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Carlo Malinconico1
DIRITTI FONDAMNETALI E LIMITI DI BILANCIO PUBBLICO
Il tema della presente riflessione. ..................................................................................................................... 1
La tutela della salute nella Costituzione italiana e nelle convenzioni internazionali come diritto
fondamentale....................................................................................................................................................... 2
Disposizioni di leggi finanziarie di limitazione delle tutele dei diritti fondamentali (in particolare, delle
prestazioni sanitarie). Il limite costituzionale di un nucleo incomprimibile di tali diritti e in generale
limite della ragionevolezza................................................................................................................................. 2
La violazione di diritti fondamentali dovuta alle leggi del settore sanitario. Il presupposto della
legittimità delle restrizioni all’accesso alle cure............................................................................................... 6
La costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio.................................................................. 8
L’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. ........................................................... 9
Conclusioni.......................................................................................................................................................... 9
Il tema della presente riflessione.
Può l’esigenza del bilancio pubblico condizionare la tutela di diritti fondamentali? Tale domanda, specie
con riferimento alla tutela della salute, impone una riflessione meditata. Da un lato, infatti, la nostra
Costituzione è ispirata alla tutela dei diritti fondamentali ed espressamente “garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, e sociale” (articolo 2). E, oltre a
ciò, il nostro ordinamento è tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’unione europea. Si tratta di diritti fondamentali che vietano qualsiasi forma di discriminazione, specie
se derivante da condizioni economiche.
D’altro lato, il principio del pareggio di bilancio è entrato in costituzione (articolo 81) e certamente
impone al legislatore ordinario la ponderata e discrezionale scelta di allocazione delle risorse finanziarie
disponibili, con riguardo non solo alla copertura delle singole leggi di spesa, ma al complessivo equilibrio
dei conti pubblici nel corso degli anni e dei cicli finanziari ed economici che si susseguono.
Oltre a ciò, non solo la nostra Costituzione ma anche le convenzioni internazionali sopra menzionate
contengono un nucleo di diritti affermati nella loro assolutezza come diritto alla vita e all’integrità
personale, ma per altri diritti, come la protezione della salute, prevedono il “diritto di accedere alla
prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi
nazionali” (articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea).
D’altro lato, far dipendere la tutela di diritti fondamentali da scelte discrezionali del legislatore, specie se
di natura finanziaria, può portare all’elusione della tutela dei diritti fondamentali medesimi.
1 Intervento al Convegno internazionale di studi sul tema “Democrazia e diritti fondamentali”, tenutosi a presso l'Università
di Salerno, nei giorni 5-6-7 dicembre 2019.
Nelle considerazioni che seguono si avrà riguardo, in particolare, al diritto fondamentale alla salute
(articolo 32 della Costituzione), anche in considerazione del “modello sociale europeo” e dei principi di
solidarietà (articolo 2 della Costituzione), che caratterizzano il nostro ordinamento.
Ma i concetti che saranno espressi valgono per tutti i diritti fondamentali, specie quelli che l’Italia
riconosce in base a convenzioni internazionali, con riguardo alle tutele disposte non in modo assoluto,
ma con rinvio alla legislazione nazionale.
La tutela della salute nella Costituzione italiana e nelle convenzioni internazionali come diritto
fondamentale.
Il diritto alla salute è tutelato in Costituzione all’articolo 32. È tutelato anche nella CEDU agli articoli 2,
3 e 8 della Convenzione e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE all’articolo 35. Occorre verificare
se debba essere considerato incomprimibile e prevalente rispetto ai vincoli economico-finanziari.
Costituisce ius receptum il principio per cui il diritto alla salute è un diritto assoluto erga omnes, se inteso
come diritto all’integrità psicofisica. Mentre, per quanto concerne i trattamenti sanitari, è un diritto
condizionato alla previsione di legge, sia per quanto riguarda le prestazioni rese dal servizio sanitario
nazionale, sia per quanto attiene alle modalità di erogazione (ad esempio, se in forma diretta o indiretta).
E così si è negato che sia contrario alla Costituzione la mancata previsione, tra le prestazioni del servizio
sanitario nazionale, di trattamenti sanitari particolari (anche recentemente, Corte costituzionale, sentenza
203 del 2016).
Benché si debba riconoscere, proprio in funzione della discrezionalità del legislatore di dimensionare
l’offerta sanitaria a limiti finanziari e organizzativi, la discrezionalità non è sottratta al sindacato della
Corte costituzionale. La violazione del principio costituzionale e delle convenzioni internazionali a tutela
della salute può avvenire con modalità diverse, che per comodità possono essere ricondotte a due: la
prima, ricollegabile direttamente alla previsione di legge di bilancio o comunque a leggi di natura
finanziaria; la seconda, per difetto delle norme direttamente riguardanti i trattamenti sanitari erogabili dal
servizio sanitario nazionale o dalle regioni.
Conviene, quindi, trattare separatamente le due ipotesi.
Disposizioni di leggi finanziarie di limitazione delle tutele dei diritti fondamentali (in
particolare, delle prestazioni sanitarie). Il limite costituzionale di un nucleo incomprimibile di
tali diritti e in generale limite della ragionevolezza.
Non appare discutibile che il legislatore ordinario possa graduare l’ampiezza dell’assistenza sanitaria, con
riferimento alle disponibilità finanziarie e organizzative del servizio pubblico. Peraltro, con un limite
assoluto e non valicabile discrezionalmente, coincidente con un nucleo intangibile di assistenza sanitaria,
coincidente con la tutela della vita, dell’integrità fisica e psichica, della dignità della persona umana.
E, come il legislatore vanta discrezionalità nella scelta delle prestazioni sanitarie da erogare, così la stessa
discrezionalità deve essergli riconosciuta anche nella riduzione delle prestazioni sanitarie per motivi di
finanza pubblica. Sempre con il limite della tutela del nocciolo essenziale dei diritti della persona e nel
rispetto del principio di ragionevolezza.
È utile ricordare che la Corte costituzionale ha più volte ribadito il principio secondo cui, anche la
legislazione di bilancio pubblico deve rispettare il limite della “non irragionevolezza”, con la conseguenza
che sono costituzionalmente illegittime le manifestazioni di non giustificato esercizio della discrezionalità
legislativa. In particolare, vanno ricordate le sentenze n.275/2016 e n. 822/1988.
Se negli anni 80 dello scorso secolo, la Corte costituzionale aveva avuto occasione di occuparsi della
ragionevolezza delle previsioni finanziarie con riferimento al mutamento in pejus del trattamento
pensionistico di un dipendente, nella più recente sentenza del 2016 prende in considerazione il diritto
all’educazione scolastica e al connesso servizio di trasporto pubblico di riferimento a persona portatrice
di handicap.
Più in particolare, negli anni ‘80 quando si sono cominciate a porre le prime questioni davanti alla Corte
costituzionale in materia di contemperamento di interessi tra diritti fondamentali e vincoli di bilancio,
l’orientamento giurisprudenziale prevalente tendeva a dichiarare la prevalenza dei diritti sociali e
inviolabili dell’uomo su ogni limite di spesa pubblica (a titolo esemplificativo si veda la sentenza n.
822/1988 della Corte costituzionale).
Negli anni ’90 la situazione è mutata parzialmente, la Corte costituzionale ha cominciato a parlare di diritti
“finanziariamente condizionati”, ossia diritti sociali che non sono assoluti e illimitati, ma vanno graduati e
contemperati in relazione alla possibilità economiche di garantirli e quindi che non possono essere sempre
e comunque considerati prevalenti.
La sentenza costituzionale n.455/1990 della Corte Costituzionale già trent’anni fa affermava che
“considerato come diritto ad ottenere trattamenti sanitari, il diritto alla salute è basato su norme costituzionali di carattere
programmatico e condizionato all’attuazione che ne dà il legislatore ordinario: attuazione, costituzionalmente obbligatoria,
da realizzare gradualmente attraverso il ragionevole bilanciamento – sindacabile dalla Corte Costituzionale – con altri
interessi o beni assistiti da pari tutela costituzionale nonché con l’obiettiva disponibilità di risorse organizzative e
finanziarie”.
In ogni caso “nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al diritto
ai trattamenti sanitari, le esigenze relative all’equilibrio della finanza pubblica non possono assumere un peso assolutamente
preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all’inviolabile dignità della persona
umana, costituendo altrimenti esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa” (sentenza n.
304/1994).
Con riferimento all’esigenza di rispettare i vincoli del bilancio pubblico, la Corte costituzionale da tempo
ha chiarito che “Nello scrutinare la legittimità costituzionale di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa
pubblica nel settore sanitario, questa Corte ha avuto più volte modo di ribadire la necessità che la spesa sanitaria sia resa
compatibile con «la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una
programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (sentenze n. 203 del 2008
e n. 111 del 2005). In particolare, ha osservato che «non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto
ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità
finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione
delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla
salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame» (sentenza n. 356 del 1992)”.
La stessa sentenza chiarisce che tale principio si applica anche con riferimento alla libera scelta
dell’assistito e al rapporto tra strutture pubbliche e private, nonostante il diritto alla libera scelta del
medico curante sancito dalla legge di riforma del servizio sanitario nazionale “La giurisprudenza costituzionale
ha chiarito, altresì, che, anche nel regime dell’accreditamento introdotto dall’art. 8, comma 5, del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992,
n. 421), il principio di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e di libera scelta dell’assistito «non è
assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso
legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996)»
(sentenza n. 94 del 2009)”.
La conclusione è che “Le risorse disponibili per la copertura della spesa sanitaria costituiscono quindi un limite
invalicabile non solo per l’amministrazione ma anche per gli operatori privati, il cui superamento giustifica l’adozione delle
necessarie misure di riequilibrio finanziario (in tale senso Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012,
n. 3 e n. 4)”.
Con particolare riferimento alla tutela prevista dall’articolo 32 della Costituzione, e alla possibile incidenza
delle ragioni economico-finanziarie denunciata dal giudice remittente, la Corte precisa, con richiamo ai
precedenti ai propri precedenti che “Questa Corte ha ripetutamente affermato che «la tutela del diritto
alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le
risorse finanziarie delle quali dispone».
Ma subito precisa e si tratta di precisazione assai significativa, che «le esigenze della finanza pubblica
non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da
comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito
inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 309 del 1999; nello stesso senso, sentenze n. 267 del
1998, n. 416 del 1995, n. 304 e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992 e n. 455 del 1990).
E nel caso portato alla sua attenzione, la Corte conclude per il rigetto della questione di
costituzionalità, proprio perché quel nucleo incomprimibile di tutela della salute non appariva
compromesso “Come rilevato, le riduzioni della spesa complessiva disposte dalla norma in esame
sono relativamente esigue in termini percentuali e gravano esclusivamente sui contratti o sugli
accordi vigenti nel 2012 per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati.
Nonostante esse si risolvano in una riduzione del volume annuo complessivo delle prestazioni
erogabili da tali soggetti, non vi è alcuna evidenza che il diritto alla salute dei cittadini sia inciso
dalla norma – considerata in sé o insieme a non meglio precisate misure anteriori evocate dal
rimettente – al punto tale da comprimere il suo nucleo irriducibile, né che l’opera di bilanciamento
perseguita dal legislatore, al fine di conseguire l’obiettivo di risparmio, abbia irragionevolmente
commisurato la concreta attuazione del diritto alla salute alle risorse esistenti e al rispetto dei vincoli
di bilancio pubblico.
In definitiva, l’affermazione della possibilità che, a causa delle misure in esame, la funzionalità del
SSN sia compromessa con conseguente pregiudizio del diritto alla salute dei cittadini si risolve «in
un’argomentazione meramente ipotetica che, appunto perché tale, è inidonea a dare consistenza alla
censura» (sentenza n. 94 del 2009)”.
Rilevante è la sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, riguardante l’accesso di disabile al
trasporto scolastico. Con tale sentenza la Corte dichiarò “costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art.
38, commi terzo e quarto, Cost. - l'art. 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978, «, nei limiti della
disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,». La
disposizione, condizionando a generiche ed indefinite previsioni di bilancio il finanziamento da parte della Regione del 50%
delle spese per il trasporto degli studenti disabili sostenute dalle Province (in conformità alla pianificazione disciplinata dallo
stesso legislatore regionale), lede il fondamentale diritto all'istruzione del disabile, in quanto comporta che la fruizione del
servizio di assistenza e trasporto dello studente disabile - ascrivibile al nucleo indefettibile di garanzie per l'effettività del
medesimo diritto - venga a dipendere da scelte finanziarie che la Regione può compiere con semplici operazioni numeriche,
senza alcun onere di motivazione in ordine alla scala di valori che con le risorse del bilancio si intende sorreggere. Né la
censurata previsione trova giustificazione nel necessario rispetto dell'obbligo di copertura finanziaria della contribuzione
regionale (art. 81 Cost.), poiché il concetto di equilibrio del bilancio va correttamente inteso nel senso che è la garanzia dei
diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione delle
prestazioni per realizzarlo. La legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa non
costituiscono una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può
essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal
giudizio di legittimità costituzionale”.
Tale sentenza ha costituito un interessante spunto di svolta, in quanto la Corte ha sottolineato che “È la
garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa
erogazione”.
Esiste, in altri termini, un nocciolo duro di tutela di diritti fondamentali attinenti allo sviluppo e alla dignità
della persona umana che non possono essere incisi da valutazioni discrezionali del legislatore ordinario.
Sussistono, inoltre, limiti alla discrezionalità del legislatore in materia finanziaria. Ravvisati dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale in una “non irragionevole” disciplina della discrezionalità del
legislatore.
Dunque, la discrezionalità del legislatore sussiste, sia sulle prestazioni sanitarie da erogare con il servizio
pubblico sia anche sulle modalità di tale erogazione. Ma la discrezionalità è oggetto di sindacato da parte
della Corte costituzionale.
La violazione di diritti fondamentali dovuta alle leggi del settore sanitario. Il presupposto della
legittimità delle restrizioni all’accesso alle cure.
Certamente, l’interposizione della legge ordinaria è necessaria quando si tratta di stabilire quali trattamenti
sanitari possono, e in taluni casi devono, essere erogati. Altro, invece, è stabilire se determinati trattamenti
sanitari, previsti in generale dalla normativa in materia sanitaria, appartengano a quelle che costituiscono
nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità
umana e se ciononostante possano essere esclusi per determinate categorie di pazienti, per ragioni di
contenimento della spesa pubblica, con conseguente discriminazione di questi ultimi, senza una plausibile
evidenza scientifica (si pensi al diniego della assistenza neuroriabilitativa di alta specialità a pazienti in
base al fabbisogno sanitario erroneamente calcolato o in base agli indici di reattività medica, fissati al solo
scopo di contenere la spesa pubblica).
La lesione del diritto alla salute può dipendere, come nel caso della sentenza n. 203 del 2016, da un taglio
“lineare” dovuto a problemi di riduzione del debito pubblico, ma può anche derivare da norme che
illegittimamente negano il trattamento sanitario anche per ragioni di ritenuta “appropriatezza” del diniego
di prestazione sanitaria nei confronti di determinati pazienti.
In questo caso, l’illegittimità della previsione della norma sostanziale, che regola l’erogazione delle
prestazioni sanitarie, ad esempio discriminando in base a non solide valutazioni scientifiche, la condizione
dei pazienti. In tal caso, l’illegittimità della previsione sostanziale, sia che si tratti di norma statale sia che
si tratti di norma regionale o di provvedimento applicativo di tali previsioni, il diniego di prestazione
sanitaria, ove ritenuto illegittimo, non può trovare un limite nello stanziamento di bilancio.
L’ente pubblico, infatti, illegittimamente opporrebbe al paziente un limite di bilancio determinato dalle
sue stesse scelte. Il limite del bilancio, in altre parole, opera, anche a livello costituzionale, solo se
legittimamente configurato.
In proposito, va richiamato il principio proclamato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza 455/90
in tema di prestazioni sanitarie a favore di anziani non autosufficienti, ricoverati in case di riposo a spese
del servizio sanitario pubblico.
In tale sentenza, la Corte costituzionale richiama i principi costituzionali in materia, ma poi sottolinea
l’esigenza che i limiti alle prestazioni sanitarie siano legittimamente fissati “Considerato sotto il profilo della
difesa dell’integrità fiso-psichica della persona umana di fronte a condotte lesive da parte dei terzi, il diritto alla salute e' un
diritto "erga omnes", immediatamente garantito dalla Costituzione e, come tale, direttamente tutelabile e azionabile nei
confronti degli autori dei comportamenti illeciti. - S. nn. 88/1979, 184/1986, 559/1987; riconoscimento della salute
come diritto "primario e fondamentale" anche nelle S. nn. 307/1990, 992/1988 e 1011/1988.
Considerato come diritto a ottenere trattamenti sanitari, il diritto alla salute è basato su norme costituzionali di carattere
programmatico e condizionato all'attuazione che ne dà il legislatore ordinario (statale e regionale): attuazione,
costituzionalmente obbligatoria, da realizzare gradualmente, attraverso il ragionevole bilanciamento - sindacabile dalla Corte
costituzionale - con altri interessi o beni assistiti da pari tutela costituzionale nonché' con l'obiettiva disponibilità di risorse
organizzative e finanziarie
Non può parlarsi di un diritto soggettivo pieno e incondizionato rispetto a prestazioni sanitarie che oltrepassino i limiti di
erogazione legittimamente previsti dalle leggi ordinarie, e legittimamente le prestazioni erogate - in aggiunta a quelle del
Servizio sanitario nazionale - in favore di anziani "non autosufficienti”.
E così, nella sentenza 304 del 1994 la Corte ritiene legittima la scelta di erogare determinate prestazioni
sanitarie solo in forma diretta, e non anche indiretta, per ragioni organizzative delle strutture pubbliche e
anche per le esigenze di bilancio “Al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto a
trattamenti sanitari, essendo basato su norme programmatiche che impongono al legislatore un obbligo costituzionale
all'attuazione della tutela della salute, diviene per il cittadino "pieno e incondizionato" nei limiti in cui lo stesso legislatore,
attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi
conseguentemente determinati alle risorse organizzative e finanziarie esistenti, predisponga adeguate possibilità di fruizione
delle prestazioni sanitarie.
Nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al "diritto ai trattamenti
sanitari" (art. 32 Cost.), le esigenze relative all'equilibrio della finanza pubblica non possono assumere un peso
assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all'inviolabile disparità
della persona umana, costituendo altrimenti esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa. red.:
La normativa regionale della Campania che esclude dall'assistenza in forma indiretta le prestazioni sanitarie riabilitative
aventi carattere di continuità e prolungate nel tempo non può dirsi manifestamente irragionevole, tenuto conto del rilevante
onere finanziario connesso alla fruizione di tali prestazioni presso strutture private non convenzionate con il servizio sanitario
e alla contestuale possibilità di poter fruire delle medesime prestazioni presso le strutture pubbliche o convenzionate; ne' la
considerazione delle esigenze finanziarie assume nella specie un peso tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla
salute, essendo quest'ultimo salvaguardato dalla possibilità di ricorrere a forme di assistenza indiretta, anche all'estero,
quando le condizioni di salute del disabile rendessero indifferibili interventi sanitari non tempestivamente erogabili dalle
strutture del S.S.N. o da quelle convenzionate
L'art. 7, primo comma, della L. 5 febbraio 1992 n. 104, prevedendo che l'erogazione di prestazioni riabilitative agli
handicappati avvenga solo da parte di strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale, non determina
una irragionevole disparita' di trattamento rispetto al successivo art. 11 s.l., che garantisce ai disabili cure di altissima
specializzazione all'estero, dal momento che le situazioni poste a raffronto non sono omogenee e comparabili, per la
sostanziale diversità degli interessi sottostanti, rispettivamente, alle prestazioni continuative o prolungate nel tempo, ed a
quelle non tempestivamente o adeguatamente ottenibili nel nostro Paese. Né è irragionevole e contrario al principio di buon
andamento della P.A. che il legislatore abbia ritenuto meno onerosa per le finanze pubbliche l'erogazione delle prestazioni
riabilitative in forma diretta (anziché' indiretta), dovendo comunque essere mantenute strutture pubbliche per l'erogazione
di prestazioni in favore dei cittadini meno abbienti.
La costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio.
Occorre, tuttavia, chiedersi se l’inserimento in costituzione del principio del pareggio di bilancio abbia
modificato i principi costituzionali in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, nel senso di
far prevalere in ogni caso l’esigenza finanziaria.
Con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, per effetto della legge costituzionale 20 aprile 2012,
n. 1, “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi
avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine
di considerare gli effetti del ciclo economico, previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza
assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali” “Il contenuto della legge di bilancio
le norme fondamentali e i criteri volte ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci la
sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata
a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, nel rispetto dei principi definiti con legge
costituzionale”, quindi, con procedura aggravata.
Quindi il nuovo articolo 81 della Costituzione, introdotto anche in considerazione dei vincoli posti
dall’appartenenza all’Unione europea e alla moneta unica, ha riguardo non solo alla copertura della singola
spesa, bensì all’equilibrio negli anni del bilancio pubblico. Ed infatti, la Corte costituzionale ha così
statuito: nella sentenza 197 del 2019 “La copertura finanziaria delle spese della P.A. deve indefettibilmente avere un
fondamento giuridico, dal momento che, diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero nella parte
attiva del bilancio per realizzare nuove o maggiori spese. Copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono due
facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa
individuazione delle pertinenti risorse: nel sindacato di costituzionalità copertura finanziaria ed equilibrio integrano una
clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia coinvolga direttamente il
precetto costituzionale: infatti la forza espansiva dell'art. 81, 3° comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica,
si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti
la sana gestione finanziaria e contabile”.
Questa costituzionalizzazione dell’obbligo del pareggio di bilancio potrebbe portare a ritenere che gli
interessi finanziari prevalgano sulla tutela dei diritti fondamentali, in caso di mancanza di previsione nel
bilancio dell’ente pubblico.
In realtà non è così, in quanto comunque un’indiscriminata compressione dei diritti sociali essenziali a
causa delle limitazioni di bilancio non è tutt’ora ammissibile proprio in forza dei principi sopra richiamati.
Le esigenze finanziarie non possono portare alla compressione di diritti fondamentali oltre il limite della
incompatibilità con la tutela prevista in altre norme della Costituzione e delle convenzioni internazionali.
Con riferimento agli enti territoriali oramai concorrono, parimenti allo Stato centrale, alla sostenibilità
delle finanze pubbliche, quindi aldilà di ogni difficoltà interna della Regione non possono che garantire
determinate prestazioni essenziali (sentenza della Corte Costituzionale 169, 192, 256 del 2017; n. 103 del
2018; e 197 del 2019;
L’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
Né si pone soltanto, con specifico riferimento alla tutela della salute, il problema del possibile della
violazione da parte del legislatore nazionale dei principi del diritto dell’U.E., sanciti dagli articoli 6, 14 e
106 Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE); 26 e 35 della Carta dei diritti fondamentali.
Occorre tenere in considerazione anche l’articolo 14 del TFUE fissa principi sul funzionamento dei
servizi d’interesse economico generale. La norma del Trattato prescrive che gli Stati “provvedono
affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie,
che consentano loro di assolvere i propri compiti” e, in ogni caso, nel rispetto del principio di non
discriminazione (articoli 18 ss. del TFUE).
Il giudice nazionale ha osservato che “[…] in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico
generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale,
l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono
affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro
di assolvere i propri compiti” (Consiglio Stato sentenza n. 1858/2019).
Oltre ai citati vincoli alla discrezionalità del legislatore ordinario con riferimento alla tutela di diritti
fondamentali e in particolare alla tutela della salute e con specifico riferimento agli aspetti finanziari, si
pone anche un problema di compatibilità con la richiamata disposizione del TFUE, a scrutinare i quali
sussiste la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e sull’interpretazione delle norme
inerenti ai diritti sociali, al fine di individuare i limiti entro i quali sia concesso agli Stati membri un
sacrificio dei diritti in esame.
Conclusioni.
Con riferimento ai diritti fondamentali della persona umana sussiste, innanzitutto, un limite costituzionale
derivante dal nucleo incomprimibile degli stessi. Altro limite costituzionale deriva dalla necessità che le
scelte del legislatore ordinario non siano irrazionali. Anche perché, se sono da rispettare i vincoli di
bilancio, sta legislatore appostare correttamente le voci del bilancio per tutelare i diritti fondamentali e
non viceversa.
Come statuito dalla Corte costituzionale con riferimento al diritto all’istruzione del diversamente abile, il
diritto fondamentale “impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile” affinché esso non venga
mai calpestato in ragione di interessi confliggenti.
Anche perché, senza un’adeguata e ragionevole disciplina legislativa, i diritti fondamentali, primo fra tutti
il diritto alla cura della salute, sarebbero non “condizionati” dalla legislazione ordinaria, bensì vanificati.
D’altra parte, va considerato che l’allocazione delle risorse pubbliche e private cui sono diretti gli atti della
programmazione finanziaria degli enti pubblici, pur essendo certamente discrezionali, debbono tradursi
in una consapevole conoscenza e considerazione delle prestazioni incomprimibili, quali – prima di tutto
– le esigenze sanitarie della popolazione.
Opporre il vincolo di bilancio, al di là e al di fuori di un corretto e “ragionevole” impiego delle risorse
vorrebbe dire lasciare questo, e altri diritti fondamentali, in balia del legislatore anche più capriccioso. In
altri termini, il limite di bilancio pubblico può costituire effettivamente un condizionamento per la tutela
dei diritti fondamentali solo se il bilancio pubblico fa scelte discrezionali sì, ma non arbitrarie o non
giustificate. La tutela di diritti fondamentali, in questa ipotetica graduatoria, non può che venire in
posizione primaria.
La legge di bilancio non può essere considerata una zona franca dal sindacato di legittimità costituzionale.
È consentita, quindi, la verifica di razionalità delle scelte del legislatore e la non discriminazione.
In conclusione, nel momento in cui il legislatore regola le prestazioni sanitarie e altre a queste assimilabili,
ha l’obbligo di tenere in considerazione i vincoli imposti dal fattore economico al momento della
decisione sui trattamenti da garantire o sui requisiti cui subordinare l’accesso alle prestazioni sanitarie, ma
piuttosto che comprimere diritti sociali essenziali, che di per sé sono in realtà incomprimibili, deve trovare
le risorse necessarie per evitare l’illegittimità nell’accesso alle cure. Ciò vale anche per le regioni, che
debbano trovare misure economiche certe per colmare il disavanzo nel bilancio sanitario regionale in
linea con i c.d. piani di rientro.
Come ha sottolineato la Corte nel 2016 “Le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento
del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla
Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” […] nell’ambito della tutela costituzionale accordata al ‘diritto
alla salute’ dall’art. 32 Cost., il diritto a trattamenti sanitari è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale
condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse […]. In questa
prospettiva, non si può certo negare che il “costo dei diritti” possa incidere sul quantum delle prestazioni garantite dai
pubblici poteri; cionondimeno, bisogna sin d’ora rilevare che il vincolo finanziario non può essere considerato l’unico fattore
che condiziona le decisioni legislative o amministrative relative alle prestazioni sociali o sanitarie da garantire. Vi sono,
infatti, trattamenti la cui garanzia è costituzionalmente imposta o necessaria, per un duplice ordine di ragioni. Da un lato,
alcuni interventi sono quelli che contribuiscono a riempire di contenuto quel “nucleo irriducibile” del diritto alla salute che
la stessa Corte costituzionale ha ricollegato alla tutela della dignità umana.”
Dunque, il legislatore ordinario deve trovare un punto di convergenza tra equilibrio di bilancio, vincoli
contabili e diritti sociali “in una crescita che non sia meramente finalizzata al profitto e al consumo ma al pieno sviluppo
della persona umana”. E, nell’allocazione delle risorse pubbliche, non può prescindersi dalla scala di valori,
umani e sociali (articolo 2 della Costituzione), nella quale i diritti fondamentali assumono,
indiscutibilmente, un ruolo preminente, che legittima il sindacato della Corte costituzionale per
sanzionare la loro lesione.

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Carlo Malinconico: riflessione sui diritti fondamentali e sui limiti di bilancio pubblico

  • 1. Carlo Malinconico1 DIRITTI FONDAMNETALI E LIMITI DI BILANCIO PUBBLICO Il tema della presente riflessione. ..................................................................................................................... 1 La tutela della salute nella Costituzione italiana e nelle convenzioni internazionali come diritto fondamentale....................................................................................................................................................... 2 Disposizioni di leggi finanziarie di limitazione delle tutele dei diritti fondamentali (in particolare, delle prestazioni sanitarie). Il limite costituzionale di un nucleo incomprimibile di tali diritti e in generale limite della ragionevolezza................................................................................................................................. 2 La violazione di diritti fondamentali dovuta alle leggi del settore sanitario. Il presupposto della legittimità delle restrizioni all’accesso alle cure............................................................................................... 6 La costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio.................................................................. 8 L’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. ........................................................... 9 Conclusioni.......................................................................................................................................................... 9 Il tema della presente riflessione. Può l’esigenza del bilancio pubblico condizionare la tutela di diritti fondamentali? Tale domanda, specie con riferimento alla tutela della salute, impone una riflessione meditata. Da un lato, infatti, la nostra Costituzione è ispirata alla tutela dei diritti fondamentali ed espressamente “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, e sociale” (articolo 2). E, oltre a ciò, il nostro ordinamento è tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea. Si tratta di diritti fondamentali che vietano qualsiasi forma di discriminazione, specie se derivante da condizioni economiche. D’altro lato, il principio del pareggio di bilancio è entrato in costituzione (articolo 81) e certamente impone al legislatore ordinario la ponderata e discrezionale scelta di allocazione delle risorse finanziarie disponibili, con riguardo non solo alla copertura delle singole leggi di spesa, ma al complessivo equilibrio dei conti pubblici nel corso degli anni e dei cicli finanziari ed economici che si susseguono. Oltre a ciò, non solo la nostra Costituzione ma anche le convenzioni internazionali sopra menzionate contengono un nucleo di diritti affermati nella loro assolutezza come diritto alla vita e all’integrità personale, ma per altri diritti, come la protezione della salute, prevedono il “diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali” (articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea). D’altro lato, far dipendere la tutela di diritti fondamentali da scelte discrezionali del legislatore, specie se di natura finanziaria, può portare all’elusione della tutela dei diritti fondamentali medesimi. 1 Intervento al Convegno internazionale di studi sul tema “Democrazia e diritti fondamentali”, tenutosi a presso l'Università di Salerno, nei giorni 5-6-7 dicembre 2019.
  • 2. Nelle considerazioni che seguono si avrà riguardo, in particolare, al diritto fondamentale alla salute (articolo 32 della Costituzione), anche in considerazione del “modello sociale europeo” e dei principi di solidarietà (articolo 2 della Costituzione), che caratterizzano il nostro ordinamento. Ma i concetti che saranno espressi valgono per tutti i diritti fondamentali, specie quelli che l’Italia riconosce in base a convenzioni internazionali, con riguardo alle tutele disposte non in modo assoluto, ma con rinvio alla legislazione nazionale. La tutela della salute nella Costituzione italiana e nelle convenzioni internazionali come diritto fondamentale. Il diritto alla salute è tutelato in Costituzione all’articolo 32. È tutelato anche nella CEDU agli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE all’articolo 35. Occorre verificare se debba essere considerato incomprimibile e prevalente rispetto ai vincoli economico-finanziari. Costituisce ius receptum il principio per cui il diritto alla salute è un diritto assoluto erga omnes, se inteso come diritto all’integrità psicofisica. Mentre, per quanto concerne i trattamenti sanitari, è un diritto condizionato alla previsione di legge, sia per quanto riguarda le prestazioni rese dal servizio sanitario nazionale, sia per quanto attiene alle modalità di erogazione (ad esempio, se in forma diretta o indiretta). E così si è negato che sia contrario alla Costituzione la mancata previsione, tra le prestazioni del servizio sanitario nazionale, di trattamenti sanitari particolari (anche recentemente, Corte costituzionale, sentenza 203 del 2016). Benché si debba riconoscere, proprio in funzione della discrezionalità del legislatore di dimensionare l’offerta sanitaria a limiti finanziari e organizzativi, la discrezionalità non è sottratta al sindacato della Corte costituzionale. La violazione del principio costituzionale e delle convenzioni internazionali a tutela della salute può avvenire con modalità diverse, che per comodità possono essere ricondotte a due: la prima, ricollegabile direttamente alla previsione di legge di bilancio o comunque a leggi di natura finanziaria; la seconda, per difetto delle norme direttamente riguardanti i trattamenti sanitari erogabili dal servizio sanitario nazionale o dalle regioni. Conviene, quindi, trattare separatamente le due ipotesi. Disposizioni di leggi finanziarie di limitazione delle tutele dei diritti fondamentali (in particolare, delle prestazioni sanitarie). Il limite costituzionale di un nucleo incomprimibile di tali diritti e in generale limite della ragionevolezza. Non appare discutibile che il legislatore ordinario possa graduare l’ampiezza dell’assistenza sanitaria, con riferimento alle disponibilità finanziarie e organizzative del servizio pubblico. Peraltro, con un limite assoluto e non valicabile discrezionalmente, coincidente con un nucleo intangibile di assistenza sanitaria, coincidente con la tutela della vita, dell’integrità fisica e psichica, della dignità della persona umana. E, come il legislatore vanta discrezionalità nella scelta delle prestazioni sanitarie da erogare, così la stessa discrezionalità deve essergli riconosciuta anche nella riduzione delle prestazioni sanitarie per motivi di
  • 3. finanza pubblica. Sempre con il limite della tutela del nocciolo essenziale dei diritti della persona e nel rispetto del principio di ragionevolezza. È utile ricordare che la Corte costituzionale ha più volte ribadito il principio secondo cui, anche la legislazione di bilancio pubblico deve rispettare il limite della “non irragionevolezza”, con la conseguenza che sono costituzionalmente illegittime le manifestazioni di non giustificato esercizio della discrezionalità legislativa. In particolare, vanno ricordate le sentenze n.275/2016 e n. 822/1988. Se negli anni 80 dello scorso secolo, la Corte costituzionale aveva avuto occasione di occuparsi della ragionevolezza delle previsioni finanziarie con riferimento al mutamento in pejus del trattamento pensionistico di un dipendente, nella più recente sentenza del 2016 prende in considerazione il diritto all’educazione scolastica e al connesso servizio di trasporto pubblico di riferimento a persona portatrice di handicap. Più in particolare, negli anni ‘80 quando si sono cominciate a porre le prime questioni davanti alla Corte costituzionale in materia di contemperamento di interessi tra diritti fondamentali e vincoli di bilancio, l’orientamento giurisprudenziale prevalente tendeva a dichiarare la prevalenza dei diritti sociali e inviolabili dell’uomo su ogni limite di spesa pubblica (a titolo esemplificativo si veda la sentenza n. 822/1988 della Corte costituzionale). Negli anni ’90 la situazione è mutata parzialmente, la Corte costituzionale ha cominciato a parlare di diritti “finanziariamente condizionati”, ossia diritti sociali che non sono assoluti e illimitati, ma vanno graduati e contemperati in relazione alla possibilità economiche di garantirli e quindi che non possono essere sempre e comunque considerati prevalenti. La sentenza costituzionale n.455/1990 della Corte Costituzionale già trent’anni fa affermava che “considerato come diritto ad ottenere trattamenti sanitari, il diritto alla salute è basato su norme costituzionali di carattere programmatico e condizionato all’attuazione che ne dà il legislatore ordinario: attuazione, costituzionalmente obbligatoria, da realizzare gradualmente attraverso il ragionevole bilanciamento – sindacabile dalla Corte Costituzionale – con altri interessi o beni assistiti da pari tutela costituzionale nonché con l’obiettiva disponibilità di risorse organizzative e finanziarie”. In ogni caso “nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al diritto ai trattamenti sanitari, le esigenze relative all’equilibrio della finanza pubblica non possono assumere un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all’inviolabile dignità della persona umana, costituendo altrimenti esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa” (sentenza n. 304/1994). Con riferimento all’esigenza di rispettare i vincoli del bilancio pubblico, la Corte costituzionale da tempo ha chiarito che “Nello scrutinare la legittimità costituzionale di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica nel settore sanitario, questa Corte ha avuto più volte modo di ribadire la necessità che la spesa sanitaria sia resa compatibile con «la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una
  • 4. programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (sentenze n. 203 del 2008 e n. 111 del 2005). In particolare, ha osservato che «non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame» (sentenza n. 356 del 1992)”. La stessa sentenza chiarisce che tale principio si applica anche con riferimento alla libera scelta dell’assistito e al rapporto tra strutture pubbliche e private, nonostante il diritto alla libera scelta del medico curante sancito dalla legge di riforma del servizio sanitario nazionale “La giurisprudenza costituzionale ha chiarito, altresì, che, anche nel regime dell’accreditamento introdotto dall’art. 8, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il principio di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e di libera scelta dell’assistito «non è assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996)» (sentenza n. 94 del 2009)”. La conclusione è che “Le risorse disponibili per la copertura della spesa sanitaria costituiscono quindi un limite invalicabile non solo per l’amministrazione ma anche per gli operatori privati, il cui superamento giustifica l’adozione delle necessarie misure di riequilibrio finanziario (in tale senso Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4)”. Con particolare riferimento alla tutela prevista dall’articolo 32 della Costituzione, e alla possibile incidenza delle ragioni economico-finanziarie denunciata dal giudice remittente, la Corte precisa, con richiamo ai precedenti ai propri precedenti che “Questa Corte ha ripetutamente affermato che «la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone». Ma subito precisa e si tratta di precisazione assai significativa, che «le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 309 del 1999; nello stesso senso, sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1995, n. 304 e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992 e n. 455 del 1990). E nel caso portato alla sua attenzione, la Corte conclude per il rigetto della questione di costituzionalità, proprio perché quel nucleo incomprimibile di tutela della salute non appariva compromesso “Come rilevato, le riduzioni della spesa complessiva disposte dalla norma in esame sono relativamente esigue in termini percentuali e gravano esclusivamente sui contratti o sugli accordi vigenti nel 2012 per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati. Nonostante esse si risolvano in una riduzione del volume annuo complessivo delle prestazioni
  • 5. erogabili da tali soggetti, non vi è alcuna evidenza che il diritto alla salute dei cittadini sia inciso dalla norma – considerata in sé o insieme a non meglio precisate misure anteriori evocate dal rimettente – al punto tale da comprimere il suo nucleo irriducibile, né che l’opera di bilanciamento perseguita dal legislatore, al fine di conseguire l’obiettivo di risparmio, abbia irragionevolmente commisurato la concreta attuazione del diritto alla salute alle risorse esistenti e al rispetto dei vincoli di bilancio pubblico. In definitiva, l’affermazione della possibilità che, a causa delle misure in esame, la funzionalità del SSN sia compromessa con conseguente pregiudizio del diritto alla salute dei cittadini si risolve «in un’argomentazione meramente ipotetica che, appunto perché tale, è inidonea a dare consistenza alla censura» (sentenza n. 94 del 2009)”. Rilevante è la sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, riguardante l’accesso di disabile al trasporto scolastico. Con tale sentenza la Corte dichiarò “costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 38, commi terzo e quarto, Cost. - l'art. 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978, «, nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,». La disposizione, condizionando a generiche ed indefinite previsioni di bilancio il finanziamento da parte della Regione del 50% delle spese per il trasporto degli studenti disabili sostenute dalle Province (in conformità alla pianificazione disciplinata dallo stesso legislatore regionale), lede il fondamentale diritto all'istruzione del disabile, in quanto comporta che la fruizione del servizio di assistenza e trasporto dello studente disabile - ascrivibile al nucleo indefettibile di garanzie per l'effettività del medesimo diritto - venga a dipendere da scelte finanziarie che la Regione può compiere con semplici operazioni numeriche, senza alcun onere di motivazione in ordine alla scala di valori che con le risorse del bilancio si intende sorreggere. Né la censurata previsione trova giustificazione nel necessario rispetto dell'obbligo di copertura finanziaria della contribuzione regionale (art. 81 Cost.), poiché il concetto di equilibrio del bilancio va correttamente inteso nel senso che è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l'equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione delle prestazioni per realizzarlo. La legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa non costituiscono una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale”. Tale sentenza ha costituito un interessante spunto di svolta, in quanto la Corte ha sottolineato che “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. Esiste, in altri termini, un nocciolo duro di tutela di diritti fondamentali attinenti allo sviluppo e alla dignità della persona umana che non possono essere incisi da valutazioni discrezionali del legislatore ordinario. Sussistono, inoltre, limiti alla discrezionalità del legislatore in materia finanziaria. Ravvisati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in una “non irragionevole” disciplina della discrezionalità del legislatore.
  • 6. Dunque, la discrezionalità del legislatore sussiste, sia sulle prestazioni sanitarie da erogare con il servizio pubblico sia anche sulle modalità di tale erogazione. Ma la discrezionalità è oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale. La violazione di diritti fondamentali dovuta alle leggi del settore sanitario. Il presupposto della legittimità delle restrizioni all’accesso alle cure. Certamente, l’interposizione della legge ordinaria è necessaria quando si tratta di stabilire quali trattamenti sanitari possono, e in taluni casi devono, essere erogati. Altro, invece, è stabilire se determinati trattamenti sanitari, previsti in generale dalla normativa in materia sanitaria, appartengano a quelle che costituiscono nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana e se ciononostante possano essere esclusi per determinate categorie di pazienti, per ragioni di contenimento della spesa pubblica, con conseguente discriminazione di questi ultimi, senza una plausibile evidenza scientifica (si pensi al diniego della assistenza neuroriabilitativa di alta specialità a pazienti in base al fabbisogno sanitario erroneamente calcolato o in base agli indici di reattività medica, fissati al solo scopo di contenere la spesa pubblica). La lesione del diritto alla salute può dipendere, come nel caso della sentenza n. 203 del 2016, da un taglio “lineare” dovuto a problemi di riduzione del debito pubblico, ma può anche derivare da norme che illegittimamente negano il trattamento sanitario anche per ragioni di ritenuta “appropriatezza” del diniego di prestazione sanitaria nei confronti di determinati pazienti. In questo caso, l’illegittimità della previsione della norma sostanziale, che regola l’erogazione delle prestazioni sanitarie, ad esempio discriminando in base a non solide valutazioni scientifiche, la condizione dei pazienti. In tal caso, l’illegittimità della previsione sostanziale, sia che si tratti di norma statale sia che si tratti di norma regionale o di provvedimento applicativo di tali previsioni, il diniego di prestazione sanitaria, ove ritenuto illegittimo, non può trovare un limite nello stanziamento di bilancio. L’ente pubblico, infatti, illegittimamente opporrebbe al paziente un limite di bilancio determinato dalle sue stesse scelte. Il limite del bilancio, in altre parole, opera, anche a livello costituzionale, solo se legittimamente configurato. In proposito, va richiamato il principio proclamato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza 455/90 in tema di prestazioni sanitarie a favore di anziani non autosufficienti, ricoverati in case di riposo a spese del servizio sanitario pubblico. In tale sentenza, la Corte costituzionale richiama i principi costituzionali in materia, ma poi sottolinea l’esigenza che i limiti alle prestazioni sanitarie siano legittimamente fissati “Considerato sotto il profilo della difesa dell’integrità fiso-psichica della persona umana di fronte a condotte lesive da parte dei terzi, il diritto alla salute e' un diritto "erga omnes", immediatamente garantito dalla Costituzione e, come tale, direttamente tutelabile e azionabile nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti. - S. nn. 88/1979, 184/1986, 559/1987; riconoscimento della salute come diritto "primario e fondamentale" anche nelle S. nn. 307/1990, 992/1988 e 1011/1988.
  • 7. Considerato come diritto a ottenere trattamenti sanitari, il diritto alla salute è basato su norme costituzionali di carattere programmatico e condizionato all'attuazione che ne dà il legislatore ordinario (statale e regionale): attuazione, costituzionalmente obbligatoria, da realizzare gradualmente, attraverso il ragionevole bilanciamento - sindacabile dalla Corte costituzionale - con altri interessi o beni assistiti da pari tutela costituzionale nonché' con l'obiettiva disponibilità di risorse organizzative e finanziarie Non può parlarsi di un diritto soggettivo pieno e incondizionato rispetto a prestazioni sanitarie che oltrepassino i limiti di erogazione legittimamente previsti dalle leggi ordinarie, e legittimamente le prestazioni erogate - in aggiunta a quelle del Servizio sanitario nazionale - in favore di anziani "non autosufficienti”. E così, nella sentenza 304 del 1994 la Corte ritiene legittima la scelta di erogare determinate prestazioni sanitarie solo in forma diretta, e non anche indiretta, per ragioni organizzative delle strutture pubbliche e anche per le esigenze di bilancio “Al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto a trattamenti sanitari, essendo basato su norme programmatiche che impongono al legislatore un obbligo costituzionale all'attuazione della tutela della salute, diviene per il cittadino "pieno e incondizionato" nei limiti in cui lo stesso legislatore, attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi conseguentemente determinati alle risorse organizzative e finanziarie esistenti, predisponga adeguate possibilità di fruizione delle prestazioni sanitarie. Nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al "diritto ai trattamenti sanitari" (art. 32 Cost.), le esigenze relative all'equilibrio della finanza pubblica non possono assumere un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all'inviolabile disparità della persona umana, costituendo altrimenti esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa. red.: La normativa regionale della Campania che esclude dall'assistenza in forma indiretta le prestazioni sanitarie riabilitative aventi carattere di continuità e prolungate nel tempo non può dirsi manifestamente irragionevole, tenuto conto del rilevante onere finanziario connesso alla fruizione di tali prestazioni presso strutture private non convenzionate con il servizio sanitario e alla contestuale possibilità di poter fruire delle medesime prestazioni presso le strutture pubbliche o convenzionate; ne' la considerazione delle esigenze finanziarie assume nella specie un peso tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute, essendo quest'ultimo salvaguardato dalla possibilità di ricorrere a forme di assistenza indiretta, anche all'estero, quando le condizioni di salute del disabile rendessero indifferibili interventi sanitari non tempestivamente erogabili dalle strutture del S.S.N. o da quelle convenzionate L'art. 7, primo comma, della L. 5 febbraio 1992 n. 104, prevedendo che l'erogazione di prestazioni riabilitative agli handicappati avvenga solo da parte di strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale, non determina una irragionevole disparita' di trattamento rispetto al successivo art. 11 s.l., che garantisce ai disabili cure di altissima specializzazione all'estero, dal momento che le situazioni poste a raffronto non sono omogenee e comparabili, per la sostanziale diversità degli interessi sottostanti, rispettivamente, alle prestazioni continuative o prolungate nel tempo, ed a quelle non tempestivamente o adeguatamente ottenibili nel nostro Paese. Né è irragionevole e contrario al principio di buon andamento della P.A. che il legislatore abbia ritenuto meno onerosa per le finanze pubbliche l'erogazione delle prestazioni
  • 8. riabilitative in forma diretta (anziché' indiretta), dovendo comunque essere mantenute strutture pubbliche per l'erogazione di prestazioni in favore dei cittadini meno abbienti. La costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio. Occorre, tuttavia, chiedersi se l’inserimento in costituzione del principio del pareggio di bilancio abbia modificato i principi costituzionali in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona, nel senso di far prevalere in ogni caso l’esigenza finanziaria. Con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, per effetto della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico, previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali” “Il contenuto della legge di bilancio le norme fondamentali e i criteri volte ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”, quindi, con procedura aggravata. Quindi il nuovo articolo 81 della Costituzione, introdotto anche in considerazione dei vincoli posti dall’appartenenza all’Unione europea e alla moneta unica, ha riguardo non solo alla copertura della singola spesa, bensì all’equilibrio negli anni del bilancio pubblico. Ed infatti, la Corte costituzionale ha così statuito: nella sentenza 197 del 2019 “La copertura finanziaria delle spese della P.A. deve indefettibilmente avere un fondamento giuridico, dal momento che, diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero nella parte attiva del bilancio per realizzare nuove o maggiori spese. Copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse: nel sindacato di costituzionalità copertura finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti la forza espansiva dell'art. 81, 3° comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile”. Questa costituzionalizzazione dell’obbligo del pareggio di bilancio potrebbe portare a ritenere che gli interessi finanziari prevalgano sulla tutela dei diritti fondamentali, in caso di mancanza di previsione nel bilancio dell’ente pubblico. In realtà non è così, in quanto comunque un’indiscriminata compressione dei diritti sociali essenziali a causa delle limitazioni di bilancio non è tutt’ora ammissibile proprio in forza dei principi sopra richiamati. Le esigenze finanziarie non possono portare alla compressione di diritti fondamentali oltre il limite della incompatibilità con la tutela prevista in altre norme della Costituzione e delle convenzioni internazionali.
  • 9. Con riferimento agli enti territoriali oramai concorrono, parimenti allo Stato centrale, alla sostenibilità delle finanze pubbliche, quindi aldilà di ogni difficoltà interna della Regione non possono che garantire determinate prestazioni essenziali (sentenza della Corte Costituzionale 169, 192, 256 del 2017; n. 103 del 2018; e 197 del 2019; L’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Né si pone soltanto, con specifico riferimento alla tutela della salute, il problema del possibile della violazione da parte del legislatore nazionale dei principi del diritto dell’U.E., sanciti dagli articoli 6, 14 e 106 Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE); 26 e 35 della Carta dei diritti fondamentali. Occorre tenere in considerazione anche l’articolo 14 del TFUE fissa principi sul funzionamento dei servizi d’interesse economico generale. La norma del Trattato prescrive che gli Stati “provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti” e, in ogni caso, nel rispetto del principio di non discriminazione (articoli 18 ss. del TFUE). Il giudice nazionale ha osservato che “[…] in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti” (Consiglio Stato sentenza n. 1858/2019). Oltre ai citati vincoli alla discrezionalità del legislatore ordinario con riferimento alla tutela di diritti fondamentali e in particolare alla tutela della salute e con specifico riferimento agli aspetti finanziari, si pone anche un problema di compatibilità con la richiamata disposizione del TFUE, a scrutinare i quali sussiste la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e sull’interpretazione delle norme inerenti ai diritti sociali, al fine di individuare i limiti entro i quali sia concesso agli Stati membri un sacrificio dei diritti in esame. Conclusioni. Con riferimento ai diritti fondamentali della persona umana sussiste, innanzitutto, un limite costituzionale derivante dal nucleo incomprimibile degli stessi. Altro limite costituzionale deriva dalla necessità che le scelte del legislatore ordinario non siano irrazionali. Anche perché, se sono da rispettare i vincoli di bilancio, sta legislatore appostare correttamente le voci del bilancio per tutelare i diritti fondamentali e non viceversa. Come statuito dalla Corte costituzionale con riferimento al diritto all’istruzione del diversamente abile, il diritto fondamentale “impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile” affinché esso non venga mai calpestato in ragione di interessi confliggenti. Anche perché, senza un’adeguata e ragionevole disciplina legislativa, i diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto alla cura della salute, sarebbero non “condizionati” dalla legislazione ordinaria, bensì vanificati.
  • 10. D’altra parte, va considerato che l’allocazione delle risorse pubbliche e private cui sono diretti gli atti della programmazione finanziaria degli enti pubblici, pur essendo certamente discrezionali, debbono tradursi in una consapevole conoscenza e considerazione delle prestazioni incomprimibili, quali – prima di tutto – le esigenze sanitarie della popolazione. Opporre il vincolo di bilancio, al di là e al di fuori di un corretto e “ragionevole” impiego delle risorse vorrebbe dire lasciare questo, e altri diritti fondamentali, in balia del legislatore anche più capriccioso. In altri termini, il limite di bilancio pubblico può costituire effettivamente un condizionamento per la tutela dei diritti fondamentali solo se il bilancio pubblico fa scelte discrezionali sì, ma non arbitrarie o non giustificate. La tutela di diritti fondamentali, in questa ipotetica graduatoria, non può che venire in posizione primaria. La legge di bilancio non può essere considerata una zona franca dal sindacato di legittimità costituzionale. È consentita, quindi, la verifica di razionalità delle scelte del legislatore e la non discriminazione. In conclusione, nel momento in cui il legislatore regola le prestazioni sanitarie e altre a queste assimilabili, ha l’obbligo di tenere in considerazione i vincoli imposti dal fattore economico al momento della decisione sui trattamenti da garantire o sui requisiti cui subordinare l’accesso alle prestazioni sanitarie, ma piuttosto che comprimere diritti sociali essenziali, che di per sé sono in realtà incomprimibili, deve trovare le risorse necessarie per evitare l’illegittimità nell’accesso alle cure. Ciò vale anche per le regioni, che debbano trovare misure economiche certe per colmare il disavanzo nel bilancio sanitario regionale in linea con i c.d. piani di rientro. Come ha sottolineato la Corte nel 2016 “Le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” […] nell’ambito della tutela costituzionale accordata al ‘diritto alla salute’ dall’art. 32 Cost., il diritto a trattamenti sanitari è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse […]. In questa prospettiva, non si può certo negare che il “costo dei diritti” possa incidere sul quantum delle prestazioni garantite dai pubblici poteri; cionondimeno, bisogna sin d’ora rilevare che il vincolo finanziario non può essere considerato l’unico fattore che condiziona le decisioni legislative o amministrative relative alle prestazioni sociali o sanitarie da garantire. Vi sono, infatti, trattamenti la cui garanzia è costituzionalmente imposta o necessaria, per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, alcuni interventi sono quelli che contribuiscono a riempire di contenuto quel “nucleo irriducibile” del diritto alla salute che la stessa Corte costituzionale ha ricollegato alla tutela della dignità umana.” Dunque, il legislatore ordinario deve trovare un punto di convergenza tra equilibrio di bilancio, vincoli contabili e diritti sociali “in una crescita che non sia meramente finalizzata al profitto e al consumo ma al pieno sviluppo della persona umana”. E, nell’allocazione delle risorse pubbliche, non può prescindersi dalla scala di valori, umani e sociali (articolo 2 della Costituzione), nella quale i diritti fondamentali assumono,
  • 11. indiscutibilmente, un ruolo preminente, che legittima il sindacato della Corte costituzionale per sanzionare la loro lesione.