia privata, espressione delle libertà fondamentali della persona, non soggetta a preventive verifiche o nulla osta, se non nei casi espressamente previsti dalla legge, il legislatore ha previsto che il notaio, così come ogni altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non possa rifiutare il proprio ministero, salvo il caso che “l‘atto sia espressamente proibito dalla legge” ovvero che gli “atti” siano “manifestamente contrari all’ordine pubblico ed al buon costume” (artt.27 e 28 della legge notarile). Da un lato (l’art.27 della legge notarile) non consente al notaio di rifiutare il proprio ministero e sanziona la violazione di questo obbligo con norme disciplinari e nei casi più gravi penali (art. 328 cod. pen. - omissione d’atti d’ufficio) e da altro lato (art. 28 della legge notarile) dispone che il notaio non possa ricevere atti che siano “espressamente proibito dalla legge” o che siano “manifestamente contrari all’ordine pubblico ed al buon costume (16 ). L’art. 28 della legge notarile appare come un limite eccezionale imposto alle persone alla possibilità di disporre dei propri diritti ed alla libera esplicazione della propria autonomia privata nelle relazioni sociali ed economiche. Ci si pone l’interrogativo se ed in che modo sia regolata l’ipotesi in cui la prestazione notarile sia strumentale alla commissione di un reato. Sicuramente il notaio non potrà ricevere un atto con causa illecita, nessun dubbio che un contratto di meretricio ovvero un contratto con cui una delle parti si obblighi a commettere un reato rientri nella previsione dell’art. 28 della legge notarile (17 ). Ben diverso è il caso in cui dall’atto non emergono motivi di ragionevole certezza che l’atto stesso sia strumentale alla commissione di un reato, ma emergano esclusivamente motivi di sospetto ovvero siano presenti elementi o frammenti di realtà che in qualche modo meritano indagini ed approfondimenti per ricondurre con ragionevole certezza la relativa prestazione professionale al di fuori o all’interno dell’area di interesse penale. In tutti questi casi per il notaio sussiste, se si trova in presenza di una notizia di reato, il mero obbligo di rapporto all’A.G. e laddove si rientri nell’area della prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo l’obbligo di segnalare l’operazione come sospetta. L’art. 1345 c.c. dispone che il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe. Non è sufficiente che una sola delle parti concluda il contratto per finalità illecite, ma è necessario l’accordo di entrambe le parti e per giustificare l’irricevibilità dell’atto da parte del notaio, ai sensi dell’art. 28 della legge notarile, i (16) Per un’ampia disamina dei rapporti tra l’art. 27 e l’art.28 della legge notarile: A. Fusaro, Sui confini della responsabilità disciplinare notarile: a proposito della clausola compromissoria statutaria delle nullità relative, studio n.248, approvato dalla Commissione civilistica del Consiglio Nazionale del Notariato in data 28 dicembre 2011. (17) L’affermazione contenuta nella sentenza della Cass. 29 gennaio 2016 n.1716, in materia disciplinare, secondo cui la violazione della norma penale conduce, alla violazione dell'articolo 28 della legge notarile, perché l'attività negoziale compiuta in spregio della norma penale è colpita da nullità derivante dal contrasto con disposizioni di legge imperative è un’affermazione che dà per accertata la conoscenza da parte del notaio di tutti gli elementi fattuali della fattispecie penale e la volontà del notaio di concorrere alla commissione del reato stesso, ma il vero punto di criticità riguarda proprio la ricostruzione degli elementi fattuali e psicologici che non possono ritenersi esistenti per il sol fatto che si è posto in essere un atto che è formalmente con causa lecita e solo per la compresenza di elementi ulteriori ed attraverso la ricostruzione della cd. causa concreta potrebbe essere ascritta all’area penale.
  • 20. 20 motivi illeciti comuni devono essere evidenti e manifesti secondo dati oggettivi emergenti dall’atto stesso, senza possibilità di diversa interpretazione. L’inoltro del rapporto all’A.G., così come la segnalazione di operazione sospetta all’UIF sono il compromesso codificato dal Legislatore in una lettura combinata degli artt. 27 e 28 della legge notarile, dell’art. 361 del cod. pen, e dell’art. 42 del decreto antiriciclaggio che consente da una parte all’autonomia privata di non trovare freni burocratici, basati su impressioni, motivi soggettivi, frammenti di realtà, alla sua libera esplicazione e dall’altra consente all’Autorità istituzionalmente preposta di intervenire per gli approfondimenti e le analisi necessarie per la prevenzione e repressione dei reati. Il notaio, come ogni altro pubblico ufficiale è utilizzato come terminale di notizie di reato che dovranno essere poi analizzate ed approfondite dalle Autorità preposte, ma resta un pubblico ufficiale il cui compito istituzionale e rogare atti notarili cui attribuire pubblica fede e non preposto ad analisi finanziarie o indagini di polizia giudiziaria. L’art. 2 del decreto antiriciclaggio su questo punto è estremamente chiaro: “…i soggetti obbligati …adempiono agli obblighi previsti a loro carico dal presente decreto tenendo conto dei dati e delle informazioni acquisiti o posseduti nell'esercizio della propria attività istituzionale o professionale.” Va aggiunto, sotto altro punto di vista, che l’inoltro di un rapporto o la segnalazione di un’operazione sospetta, sono circostanze probanti dell’assenza nel professionista di qualunque volontà di commettere o di concorrere alla commissione di un reato, anche alla luce dei criteri tracciati dalle sezioni unite della Cassazione del 2014 quali indici ricostruttivi della volontà dell’evento. D’altronde, appare inverosimile e contraddittorio immaginare che il professionista che abbia voluto concorrere nel reato si autodenunci all’Autorità dopo aver concorso nel reato stesso! Nel contempo per le ragioni sopra esposte non sarà possibile ritenere che la mera omissione del rapporto o la mera omissione della segnalazione dell’operazione come sospetta all’UIF possano essere elementi fattuali che consentono essi soli di considerare la condotta del professionista come delittuosa, sarà necessaria una rigorosa ricostruzione di tutti gli elementi della fattispecie per individuare l’elemento psicologico nel suo duplice aspetto di una rappresentazione esauriente dei fatti accompagnata dalla volontà dell’evento criminoso. Esemplificazioni nella ricostruzione dell’elemento psicologico, laddove esso sia elemento essenziale per contestare la commissione di un delitto nello svolgimento di attività lecite, rischia di portare ad una soggettivizzazione del diritto e ad una dannosa incertezza nell’area della contrattazione e della circolazione dei beni. 5.2 Il rapporto tra AML e rifiuto dell’atto da parte del notaio in un approccio costituzionale–olistico, nel pensiero del notaio Cesare Licini (18) Il rapporto tra AML ed obbligo del notaio di ricevere l’atto notarile, secondo il paradigma degli artt. 27 e 28 della Legge notarile può essere inquadrato seguendo un approccio costituzionale-olistico, partendo dall’art 24 Costituzione, che afferma la inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento, attuando la finalità essenziale di “garantire a tutti la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni”. Questa essenzialità, assicurata col massimo di assistenza tecnica mediante la salvaguardia del vincolo del segreto professionale, a cui viene riconosciuto il rango costituzionale a tutela della piena difesa dei diritti individuali, nel sistema AML è il fondamento dell’esonero dei professionisti per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso dell'esame della posizione giuridica o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza innanzi a un'Autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento. (18) Il presente paragrafo è stato messo a disposizione ed è tratto dallo scritto di C. Licini, “Osservazioni a margine del Regolamento UE AML e della VI Direttiva AML”, di prossima pubblicazione
  • 21. 21 Questa prescrizione è a presidio dell’intera area della tutela giudiziaria: ma, più profondamente, protegge il diritto alla tutela della persona umana a 360 gradi, sia nella dimensione patologica che in quella fisiologica, e deve estendersi con la stessa forza, per completarsi, ai rapporti correnti fra soggetti giuridici in materie rilevanti per il diritto, affinché si svolgano in libertà e certezza (artt. 41, 42 Cost.), ancor più se si considera che ne va di mezzo potenzialmente anche il "bene giuridico" del soggetto economico-controparte, di cui bisogna supporre l’estraneità. Con il pendant, quindi, sul versante del servizio notarile quale “infrastruttura della sfera pubblica” e della ”cittadinanza”, che integra il bene pubblico degli spazi connettivi e di protezione dei cittadini nella c.d. amministrazione (preventiva) della giustizia: (i) da un lato, dell’art. 27 L. Not., che obbliga il notaio a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto; e (ii) dall’altro, del divieto di rifiutare di ricevere l’atto notarile, se non ove si sia al cospetto previsto dall’art. 28, L. Not. di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge. Gli artt. 27 e 28 della legge organica notarile, norme primarie che integrano le condizioni stabilite dal diritto nazionale, disegnano l’area del legittimo rifiuto a ricevere un atto notarile, che, nell’interesse dell’individuo non può essere “costituzionalmente” fermata se non davanti ad atto espressamente proibito, o manifestamente contrario al buon costume o all’ordine pubblico (e non solo sospettato). Gli avverbi “espressamente” e “manifestamente” si spiegano con l’intenzione del legislatore, di realizzare l’interesse generale ed individuale, non l’interesse del notaio, a che i rapporti fra soggetti giuridici si svolgano in libertà e certezza (artt. 41, 42 Cost.), imponendo una delimitazione univoca e non discrezionale del potere di rifiuto del servizio notarile, a tutela della libertà del diritto degli individui di attuare i propri assetti giuridici, ammantato dei profili di costituzionalità discendenti dall’esercizio di pubblica funzione, in sinergia con l’inviolabilità del diritto alla difesa. Sono, tutti, declinazione del principio della “rule of law”. Dette disposizioni sono contenute in un atto di rango legislativo primario (L. 89 del 1913), innervato di rilevanza costituzionale: è certo che siamo al cospetto di materia compresa in una “riserva di competenza a favore della legge ordinaria dello Stato”. E cardinale è la prevenzione posta dalle prescrizioni che vietano, solo il ricevimento di atti, espressamente proibiti dalla legge (art. 28, n. 1, L.N.). Di conseguenza se il notaio è richiesto per il ricevimento di determinati atti che, sulla base del riscontro di elementi oggettivi idonei, siano riportabili con elementi di certezza, e non di solo sospetto, alla fattispecie criminosa del riciclaggio, egli sarà tenuto a rifiutarsi di prestare il proprio ministero sulla base di quanto disposto dall’art. 28 della legge notarile, che vieta al notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico. Altrimenti riceve l’atto, perché sennò, provocherebbe un vulnus al diritto di libertà della iniziativa economica, che in Italia è di rango costituzionale, cioè rafforzato. Pertanto, imporre al notaio l’obbligo di prendere la decisione di sospendere la stipula dell’atto notarile, in base ad un suo giudizio soggettivo/opinione e non oggettivo, costituito dal sospetto, lede per definizione il diritto alla libertà dell’iniziativa economica spettante ad ogni persona come estrinsecazione della sua libertà, altrettanto costituzionale, in forza dell’Articolo 41 Cost., giusta il quale l'iniziativa economica privata è libera, con lo stesso peso specifico del diritto alla difesa in giudizio; mentre dall’altro lato il notaio non può sottrarsi al ricevimento dell’atto ai sensi dell’art. 28 Legge Not., se non quando l’impedimento è oggettivo e di legge, essendo dovuto, il rifiuto, solo se gli atti sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico. La mera supposizione, soggettiva e incerta (i.e.: non manifesta), che un atto possa racchiudere un’azione riciclatoria, è sufficiente a condurre tutto l’apparato AML dentro l’area che contrasta con
  • 22. 22 l’utilità sociale ex art. 41 Cost.? O è, proprio per la sua “labilità”, troppo poco? E basta per innervare un apparato ostativo, legittimato in forza del secondo comma dell’art. 41, ad implementare “i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”? I nostri spazi di indipendenza, “c.d. contro-limiti” all’applicazione e l’efficacia diretta delle norme del diritto europeo, si declinano nel limite invalicabile dei Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inalienabili della persona. La Corte Costituzionale (Sentenza 13 luglio 2007 n. 284) afferma: “Ora, nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell’art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi (…). La non applicazione (del diritto interno) deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona”: tra i limiti che incontra la prevalenza del diritto europeo rispetto al diritto interno, anche in relazione all’interpretazione dell’art. 11 Cost., non vi sono solo quelli di parità con gli altri Stati (…) e dei diritti inalienabili della persona. Il novero di questi limiti (cosiddetti controlimiti), inoltre, non si ferma ai diritti inalienabili della persona, ma si estende oltre che ai Principi Fondamentali dell’ordinamento costituzionale, anche alle disposizioni di cui alla Parte I della Costituzione, le quali rappresentano la proiezione programmatica dei Principi Fondamentali. Con un po' di “ortopedia giuridica” non può dubitarsi che fra i diritti costituzionalmente inalienabili della persona vadano ricompresi tanto il diritto alla difesa, che la pretesa che i rapporti fra soggetti giuridici si svolgano in libertà e certezza, nel senso sopra esposto. 6. Conclusioni L’astratta possibilità che l’omessa segnalazione sia un fatto che possa costituire elemento oggettivo di un reato è espressamente prevista dall’art. 58 del decreto antiriciclaggio. Questa ipotesi ricorrerà quando sia provata nell’autore dell’omissione l’esistenza dell’elemento psicologico del dolo, anche nella sua forma più attenuata del dolo eventuale. Tuttavia, questa ipotesi, alla luce dei principi affermati dalle sezioni unite penali della Cassazione ricorrerà esclusivamente quando sia data prova non solo della certezza o della ragionevole certezza della conoscenza di tutti gli elementi costituivi del reato e, per quanto riguarda il concorso nel riciclaggio, nel reimpiego di proventi illeciti e nell’autoriciclaggio, anche la conoscenza del reato presupposto nei suoi elementi fondamentali, ma anche della volontà, da parte dell’autore dell’omessa segnalazione della volontà di realizzare l’evento delittuoso. Volontà che non potrà essere desunta dalla mera rappresentazione dei fatti che costituiscono la fattispecie criminosa, ma dovrà essere provata in modo positivo attraverso l’utilizzo dei criteri indicati dalle sezioni unite della Cassazione per ricostruire la precisa volontà diretta alla commissione del reato ovvero a concorrere nella commissione del reato. L’art. 43 del cod. pen. impone di individuare e provare all’interno dell’elemento psicologico del dolo non solo l’aspetto intellettivo della conoscenza e rappresentazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, ma anche l’aspetto volitivo della volontà di commettere l’azione criminosa o di realizzare l’evento criminoso. La mera accettazione del rischio quale elemento caratterizzante il dolo eventuale, di manualistica memoria, è di per sé insufficiente a descrivere ed individuare gli elementi minimi necessari ad integrare l’elemento psicologico nella forma del dolo eventuale.
  • 23. 23 Nella valutazione dell’esistenza o meno del dolo particolare attenzione dovrà esse riposta, per i professionisti, sul seguente criterio indicato dalle sezioni unite della Cassazione penale con riferimento allo svolgimento di attività lecite: Una situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo, mentre un contesto lecito solitamente mostra un insieme di regole cautelari ed apre la plausibile prospettiva dell'errore commesso da un agente non disposto ad accettare fino in fondo conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale antagonismo rispetto all'imperativo della legge, tipico del dolo. In buona sostanza, le sezioni unite della Cassazione invitano al massimo rigore nella ricostruzione dell’elemento psicologico in tutti i casi in cui l’astratta configurabilità di un’ipotesi delittuosa si realizza all’interno dello svolgimento di attività lecite e nel caso del notaio, all’interno di un’attività che il professionista non può rifiutarsi di prestare perché obbligato dalla legge professionale (art. 27 della legge notarile) e come ribadito dall’art. 42 del decreto antiriciclaggio che impone in questo caso un’espressa deroga all’obbligo di astensione. Peraltro l’errata equivalenza, anche per eccesso, omessa SOS = dolo eventuale rischia di frustrare le specifiche finalità delle Direttive comunitarie e della normativa di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e creare danni al sistema con l’inoltro di SOS prudenziali e “difensive” in controtendenza con gli obiettivi UIF che sollecitano compilazione ed inoltro di SOS non seriali, ma accurate e mirate a rendere efficiente il sistema. Il rigore nell’accertamento delle violazioni degli obblighi antiriciclaggio è fondamentale non solo per rendere efficiente il sistema che deve essere orientato non a contrastare violazioni meramente formali di una normativa dai contorni incerti, ma a contrastare comportamenti che si pongono in contrasto con la tutela del bene giuridico protetto dalle norme.