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in Viaggio
GUSTO
Diversi
Olio extravergine, il simbolo dell'unicità e
Gresini
L'alimentazione di un Campione del mondo
4 Tradizione
e innovazione:
intervista
a Pellini
20
dall'Oriente
22 La città
fondata e
l'oro
bianco
25 Alla ricerca
del tempo
perduto
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| Gusto in Viaggio - 20152
Editoriale
Olio, non basta
essere
extravergine
L’olio è la risposta migliore che si può dare a quello che gli
esperti chiamano “piacere unico” e cioè la tendenza a un
gusto principe, che si eleva sugli altri. La colpa di questo
equivoco è la messinscena televisiva o editoriale: l’abbuf-
fata nazional-popolare vuole vincitori, non cultura. Con i
suoi 538 cultivar, le sue cinquecento diversità insomma,
l’olio è la risposta più integra e nostrana a questo gusto
collettivo che cerca un’uniformità impossibile. Più o meno
amaro o piccante o armonioso, l’extravergine si basta da
solo, non ha bisogno neanche del sale come ha sottolinea-
gioco di dettagli per palati che vogliono viversi l’interezza
del viaggio. Purtroppo a tanta ricchezza naturale non cor-
risponde ancora una piena consapevolezza da parte di chi
lo propone e di chi lo consuma, e sembra quasi che l’olio
non sia entrato nell’olimpo dei prescelti della gastronomia
mondiale. A torto, perché la base di ogni movimento - o
viaggio culinario - è sempre lui. Sovente nei ristoranti la
scelta è di bassa qualità e soprattutto immotivata, come se
quella boccetta servita stesse lì per caso o complemento. Se
si chiedono spiegazioni, spesso queste mancano di risposta
ed entusiasmo. Sull’olio in tavola si risparmia, questa sem-
bra essere l’unica chiave di lettura; e se magari andiamo
a sincerarci di com’è fatto quell’olio, scopriamo quella che
sembra essere la “dimensione parallela” dell’oro verde: in
Italia è talmente vario, buono e di altissima qualità che si
mettono in circolazione blend fatti da oli di altri Paesi che
niente hanno a che fare con l’eccellenza. Un paradosso che
è ora di eliminare.
Ci sono da noi talmente tanti produttori ed esperti ec-
-
ti - e vincerla, anche fregandocene di leggi europee sempre
più inutili. Non vogliamo miscele e non vogliamo aziende
che spacciano per olio italiano quello che non ne è mini-
mamente parente. Non vogliamo equivoci sull’argomento e
per raggiungere questo obiettivo bisogna per forza passare
attraverso la cultura: da educare chi ci somministra l’olio -
semplici informazioni - a rendere i consumatori consapevoli
che dire extravergine non basta, se non a riempirsi la bocca
Sarà invece bene accetto chi ci spiegherà, tenteremo di far-
lo anche noi, cosa c’è dietro questa parola magica, qual è la
sua innata verità, il suo segreto e diversità.
Lo scempio continua e solo pochi sembrano farci caso.
Solo nell’ultimo decennio trecentomila ettari di suolo
agricolo sono stati distrutti, per far posto a quella che
sembra essere una delle ultime eccellenze italiane in
che sembra inarrestabile e che va fermato a tutti i costi,
perché non solo diventiamo sempre più brutti e meno
salvaguardati, ma anche per un’identità culturale, che
ha fatto del nostro Paese una gemma della Bellezza nel
mondo. I luoghi in questa maniera piano piano, o di col-
po, perdono la propria identità e matrice e a malapena
si riconoscono e tutto, indovinate, per una questione
di soldi. Che però gli astuti, e corrotti, politicanti e
costruttori dovranno versare sempre di più, perché così
mettono a repentaglio la sicurezza dei posti: il dieci
per cento del territorio italiano, proprio grazie a questi
interventi dissennati, è a rischio alluvioni e frane. Per la
loro piccola mentalità, che dio li strafulmini, deve scap-
parci il morto, come è avvenuto in Sicilia, nelle Cinque
Terre, in Calabria e dove potrebbe succedere ogni mo-
mento in qualsiasi altro posto a rischio. La manutenzio-
ne del territorio è anche la manutenzione di noi stessi e
solo i non vedenti che ci governano possono lasciare a
interventi di natura volontaristica, a missioni senza bu-
dget, la salvaguardia di un patrimonio naturale sempre
più “stuprato”.
Sempre più
cemento sempre
meno suolo
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Direttore: Giovanni Giacchi
Comitato editoriale: Fabio Fossi
Enrico Cherchi
Collaboratori: Antonio Attorre
Davide Staffa
Roberto Trevisan
Roberto Lendaro
Cinzia Ferro
Giacomo Pini
Sara Boni
Eleonora Ciaralli
supplemento a L'Opinione della
Collina e dell'Appennino (Registrazione
Pubbl. Tribunale di Macerata n.621)
www.gustoinviaggio.com
Edizione Dicembre 2015
Per la pubblicità:
giovanninews@gmail.com
32015 - Gusto in Viaggio |
in Viaggio
GUSTO
Gusto in Viaggio - Edizione Dicembre 2015
INSIEME
PER ESSERE
OBIETTIVI
Questo giornale vuole essere la casa di chi ritiene che tutto
ciò che riguarda la cultura del cibo e del vino, dell'ospitalità
e dei servizi, della creatività e della vera italianità, non sia in
vendita. E' di coloro che non credono che la comunicazione sia
soltanto pubblicità o una "fusione a freddo". E' di chi vuole
esprimere passionalità, valori e crede nei valori condivisi della
collettività.
Il nostro gruppo è fatto di giornalisti, professionisti del settore
enogastronomico, cultori del Bello. Proveniamo da esperienze
venduto, chi ha eccepito, chi ha stimolato. Ci siamo messi in-
noi per scambiarci informazioni e al settore Food & Wine per
emergere e promozionarsi.
Vogliamo essere una piattaforma in cui lo scambio dei pareri e
delle competenze è fondamentale. L'azienda che vorrà far par-
te del nostro progetto dovrà avere le risposte di cui ha bisogno
e i contatti giusti all'interno del circuito. Sarà compito nostro
fornire i nomi e le informazioni giuste.
Crediamo che la creazione di questi servizi essenziali per le
aziende sia la base della riuscita del giornale. La pubblicità da
sola o il publiredazionale non bastano più. Ci vuole una Rete
sono opportunità reali per il settore enogastronomico. Ave-
estere, compratori e distributori o agenti, può essere decisivo
per una azienda.
Da parte nostra, oltre all'assistenza editoriale e tecnica ad
aziende e territori, garantiamo la massima indipendenza dei
contenuti. Non vi annoierete. Buona lettura.
gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 3 20/11/15 17:24
Che cosa promuoverebbe e cosa boccerebbe
nell’attuale panorama enogastronomico italia-
no? (strutture, prodotti, organizzazione)
Si potrebbe essere meno attori e più professionisti, più
ricercatori che oratori...
Sarebbe bello avere un albo professionale per la catego-
ria degli addetti in cucina.
Siamo tutti coscienti che nelle mani del cuoco c’è re-
sponsabilità verso il cliente, verso la sua salute e in
Italia credo manchi un po’ di formazione: bisognerebbe
migliorare la qualità dell’insegnamento, incentivare ed
agevolare il sistema contributivo per i ragazzi nell’ap-
prendistato, dando modo alle aziende di avviare le nuo-
ve forze lavoro con costi contenuti, migliorare da subito
il sistema ristorativo negli alberghi, premiare con in-
centivi chi si prodiga alla ricerca della tradizione, chi
acquista a km 0, chi tratta prodotti di territorio, chi
valorizza la cucina Italiana.
Quali sono, a suo giudizio, i “must”, le cose ir-
rinunciabili, per il suo concetto di cucina?
Innanzi tutto metto le tipicità nazionali. I concetti di
semplicità e genuinità non sempre coincidono con le
nuove tendenze gastronomiche... Oggi la gente si spo-
sta sempre più, ha conoscenze più ampie e maggiore
curiosità, ma proprio questo dovrebbe darci stimolo a
proporci come depositari e cultori della tradizione Ita-
liana, quindi un obbligo a mantenere alta la nostra eno-
gastronomia.
Il concetto di “fusion” - mischiare le cucine e le
esperienze di più Paesi - può essere un concet-
to-base del futuro?
E’ a mio giudizio un concetto di tendenza, di ricerca, di
sperimentazione cercare abbinamenti stimolanti intri-
ganti e anche appetibili. Anche se la base è la “radice”,
fatta di culture tradizionali, di storia, tipicità che - in-
sieme con usi e costumi - hanno fatto della cucina Ita-
liana la più esportata al mondo... Va quindi bene usare
l’alga nori, la curcuma, il cardamomo... ma non dimen-
tichiamo il rosmarino....
Dei suoi viaggi internazionali - spesso come
consulente di prestigiose strutture - cosa le è
rimasto più impresso?
Come tanti miei colleghi ho avuto modo di attraversare
gli oceani, le prime volte con lo spirito e la presunzione
di insegnare a cucinare...
Ora a distanza di anni (e di migliaia di chilometri) pos-
so dire che la nostra cucina senza dubbio è molto ap-
prezzata, ma non è certo vero che all’estero in molti
locali sia la migliore...
In Italia abbiamo a disposizione la nostra materia pri-
Modernità
&
Passato
INTERVISTA CON OTTAVIO PELLINI.
UN ESEMPIO PER I PIÙ GIOVANI
“Va premiato chi ricerca la tradizione e usa prodotti del territorio”
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cosa ed ho maturato la convinzione che chi vuole mangiare
italiano deve venire nel nostro Paese.
Comunque la cosa straordinaria che mi ha colpito all’este-
si mangia meglio, con maggiore attenzione anche ai tempi
che si dedicano alla preparazione a al consumo, mentre negli
stati dove c’è più “benessere” l’attenzione al cibo è su livelli
più bassi ed oltretutto eccessiva sia in quantità che in com-
ponente grassa .
-
ne, ispirazione?
-
zione è un aggettivo più umano... Sono doti che vanno tutte
insieme e che non si insegnano e non si imparano.
La cucina internazionale diventerà sempre più soli-
dale?
Ho dei dubbi in proposito... Sicuramente ci sarà un evoluzio-
ne, ma si potrebbe anche rischiare di cadere nelle banalità
o nei compromessi che non innalzerebbero il livello qualita-
tivo, quindi forse una promiscuità eccessiva forse rischia di
appiattirci.
-
riera?
Ho avuto la fortuna di avere genitori entrambi nel settore:
mia madre pasticcere e mio padre cuoco e così non ho mai
avuto dubbi ne ripensamenti, ho sempre amato questo lavoro
che mi ha portato a girare il mondo e mi ha fatto conoscere
ed apprezzare sempre di più la ristorazione. Ho avuto, oltre
ai miei Maestri - chef e pasticceri di grande prestigio interna-
zionale - delle soddisfazioni: dal 1980 la Federazione Italiana
Cuochi mi ha dato modo di confrontarmi in concorsi mondia-
li di cucina e pasticceria, poi dopo le mie esperienze all’estero
ho intrapreso con successo un attività di catering e banque-
ting, con ristoranti e villaggi turistici. Sono stato incaricato
di cucinare per molte personalità, tra le quali Papa Woytila,
il Presidente Ciampi, l’industriale Diego Della Valle.
Ho organizzato eventi e collaboro con aziende italiane nella
promozione di tecnologie per la ristorazione; sono consulente
di diverse scuole alberghiere, ho collaborato alla pubblica-
zione di diversi libri, faccio parte dell’equipe eccellenza della
Federazione Nazionale Pasticceri e attualmente mi occupo di
formazione e dimostrazione di tecnologie per la ristorazione.
Quali crede che siano le “ambizioni” del futuro?
Le ambizioni a volte sono opposte alla realtà ma penso che
e un riconoscimento appropriato alle capacità professionali
e umane. Mentre una speranza sarebbe quella che riparta
il comparto turistico e che ci sia necessità dell’impegno di
tutti gli operatori per soddisfare la richiesta delle eccellenze
Italiane e le bellezze naturali che tutto il mondo ci invidia.
Facciamole conoscere meglio.
2015 - Gusto in Viaggio | 5
Quel viaggio
con
Mark Ladner
Giovanni Giacchi
Con il gruppo ci incontrammo a una stazione di ser-
vizio dell’autostrada Messina-Catania. Mi avevano
avvertito, poche ora prima, che ci sarebbe stata la
possibilità di girare la Sicilia “con degli americani”.
Mi presentai all’organizzatore del viaggio, che era
etnea e che scoprii essere una persona squisita e un
grande talento, e salii nell’autobus. Mai scelta fu
più azzeccata. Tra gli “americani” c’erano manager
di tour operators leader, esperti di cucina e food
bloggers (quando questa parola in Italia ancora non
giovane timido laggiù con dei grandi occhialoni da
nerd e la faccia quasi smarrita, doveva essere uno
dei cuochi. Ho conosciuto così Mark Ladner, oggi
uno dei più acclamati cuochi della Grande Mela,
chef de “Del Posto”, incredibile cultore dei nostri
gusti e sapori. Siracusa e Ortigia, il parco naturale
Erice e al volto senza tempo di Palermo, e in que-
sto tour di una settimana tenni d’occhio Mark per
scoprirne qualche segreto, che poi non c’era: solo
curiosità – un istinto dettato dalla passione – e ab-
negazione profonda – stare sempre “sul pezzo”, con
una “voracità” che sin d’allora mi avrebbe dovuto
viaggio con Cesare Casella, oggi sul web a capo dei
cuochi italiani negli States e direttore della Scuola
di Italian Studies all’International Culinary Cen-
ter: un italiano tutto d’un pezzo, ironico e “gua-
stafeste”, con un rametto di rosmarino sempre in
evidenza all’occhiello. Oggi i due, entrambi per i
propri ristoranti, sono al top della nostra cultura
gastronomica negli Stati Uniti. Lavoro e applica-
zione, passione e studio delle materie, ecco cosa mi
hanno insegnato in quei giorni meravigliosi in una
terra unica al mondo. Hanno “copiato” i sapori e
si sono fatti ambasciatori nel mondo di tutti noi.
A distanza di anni devo ringraziarli per quel senso
d’appartenenza al mondo dei curiosi che anch’io
ormai mi porto dietro a tutte le latitudini.
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Là dove il Panaro e Secchia vanno a baciarsi, in un’E-
milia placida e luminosa, che sembra sterminata all’o-
rizzonte come la tenacia e le speranza di questo popolo,
là abbiamo conosciuto la famiglia Garuti.
Che da quasi cento anni - l’anniversario sarà fra cinque
anni, nel 2020 - fa del grande vino, rinnovandosi come
se non si fosse mai gli stessi, ma in realtà tenendo alle
origini più di ogni altra cosa.
Dante è stato il capostipite, colui che insegnò ai discen-
denti che il vino è un racconto e cresce come un figlio
e che in campagna ci vogliono umiltà e abnegazione
perché trionfi e delusioni sono il ciclo naturale non solo
dell’esistenza ma anche di chi lavora la campagna, fino
ai figli Elio e Romeo, e poi ai nipoti e ai pronipoti, e oggi
proprio loro hanno in mano l’azienda. Sette persone:
Mauro Bompani che è responsabile della produzione, il
figlio Alessio che si occupa dei mercati esteri (Svizzera,
Olanda, Danimarca, Belgio, Germania in primis) e ita-
liani, la moglie Antonella che cura l’amministrazione, e
ancora i cugini Roberto e Paola e la zia Marta che si oc-
cupano dell’agriturismo e l’altro cugino Andrea che sta
dietro ai vignetiUna storia emiliana che sembra presa
dai film di Pupi Avati, dai racconti che profumano di
passione ed epoche che non muoiono mai. Oggi l’azien-
Centanni
di qualità
DA DANTE GARUTI AI SUOI PRONIPOTI,
LA STORIA TUTTA ITALIANA DEL LAMBRUSCO DI SORBARA
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da Garuti è sì tradizione - da lì si è partiti, sono stati tra i primi per esempio a vinificare
il Lambrusco di Sorbara in purezza – ma anche e soprattutto innovazione e ricerca sul
prodotto.
La nuova collezione di vini, che verrà presentata al Vinitaly, è un modello di bontà e stile
(le nuove bottiglie ed etichette). Ci si prepara al futuro, adesso che ormai il Lambrusco
è stato “sdoganato” e va diritto al gusto delle grandissime platee internazionali, negli
Stati Uniti dove viene celebrato come lo champagne rosso, o italiane, che sempre più
apprezzano il figlio della “Vitis Labrusca”, della vite che sin dall’antichità cresceva ai
margini dei campi e oggi è diventato uno dei grandi vini nostrani.
I trenta ettari della famiglia Garuti hanno caratteristiche diverse e questa diversità si co-
glie e si dona alla produzione: il podere Marandello caratterizza per esempio profumi più
persistenti e maggiore acidità, mentre il Ca’ Bianca è ideale per fare un Lambrusco di
Sorbara amabile in purezza.
Qualità che si sentono in bottiglia, così come il gusto avverte all’assaggio la specificità
di questi vini, Lambrusco sì ma cresciuto a fianco del Salamino, con una impollinazione
che arriva fino al quaranta per cento.
Una produzione che comprende, tra le eccellenze (ovviamente evitando diserbanti e
concimi chimici!) il Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco e Amabile,
il Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco, il Lambru-
sco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco, il
Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Spumante rosato
Extra-Dry, il Pignoletto DOP "L'Una" Secco, il “Gioia”
Bianco Spumante Extra Dry.
Per garantire una maggiore qualità del prodotto, negli
anni le cantine hanno preferito passare dalle botti in
legno alle autoclavi. Così è stato anche per questi nostri
eccellenti produttori, che inoltre vendemmiano per lo
più di notte per evitare gli sbalzi termici, tra i primi a
farlo storicamente. Innovatori, ma nella tradizione, un
passato che se fate un salto all’agriturismo – ve lo consi-
gliamo – trovate nei piatti, nell’accoglienza e nelle facce
e nella gentilezza di questo intatto angolo di mondo.
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- Lambrusco di Sorbara DOP "Garuti" Secco
- Lambrusco di Sorbara DOP "Anteprima" Semisecco
- Lambrusco di Sorbara DOP "Rifermentato in Bottiglia"
- Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Secco
- Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Dolce
- Trebbiano dell'Emilia IGP "Garuti" Secco
LINEA ESSENZE IN PUREZZA
- Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco
- Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Amabile
- Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco
- Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco
- Pignoletto DOP "L'una" Secco
SPUMANTI
- Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Rosato Extra-Dry
- Spumante Bianco "Gioia" Extra-Dry.
Garuti Products
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Albergo 4 stelle ricavato dal restauro di un antico mulino
del cinquecento con 21 camere e suite, lounge bar, SPA e
sale meeting che racchiudono design, gastronomia, benes-
sere, sostenibilità, high-tech ed un attento recupero degli
elementi del passato.
In questo albergo 4 stelle a Cusago tutto è curato nei mi-
-
to della natura: geotermia ed energia solare sono utilizzate
per la climatizzazione ed il riscaldamento dell'acqua, inoltre
agli ospiti vengono proposti, prodotti biologici locali a chi-
lometri zero, coltivati direttamente o acquistati da fornitori
selezionati.
Per vivere un momento di relax o lavorare lontani dallo
stress scegliete Hotel Mulino Grande, un albergo di lusso
vicino alla Fiera di Milano Rho.
Via Cisliano 26 - Cusago MI
T +39 0290390731 - F +39 0287152455 www.hotelmulinogrande.it
L'HOTEL DEL MESE
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Winery & Farm
Holidays Garuti
The Azienda Agricola Garuti winery is located in the heart of the coun-
tryside around Sorbara, the home of the lambrusco of the same name, in
a fertile area where the Panaro and Secchia rivers are so close they al-
most touch. Rich in potassium, the alluvial terrain with its loose, sandy,
permeable structure is ideal for growing Sorbara lambrusco grapes.
For generations, the Azienda Agricola Garuti has raised the prized
Sorbara grapevine to produce a lambrusco of the highest quality (certi-
fied with the DOC mark), but with the utmost respect for wine making
tradition.
In the 1920s, Dante Garuti began growing grapevines and making wine
using the perfect combination of quality, tradition and technology. The
wine is produced with the most modern production techniques, but
without affecting the authenticity of the finished product. Garuti quality
has earned the company many national awards, such as the Gold Medal -
Gold Wreath at the Matilde di Canossa Sparkling Wine Competition, the
Silver Medal of the Mayor’s Competition, and a Medal at the Doujà D’or
D’Asti.
Traditional
Balsamic Vinegar
A section of the Trebbiano vineyards has long been devoted to growing
grapes that are used to make the cooked must for traditional Modena
DOP balsamic vinegar. For over thirty years, the winery has operated a
vinegar plant composed of barrels made of various types of wood, which
provides the vinegar with its unmistakable aroma as it matures over the
years. At Garuti, there is no universal recipe for producing a traditional
wine. What you will find is a passion for wine making that has been
handed down from generation to generation, in which the producer’s skill
and sensitivity make the difference.
The Balsamic
Dressing
The dressing balsamic vinegar contains more 'selected with all the featu-
res that come from the right maturation and aging in oak barrels.
The addition of cooked product with our own grapes, the time which
gives the density 'and light and pleasant acidity', create a product that
accompanies many dishes and enriches the simple foods.
INFO
Az. Agricola e Agriturismo "Garuti"
Via per Solara, 6 - Sorbara (MO)
Tel. e Fax 059 902021 - 059 8070084
az.agrgaruti@tiscalinet.it
info@garutivini.it
info@agriturismogaruti.it
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Se i gusti cambiano così in fretta o i bar diventano locali multi-specializzati, se insomma dobbiamo “per for-
za” cambiare pelle di continuo per soddisfare esigenze che viaggiano alla velocità dello spazio, allora c’è anche
bisogno di loro, dei Cibartisti. Pittori e cuochi, o entrambi nello stesso corpo, artisti in ogni caso, gente capace
di lanciare provocazioni che arrivano direttamente ai sensi: al tatto e all’olfatto, alla vista come al gusto. Un
gruppo che vuole trasformare i cibi in opere e istallazioni così come “riempire” i piatti anche di immagini. Il
viaggio è in realtà diretto al cuore perché la loro filosofia è nella sostanza quella dell’artigianalità e il riferi-
mento di questi eredi di Marinetti (ci sia consentito il paragone: ma col piacere al posto della bellicosità) è
l’officina – del fabbro, da cui escono creazioni e manualità sempre nuove.
Chi può fermare tutta questa energia? E’ ciò
che ci siamo chiesti girando per questa
immensa vetrina del nuovo e del professionale
che è Host di Milano. Là, colpiti al cuore,
dalla filosofia dinamica che ci viene spiegata
da Roberto Luise ed Enrico Cherchi e dalle
qualità di Stefano Marconi, il creativo chef
dell’Osteria Cuore Piccante di Foligno, che
dopo aver girato mezzo mondo in grandi
ristoranti (dal parigino Druont al Topaz
di Istanbul, dalla Locanda dell’Angelo di Sarzana e Il Carpaccio a Parigi con Angelo Paracucchi a Il Postale
con Marco e Barbara Bistarelli) ha scelto di restare nella tradizione, la bottega insomma, ma dandole la
velocità dell’innovazione propria dei Cibartisti. Potete assaggiare dunque i fiori di Carpobrotus e farina di
Kamut con crema di melanzane e pecorino, olive taggische ed olio al basilico e zenzero, un piatto sopraffino
suggerito da Marconi e da Mentana Morichini, che il Carpobrotus (www.carpob.it) ce l’ha insegnato a tutti.
Una pianta millenaria scoperta solo da poco in cucina – ma si usa anche come cosmetico o lozione calmante
e ha un’azione antimicrobica, si trova nei negozi dedicati, quelli bio, in farmacie e parafarmacie – grazie a
questa signora esplosiva che, come i colleghi
artisti, che crede nel rispetto della natura
della tradizioni ma anche del nuovo.
L’eleganza del Carpobrotus, antico e moderno
che nasce sulla spiaggia e poi insaporisce
naturalmente i piatti, esaltandone i gusti,
e consigliamo agli Chef che vogliono provare
qualcosa di autentico di provare questi
prodotti della natura dimenticati, creando
nuove frontiere sul ciglio della tradizione.
Artigiani, alchimisti, innovatori, i Cibartisti ci portano in un terreno dove c’è spazio solo per la gioia e il pia-
cere, una nuova terra in cui i territori e l’arte, la cultura e la natura, siano integrate come è sempre stato e
come qualcuno oggi, forse, dimentica. Siamo un Paese di creativi e “naturopati” nati, abbiamo il gusto come
bussola delle nostre vite, si deve tornare a quello anche contro le mode e il commercio senza regole. Questo ci
dicono i Cibartisti all’Host e, incastonandosi questo pensiero in noi come solo riuscirebbe a fare un artigiano,
ci sentiamo meglio.
2015 - Gusto in Viaggio | 11
VIAGGIO A HOST
Salone internazionale dell’ospitalità prof:
150mila visitatori, quasi la metà internazionali e idee per il futuro come quella dei Cibartisti
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Viaggio
nel mondo
della birra
artigianale
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“Siamo
un fenomeno
in crescita.
Ma senza
scorciatoie”
Che margini di crescita ha la birra artigianale?
“I micro-birrifici in Italia sono circa seicento e molti
non riescono a fare un prodotto standardizzato. Ecco,
questo è il vero problema, che si risolve solo (e c’è, come
cartina di tornasole le esperienze che hanno fatto col-
leghi imprenditori in altri Paesi, dove il fenomeno delle
birre artigianali è “esploso prima”) con l’ingrandimento
degli impianti. La stabilità del prodotto in termini di
gusto è il problema numero uno.
L’altro è il prezzo, che è ancora alto e su cui le azien-
de lavoreranno, a mio giudizio. Ma senza “scorciatoie”.
Verrà premiato chi non “spaccerà” i difetti della birra
come pregi “artigianali”, come per esempio le birre aci-
de, scariche di gas o troppo cariche”.
CHI È
Rolando Della Sera
Quarantaquattro anni, Rolando è riconosciuto come
uno dei mastri birrai e responsabili di produzione più
autorevoli del settore, sia per la vastissima esperien-
za come docente all’università di Perugia (Filtrazione
del mosto, Sistemi produttivi di birra, ebollizione del
mosto e luppolazione, prova pratica di maltazione per
il Master universitario di primo livello in “Tecnologie
birrarie”) e al 3A Parco Tecnologico Agroalimenta-
re dell'Umbria, che come componente di vari panel
internazionali d’eccellenza. Rolando, che ha fornito
un contributo essenziale alla straordinaria esperienza
del Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra
(C.E.R.B.) dell’Università di Perugia, fa anche parte
dell’Associazione Italiana dei Tecnici della Birra e del
Malto (AITBM) ed è stato nominato rappresentante
dell’Assobirra al gruppo di lavoro del EBC (European
Brewing Convention): Brewing Science and Techno-
logy. E’ autore di numerose pubblicazione scientifiche
sul settore.
Intervista a uno dei massimi
esperti del settore,
Rolando Della Sera
“
“
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2015 - Gusto in Viaggio | 13
Ritiene che il pubblico dei consumatori sia ancora
inesperto rispetto all’offerta?
“Certo l’educazione ai prodotti porterà a un palato sempre
più fino. Al momento, nonostante il fenomeno delle birre arti-
gianali sia in crescita continua, non c’è una promozione ade-
guata a supporto. Pensi che c’è gente che crede che si possa
produrre birra di qualità con tutto ciò che hanno per le mani:
pensi al tartufo! Beh, c’è da educare ancora!”
Come si riconosce una birra artigianale di qualità?
“I parametri qualitativi sono oggettivi e soggettivi come il
gusto personale. Quelli oggettivi sono importanti e creano la
base per un prodotto che si faccia apprezzare: il rispetto delle
norme igieniche, non ci devono dunque essere microrganismi
che rovinano la birra né disturbano la persona che la beve,
l’equilibrio necessario tra corpo e alcol, il sapiente utilizzo
delle materie prima”.
In Italia quello delle birre artigianali è un fenomeno
“troppo” recente?
“Certo ci sono scuole, nel mondo, che hanno fatto la storia
come quella che potremmo chiamare tedesca-ceca (in buona
sostanza una lager a bassa fermentazione e che sottende a
livello industriale quasi l’ottanta per cento della produzione),
come la scuola inglese fatta di stout e ales, come la belga, ad
alta fermentazione, con birre come quelle dell’abbazia o blan-
che. Ci sono poi le sottoscuole come quella americana, delle
birre luppolate. Tutti in passato hanno voluto produrre una
birra lager e così il risultato è stato che molte tipologie meno
note si sono perse per strada!
Sì, c’è un cammino da fare ma, come dicevo prima, stiamo
crescendo anche come gusto e aspettative”.
Che mercati ha oggi chi produce birre di questo tipo?
Si potranno esportare?
“Il trend di crescita delle nostre birre non significa che verran-
no proposte in sostituzione del vino o della birra industriale.
Con quelle artigianali si amplia l’offerta e si danno scelte al
consumatore che prima non poteva fare. Per esempio, un buon
brasato può essere gustato sia con un vino rosso o con una
birra artigianale doppio malto. Ampliandosi la richiesta e di
conseguenza la produzione, c’è la possibilità di vendere anche
all’estero e di aprire nuovi mercati che noi abbiamo già testato
in Australia, Giappone, Cina, Olanda, Stati Uniti. C’è molto
da fare, mi creda”.
BIRRA FLEA
Via F.lli Cairoli, Zona ind.le sud
06023 Gualdo Tadino (Perugia)
tel. (+39) 075 91 08 159
fax (+39) 075 91 08 159
www.birraflea.com - e-mail: info@birraflea.com
L’azienda di cui
Rolando Della Sera
è responsabile
di produzione,
tecnologo e mastro
birraio
Tradizione e innovazione: la Flea, con impianti di ul-
timissima generazione, ha una capacità produttiva di
tre milioni di bottiglie annue.
La qualità significa, per l’azienda di Gualdo Tadino,
usare solo acqua pura e solo malto di qualità con-
trollata: orzi coltivati nell’azienda agricola di famiglia
così da garantire la filiera corta agroalimentare. An-
che i fornitori sono selezionatissimi.
Le birre Flea, è il caso di sottolinearlo, non conten-
gono mai cereali non maltati, non sono filtrate né pa-
storizzate, bensì rifermentate in bottiglia con lo scopo
di preservare al massimo le loro caratteristiche orga-
nolettiche originali senza aggiungere additivi chimici.
LA STORIA
Proprio a Gualdo Tadino, dalle parti della Rocca
Flea, si trovò a passare intorno al 1242, negli anni
dell’opposizione al papato, l’imperatore Federico II e
vi trovò la fedele città ghibellina di Gualdo prostrata
dopo il terribile incendio che ne aveva distrutto il pre-
cedente abitato.
Commosso dalle sorti della città alleata, il sovrano
volle dare un segno della sua munificenza dotandola
di una cinta muraria difensiva e restaurando la Rocca,
ponendo con le proprie mani la prima pietra.
E inoltre «cavalcando in giro per il territorio, seminò
con le sue mani frumento, orzo, spelta, fave, miglio e
altre essenze, chiedendo a Dio onnipotente che facesse
crescere il castello e moltiplicare la sua popolazione e
si degnasse di assicurare cibo ed ogni bene e sicurezza
come impegno eterno» (Chromicon).
La birra Flea è l’erede di “quei semi” gettati secoli fa
dall’imperatore Federico. Hanno nomi di eroi, dame e
streghe che hanno popolato l’immaginario di queste
terre umbre: Costanza, Federico II, Bastola, Bianca-
lancia.
gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 13 20/11/15 17:24
Gran Sasso
il piccolo Tibet d'Europa
La cima più alta dell’Appennino, l’altopiano più esteso
ghiacciaio più a sud del continente. Un territorio unico,
una delle aree europee con la più elevata diversità biologi-
ca e agroalimentare. Siamo nel cuore dell’Italia centrale, a
poca distanza da Roma e a pochi chilometri dalle coste del
Mar Adriatico: il Gran Sasso d’Italia raggiunge i 2912 me-
tri di altezza ed è all’interno di uno degli scenari paesag-
gistici più autentici, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e
Monti della Laga. Tra le più belle Regioni verdi d’Europa,
l’Abruzzo, con quasi il 40% del suo territorio sottoposto a
tutela, è caratterizzato da un susseguirsi di paesaggi moz-
-
vo e quasi poetico, che ha meritato il soprannome di Picco-
lo Tibet per via del vasto altopiano di Campo Imperatore,
situato a circa 1800m di quota in provincia dell'Aquila,
con tanti piccoli laghi che costellano le montagne. Ruscelli
a formare fragorose cascate; tra il verde e le pietre levigate
delle vaste praterie che ancora recano le tracce dell’antica
pastorizia, delle cime e creste rocciose sulle quali, tra gole
Massiccio del Gran Sasso domina il paesaggio circostante,
i colli, la pianura, le città dell’Italia centrale e i due mari
Adriatico e Tirreno. Il Gigante degli Appennini si eleva
dall’altopiano di Campo Imperatore e, a est nel versan-
te teramano, si impone con una maestosa e imponente
parete verticale. Il contesto naturalistico e paesaggistico
di eccezionale valore, abbinato all’enogastronomia di qua-
lità e a patrimoni di folklore, borghi, siti archeologici e
monumenti, fanno del Gran Sasso una delle nuove e più
apprezzate destinazioni turistiche nel panorama nazionale
ed internazionale. La tradizione artigianale ha radici stori-
che e culturali profonde e la produzione enogastronomica
e culinaria annovera le eccellenze più pregiate del Made in
Italy. L’enogastronomia è profondamente legata alla sta-
gionalità delle colture e condizionata da aspetti tradiziona-
li della vita agro-pastorale, che ne determina il metodo di
produzione e di preparazione. La vitivinicoltura è rappre-
sentata dal Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane e
di Giovanni Giacchi
Lago di Campotosto (AQ)
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Vette, laghi e cascate, tra verde e storia: uno tra i paesaggi più belli d'Italia.
e del rispetto per l'ambiente
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Foto di A. Palermi
la produzione olearia dalla DOP olio extravergine di oliva
Petruziano delle Colline Teramane, ottenuta seguendo una
disciplina di produzione che ne garantisce le caratteristi-
che di qualità chimica, organolettica e di tipicità. Altra
tipicità sono il grano solina, il farro, la saragolla e il mais,
utilizzati per la produzione di farine alimentari e per la
preparazione di pietanze a base di cereali. La triade medi-
terranea grano, vite e olivo è dunque ampiamente rappre-
sentata nelle aree pedemontane.
Le specialità più popolari sono gli arrosticini (spiedini di
castrato) e la porchetta, quest’ultima legata soprattutto ai
territori di Colledara e di Campli, dove i mastri porchet-
prodotto d’eccellenza dello street food.
I piatti di primavera sono le scrippelle, il timballo, l’agnel-
lo cacio e ovo, le cotolette di agnello, l’agnello o capretto
al forno, le mazzarelle (interiora di agnello avvolte con
indivia scarola legate con le budelline) e la pizza di Pasqua
(dolce di uova, farina, zucchero, olio, uva passa, canditi,
semi di anice e lievito). Durante il mese di maggio, le erbe
spontanee, le prime verdure, i legumi, le granaglie, vari
formati di pasta arricchiti con polpette di carne macina-
ta, brodo e cotenna di maiale vanno a costituire il piatto
tipico de “le virtù”. Pecorino e fave, pane con salsiccia
spalmata, cacio fritto con pastella di uova e farina sono
i piatti tipici della primavera. La ricchezza delle erbe dei
prati naturali di montagna dona al latte delle greggi al
pascolo profumi intensi.
Le pietanze tradizionali estive sono essenzialmente a base
di carne ovina: agnello al forno o alla brace, pecora alla
"callara", spezzatino di pecora. Tra i salumi e le carni,
oltre alla lonza ed i salami nostrani, particolarmente ca-
ratteristica è la mortadella di Campotosto e la ventricina,
fatta con lardo macinato e aromatizzato con spezie varie.
Della mattanza del maiale ricordiamo altri prodotti tipici
come le salsicce di carne e di fegato, i cotechini, la" 'ndocca
'ndocca". I prodotti estivi più caratteristici degli orti sono
i legumi ed i pomodori a pera o cuore di bue, con cui si
preparano anche le conserve. Tra la frutta più ricorrente
cannella. I piatti autunnali sono a base di pasta o di legu-
mi secchi (“tajarill e fajul”). Inoltre compaiono nei boschi
(scorzone, tartufo nero pregiato e tartufo bianco).
All'autunno è legata anche la cucina della cacciagione di
lepre, di volatili e di cinghiali. Le varietà autunnali tipiche
di frutta sono le mele gelate e le mele rosa, oltre tutti i
utilizzata anche per la preparazione dei dolci tradizionali
(la croccante di mandorle, gli spumini, il torrone, la pizza
dolce). Il frutto autunnale più rappresentativo è sicura-
mente quello dei castagneti di montagna, il pregiato mar-
rone della Laga.
Le tipicità invernali sono i legumi dell’area aquilana ceci,
fagioli, cicerchie, lenticchie, e la dolce e gustosa patata
turchesa. Il tradizionale baccalà, la stracciatella in brodo
con il cardo e il timballo di scrippelle. Non meno ricercati
i dolci: caggionetti, pepatelli, bocconotti, sfogliatelle, fer-
di genziana, genepì, vino cotto o ratafìa. La festività di
Sant’Antonio è caratterizzata, da questo punto di vista, da
"li cellit" (una pasta ripiena con marmellata d'uva condita
con mandorle); per San Biagio si preparano i taralli lessa-
ti; per San Giuseppe le zeppole. Il giovedì grasso ricorrono
le “scrippelembusse”; a carnevale i ravioli di ricotta, e du-
rante la quaresima sarde fritte e baccalà arrosto, in umido
o fritto in pastella con cavoli e rape. Il patrimonio della
biodiversità agroalimentare conta molti altri prodotti di
-
no, canestrato, giuncata, ricotta e caciotte), i mieli e altre
cchi Borgo di Pietracamela (TE)
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Archivio Parco Naz. Gran Sasso e Monti della Laga
foto di Maurizio Anselmi
produzioni di nicchia che in ogni parte, sono l'espressione
più autentica del territorio.
Per valorizzare questo grande patrimonio naturalistico
culturale ed enogastronomico, che è ancora poco cono-
sciuto a livello nazionale ed internazionale, il 20 maggio 2015
è nato il Distretto Turistico del Gran Sasso d’Italia.
Ne parliamo qui a fianco con Claudio Ucci e i due Presidenti
delle DMC (Destination Management Company) del
Gran Sasso, Luigi di Furia e Alfonso D’Alfonso.
Claudio Ucci è il presidente del Distretto Turistico Monta-
no, primo in Italia, e dirige un comitato di sette persone.
Come nasce il Distretto? Con l’approvazione dell'atto
costitutivo da parte di sessanta sindaci dei Comuni del
territorio attraverso la Conferenza dei Servizi, il che con-
sentirà di ottenere il riconoscimento di primo Distretto
Turistico Montano d’Italia da parte del Ministero dei Beni
Culturali e del Turismo. Si tratta del distretto più grande
d’Italia.
E’ un nuovo modo di proporre il turismo? Certa-
mente. Il fine è quello di creare un sistema territoriale
integrato che organizzi in modo unitario l’offerta turistica.
In un sistema economico globalizzato la valorizzazione del
patrimonio naturalistico, artistico, culturale ed enogastro-
nomico non delocalizzabile, rappresenta un’enorme oppor-
tunità ed un valore aggiunto sul quale costruire una pro-
posta turistica integrata e di qualità. Infatti, lo strumento
del Distretto consentirà anche di tutelare giuridicamente le
imprese che vi aderiscono, rendendo più agevole l’accesso
al credito, creando maggiori opportunità di investimento e
semplificando i rapporti con le pubbliche amministrazioni.
Chi ha aderito, oltre ai Comuni fondatori, alla pro-
posta? Le due DMC - Destination Management Com-
pany - rispettivamente del versante aquilano e teramano
del Gran Sasso che insieme raggruppano circa quattrocen-
to operatori, le Camere di Commercio, l'Istituto Nazionale
di Fisica Nucleare, l’Ente Parco Gran Sasso e Monti della
Laga, il CAI, il Corpo Forestale dello Stato, le Province,
il Centro turistico del Gran Sasso. Altro valore aggiunto
dei distretti, risiede nel loro essere zone a burocrazia zero,
nelle quali sono a disposizione delle imprese sportelli uni-
ci di coordinamento delle attività delle agenzie fiscali e
dell’Inps e di front-office per procedimenti di competenza
delle amministrazioni statali.
Quali sono i fini a breve-medio termine? Le riporto
le parole del vicepresidente della Giunta regionale, Gio-
vanni Lolli, che ha aperto la Conferenza dei Servizi, per il
quale si tratta di "un'operazione che sancisce il definitivo
rilancio in termini turistici della montagna più importante
dell'Appennino e la volontà di creare un prodotto turisti-
co, connotato dagli elementi dell'identità del territorio e
dalla qualità, in grado di collocarsi con autorevolezza sul
mercato turistico nazionale e internazionale”. E’ la sinte-
si, ma posso aggiungere che proprio l'esperienza del Gran
Sasso potrebbe essere punto di riferimento per altre espe-
rienze simili per altre aree montane turistiche dell'Appen-
nino. Oggi il turista non si muove solo per consumare un
prodotto ma per vivere un'esperienza. Non viene solo a
sciare ma anche a cercare una gastronomia di livello, delle
attività ricreative per i più piccoli, un'offerta culturale sti-
molante. Noi abbiamo queste potenzialità."
Alfonso D’Alfonso è il Presidente della DMC (Destination
Management Company) L'Aquila e Terre Vestine.
A che punto siamo nella crescita delle DMC? Abbia-
mo potenzialità enormi, soprattutto nell’Europa del Nord,
penso anche agli Stati Uniti e al mondo anglosassone in
genere. Abbiamo a che fare con un territorio straordinario
e un’offerta di qualità. Ma credo che bisogna ancora di più
accrescere la fiducia negli operatori.
Cosa può essere fatto nell’immediato futuro? Deve
essere costruito e promosso il brand Abruzzo. Non è più
““
Calascio (AQ)
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La proposta turistica
è ora integrata e di qualità
““Con la filiera coinvolgiamo
i privati nella governance
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tempo di parlare singolarmente, a fronte del possibile svi-
luppo che ci aspetta. Oltre a credere di più nei propri
Su cosa si può puntare in particolare? Sulle eccel-
lenze ambientali, enogastronomiche, sulle attività sportive
come la bike in tutte le sue forme, sci, equitazione: abbia-
mo un ambiente unico in Italia. E anche, ovviamente, sulle
nostre ricchezze culturali.
Crede che il cammino intrapreso sia quello giusto?
Non ho dubbi, solo così potevamo rilanciarci ed essere un
modello unico, con le nostre DMC e PMC (Product Ma-
nagement Company), destinazioni turistiche e di prodotto.
E’ stata una scelta vincente della Regione Abruzzo, che ha
così coinvolto non solo gli operatori del mondo turistico,
governance partecipano così tutti.
Luigi Di Furia, Presidente della DMC Gran Sasso Laga
scarl, manager in passato di importanti realtà impren-
ditoriali, è oggi titolare di un’azienda nella quale si pro-
ducono salumi e formaggi tipici. Salvaguardare le sue
eccellenze gastronomiche va di pari passo con la pro-
mozione di un territorio che non ha nulla da invidiare
a paesaggi e ricchezze di altri Regioni italiane. “La re-
cente crisi economica - ci dice Di Furia - ha portato ad
e nel frattempo non c’è stato ‘ricambio’ di strategie.
Oggi gli operatori del settore vanno alla ricerca di nuovi
esigenze è stata individuata nel modello da noi propo-
sto e attuato, quello della DMC Gran Sasso Laga. Ma
attenzione, rilanciare il turismo e tutto ciò che ruota
intorno ad esso parte dall’analisi delle tipologie di turi-
soddisfazione delle varie tipologie dei nostri ospiti”. La
possibilità di avere un territorio così variegato consente
una scelta di grande livello. “Esprimiamo varie eccel-
lenze artistico-culturali ed enogastronomiche, ma senza
dubbio l’attrazione principale è la natura che trova la
massima espressione nel Parco del Gran Sasso e Monti
della Laga. Il massiccio del Gran Sasso, che ospita il
ghiacciaio più a sud d’Europa, è circondato da territori
incontaminati dove l’uomo ha creato i suoi insediamenti
rurali nel rispetto della natura. Abbiamo uno dei San-
tuari più visitati d'Italia, antichissimo e con un fascino
ancora intatto ai piedi del Gran Sasso, il santuario di
San Gabriele dell'Addolorata. Nel territorio della no-
stra sola DMC ci sono tre dei Borghi più belli d’Italia:
Castelli, il paese delle ceramiche, Civitella che ospita
Pietracamela antico borgo alle falde del Gran Sasso
dove l’antico nucleo abitato, risalente al XIII secolo,
costruito tutto in pietra su uno sperone di roccia, nel
suo territorio si trovano piste attrezzate per gli sport
invernali”. E per rendere queste straordinarie bellezze
“moderne”, cioè atte all’utilizzo degli ospiti italiani e
stranieri, è necessario valorizzare il territorio. “Stia-
coinvolgendo la popolazione a rendere eccezionale l’o-
spitalità, recuperando e valorizzando le antiche usanze,
creando e promuovendo azioni di coordinamento tra i
consorziati, e tra le esigenze del territorio e gli enti,
organizzando eventi meravigliosi, strutturando azioni
di web marketing mediante l’utilizzo di tecnologie all’a-
DMC Gran Sasso Laga - Cuore dell'Appennino Scarl
sede legale: 64049 - Tossicia (TE)
Contrada Piana dell'Addolorata
Via Savini 12-14 CO Camera di Commercio
tel.: +393427130621
e-mail: info@dmcgransassolaga.it
web: www.dmcgransassolaga.it
DMC Gran Sasso d'Italia
L'Aquila e Terre Viestine Scarl
sede legale: Assergi (AQ)
Via del Convento, 1
C/O Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
sede operativa: Penne, Largo San Nicola, 6
C/O Wolftour srl
tel.: +393396842474 - 085.8278444
e-mail: dmcgsiav@gmail.com
web: www.dmcterredeipopoli.it
Distretto Turistico Gran Sasso d'Italia
2015 - Gusto in Viaggio | 17
““La soluzione si chiama
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Il processo è in atto, e dovrebbe farci incre-
Sappiamo di essere sulla
buona strada”.
L'alimentazione
di un campione
del mondo
Come si alimenta un pilota, durante la settima-
na e nel weekend di gara?
ANTONIO TROTTA - Per quanto mi riguarda
posso parlare dei weekend di gara: i piloti solita-
mente a pranzo prediligono pasta in bianco, con
olio di oliva o parmigiano, mentre Melandri è so-
lito preferire la pasta integrale, a volte al Kamut.
A cena solitamente per i piloti preparo carne ros-
sa oppure tonno; Bautista è invece un amante del
salmone.
Quale cibo a volte le manca in modo particolare?
O non si fa mancare niente?
FAUSTO GRESINI - La pasta, decisamente! Non
riesco a farne a meno, soprattutto se condita col
ragù, come da tradizione romagnola...
C'è uno "schema" settimanale standard di ali-
mentazione o si cambia a differenza dei Paesi e
dei climi differenti? C'è una "base" alimentare
che non viene toccata dal fattore viaggi?
ANTONIO TROTTA - La pasta è una "base" che
non manca mai, ovviamente, a prescindere dal
Paese in cui ci troviamo! Normalmente comunque
facciamo la spesa appena arriviamo sul posto e co-
struiamo il menu di conseguenza, anche se non ci
sono molte variazioni da un Gran Premio all'altro.
Cosa chiede in particolare al suo Chef? Ci può
descrivere in poche parole la vostra collaborazio-
ne? E per i tecnici del team?
FAUSTO GRESINI - Ai Gran Premi mi piace
adottare un'alimentazione non troppo pesante, in
modo da mantenermi leggero: spesso quindi richie-
do al mio chef dei piatti di pesce, tonno e sushi in
particolare.
ANTONIO TROTTA - Il mio lavoro di chef ai
Gran Premi inizia molto prima che le moto scen-
dano in pista: partiamo con i bilici dell'hospitality
diversi giorni prima, poi iniziamo ad allestire la
cucina. Nel weekend la giornata inizia alle 6.30 e
fino alle 11 'maciniamo' vassoi e piatti per prepa-
rare il pranzo per tutti i membri del team e gli
ospiti, spesso numerosi. A pranzo prepariamo un
buffet, mentre a cena cerchiamo di preparare un
Intervista al grande
Fausto Gresini
e al suo Personal Chef,
Antonio Trotta
“
“
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menu più ricercato, proprio come in un ristorante
'in'.
Quella del pilota è un'alimentazione speciale.
Quali altre professioni secondo lei potrebbero es-
sere più "vicine" in questo senso?
ANTONIO TROTTA - Fondamentalmente i piloti
una dieta che può essere tranquillamente parago-
nata ad altri sportivi di altre discipline.
Lei ha viaggiato in tutto il mondo. Ha qualche
aneddoto particolare culinario da raccontare ai
nostri lettori?
FAUSTO GRESINI - Le prime trasferte che ho
fatto in Giappone le ho odiate... non mi piaceva
iniziato ad apprezzare il sushi, che ora è addirit-
tura diventato uno dei miei piatti preferiti! Viag-
giare è bello anche perché permette di scoprire e
in seguito anche apprezzare nuove realtà culinarie.
Quali sono le sue preferenze, sempre nell'ambi-
to enogastronomico?
FAUSTO GRESINI - Della pasta e del sushi ho
già detto; per quanto riguarda i vini, prediligo i
bianchi fermi e profumati. Anche se con la carne,
ovviamente, ci sta bene un bel rosso, direi un Ba-
rolo, oppure un Sangiovese.
Come campione e vero testimonial dell'Italia
nel mondo, ha mai abbinato o pensato di abbi-
nare la sua immagine al settore Food & Wine?
FAUSTO GRESINI - Diciamo che ora sarei pronto
per farlo! Quando ero pilota ero costretto a mante-
nermi più in forma e a fare attenzione all'alimenta-
zione, adesso invece mi piace molto la buona cuci-
na, sedermi al tavolo con davanti un bel bicchiere
di vino... Infatti sono perennemente a dieta, anche
se non ci riesco!
Cosa prepara per gli ospiti del team e del pad-
dock? Cambia il cibo a seconda dei Paesi? Qual-
che aneddoto in merito di qualche ospite e ri-
chiesta particolare?
ANTONIO TROTTA - Come già detto il nostro
menù non ha molte variazioni nel corso della sta-
gione, anche se possono essere inseriti dei piatti
locali a seconda del Gran Premio. Non mi viene
in mente un piatto in particolare, però ho sem-
pre un trattamento di riguardo per Fausto e per
i suoi ospiti, per i quali preparo sempre dei piatti
gourmet e spesso sperimento anche nuovi piatti,
divertendomi.
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In principio
era… il mistero
IL CAFFÉ DALL’ORIENTE
ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA
di Roberto Trevisan
Come per tutte le cose buone e apprezzate in cucina (si
pensi alla pizza, alla pasta ecc.), anche per l’“oro nero”
sono in molti a vantarsi di averlo scoperto e di avergli
dato i natali, con la conseguenza che il caffè è oggi con-
siderato bevanda nazionale in molti Paesi, dal Brasile
all’Italia. Se, dunque, non v’è dubbio che l’espresso ita-
liano sia il tipo di caffè più conosciuto al mondo, resta
da appurare se il caffè sia la più italiana delle bevande
esotiche ovvero la più esotica delle bevande italiane.
In realtà, poco si sa storicamente dell’origine di questa
bevanda e molte sono, invece, le leggende legate alla
sua scoperta più o meno casuale. Un aiuto a chiarire
la vexata quaestio della sua genesi può venire dall’ori-
gine della pianta e dall’analisi del suo nome: la Coffea
arabica è infatti originaria dell’Etiopia e il suo nome
deriverebbe dalla regione di Kaffa in cui il caffè sarebbe
stato originariamente scoperto.
Tuttavia, secondo Pellegrino Artusi (1820–1911), auto-
re del celeberrimo trattato La scienza in cucina e l’arte
del mangiar bene (1891), il miglior caffè è quello pro-
veniente dalla città yemenita di Moka e ciò potrebbe
fornire un´altra chiave per individuarne il luogo d’ori-
gine. Dalla leggenda il caffè sarebbe nato casualmente
dall’osservazione, fatta da alcuni monaci (altri vogliono
da un pastore di nome Kaldi), che le capre, dopo aver
mangiato le bacche rosse di un certo arbusto, diventa-
vano più vivaci e irrequiete.
Così, per combattere i colpi di sonno, principale nemico
delle preghiere notturne, i monaci avrebbero provato
a rendere commestibili anche per l’uomo le bacche di
quella pianta, abbrustolendole, macinandole e facendo-
ne un infuso. Un’altra leggenda vuole, invece, che le
bacche bollite dell’arbusto abbiano salvato la vita ad
un arabo di nome Omar e ai suoi compagni, condannati
a morire di fame nel deserto vicino alla città di Moka.
Stando agli enciclopedisti francesi, altre teorie non poco
discusse ossia che riferimenti al caffè si troverebbero
addirittura nel testo dell’Odissea, né mancano, nella
leggendaria genesi del caffè, echi biblici e religiosi in
genere. Così, sarebbero in realtà chicchi di caffè sia il
«grano tostato» regalato da Abigail a David in segno
di riconciliazione (cfr. 1 Sam 25, 18ss.) sia le «pietre [=
bacche] preziose» regalate dalla regina di Saba a Sanso-
ne (cfr. 1 Re 10, 2ss.). Né i riferimenti religiosi restano
circoscritti al solo ambito giudaico-veterotestamentario,
ché di caffè l’arcangelo Gabriele avrebbe fatto dono a
Maometto in persona, onde vincere la sonnolenza.
Se queste leggende farebbero risalire l’origine del caffè
all’VIII secolo a.C., le prime testimonianze storicamen-
te accertate sulla bevanda sono di molto posteriori. È
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infatti all’incirca intorno all’anno Mille che Avicenna
prescrive il bunc (nome abissino del caffè) come forte
antidepressivo e digestivo (soprattutto per cibi troppo
pesanti e grassi).
Sulla scia di Avicenna, il caffè interessò medici e scien-
ziati occidentali già prima di approdare in Europa. Essi
ne studiarono le caratteristiche e gli effetti sull’uomo,
lasciando molti studi nella trattatistica cinque-seicente-
sca. La prima descrizione “medica” del caffè stampata
in Europa fu opera di un medico di Augusta di nome
Leonhard Rauwolf che tra il 1573 e il 1576 visitò Geru-
salemme e il Medio Oriente. Nel suo diario di viaggio,
pubblicato nel 1582 col titolo Reiß in die Morgenländer,
egli loda il «guet getränck» per le sue proprietà curati-
ve, soprattutto per lo stomaco, offrendoci uno spaccato
sul modo in cui essa viene consumata in quelle terre
lontane: Di qualche decennio successivo è, invece, la de-
scrizione dell’“acqua nera” e delle sue proprietà digesti-
ve fatta da Jean de Thévenot, altro viaggiatore europeo
in Vicino Oriente. In ambito italiano si distinguono gli
studi di Prospero Alpino e del medico bolognese Angelo
Rambaldi. Quest'ultimo si dedicò all’Ambrosia arabi-
ca (1691), rilevando che il caffè non solo teneva svegli
senza diminuzioni di forze, ma corroborava lo stoma-
co, asciugava le flussioni, preservava dai calcoli e dalla
gotta, sradicava le ostruzioni, quietava i tumulti delle
parti naturali, cioè di “affetti ipocondriaci”, sollevava
gli idropici, raffrenava gli isterici, apriva copiosamente
le urine e le “purghe” delle donne, aiutava le gravi-
de, preservava dalle febbri intermittenti col solo fumo,
aguzzava la vista e faceva effetti che per essere fra di
loro contrari, parevan fuori dall’ordine di natura.
Una diagnosi medica, sia pur non basata su cognizioni
specifiche, ci viene dalla cerchia degli Illuministi mene-
ghini, sancendo la giustezza della bevanda per questo
tipo di intellettuale: Il caffè rallegra l’animo, risveglia la
mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno,
ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco
moto e che coltivano le scienze.
Nel corso del Cinquecento il caffè lascia i territori ori-
ginari dell’Arabia e dello Yemen per diffondersi prima
in Turchia e di lì conquistare l’Europa e le Colonie del
Nuovo Mondo. Probabilmente al 1475 risalgono le prime
botteghe di caffè di Costantinopoli. Pertanto, nonostan-
te l’origine araba, nell’immaginario collettivo europeo
sarà la Turchia ad essere associata alla bevanda nera.
In Turchia il caffè è un’istituzione che ha i suoi mini-
stri, i suoi sacerdoti e i suoi ferventi. La carica di «gran
caffettiere» (kahveci başı) presso il Sultano è più impor-
tante di quella di primo ministro, perché, se non altro,
è più stabile. […] Poiché qui si beve del caffè da mattina
a sera, a tutte le ore del giorno, senza ragione, senza
contare, come si fuma una sigaretta; da tutti, dovun-
que. Dal moka delizioso, al profumo inebbriante, che lo
schiavo vi offre nelle case turche, servito in minuscole
tazze introdotte negli zarfs d’argento, al modesto caffè
mescolato a ceci abbrustoliti e ridotti in polvere finis-
sima, che si vende a uno o due soldi negli innumerevoli
caffè della città, il consumo che si fa di questa bevanda
è favoloso. Nelle piazze, nei cortili delle moschee, ad
ogni angolo di via – propizio –, si trovano caffettieri
ambulanti che in un primitivo fornello fanno cuocere
del caffè che servono ai numerosi clienti di passaggio da
mane a sera.
La straordinaria diffusione del caffè nella società turca
aveva del resto già fatto restare a bocca aperta l’anoni-
mo compilatore degli Annali Universali di Statistica del
1825, allorquando notava che la passione degli Orientali
per questa bevanda è al di là d’ogni dire. In tutti gli
ordini dello stato, gli uomini, le donne, i fanciulli ne
prendono ad ogni istante del giorno.
Dappertutto ove si vada, qualunque visita si faccia, fra i
grandi, fra gli artigiani, fra i Maomettani, fra i Cristia-
ni, nelle case, negli uffici, nei magazzini, nelle botteghe,
alla città, alla campagna, i padroni di casa cominciano
sempre col presentare il caffè: se la visita è lunga, si
offre con piacere una seconda e una terza tazza.
Dopo la diffusione in Anatolia, nel corso del Cinquecen-
to, dovranno passare quasi due secoli prima che l’“oro
nero” possa diffondersi in Europa. Nel 1645 le prime
tracce del caffé nelle botteghe di spezie orientali, 1650
viene importato quasi regolarmente dalle colonie orien-
tali Inglesi e si diffondono le prime caffetterie nelle prin-
cipali capitali europee.
Secondo la vulgata, il caffè sarebbe arrivato in Euro-
pa nel 1683 in seguito al secondo assedio turco della
città di Vienna. Sbaragliati gli Ottomani, infatti, nel
loro accampamento furono rinvenuti, insieme a merci
e tesori vari, sacchi di strani chicchi tostati fin’allora
sconosciuti agli Occidentali. Stando alle fonti storiche,
l’accampamento turco contava ben ventidue tende nelle
quali i vincitori rinvennero viveri di ogni genere, tra
cui il caffé. Fu Franz Koltschitzky, una sorta di “turco
viennese” di origine polacca, poliglotta, cosmopolita e
viaggiatore, a riconoscere in quei «Bohnen» gli stessi
chicchi che aveva visto nel corso dei suoi viaggi nelle
caffetterie di Istanbul. Fiutato l’affare, come ricompen-
sa per i servigi resi (aveva avuto un ruolo fondamentale
nel recapitare dispacci militari segreti) Koltschitzky si
fece regalare i sacchi di caffè dall’imperatore asburgico
e, forte del Privileg des Kaffeeausschanks concessogli
dal monarca, aprì poco dopo “Zur blauen Flasche”: la
prima bottega in città (e, a quanto pare, in Occidente)
in cui si mescesse il cosiddetto “vino d’Arabia”.
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La prima cosa che si ricorda di Cervia? Le sue montagne di sale, i
cumuli bianchi che si stagliano all’orizzonte da ovunque si guardi.
E poi le vasche che si ripetono tutte uguali e i fenicotteri rosa. È
qui che inizia il racconto del sale, delle saline e della città fondata.
Cervia era fino al 1600 una città di terra, che si trovava a mon-
te delle saline in un antico insediamento, qualcuno dice perfino
etrusco, che si chiamava Ficocle. Tutta la vita degli abitanti della
città delle alghe (questo significa letteralmente Ficocle infatti)
era legata alla vita del sale.
Il lavoro era assicurato, ma la fatica era tanta, così come i proble-
mi, non ultima la malaria. Quel borgo antico, in mezzo alle saline
era diventato invivibile. Eppure il sale era ricchezza. I signori, i
padroni, prima il Papa, poi il Doge di Venezia, quindi, per un
brevissimo periodo i signori di Cesena, i Malatesta, infine nuova-
mente e a lungo il Papa, lo chiamavano l’Oro Bianco. Per loro,
per gli abitanti della vecchia Ficocle, a monte delle saline, era
sudore, saliva da sputare e sangue. Era soprattutto morte sicura
La città fondata
e l’oro bianco
di Letizia Magnani
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a causa della malaria. Così lottano gli abitanti e quando
la lotta non basta più implorano.
Chi implorano? Il Papa. Chiedono al signore che tut-
to può di poter distruggere pezzo per pezzo le proprie
case, la piazza, la chiesa, per poter ricostruire tutto più
a valle, sulla marina, al di là delle saline, dove già il
Papa sta facendo costruire i Magazzeni del Sale, dove
dovrà essere custodito il prezioso oro bianco e la Torre
San Michele che dovrà stare, silente ed eretta, sempre
sveglia, a guardia del prezioso sale.
Finalmente, dopo anni di richieste, Papa Innocenzo XII
concede il suo benestare per la ricostruzione della città.
Nel 1697 il Papa firma infatti il chirografo che cambierà
del tutto la storia di questa piccolissima comunità.
Cervia Nuova nasce quindi come città fortificata, at-
torno alla sua economia, la produzione del sale, per
questo viene anche considerata una città industria o
“città fabbrica”.
D’altra parte il sale è sempre stato prezioso, non a caso
lo chiamiamo l’oro bianco. Il sale è stato lungo il petro-
lio del mondo, in epoca classica e moderna e soprattut-
to è stato il petrolio del Mediterraneo e quindi dei paesi
che vi si affacciano, dall’Europa e dall’Africa.
L’intera storia dell’alimentazione è legata al sale, alla
necessità di dare sapore alle pietanze e quindi alla vita.
Il sale di Cervia
La Salina di Cervia è la più a nord d’Italia e si estende
per 827 ettari, in un parco naturale, oggi porta sud
del Parco del Delta del Po e da sempre riserva natura-
le di popolamento per molte specie animali e vegetali.
La salina è grande un terzo dell’intera estensione del
comune di Cervia ed è compostata da oltre 50 bacini,
formati ognuno da tre vasche, complessivamente lunghe
un chilometro e larghe 160 metri. È qui che si forma e
si raccoglie il sale, in maniera artigianale, proprio come
avveniva un tempo, ma con l’ausilio di una nastro tra-
sportatore e di un carrello, che è in tutto e per tutto un
trenino. L’uso di macchine per la raccolta risale al 1959
Il Presidente
del parco della
Salina di Cervia srl
Giuseppe Pomicetti
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La difesa del territorio,
una scommessa vinta
in nome dell'eccellenza
Giovanni Giacchi
La tradizione delle Saline è in primo luogo una que-
stione di identità.
Al momento di decidere su quale dovesse essere il fu-
turo di quest'area di eccellenza a sud del Delta del
Po, la comunità locale si compattò ancora di più. Le
Saline erano e sono il bene paesaggistico e storico più
importante di Cervia, un'ecosistema che - all'epoca in
cui si decise - avrebbe dovuto essere preservato anche
per evitare che quelle zone diventassero paludi. La
cessione dei Monopoli dello Stato sarebbe stata poi
volano per la creazione di un'eccellenza e di un'iden-
tità conseguente, al pari di ciò che successe alle saline
siciliane e pugliesi. Una scommessa vinta.
-
vole di tutto il mondo e viene usato dai migliori gour-
met del pianeta, fatto di cloruro di sodio purissimo,
storia di una comunità tenace e preveggente e diventa
un esempio, una sorta di oggetto-cult, su come si deb-
ba fare impresa valorizzando i nostri territori.
La società Parco della Salina di Cervia, costituita tre-
dici anni fa per volontà di Comune di Cervia, della
Provincia di Ravenna, del Parco del Delta del Po e
della Camera di Commercio di Ravenna, una società
pubblica con un solo socio privato, le Terme di Cervia
di Brisighella, ha dimostrato anche come si possa cre-
are business sul prodotto d'eccellenza e sugli aspetti
a traino, quali il turismo enogastronomico - sempre
più importante nel mondo del Food & Wine, in ascesa
come numeri e qualità dei visitatori - e quello ecolo-
gico.
La Cultura insomma che diventa impresa e questa è
una storia che in Romagna ha numerosi esempi.
In epoca di dissolvimenti - quello, ad esempio per chi
scrive, dell'unità nazionale per come l'abbiamo intesa,
o quello dei fondi pubblici e degli investimenti - la via
scelta dalle Saline, di creare e salvaguardare un terri-
torio che è anche ecosistema, ci appare la risposta più
intelligente e ovvia.
Speriamo che in epoca di strane spending review non
distruggano anche questo gioiello per cui ogni appas-
sionato di cucina o di ambiente del mondo farebbe
follie.
e da allora - salvo nella Salina Camillone, sezione vivente
del Museo del Sale, Musa, dove la raccolta avviene ancora
a mano, con il metodo detto a raccolta multipla - ogni
cavadura.
La cavadura è la raccolta del sale. L’acqua del mare viene
fatta entrare dal canale immissario, che si trova a Milano
Marittima, all’altezza della prima traversa e viene movi-
mentata nei canali che percorrono l’intera area del terri-
torio di Cervia. Di passaggio in passaggio l’acqua di mare
si crea il sale. Il sale quando viene raccolto è bagnato e
molto pesante: il suo colore tipico è il rosa. Il rosa gli deriva
dal colore dell’acqua di mare concentratissima nella quale
vive un microorganismo unicellulare, un granchietto rosso,
l’artemia salina, che dà il tipico colore non solo ai bacini
salanti e al sale, ma anche al piumaggio dei fenicotteri rosa.
Ma perché il sale di Cervia è dolce? La posizione della sa-
lina, le caratteristiche dei bacini e del mare Adriatico, del
sole e del vento, fanno in modo che il sale che se ne ricava
sia costituito di cloruro di sodio purissimo, con una bassa,
quasi inesistente presenza di altri cloruri più amari, come
il solfato di magnesio, di calcio, di potassio e il cloruro di
né sbiancare chimicamente il sale, lo lascia integrale e ad
alta solubilità. Il sale dolce di Cervia mantiene infatti l’u-
midità che gli deriva dal suo percorso nelle vasche e anche
il suo colore tipico, che non è bianchissimo, ma anzi ha in
sé tutte le sfumature del rosa e del grigio che gli derivano
dal percorso produttivo e storico. Quindi è un sale dolce
e integrale, che mantiene inalterate le caratteristiche di
salubrità fondamentali per la vita. Il sale dolce di Cervia
è infatti ricco di oligoelementi presenti nell’acqua madre
(e utilizzati nella linea benessere come iodio, zinco, rame,
magnese, ferro, calcio, magnesio e potassio).
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Quella che i ravennati considerano la Casa è una palaz-
zina rosata dal gusto un po’ retro nel mezzo di un viale
cittadino. Più che affascinare (con gli “effetti speciali”
che oggi sono richiesti a tutto ciò che parla di cibo e vini
e di cui qui per fortuna non v’è traccia) la facciata pro-
fonde gentilezza e quasi tenerezza. Calore, direi, e senso
di appartenenza quasi istintivo, la sensazione di ritor-
nare a casa. Sensibilità condivisa visto che da questo
portone sono entrati quasi tutti: attori e capitani d’in-
dustria, politici e presidenti, intellettuali e bellimbusti,
ma per lo più gente semplice, che come gli altri ha visto
nell’arte di questa famiglia di ristoratori il segnale che
l’Italia poteva andare avanti con il suo segno distintivo
di creatività e buone maniere.
Lui si chiama Ferdinando Turicchia, Commendatore al
Merito della Repubblica Italiana, e a Ravenna sanno
che insieme ai figli Umberto ed Eva e alla moglie Delia è
il padrone di casa. Il locale, che è un mix di eleganza li-
berty e inizio secolo, con i salottini e i mobili antichi mi
fa ritornare in mente la casa di mio nonno nel Pesarese
e quelle atmosfere ovattate e l’odore buono che veniva
dalle cucine. Qua “Al Gallo” non si urla. Per fortuna
siamo distanti anni luce da quei protagonismi (Ferdi-
nando è assai schivo) a cui ci ha abituato la “novelle
Alla ricerca
del tempo
perduto
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cuisine” de noantri, quella che deve mettere l’azoto nei
cibi per forza e lo fa per via della modernità magari ispi-
rati da Adrià, o quell’altra piuttosto che se non ci sono
competizioni e conseguenti premi televisivi non scende
in campo neppure. Qua è diverso, e sostanzialmente di-
verso: si viene per mangiare (bene, nel rispetto della
tradizione) e fare due chiacchiere con gli amici, a Casa
propria. E’ un viaggio alla ricerca del tempo perduto, in
cui le “madeleine” di Proust sono i silenzi e i sorrisi di
Ferdinando o le camminate rispettose avanti e indietro
di Franca e Lucia, che curano sale e cucina. E anche il
tempo che abbiamo perduto ad andare dietro alle pre-
sunte innovazioni alimentari, a chefs che si truccava-
no nei loro camerini prima di incontrarci, a ristoranti
freddi e inautentici che sembravano camere iperbariche.
Ecco, tutto questo “Al Gallo” non c’è, per grazia di
Dio. C’è il calore buono di una volta, che non scade.
C’è anche il fatto che, sedendosi al tavolo appena dopo
con quattro battute e discutendo di aneddoti, quell’in-
sana competizione che è ormai andare a mangiare in
un locale, come in un eterno reality-show di cui siamo
protagonisti e vittime inconsapevoli.
La Casa dei ravennati ha compiuto centanni nel 2009.
Ferdinando è nato in questa palazzina: prima c’erano i
seguono in ogni passo per carpire magari i segreti della
cordialità. Qualche frase di Ferdinando per far capire
il tipo, di che pasta è fatto. “Segreti della ristorazione?
scelta è orientata sulla qualità di quei prodotti che por-
tano la continuità e la tradizione della nostra cucina”.
“Il mio segreto? Il rispetto reciproco con le persone che,
una volta sedute, possono respirare la serenità di una
ambiente familiare”. La tranquillità del Gallo è prover-
biale: sembra di entrare in un altro tempo, quello ma-
gari delle origini o delle tradizioni che abbiamo lasciato
per strada! “Mai lasciare la tradizione! La spesa la fac-
cio io ogni mattina”. “Vede, il tavolo dove siamo seduti
fa esso stesso parte della tradizione col suo avvicendarsi
di amici e personaggi della nostra società. Com’era Raul
Gardini che, quando rientrava a Ravenna, mangiava le
tagliatelle alla disperata (prosciutto, pomodoro e pepe-
per la terra o per la vela, o Sergio Zavoli, con la scelta
dei cappelletti che, essendo ripieni solo di formaggio, li
Ferdinando e che storia lunga ha alle spalle. Ancora oggi
continua a cercare clienti “che non prendano possesso
del locale, ma vengano semplicemente a mangiare”. In
queste parole c’è anche una lezione gigantesca.
E se parliamo di tendenze, Ferdinando sottolinea che “i
gusti sono cambiati, a causa delle esigenze lavorative”,
nient’altro. In quelle due parole che dice “riduzione delle
scelte” c’è la sintesi di quanto ci è successo negli ultimi
anni. E che luogo è Ravenna, Ferdinando? “Ravenna è
una città con profonde radici storiche, a volte un po’
chiusa, ma che non smette mai di stupire e rinnovarsi.
Per i ravennati si è persa in parte l’abitudine di incon-
trarsi nella piazza o al bar – a parlare di vita, tra una
mano di beccacino e l’altra – ma continuano a ritrovarsi
in altri luoghi, magari a teatro… o qui”.
O qui, a Casa loro. Beppe Errani, ex direttore de Il
Resto del Carlino e storico inviato, grande collega, che
oggi è qui accanto a noi nel tavolo degli amici, annuisce.
L’incanto ravennate è in questa semplicità, in questo
segreto che nessuno vuole disperdere né rivelare.
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ANTICA TRATTORIA AL GALLO 1909
Locale Storico d'Italia
del Dott. Umberto Turicchia
Via Maggiore,87 48121 RAVENNA
Come nell'arte bizantina l'involucro architettonico
esterno nasconde la ricchezza degli interni: infatti l'at-
tuale “Antica Trattoria al Gallo 1909” (Locale Storico
d'Italia dal 2010) si proietta con una facciata tradizio-
nale su Via Maggiore, nel rione S. Biagio, custodendo
tra i tavoli imbanditi quadri, sculture, vetrate liberty
e decò.
Alle pareti del ristorante “Al Gallo” le foto con gli ospi-
ti prestigiosi che sono passati di qua sono numerose ed
i mosaici realizzati dalla moglie Delia Clapiz colpiscono
per la bellezza e la luminosità. L'oro invisibile di quei
mosaici è custodito negli occhi scintillanti di Fernando
quando parla di Delia, che conobbe durante un corso
estivo di tecniche musive organizzato dal Prof. Salietti;
lei insegnante, lui allievo.
Quel felice incontro portò Delia, friulana di origine, a
prendere il posto lasciato dopo 50 anni dalla mamma
di Fernando, la “mitica” Verdiana, abbandonando una
promettente carriera artistica per dedicarsi col suo toc-
-
che nell'inventiva e nelle presentazione dei piatti: gusti
-
ne ravennate. Il capitolo frequentatori del locale, poi
sarebbe lunghissimo: capi di stato, ministri, segretari di
partito, direttori d'orchestra, uomini e donne di spet-
tacolo, ma per Ferdinando Turicchia hanno importanza
soprattutto quelle persone che hanno dato e danno vita
a Ravenna e che ha avuto la fortuna di conoscere e di
ascoltare.
Fra gli altri a lui piace ricordare le cene che si prolun-
gavano a notte inoltrata del gruppo dell'Accademia
guidato da De Grada seguito da Zancanaro, Pomodo-
dei pastori il mercoledì e il sabato, che erano giorni di
mercato, con le trattative e la stretta di mano a conclu-
sione di un contratto. Poi le robuste mangiate a base di
caccia organizzate da Raul Gardini dove l'amico Vanni
Ballestrazzi primeggiava nell'onorare la tavola imbandi-
ta di alzavole e beccaccini.
Oggi le cose sono cambiate, ma l'importante è che si
salvi la tradizione gastronomica, oggi minacciata dalla
facilità e dalla faciloneria con cui si aprono locali di ogni
genere, etnici e non, in cui i piatti pronti standardizzati
del nostro mare. Racconta Ferdinando: “In questo am-
a dare una mano, poi proseguii gli studi, mi diplomai
e iniziai l'università, ma la prematura morte del bab-
bo, Berto, mi costrinse a dedicarmi completamente alla
trattoria. Beninteso, non me ne pento, perché questa
attività mi ha dato tante soddisfazioni e il lavorare in
coppia con mia moglie è stato per me una carica in più.
scelte dei padri. Per me è stata quindi una grande gioia
abbia deciso di continuare la tradizione famigliare del
dolci. Tutto questo penso che è e sarà apprezzato dai
buongustai, ravennati e non, cioè da tutti quelli che
hanno a cuore che nella nostra Ravenna sia garantita
l'identità anche per il futuro. Perché, come si sa, il fu-
turo ha un cuore antico”.
Antica trattoria
al Gallo 1909
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GRAND HOTEL
RIMINI
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Genialità, immaginazione, intuito, fantasia e uno spic-
cato senso per gli affari sono alla base del successo di
Antonio Batani, proprietario, insieme alla sua fa-
miglia, del gruppo alberghiero Select Hotels Col-
lection. I suoi dodici alberghi disposti lungo la riviera
di Romagna, sulle colline romagnole, e un cinque stelle
anche in Romania, sono espressione della sua profonda
passione per l’ospitalità. Una passione vissuta così in-
tensamente da condurlo, nell’arco di cinquanta anni di
attività, da una modesta pensione di sole 20 camere, ad
un impero di oltre 1000.
Cesenatico, Cervia, Milano Marittima, Rimini, Bagno
di Romagna e Cluj Napoca (Romania): ecco le desti-
nazioni scelte da Antonio Batani per i suoi alberghi. Si
tratta di location di prestigio, costantemente animate
da interessanti attività, in grado di offrire all’ospite in-
numerevoli servizi durante tutto l’anno. La vocazione
di Select Hotels Collection è duplice: “Luxury Expe-
rience” e “Family Feeling” due tipologie di ospitali-
tà per offrire il soggiorno ideale che meglio risponde ai
desideri di ciascuno.
Batani Select Hotels
Collection:
il segreto di una vacanza straordinaria
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Luxury Experience
Alberghi che incarnano un mito, un sogno. Esclusive
oasi di relax, lusso ed eleganza. Ampi spazi, atmosfere
ovattate, profumi inebrianti e ovunque il bello, la sto-
ria, il fascino. Negli hotel Luxury Experience, le gior-
nate estive scorrono lente, scandite da appuntamenti
irrinunciabili: la prima colazione in terrazza, il relax
totale al Beach Club con spiaggia privata e il servizio
dei nostri “Stewart di spiaggia” per soddisfare ogni ri-
chiesta, il pranzo a buffet al ristorantino della spiaggia
con vista sul mare, oppure servito al ristorante dell’ho-
tel, un tuffo nella grande piscina, una partita a tennis
o l’allenamento in palestra, ma anche un percorso be-
nessere, trattamenti di bellezza e massaggi nei nostri
centri “Dolce Vita Spa”.
Al calar del sole, nulla di meglio di un aperitivo a bordo
piscina seguito dalla cena in terrazza o nei saloni del
ristorante dove gli Chef propongono menù à la carte
con proposte di alto livello della tradizione locale e della
cucina internazionale, per palati raffinati e sofisticati
gourmet. E per concludere, musica dal vivo nel dopoce-
na, per allietare le calde sere d’estate.
E per chi desidera concedersi un’esperienza romantica
davvero unica: cene al lume di candela, in riva al mare,
sulla spiaggia privata, con maggiordomo dedicato e il
sottofondo di struggenti note di violino; Private-Spa,
una mini-spa creata appositamente per la coppia; la
splendida suite con vista mare e caminetto per riscalda-
re i cuori, anche nel più rigido inverno.
Family Feeling
Vitalità, freschezza, allegria! Negli alberghi “Family Fe-
eling” ogni dettaglio è a misura di famiglia con servizi
di alto livello pensati per gli adulti e i loro piccoli, per
garantire, durante la giornata, momenti di svago e relax
per tutti. La sveglia del mattino è assicurata dalle deli-
zie dei nostri chef pasticceri; il gran buffet dolce-salato
è ricco e variato, con specialità golose adatte anche ai
più piccoli. In spiaggia, in piscina e in hotel, il mini-club
si prende cura dei bambini coinvolgendoli in numerose
attività ludiche e didattiche: la merenda alla scoperta
dei sapori, la cena con i personaggi di Walt Disney, il
Masterchef Bimbi, i nutella party, il teatro dei buratti-
ni, il trucca-bimbi, i gonfiabili, lo zucchero filato e tanto
altro ancora.
Mentre i piccoli si divertono con gli animatori, gli adulti
possono finalmente approfittare di favolosi momenti di
relax nei nostri centri benessere, in piscina, in spiaggia
o sui campi da tennis. Pranzi e cene sono alla carta o a
buffet, con menù speciali creati appositamente per colo-
ro che seguono specifici regimi alimentari. E poi tutto,
Negli alberghi della famiglia
Batani, il benessere è un concetto
“globale”, un modo speciale
di declinare l’accoglienza secondo
lo stile della famiglia Batani.
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ma proprio tutto per i più piccini: dallo scalda-biberon,
al fasciatoio, dal bavaglino personalizzato ai seggioloni,
-
zioni di mamma….
La Cucina
-
cipali motivi del successo degli alberghi di Select Hotels
Collection. Come sostiene il patron Antonio Batani:
“L’ospite non si accontenta di un’accoglienza impec-
-
stinazione alla moda. L’ospite ritorna solamente se ri-
tiene di avere mangiato molto bene”. Parole semplici,
famiglia Batani. La genuinità dei prodotti utilizzati in
cucina è assicurata in parte dall’azienda agricola della
Vitalità, freschezza, allegria!
Ogni dettaglio è a misura di famiglia
con servizi di alto livello pensati
per gli adulti e i loro piccoli e
per garantire, durante la giornata,
momenti di svago e relax per tutti.
“
“
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famiglia Batani, situata nella campagna cesenate, che
rifornisce quotidianamente i nostri ristoranti di frutta e
verdura freschissimi, da coltivazioni naturali e a kilome-
tro zero. Nei ristoranti dei nostri alberghi, solo i miglio-
.enoissapatnateenoigatsidittodorpiroilgimi,fehCir
un’esperienza indimenticabile. I Ristoranti più rinomati
del gruppo sono:
• Ristorante La Dolce Vita, Grand Hotel Rimini
5*L, Chef Claudio Di Bernardo (aperto tutto l’an-
no)
• Monnalisa Restaurant, Grand Hotel da Vinci 5*
Cesenatico, Chef Stefano Donegaglia e Alessandro
Trovato (aperto tutto l’anno)
• I Venini Restaurant, Palace Hotel 5* Milano
Marittima, Chef Roberto Scarpelli (aperto da mar-
Specialità: ricette della tradizione marinara rivisitate in
chiave moderna, ampia scelta di proposte anche a base
di carne, proposte vegetariane.
La “Fattoria Batani”
L’azienda agricola della famiglia Batani è ubicata in un
piccolo villaggio rurale dell'entroterra e si estende su
un territorio di 16 ettari. La “Fattoria Batani” nasce
10 anni fa, dal sogno dell’imprenditore Antonio Batani
alberghi prodotti assolutamente genuini la cui prove-
nienza fosse garantita. Niente di meglio quindi che dare
l’avvio alla produzione propria di numerose varietà di
verdure, legumi e frutta. Il tutto secondo le regole di
un’agricoltura naturale, in accordo con le stagioni e non
-
chi, patate, melanzane, zucchine, fagioli e fagiolini, solo
per citarne alcuni, fanno parte di una grande varietà di
frutta succosa e di verdure saporite prodotte con pas-
sione e amore per la terra dalla famiglia Batani. Non
solo: le numerose galline allevate a terra garantiscono
quotidianamente uova freschissime, per la preparazione
della pasta fatta a mano dagli Chef e degli squisiti des-
sert. Oggi, l’azienda agricola impiega ben 20 persone
addette alla coltivazione e alla raccolta, durante tutto
l’anno. Nella tenuta, una grande casa colonica accoglie
la famiglia Batani, i loro ospiti ed amici, e a volte anche
il personale, per occasioni speciali e feste anche all’aria
aperta in un atmosfera tipicamente bucolica. Un altro
modo per riscoprire la natura vera e godere delle sue
numerosissime virtù.
Il Benessere
Negli alberghi della famiglia Batani, il benessere è un
concetto “globale”, un modo speciale di declinare l’ac-
coglienza secondo lo stile della famiglia Batani. Il be-
nessere infatti inizia con un’accoglienza calorosa e con-
tinua con un’attenzione tutta particolare all’ospite, un
cibo particolarmente curato, genuino, fresco e che, oltre
a deliziare il palato, fa anche bene alla salute, camere
ampie ed eleganti, ampi spazi interni ed esterni, tra cui
una totale “remise en forme” dentro e fuori…. Il tutto
avvolto nella classe e nell’eleganza proprie dell’ospitali-
tà di lusso. In particolare, ecco i principi applicati nei
centri benessere del gruppo.
La “Dolce Vita Spa”
Un innovativo concetto di bellezza tutta al naturale
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viene proposto nei centri benessere del gruppo Select
Hotels Collection. E’ la vera bellezza che nasce dalla
consapevolezza di sé, del proprio valore intrinseco, una
bellezza che non dipende più da rigidi canoni, bensì
dalla capacità di esprimere la propria interiorità, ciò
che rende unici. Bellezza interiore, quindi, che traspare
da uno sguardo particolarmente luminoso, un colorito
fresco, una pelle ringiovanita, un corpo tonificato e pri-
vo di tensioni, e si traduce poi in fascino e sensualità.
Dolce Vita Spa propone il benessere come uno stile di
vita che include 5 principi fondamentali.
1. Movimento, attività fisica moderata o intensa
a seconda del proprio temperamento. Le sofisticate
attrezzature Technogym di ultima generazione po-
ste nell'area fitness garantiscono un'attività fisica
equilibrata, sicura e con programmi personalizzati.
Ideale per scaricare tensioni e liberare le tossine
prima del percorso relax.
2. Detossinazione, ovvero "pulizia" interiore in due
fasi: percorso benessere che include sauna, bio-sau-
na, bagno turco, percorso Kneipp, doccia emozio-
nale con cromoterapia, cascata di ghiaccio, vasca
idromassaggio e grande piscina interna riscaldata
con cascate d'acqua. Area relax al termine del per-
corso.
Bevande naturali. Lasciatevi consigliare il succo, il
centrifugato fresco, per un pieno di vitamine e an-
tiossidanti; oppure l'infuso ideale realizzato con le
erbe officinali più adatte alla vostra costituzione e
al vostro temperamento.
3. Salus per aquam: piscina, idromassaggio, doc-
cia emozionale. I benefici dell'acqua non solo per
il corpo, ma anche per lo spirito, per un benessere
profondo.
4. Mangiar bene, ovvero alimentazione equilibrata,
ricca di frutta e verdura. E, anche se con grande
moderazione, sì a tagliatelle e piadina o qualsivo-
glia specialità della tradizione per il piacere di ritro-
vare i sapori del proprio territorio.
5. Mens sana, un atteggiamento mentale che sostie-
ne il benessere fisico attraverso il recupero di spazi
per sè, con gli amici, in palestra, nella natura o
semplicemente facendo qualcosa che piace e gratifi-
ca.
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da oltre 50 anni.
gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 33 20/11/15 17:24
Sono nato a Forlì il 3 febbraio del 1959, nell’epoca in
cui si partiva per Ravenna, dove il polo petrolifero e in-
dustriale del cemento dava la possibilità di un impiego
e speranze di ricchezza. Mio padre Ivan faceva l’operaio
all’Anic e mia madre Idelba la sarta in casa, o, come
si diceva allora, faceva “delle riparazioni”. Quattro fra-
telli, tre maschi e una femmina, più la nonna Corinna:
una famiglia tranquilla con i valori di altruismo e one-
stà alla base, gli stessi che oggi provo a trasmettere a
avere ultimato gli studi. La stessa storia di mio padre,
che dovette smettere all’età di 17 anni quando gli morì
il padre: andò, a lavorare in fabbrica per poter mante-
nere la madre e la sorella Ivana che ha vissuto con noi
con un diploma era la massima aspirazione, da parte
mia sono stato l’unico a scegliere al terzo anno di Perito
Elettrotecnico di smettere per andare a lavorare a Ra-
venna! Proprio come lui. Ma quando arrivò a una cer-
ta età mio padre si iscrisse a corsi serali per ultimare
gli studi, dando l’esame di stato da privatista lo stesso
giorno di mio fratello Fausto (il più grande di età). Su
da parte di mio padre la sensazione che fosse dispiaciu-
to della mia scelta di interrompere gli studi: anzi era lui
che mi incoraggiava a tenero duro, a capire quali fossero
le mie più vere passioni. Fu Lorenzo, il marito di mia zia
Ivana, a darmi la prima idea: lui faceva il rappresentan-
te a Milano nel settore dolciario, guadagnava bene, era
sempre elegante e con macchine alla moda.
Perché no, dissi tra me e me: c'era il deposito della San
Una storia
di valori,
la mia
Fabio
Fossi
| Gusto in Viaggio - 201534
gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 34 20/11/15 17:24
Carlo, nota azienda di snack che cercava ragazzi patentati con la patente C
per vendere i loro prodotti nella provincia di Ravenna. Così nell’81 iniziai
la mia carriera di rappresentante: feci il corso per agente di commercio alla
Camera di Commercio di Forlì per il patentino degli agenti di commercio.
Dopo un anno e mezzo mi capitò l’occasione di andare alla Parmalat,
divisione latticini; l’unico problema era il freddo della cella frigorifera del
furgone e il fatto che alle quattro di mattina dovevi fare il carico in depo-
sito. Incominciavo a guadagnare bene, meglio dei miei amici che facevano
gli operai in fabbrica, addirittura meglio di mio fratello Fausto, diplomato
e ora impiegato. Mia madre era la più felice.
Non mi sono mai dimenticato di aiutare la mia famiglia e i miei fratelli. Nel
1984 la Barilla cercava agenti a Forlì; è il momento giusto di abbandonare
il freddo del furgone per la “cravatta” e il copia-comissione. Rimango con
loro due anni. L’anno prima mi sono sposato con Daniela, che è sempre
di tutto ciò che ho fatto.
Attraverso il sindacato dei rappresentanti di Forlì, conosco una persona,
Elveo Focacci che ha una avviata agenzia di rappresentanza vini di nome
“La Romagnola”; non sapevo allora che sarei rimasto in questo settore
-
ne, la mia grande occasione era arrivata. Ed era costoso fare questo lavoro
perché tra le spese della benzina, i ristoranti e le tasse, con le mie misere
provvigioni non bastavano mai per pagare le bollette. Sono passati tanti
anni da allora, e mi sembra di sentire ancora il pianto silenzioso di mia
moglie che per non demoralizzarmi piangeva di notte di nascosto, perché
eravamo pieni di debiti ed io ero imbarazzato a chiedere aiuto ai miei
suoceri o genitori. Dedico a mia moglie e alla mia famiglia i miei successi
lavorativi e economici; a loro che mi hanno dato la forza in tutti questi
anni Feci i corsi da Sommelier e da degustatore di grappa, iniziai a leggere
riviste di vino e cibo: capivo che la preparazione era importante in questo
settore e dovevo essere preparato più del mio cliente! Oggi ringrazio ancora
Elveo per i 14 anni passati con lui e per avermi indicato una strada; solo a
dirgli che sarei dovuto andare alla Errebi come responsabile vendita vini,
mi toglieva il sonno.
Poi aprì anche con il mio amico Christian Donini una agenzia di consulen-
za commerciale, Eterea. Erano anni duri, le aziende pagavano male, la crisi
mordeva, gli agenti stentavano a prendere mandati di aziende ancora sco-
nosciute. Decidiamo dopo qualche anno di dividerci, sono piu le spese che i
guadagni e io continuo da solo con la mia nuova agenzia Decant. La svolta
è arrivata cinque anni fa quando andai senza troppo entusiasmo a dire la
verità al Merano Wine Festival. Mi incontro con un caro amico romagnolo,
Gianmatteo Baldi, il quale lavora per una importante cantina, la Bertani.
Nord-Est. E si arriva ad oggi, ai miei 55 anni, soddisfatto del mio percorso.
Quando racconto la mia storia agli agenti più giovani, mi viene fuori un
malinconico sorriso; è la storia di un ragazzo come tanti che cerca nella
vita e nel lavoro di portare avanti valori che oggi stanno scomparendo.
Vorrei dire, con le parole del grande Marcello Mastroianni nello stupendo
-
bene che abbiamo fatto e il male che abbiamo causato resteranno sempre
da qualche parte”. Ecco, questa è una storia di valori e rispetto, ma nor-
male.
2015 - Gusto in Viaggio | 35
per tutti
Roberto Trevisan
Oltre ad aver avuto la fortuna di co-
noscere il carissimo amico Giovanni
per conoscerci, sono felice di essere tra
quelle persone che hanno come attività
principale la propria passione, non mi
un suo amante e per questo si può dire
che dedichi tutto il mio tempo, forze e
capacità per capire, esaminare e scopri-
re l‘amata magica bevanda.
Sono nato a Bologna, da studente so-
gnavo il mio futuro da bravo ingegnere
della meccanica di precisione e recar-
mi nella vicina Maranello per magari
poter bussare alle porte della mitica
Ferrari: la mia passione per i motori
é sempre stata forte e proprio nei tre
mesi estivi delle vacanze scolastiche per
guadagnare i soldi per una moto usata
sono capitato casualmente in una pic-
cola torrefazione. Ancora senza saperlo
iniziavo a muovere i primi passi in un
mondo che ancora oggi dopo tanti anni
mi attrae sempre con maggior passione
e il merito di questo lo devo ad Arman-
do Parenti, il titolare della torrefazione
Bolognese il quale oltre ad trasmetter-
-
sia Trieste, dove ho avuto la fortuna di
conoscere personalmente persone come
Alberto Hesse, Ernesto Illy, Vincenzo
Sandalj e altri veri esperti, timonieri e
Da venti anni vivo in Repubblica Ceca,
attrezzature principalmente a Praga,
proponendo un prodotto artigiana-
le inizialmente tostato in Italia; poi
nortePacitimanuidotsiuqcálopod -
cini (torrefattrice prodotta dalla stori-
ca azienda bolognese) ho iniziato negli
anni ‘96 e ‘97 a tostare in una piccola
-
date.
gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 35 20/11/15 17:24
A testimonianza dell'antica vocazione all'olivocoltura, oltre che
vitivinicola, esistono documenti di epoca medievale che atte-
stano come alle navi che approdavano sul Po venisse richiesto
un pedaggio consistente in venticinque libbre di olio d'oliva.
Tale pedaggio, chiamato "Ripatico", veniva riscosso anche dai
pugliesi, ma in misura quantitativamente (e dunque con va-
lutazione qualitativamente inferiore) minore rispetto alle va-
lutazioni degli oli marchigiani, come attestano i regolamenti
dei commercianti veneziani, nella seconda metà del 1200: l'o-
lio "de Marchia" godeva di un capitolo a parte, privilegiato
rispetto alle altre regioni produttrici. L'usanza di far pagare
alle provincie dell'Impero tributi in olio era stata introdot-
ta dai Romani; dopo la caduta dell'impero furono i monaci,
specialmente nei territori possedimenti degli Stati Pontifici,
a rinnovare gli impianti e a salvaguardare l'olivocoltura. Agli
agricoltori veniva affidata la ricostruzione degli oliveti dietro
compenso pecuniario o di una quantità di prodotto: una sorta
di contratto colonico mezzadrile ante litteram, che diventerà
l'asse portante dell'economia agricola marchigiana. Nel 1300
la produzione olearia regionale raggiungeva anche Firenze, con
consistenti quantitativi; tale esportazione, favorita anche dal
fatto che la produzione eccedeva il consumo interno, è conti-
nuata fino al 1600. Alcuni dati sono sufficientemente eloquenti
per descrivere l’attuale situazione produttiva: in una regione
come le Marche in cui l’olivicoltura rappresenta circa l’1,5%
della produzione lorda vendibile, con una superficie olivicola
complessiva di poco superiore ai 10.000 ettari, assai frammen-
tata e suddivisa in qualcosa meno di 30.000 aziende, con una
produzione media regionale intorno ai 40.000 quintali di olio
(quest’anno le oscillazioni della bilancia pendono a favore di
un incremento rispetto alla scorsa stagione), si può aggiunge-
re che al peso del numero, tutto sommato abbastanza esiguo
complessivamente, corrisponde una qualità in sicura, costante
crescita, con notevole espressione di biodiversità, una DOP nel
territorio di Cartoceto, e una quota più che apprezzabile di
biologico, con un migliaio di aziende e una superficie di circa
1.600 ettari. Tra le cultivar, negli ultimi anni performance ab-
bastanza straordinarie sono state fornite dall’Ascolana tenera,
varietà di antichissima tradizione ma ritenuta solo “da mensa”
fino a tempi molto recenti. E’ un caso paradigmatico di come la
storia del gusto sia anche una storia delle tecniche (e vicever-
sa) e di come cambino le cose a seconda della determinazione
qualitativa e della vitalità del feedback, ovvero della comunica-
zione tra produttori e consumatori. Originaria della provincia
di Ascoli Piceno, ma occasionalmente coltivata nell’intero ter-
ritorio marchigiano con crescente diffusione, anche in virtù dei
risultati di eccellenza organolettica raggiunti, l’Ascolana tenera
può esprimere fruttato intenso decisamente erbaceo, con sento-
ri che vanno dal pomodoro al carciofo, e gusto complesso con
amaro e piccante in evidenza, e presenza di cicoria. Tra le cul-
tivar autoctone c’è poi la Coroncina, diffusa soprattutto nella
provincia di Macerata, con maggiore concentrazione nei comuni
di Caldarola, Belforte del Chienti e Serrapetrona, fino alle aree
interne, ad altitudini superiori ai 600 m s.l.m., questa cultivar
deve probabilmente il suo nome alla sporgenza che il frutto
presenta, simile a una corona. Esprime un fruttato medio con
sentori di erba e di carciofo, di colore verde intenso, e un elevato
contenuto in polifenoli e clorofilla. Ci sono poi il Piantone di
Mogliano e il Piantone di Falerone: il primo è diffuso soprat-
tutto nel maceratese, in una zona intermedia tra le aree interne
e la collina litoranea, e si caratterizza per il colore giallo oro e
il fruttato leggero tendenzialmente dolce con amaro e piccante
favoriti dalla raccolta precoce. Il secondo, storicamente legato
alla civiltà picena e al territorio di Piane di Falerone (oggetto di
centuriazione ed assegnazione ai veterani da parte di Augusto
nel 30 a.C., con relativa edificazione di una città giuridicamente
simile a Roma), si caratterizza per un fruttato medio-leggero,
gusto inizialmente dolce, leggermente piccante, con piacevole
retrogusto amaro. La Mignola è presente nelle province di An-
cona, Macerata ed Ascoli, ma particolarmente diffusa nelle aree
più interne del territorio regionale e nella Vallesina. L'olio che
se ne ricava è mediamente fruttato, con sentori peculiari, in-
confondibili, di erba e frutti di bosco: il sapore è marcatamente
amaro e piccante, con note di dolce più o meno accentuate.
La Carboncella è diffusa soprattutto nelle province di Ascoli
Piceno e Macerata, la Carbonella nel territorio di Cingoli, ed
ha buon fruttato armonico, amaro e pungente, di colore verde
intenso, con buon contenuto in polifenoli e clorofilla.
Olio, da “compenso”
a eccellenza
di Antonio Attorre
Giornalista, scrittore, docente universitario, redattore di Slow Food
Le grandi varietà marchigiane conquistano gli esperti
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GUSTO IN VIAGGIO 1

  • 1. in Viaggio GUSTO Diversi Olio extravergine, il simbolo dell'unicità e Gresini L'alimentazione di un Campione del mondo 4 Tradizione e innovazione: intervista a Pellini 20 dall'Oriente 22 La città fondata e l'oro bianco 25 Alla ricerca del tempo perduto gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 1 20/11/15 17:24
  • 2. | Gusto in Viaggio - 20152 Editoriale Olio, non basta essere extravergine L’olio è la risposta migliore che si può dare a quello che gli esperti chiamano “piacere unico” e cioè la tendenza a un gusto principe, che si eleva sugli altri. La colpa di questo equivoco è la messinscena televisiva o editoriale: l’abbuf- fata nazional-popolare vuole vincitori, non cultura. Con i suoi 538 cultivar, le sue cinquecento diversità insomma, l’olio è la risposta più integra e nostrana a questo gusto collettivo che cerca un’uniformità impossibile. Più o meno amaro o piccante o armonioso, l’extravergine si basta da solo, non ha bisogno neanche del sale come ha sottolinea- gioco di dettagli per palati che vogliono viversi l’interezza del viaggio. Purtroppo a tanta ricchezza naturale non cor- risponde ancora una piena consapevolezza da parte di chi lo propone e di chi lo consuma, e sembra quasi che l’olio non sia entrato nell’olimpo dei prescelti della gastronomia mondiale. A torto, perché la base di ogni movimento - o viaggio culinario - è sempre lui. Sovente nei ristoranti la scelta è di bassa qualità e soprattutto immotivata, come se quella boccetta servita stesse lì per caso o complemento. Se si chiedono spiegazioni, spesso queste mancano di risposta ed entusiasmo. Sull’olio in tavola si risparmia, questa sem- bra essere l’unica chiave di lettura; e se magari andiamo a sincerarci di com’è fatto quell’olio, scopriamo quella che sembra essere la “dimensione parallela” dell’oro verde: in Italia è talmente vario, buono e di altissima qualità che si mettono in circolazione blend fatti da oli di altri Paesi che niente hanno a che fare con l’eccellenza. Un paradosso che è ora di eliminare. Ci sono da noi talmente tanti produttori ed esperti ec- - ti - e vincerla, anche fregandocene di leggi europee sempre più inutili. Non vogliamo miscele e non vogliamo aziende che spacciano per olio italiano quello che non ne è mini- mamente parente. Non vogliamo equivoci sull’argomento e per raggiungere questo obiettivo bisogna per forza passare attraverso la cultura: da educare chi ci somministra l’olio - semplici informazioni - a rendere i consumatori consapevoli che dire extravergine non basta, se non a riempirsi la bocca Sarà invece bene accetto chi ci spiegherà, tenteremo di far- lo anche noi, cosa c’è dietro questa parola magica, qual è la sua innata verità, il suo segreto e diversità. Lo scempio continua e solo pochi sembrano farci caso. Solo nell’ultimo decennio trecentomila ettari di suolo agricolo sono stati distrutti, per far posto a quella che sembra essere una delle ultime eccellenze italiane in che sembra inarrestabile e che va fermato a tutti i costi, perché non solo diventiamo sempre più brutti e meno salvaguardati, ma anche per un’identità culturale, che ha fatto del nostro Paese una gemma della Bellezza nel mondo. I luoghi in questa maniera piano piano, o di col- po, perdono la propria identità e matrice e a malapena si riconoscono e tutto, indovinate, per una questione di soldi. Che però gli astuti, e corrotti, politicanti e costruttori dovranno versare sempre di più, perché così mettono a repentaglio la sicurezza dei posti: il dieci per cento del territorio italiano, proprio grazie a questi interventi dissennati, è a rischio alluvioni e frane. Per la loro piccola mentalità, che dio li strafulmini, deve scap- parci il morto, come è avvenuto in Sicilia, nelle Cinque Terre, in Calabria e dove potrebbe succedere ogni mo- mento in qualsiasi altro posto a rischio. La manutenzio- ne del territorio è anche la manutenzione di noi stessi e solo i non vedenti che ci governano possono lasciare a interventi di natura volontaristica, a missioni senza bu- dget, la salvaguardia di un patrimonio naturale sempre più “stuprato”. Sempre più cemento sempre meno suolo gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 2 20/11/15 17:24 Direttore: Giovanni Giacchi Comitato editoriale: Fabio Fossi Enrico Cherchi Collaboratori: Antonio Attorre Davide Staffa Roberto Trevisan Roberto Lendaro Cinzia Ferro Giacomo Pini Sara Boni Eleonora Ciaralli supplemento a L'Opinione della Collina e dell'Appennino (Registrazione Pubbl. Tribunale di Macerata n.621) www.gustoinviaggio.com Edizione Dicembre 2015 Per la pubblicità: giovanninews@gmail.com
  • 3. 32015 - Gusto in Viaggio | in Viaggio GUSTO Gusto in Viaggio - Edizione Dicembre 2015 INSIEME PER ESSERE OBIETTIVI Questo giornale vuole essere la casa di chi ritiene che tutto ciò che riguarda la cultura del cibo e del vino, dell'ospitalità e dei servizi, della creatività e della vera italianità, non sia in vendita. E' di coloro che non credono che la comunicazione sia soltanto pubblicità o una "fusione a freddo". E' di chi vuole esprimere passionalità, valori e crede nei valori condivisi della collettività. Il nostro gruppo è fatto di giornalisti, professionisti del settore enogastronomico, cultori del Bello. Proveniamo da esperienze venduto, chi ha eccepito, chi ha stimolato. Ci siamo messi in- noi per scambiarci informazioni e al settore Food & Wine per emergere e promozionarsi. Vogliamo essere una piattaforma in cui lo scambio dei pareri e delle competenze è fondamentale. L'azienda che vorrà far par- te del nostro progetto dovrà avere le risposte di cui ha bisogno e i contatti giusti all'interno del circuito. Sarà compito nostro fornire i nomi e le informazioni giuste. Crediamo che la creazione di questi servizi essenziali per le aziende sia la base della riuscita del giornale. La pubblicità da sola o il publiredazionale non bastano più. Ci vuole una Rete sono opportunità reali per il settore enogastronomico. Ave- estere, compratori e distributori o agenti, può essere decisivo per una azienda. Da parte nostra, oltre all'assistenza editoriale e tecnica ad aziende e territori, garantiamo la massima indipendenza dei contenuti. Non vi annoierete. Buona lettura. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 3 20/11/15 17:24
  • 4. Che cosa promuoverebbe e cosa boccerebbe nell’attuale panorama enogastronomico italia- no? (strutture, prodotti, organizzazione) Si potrebbe essere meno attori e più professionisti, più ricercatori che oratori... Sarebbe bello avere un albo professionale per la catego- ria degli addetti in cucina. Siamo tutti coscienti che nelle mani del cuoco c’è re- sponsabilità verso il cliente, verso la sua salute e in Italia credo manchi un po’ di formazione: bisognerebbe migliorare la qualità dell’insegnamento, incentivare ed agevolare il sistema contributivo per i ragazzi nell’ap- prendistato, dando modo alle aziende di avviare le nuo- ve forze lavoro con costi contenuti, migliorare da subito il sistema ristorativo negli alberghi, premiare con in- centivi chi si prodiga alla ricerca della tradizione, chi acquista a km 0, chi tratta prodotti di territorio, chi valorizza la cucina Italiana. Quali sono, a suo giudizio, i “must”, le cose ir- rinunciabili, per il suo concetto di cucina? Innanzi tutto metto le tipicità nazionali. I concetti di semplicità e genuinità non sempre coincidono con le nuove tendenze gastronomiche... Oggi la gente si spo- sta sempre più, ha conoscenze più ampie e maggiore curiosità, ma proprio questo dovrebbe darci stimolo a proporci come depositari e cultori della tradizione Ita- liana, quindi un obbligo a mantenere alta la nostra eno- gastronomia. Il concetto di “fusion” - mischiare le cucine e le esperienze di più Paesi - può essere un concet- to-base del futuro? E’ a mio giudizio un concetto di tendenza, di ricerca, di sperimentazione cercare abbinamenti stimolanti intri- ganti e anche appetibili. Anche se la base è la “radice”, fatta di culture tradizionali, di storia, tipicità che - in- sieme con usi e costumi - hanno fatto della cucina Ita- liana la più esportata al mondo... Va quindi bene usare l’alga nori, la curcuma, il cardamomo... ma non dimen- tichiamo il rosmarino.... Dei suoi viaggi internazionali - spesso come consulente di prestigiose strutture - cosa le è rimasto più impresso? Come tanti miei colleghi ho avuto modo di attraversare gli oceani, le prime volte con lo spirito e la presunzione di insegnare a cucinare... Ora a distanza di anni (e di migliaia di chilometri) pos- so dire che la nostra cucina senza dubbio è molto ap- prezzata, ma non è certo vero che all’estero in molti locali sia la migliore... In Italia abbiamo a disposizione la nostra materia pri- Modernità & Passato INTERVISTA CON OTTAVIO PELLINI. UN ESEMPIO PER I PIÙ GIOVANI “Va premiato chi ricerca la tradizione e usa prodotti del territorio” | Gusto in Viaggio - 20154 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 4 20/11/15 17:24
  • 5. cosa ed ho maturato la convinzione che chi vuole mangiare italiano deve venire nel nostro Paese. Comunque la cosa straordinaria che mi ha colpito all’este- si mangia meglio, con maggiore attenzione anche ai tempi che si dedicano alla preparazione a al consumo, mentre negli stati dove c’è più “benessere” l’attenzione al cibo è su livelli più bassi ed oltretutto eccessiva sia in quantità che in com- ponente grassa . - ne, ispirazione? - zione è un aggettivo più umano... Sono doti che vanno tutte insieme e che non si insegnano e non si imparano. La cucina internazionale diventerà sempre più soli- dale? Ho dei dubbi in proposito... Sicuramente ci sarà un evoluzio- ne, ma si potrebbe anche rischiare di cadere nelle banalità o nei compromessi che non innalzerebbero il livello qualita- tivo, quindi forse una promiscuità eccessiva forse rischia di appiattirci. - riera? Ho avuto la fortuna di avere genitori entrambi nel settore: mia madre pasticcere e mio padre cuoco e così non ho mai avuto dubbi ne ripensamenti, ho sempre amato questo lavoro che mi ha portato a girare il mondo e mi ha fatto conoscere ed apprezzare sempre di più la ristorazione. Ho avuto, oltre ai miei Maestri - chef e pasticceri di grande prestigio interna- zionale - delle soddisfazioni: dal 1980 la Federazione Italiana Cuochi mi ha dato modo di confrontarmi in concorsi mondia- li di cucina e pasticceria, poi dopo le mie esperienze all’estero ho intrapreso con successo un attività di catering e banque- ting, con ristoranti e villaggi turistici. Sono stato incaricato di cucinare per molte personalità, tra le quali Papa Woytila, il Presidente Ciampi, l’industriale Diego Della Valle. Ho organizzato eventi e collaboro con aziende italiane nella promozione di tecnologie per la ristorazione; sono consulente di diverse scuole alberghiere, ho collaborato alla pubblica- zione di diversi libri, faccio parte dell’equipe eccellenza della Federazione Nazionale Pasticceri e attualmente mi occupo di formazione e dimostrazione di tecnologie per la ristorazione. Quali crede che siano le “ambizioni” del futuro? Le ambizioni a volte sono opposte alla realtà ma penso che e un riconoscimento appropriato alle capacità professionali e umane. Mentre una speranza sarebbe quella che riparta il comparto turistico e che ci sia necessità dell’impegno di tutti gli operatori per soddisfare la richiesta delle eccellenze Italiane e le bellezze naturali che tutto il mondo ci invidia. Facciamole conoscere meglio. 2015 - Gusto in Viaggio | 5 Quel viaggio con Mark Ladner Giovanni Giacchi Con il gruppo ci incontrammo a una stazione di ser- vizio dell’autostrada Messina-Catania. Mi avevano avvertito, poche ora prima, che ci sarebbe stata la possibilità di girare la Sicilia “con degli americani”. Mi presentai all’organizzatore del viaggio, che era etnea e che scoprii essere una persona squisita e un grande talento, e salii nell’autobus. Mai scelta fu più azzeccata. Tra gli “americani” c’erano manager di tour operators leader, esperti di cucina e food bloggers (quando questa parola in Italia ancora non giovane timido laggiù con dei grandi occhialoni da nerd e la faccia quasi smarrita, doveva essere uno dei cuochi. Ho conosciuto così Mark Ladner, oggi uno dei più acclamati cuochi della Grande Mela, chef de “Del Posto”, incredibile cultore dei nostri gusti e sapori. Siracusa e Ortigia, il parco naturale Erice e al volto senza tempo di Palermo, e in que- sto tour di una settimana tenni d’occhio Mark per scoprirne qualche segreto, che poi non c’era: solo curiosità – un istinto dettato dalla passione – e ab- negazione profonda – stare sempre “sul pezzo”, con una “voracità” che sin d’allora mi avrebbe dovuto viaggio con Cesare Casella, oggi sul web a capo dei cuochi italiani negli States e direttore della Scuola di Italian Studies all’International Culinary Cen- ter: un italiano tutto d’un pezzo, ironico e “gua- stafeste”, con un rametto di rosmarino sempre in evidenza all’occhiello. Oggi i due, entrambi per i propri ristoranti, sono al top della nostra cultura gastronomica negli Stati Uniti. Lavoro e applica- zione, passione e studio delle materie, ecco cosa mi hanno insegnato in quei giorni meravigliosi in una terra unica al mondo. Hanno “copiato” i sapori e si sono fatti ambasciatori nel mondo di tutti noi. A distanza di anni devo ringraziarli per quel senso d’appartenenza al mondo dei curiosi che anch’io ormai mi porto dietro a tutte le latitudini. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 5 20/11/15 17:24
  • 6. Là dove il Panaro e Secchia vanno a baciarsi, in un’E- milia placida e luminosa, che sembra sterminata all’o- rizzonte come la tenacia e le speranza di questo popolo, là abbiamo conosciuto la famiglia Garuti. Che da quasi cento anni - l’anniversario sarà fra cinque anni, nel 2020 - fa del grande vino, rinnovandosi come se non si fosse mai gli stessi, ma in realtà tenendo alle origini più di ogni altra cosa. Dante è stato il capostipite, colui che insegnò ai discen- denti che il vino è un racconto e cresce come un figlio e che in campagna ci vogliono umiltà e abnegazione perché trionfi e delusioni sono il ciclo naturale non solo dell’esistenza ma anche di chi lavora la campagna, fino ai figli Elio e Romeo, e poi ai nipoti e ai pronipoti, e oggi proprio loro hanno in mano l’azienda. Sette persone: Mauro Bompani che è responsabile della produzione, il figlio Alessio che si occupa dei mercati esteri (Svizzera, Olanda, Danimarca, Belgio, Germania in primis) e ita- liani, la moglie Antonella che cura l’amministrazione, e ancora i cugini Roberto e Paola e la zia Marta che si oc- cupano dell’agriturismo e l’altro cugino Andrea che sta dietro ai vignetiUna storia emiliana che sembra presa dai film di Pupi Avati, dai racconti che profumano di passione ed epoche che non muoiono mai. Oggi l’azien- Centanni di qualità DA DANTE GARUTI AI SUOI PRONIPOTI, LA STORIA TUTTA ITALIANA DEL LAMBRUSCO DI SORBARA | Gusto in Viaggio - 20156 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 6 20/11/15 17:24
  • 7. da Garuti è sì tradizione - da lì si è partiti, sono stati tra i primi per esempio a vinificare il Lambrusco di Sorbara in purezza – ma anche e soprattutto innovazione e ricerca sul prodotto. La nuova collezione di vini, che verrà presentata al Vinitaly, è un modello di bontà e stile (le nuove bottiglie ed etichette). Ci si prepara al futuro, adesso che ormai il Lambrusco è stato “sdoganato” e va diritto al gusto delle grandissime platee internazionali, negli Stati Uniti dove viene celebrato come lo champagne rosso, o italiane, che sempre più apprezzano il figlio della “Vitis Labrusca”, della vite che sin dall’antichità cresceva ai margini dei campi e oggi è diventato uno dei grandi vini nostrani. I trenta ettari della famiglia Garuti hanno caratteristiche diverse e questa diversità si co- glie e si dona alla produzione: il podere Marandello caratterizza per esempio profumi più persistenti e maggiore acidità, mentre il Ca’ Bianca è ideale per fare un Lambrusco di Sorbara amabile in purezza. Qualità che si sentono in bottiglia, così come il gusto avverte all’assaggio la specificità di questi vini, Lambrusco sì ma cresciuto a fianco del Salamino, con una impollinazione che arriva fino al quaranta per cento. Una produzione che comprende, tra le eccellenze (ovviamente evitando diserbanti e concimi chimici!) il Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco e Amabile, il Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco, il Lambru- sco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco, il Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Spumante rosato Extra-Dry, il Pignoletto DOP "L'Una" Secco, il “Gioia” Bianco Spumante Extra Dry. Per garantire una maggiore qualità del prodotto, negli anni le cantine hanno preferito passare dalle botti in legno alle autoclavi. Così è stato anche per questi nostri eccellenti produttori, che inoltre vendemmiano per lo più di notte per evitare gli sbalzi termici, tra i primi a farlo storicamente. Innovatori, ma nella tradizione, un passato che se fate un salto all’agriturismo – ve lo consi- gliamo – trovate nei piatti, nell’accoglienza e nelle facce e nella gentilezza di questo intatto angolo di mondo. 2015 - Gusto in Viaggio | 7 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 7 20/11/15 17:24
  • 8. - Lambrusco di Sorbara DOP "Garuti" Secco - Lambrusco di Sorbara DOP "Anteprima" Semisecco - Lambrusco di Sorbara DOP "Rifermentato in Bottiglia" - Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Secco - Lambrusco di Modena DOP "Malandrino" Dolce - Trebbiano dell'Emilia IGP "Garuti" Secco LINEA ESSENZE IN PUREZZA - Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Secco - Lambrusco di Sorbara DOP "Podere Cà Bianca" Amabile - Lambrusco di Sorbara DOP "Rosà" Secco - Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP "Pratola" Secco - Pignoletto DOP "L'una" Secco SPUMANTI - Lambrusco di Sorbara DOP "Gioia" Rosato Extra-Dry - Spumante Bianco "Gioia" Extra-Dry. Garuti Products | Gusto in Viaggio - 20158 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 8 20/11/15 17:24
  • 9. Albergo 4 stelle ricavato dal restauro di un antico mulino del cinquecento con 21 camere e suite, lounge bar, SPA e sale meeting che racchiudono design, gastronomia, benes- sere, sostenibilità, high-tech ed un attento recupero degli elementi del passato. In questo albergo 4 stelle a Cusago tutto è curato nei mi- - to della natura: geotermia ed energia solare sono utilizzate per la climatizzazione ed il riscaldamento dell'acqua, inoltre agli ospiti vengono proposti, prodotti biologici locali a chi- lometri zero, coltivati direttamente o acquistati da fornitori selezionati. Per vivere un momento di relax o lavorare lontani dallo stress scegliete Hotel Mulino Grande, un albergo di lusso vicino alla Fiera di Milano Rho. Via Cisliano 26 - Cusago MI T +39 0290390731 - F +39 0287152455 www.hotelmulinogrande.it L'HOTEL DEL MESE 2015 - Gusto in Viaggio | 9 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 9 20/11/15 17:24
  • 10. Winery & Farm Holidays Garuti The Azienda Agricola Garuti winery is located in the heart of the coun- tryside around Sorbara, the home of the lambrusco of the same name, in a fertile area where the Panaro and Secchia rivers are so close they al- most touch. Rich in potassium, the alluvial terrain with its loose, sandy, permeable structure is ideal for growing Sorbara lambrusco grapes. For generations, the Azienda Agricola Garuti has raised the prized Sorbara grapevine to produce a lambrusco of the highest quality (certi- fied with the DOC mark), but with the utmost respect for wine making tradition. In the 1920s, Dante Garuti began growing grapevines and making wine using the perfect combination of quality, tradition and technology. The wine is produced with the most modern production techniques, but without affecting the authenticity of the finished product. Garuti quality has earned the company many national awards, such as the Gold Medal - Gold Wreath at the Matilde di Canossa Sparkling Wine Competition, the Silver Medal of the Mayor’s Competition, and a Medal at the Doujà D’or D’Asti. Traditional Balsamic Vinegar A section of the Trebbiano vineyards has long been devoted to growing grapes that are used to make the cooked must for traditional Modena DOP balsamic vinegar. For over thirty years, the winery has operated a vinegar plant composed of barrels made of various types of wood, which provides the vinegar with its unmistakable aroma as it matures over the years. At Garuti, there is no universal recipe for producing a traditional wine. What you will find is a passion for wine making that has been handed down from generation to generation, in which the producer’s skill and sensitivity make the difference. The Balsamic Dressing The dressing balsamic vinegar contains more 'selected with all the featu- res that come from the right maturation and aging in oak barrels. The addition of cooked product with our own grapes, the time which gives the density 'and light and pleasant acidity', create a product that accompanies many dishes and enriches the simple foods. INFO Az. Agricola e Agriturismo "Garuti" Via per Solara, 6 - Sorbara (MO) Tel. e Fax 059 902021 - 059 8070084 az.agrgaruti@tiscalinet.it info@garutivini.it info@agriturismogaruti.it | Gusto in Viaggio - 201510 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 10 20/11/15 17:24
  • 11. Se i gusti cambiano così in fretta o i bar diventano locali multi-specializzati, se insomma dobbiamo “per for- za” cambiare pelle di continuo per soddisfare esigenze che viaggiano alla velocità dello spazio, allora c’è anche bisogno di loro, dei Cibartisti. Pittori e cuochi, o entrambi nello stesso corpo, artisti in ogni caso, gente capace di lanciare provocazioni che arrivano direttamente ai sensi: al tatto e all’olfatto, alla vista come al gusto. Un gruppo che vuole trasformare i cibi in opere e istallazioni così come “riempire” i piatti anche di immagini. Il viaggio è in realtà diretto al cuore perché la loro filosofia è nella sostanza quella dell’artigianalità e il riferi- mento di questi eredi di Marinetti (ci sia consentito il paragone: ma col piacere al posto della bellicosità) è l’officina – del fabbro, da cui escono creazioni e manualità sempre nuove. Chi può fermare tutta questa energia? E’ ciò che ci siamo chiesti girando per questa immensa vetrina del nuovo e del professionale che è Host di Milano. Là, colpiti al cuore, dalla filosofia dinamica che ci viene spiegata da Roberto Luise ed Enrico Cherchi e dalle qualità di Stefano Marconi, il creativo chef dell’Osteria Cuore Piccante di Foligno, che dopo aver girato mezzo mondo in grandi ristoranti (dal parigino Druont al Topaz di Istanbul, dalla Locanda dell’Angelo di Sarzana e Il Carpaccio a Parigi con Angelo Paracucchi a Il Postale con Marco e Barbara Bistarelli) ha scelto di restare nella tradizione, la bottega insomma, ma dandole la velocità dell’innovazione propria dei Cibartisti. Potete assaggiare dunque i fiori di Carpobrotus e farina di Kamut con crema di melanzane e pecorino, olive taggische ed olio al basilico e zenzero, un piatto sopraffino suggerito da Marconi e da Mentana Morichini, che il Carpobrotus (www.carpob.it) ce l’ha insegnato a tutti. Una pianta millenaria scoperta solo da poco in cucina – ma si usa anche come cosmetico o lozione calmante e ha un’azione antimicrobica, si trova nei negozi dedicati, quelli bio, in farmacie e parafarmacie – grazie a questa signora esplosiva che, come i colleghi artisti, che crede nel rispetto della natura della tradizioni ma anche del nuovo. L’eleganza del Carpobrotus, antico e moderno che nasce sulla spiaggia e poi insaporisce naturalmente i piatti, esaltandone i gusti, e consigliamo agli Chef che vogliono provare qualcosa di autentico di provare questi prodotti della natura dimenticati, creando nuove frontiere sul ciglio della tradizione. Artigiani, alchimisti, innovatori, i Cibartisti ci portano in un terreno dove c’è spazio solo per la gioia e il pia- cere, una nuova terra in cui i territori e l’arte, la cultura e la natura, siano integrate come è sempre stato e come qualcuno oggi, forse, dimentica. Siamo un Paese di creativi e “naturopati” nati, abbiamo il gusto come bussola delle nostre vite, si deve tornare a quello anche contro le mode e il commercio senza regole. Questo ci dicono i Cibartisti all’Host e, incastonandosi questo pensiero in noi come solo riuscirebbe a fare un artigiano, ci sentiamo meglio. 2015 - Gusto in Viaggio | 11 VIAGGIO A HOST Salone internazionale dell’ospitalità prof: 150mila visitatori, quasi la metà internazionali e idee per il futuro come quella dei Cibartisti gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 11 20/11/15 17:24
  • 12. Viaggio nel mondo della birra artigianale | Gusto in Viaggio - 201512 “Siamo un fenomeno in crescita. Ma senza scorciatoie” Che margini di crescita ha la birra artigianale? “I micro-birrifici in Italia sono circa seicento e molti non riescono a fare un prodotto standardizzato. Ecco, questo è il vero problema, che si risolve solo (e c’è, come cartina di tornasole le esperienze che hanno fatto col- leghi imprenditori in altri Paesi, dove il fenomeno delle birre artigianali è “esploso prima”) con l’ingrandimento degli impianti. La stabilità del prodotto in termini di gusto è il problema numero uno. L’altro è il prezzo, che è ancora alto e su cui le azien- de lavoreranno, a mio giudizio. Ma senza “scorciatoie”. Verrà premiato chi non “spaccerà” i difetti della birra come pregi “artigianali”, come per esempio le birre aci- de, scariche di gas o troppo cariche”. CHI È Rolando Della Sera Quarantaquattro anni, Rolando è riconosciuto come uno dei mastri birrai e responsabili di produzione più autorevoli del settore, sia per la vastissima esperien- za come docente all’università di Perugia (Filtrazione del mosto, Sistemi produttivi di birra, ebollizione del mosto e luppolazione, prova pratica di maltazione per il Master universitario di primo livello in “Tecnologie birrarie”) e al 3A Parco Tecnologico Agroalimenta- re dell'Umbria, che come componente di vari panel internazionali d’eccellenza. Rolando, che ha fornito un contributo essenziale alla straordinaria esperienza del Centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra (C.E.R.B.) dell’Università di Perugia, fa anche parte dell’Associazione Italiana dei Tecnici della Birra e del Malto (AITBM) ed è stato nominato rappresentante dell’Assobirra al gruppo di lavoro del EBC (European Brewing Convention): Brewing Science and Techno- logy. E’ autore di numerose pubblicazione scientifiche sul settore. Intervista a uno dei massimi esperti del settore, Rolando Della Sera “ “ gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 12 20/11/15 17:24
  • 13. 2015 - Gusto in Viaggio | 13 Ritiene che il pubblico dei consumatori sia ancora inesperto rispetto all’offerta? “Certo l’educazione ai prodotti porterà a un palato sempre più fino. Al momento, nonostante il fenomeno delle birre arti- gianali sia in crescita continua, non c’è una promozione ade- guata a supporto. Pensi che c’è gente che crede che si possa produrre birra di qualità con tutto ciò che hanno per le mani: pensi al tartufo! Beh, c’è da educare ancora!” Come si riconosce una birra artigianale di qualità? “I parametri qualitativi sono oggettivi e soggettivi come il gusto personale. Quelli oggettivi sono importanti e creano la base per un prodotto che si faccia apprezzare: il rispetto delle norme igieniche, non ci devono dunque essere microrganismi che rovinano la birra né disturbano la persona che la beve, l’equilibrio necessario tra corpo e alcol, il sapiente utilizzo delle materie prima”. In Italia quello delle birre artigianali è un fenomeno “troppo” recente? “Certo ci sono scuole, nel mondo, che hanno fatto la storia come quella che potremmo chiamare tedesca-ceca (in buona sostanza una lager a bassa fermentazione e che sottende a livello industriale quasi l’ottanta per cento della produzione), come la scuola inglese fatta di stout e ales, come la belga, ad alta fermentazione, con birre come quelle dell’abbazia o blan- che. Ci sono poi le sottoscuole come quella americana, delle birre luppolate. Tutti in passato hanno voluto produrre una birra lager e così il risultato è stato che molte tipologie meno note si sono perse per strada! Sì, c’è un cammino da fare ma, come dicevo prima, stiamo crescendo anche come gusto e aspettative”. Che mercati ha oggi chi produce birre di questo tipo? Si potranno esportare? “Il trend di crescita delle nostre birre non significa che verran- no proposte in sostituzione del vino o della birra industriale. Con quelle artigianali si amplia l’offerta e si danno scelte al consumatore che prima non poteva fare. Per esempio, un buon brasato può essere gustato sia con un vino rosso o con una birra artigianale doppio malto. Ampliandosi la richiesta e di conseguenza la produzione, c’è la possibilità di vendere anche all’estero e di aprire nuovi mercati che noi abbiamo già testato in Australia, Giappone, Cina, Olanda, Stati Uniti. C’è molto da fare, mi creda”. BIRRA FLEA Via F.lli Cairoli, Zona ind.le sud 06023 Gualdo Tadino (Perugia) tel. (+39) 075 91 08 159 fax (+39) 075 91 08 159 www.birraflea.com - e-mail: info@birraflea.com L’azienda di cui Rolando Della Sera è responsabile di produzione, tecnologo e mastro birraio Tradizione e innovazione: la Flea, con impianti di ul- timissima generazione, ha una capacità produttiva di tre milioni di bottiglie annue. La qualità significa, per l’azienda di Gualdo Tadino, usare solo acqua pura e solo malto di qualità con- trollata: orzi coltivati nell’azienda agricola di famiglia così da garantire la filiera corta agroalimentare. An- che i fornitori sono selezionatissimi. Le birre Flea, è il caso di sottolinearlo, non conten- gono mai cereali non maltati, non sono filtrate né pa- storizzate, bensì rifermentate in bottiglia con lo scopo di preservare al massimo le loro caratteristiche orga- nolettiche originali senza aggiungere additivi chimici. LA STORIA Proprio a Gualdo Tadino, dalle parti della Rocca Flea, si trovò a passare intorno al 1242, negli anni dell’opposizione al papato, l’imperatore Federico II e vi trovò la fedele città ghibellina di Gualdo prostrata dopo il terribile incendio che ne aveva distrutto il pre- cedente abitato. Commosso dalle sorti della città alleata, il sovrano volle dare un segno della sua munificenza dotandola di una cinta muraria difensiva e restaurando la Rocca, ponendo con le proprie mani la prima pietra. E inoltre «cavalcando in giro per il territorio, seminò con le sue mani frumento, orzo, spelta, fave, miglio e altre essenze, chiedendo a Dio onnipotente che facesse crescere il castello e moltiplicare la sua popolazione e si degnasse di assicurare cibo ed ogni bene e sicurezza come impegno eterno» (Chromicon). La birra Flea è l’erede di “quei semi” gettati secoli fa dall’imperatore Federico. Hanno nomi di eroi, dame e streghe che hanno popolato l’immaginario di queste terre umbre: Costanza, Federico II, Bastola, Bianca- lancia. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 13 20/11/15 17:24
  • 14. Gran Sasso il piccolo Tibet d'Europa La cima più alta dell’Appennino, l’altopiano più esteso ghiacciaio più a sud del continente. Un territorio unico, una delle aree europee con la più elevata diversità biologi- ca e agroalimentare. Siamo nel cuore dell’Italia centrale, a poca distanza da Roma e a pochi chilometri dalle coste del Mar Adriatico: il Gran Sasso d’Italia raggiunge i 2912 me- tri di altezza ed è all’interno di uno degli scenari paesag- gistici più autentici, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Tra le più belle Regioni verdi d’Europa, l’Abruzzo, con quasi il 40% del suo territorio sottoposto a tutela, è caratterizzato da un susseguirsi di paesaggi moz- - vo e quasi poetico, che ha meritato il soprannome di Picco- lo Tibet per via del vasto altopiano di Campo Imperatore, situato a circa 1800m di quota in provincia dell'Aquila, con tanti piccoli laghi che costellano le montagne. Ruscelli a formare fragorose cascate; tra il verde e le pietre levigate delle vaste praterie che ancora recano le tracce dell’antica pastorizia, delle cime e creste rocciose sulle quali, tra gole Massiccio del Gran Sasso domina il paesaggio circostante, i colli, la pianura, le città dell’Italia centrale e i due mari Adriatico e Tirreno. Il Gigante degli Appennini si eleva dall’altopiano di Campo Imperatore e, a est nel versan- te teramano, si impone con una maestosa e imponente parete verticale. Il contesto naturalistico e paesaggistico di eccezionale valore, abbinato all’enogastronomia di qua- lità e a patrimoni di folklore, borghi, siti archeologici e monumenti, fanno del Gran Sasso una delle nuove e più apprezzate destinazioni turistiche nel panorama nazionale ed internazionale. La tradizione artigianale ha radici stori- che e culturali profonde e la produzione enogastronomica e culinaria annovera le eccellenze più pregiate del Made in Italy. L’enogastronomia è profondamente legata alla sta- gionalità delle colture e condizionata da aspetti tradiziona- li della vita agro-pastorale, che ne determina il metodo di produzione e di preparazione. La vitivinicoltura è rappre- sentata dal Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane e di Giovanni Giacchi Lago di Campotosto (AQ) | Gusto in Viaggio - 201514 Vette, laghi e cascate, tra verde e storia: uno tra i paesaggi più belli d'Italia. e del rispetto per l'ambiente gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 14 20/11/15 17:24 Foto di A. Palermi
  • 15. la produzione olearia dalla DOP olio extravergine di oliva Petruziano delle Colline Teramane, ottenuta seguendo una disciplina di produzione che ne garantisce le caratteristi- che di qualità chimica, organolettica e di tipicità. Altra tipicità sono il grano solina, il farro, la saragolla e il mais, utilizzati per la produzione di farine alimentari e per la preparazione di pietanze a base di cereali. La triade medi- terranea grano, vite e olivo è dunque ampiamente rappre- sentata nelle aree pedemontane. Le specialità più popolari sono gli arrosticini (spiedini di castrato) e la porchetta, quest’ultima legata soprattutto ai territori di Colledara e di Campli, dove i mastri porchet- prodotto d’eccellenza dello street food. I piatti di primavera sono le scrippelle, il timballo, l’agnel- lo cacio e ovo, le cotolette di agnello, l’agnello o capretto al forno, le mazzarelle (interiora di agnello avvolte con indivia scarola legate con le budelline) e la pizza di Pasqua (dolce di uova, farina, zucchero, olio, uva passa, canditi, semi di anice e lievito). Durante il mese di maggio, le erbe spontanee, le prime verdure, i legumi, le granaglie, vari formati di pasta arricchiti con polpette di carne macina- ta, brodo e cotenna di maiale vanno a costituire il piatto tipico de “le virtù”. Pecorino e fave, pane con salsiccia spalmata, cacio fritto con pastella di uova e farina sono i piatti tipici della primavera. La ricchezza delle erbe dei prati naturali di montagna dona al latte delle greggi al pascolo profumi intensi. Le pietanze tradizionali estive sono essenzialmente a base di carne ovina: agnello al forno o alla brace, pecora alla "callara", spezzatino di pecora. Tra i salumi e le carni, oltre alla lonza ed i salami nostrani, particolarmente ca- ratteristica è la mortadella di Campotosto e la ventricina, fatta con lardo macinato e aromatizzato con spezie varie. Della mattanza del maiale ricordiamo altri prodotti tipici come le salsicce di carne e di fegato, i cotechini, la" 'ndocca 'ndocca". I prodotti estivi più caratteristici degli orti sono i legumi ed i pomodori a pera o cuore di bue, con cui si preparano anche le conserve. Tra la frutta più ricorrente cannella. I piatti autunnali sono a base di pasta o di legu- mi secchi (“tajarill e fajul”). Inoltre compaiono nei boschi (scorzone, tartufo nero pregiato e tartufo bianco). All'autunno è legata anche la cucina della cacciagione di lepre, di volatili e di cinghiali. Le varietà autunnali tipiche di frutta sono le mele gelate e le mele rosa, oltre tutti i utilizzata anche per la preparazione dei dolci tradizionali (la croccante di mandorle, gli spumini, il torrone, la pizza dolce). Il frutto autunnale più rappresentativo è sicura- mente quello dei castagneti di montagna, il pregiato mar- rone della Laga. Le tipicità invernali sono i legumi dell’area aquilana ceci, fagioli, cicerchie, lenticchie, e la dolce e gustosa patata turchesa. Il tradizionale baccalà, la stracciatella in brodo con il cardo e il timballo di scrippelle. Non meno ricercati i dolci: caggionetti, pepatelli, bocconotti, sfogliatelle, fer- di genziana, genepì, vino cotto o ratafìa. La festività di Sant’Antonio è caratterizzata, da questo punto di vista, da "li cellit" (una pasta ripiena con marmellata d'uva condita con mandorle); per San Biagio si preparano i taralli lessa- ti; per San Giuseppe le zeppole. Il giovedì grasso ricorrono le “scrippelembusse”; a carnevale i ravioli di ricotta, e du- rante la quaresima sarde fritte e baccalà arrosto, in umido o fritto in pastella con cavoli e rape. Il patrimonio della biodiversità agroalimentare conta molti altri prodotti di - no, canestrato, giuncata, ricotta e caciotte), i mieli e altre cchi Borgo di Pietracamela (TE) 2015 - Gusto in Viaggio | 15 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 15 20/11/15 17:24 Archivio Parco Naz. Gran Sasso e Monti della Laga foto di Maurizio Anselmi produzioni di nicchia che in ogni parte, sono l'espressione più autentica del territorio. Per valorizzare questo grande patrimonio naturalistico culturale ed enogastronomico, che è ancora poco cono- sciuto a livello nazionale ed internazionale, il 20 maggio 2015 è nato il Distretto Turistico del Gran Sasso d’Italia. Ne parliamo qui a fianco con Claudio Ucci e i due Presidenti delle DMC (Destination Management Company) del Gran Sasso, Luigi di Furia e Alfonso D’Alfonso.
  • 16. Claudio Ucci è il presidente del Distretto Turistico Monta- no, primo in Italia, e dirige un comitato di sette persone. Come nasce il Distretto? Con l’approvazione dell'atto costitutivo da parte di sessanta sindaci dei Comuni del territorio attraverso la Conferenza dei Servizi, il che con- sentirà di ottenere il riconoscimento di primo Distretto Turistico Montano d’Italia da parte del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo. Si tratta del distretto più grande d’Italia. E’ un nuovo modo di proporre il turismo? Certa- mente. Il fine è quello di creare un sistema territoriale integrato che organizzi in modo unitario l’offerta turistica. In un sistema economico globalizzato la valorizzazione del patrimonio naturalistico, artistico, culturale ed enogastro- nomico non delocalizzabile, rappresenta un’enorme oppor- tunità ed un valore aggiunto sul quale costruire una pro- posta turistica integrata e di qualità. Infatti, lo strumento del Distretto consentirà anche di tutelare giuridicamente le imprese che vi aderiscono, rendendo più agevole l’accesso al credito, creando maggiori opportunità di investimento e semplificando i rapporti con le pubbliche amministrazioni. Chi ha aderito, oltre ai Comuni fondatori, alla pro- posta? Le due DMC - Destination Management Com- pany - rispettivamente del versante aquilano e teramano del Gran Sasso che insieme raggruppano circa quattrocen- to operatori, le Camere di Commercio, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Ente Parco Gran Sasso e Monti della Laga, il CAI, il Corpo Forestale dello Stato, le Province, il Centro turistico del Gran Sasso. Altro valore aggiunto dei distretti, risiede nel loro essere zone a burocrazia zero, nelle quali sono a disposizione delle imprese sportelli uni- ci di coordinamento delle attività delle agenzie fiscali e dell’Inps e di front-office per procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Quali sono i fini a breve-medio termine? Le riporto le parole del vicepresidente della Giunta regionale, Gio- vanni Lolli, che ha aperto la Conferenza dei Servizi, per il quale si tratta di "un'operazione che sancisce il definitivo rilancio in termini turistici della montagna più importante dell'Appennino e la volontà di creare un prodotto turisti- co, connotato dagli elementi dell'identità del territorio e dalla qualità, in grado di collocarsi con autorevolezza sul mercato turistico nazionale e internazionale”. E’ la sinte- si, ma posso aggiungere che proprio l'esperienza del Gran Sasso potrebbe essere punto di riferimento per altre espe- rienze simili per altre aree montane turistiche dell'Appen- nino. Oggi il turista non si muove solo per consumare un prodotto ma per vivere un'esperienza. Non viene solo a sciare ma anche a cercare una gastronomia di livello, delle attività ricreative per i più piccoli, un'offerta culturale sti- molante. Noi abbiamo queste potenzialità." Alfonso D’Alfonso è il Presidente della DMC (Destination Management Company) L'Aquila e Terre Vestine. A che punto siamo nella crescita delle DMC? Abbia- mo potenzialità enormi, soprattutto nell’Europa del Nord, penso anche agli Stati Uniti e al mondo anglosassone in genere. Abbiamo a che fare con un territorio straordinario e un’offerta di qualità. Ma credo che bisogna ancora di più accrescere la fiducia negli operatori. Cosa può essere fatto nell’immediato futuro? Deve essere costruito e promosso il brand Abruzzo. Non è più ““ Calascio (AQ) | Gusto in Viaggio - 201516 La proposta turistica è ora integrata e di qualità ““Con la filiera coinvolgiamo i privati nella governance gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 16 20/11/15 17:24
  • 17. tempo di parlare singolarmente, a fronte del possibile svi- luppo che ci aspetta. Oltre a credere di più nei propri Su cosa si può puntare in particolare? Sulle eccel- lenze ambientali, enogastronomiche, sulle attività sportive come la bike in tutte le sue forme, sci, equitazione: abbia- mo un ambiente unico in Italia. E anche, ovviamente, sulle nostre ricchezze culturali. Crede che il cammino intrapreso sia quello giusto? Non ho dubbi, solo così potevamo rilanciarci ed essere un modello unico, con le nostre DMC e PMC (Product Ma- nagement Company), destinazioni turistiche e di prodotto. E’ stata una scelta vincente della Regione Abruzzo, che ha così coinvolto non solo gli operatori del mondo turistico, governance partecipano così tutti. Luigi Di Furia, Presidente della DMC Gran Sasso Laga scarl, manager in passato di importanti realtà impren- ditoriali, è oggi titolare di un’azienda nella quale si pro- ducono salumi e formaggi tipici. Salvaguardare le sue eccellenze gastronomiche va di pari passo con la pro- mozione di un territorio che non ha nulla da invidiare a paesaggi e ricchezze di altri Regioni italiane. “La re- cente crisi economica - ci dice Di Furia - ha portato ad e nel frattempo non c’è stato ‘ricambio’ di strategie. Oggi gli operatori del settore vanno alla ricerca di nuovi esigenze è stata individuata nel modello da noi propo- sto e attuato, quello della DMC Gran Sasso Laga. Ma attenzione, rilanciare il turismo e tutto ciò che ruota intorno ad esso parte dall’analisi delle tipologie di turi- soddisfazione delle varie tipologie dei nostri ospiti”. La possibilità di avere un territorio così variegato consente una scelta di grande livello. “Esprimiamo varie eccel- lenze artistico-culturali ed enogastronomiche, ma senza dubbio l’attrazione principale è la natura che trova la massima espressione nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Il massiccio del Gran Sasso, che ospita il ghiacciaio più a sud d’Europa, è circondato da territori incontaminati dove l’uomo ha creato i suoi insediamenti rurali nel rispetto della natura. Abbiamo uno dei San- tuari più visitati d'Italia, antichissimo e con un fascino ancora intatto ai piedi del Gran Sasso, il santuario di San Gabriele dell'Addolorata. Nel territorio della no- stra sola DMC ci sono tre dei Borghi più belli d’Italia: Castelli, il paese delle ceramiche, Civitella che ospita Pietracamela antico borgo alle falde del Gran Sasso dove l’antico nucleo abitato, risalente al XIII secolo, costruito tutto in pietra su uno sperone di roccia, nel suo territorio si trovano piste attrezzate per gli sport invernali”. E per rendere queste straordinarie bellezze “moderne”, cioè atte all’utilizzo degli ospiti italiani e stranieri, è necessario valorizzare il territorio. “Stia- coinvolgendo la popolazione a rendere eccezionale l’o- spitalità, recuperando e valorizzando le antiche usanze, creando e promuovendo azioni di coordinamento tra i consorziati, e tra le esigenze del territorio e gli enti, organizzando eventi meravigliosi, strutturando azioni di web marketing mediante l’utilizzo di tecnologie all’a- DMC Gran Sasso Laga - Cuore dell'Appennino Scarl sede legale: 64049 - Tossicia (TE) Contrada Piana dell'Addolorata Via Savini 12-14 CO Camera di Commercio tel.: +393427130621 e-mail: info@dmcgransassolaga.it web: www.dmcgransassolaga.it DMC Gran Sasso d'Italia L'Aquila e Terre Viestine Scarl sede legale: Assergi (AQ) Via del Convento, 1 C/O Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga sede operativa: Penne, Largo San Nicola, 6 C/O Wolftour srl tel.: +393396842474 - 085.8278444 e-mail: dmcgsiav@gmail.com web: www.dmcterredeipopoli.it Distretto Turistico Gran Sasso d'Italia 2015 - Gusto in Viaggio | 17 ““La soluzione si chiama gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 17 20/11/15 17:24 Il processo è in atto, e dovrebbe farci incre- Sappiamo di essere sulla buona strada”.
  • 18. L'alimentazione di un campione del mondo Come si alimenta un pilota, durante la settima- na e nel weekend di gara? ANTONIO TROTTA - Per quanto mi riguarda posso parlare dei weekend di gara: i piloti solita- mente a pranzo prediligono pasta in bianco, con olio di oliva o parmigiano, mentre Melandri è so- lito preferire la pasta integrale, a volte al Kamut. A cena solitamente per i piloti preparo carne ros- sa oppure tonno; Bautista è invece un amante del salmone. Quale cibo a volte le manca in modo particolare? O non si fa mancare niente? FAUSTO GRESINI - La pasta, decisamente! Non riesco a farne a meno, soprattutto se condita col ragù, come da tradizione romagnola... C'è uno "schema" settimanale standard di ali- mentazione o si cambia a differenza dei Paesi e dei climi differenti? C'è una "base" alimentare che non viene toccata dal fattore viaggi? ANTONIO TROTTA - La pasta è una "base" che non manca mai, ovviamente, a prescindere dal Paese in cui ci troviamo! Normalmente comunque facciamo la spesa appena arriviamo sul posto e co- struiamo il menu di conseguenza, anche se non ci sono molte variazioni da un Gran Premio all'altro. Cosa chiede in particolare al suo Chef? Ci può descrivere in poche parole la vostra collaborazio- ne? E per i tecnici del team? FAUSTO GRESINI - Ai Gran Premi mi piace adottare un'alimentazione non troppo pesante, in modo da mantenermi leggero: spesso quindi richie- do al mio chef dei piatti di pesce, tonno e sushi in particolare. ANTONIO TROTTA - Il mio lavoro di chef ai Gran Premi inizia molto prima che le moto scen- dano in pista: partiamo con i bilici dell'hospitality diversi giorni prima, poi iniziamo ad allestire la cucina. Nel weekend la giornata inizia alle 6.30 e fino alle 11 'maciniamo' vassoi e piatti per prepa- rare il pranzo per tutti i membri del team e gli ospiti, spesso numerosi. A pranzo prepariamo un buffet, mentre a cena cerchiamo di preparare un Intervista al grande Fausto Gresini e al suo Personal Chef, Antonio Trotta “ “ | Gusto in Viaggio - 201518 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 18 20/11/15 17:24
  • 19. menu più ricercato, proprio come in un ristorante 'in'. Quella del pilota è un'alimentazione speciale. Quali altre professioni secondo lei potrebbero es- sere più "vicine" in questo senso? ANTONIO TROTTA - Fondamentalmente i piloti una dieta che può essere tranquillamente parago- nata ad altri sportivi di altre discipline. Lei ha viaggiato in tutto il mondo. Ha qualche aneddoto particolare culinario da raccontare ai nostri lettori? FAUSTO GRESINI - Le prime trasferte che ho fatto in Giappone le ho odiate... non mi piaceva iniziato ad apprezzare il sushi, che ora è addirit- tura diventato uno dei miei piatti preferiti! Viag- giare è bello anche perché permette di scoprire e in seguito anche apprezzare nuove realtà culinarie. Quali sono le sue preferenze, sempre nell'ambi- to enogastronomico? FAUSTO GRESINI - Della pasta e del sushi ho già detto; per quanto riguarda i vini, prediligo i bianchi fermi e profumati. Anche se con la carne, ovviamente, ci sta bene un bel rosso, direi un Ba- rolo, oppure un Sangiovese. Come campione e vero testimonial dell'Italia nel mondo, ha mai abbinato o pensato di abbi- nare la sua immagine al settore Food & Wine? FAUSTO GRESINI - Diciamo che ora sarei pronto per farlo! Quando ero pilota ero costretto a mante- nermi più in forma e a fare attenzione all'alimenta- zione, adesso invece mi piace molto la buona cuci- na, sedermi al tavolo con davanti un bel bicchiere di vino... Infatti sono perennemente a dieta, anche se non ci riesco! Cosa prepara per gli ospiti del team e del pad- dock? Cambia il cibo a seconda dei Paesi? Qual- che aneddoto in merito di qualche ospite e ri- chiesta particolare? ANTONIO TROTTA - Come già detto il nostro menù non ha molte variazioni nel corso della sta- gione, anche se possono essere inseriti dei piatti locali a seconda del Gran Premio. Non mi viene in mente un piatto in particolare, però ho sem- pre un trattamento di riguardo per Fausto e per i suoi ospiti, per i quali preparo sempre dei piatti gourmet e spesso sperimento anche nuovi piatti, divertendomi. 2015 - Gusto in Viaggio | 19 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 19 20/11/15 17:24
  • 20. In principio era… il mistero IL CAFFÉ DALL’ORIENTE ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA di Roberto Trevisan Come per tutte le cose buone e apprezzate in cucina (si pensi alla pizza, alla pasta ecc.), anche per l’“oro nero” sono in molti a vantarsi di averlo scoperto e di avergli dato i natali, con la conseguenza che il caffè è oggi con- siderato bevanda nazionale in molti Paesi, dal Brasile all’Italia. Se, dunque, non v’è dubbio che l’espresso ita- liano sia il tipo di caffè più conosciuto al mondo, resta da appurare se il caffè sia la più italiana delle bevande esotiche ovvero la più esotica delle bevande italiane. In realtà, poco si sa storicamente dell’origine di questa bevanda e molte sono, invece, le leggende legate alla sua scoperta più o meno casuale. Un aiuto a chiarire la vexata quaestio della sua genesi può venire dall’ori- gine della pianta e dall’analisi del suo nome: la Coffea arabica è infatti originaria dell’Etiopia e il suo nome deriverebbe dalla regione di Kaffa in cui il caffè sarebbe stato originariamente scoperto. Tuttavia, secondo Pellegrino Artusi (1820–1911), auto- re del celeberrimo trattato La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (1891), il miglior caffè è quello pro- veniente dalla città yemenita di Moka e ciò potrebbe fornire un´altra chiave per individuarne il luogo d’ori- gine. Dalla leggenda il caffè sarebbe nato casualmente dall’osservazione, fatta da alcuni monaci (altri vogliono da un pastore di nome Kaldi), che le capre, dopo aver mangiato le bacche rosse di un certo arbusto, diventa- vano più vivaci e irrequiete. Così, per combattere i colpi di sonno, principale nemico delle preghiere notturne, i monaci avrebbero provato a rendere commestibili anche per l’uomo le bacche di quella pianta, abbrustolendole, macinandole e facendo- ne un infuso. Un’altra leggenda vuole, invece, che le bacche bollite dell’arbusto abbiano salvato la vita ad un arabo di nome Omar e ai suoi compagni, condannati a morire di fame nel deserto vicino alla città di Moka. Stando agli enciclopedisti francesi, altre teorie non poco discusse ossia che riferimenti al caffè si troverebbero addirittura nel testo dell’Odissea, né mancano, nella leggendaria genesi del caffè, echi biblici e religiosi in genere. Così, sarebbero in realtà chicchi di caffè sia il «grano tostato» regalato da Abigail a David in segno di riconciliazione (cfr. 1 Sam 25, 18ss.) sia le «pietre [= bacche] preziose» regalate dalla regina di Saba a Sanso- ne (cfr. 1 Re 10, 2ss.). Né i riferimenti religiosi restano circoscritti al solo ambito giudaico-veterotestamentario, ché di caffè l’arcangelo Gabriele avrebbe fatto dono a Maometto in persona, onde vincere la sonnolenza. Se queste leggende farebbero risalire l’origine del caffè all’VIII secolo a.C., le prime testimonianze storicamen- te accertate sulla bevanda sono di molto posteriori. È | Gusto in Viaggio - 201520 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 20 20/11/15 17:24
  • 21. infatti all’incirca intorno all’anno Mille che Avicenna prescrive il bunc (nome abissino del caffè) come forte antidepressivo e digestivo (soprattutto per cibi troppo pesanti e grassi). Sulla scia di Avicenna, il caffè interessò medici e scien- ziati occidentali già prima di approdare in Europa. Essi ne studiarono le caratteristiche e gli effetti sull’uomo, lasciando molti studi nella trattatistica cinque-seicente- sca. La prima descrizione “medica” del caffè stampata in Europa fu opera di un medico di Augusta di nome Leonhard Rauwolf che tra il 1573 e il 1576 visitò Geru- salemme e il Medio Oriente. Nel suo diario di viaggio, pubblicato nel 1582 col titolo Reiß in die Morgenländer, egli loda il «guet getränck» per le sue proprietà curati- ve, soprattutto per lo stomaco, offrendoci uno spaccato sul modo in cui essa viene consumata in quelle terre lontane: Di qualche decennio successivo è, invece, la de- scrizione dell’“acqua nera” e delle sue proprietà digesti- ve fatta da Jean de Thévenot, altro viaggiatore europeo in Vicino Oriente. In ambito italiano si distinguono gli studi di Prospero Alpino e del medico bolognese Angelo Rambaldi. Quest'ultimo si dedicò all’Ambrosia arabi- ca (1691), rilevando che il caffè non solo teneva svegli senza diminuzioni di forze, ma corroborava lo stoma- co, asciugava le flussioni, preservava dai calcoli e dalla gotta, sradicava le ostruzioni, quietava i tumulti delle parti naturali, cioè di “affetti ipocondriaci”, sollevava gli idropici, raffrenava gli isterici, apriva copiosamente le urine e le “purghe” delle donne, aiutava le gravi- de, preservava dalle febbri intermittenti col solo fumo, aguzzava la vista e faceva effetti che per essere fra di loro contrari, parevan fuori dall’ordine di natura. Una diagnosi medica, sia pur non basata su cognizioni specifiche, ci viene dalla cerchia degli Illuministi mene- ghini, sancendo la giustezza della bevanda per questo tipo di intellettuale: Il caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto e che coltivano le scienze. Nel corso del Cinquecento il caffè lascia i territori ori- ginari dell’Arabia e dello Yemen per diffondersi prima in Turchia e di lì conquistare l’Europa e le Colonie del Nuovo Mondo. Probabilmente al 1475 risalgono le prime botteghe di caffè di Costantinopoli. Pertanto, nonostan- te l’origine araba, nell’immaginario collettivo europeo sarà la Turchia ad essere associata alla bevanda nera. In Turchia il caffè è un’istituzione che ha i suoi mini- stri, i suoi sacerdoti e i suoi ferventi. La carica di «gran caffettiere» (kahveci başı) presso il Sultano è più impor- tante di quella di primo ministro, perché, se non altro, è più stabile. […] Poiché qui si beve del caffè da mattina a sera, a tutte le ore del giorno, senza ragione, senza contare, come si fuma una sigaretta; da tutti, dovun- que. Dal moka delizioso, al profumo inebbriante, che lo schiavo vi offre nelle case turche, servito in minuscole tazze introdotte negli zarfs d’argento, al modesto caffè mescolato a ceci abbrustoliti e ridotti in polvere finis- sima, che si vende a uno o due soldi negli innumerevoli caffè della città, il consumo che si fa di questa bevanda è favoloso. Nelle piazze, nei cortili delle moschee, ad ogni angolo di via – propizio –, si trovano caffettieri ambulanti che in un primitivo fornello fanno cuocere del caffè che servono ai numerosi clienti di passaggio da mane a sera. La straordinaria diffusione del caffè nella società turca aveva del resto già fatto restare a bocca aperta l’anoni- mo compilatore degli Annali Universali di Statistica del 1825, allorquando notava che la passione degli Orientali per questa bevanda è al di là d’ogni dire. In tutti gli ordini dello stato, gli uomini, le donne, i fanciulli ne prendono ad ogni istante del giorno. Dappertutto ove si vada, qualunque visita si faccia, fra i grandi, fra gli artigiani, fra i Maomettani, fra i Cristia- ni, nelle case, negli uffici, nei magazzini, nelle botteghe, alla città, alla campagna, i padroni di casa cominciano sempre col presentare il caffè: se la visita è lunga, si offre con piacere una seconda e una terza tazza. Dopo la diffusione in Anatolia, nel corso del Cinquecen- to, dovranno passare quasi due secoli prima che l’“oro nero” possa diffondersi in Europa. Nel 1645 le prime tracce del caffé nelle botteghe di spezie orientali, 1650 viene importato quasi regolarmente dalle colonie orien- tali Inglesi e si diffondono le prime caffetterie nelle prin- cipali capitali europee. Secondo la vulgata, il caffè sarebbe arrivato in Euro- pa nel 1683 in seguito al secondo assedio turco della città di Vienna. Sbaragliati gli Ottomani, infatti, nel loro accampamento furono rinvenuti, insieme a merci e tesori vari, sacchi di strani chicchi tostati fin’allora sconosciuti agli Occidentali. Stando alle fonti storiche, l’accampamento turco contava ben ventidue tende nelle quali i vincitori rinvennero viveri di ogni genere, tra cui il caffé. Fu Franz Koltschitzky, una sorta di “turco viennese” di origine polacca, poliglotta, cosmopolita e viaggiatore, a riconoscere in quei «Bohnen» gli stessi chicchi che aveva visto nel corso dei suoi viaggi nelle caffetterie di Istanbul. Fiutato l’affare, come ricompen- sa per i servigi resi (aveva avuto un ruolo fondamentale nel recapitare dispacci militari segreti) Koltschitzky si fece regalare i sacchi di caffè dall’imperatore asburgico e, forte del Privileg des Kaffeeausschanks concessogli dal monarca, aprì poco dopo “Zur blauen Flasche”: la prima bottega in città (e, a quanto pare, in Occidente) in cui si mescesse il cosiddetto “vino d’Arabia”. 2015 - Gusto in Viaggio | 21 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 21 20/11/15 17:24
  • 22. | Gusto in Viaggio - 201522 La prima cosa che si ricorda di Cervia? Le sue montagne di sale, i cumuli bianchi che si stagliano all’orizzonte da ovunque si guardi. E poi le vasche che si ripetono tutte uguali e i fenicotteri rosa. È qui che inizia il racconto del sale, delle saline e della città fondata. Cervia era fino al 1600 una città di terra, che si trovava a mon- te delle saline in un antico insediamento, qualcuno dice perfino etrusco, che si chiamava Ficocle. Tutta la vita degli abitanti della città delle alghe (questo significa letteralmente Ficocle infatti) era legata alla vita del sale. Il lavoro era assicurato, ma la fatica era tanta, così come i proble- mi, non ultima la malaria. Quel borgo antico, in mezzo alle saline era diventato invivibile. Eppure il sale era ricchezza. I signori, i padroni, prima il Papa, poi il Doge di Venezia, quindi, per un brevissimo periodo i signori di Cesena, i Malatesta, infine nuova- mente e a lungo il Papa, lo chiamavano l’Oro Bianco. Per loro, per gli abitanti della vecchia Ficocle, a monte delle saline, era sudore, saliva da sputare e sangue. Era soprattutto morte sicura La città fondata e l’oro bianco di Letizia Magnani gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 22 20/11/15 17:24
  • 23. 2015 - Gusto in Viaggio | 23 a causa della malaria. Così lottano gli abitanti e quando la lotta non basta più implorano. Chi implorano? Il Papa. Chiedono al signore che tut- to può di poter distruggere pezzo per pezzo le proprie case, la piazza, la chiesa, per poter ricostruire tutto più a valle, sulla marina, al di là delle saline, dove già il Papa sta facendo costruire i Magazzeni del Sale, dove dovrà essere custodito il prezioso oro bianco e la Torre San Michele che dovrà stare, silente ed eretta, sempre sveglia, a guardia del prezioso sale. Finalmente, dopo anni di richieste, Papa Innocenzo XII concede il suo benestare per la ricostruzione della città. Nel 1697 il Papa firma infatti il chirografo che cambierà del tutto la storia di questa piccolissima comunità. Cervia Nuova nasce quindi come città fortificata, at- torno alla sua economia, la produzione del sale, per questo viene anche considerata una città industria o “città fabbrica”. D’altra parte il sale è sempre stato prezioso, non a caso lo chiamiamo l’oro bianco. Il sale è stato lungo il petro- lio del mondo, in epoca classica e moderna e soprattut- to è stato il petrolio del Mediterraneo e quindi dei paesi che vi si affacciano, dall’Europa e dall’Africa. L’intera storia dell’alimentazione è legata al sale, alla necessità di dare sapore alle pietanze e quindi alla vita. Il sale di Cervia La Salina di Cervia è la più a nord d’Italia e si estende per 827 ettari, in un parco naturale, oggi porta sud del Parco del Delta del Po e da sempre riserva natura- le di popolamento per molte specie animali e vegetali. La salina è grande un terzo dell’intera estensione del comune di Cervia ed è compostata da oltre 50 bacini, formati ognuno da tre vasche, complessivamente lunghe un chilometro e larghe 160 metri. È qui che si forma e si raccoglie il sale, in maniera artigianale, proprio come avveniva un tempo, ma con l’ausilio di una nastro tra- sportatore e di un carrello, che è in tutto e per tutto un trenino. L’uso di macchine per la raccolta risale al 1959 Il Presidente del parco della Salina di Cervia srl Giuseppe Pomicetti gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 23 20/11/15 17:24
  • 24. | Gusto in Viaggio - 201524 La difesa del territorio, una scommessa vinta in nome dell'eccellenza Giovanni Giacchi La tradizione delle Saline è in primo luogo una que- stione di identità. Al momento di decidere su quale dovesse essere il fu- turo di quest'area di eccellenza a sud del Delta del Po, la comunità locale si compattò ancora di più. Le Saline erano e sono il bene paesaggistico e storico più importante di Cervia, un'ecosistema che - all'epoca in cui si decise - avrebbe dovuto essere preservato anche per evitare che quelle zone diventassero paludi. La cessione dei Monopoli dello Stato sarebbe stata poi volano per la creazione di un'eccellenza e di un'iden- tità conseguente, al pari di ciò che successe alle saline siciliane e pugliesi. Una scommessa vinta. - vole di tutto il mondo e viene usato dai migliori gour- met del pianeta, fatto di cloruro di sodio purissimo, storia di una comunità tenace e preveggente e diventa un esempio, una sorta di oggetto-cult, su come si deb- ba fare impresa valorizzando i nostri territori. La società Parco della Salina di Cervia, costituita tre- dici anni fa per volontà di Comune di Cervia, della Provincia di Ravenna, del Parco del Delta del Po e della Camera di Commercio di Ravenna, una società pubblica con un solo socio privato, le Terme di Cervia di Brisighella, ha dimostrato anche come si possa cre- are business sul prodotto d'eccellenza e sugli aspetti a traino, quali il turismo enogastronomico - sempre più importante nel mondo del Food & Wine, in ascesa come numeri e qualità dei visitatori - e quello ecolo- gico. La Cultura insomma che diventa impresa e questa è una storia che in Romagna ha numerosi esempi. In epoca di dissolvimenti - quello, ad esempio per chi scrive, dell'unità nazionale per come l'abbiamo intesa, o quello dei fondi pubblici e degli investimenti - la via scelta dalle Saline, di creare e salvaguardare un terri- torio che è anche ecosistema, ci appare la risposta più intelligente e ovvia. Speriamo che in epoca di strane spending review non distruggano anche questo gioiello per cui ogni appas- sionato di cucina o di ambiente del mondo farebbe follie. e da allora - salvo nella Salina Camillone, sezione vivente del Museo del Sale, Musa, dove la raccolta avviene ancora a mano, con il metodo detto a raccolta multipla - ogni cavadura. La cavadura è la raccolta del sale. L’acqua del mare viene fatta entrare dal canale immissario, che si trova a Milano Marittima, all’altezza della prima traversa e viene movi- mentata nei canali che percorrono l’intera area del terri- torio di Cervia. Di passaggio in passaggio l’acqua di mare si crea il sale. Il sale quando viene raccolto è bagnato e molto pesante: il suo colore tipico è il rosa. Il rosa gli deriva dal colore dell’acqua di mare concentratissima nella quale vive un microorganismo unicellulare, un granchietto rosso, l’artemia salina, che dà il tipico colore non solo ai bacini salanti e al sale, ma anche al piumaggio dei fenicotteri rosa. Ma perché il sale di Cervia è dolce? La posizione della sa- lina, le caratteristiche dei bacini e del mare Adriatico, del sole e del vento, fanno in modo che il sale che se ne ricava sia costituito di cloruro di sodio purissimo, con una bassa, quasi inesistente presenza di altri cloruri più amari, come il solfato di magnesio, di calcio, di potassio e il cloruro di né sbiancare chimicamente il sale, lo lascia integrale e ad alta solubilità. Il sale dolce di Cervia mantiene infatti l’u- midità che gli deriva dal suo percorso nelle vasche e anche il suo colore tipico, che non è bianchissimo, ma anzi ha in sé tutte le sfumature del rosa e del grigio che gli derivano dal percorso produttivo e storico. Quindi è un sale dolce e integrale, che mantiene inalterate le caratteristiche di salubrità fondamentali per la vita. Il sale dolce di Cervia è infatti ricco di oligoelementi presenti nell’acqua madre (e utilizzati nella linea benessere come iodio, zinco, rame, magnese, ferro, calcio, magnesio e potassio). gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 24 20/11/15 17:24
  • 25. Quella che i ravennati considerano la Casa è una palaz- zina rosata dal gusto un po’ retro nel mezzo di un viale cittadino. Più che affascinare (con gli “effetti speciali” che oggi sono richiesti a tutto ciò che parla di cibo e vini e di cui qui per fortuna non v’è traccia) la facciata pro- fonde gentilezza e quasi tenerezza. Calore, direi, e senso di appartenenza quasi istintivo, la sensazione di ritor- nare a casa. Sensibilità condivisa visto che da questo portone sono entrati quasi tutti: attori e capitani d’in- dustria, politici e presidenti, intellettuali e bellimbusti, ma per lo più gente semplice, che come gli altri ha visto nell’arte di questa famiglia di ristoratori il segnale che l’Italia poteva andare avanti con il suo segno distintivo di creatività e buone maniere. Lui si chiama Ferdinando Turicchia, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, e a Ravenna sanno che insieme ai figli Umberto ed Eva e alla moglie Delia è il padrone di casa. Il locale, che è un mix di eleganza li- berty e inizio secolo, con i salottini e i mobili antichi mi fa ritornare in mente la casa di mio nonno nel Pesarese e quelle atmosfere ovattate e l’odore buono che veniva dalle cucine. Qua “Al Gallo” non si urla. Per fortuna siamo distanti anni luce da quei protagonismi (Ferdi- nando è assai schivo) a cui ci ha abituato la “novelle Alla ricerca del tempo perduto 2015 - Gusto in Viaggio | 25 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 25 20/11/15 17:24
  • 26. cuisine” de noantri, quella che deve mettere l’azoto nei cibi per forza e lo fa per via della modernità magari ispi- rati da Adrià, o quell’altra piuttosto che se non ci sono competizioni e conseguenti premi televisivi non scende in campo neppure. Qua è diverso, e sostanzialmente di- verso: si viene per mangiare (bene, nel rispetto della tradizione) e fare due chiacchiere con gli amici, a Casa propria. E’ un viaggio alla ricerca del tempo perduto, in cui le “madeleine” di Proust sono i silenzi e i sorrisi di Ferdinando o le camminate rispettose avanti e indietro di Franca e Lucia, che curano sale e cucina. E anche il tempo che abbiamo perduto ad andare dietro alle pre- sunte innovazioni alimentari, a chefs che si truccava- no nei loro camerini prima di incontrarci, a ristoranti freddi e inautentici che sembravano camere iperbariche. Ecco, tutto questo “Al Gallo” non c’è, per grazia di Dio. C’è il calore buono di una volta, che non scade. C’è anche il fatto che, sedendosi al tavolo appena dopo con quattro battute e discutendo di aneddoti, quell’in- sana competizione che è ormai andare a mangiare in un locale, come in un eterno reality-show di cui siamo protagonisti e vittime inconsapevoli. La Casa dei ravennati ha compiuto centanni nel 2009. Ferdinando è nato in questa palazzina: prima c’erano i seguono in ogni passo per carpire magari i segreti della cordialità. Qualche frase di Ferdinando per far capire il tipo, di che pasta è fatto. “Segreti della ristorazione? scelta è orientata sulla qualità di quei prodotti che por- tano la continuità e la tradizione della nostra cucina”. “Il mio segreto? Il rispetto reciproco con le persone che, una volta sedute, possono respirare la serenità di una ambiente familiare”. La tranquillità del Gallo è prover- biale: sembra di entrare in un altro tempo, quello ma- gari delle origini o delle tradizioni che abbiamo lasciato per strada! “Mai lasciare la tradizione! La spesa la fac- cio io ogni mattina”. “Vede, il tavolo dove siamo seduti fa esso stesso parte della tradizione col suo avvicendarsi di amici e personaggi della nostra società. Com’era Raul Gardini che, quando rientrava a Ravenna, mangiava le tagliatelle alla disperata (prosciutto, pomodoro e pepe- per la terra o per la vela, o Sergio Zavoli, con la scelta dei cappelletti che, essendo ripieni solo di formaggio, li Ferdinando e che storia lunga ha alle spalle. Ancora oggi continua a cercare clienti “che non prendano possesso del locale, ma vengano semplicemente a mangiare”. In queste parole c’è anche una lezione gigantesca. E se parliamo di tendenze, Ferdinando sottolinea che “i gusti sono cambiati, a causa delle esigenze lavorative”, nient’altro. In quelle due parole che dice “riduzione delle scelte” c’è la sintesi di quanto ci è successo negli ultimi anni. E che luogo è Ravenna, Ferdinando? “Ravenna è una città con profonde radici storiche, a volte un po’ chiusa, ma che non smette mai di stupire e rinnovarsi. Per i ravennati si è persa in parte l’abitudine di incon- trarsi nella piazza o al bar – a parlare di vita, tra una mano di beccacino e l’altra – ma continuano a ritrovarsi in altri luoghi, magari a teatro… o qui”. O qui, a Casa loro. Beppe Errani, ex direttore de Il Resto del Carlino e storico inviato, grande collega, che oggi è qui accanto a noi nel tavolo degli amici, annuisce. L’incanto ravennate è in questa semplicità, in questo segreto che nessuno vuole disperdere né rivelare. | Gusto in Viaggio - 201526 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 26 20/11/15 17:24
  • 27. 2015 - Gusto in Viaggio | 27 ANTICA TRATTORIA AL GALLO 1909 Locale Storico d'Italia del Dott. Umberto Turicchia Via Maggiore,87 48121 RAVENNA Come nell'arte bizantina l'involucro architettonico esterno nasconde la ricchezza degli interni: infatti l'at- tuale “Antica Trattoria al Gallo 1909” (Locale Storico d'Italia dal 2010) si proietta con una facciata tradizio- nale su Via Maggiore, nel rione S. Biagio, custodendo tra i tavoli imbanditi quadri, sculture, vetrate liberty e decò. Alle pareti del ristorante “Al Gallo” le foto con gli ospi- ti prestigiosi che sono passati di qua sono numerose ed i mosaici realizzati dalla moglie Delia Clapiz colpiscono per la bellezza e la luminosità. L'oro invisibile di quei mosaici è custodito negli occhi scintillanti di Fernando quando parla di Delia, che conobbe durante un corso estivo di tecniche musive organizzato dal Prof. Salietti; lei insegnante, lui allievo. Quel felice incontro portò Delia, friulana di origine, a prendere il posto lasciato dopo 50 anni dalla mamma di Fernando, la “mitica” Verdiana, abbandonando una promettente carriera artistica per dedicarsi col suo toc- - che nell'inventiva e nelle presentazione dei piatti: gusti - ne ravennate. Il capitolo frequentatori del locale, poi sarebbe lunghissimo: capi di stato, ministri, segretari di partito, direttori d'orchestra, uomini e donne di spet- tacolo, ma per Ferdinando Turicchia hanno importanza soprattutto quelle persone che hanno dato e danno vita a Ravenna e che ha avuto la fortuna di conoscere e di ascoltare. Fra gli altri a lui piace ricordare le cene che si prolun- gavano a notte inoltrata del gruppo dell'Accademia guidato da De Grada seguito da Zancanaro, Pomodo- dei pastori il mercoledì e il sabato, che erano giorni di mercato, con le trattative e la stretta di mano a conclu- sione di un contratto. Poi le robuste mangiate a base di caccia organizzate da Raul Gardini dove l'amico Vanni Ballestrazzi primeggiava nell'onorare la tavola imbandi- ta di alzavole e beccaccini. Oggi le cose sono cambiate, ma l'importante è che si salvi la tradizione gastronomica, oggi minacciata dalla facilità e dalla faciloneria con cui si aprono locali di ogni genere, etnici e non, in cui i piatti pronti standardizzati del nostro mare. Racconta Ferdinando: “In questo am- a dare una mano, poi proseguii gli studi, mi diplomai e iniziai l'università, ma la prematura morte del bab- bo, Berto, mi costrinse a dedicarmi completamente alla trattoria. Beninteso, non me ne pento, perché questa attività mi ha dato tante soddisfazioni e il lavorare in coppia con mia moglie è stato per me una carica in più. scelte dei padri. Per me è stata quindi una grande gioia abbia deciso di continuare la tradizione famigliare del dolci. Tutto questo penso che è e sarà apprezzato dai buongustai, ravennati e non, cioè da tutti quelli che hanno a cuore che nella nostra Ravenna sia garantita l'identità anche per il futuro. Perché, come si sa, il fu- turo ha un cuore antico”. Antica trattoria al Gallo 1909 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 27 20/11/15 17:24
  • 28. | Gusto in Viaggio - 201528 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 28 20/11/15 17:24 GRAND HOTEL RIMINI
  • 29. 2015 - Gusto in Viaggio | 29 Genialità, immaginazione, intuito, fantasia e uno spic- cato senso per gli affari sono alla base del successo di Antonio Batani, proprietario, insieme alla sua fa- miglia, del gruppo alberghiero Select Hotels Col- lection. I suoi dodici alberghi disposti lungo la riviera di Romagna, sulle colline romagnole, e un cinque stelle anche in Romania, sono espressione della sua profonda passione per l’ospitalità. Una passione vissuta così in- tensamente da condurlo, nell’arco di cinquanta anni di attività, da una modesta pensione di sole 20 camere, ad un impero di oltre 1000. Cesenatico, Cervia, Milano Marittima, Rimini, Bagno di Romagna e Cluj Napoca (Romania): ecco le desti- nazioni scelte da Antonio Batani per i suoi alberghi. Si tratta di location di prestigio, costantemente animate da interessanti attività, in grado di offrire all’ospite in- numerevoli servizi durante tutto l’anno. La vocazione di Select Hotels Collection è duplice: “Luxury Expe- rience” e “Family Feeling” due tipologie di ospitali- tà per offrire il soggiorno ideale che meglio risponde ai desideri di ciascuno. Batani Select Hotels Collection: il segreto di una vacanza straordinaria gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 29 20/11/15 17:24
  • 30. | Gusto in Viaggio - 201530 Luxury Experience Alberghi che incarnano un mito, un sogno. Esclusive oasi di relax, lusso ed eleganza. Ampi spazi, atmosfere ovattate, profumi inebrianti e ovunque il bello, la sto- ria, il fascino. Negli hotel Luxury Experience, le gior- nate estive scorrono lente, scandite da appuntamenti irrinunciabili: la prima colazione in terrazza, il relax totale al Beach Club con spiaggia privata e il servizio dei nostri “Stewart di spiaggia” per soddisfare ogni ri- chiesta, il pranzo a buffet al ristorantino della spiaggia con vista sul mare, oppure servito al ristorante dell’ho- tel, un tuffo nella grande piscina, una partita a tennis o l’allenamento in palestra, ma anche un percorso be- nessere, trattamenti di bellezza e massaggi nei nostri centri “Dolce Vita Spa”. Al calar del sole, nulla di meglio di un aperitivo a bordo piscina seguito dalla cena in terrazza o nei saloni del ristorante dove gli Chef propongono menù à la carte con proposte di alto livello della tradizione locale e della cucina internazionale, per palati raffinati e sofisticati gourmet. E per concludere, musica dal vivo nel dopoce- na, per allietare le calde sere d’estate. E per chi desidera concedersi un’esperienza romantica davvero unica: cene al lume di candela, in riva al mare, sulla spiaggia privata, con maggiordomo dedicato e il sottofondo di struggenti note di violino; Private-Spa, una mini-spa creata appositamente per la coppia; la splendida suite con vista mare e caminetto per riscalda- re i cuori, anche nel più rigido inverno. Family Feeling Vitalità, freschezza, allegria! Negli alberghi “Family Fe- eling” ogni dettaglio è a misura di famiglia con servizi di alto livello pensati per gli adulti e i loro piccoli, per garantire, durante la giornata, momenti di svago e relax per tutti. La sveglia del mattino è assicurata dalle deli- zie dei nostri chef pasticceri; il gran buffet dolce-salato è ricco e variato, con specialità golose adatte anche ai più piccoli. In spiaggia, in piscina e in hotel, il mini-club si prende cura dei bambini coinvolgendoli in numerose attività ludiche e didattiche: la merenda alla scoperta dei sapori, la cena con i personaggi di Walt Disney, il Masterchef Bimbi, i nutella party, il teatro dei buratti- ni, il trucca-bimbi, i gonfiabili, lo zucchero filato e tanto altro ancora. Mentre i piccoli si divertono con gli animatori, gli adulti possono finalmente approfittare di favolosi momenti di relax nei nostri centri benessere, in piscina, in spiaggia o sui campi da tennis. Pranzi e cene sono alla carta o a buffet, con menù speciali creati appositamente per colo- ro che seguono specifici regimi alimentari. E poi tutto, Negli alberghi della famiglia Batani, il benessere è un concetto “globale”, un modo speciale di declinare l’accoglienza secondo lo stile della famiglia Batani. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 30 20/11/15 17:24
  • 31. ma proprio tutto per i più piccini: dallo scalda-biberon, al fasciatoio, dal bavaglino personalizzato ai seggioloni, - zioni di mamma…. La Cucina - cipali motivi del successo degli alberghi di Select Hotels Collection. Come sostiene il patron Antonio Batani: “L’ospite non si accontenta di un’accoglienza impec- - stinazione alla moda. L’ospite ritorna solamente se ri- tiene di avere mangiato molto bene”. Parole semplici, famiglia Batani. La genuinità dei prodotti utilizzati in cucina è assicurata in parte dall’azienda agricola della Vitalità, freschezza, allegria! Ogni dettaglio è a misura di famiglia con servizi di alto livello pensati per gli adulti e i loro piccoli e per garantire, durante la giornata, momenti di svago e relax per tutti. “ “ gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 31 20/11/15 17:24
  • 32. | Gusto in Viaggio - 201532 famiglia Batani, situata nella campagna cesenate, che rifornisce quotidianamente i nostri ristoranti di frutta e verdura freschissimi, da coltivazioni naturali e a kilome- tro zero. Nei ristoranti dei nostri alberghi, solo i miglio- .enoissapatnateenoigatsidittodorpiroilgimi,fehCir un’esperienza indimenticabile. I Ristoranti più rinomati del gruppo sono: • Ristorante La Dolce Vita, Grand Hotel Rimini 5*L, Chef Claudio Di Bernardo (aperto tutto l’an- no) • Monnalisa Restaurant, Grand Hotel da Vinci 5* Cesenatico, Chef Stefano Donegaglia e Alessandro Trovato (aperto tutto l’anno) • I Venini Restaurant, Palace Hotel 5* Milano Marittima, Chef Roberto Scarpelli (aperto da mar- Specialità: ricette della tradizione marinara rivisitate in chiave moderna, ampia scelta di proposte anche a base di carne, proposte vegetariane. La “Fattoria Batani” L’azienda agricola della famiglia Batani è ubicata in un piccolo villaggio rurale dell'entroterra e si estende su un territorio di 16 ettari. La “Fattoria Batani” nasce 10 anni fa, dal sogno dell’imprenditore Antonio Batani alberghi prodotti assolutamente genuini la cui prove- nienza fosse garantita. Niente di meglio quindi che dare l’avvio alla produzione propria di numerose varietà di verdure, legumi e frutta. Il tutto secondo le regole di un’agricoltura naturale, in accordo con le stagioni e non - chi, patate, melanzane, zucchine, fagioli e fagiolini, solo per citarne alcuni, fanno parte di una grande varietà di frutta succosa e di verdure saporite prodotte con pas- sione e amore per la terra dalla famiglia Batani. Non solo: le numerose galline allevate a terra garantiscono quotidianamente uova freschissime, per la preparazione della pasta fatta a mano dagli Chef e degli squisiti des- sert. Oggi, l’azienda agricola impiega ben 20 persone addette alla coltivazione e alla raccolta, durante tutto l’anno. Nella tenuta, una grande casa colonica accoglie la famiglia Batani, i loro ospiti ed amici, e a volte anche il personale, per occasioni speciali e feste anche all’aria aperta in un atmosfera tipicamente bucolica. Un altro modo per riscoprire la natura vera e godere delle sue numerosissime virtù. Il Benessere Negli alberghi della famiglia Batani, il benessere è un concetto “globale”, un modo speciale di declinare l’ac- coglienza secondo lo stile della famiglia Batani. Il be- nessere infatti inizia con un’accoglienza calorosa e con- tinua con un’attenzione tutta particolare all’ospite, un cibo particolarmente curato, genuino, fresco e che, oltre a deliziare il palato, fa anche bene alla salute, camere ampie ed eleganti, ampi spazi interni ed esterni, tra cui una totale “remise en forme” dentro e fuori…. Il tutto avvolto nella classe e nell’eleganza proprie dell’ospitali- tà di lusso. In particolare, ecco i principi applicati nei centri benessere del gruppo. La “Dolce Vita Spa” Un innovativo concetto di bellezza tutta al naturale gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 32 20/11/15 17:24
  • 33. 2015 - Gusto in Viaggio | 33 viene proposto nei centri benessere del gruppo Select Hotels Collection. E’ la vera bellezza che nasce dalla consapevolezza di sé, del proprio valore intrinseco, una bellezza che non dipende più da rigidi canoni, bensì dalla capacità di esprimere la propria interiorità, ciò che rende unici. Bellezza interiore, quindi, che traspare da uno sguardo particolarmente luminoso, un colorito fresco, una pelle ringiovanita, un corpo tonificato e pri- vo di tensioni, e si traduce poi in fascino e sensualità. Dolce Vita Spa propone il benessere come uno stile di vita che include 5 principi fondamentali. 1. Movimento, attività fisica moderata o intensa a seconda del proprio temperamento. Le sofisticate attrezzature Technogym di ultima generazione po- ste nell'area fitness garantiscono un'attività fisica equilibrata, sicura e con programmi personalizzati. Ideale per scaricare tensioni e liberare le tossine prima del percorso relax. 2. Detossinazione, ovvero "pulizia" interiore in due fasi: percorso benessere che include sauna, bio-sau- na, bagno turco, percorso Kneipp, doccia emozio- nale con cromoterapia, cascata di ghiaccio, vasca idromassaggio e grande piscina interna riscaldata con cascate d'acqua. Area relax al termine del per- corso. Bevande naturali. Lasciatevi consigliare il succo, il centrifugato fresco, per un pieno di vitamine e an- tiossidanti; oppure l'infuso ideale realizzato con le erbe officinali più adatte alla vostra costituzione e al vostro temperamento. 3. Salus per aquam: piscina, idromassaggio, doc- cia emozionale. I benefici dell'acqua non solo per il corpo, ma anche per lo spirito, per un benessere profondo. 4. Mangiar bene, ovvero alimentazione equilibrata, ricca di frutta e verdura. E, anche se con grande moderazione, sì a tagliatelle e piadina o qualsivo- glia specialità della tradizione per il piacere di ritro- vare i sapori del proprio territorio. 5. Mens sana, un atteggiamento mentale che sostie- ne il benessere fisico attraverso il recupero di spazi per sè, con gli amici, in palestra, nella natura o semplicemente facendo qualcosa che piace e gratifi- ca. • Grand Hotel Rimini 5 stelle L • Grand Hotel da Vinci 5 stelle, Cesenatico • Il Grand Hotel Italia 5 stelle, Cluj Napoca (RO) • Palace Hotel 5 stelle, Milano Marittima • Grand Hotel Gallia 4 stelle, Milano Marittima • Hotel Aurelia 4 stelle, Milano Marittima • Hotel Doge 4 stelle, Milano Marittima • Hotel Universal 4 stelle e Diplomatic 3 stelle, Mila- no Marittima • Hotel Brasil 3 stelle, Milano Marittima • Hotel Miramonti 4 stelle, Acquapartita di Bagno di Romagna Tutte le proposte per soggiorni indimenticabili tutto l’anno su www.selecthotels.it Per informazioni e prenotazioni: tel. +39 0544 977 071 - info@selecthotels.it Select Hotels Collection Viale 2 Giugno, 34 - 48015 Milano Marittima (Ra) Tel. +39.0544.977071 - Fax. +39.0544.971746 info@selecthotels.it Batani Select Hotels Collection Maestri nell’arte dell’accoglienza, da oltre 50 anni. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 33 20/11/15 17:24
  • 34. Sono nato a Forlì il 3 febbraio del 1959, nell’epoca in cui si partiva per Ravenna, dove il polo petrolifero e in- dustriale del cemento dava la possibilità di un impiego e speranze di ricchezza. Mio padre Ivan faceva l’operaio all’Anic e mia madre Idelba la sarta in casa, o, come si diceva allora, faceva “delle riparazioni”. Quattro fra- telli, tre maschi e una femmina, più la nonna Corinna: una famiglia tranquilla con i valori di altruismo e one- stà alla base, gli stessi che oggi provo a trasmettere a avere ultimato gli studi. La stessa storia di mio padre, che dovette smettere all’età di 17 anni quando gli morì il padre: andò, a lavorare in fabbrica per poter mante- nere la madre e la sorella Ivana che ha vissuto con noi con un diploma era la massima aspirazione, da parte mia sono stato l’unico a scegliere al terzo anno di Perito Elettrotecnico di smettere per andare a lavorare a Ra- venna! Proprio come lui. Ma quando arrivò a una cer- ta età mio padre si iscrisse a corsi serali per ultimare gli studi, dando l’esame di stato da privatista lo stesso giorno di mio fratello Fausto (il più grande di età). Su da parte di mio padre la sensazione che fosse dispiaciu- to della mia scelta di interrompere gli studi: anzi era lui che mi incoraggiava a tenero duro, a capire quali fossero le mie più vere passioni. Fu Lorenzo, il marito di mia zia Ivana, a darmi la prima idea: lui faceva il rappresentan- te a Milano nel settore dolciario, guadagnava bene, era sempre elegante e con macchine alla moda. Perché no, dissi tra me e me: c'era il deposito della San Una storia di valori, la mia Fabio Fossi | Gusto in Viaggio - 201534 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 34 20/11/15 17:24
  • 35. Carlo, nota azienda di snack che cercava ragazzi patentati con la patente C per vendere i loro prodotti nella provincia di Ravenna. Così nell’81 iniziai la mia carriera di rappresentante: feci il corso per agente di commercio alla Camera di Commercio di Forlì per il patentino degli agenti di commercio. Dopo un anno e mezzo mi capitò l’occasione di andare alla Parmalat, divisione latticini; l’unico problema era il freddo della cella frigorifera del furgone e il fatto che alle quattro di mattina dovevi fare il carico in depo- sito. Incominciavo a guadagnare bene, meglio dei miei amici che facevano gli operai in fabbrica, addirittura meglio di mio fratello Fausto, diplomato e ora impiegato. Mia madre era la più felice. Non mi sono mai dimenticato di aiutare la mia famiglia e i miei fratelli. Nel 1984 la Barilla cercava agenti a Forlì; è il momento giusto di abbandonare il freddo del furgone per la “cravatta” e il copia-comissione. Rimango con loro due anni. L’anno prima mi sono sposato con Daniela, che è sempre di tutto ciò che ho fatto. Attraverso il sindacato dei rappresentanti di Forlì, conosco una persona, Elveo Focacci che ha una avviata agenzia di rappresentanza vini di nome “La Romagnola”; non sapevo allora che sarei rimasto in questo settore - ne, la mia grande occasione era arrivata. Ed era costoso fare questo lavoro perché tra le spese della benzina, i ristoranti e le tasse, con le mie misere provvigioni non bastavano mai per pagare le bollette. Sono passati tanti anni da allora, e mi sembra di sentire ancora il pianto silenzioso di mia moglie che per non demoralizzarmi piangeva di notte di nascosto, perché eravamo pieni di debiti ed io ero imbarazzato a chiedere aiuto ai miei suoceri o genitori. Dedico a mia moglie e alla mia famiglia i miei successi lavorativi e economici; a loro che mi hanno dato la forza in tutti questi anni Feci i corsi da Sommelier e da degustatore di grappa, iniziai a leggere riviste di vino e cibo: capivo che la preparazione era importante in questo settore e dovevo essere preparato più del mio cliente! Oggi ringrazio ancora Elveo per i 14 anni passati con lui e per avermi indicato una strada; solo a dirgli che sarei dovuto andare alla Errebi come responsabile vendita vini, mi toglieva il sonno. Poi aprì anche con il mio amico Christian Donini una agenzia di consulen- za commerciale, Eterea. Erano anni duri, le aziende pagavano male, la crisi mordeva, gli agenti stentavano a prendere mandati di aziende ancora sco- nosciute. Decidiamo dopo qualche anno di dividerci, sono piu le spese che i guadagni e io continuo da solo con la mia nuova agenzia Decant. La svolta è arrivata cinque anni fa quando andai senza troppo entusiasmo a dire la verità al Merano Wine Festival. Mi incontro con un caro amico romagnolo, Gianmatteo Baldi, il quale lavora per una importante cantina, la Bertani. Nord-Est. E si arriva ad oggi, ai miei 55 anni, soddisfatto del mio percorso. Quando racconto la mia storia agli agenti più giovani, mi viene fuori un malinconico sorriso; è la storia di un ragazzo come tanti che cerca nella vita e nel lavoro di portare avanti valori che oggi stanno scomparendo. Vorrei dire, con le parole del grande Marcello Mastroianni nello stupendo - bene che abbiamo fatto e il male che abbiamo causato resteranno sempre da qualche parte”. Ecco, questa è una storia di valori e rispetto, ma nor- male. 2015 - Gusto in Viaggio | 35 per tutti Roberto Trevisan Oltre ad aver avuto la fortuna di co- noscere il carissimo amico Giovanni per conoscerci, sono felice di essere tra quelle persone che hanno come attività principale la propria passione, non mi un suo amante e per questo si può dire che dedichi tutto il mio tempo, forze e capacità per capire, esaminare e scopri- re l‘amata magica bevanda. Sono nato a Bologna, da studente so- gnavo il mio futuro da bravo ingegnere della meccanica di precisione e recar- mi nella vicina Maranello per magari poter bussare alle porte della mitica Ferrari: la mia passione per i motori é sempre stata forte e proprio nei tre mesi estivi delle vacanze scolastiche per guadagnare i soldi per una moto usata sono capitato casualmente in una pic- cola torrefazione. Ancora senza saperlo iniziavo a muovere i primi passi in un mondo che ancora oggi dopo tanti anni mi attrae sempre con maggior passione e il merito di questo lo devo ad Arman- do Parenti, il titolare della torrefazione Bolognese il quale oltre ad trasmetter- - sia Trieste, dove ho avuto la fortuna di conoscere personalmente persone come Alberto Hesse, Ernesto Illy, Vincenzo Sandalj e altri veri esperti, timonieri e Da venti anni vivo in Repubblica Ceca, attrezzature principalmente a Praga, proponendo un prodotto artigiana- le inizialmente tostato in Italia; poi nortePacitimanuidotsiuqcálopod - cini (torrefattrice prodotta dalla stori- ca azienda bolognese) ho iniziato negli anni ‘96 e ‘97 a tostare in una piccola - date. gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 35 20/11/15 17:24
  • 36. A testimonianza dell'antica vocazione all'olivocoltura, oltre che vitivinicola, esistono documenti di epoca medievale che atte- stano come alle navi che approdavano sul Po venisse richiesto un pedaggio consistente in venticinque libbre di olio d'oliva. Tale pedaggio, chiamato "Ripatico", veniva riscosso anche dai pugliesi, ma in misura quantitativamente (e dunque con va- lutazione qualitativamente inferiore) minore rispetto alle va- lutazioni degli oli marchigiani, come attestano i regolamenti dei commercianti veneziani, nella seconda metà del 1200: l'o- lio "de Marchia" godeva di un capitolo a parte, privilegiato rispetto alle altre regioni produttrici. L'usanza di far pagare alle provincie dell'Impero tributi in olio era stata introdot- ta dai Romani; dopo la caduta dell'impero furono i monaci, specialmente nei territori possedimenti degli Stati Pontifici, a rinnovare gli impianti e a salvaguardare l'olivocoltura. Agli agricoltori veniva affidata la ricostruzione degli oliveti dietro compenso pecuniario o di una quantità di prodotto: una sorta di contratto colonico mezzadrile ante litteram, che diventerà l'asse portante dell'economia agricola marchigiana. Nel 1300 la produzione olearia regionale raggiungeva anche Firenze, con consistenti quantitativi; tale esportazione, favorita anche dal fatto che la produzione eccedeva il consumo interno, è conti- nuata fino al 1600. Alcuni dati sono sufficientemente eloquenti per descrivere l’attuale situazione produttiva: in una regione come le Marche in cui l’olivicoltura rappresenta circa l’1,5% della produzione lorda vendibile, con una superficie olivicola complessiva di poco superiore ai 10.000 ettari, assai frammen- tata e suddivisa in qualcosa meno di 30.000 aziende, con una produzione media regionale intorno ai 40.000 quintali di olio (quest’anno le oscillazioni della bilancia pendono a favore di un incremento rispetto alla scorsa stagione), si può aggiunge- re che al peso del numero, tutto sommato abbastanza esiguo complessivamente, corrisponde una qualità in sicura, costante crescita, con notevole espressione di biodiversità, una DOP nel territorio di Cartoceto, e una quota più che apprezzabile di biologico, con un migliaio di aziende e una superficie di circa 1.600 ettari. Tra le cultivar, negli ultimi anni performance ab- bastanza straordinarie sono state fornite dall’Ascolana tenera, varietà di antichissima tradizione ma ritenuta solo “da mensa” fino a tempi molto recenti. E’ un caso paradigmatico di come la storia del gusto sia anche una storia delle tecniche (e vicever- sa) e di come cambino le cose a seconda della determinazione qualitativa e della vitalità del feedback, ovvero della comunica- zione tra produttori e consumatori. Originaria della provincia di Ascoli Piceno, ma occasionalmente coltivata nell’intero ter- ritorio marchigiano con crescente diffusione, anche in virtù dei risultati di eccellenza organolettica raggiunti, l’Ascolana tenera può esprimere fruttato intenso decisamente erbaceo, con sento- ri che vanno dal pomodoro al carciofo, e gusto complesso con amaro e piccante in evidenza, e presenza di cicoria. Tra le cul- tivar autoctone c’è poi la Coroncina, diffusa soprattutto nella provincia di Macerata, con maggiore concentrazione nei comuni di Caldarola, Belforte del Chienti e Serrapetrona, fino alle aree interne, ad altitudini superiori ai 600 m s.l.m., questa cultivar deve probabilmente il suo nome alla sporgenza che il frutto presenta, simile a una corona. Esprime un fruttato medio con sentori di erba e di carciofo, di colore verde intenso, e un elevato contenuto in polifenoli e clorofilla. Ci sono poi il Piantone di Mogliano e il Piantone di Falerone: il primo è diffuso soprat- tutto nel maceratese, in una zona intermedia tra le aree interne e la collina litoranea, e si caratterizza per il colore giallo oro e il fruttato leggero tendenzialmente dolce con amaro e piccante favoriti dalla raccolta precoce. Il secondo, storicamente legato alla civiltà picena e al territorio di Piane di Falerone (oggetto di centuriazione ed assegnazione ai veterani da parte di Augusto nel 30 a.C., con relativa edificazione di una città giuridicamente simile a Roma), si caratterizza per un fruttato medio-leggero, gusto inizialmente dolce, leggermente piccante, con piacevole retrogusto amaro. La Mignola è presente nelle province di An- cona, Macerata ed Ascoli, ma particolarmente diffusa nelle aree più interne del territorio regionale e nella Vallesina. L'olio che se ne ricava è mediamente fruttato, con sentori peculiari, in- confondibili, di erba e frutti di bosco: il sapore è marcatamente amaro e piccante, con note di dolce più o meno accentuate. La Carboncella è diffusa soprattutto nelle province di Ascoli Piceno e Macerata, la Carbonella nel territorio di Cingoli, ed ha buon fruttato armonico, amaro e pungente, di colore verde intenso, con buon contenuto in polifenoli e clorofilla. Olio, da “compenso” a eccellenza di Antonio Attorre Giornalista, scrittore, docente universitario, redattore di Slow Food Le grandi varietà marchigiane conquistano gli esperti | Gusto in Viaggio - 201536 gusto in viaggio GUGLIELMO.indd 36 20/11/15 17:24