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Francesco Caracciolo
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Sommario
L’integrazione dell’«arcipelago migratorio» in Occidente ..............................................................................2
Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra .................................................................................4
Mali estremi.....................................................................................................................................................6
La folle corsa...................................................................................................................................................8
Fabio ..............................................................................................................................................................11
Onorata società e società onorata ................................................................................................................14
Banditi baroni e viceré nel regno di Napoli in età moderna .........................................................................20
Banditismo nel Mezzogiorno d’Italia tra Rinascimento e Barocco................................................................23
Cattiva Stella..................................................................................................................................................24
La congiura antispagnola di Tommaso Campanella: delatori e persecutori. ................................................27
Fossa..............................................................................................................................................................28
Canti...............................................................................................................................................................30
Satire e poemetti...........................................................................................................................................32
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L’integrazione dell’«arcipelago migratorio» in Occidente
Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT
Parole chiave:
Arcipelago migratorio, integrazione, multiculturalismo, immigrazione, stranieri, Roma antica,
Paese, Italia, Occidente, Stati Uniti d'America, Unione Europea, società occidentale,
multietnia, religione, cosmopolitismo, terrorismo, Islam.
Indice:
Introduzione.
I. Progetti e speranze.
II. Un esemplare precedente processo di disgregazione.
III. Nei secoli seguenti.
IV. Conseguenze durature.
V. Tra passato e presente.
VI. Popolazione e territorio nei paesi occidentali.
VII. Timori e dubbi.
VIII. Il pericolo.
IX. Il pericolo maggiore.
X. Integrazione.
XI. Quando sarà troppo tardi.
Indice dei nomi
Indice analitico
Retro di copertina:
È possibile l’integrazione nella società occidentale di milioni di immigrati della più
eterogenea estrazione e provenienza? Di quale integrazione parlano politici, intellettuali e
umanitari? Si riferiscono a un’integrazione formale o sostanziale? Si può conseguire una
minima integrazione mediante la conoscenza della lingua e delle leggi? Nei paesi occidentali,
dalla Francia al Regno Unito, alla Germania, agli Stati Uniti, hanno avuto successo i progetti
di integrazione, di assimilazione, l’egualitarismo, il multiculturalismo, il metodo pluralistico
angloamericano e il metodo separatista tedesco? In questo libro l’autore risponde a queste e
ad altre domande.
Da capitolo I
Grandi e crescenti difficoltà assillano l’Occidente e la sua civiltà e fanno intravedere un
possibile sconvolgimento dell’esistente, tale da distanziare molto l’odierna società occidentale
dalle sue tradizioni e dal suo passato. Negli Stati Uniti e in diversi paesi europei incombe il
crescente bisogno di ricorrere a milioni di immigrati per tenere alti il ritmo e il livello della
crescita economica. E il numeroso afflusso di un’umanità eterogenea proveniente da ogni
parte del mondo ha effetti imprevisti e genera situazioni nuove e il conseguente timore per la
convivenza e per la sopravvivenza dell’odierno stato di cose. Prima negli Stati Uniti e poi in
Europa quell’afflusso ha generato la necessità di difendere e di proteggere la sussistenza della
propria identità, delle proprie radici, delle proprie tradizioni e delle proprie istituzioni. Non è
stata certo una necessità universalmente avvertita. Anzi con la necessità di difendere l’attuale
stato di cose si è accompagnata la contagiosa euforia generata dalla persuasione di vivere
un’epoca felice e proficua, toccata dalla fortuna di avere scoperto la globalizzazione: l’epoca
della società multietnica fonte di ricchezza, madre di molteplici culture e fucina di energie
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fisiche e spirituali. E pertanto, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, si è elogiato il nascente
modello multietnico. […]
Da capitolo III
“[…] La società di Roma antica continuò a sopravvivere multietnica e multiculturale, ma non
riassunse mai la dignità di popolo. Restò intimamente estranea al significato della frase
«senatus populusque romanus», che era stata sacra per il popolo romano dei secoli della
Repubblica. Durante l’Impero la società romana visse per forza d’inerzia, senza ideali e senza
spinta propulsiva. Le istituzioni e il governo poggiarono sulle solide basi costruite nel passato
da un popolo operoso e sostanzialmente coeso e furono difesi non da una società in
disfacimento, ma dall’efficienza delle legioni, cioè da una forza militare anch’essa creata e
organizzata nel passato. La società romana e italica dei secoli dell’Impero era promiscua,
servile, senza nerbo, senza ideali e senza identità e non era in condizioni di difendere le
istituzioni e il governo.
Quando gli effetti della multietnìa e della prevalenza di immigrati e di loro discendenti si
andarono rivelando sempre più evidenti e consolidati in una società senza volto e senza storia,
le sorti delle istituzioni e di quel che restava dello stato romano erano segnate. […]”
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Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra
Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT
Parole chiave:
immigrazione Italia, Europa, Stati Uniti, scontro civiltà, sviluppo economico, Occidente,
clandestini, stragi, rivolte, Chiesa Cattolica, Islam, dialogo, musulmani, Roma antica,
integrazione, multietnia, disoccupazione, terrorismo, reislamizzazione.
Indice:
Introduzione.
I. Crescita economica illimitata.
II. Conseguenze.
III. Consumismo ed esigenze spirituali e umane.
IV. Il profitto per il profitto e la crescita della qualità della vita.
V. L’antidoto.
VI. Le identità.
VII. Reazione incomprensibile.
VIII. La colpa degli europei.
IX. Integrazione, sconvolgimento e sovrappopolamento.
X. Alle origini del ricorso dei musulmani al terrorismo e alle rivolte.
XI. Dalla mistificazione all’evidenza.
XII. Reislamizzazione e conquista pacifica.
XIII. La fine ingloriosa di Roma antica.
XIV. Il lontano passato e il presente.
XV. La multietnia in America.
XVI. L’Occidente multietnico.
XVII. La migrazione.
XVIII. La corsa sfrenata di alcuni paesi europei.
XIX. L’Italia brucia le tappe e si affanna a ricuperare il ritardo.
XX. Dalla povertà al benessere.
XXI. Un passaggio repentino che fece prendere il delirio.
XXII. Indifferenza e ottimismo.
XXIII. La prevalente assuefazione.
XXIV. Gli immigrati musulmani. Un caso a parte.
XXV. Scopi opposti e percorsi diversi.
XXVI. Certezza e prudenza dei musulmani in Europa.
XXVII. Conquista violenta, occupazione pacifica e illimitata tolleranza degli occupati.
XXVIII. Ecclesiastici e politici propendono per la tolleranza e il dialogo.
XXIX. Silenzi, sottigliezze bizantine e stragi.
XXX. Cause oggettive attribuite a stragi e a rivolte con accurati distinguo.
XXXI. Risalire la china
Indice dei nomi
Indice analitico
Retro copertina:
La migrazione di innumerevoli individui dai paesi arretrati sta assumendo il carattere di
invasione e di silente occupazione dei paesi ricchi, che si fanno invadere e occupare per
sostenere la crescita economica. I fatti rivelano che i paesi invasi riescono a conseguire
crescita e progresso nell’immediato, ma con conseguenze che preludono a futuri risultati da
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dovere evitare correggendo la causa che li genera. Per scongiurare quanto gli stessi fatti e
l’esperienza di vicende del passato fanno temere, l’autore di questo lavoro indica il rimedio da
porre e la via da prendere che non si presenta di facile accesso. Cerca di rendere accettabile la
necessità di imboccarla esaminando la situazione di alcuni paesi specialmente europei per
indurre a riflettere sugli imprevisti che può riservare il futuro.
Da capitolo XXIX
Molti politici, mentre fanno a gara per elogiare i pregi e i vantaggi della società multietnica,
non si curano proprio di cercare di rispondere al quesito che tacitamente e distrattamente si
pongono i cittadini. E non c’è cittadino, non solo in Italia, che non si chieda dove possa
andare a sboccare il cammino intrapreso dal proprio paese. Un cammino di cui, del resto, si
può intravedere il tracciato se ci si ferma solo un momento a riflettere sulle stragi negli Stati
Uniti, in Spagna e nel Regno Unito, sulle rivolte in Francia e sulle minacce all’Italia e ad altri
paesi. Nella quasi totalità, i politici italiani non dicono che il numero degli immigrati è
destinato ad aumentare e a divenire incontrollabile se si continua a ricorrere al loro apporto
per sostenere la crescita economica del paese. Non spiegano che il loro afflusso è inesauribile
perché i poveri nel mondo sono miliardi e, finché sapranno che l’Occidente ricco è accessibile
e ha bisogno di manodopera, si riverseranno senza interruzione sulle sue spiagge e nelle sue
contrade fino ad essere eccessivamente numerosi. Gli stessi politici non prevedono neppure
che, a quel punto, il terrorismo non sarà più un mezzo necessario per prevalere, perché il
numero degli immigrati cresciuto a sufficienza, oltre a produrre inevitabili conseguenze
negative come la nuova criminalità, le stragi e le rivolte, imporrà le proprie scelte e il varo di
leggi che riflettano le esigenze dei propri componenti, il loro modo di essere e i precetti della
loro religione. Il loro numero costituirà parte notevole del contesto sociale in cui la
convivenza sarà forse sopportabile finché le istituzioni saranno in grado di contenerne la
prevedibile conflittualità e di attenuare gli effetti della trasformazione, cioè fino a quando non
muteranno anch’esse.
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Mali estremi
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Parole chiave:
Consumismo, crescita economica, decrescita, crescita zero, Chiesa Cattolica, religioni
monoteiste, impero romano, profitto, benessere spirituale, droga, aberrazione sessuale,
violenza giovanile, povertà, solidarietà, Oriente musulmano, Cristianesimo.
Indice:
Introduzione.
I. Il circolo vizioso.
II. Effetti della crescita.
III. La ricetta del benessere materiale e spirituale.
IV. L’erto sentiero.
V. Alla scoperta di una causa nascosta.
VI. Il mostro invisibile.
VII. Crescita economica e progresso umano e civile.
VIII. Chi deve fare?
IX. Dove sfociano il malcostume e la degenerazione.
X. La stretta connessione
Retro copertina:
Perché nei Paesi avanzati dell’Occidente la popolazione attiva non riesce a sostenere la
crescita economica? Perché si ricorre a tanti stranieri della più eterogenea provenienza per
sopperire all’inspiegabile carenza di manodopera, creata da disoccupazione fittizia degli
autoctoni e da denatalità? Perché politici e prelati raccomandano e predicano l’obbligo
dell’accoglienza di nuovi venuti mentre i nativi occidentali mal sopportano la loro presenza e
i loro comportamenti? Quali sono le cause dell’insostenibile stato di cose che si è creato, che
si aggrava sempre più e che potrebbe sfociare nello sconvolgimento sociale, nel
sovrappopolamento di angusti territori, nell’irreparabile trasformazione e nel crollo della
società e della civiltà dell’Occidente? Che ruolo hanno gli eccessi, il malcostume e
l’aberrazione sessuale? A queste e ad altre domande l’autore risponde in questo libro.
Da capitolo III:
“[…] sembra che molti politici, molti cronisti e molti prelati che predicano la sobrietà dei
gaudenti e la solidarietà verso i derelitti, si siano svegliati all’improvviso all’inizio del
duemila da un lungo sonno durato due millenni. Che cosa hanno fatto in passato per sovvenire
innumerevoli poveri indigeni, conterranei e connazionali, e per pretendere la solidarietà verso
di loro? Che cosa hanno fatto se si esclude qualche forbito discorso di solidale comprensione,
qualche formale considerazione compassionevole?
Eppure, in quei molti secoli, la miseria era diffusa e la fame si tagliava con il coltello e gli
infelici poveri, disgraziati, affamati e ammalati erano numerosissimi e formavano la massima
parte della popolazione dei paesi civili, cattolici e cristiani, in cui vivevano e operavano
prelati e privilegiati. Per constatare ciò, non è il caso di andare lontano e troppo indietro nel
tempo. Che dire della miserabile condizione di innumerevoli individui che, nei paesi della
civile Europa, soffrivano la fame e sopportavano le inenarrabili fatiche e i soprusi e le
angherie di pochi privilegiati e subivano maltrattamenti, peggio delle bestie, anche nelle
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carceri? Che dire della persistenza di queste condizioni disumane tra l’indifferenza generale?
[…]”
Da capitolo VI:
“[…] Gli adulti non riescono a capire e a spiegare le azioni inconsulte di molti giovani. Non
comprendono perché in numero crescente i giovani si drogano, commettono atroci delitti
anche contro i loro genitori, reagiscono violentemente ad ogni occasione, fanno la guerriglia
dentro e fuori gli stadi, formano la folla di violenti che protestano ad ogni occasione, si
uniscono in gruppi armati per uccidere e distruggere in nome di un loro modello di giustizia.
Fanno tutto ciò con la rabbia in corpo e con la ferma persuasione di dovere lottare per
annientare un nemico che loro identificano nelle istituzioni e nei loro rappresentanti.
Nessuno può dire se tanti giovani, in numero crescente, ricorrono alla violenza per sfogare la
propria insoddisfazione e la propria inquietudine oppure per combattere, con l’unico mezzo
che hanno, un nemico molto più grande di loro oppure per evadere da una propria intima
sofferenza, cioè da uno stato patologico in cui sono. […]
A questo punto si dovrebbe cercare al di là delle cause che appaiono prossime ed immediate;
si dovrebbe guardare al di là delle apparenze nel tentativo di scoprire la ragione di quanto
avviene, di quanto è misterioso e resta incomprensibile. Si dovrebbe fare questo per cercare di
capire come sia stato possibile che, in pochi decenni o in qualche generazione, i genitori
abbiano cessato di esercitare ogni influenza sui figli e i maestri la propria autorità sugli
scolari. Come sia stato possibile che in così poco tempo il comportamento di molti giovani sia
divenuto inspiegabile e spesso mostruoso […].
Solo cercando in profondità e partendo da certi presupposti si può scoprire la necessità di
guardare altrove. Solo cercando nel recondito modo di vivere e nelle abitudini dei singoli, si
può scoprire l’origine della loro malattia.
È un compito assai difficile, molto più difficile di quanto sia quello di indicare la
responsabilità della famiglia, della scuola o del bisogno […]”
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La folle corsa
Acquista: da ILMIOLIBRO.IT , LULU.COM
Parole chiave:
Schengen, Dublino, immigrati, profughi, sbarchi migranti, Libia, Africa, Mare nostrum,
Triton, aiuti umanitari, respingimenti, accoglienza migranti, blocco navale, diritto d'asilo,
terrorismo, mediterraneo, Italia, Unione Europea, Maastricht, Amsterdam
Indice:
1. Accadde in Italia nel secondo decennio del duemila.
2. Precedenti esperienze nella Comunità europea.
3. L’adesione dell’Italia incapace di difendersi.
4. Da Maastricht ad Amsterdam.
5. La seconda legge sull’immigrazione.
6. La terza legge sull’immigrazione crescente.
7. Il capestro Dublino.
8. La folle corsa.
9. L’immutato percorso seguito dall’Italia, Dublino III.
10. Mare Nostrum, il Mediterraneo e l’Unione Europea.
11. Il reato d’immigrazione clandestina.
12. L’Italia, facile approdo di migranti, continua ad invocare l’intervento dell’Unione.
13. Nell’estate 2014 opinioni, polemiche, progetti e resistenze.
14. Triton, il difficile part.
15. In quarant’anni.
16. Dal Mediterraneo.
17. Verso il peggio a forza di sofismi.
18. Terrorismo e immigrazione.
19. Migranti e profughi.
20. Diritto d’asilo e mutate condizioni .
21. Allarme e appelli alla calma. Intervento militare o azione diplomatica?
22. Accoglienza ad ogni costo.
23. Blocco navale e respingimenti.
24. La difesa proibita.
Indice dei nomi
Retro copertina:
Vuoi sapere che folle corsa ha fatto l'Italia accogliendo e ospitando fino a riempire le sue città
e le sue contrade di immigrati di ogni provenienza, di diverse etnie e di decine di fedi
religiose (20 a Milano)? Leggendo questo libro potrai scoprire che cosa si sarebbe potuto e
dovuto fare e si potrebbe fare e non si è fatto e si è continuato a non fare. Potrai pure scoprire
con quale leggerezza e superficialità e indifferenza si è giunti quasi al collasso.
Da testo:
"[...] Era chiaro che l’Italia doveva salvarsi, se potesse ancora farlo. Non potendo contare
sull’apporto di altri Stati, dovrebbe agire da sola mobilitando tutte le sue forze e rompere i
lacci giuridici che si era legati al collo. Per fermare la deriva e impedire la totale invasione e
non potendo intervenire usando la forza per attaccare, l'Italia dovrebbe bloccare ogni accesso,
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respingere chiunque dal suo territorio e rinviare ai libici le persone che, bontà loro,
spingevano gratuitamente verso la meta agognata [...]"
Da capitolo 1
“Migranti continuavano a giungere in Italia per mare, per terra e per aria. Molti di loro
attraversavano le frontiere con regolare passaporto, altri entravano per vie illegali. In massima
parte non facevano ritorno. Il loro quasi ininterrotto afflusso per via mare si era intensificato
specialmente nel corso del 2013 e ancor più del 2014 e del 2015. Barche, barconi, gommoni e
talvolta navi portavano dall’Africa migranti di ogni provenienza, nazionalità ed etnìa.
Giungevano in Italia sovvenuti in mare, aiutati e accompagnati da navi della Marina italiana.
Sbarcavano sulle sue coste meridionali e insulari, affollavano centri di assistenza, più o meno
accoglienti ma insufficienti e sovraccarichi. Molti sfuggivano al controllo e si disperdevano in
contrade e città. Formavano un esercito, una massa di gente di cui non si conosceva il numero
e, tanto meno, la natura e la condotta. Molti si facevano sfruttare da speculatori senza scrupoli
per sopravvivere, molti altri si davano al malaffare ed erano autori di incalcolabili danni alla
società. In gran numero clandestini vagavano, bivaccavano, delinquevano, lavoravano in nero
e si confondevano con i circa 6 milioni di immigrati regolari in parte cittadini italiani e in
parte stabilizzati in Italia, pari a circa l’8 % della popolazione.
La presenza nel Paese di tanti immigrati era eccessiva ed era divenuta insopportabile. A
differenza di altri Stati dell’Unione Europea che avevano avuto e avevano bisogno di
importare manodopera, l’Italia aveva avuto e aveva esuberanza di forza lavoro, che nel 2014
in parte restava disoccupata e in parte alimentava un nutrito flusso di suoi cittadini autoctoni
emigranti specialmente verso la Germania. Nel 2013 era emigrato un italiano su quattro fra i
35 e i 49 anni di età (Rapporto AIRE, Anagrafe degli Italiani residenti all’estero). Le risorse
dello Stato, che era stato sempre tollerante verso i nuovi venuti, erano al lumicino.
Nell’estate 2014 esponenti del governo lamentavano che le spese destinate al mantenimento
dell’operazione Mare Nostrum, che dall’ottobre 2013 aveva avuto il compito di soccorrere i
migranti nel Mediterraneo e farli giungere in Italia, erano insostenibili. E secondo la stima
fatta nel settembre 2014 e confermata dal ministro dell’Economia, le spese per l’operazione
marittima insieme con quelle per il soggiorno dei migranti in Italia erano state circa un
miliardo di euro in dodici mesi. Ad esse si dovevano aggiungere quelle effettuate per riparare
i danni non quantificabili che la conflittualità generata dalla presenza e dalla condotta di tanti
nuovi venuti provocava alla comunità nazionale e allo Stato in termini di contrasti, di
illegalità e di sconvolgimenti sedati con il costoso impiego della forza pubblica Erano spese
eccessive per un Paese oberato e con un’economia in crisi. E si poteva dire che fossero
insopportabili, anche se taluni altruisti sostenevano che un Paese civile come l’Italia dovrebbe
vergognarsi se desse importanza a quelle spese destinate a sovvenire bisognosi.
In quei frangenti in cui era evidente l’impossibilità di continuare a far fronte ad altri impegni e
ad altre spese, l’afflusso di migranti continuava e secondo alcune previsioni sarebbe cresciuto.
Stando a precise informazioni dei servizi segreti fornite nel settembre 2014, solo in Libia
quasi un milione di persone sarebbero pronte a salpare per l’Italia. E già nel mese di aprile
2014 il funzionario del Viminale Pinto, in un’audizione al parlamento, aveva dato l’allarme
indicando la saturazione del sistema di accoglienza in Italia e la presenza di 800.000 africani e
asiatici sulle coste libiche pronti a partire per l’Italia. Queste sue indicazioni, definite
allarmistiche dal Premier italiano, non influirono sull’indifferenza generale. L’opinione
pubblica era assuefatta al progredire della situazione di emergenza. Il numero degli immigrati,
in continua crescita da tre decenni, era andato aumentando ancor più negli ultimi due anni.
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Mentre era cresciuto dell’8,3 %, di 395.000 persone, nel 2013 rispetto al 2012 (Eurostat;
Istat.), e ancor più nel 2014 rispetto al 2013, erano andate decrescendo le risorse e la capienza
del Paese. Il numero dei suoi abitanti, 61 milioni circa, era eccessivo, e alto era il numero dei
suoi disoccupati, il 12,3% della popolazione nel giugno 2014 (Istat, 31 giugno 2014), mentre
era in media il 10,8% nei 28 Stati dell’Unione Europea (Eurostat). Con il crescente numero
degli immigrati si accompagnarono e crebbero disadattamento di molti di loro, sfruttamento,
violenze e conflitto sociale.”
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Fabio
Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT
Parole chiave:
società, istituzioni, costituzione, leggi, dispotismo, libertà, felicità, destino dell'uomo, Tropea,
Catanzaro, Reggio Calabria, Gerace, Napoli, Tommaso Campanella, rivolta antispagnola,
Turchi, amore, amicizia, Fabio Furci, Maurizio de Rinaldis.
Indice:
1 . A Guardavalle Fabio Furci si incontra con gli ospiti il 4 luglio 1599.
2 . La cena in casa di Lucio. L’iniziazione.
3. La rivelazione del progetto. La congiura, L’adesione e l’impegno di Fabio.
4. Il racconto di Maurizio de Rinaldis: Sinan Bassà, capitano della flotta turca, le sue gesta, il
suo impegno. La fine della cena e dell’incontro.
5. Il congedo e la partenza di Fabio da Guardavalle. L’avventuroso viaggio alla volta di
Tropea attraverso le Serre.
6. La riunione con due amici di Tropea nella casa di campagna di Fabio. La loro adesione.
7. Un’impresa giovanile di Fabio all’origine della sua latitanza.
8. Fermi proponimenti di fare proseliti.
9. L’incontro con Livia.
10. Il grande amore: ostacoli e proibizioni.
11. Il gruppo cresce di numero. Difficoltà di acquisire altri partecipanti al progetto.
Considerazione sulla società.
12. Gli amici si riuniscono più volte nei mesi di agosto e di settembre. Improvviso arrivo di
Tonio Imbesi dal versante orientale della regione. Notizia del fallimento della congiura per la
delazione di due congiurati.
13. Progetti sul da fare.
14. Fabio a cena con i suoi familiari nella casa paterna.
15. L’ansia e le domande di Livia. L’arrivo di Orazio Paparatto, incalzato dagli sgherri del
marchese Spinelli. Rifugio dei sei amici nel convento di San Francesco.
16. Il convento cinto d’assedio. I rifiuti del padre priore di consegnare i rifugiati agli
assedianti. La curia vescovile difende il diritto d’asilo. Accordo del vescovo con i persecutori.
Consegna dei rifugiati.
17. Gli sgherri non tengono fede all’impegno preso con il vescovo. Portano via i sei giovani,
sottraendoli al tribunale ecclesiastico. Delusione e malcontento in curia. Dolore e rabbia
dell’abate Stefano.
18. Dolore e disperazione di Livia. I prigionieri a Monteleone e poi nel castello di Gerace.
Carcere e processo sommario.
19. In carcere: le riflessioni di Fabio.
20. Partenza da Gerace, viaggio e arrivo nella spiaggia di Pizzo. Imbarco sulle navi di
centinaia di prigionieri là convenuti. Incontro con Maurizio. Riflessioni di Fabio, incatenato
con molti compagni nella stiva di una delle navi.
21. Fabio e Maurizio discutono del fallimento della congiura e della loro mala sorte.
22. Scoperte fatte da Maurizio nei mesi di prigionia. Considerazioni sulla società,
sull’efficacia delle riforme, sulle leggi, sulla natura umana.
23. Ultime riflessioni di Fabio ancora incatenato nella stiva della nave. Arrivo della piccola
flotta nel golfo di Napoli. Ingresso delle navi nel porto. Esecuzione delle condanne. Morte di
Fabio, di Maurizio e di altri giovani congiurati.
Indice
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Retro copertina:
“- Vedi, Fabio, — continuò a dire Maurizio — quanto ho cercato di spiegarti si può dire in
poche parole [...]: «C'è una forza nella vita umana che, oppressa, si contrae ma resiste e si
rafforza; se è lasciata libera, si snatura e deperisce.» [...] se non si eccede da una parte, si
eccede dall'altra [ed] è difficile evitare l'eccesso e mantenere l'equilibrio con il giusto mezzo.
[...] l'uomo non soffre solo perché subisce l'oppressione della tirannia di un [despota] o di più
o meno occulti prevaricatori, ma anche perché egli stesso può farsi vittima del proprio
libertinaggio.”
Da capitolo 9
“[…] I due giovani si erano conosciuti per caso e, poco tempo dopo, avevano iniziato un
rapporto non mai interrotto. La frequenza dei loro incontri era il segno di un legame intimo
che non dava adito a dubbi o a sospetti. Si erano incontrati due anni prima. La ragazza aveva
allora quattordici anni. In un pomeriggio del mese di gennaio percorreva la viuzza che
passava davanti alla casa di campagna di Fabio. Tornava al paese dalla campagna. Pioveva a
dirotto. Un ammasso cupo di nubi nel cielo sprigionava continue saette e faceva presagire
l’inasprirsi del temporale. Il vento sbatteva la pioggia obliqua e la ragazza riusciva a
camminare a stento. Vedeva appena davanti a sé la striscia bianca della via che stava
percorrendo. Era tutta inzuppata. La maglia che le copriva il busto, la lunga gonna di lana e la
mantellina pure di lana, che dalle spalle aveva trasferito sul capo, grondavano acqua.
Camminava protesa in avanti per vincere la forza del vento. Non si accorse dell’arrivo in
senso inverso di un cavallo e di un cavaliere. Era Fabio che si recava nella casa di campagna.
Da una certa distanza il giovane vide la ragazza grondante acqua e malconcia e, quando le fu
vicino, per farsi udire in mezzo al frastuono di quella bufera, le disse forte che l’avrebbe presa
in groppa. Ella alzò il capo, vide il giovane che le gridava dall’alto del cavallo, intuì l’offerta
che le faceva e annuì con un cenno. Si fece quindi aiutare a salire su, davanti a lui.
Il paese era lontano e la ragazza aveva subito bisogno di soccorso. Fabio decise di percorrere
il miglio di distanza che lo separava dalla propria casa di campagna e diresse il cavallo in
quella direzione. Quando vi giunsero Fabio smontò da cavallo, aiutò la ragazza a scendere e la
fece entrare in casa. Le offrì subito una casacca e una tunica che lui indossava in certe
occasioni. Indicò alla ragazza presa dal freddo una stanzetta attigua allo stanzone in cui erano
e le disse che poteva andare là a cambiarsi gli indumenti inzuppati. Accese quindi il fuoco nel
camino. Era urgente vincere il freddo che si faceva sentire di più con l’acqua addosso.
Occorreva pure asciugare i propri vestiti e le vesti che la ragazza avrebbe dismesso. Quando
lei riapparve Fabio notò la straordinaria bellezza della fanciulla. I panni provvisori che aveva
indossato e i capelli inzuppati e cadenti sulle spalle la rendevano proprio attraente. Fabio
versò vino in due calici e ne offrì uno a lei, che aveva cominciato ad asciugarsi i capelli. […]”
Da capitolo 21
“[…] – Vedi, Fabio, il potere rivela a tutti i livelli e con frequenza la propria arbitraria
condotta. Se tu offendi o solo contrasti, pure senza volerlo, un individuo potente, devi
aspettarti la sua vendetta. Egli è temibile, anche se è persona che non vale molto, e diviene
infallibile se è affiliato a una setta, se è a capo di una fazione, se è un importante cliente che
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può contare sulla protezione o un adepto che può fare affidamento sull’apporto di una
congrega organizzata. Caro Fabio, tu devi ancor più temere la sua dura reazione se lo disturbi
o se solo lo osservi mentre sta con la testa dentro la greppia, perché in tal caso egli farà in
modo che tu sia punito a tutti i costi; e che tu lo sia più severamente di come si punisce un
delinquente che danneggia il prossimo e la convivenza civile. Il potente che tu hai urtato
mobilita la consorteria o la conventicola cui appartiene, corrompe il magistrato e il pubblico
ufficiale, fa travisare la tua condotta e fa inventare prove inesistenti. Ottiene così la tua
condanna, mentre resta indifferente o si mostra indulgente verso i reati di un delinquente; e,
anzi, non di rado, giunge a farli minimizzare e a farne trascurare la gravità se l’opera di quel
delinquente gli può essere utile. Sappi dunque – continuò Maurizio – che per non incorrere in
gravi punizioni non è tanto importante essere innocente, quanto invece è indispensabile non
avere urtato un individuo potente, un membro di consorteria, un affiliato a conventicole,
specie se è intento ad accudire ai propri loschi affari per conservare il potere. E devi pure
sapere che spesso, per questo viziato comportamento umano, soccombono i migliori.
Periscono coloro che danno un effettivo contributo al progresso civile ma sono d’intralcio alle
mene del parassita o del superbo e dell’arrogante. Muoiono cioè quanti sono d’ostacolo a chi
giudica e comanda, a chi infligge la punizione restando nell’occulto e manovrando fili che
non appaiono. […]”
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Onorata società e società onorata
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Parole chiave:
Camorra, mafia, ‘ndrangheta, sacra corona unita, garduña, setta segreta, associazione
fuorilegge, criminalità organizzata, Cervantes, società civile, istituzioni, colletti bianchi,
privilegi, magistratura, nepotismo, corruzione, università, massoneria.
Indice dell’edizione integrale:
I. ONORATA SOCIETÀ
Introduzione
I. La garduña
II. Dalla garduña all’onorata società
III. Arbitrio e reazione. Banditismo e criminalità organizzata
IV. Camorra, mafia, ‘ndrangheta. Gli incunaboli
V. Scopi, mezzi e codice d’onore dell’associazione mafiosa
VI. Mafia e feudo
VII. Prima e dopo l’eversione della feudalità
VIII. Nella società borghese
IX. Il genitore inanimato
X. Alla ricerca delle origini
XI. Prime tracce di misfatti
XII. L’associazione mafiosa si adegua alle opportunità
XIII. La mafia siciliana prima a correre
XIV. La camorra e la ‘ndrangheta emulano la mafia
XV. La ‘ndrangheta fa il sorpasso
XVI. Mafia vecchia e mafia nuova
XVII. La cosca, occulto nucleo vitale di un organismo mostruoso
XVIII. Mafia, capitale e impresa
XIX. Capitalisti e capitalisti mafiosi
XX. Imprenditori e imprenditori mafiosi
XXI. Mafia e ceti sociali
XXII. Strumento dei ceti dominanti o dei diseredati?
XXIII. Mafia e potere
XXIV. Condizioni oggettive e condizioni soggettive
II. SOCIETÀ ONORATA
XXV. Gli altri
XXVI. Mentalità diffusa e sopraffazione mascherata
XXVII. Sopraffattori e sopraffatti
XXVIII. Settari più o meno noti
XXIX. I non violenti
XXX. L’alterità pacifica e intransigente
XXXI. Prevaricazione e reazione nel passato e nel presente
XXXII. Duplice condotta arbitraria. Comune derivazione.
XXXIII. Colletti bianchi e coppole storte
XXXIV. La parte sana e la parte malata del corpo sociale
XXXV. Chi generò Caino?
XXXVI. Il duplice obiettivo
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INDICI
Indice dei nomi
Indice analitico
Indice del volume
Indice dell’edizione ridotta:
ONORATA SOCIETÀ
Introduzione
I. La garduña.
II. Dalla garduña alla camorra
III. Camorra, mafia e ‘ndrangheta. Gli incunaboli
IV. Scopi, mezzi e codice d’onore dell’associazione mafiosa.
V. Alla ricerca delle origini.
VI. La mafia siciliana prima a correre
VII. La camorra e la ‘ndrangheta emulano la mafia.
VIII. La ‘ndrangheta fa il sorpasso.
IX. Mafia vecchia e mafia nuova.
X. La cosca, occulto nucleo vitale di un organismo mostruoso.
XI. Mafia e potere
SOCIETÀ ONORATA
XII. Mentalità diffusa e sopraffazione mascherata.
XIII. Settari più o meno noti.
XIV. L’alterità pacifica e intransigente.
XV. Duplice condotta arbitraria. Comune derivazione.
XVI. La parte sana e la parte malata del corpo sociale.
XVII. Chi generò Caino?
XVIII. Il duplice obiettivo
Indice del volume
Retro copertina:
“L'associazione mafiosa è perseguita e talvolta duramente colpita, ma continua a sussistere, a
resistere e a reclutare affiliati. Qual è la causa della sua vitalità e della sua capacità di
resistenza e di aggressività? È stato insufficiente o male indirizzato lo sforzo fatto dalle
istituzioni per debellarla? Per trovare la risposta a queste e ad altre domande del genere
l'autore ha esaminato le origini, la crescita, la costituzione e il carattere dell'associazione
fuorilegge e, non avendo trovato esaurienti spiegazioni, ha scavato in profondità, al di là di
quel che di solito si osserva. Ha trovato nella società civile la fonte del reclutamento di tanti
affiliati e la causa del radicamento di un'associazione tanto perniciosa, della sua vitalità e
della sua capacità di reclutare e di sussistere nonostante tanti ostacoli e tanta persecuzione.”
Dal testo
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[…] Nel passato la criminalità organizzata fu sempre una minaccia. Specie in alcuni anni della
seconda metà del novecento, parve avere la meglio sulle istituzioni. I suoi traffici illeciti
nazionali e internazionali aumentavano e i suoi crimini non avevano limiti. Sembrava che con
la violenza si fosse appropriata del territorio e del controllo di ogni attività. Con le sue
imprevedibili scorribande colpiva eminenti rappresentanti delle istituzioni, illustri tutori della
legge e fedeli servitori dello Stato. I suoi rapporti illeciti coinvolgevano individui e gruppi di
ogni estrazione e partiti di ogni orientamento. E in quegli anni prevaleva la convinzione che si
fosse giunti al crepuscolo delle istituzioni, dello stato di diritto, delle leggi e della giustizia. È
difficile credere che il pericolo che incombeva allora sulle istituzioni e sulla società fosse
minore o uguale a quello che giunse poi, nel primo decennio del duemila, dalle locali violenze
della camorra e dagli episodici delitti e dai traffici organizzati della ‘ndrangheta.
Eppure nessuno allora fece delle singole stragi o dei singoli episodi di violenza che
esplodevano qua e là l’oggetto di un libro apocalittico. Quei fatti criminosi non produssero
allora tanta meraviglia quanta ne produssero altri misfatti alcuni decenni dopo. Come se le
violenze della camorra nel Napoletano fossero novità assolute dei primi anni del duemila,
eventi inauditi mai accaduti, imprevisti e imprevedibili, e non fossero un saggio di altri
numerosi e più aberranti fatti criminosi, ben più organizzati, temibili e pericolosi, commessi
prima. Come se specie nella seconda metà del novecento non ci fosse stato in molta parte del
Mezzogiorno un permanente clima di guerra; un crescente conflitto tra mafia e istituzioni, in
cui caddero illustri e coraggiosi magistrati, giudici e numerosi servitori dello Stato; in cui la
complicità e la connivenza tra mafia e rappresentanti dei poteri pubblici erano occulti ma
consueti e parve vacillare la certezza del diritto e la fiducia nelle istituzioni.
La criminalità organizzata è una conoscenza di vecchia data e la società e le istituzioni non
hanno bisogno di conoscere altri suoi crimini. Della descrizione di quei suoi crimini sono
colmi innumerevoli volumi. Molti autori e molti inquirenti se ne sono occupati ogni volta che
in qualche luogo o in qualche zona o città si sono verificati fatti criminosi. Nel primo
decennio del duemila l’attenzione si volse specialmente a sporadici crimini commessi da
individui indisciplinati e feroci componenti di alcuni clan della camorra. Pertanto mi è parso
superfluo occuparsi ancora una volta di che cosa fanno le associazioni criminali presenti nel
Mezzogiorno. Non ho ritenuto importante raccontare che la criminalità organizzata è in
combutta e in complicità con amministratori pubblici, con politici e con imprenditori. Ho pure
fatto a meno di spiegare che la malavita nostrana ricorre al reclutamento di delinquenti
stranieri e insegna loro lo sperimentato modo di agire per vivere illecitamente seminando
morte e distruggendo quel che resta di un paese in dissoluzione.
In realtà è assurdo credere che si possa conoscere e combattere la criminalità organizzata
rievocando all’infinito i suoi crimini già da tempo conosciuti anche nei particolari. Al
contrario, è fondamentale scoprire le cause che l’hanno fatta esistere e sussistere e che la
fanno continuare a delinquere e a insegnare a delinquere. E questa necessità mi ha indotto a
[…].”
Da capitolo IV edizione ridotta, capitolo V edizione integrale
È probabile che assai presto l’associazione abbia avuto nelle sue file affiliati di riguardo,
baroni, nobili cittadini e ricchi proprietari. Dapprima si sarà trattato di casi isolati, che si
fecero sempre più frequenti e che divennero alquanto numerosi nel corso dell’ottocento. Dopo
l’eversione della feudalità, attuata nel 1806 nel Mezzogiorno e nel 1812 in Sicilia, la giustizia
in gran parte non fu più amministrata dai feudatari e dai loro ufficiali e giudici, ma da
burocrati e da magistrati regi, che estesero a tutti gli ambiti il loro potere giurisdizionale, fino
allora limitato a un’esigua parte del territorio e agli ultimi e più elevati gradi di giudizio. Il
barone non fu più possessore di uno o più feudi, cioè titolare di un istituto di diritto pubblico.
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Pertanto non esercitò più ufficialmente il potere locale. Perse l’autorità che si era fino allora
accompagnata con il ruolo ufficiale che aveva svolto. Non influì più con il peso della sua
funzione sulla gestione dei suoi possessi e dei suoi beni, che egli aveva in parte fino allora
concessi in affitto, quasi sempre in modeste quote. Non ebbe più uomini armati e bravi al suo
servizio, che in veste legale e illegale avevano difeso sé e i suoi averi. Dopo l’eversione della
feudalità, egli affittava in grandi dimensioni beni e terre di cui era proprietario a pochi
individui che avevano i mezzi per gestirli in proprio. Di quei beni e di quelle terre ne facevano
richiesta elementi del ceto benestante, in parte ex suoi affittuari o ex suoi fattori arricchiti, che
avevano acquisito una solida posizione sociale ed esercitavano autorità sulla popolazione e sui
contadini. Non era sorprendente che molti o pochi di quei benestanti e grandi affittuari fossero
nelle file dell’associazione e si giovassero del suo ausilio. E si può credere che, prima di loro,
altri benestanti e affittuari si fossero affiliati alla setta segreta.
Non è peregrino sostenere che, nel tempo e un po’ per volta, nell’associazione si introdussero
elementi che ne mutarono l’indole e la fisionomia. E che per queste acquisizioni la setta andò
smarrendo parte dell’antica severità e della segretezza, mentre conservò più a lungo il formale
cerimoniale, i segreti riti e i vecchi simboli. Considerando il carattere che ha assunto tra la
seconda metà del novecento e i primi anni del duemila, si può dire che la setta è mutata
profondamente in circa due secoli, cioè da quando nei primi anni dell’ottocento si sono
verificate le sue prime manifestazioni. La sua fedeltà alla tradizione e il suo rigore originario
andarono diminuendo, mentre andò rivelando la sua presenza e specialmente ogni volta che
dovette integrarsi nei profondi mutamenti della società civile. Da strumento di difesa la setta
divenne lentamente strumento di partecipazione attiva agli affari, ai soprusi dei potenti e ai
vantaggi derivanti dall’esercizio del potere.
Si può dunque dire che il cambiamento del carattere dell’associazione non fu una novità degli
ultimi decenni del novecento. Il cambiamento avvenne nel tempo, parecchie volte. E ogni
volta si verificò un’evidente alterazione del costume e si attenuò il rigore originario; e tutto
ciò avvenne ogni volta che aumentò la partecipazione della setta all’attiva realizzazione di
lucro e di concreti vantaggi, conseguiti con la stessa violenza che era stata usata prima a fine
di difesa. Fu poi naturale che, in un’associazione frantumata in migliaia di cosche, il codice
d’onore e le norme da esso prescritte […].”
Da capitolo XVII (edizione ridotta), da capitolo XXXV (edizione integrale)
“[…] In realtà quel cambiamento dell’associazione mafiosa non solo era stato indicato da
alcuni decenni, ma non aveva nulla di sorprendente. Era un ennesimo adeguamento
dell’associazione mafiosa alle condizioni dell’economia, della società e delle istituzioni. E si
poteva considerare parte della trasformazione della società civile, di una trasformazione non
rara e antica quanto il mondo. Parte cioè di una trasformazione determinata dal trasferimento
di ricchezza realizzata con mezzi illeciti nel circolo di un’economia del tutto legale; di una
trasformazione determinata dal mutamento di artefici di quella ricchezza illecita in rispettabili
capitalisti e imprenditori.
E si può rinvenire un significativo precedente di questo mutamento senza andare troppo
lontano nel passato. Nel decimo e nell’undicesimo secolo della nostra era, il capitale che
proveniva dal malaffare, dal contrabbando, dalla pirateria contribuì notevolmente a
trasformare l’economia chiusa e prevalentemente di autoconsumo, di scambi in natura e con
scarso impiego di moneta, in un’economia aperta, di rapporti commerciali e finanziari. I
detentori del capitale realizzato con mezzi illeciti e violenti divennero allora conduttori di
traffici e autori di investimenti del tutto legittimi, capitalisti e ricchi proprietari rispettabili e
legalmente inseriti nella società feudale in disfacimento e attivi promotori del rinnovamento
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delle sue istituzioni. Da fuorilegge, pirati e contrabbandieri divennero cittadini onorati,
borghesi, fautori di riforme progressiste.
Fu questo un precedente esemplare, che può essere indicativo, mutatis mutandis, del quieto
mutamento di status che ebbero sempre, prima e dopo quell’epoca, capitali illeciti e capitalisti
fuorilegge. Non si vede dunque che novità sia e che sorpresa possa destare la trasformazione
dei mafiosi arricchiti in rispettabili borghesi. Certo si può temere che i mafiosi arricchiti e
divenuti borghesi continuino a comportarsi come affiliati all’associazione e a usare la
violenza per continuare a condurre i propri affari e a esercitare i propri traffici. Si può ritenere
che la mafia, divenuta borghesia, continui a fare in seno alle istituzioni, sotto le ali delle leggi
e sotto gli occhi dei tutori dell’ordine, quanto fece sempre. Ma ciò che si teme e si sostiene
con tanta certezza, ha poco riscontro nella realtà. I mafiosi che si inserissero nelle istituzioni e
nella società civile impiegando alla luce del sole i loro capitali accumulati, non sarebbero più
mafiosi, affiliati all’associazione fuorilegge, ma sarebbero borghesi e si comporterebbero
come tali. Non avrebbero più necessità di ricorrere alla violenza per arricchirsi, ma
opererebbero nella società civile, nel rispetto formale della legalità Si comporterebbero come
tanti altri borghesi. E come i borghesi che, al loro nascere nel passato, dismisero di fare i
pirati, di darsi al contrabbando e di svolgere attività illecite e furilegge, così i mafiosi,
divenuti borghesi, smetterebbero di essere affiliati all’associazione e sarebbero legittimi, attivi
e produttivi componenti della società civile.
Non è dunque ai mafiosi divenuti borghesi che si deve guardare. Cercare di capire questa loro
trasformazione o ostacolarli nel loro nuovo stato comporta uno sforzo che si può ritenere
inutile. Quel che bisogna capire e impedire è a monte; è ciò che rende possibile l’esistenza di
tanti fuorilegge e la persistenza delle loro azioni violente e del loro arricchimento.
Ha dunque poca importanza sapere che gli affiliati all’associazione mafiosa si arricchiscono e
si imborghesiscono; che alcuni di loro sono stati presenti in importanti logge massoniche; che
l’associazione talvolta eseguì il mandato di servizi segreti deviati, agenti in ossequio alle
direttive di eminenti politici; che, nella sua occulta funzione di sicaria, assassinò integerrimi
magistrati non allineati e valorosi membri delle forze dell’ordine; che mafia e mafiosi furono
complici di politici e di amministratori e influenzarono e spesso guidarono il potere locale e
nazionale mediante il controllo di parte notevole del consenso elettorale. Tutti ne furono e ne
sono a conoscenza e, nonostante ciò, non è servito a nulla. Anzi la gente si è stancata di
sentire ripetere che l’associazione mafiosa condiziona il potere politico ed economico,
controlla parte notevole degli elettori e, per conseguenza, degli eletti a tutti i livelli e
determina molte loro deliberazioni.
Quel che non si riesce a capire e a spiegare è la causa di tutto ciò. Ovvero per quale arcano
mistero l’associazione mafiosa poté fare, fece e continua a fare tutto questo, nonostante le
disquisizioni sul suo conto e i provvedimenti repressivi. Ed è quello che si deve capire, per
scoprire il punto vulnerabile e colpire a morte. Ed è quello che si è cercato di scoprire in
questo libro.
La conclusione cui si è giunti rivela l’esistenza di un mostro indefinibile, subdolo, sfuggente e
difficilmente perseguibile. Un mostro assai diverso da quello che fu finora raffigurato e che si
cercò di abbattere. Il mostro che finora poté fare, fece e continua a fare tanti incalcolabili
danni e che uscì sempre pressoché indenne da ogni colpo apparentemente mortale, non è
un’entità astratta, una generica e fantomatica associazione che cambia pelle, che si trasforma,
che gestisce i propri affari direttamente o tramite mediatori. Non è un’associazione che, qua e
là, si rivela più o meno centralizzata e che si indentifica con una cupola o con alcuni capi più
o meno primule rosse. È al contrario un gran numero di cellule, di cosche o famiglie, di ogni
dimensione, presenti in centri abitati e in rioni di grandi città. È un insieme di cosche
autonome e autogestite da affiliati convinti di potere e di dovere; e soprattutto di avere il
monopolio del malaffare da cui trarre lucro e di dovere imporre, in contrasto con lo Stato, il
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proprio arbitrario diritto di condizionare e controllare quanto avviene sul territorio che
ritengono di loro competenza.
È questo il mostro dalle mille vite da colpire e da annientare. E non si potrà mai colpire a
morte e annientare se la repressione si volge qua e là, dove di volta in volta si manifestano gli
eccessi del crimine e del malaffare. Non si deve […]”
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Banditi baroni e viceré nel regno di Napoli in età moderna
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Parole chiave:
Carlo V, viceré di Napoli, Pietro di Toledo, Sanseverino, marchese Carrafa, Pacheco, Alcalà,
Granvelle, Alessandrino, conte di Miranda, Mondejar, Marco Berardi, Marco Sciarra,
Olivares, conte di Lemos, Ossuna, Monterrey, duca di Medina, Oñate, Castrillo
Indice:
Abbreviazioni
Prefazione
Introduzione
1. Prima e dopo la perdita dell’indipendenza
2. Il crescente malessere
3. Il governo forte
4. Le prime contraddizioni
5. Provvedimenti drastici e recrudescenza del banditismo
6. L’ostacolo ai buoni propositi
7. Il persistente rigore
8. Le continue contraddizioni. Dall’Alcalà all’Olivares.
9. Le grandi bande
10. L’ultima grande banda
11. Comitive di fuorilegge
12. Formazione ed estrazione sociale
13. Fazioni, bande e banditi
14. Il diritto di asilo
15. Baroni e banditi
16. Ribellione e repressione dal Toledo al Mondejar.
17. Inasprimento della repressione
18. Nuova tattica repressiva
19. Il rimedio peggiore del male
20. Regie udienze, uditori e ufficiali
21. Dissesto finanziario, debito pubblico e ripercussioni sociali.
22. Esigenze contrastanti
23. La calma apparente
24. Malcostume e abusi del clero nei primi decenni del seicento.
25. Disfunzioni degli uffici e arbìtri degli ufficiali
26. Alienazione di diritti, uffici e prerogative ai baroni
27. Persistente alienazione dei mezzi del potere ai baroni
28. Banditi e congiure
29. Crescente sconvolgimento
30. Le tacite rinunce dei viceré dal terzo decennio del seicento
31. Gli estremi limiti del dissesto e delle difficoltà del governo
32. Rivolte, repressione, congiure e banditi
33. Dopo la rivolta del 1647
34. Persistente disfunzione e crescente corruzione
35. Aumento della ricchezza, degli arbìtri e del potere effettivo dei baroni
36. Baroni, popolo e governo nella capitale
37. Banditi, baroni, congiure e viceré
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38. L’opposto processo
39. Pretese del clero e arbìtri e violenze nei feudi
40. Aumento della ricchezza occulta e delle sue fonti
41. La mutata efficacia dei provvedimenti repressivi
42. Fattori oggettivi e soggettivi
43. Potere, società e banditismo
Appendici
I viceré di Napoli (1503-1707)
Il viceré, Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos, al consiglio d’Italia e al sovrano, 28
dicembre 1611
Indice dei nomi
Retro copertina:
«Si può dire che la povertà e le altre cause oggettive siano state le minori e non sempre cause
determinanti del banditismo e di ogni forma di violenza. E ciò si può constatare anche
osservando che in molte società e in molti paesi c’è e ci fu povertà, e spesso molta povertà,
ma non banditismo e violenza. Più che l’enorme divario tra le fortune di pochi ricchi e
l’estremo bisogno di molti poveri furono la prevalente arbitraria condotta e la disinvolta
violazione delle leggi che produssero disperazione, malessere sociale, reazione e ribellione. E
l’arbitraria condotta non fu solo di pochi privilegiati, baroni e benestanti, ma fu anche di
mercanti, di ufficiali e magistrati, i cui eccessi e la cui corruzione resero insopportabile
l’esistenza di gran parte della popolazione, e degli stessi prevaricati e sopraffatti i quali,
quando furono in condizione di reagire, prevaricarono e sopraffecero, a loro volta, i più deboli
di loro.»
Da capitolo 9
“[…] In lui, come in ogni altro bandito e in ogni altro capo di banda grande e piccola, non
c’erano scopi politici e nemmeno mire di rivendicazione sociale. C’era certo un impeto di
forza e di intelligenza, provocato anche dal bisogno represso di manifestarsi e imporsi
rompendo il guscio delle convenzioni sociali e delle pastoie del potere costituito. C’era il
bisogno di uscire dal groviglio di strettoie che mortificavano la capacità, l’intelligenza e
l’iniziativa.
Per soddisfare questo impellente bisogno, Marco Berardi divenne bandito, capo di banditi e re
Marcone. Durante quattro anni capeggiò la banda più numerosa non solo allora, in quei
decenni del cinquecento, ma in tutto il tempo in cui, prima e dopo di allora, nel Mezzogiorno
imperversò il banditismo. In particolari momenti metteva insieme fino a 1500 uomini. Di
solito aveva sede sui monti della Sila, dove teneva il suo governo e, all’occorrenza, un vero e
proprio consiglio di guerra. Amministrava giustizia ed esigeva tributi. Retribuiva i suoi
uomini con nove scudi al mese, che era una paga doppia di quella che percepiva allora un
soldato del re di Spagna. Poneva taglie sulla testa dei capitani incaricati dal governo vicereale
di perseguirlo e rilasciava salvacondotti in sostituzione di quelli ufficiali rilasciati dal governo
regio, di cui i viaggiatori erano in possesso.
Nel 1563, davanti alla città di Crotone, affrontò e sconfisse in battaglia le altrettanto numerose
truppe regie, che gli erano state inviate contro. Ma il successo clamoroso che riportò in
quell’occasione, fu di breve durata, il principio della fine. La battaglia vittoriosa era costata al
nemico la perdita di oltre cinquanta uomini. Ne andavano di mezzo il prestigio e l’autorità
delle forze regie. Il viceré, duca di Alcalà, dovette correre ai ripari e il 16 agosto di quello
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stesso anno inviò in Calabria una spedizione di truppe regie molto più numerosa di quella
precedente con a capo il marchese di Cerchiara.
Era una spedizione eccezionale, assai agguerrita e troppo forte per non distogliere la banda
calabrese da ogni velleitario proposito di potervi resistere. Re Marcone si rese conto di non
poterla spuntare contro un esercito forte di migliaia di uomini. Era evidente che lo scontro
avrebbe prodotto solo inutili perdite. Decise di evitarlo. Sciolse la banda e diede così modo ai
suoi uomini di frazionarsi in piccoli gruppi o di tornare ai propri paesi e alle proprie case e
mimetizzarsi e nascondersi per sfuggire alla dura e capillare repressione che sarebbe seguita.
[…]”
Da capitolo 14:
“[…] Molti ecclesiastici fornivano rifugio a banditi e delinquenti nelle chiese, nei conventi,
nei luoghi pii, nelle curie diocesane e negli stessi palazzi di vescovi e cardinali. Facevano
passare quell’ospitalità e quel rifugio per un loro diritto. Abusandone senza limiti,
accoglievano e sottraevano alla persecuzione banditi e delinquenti di ogni specie,
ricoverandoli e ospitandoli nelle chiese e nei luoghi religiosi (3). Pur essendo evidente che
quella consueta loro pratica contrastava con gli sforzi che faceva il governo regio per
combattere il banditismo, la consideravano indiscutibile. Clerici a tutti i livelli, i più alti
prelati e la santa sede la difendevano con accanimento e con tutti i mezzi.
Gli ecclesiastici esercitavano così un diritto di cui godevano da vecchia data e di cui si erano
sempre avvalsi. L’ospitalità che, in base al diritto d’asilo, essi avevano dato in passato a
fuggiaschi e a disperati per sottrarre tanti di loro all’arbitraria persecuzione, al sopruso e
all’ingiustizia, era stata una manifestazione di ossequio allo spirito evangelico e di umana
pietà, anche se aveva limitato l’esecuzione delle leggi. Nel corso del cinquecento
quell’ospitalità divenne una pratica tanto diffusa, frequente e abusata da non potere essere più
legittimata dal diritto d’asilo, né spiegata con la fedeltà al vangelo e con l’umana pietà. Si
trasformò in ricettazione, in evidente arbitraria protezione, in un colossale abuso che la Chiesa
continuò a coprire con il diritto d’asilo di cui godeva. Il rifugio che nei luoghi religiosi si dava
in tal modo a un gran numero di banditi e fuorilegge, divenne una pratica che produceva la
reazione delle autorità laiche, specialmente regie, ma non destava stupore nella gente ormai
abituata ad osservare il continuo evidente deterioramento dei costumi del clero. Allora non
sfuggiva a nessuno che molti dei numerosissimi ecclesiastici avevano una mentalità e un
modo di fare non diversi da quelli dei banditi e sapevano come comportarsi nei loro confronti
e come trattare con loro. Alcuni ecclesiastici si trovavano nel proprio elemento facendo i
banditi, capeggiando una comitiva e commettendo violenze e reati di ogni genere.
Uno di essi […]”
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Banditismo nel Mezzogiorno d’Italia tra Rinascimento e Barocco.
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Da capitolo III
“[…] A metà del cinquecento la dura persecuzione che c’era stata negli anni precedenti aveva
reso evidente l’efficacia delle forze repressive e la vulnerabilità e la debolezza dei banditi
sciolti o riuniti in piccoli gruppi. Aveva fatto constatare che banditi e fuorilegge, anche se
molto numerosi, non avevano possibilità di difendersi ed erano destinati a soccombere e ad
essere sopraffatti dalle ingenti forze del governo se fossero rimasti isolati, se non si fossero
uniti in grandi gruppi. La persecuzione era divenuta sempre più organizzata. Nelle province
non solo giungevano ogni anno nutrite spedizioni di compagnie di gente d’armi, ma
esistevano da anni
agguerrite squadre di persecutori stabili alle dipendenze delle regie udienze e delle autorità
locali. Gli attacchi di tanta forza organizzata dovettero rivelare ai numerosi banditi, di solito
sciolti o uniti in gruppi di pochi individui, la necessità di difendersi meglio per potere
continuare a delinquere. E in quegli anni della metà del secolo quella necessità fu tradotta nei
fatti.
La prima grande banda che lasciò traccia di sé era capeggiata da un pastore di nome Galera.
Era alquanto numerosa e, in alcune occasioni, giungeva fino a duecento uomini. Batteva
specialmente le campagne e i monti della Calabria settentrionale. Trovava occulto sostegno e
tacita protezione nei territori di alcuni feudi e specialmente in quelli dei feudi del principe
Sanseverino di Bisignano. Dalla seconda metà degli anni quaranta al 1554 aggredì e
saccheggiò, irruppe nei centri abitati e sfuggì ad ogni persecuzione; anzi si difese
efficacemente da ogni attacco. Fornì il suo apporto alle congiure allora tentate in alcuni feudi
e a quelle fomentate dal principe di Salerno e dai suoi sostenitori. Divenne un pericolo per le
istituzioni. Gli uomini che la componevano, si scioglievano nei momenti difficili o trovavano
rifugio nei boschi e sui monti.
La banda di Galera scorse le campagne e saccheggiò le città negli anni in cui il Toledo, con i
suoi provvedimenti repressivi, fece catturare e giustiziare migliaia di banditi. Continuò a
delinquere anche dopo la morte del Toledo, come fecero numerosi altri gruppi di fuorilegge. E
il successore del Toledo, il cardinale Pacheco, nel 1553 continuò a perseguirla con l’invio di
spedizioni di compagnie di gente d’armi e con l’impiego di squadre di campagna. Ma come
era accaduto in tanti anni ai persecutori inviati dal Toledo, anche la caccia ordinata dal viceré
Pacheco non ebbe successo. Nel corso del 1553 la banda continuò a delinquere e, come aveva
fatto negli anni precedenti, sfuggì ad ogni persecuzione. Fu un caso fortuito a segnare la sua
fine. In pieno inverno dell’anno successivo, 1554, nei mesi in cui di solito tacciono la guerra,
la pirateria, il banditismo e la persecuzione, la banda molto ridotta di numero si imbatté in
alcune squadre di campagna dell’udienza provinciale e nelle compagnie d’armi del
governatore della Calabria, Carlo Spinelli, conte di Seminara, il quale «se ha dado tan buena
maña» nel perseguire il bandito. Nello scontro la banda fu dispersa e il Galera fu ferito e
catturato. Cessava così di riunirsi e di esistere almeno nelle dimensioni della grande e temibile
banda. Il Galera fu condotto a Napoli e divenne un ostaggio prezioso, trattato con ogni cura
per ordine del governo, che si aspettava di ottenere da lui importanti informazioni sulle
congiure in quegli anni ordite nel regno e sulle trame dei congiurati, di cui si supponeva che il
bandito fosse a conoscenza. Indipendentemente dalle rivelazioni che poteva fare, la sua
cattura fu di enorme importanza, un evento straordinario, tanto che il viceré Pacheco il 29
marzo 1554 comunicava al sovrano l’eccezionale successo che aveva avuto essendo
finalmente le forze regie riuscite a catturare «il più famoso e insigne bandito che si era avuto
nel Regno da molti anni in qua». […].”
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Cattiva Stella
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Parole chiave:
Mezzogiorno Italia, Romanzo, Novecento, Terremoto, Saga Familiare, Amore, Famiglia.
Indice:
1. Fossa, marzo 1908. Nascita delle gemelle Caterina e Nunziatina. Alcune vicende della
famiglia Gennaro.
2. Donna Carmela Arcuri in Gennaro. La famiglia patriarcale da cui proveniva. Il marito. La
morte dei figli. Il terremoto del 1908.
3. La nascita di Francesca, la morte del padre, la saggezza di donna Carmela.
4. L’innamoramento. Caterina adolescente e il giovane Vincenzo Caruso che si procura le
necessarie referenze e ottiene di fidanzarsi con lei.
5. Altri pretendenti. Minacce. Supposizioni e timori di Vincenzo. Caterina aggredita e ferita.
6. Le nozze. I rapporti con i parenti. Gli sposi a Verrino, il paese di Vincenzo.
7. La dimora degli sposi. Il primo figlio e la sua morte per l’imperizia di un sedicente medico
e gerarchetto fascista. La malevolenza e le falsità di un concorrente di Vincenzo, come lui
commerciante.
8. La cieca ostinazione del concorrente. Il passato e gli eccezionali requisiti di Vincenzo.
9. La sposa e i familiari di Vincenzo.
10. Nascita di Francesco, il secondogenito. Difficoltà nel commercio specialmente dopo il
1929. Vincenzo scongiura il fallimento riuscendo a concludete un vantaggioso concordato con
il quale riduce notevolmente il debito verso due grandi mulini di Genova e di Venezia.
11. Nunziatina e i suoi diversi corteggiatori. I lauti guadagni, le abitudini disordinate e
l’eccessiva prodigalità di uno di loro.
12. 1929, a Fossa: rapimento di Nunziatina. Disperazione della madre. Caccia ai rapitori.
Permanenza della rapita, del mandante e degli esecutori in una casa di campagna.
13. Conclusione del rapimento. Ritorno in paese della rapita e del mandante, loro convivenza,
separazione e inimicizia. Visite e mediazione dei parenti. Matrimonio. Malattia e contagio.
Riconciliazione degli sposi con i familiari.
14. A Verrino, l’invidioso concorrente diffonde falsità e cerca di assoldare un sicario per fare
uccidere Vincenzo. Ottiene un rifiuto. Vicende di Domenico, fratello maggiore di Vincenzo.
15. Il concorrente accumula altra invidia e altro odio. Si esercita sparando ai topi. Del suo
inspiegabile accanimento un amico dà a Vincenzo una lunga ed erudita spiegazione.
16. 4 marzo 1933. Vincenzo non va a Fossa, a una festa nuziale, esce di casa per passare
qualche ora con gli amici. In piazza, tra la gente, sta appostato il concorrente che dà sfogo al
suo odio uccidendo Domenico e Vincenzo e trova la morte.
17. Disperazione dei congiunti, generale costernazione e sdegno per quel feroce e
incomprensibile delitto.
Indice
Retro di copertina:
“Caterina aveva appena compiuto sedici anni e da tempo si era fatta avvenente, quando un
giorno accadde qualcosa che sconvolse le sue tranquille abitudini di vita. Nel negozio entrò un
giovane che non si era mai visto prima. Forse era stato informato dell’avvenenza e della
bellezza della ragazza ed era là per questo. O forse si era trovato per caso a passare e aveva
avuto il desiderio di acquistare un po’ di carne di bue. Fatto sta che ordinò un taglio di filetto,
attese che gli fosse detta la somma da pagare e porse un biglietto da venticinque lire. Nel 1924
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era un biglietto che si vedeva raramente in circolazione, forse non si vedeva mai in quegli
anni di deflazione o si usava solo nelle grosse contrattazioni. Caterina prese il biglietto e lo
pose sul bancone ...” È rivissuta una complessa vicenda che si svolge nei primi decenni del
novecento in alcune contrade del Mezzogiorno d’Italia. I fatti narrati e i personaggi rendono
vivo e attraente il particolare e difficile ambiente in cui si muovono.”
Da Capitolo 4
“[…] Caterina aveva appena compiuto sedici anni e da tempo si era fatta avvenente, quando
un giorno accadde qualcosa che sconvolse le sue tranquille abitudini di vita. Nel negozio entrò
un giovane che non si era mai visto prima. Forse era stato informato dell’avvenenza e della
bellezza della ragazza ed era là per questo. O forse si era trovato per caso a passare e aveva
avuto il desiderio di acquistare un po’ di carne di bue. Fatto sta che ordinò un taglio di filetto,
attese che gli fosse detta la somma da pagare e porse un biglietto da venticinque lire. Nel 1924
era un biglietto che si vedeva raramente in circolazione, forse non si vedeva mai in quegli
anni di deflazione o si usava solo nelle grosse contrattazioni. Caterina prese il biglietto e lo
pose sul bancone, andò in una stanza retrostante e tornò subito dopo, contò quindi il resto da
dare con molta rapidità, posando a una a una banconote e monete sul piano di marmo. Come
fece la madre, rispose al saluto che il giovane rivolse loro mentre si accingeva a uscire dal
negozio. Pensò e, poco dopo, disse alla madre che quel giovane aveva voluto constatare come
ella se la sarebbe cavata nel calcolare e nel dare il resto di quel biglietto. Insomma, le
sembrava un test, un sondaggio: il giovane aveva voluto accertare il suo grado di bravura e di
prontezza nel fare il conto e nel dare il resto di quel biglietto di grosso taglio. Disse questo
alla madre, ma non riuscì a nascondere il colpo che aveva ricevuto da quell’apparizione. La
madre se ne accorse, ma non diede a intenderlo. Era il primo segno di ammirazione per
qualcuno che notava in quella sua figlia piuttosto distaccata. E in realtà la ragazza avvertiva
qualcosa che non aveva mai provato prima, ma non confessava neppure a se stessa di sentire
nascere in sé un improvviso sentimento. Tuttavia si sorprendeva a rimproverarsi di non essere
stata meno riservata e di non avere fatto capire a quel giovane che lo ammirava. «Chissà –
diceva tra sé – se tornerà più. Se è venuto per vedere me e per sondare il terreno e le mie
capacità, posso non essergli riuscita simpatica. Forse avevo la mia solita espressione
indifferente, che lo ha scoraggiato e lo consiglierà a non farsi più vedere». [… ]”
Da capitolo 5
“[…]Il compaesano elegante passava molte volte al giorno davanti al portoncino della casa di
Caterina. La ragazza, quando puliva la scala e il pavimento dell’ingresso, apriva il portoncino
per fare uscire la polvere che si sollevava. Il compaesano approfittava di quei pochi istanti e
gettava dentro, nell’ingresso, un biglietto contenente certo la sua proposta amorosa. Ma
appena il biglietto toccava il pavimento, la ragazza con un colpo di scopa che aveva in mano
lo rimandava fuori con la violenza che l’indisposizione e lo sconcerto imprimevano alle sue
braccia e alla ramazza. Era un affronto imperdonabile per chi teneva alla propria reputazione
di malandrino vedere giacere il proprio biglietto sul marciapiede, rigettato insieme con la
polvere e la poca immondizia. Era troppo! Era vero che era stato lui a provocare quella
reazione. Era stato lui a tentare di seguire quella via nella speranza di catturare con le buone
maniere la ragazzina ben formata e con una buona dote. Ma quel gesto di buttar fuori il
proprio biglietto lo rendeva ridicolo. Gli toglieva il marchio di individuo senza scrupoli,
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feroce e implacabile, che tanto timore incuteva in molti paesani e tanto autorevole lo aveva
reso tra molti altri gaglioffi. Il fallimento dei suoi tentativi tutte le volte che li ripeté in
seguito, lo indispettì sempre più. Fece quindi ricorso a un mezzo efficace per catturare la
preda e per riabilitarsi agli occhi dei colleghi e dei paesani. Decise di rendere la ragazza non
più appetibile e di costringerla così ad accettare lui come fidanzato e marito.
Una sera del mese di maggio, sull’imbrunire, Caterina era appena uscita dalla chiesa ed era
sulla via per tornare a casa. In quella stradetta che stava percorrendo, di solito poco
frequentata, c’erano in quel momento alcune persone che avevano seguito la funzione
religiosa. Lei era in compagnia di Francesca, che familiari e parenti chiamavano Cilla, la
sorella minore. Il compaesano si trovava poco distante impalato lungo la stradetta e guardava
davanti a sé. Stava immobile in quella posizione come se fosse in attesa di qualcuno o se
volesse osservare i passanti. La ragazza insieme con la sorella doveva passargli vicino per
seguire il proprio cammino. Quando ella fu a poca distanza, egli, con una rapidità e maestrìa
straordinarie, fece un balzo verso di lei, allungò il braccio e si protese in avanti. Teneva tra le
dita della mano destra un rasoio aperto con la lama luccicante agli ultimi sprazzi di luce.
Afferrò con la mano sinistra l’omero destro della ragazza e affondò il rasoio da un […]”
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La congiura antispagnola di Tommaso Campanella: delatori e persecutori.
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Parole chiave:
congiura antispagnola, delatori congiura Campanella, persecutori congiura Campanella,
delatori Biblia DiLauro, persecutori Xarava, Spinelli, Morano, Catanzaro Reggio Tropea
Indice:
I. Monaco, filosofo e congiurato
II. Congiurati, delatori e persecutori
III. I timori, la discolpa e i meriti della città di Catanzaro
IV. I meriti e le richieste dei persecutori
V. I due delatori
VI. Punizioni e vendette
VII. In attesa della ricompensa
VIII. Persistente timore di denunce e vendette
Indice dei nomi
Retro copertina:
«Il giovane [Giovanbattista Biblia] restava a Catanzaro e denunciava senza remore e senza
titubanze un progetto di congiura contro il potere costituito, pur sapendo che quel potere
sarebbe stato inesorabile e feroce nel reprimere i molti congiurati e concittadini che egli
tradiva. Fece questo per denaro e per ottenere un titolo: per ricavare un utile che contrastava
con lo scopo del programma che si era riproposto di realizzare poco tempo prima. È
incomprensibile che egli abbia potuto fare questo [...]».
da capitolo VIII.:
“[…] Notevoli o modeste che fossero le sue dimensioni e i suoi effetti, la congiura mobilitò la
partecipazione di individui di ogni condizione sociale, dal mercante al barone,
all’ecclesiastico, al prelato, al bandito. Fu come il passaggio di un turbine silenzioso che
scosse quanti erano più esposti e sensibili alle novità. Lasciò di sé il ricordo di avere smosso
le acque chete in superficie ma torbide e agitate nel fondo. Costò la morte crudele di molti
idealisti, specialmente giovani. E nella città di Catanzaro la sua scoperta aggiunse turbolenza
a turbolenza e alimentò le vendette e gli omicidi occulti. Accrebbe il timore che aveva la città
di perdere quanto aveva conquistato. Con mezzi inconsistenti e con uno scopo assai vago, la
congiura e i congiurati tentarono di attuare, nel modo praticamente possibile, un «pensier
grande» di Tommaso Campanella, che il filosofo aveva concepito sotto la spinta della sua
personale reazione alle amare esperienze giovanili, delle cognizioni astrologiche e della
constatazione del malessere sociale e del diffuso malcontento popolare.”
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Fossa
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Parole chiave:
Fossa, Villa San Giovanni, seta grezza, Ruffo, Scilla, filande, gelso, Tropea, Aldobrandino,
Caracciolo Rocco Antonio, Campo Calabro, Cannitello, Aspromonte, Fiumara di Muro.
Indice:
Avvertenza
Introduzione
1. I baroni di Fiumara di Muro.
2. Dalla baronessa Di Francesco al principe Ruffo.
3. Il feudo e il suo territorio. Da «Fossa» a Villa San Giovanni.
4. Risorse e luoghi religiosi.
5. La terra e il casale. Abitanti, amministratori e ufficiali.
6. Possessi feudali e proprietà private.
7. Investimenti e concessioni.
8. Crescente rendimento dei beni e delle aziende.
9. Diverso aumento della rendita e del profitto.
10. L’intraprendenza della principessa Ruffo e la fraudolenta gestione degli erari del feudo.
11. L’andamento della produzione nel seicento.
12. Un’opinione particolare.
13. L’arricchimento dei baroni.
14. All’origine del potere e dell’arricchimento dei baroni.
INDICE DEI NOMI
Retro copertina:
È analizzato un caso indicativo, uno dei tanti, di ciò che è avvenuto nel seicento in un feudo
del Mezzogiorno d’Italia. Al contrario di quel che è stato sostenuto risulta che non ci fu
rifeudalizzazione e diminuzione della produzione, ma ........
da capitolo 3:
“[…] Come vedremo, nel seicento le famiglie Caminiti, Lofaro, Marra e tante altre avevano
coltivato direttamente modesti lotti di terra feudale ottenuti in affitto e in enfiteusi e avevano
lavorato seta a domicilio. Nel settecento i loro discendenti avevano accresciuto i possessi che
avevano ereditato e avevano ampliato le attività produttive. Nel corso dell’ottocento i
successori di costoro impiantarono filande munite di caldaie e azionate da numerosa
manodopera. Le loro attività e la grande opportunità che offriva la zona, ormai con un fitto e
capillare tessuto produttivo composto anche di 44 filande tra Acciarello e Cannitello nel 1847,
attrassero capitalisti forestieri. Come i filandieri locali, i nuovi imprenditori, spinti dal vento
della rivoluzione industriale che soffiava in Inghilterra e poi in Europa dalla fine del
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settecento, investirono competenze e capitali nella costruzione e nella conduzione di nuove e
grandi filande meccanizzate. Nella seconda metà del secolo le redditizie attività in quella zona
crebbero notevolmente. Adriano Erba, milanese, Thomas Hallam e il nipote Edward J. Eaton,
inglesi, la famiglia Florio di Palermo si associarono con imprenditori del luogo e
impiantarono filande a caldaia in imponenti edifici in cui si svolgeva il lavoro di centinaia di
persone. Estesero gli investimenti ad altre attività, al commercio di cereali e all’esportazione
del prodotto serico. Crebbe notevolmente la struttura produttiva in quella zona e, con essa,
crebbe il numero degli abitanti di Fossa ora Villa San Giovanni, che da 240 circa all’inizio
degli anni ottanta del settecento divennero 6650 all’inizio del novecento.
Nelle molte filande sparse in tutto il territorio, da «Azzarello» a «Cannatello», migliaia di
operai, in gran parte donne che giungevano dall’entroterra, lavoravano in enormi stanzoni
dall’alba al tramonto e producevano il semilavorato. Tanta attività e tanto fermento erano
andati crescendo sia per l’evoluzione di piccoli produttori a domicilio divenuti filandieri, sia
per gli investimenti di capitale che fecero imprenditori stranieri, come l’inglese. E l’inglese
lasciò il segno. Nella parte centrale del territorio di Villa San Giovanni impiantò una grande
azienda, dai cui molti stabilimenti prese il nome una strada ad essi adiacente, allora la via
principale del paese, «a calata ru ‘ngrisi», la discesa dell’inglese, poi via Garibaldi.
Tutta quella contrada era da tempo il maggior polo manifatturiero dei pochissimi che c’erano
nell’ottocento in tutta la regione. Continuò ad essere tale finché tirò la domanda del prodotto
proveniente anche dall’estero. Quando la domanda cominciò a diminuire dall’inizio del
novecento fino a cessare per la concorrenza di altri prodotti, quel polo di industrie grandi e
piccole scomparve. Restarono grandi edifici vuoti e alti e robusti fumaioli. Le maestranze, i
proprietari e i conduttori di aziende grandi e piccole non seppero innovare, cercando almeno
di scoprire qualche altra attività sostitutiva in cui investire i capitali che avevano realizzato.
Da tempo erano divenuti percettori di rendita, destinatari di ingenti utili derivanti da aziende
molto redditizie, che prosperavano per l’elevata domanda ed erano condotte da maestranze e
manodopera a basso costo in locali e con strumenti impiantati dai loro avi nel settecento e
nell’ottocento. Quando tutto ciò venne meno, alcuni di loro lasciarono il denaro accumulato
nelle banche, molti lo sperperarono in cavalli, carrozze, ville e prostitute e altri comprarono
terre e costruirono imponenti case padronali. Vissero di rendite di giardini e vigneti finché la
manodopera fu abbondante e poco costosa e il basso costo del lavoro rese possibile un
margine di rendita tale da soddisfare gli alti consumi cui si erano abituati. E quando tutto ciò
venne meno dopo i primi decenni del novecento, le rendite si assottigliarono sempre più e loro
non seppero mai neppure tentare di investire le risorse di cui disponevano in nuove attività
produttive. Consumarono quanto avevano nelle loro dimore padronali e inveirono contro la
mala sorte e contro il governo. Molti loro eredi, dei quali alcuni divennero pubblici funzionari
sfogarono il malcontento ereditato dai loro avi contro coloro che riuscivano nell’impresa e
progredivano nella società. […]”.
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Canti
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Parole chiave:
natura, Big Bang, bue, mare, onda, bosco, uomo, Terminillo, potere, libertà
Descrizione:
I canti, in prevalenza di versi endecasillabi e settenari, hanno contenuti molto vari:dal nulla al
cosmo, alla natura, all'uomo e ai suoi pregi e difetti.
Indice:
1. Lievi e grevi
I. La penna
II. Le foglie
III. L’esplosione
IV. La natura e l’uomo
V. L’ultimo confine
VI. Passione
VII. La pazienza
VIII. L’eccesso
IX. Il cuculo
X. L’onda
XI. Miliardi
XII. L’acervo
XII. Il volo
XIV. Il consumo
XV. Il cieco fato
XVI. La struttura
XVII. Il peggio
XVIII. Beni e potere
XIX. La slealtà
XX. L’astuto
XXI. I vinti
XXII. L’avere
XXIII. Natura
XXIV. L’estraneo
XXV. Il pregio
XXVI. Nessuno
XXVII. Il cigno
XXVIII. Cosiffatto
XXIX. Libero
XXX. Il Terminillo
XXXI. Il bosco
XXXII. Cettina, la mia compagna
2. Su potere e libertà
XXXIII. Fede e pensiero
XXXIV. Il privilegio
XXXV. Democrazia
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XXXVI. Potere occulto
XXXVII. Decadenza
XXXVIII. Conquistatori italiani del Novecento
Da “Le foglie”:
“Dal vento mosse vibrano veloci
foglie a miriadi, ch’in su io guardo
con tremanti pupille come voci
di moribondi trafitti da dardo.
Mi danno il senso del perpetuo moto
sul fondo fermo dell’azzurro cielo,
ch’a me appare uguale e immoto,
là dietro quello sfolgorante velo.
[…]”
Da “L’esplosione”:
“Puntini appaiono luminosi
e, presto, di scintillii gioiosi
un manto riempie con la luna
del cielo la volta che più s’imbruna.
Infiniti sono astri lontani,
ch’in me accendono pensieri vani
su l’immensità, sul globo sperduto,
[…]
Un senso di dolore
è in me con torpore,
e cresce la tendenza
a dare consistenza
all’ardir ch’in me tace
quando divien audace.
Intanto, sì vagando,
a me stesso domando:
perché sono io nato
con altri nel creato?
[…]”
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Satire e poemetti
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Parole chiave:
Descrizione:
Su individui e associati e su singolari aspetti del loro carattere e delle loro azioni in seno a
istituzioni, partiti e conventicole.
Indice:
TRA SCILLA E CARIDDI
1. Giudici e imputati
I. Il libero convincimento
II. L’equità universale, specialmente in tribunale
III. Giudice e pittore e leguleio adulatore
IV. Causidico e politicante, del popolo rappresentante
2. scalatori.
Tra logge, partiti, ateneo e foro,
percorso seguirono trionfale,
nella sicula città del peloro,
alcuni anche nella capitale
V. La colpa
VI. Rossastro, professore, consigliere e rettore
VII. Sempre in salita: dal paesello ai più alti siti, tramite consorterie e partiti
VIII. L’affiliato, i suoi congiunti e lor carriere
IX. Enzuccio, professore, avvocato e reggino rinomato
X. Dall’aspromonte al peloro, avvocato e docente più d’altri sapiente
XI. Trimalchione, professore, preside, avvocato, senatore e giudice elevato
da Trinacria a Roma catapultato
XII. Calabrone, preside e professorone
TOGATI, MEDIA E FORO
ALL’OMBRA DEL PELORO
XIII. Il giocatore togato al tresette fortunato
XIV. Legalità
XV. Learco, re provinciale, direttore di giornale
XVI. Prigioniero, del peloritano ateneo in commissioni, tra laureandi, relatori e dissertazioni
Da “Calabrone, preside e professorone”
“Un tale calabrone di cognome
è una specie d’uomo molto strana,
intelligente appena quanto e come
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basta per esser di razza umana.
[…]
placido e uguale come un bove,
asseconda protettori e protetti,
e si fa strada, sì, per ogni dove,
sol badando a divieti e paletti.
[…]
Da “Learco, re provinciale, direttore di giornale”
“Il foglio, che suole dare notizie
in una città e in una regione,
banal permane e colmo di tristizie,
per l’acume del direttor santone.
Influendo su partitini e logge,
questi la fa da signore e padrone,
assume le più convenienti fogge
e abusa del mezzo onde dispone.
[…]”

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  • 1. Francesco Caracciolo www.caracciolofrancesco.it Collana di libri acquistabili direttamente su internet
  • 2. http://www.caracciolofrancesco.it Sommario L’integrazione dell’«arcipelago migratorio» in Occidente ..............................................................................2 Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra .................................................................................4 Mali estremi.....................................................................................................................................................6 La folle corsa...................................................................................................................................................8 Fabio ..............................................................................................................................................................11 Onorata società e società onorata ................................................................................................................14 Banditi baroni e viceré nel regno di Napoli in età moderna .........................................................................20 Banditismo nel Mezzogiorno d’Italia tra Rinascimento e Barocco................................................................23 Cattiva Stella..................................................................................................................................................24 La congiura antispagnola di Tommaso Campanella: delatori e persecutori. ................................................27 Fossa..............................................................................................................................................................28 Canti...............................................................................................................................................................30 Satire e poemetti...........................................................................................................................................32
  • 3. http://www.caracciolofrancesco.it L’integrazione dell’«arcipelago migratorio» in Occidente Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: Arcipelago migratorio, integrazione, multiculturalismo, immigrazione, stranieri, Roma antica, Paese, Italia, Occidente, Stati Uniti d'America, Unione Europea, società occidentale, multietnia, religione, cosmopolitismo, terrorismo, Islam. Indice: Introduzione. I. Progetti e speranze. II. Un esemplare precedente processo di disgregazione. III. Nei secoli seguenti. IV. Conseguenze durature. V. Tra passato e presente. VI. Popolazione e territorio nei paesi occidentali. VII. Timori e dubbi. VIII. Il pericolo. IX. Il pericolo maggiore. X. Integrazione. XI. Quando sarà troppo tardi. Indice dei nomi Indice analitico Retro di copertina: È possibile l’integrazione nella società occidentale di milioni di immigrati della più eterogenea estrazione e provenienza? Di quale integrazione parlano politici, intellettuali e umanitari? Si riferiscono a un’integrazione formale o sostanziale? Si può conseguire una minima integrazione mediante la conoscenza della lingua e delle leggi? Nei paesi occidentali, dalla Francia al Regno Unito, alla Germania, agli Stati Uniti, hanno avuto successo i progetti di integrazione, di assimilazione, l’egualitarismo, il multiculturalismo, il metodo pluralistico angloamericano e il metodo separatista tedesco? In questo libro l’autore risponde a queste e ad altre domande. Da capitolo I Grandi e crescenti difficoltà assillano l’Occidente e la sua civiltà e fanno intravedere un possibile sconvolgimento dell’esistente, tale da distanziare molto l’odierna società occidentale dalle sue tradizioni e dal suo passato. Negli Stati Uniti e in diversi paesi europei incombe il crescente bisogno di ricorrere a milioni di immigrati per tenere alti il ritmo e il livello della crescita economica. E il numeroso afflusso di un’umanità eterogenea proveniente da ogni parte del mondo ha effetti imprevisti e genera situazioni nuove e il conseguente timore per la convivenza e per la sopravvivenza dell’odierno stato di cose. Prima negli Stati Uniti e poi in Europa quell’afflusso ha generato la necessità di difendere e di proteggere la sussistenza della propria identità, delle proprie radici, delle proprie tradizioni e delle proprie istituzioni. Non è stata certo una necessità universalmente avvertita. Anzi con la necessità di difendere l’attuale stato di cose si è accompagnata la contagiosa euforia generata dalla persuasione di vivere un’epoca felice e proficua, toccata dalla fortuna di avere scoperto la globalizzazione: l’epoca della società multietnica fonte di ricchezza, madre di molteplici culture e fucina di energie
  • 4. http://www.caracciolofrancesco.it fisiche e spirituali. E pertanto, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, si è elogiato il nascente modello multietnico. […] Da capitolo III “[…] La società di Roma antica continuò a sopravvivere multietnica e multiculturale, ma non riassunse mai la dignità di popolo. Restò intimamente estranea al significato della frase «senatus populusque romanus», che era stata sacra per il popolo romano dei secoli della Repubblica. Durante l’Impero la società romana visse per forza d’inerzia, senza ideali e senza spinta propulsiva. Le istituzioni e il governo poggiarono sulle solide basi costruite nel passato da un popolo operoso e sostanzialmente coeso e furono difesi non da una società in disfacimento, ma dall’efficienza delle legioni, cioè da una forza militare anch’essa creata e organizzata nel passato. La società romana e italica dei secoli dell’Impero era promiscua, servile, senza nerbo, senza ideali e senza identità e non era in condizioni di difendere le istituzioni e il governo. Quando gli effetti della multietnìa e della prevalenza di immigrati e di loro discendenti si andarono rivelando sempre più evidenti e consolidati in una società senza volto e senza storia, le sorti delle istituzioni e di quel che restava dello stato romano erano segnate. […]”
  • 5. http://www.caracciolofrancesco.it Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: immigrazione Italia, Europa, Stati Uniti, scontro civiltà, sviluppo economico, Occidente, clandestini, stragi, rivolte, Chiesa Cattolica, Islam, dialogo, musulmani, Roma antica, integrazione, multietnia, disoccupazione, terrorismo, reislamizzazione. Indice: Introduzione. I. Crescita economica illimitata. II. Conseguenze. III. Consumismo ed esigenze spirituali e umane. IV. Il profitto per il profitto e la crescita della qualità della vita. V. L’antidoto. VI. Le identità. VII. Reazione incomprensibile. VIII. La colpa degli europei. IX. Integrazione, sconvolgimento e sovrappopolamento. X. Alle origini del ricorso dei musulmani al terrorismo e alle rivolte. XI. Dalla mistificazione all’evidenza. XII. Reislamizzazione e conquista pacifica. XIII. La fine ingloriosa di Roma antica. XIV. Il lontano passato e il presente. XV. La multietnia in America. XVI. L’Occidente multietnico. XVII. La migrazione. XVIII. La corsa sfrenata di alcuni paesi europei. XIX. L’Italia brucia le tappe e si affanna a ricuperare il ritardo. XX. Dalla povertà al benessere. XXI. Un passaggio repentino che fece prendere il delirio. XXII. Indifferenza e ottimismo. XXIII. La prevalente assuefazione. XXIV. Gli immigrati musulmani. Un caso a parte. XXV. Scopi opposti e percorsi diversi. XXVI. Certezza e prudenza dei musulmani in Europa. XXVII. Conquista violenta, occupazione pacifica e illimitata tolleranza degli occupati. XXVIII. Ecclesiastici e politici propendono per la tolleranza e il dialogo. XXIX. Silenzi, sottigliezze bizantine e stragi. XXX. Cause oggettive attribuite a stragi e a rivolte con accurati distinguo. XXXI. Risalire la china Indice dei nomi Indice analitico Retro copertina: La migrazione di innumerevoli individui dai paesi arretrati sta assumendo il carattere di invasione e di silente occupazione dei paesi ricchi, che si fanno invadere e occupare per sostenere la crescita economica. I fatti rivelano che i paesi invasi riescono a conseguire crescita e progresso nell’immediato, ma con conseguenze che preludono a futuri risultati da
  • 6. http://www.caracciolofrancesco.it dovere evitare correggendo la causa che li genera. Per scongiurare quanto gli stessi fatti e l’esperienza di vicende del passato fanno temere, l’autore di questo lavoro indica il rimedio da porre e la via da prendere che non si presenta di facile accesso. Cerca di rendere accettabile la necessità di imboccarla esaminando la situazione di alcuni paesi specialmente europei per indurre a riflettere sugli imprevisti che può riservare il futuro. Da capitolo XXIX Molti politici, mentre fanno a gara per elogiare i pregi e i vantaggi della società multietnica, non si curano proprio di cercare di rispondere al quesito che tacitamente e distrattamente si pongono i cittadini. E non c’è cittadino, non solo in Italia, che non si chieda dove possa andare a sboccare il cammino intrapreso dal proprio paese. Un cammino di cui, del resto, si può intravedere il tracciato se ci si ferma solo un momento a riflettere sulle stragi negli Stati Uniti, in Spagna e nel Regno Unito, sulle rivolte in Francia e sulle minacce all’Italia e ad altri paesi. Nella quasi totalità, i politici italiani non dicono che il numero degli immigrati è destinato ad aumentare e a divenire incontrollabile se si continua a ricorrere al loro apporto per sostenere la crescita economica del paese. Non spiegano che il loro afflusso è inesauribile perché i poveri nel mondo sono miliardi e, finché sapranno che l’Occidente ricco è accessibile e ha bisogno di manodopera, si riverseranno senza interruzione sulle sue spiagge e nelle sue contrade fino ad essere eccessivamente numerosi. Gli stessi politici non prevedono neppure che, a quel punto, il terrorismo non sarà più un mezzo necessario per prevalere, perché il numero degli immigrati cresciuto a sufficienza, oltre a produrre inevitabili conseguenze negative come la nuova criminalità, le stragi e le rivolte, imporrà le proprie scelte e il varo di leggi che riflettano le esigenze dei propri componenti, il loro modo di essere e i precetti della loro religione. Il loro numero costituirà parte notevole del contesto sociale in cui la convivenza sarà forse sopportabile finché le istituzioni saranno in grado di contenerne la prevedibile conflittualità e di attenuare gli effetti della trasformazione, cioè fino a quando non muteranno anch’esse.
  • 7. http://www.caracciolofrancesco.it Mali estremi Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: Consumismo, crescita economica, decrescita, crescita zero, Chiesa Cattolica, religioni monoteiste, impero romano, profitto, benessere spirituale, droga, aberrazione sessuale, violenza giovanile, povertà, solidarietà, Oriente musulmano, Cristianesimo. Indice: Introduzione. I. Il circolo vizioso. II. Effetti della crescita. III. La ricetta del benessere materiale e spirituale. IV. L’erto sentiero. V. Alla scoperta di una causa nascosta. VI. Il mostro invisibile. VII. Crescita economica e progresso umano e civile. VIII. Chi deve fare? IX. Dove sfociano il malcostume e la degenerazione. X. La stretta connessione Retro copertina: Perché nei Paesi avanzati dell’Occidente la popolazione attiva non riesce a sostenere la crescita economica? Perché si ricorre a tanti stranieri della più eterogenea provenienza per sopperire all’inspiegabile carenza di manodopera, creata da disoccupazione fittizia degli autoctoni e da denatalità? Perché politici e prelati raccomandano e predicano l’obbligo dell’accoglienza di nuovi venuti mentre i nativi occidentali mal sopportano la loro presenza e i loro comportamenti? Quali sono le cause dell’insostenibile stato di cose che si è creato, che si aggrava sempre più e che potrebbe sfociare nello sconvolgimento sociale, nel sovrappopolamento di angusti territori, nell’irreparabile trasformazione e nel crollo della società e della civiltà dell’Occidente? Che ruolo hanno gli eccessi, il malcostume e l’aberrazione sessuale? A queste e ad altre domande l’autore risponde in questo libro. Da capitolo III: “[…] sembra che molti politici, molti cronisti e molti prelati che predicano la sobrietà dei gaudenti e la solidarietà verso i derelitti, si siano svegliati all’improvviso all’inizio del duemila da un lungo sonno durato due millenni. Che cosa hanno fatto in passato per sovvenire innumerevoli poveri indigeni, conterranei e connazionali, e per pretendere la solidarietà verso di loro? Che cosa hanno fatto se si esclude qualche forbito discorso di solidale comprensione, qualche formale considerazione compassionevole? Eppure, in quei molti secoli, la miseria era diffusa e la fame si tagliava con il coltello e gli infelici poveri, disgraziati, affamati e ammalati erano numerosissimi e formavano la massima parte della popolazione dei paesi civili, cattolici e cristiani, in cui vivevano e operavano prelati e privilegiati. Per constatare ciò, non è il caso di andare lontano e troppo indietro nel tempo. Che dire della miserabile condizione di innumerevoli individui che, nei paesi della civile Europa, soffrivano la fame e sopportavano le inenarrabili fatiche e i soprusi e le angherie di pochi privilegiati e subivano maltrattamenti, peggio delle bestie, anche nelle
  • 8. http://www.caracciolofrancesco.it carceri? Che dire della persistenza di queste condizioni disumane tra l’indifferenza generale? […]” Da capitolo VI: “[…] Gli adulti non riescono a capire e a spiegare le azioni inconsulte di molti giovani. Non comprendono perché in numero crescente i giovani si drogano, commettono atroci delitti anche contro i loro genitori, reagiscono violentemente ad ogni occasione, fanno la guerriglia dentro e fuori gli stadi, formano la folla di violenti che protestano ad ogni occasione, si uniscono in gruppi armati per uccidere e distruggere in nome di un loro modello di giustizia. Fanno tutto ciò con la rabbia in corpo e con la ferma persuasione di dovere lottare per annientare un nemico che loro identificano nelle istituzioni e nei loro rappresentanti. Nessuno può dire se tanti giovani, in numero crescente, ricorrono alla violenza per sfogare la propria insoddisfazione e la propria inquietudine oppure per combattere, con l’unico mezzo che hanno, un nemico molto più grande di loro oppure per evadere da una propria intima sofferenza, cioè da uno stato patologico in cui sono. […] A questo punto si dovrebbe cercare al di là delle cause che appaiono prossime ed immediate; si dovrebbe guardare al di là delle apparenze nel tentativo di scoprire la ragione di quanto avviene, di quanto è misterioso e resta incomprensibile. Si dovrebbe fare questo per cercare di capire come sia stato possibile che, in pochi decenni o in qualche generazione, i genitori abbiano cessato di esercitare ogni influenza sui figli e i maestri la propria autorità sugli scolari. Come sia stato possibile che in così poco tempo il comportamento di molti giovani sia divenuto inspiegabile e spesso mostruoso […]. Solo cercando in profondità e partendo da certi presupposti si può scoprire la necessità di guardare altrove. Solo cercando nel recondito modo di vivere e nelle abitudini dei singoli, si può scoprire l’origine della loro malattia. È un compito assai difficile, molto più difficile di quanto sia quello di indicare la responsabilità della famiglia, della scuola o del bisogno […]”
  • 9. http://www.caracciolofrancesco.it La folle corsa Acquista: da ILMIOLIBRO.IT , LULU.COM Parole chiave: Schengen, Dublino, immigrati, profughi, sbarchi migranti, Libia, Africa, Mare nostrum, Triton, aiuti umanitari, respingimenti, accoglienza migranti, blocco navale, diritto d'asilo, terrorismo, mediterraneo, Italia, Unione Europea, Maastricht, Amsterdam Indice: 1. Accadde in Italia nel secondo decennio del duemila. 2. Precedenti esperienze nella Comunità europea. 3. L’adesione dell’Italia incapace di difendersi. 4. Da Maastricht ad Amsterdam. 5. La seconda legge sull’immigrazione. 6. La terza legge sull’immigrazione crescente. 7. Il capestro Dublino. 8. La folle corsa. 9. L’immutato percorso seguito dall’Italia, Dublino III. 10. Mare Nostrum, il Mediterraneo e l’Unione Europea. 11. Il reato d’immigrazione clandestina. 12. L’Italia, facile approdo di migranti, continua ad invocare l’intervento dell’Unione. 13. Nell’estate 2014 opinioni, polemiche, progetti e resistenze. 14. Triton, il difficile part. 15. In quarant’anni. 16. Dal Mediterraneo. 17. Verso il peggio a forza di sofismi. 18. Terrorismo e immigrazione. 19. Migranti e profughi. 20. Diritto d’asilo e mutate condizioni . 21. Allarme e appelli alla calma. Intervento militare o azione diplomatica? 22. Accoglienza ad ogni costo. 23. Blocco navale e respingimenti. 24. La difesa proibita. Indice dei nomi Retro copertina: Vuoi sapere che folle corsa ha fatto l'Italia accogliendo e ospitando fino a riempire le sue città e le sue contrade di immigrati di ogni provenienza, di diverse etnie e di decine di fedi religiose (20 a Milano)? Leggendo questo libro potrai scoprire che cosa si sarebbe potuto e dovuto fare e si potrebbe fare e non si è fatto e si è continuato a non fare. Potrai pure scoprire con quale leggerezza e superficialità e indifferenza si è giunti quasi al collasso. Da testo: "[...] Era chiaro che l’Italia doveva salvarsi, se potesse ancora farlo. Non potendo contare sull’apporto di altri Stati, dovrebbe agire da sola mobilitando tutte le sue forze e rompere i lacci giuridici che si era legati al collo. Per fermare la deriva e impedire la totale invasione e non potendo intervenire usando la forza per attaccare, l'Italia dovrebbe bloccare ogni accesso,
  • 10. http://www.caracciolofrancesco.it respingere chiunque dal suo territorio e rinviare ai libici le persone che, bontà loro, spingevano gratuitamente verso la meta agognata [...]" Da capitolo 1 “Migranti continuavano a giungere in Italia per mare, per terra e per aria. Molti di loro attraversavano le frontiere con regolare passaporto, altri entravano per vie illegali. In massima parte non facevano ritorno. Il loro quasi ininterrotto afflusso per via mare si era intensificato specialmente nel corso del 2013 e ancor più del 2014 e del 2015. Barche, barconi, gommoni e talvolta navi portavano dall’Africa migranti di ogni provenienza, nazionalità ed etnìa. Giungevano in Italia sovvenuti in mare, aiutati e accompagnati da navi della Marina italiana. Sbarcavano sulle sue coste meridionali e insulari, affollavano centri di assistenza, più o meno accoglienti ma insufficienti e sovraccarichi. Molti sfuggivano al controllo e si disperdevano in contrade e città. Formavano un esercito, una massa di gente di cui non si conosceva il numero e, tanto meno, la natura e la condotta. Molti si facevano sfruttare da speculatori senza scrupoli per sopravvivere, molti altri si davano al malaffare ed erano autori di incalcolabili danni alla società. In gran numero clandestini vagavano, bivaccavano, delinquevano, lavoravano in nero e si confondevano con i circa 6 milioni di immigrati regolari in parte cittadini italiani e in parte stabilizzati in Italia, pari a circa l’8 % della popolazione. La presenza nel Paese di tanti immigrati era eccessiva ed era divenuta insopportabile. A differenza di altri Stati dell’Unione Europea che avevano avuto e avevano bisogno di importare manodopera, l’Italia aveva avuto e aveva esuberanza di forza lavoro, che nel 2014 in parte restava disoccupata e in parte alimentava un nutrito flusso di suoi cittadini autoctoni emigranti specialmente verso la Germania. Nel 2013 era emigrato un italiano su quattro fra i 35 e i 49 anni di età (Rapporto AIRE, Anagrafe degli Italiani residenti all’estero). Le risorse dello Stato, che era stato sempre tollerante verso i nuovi venuti, erano al lumicino. Nell’estate 2014 esponenti del governo lamentavano che le spese destinate al mantenimento dell’operazione Mare Nostrum, che dall’ottobre 2013 aveva avuto il compito di soccorrere i migranti nel Mediterraneo e farli giungere in Italia, erano insostenibili. E secondo la stima fatta nel settembre 2014 e confermata dal ministro dell’Economia, le spese per l’operazione marittima insieme con quelle per il soggiorno dei migranti in Italia erano state circa un miliardo di euro in dodici mesi. Ad esse si dovevano aggiungere quelle effettuate per riparare i danni non quantificabili che la conflittualità generata dalla presenza e dalla condotta di tanti nuovi venuti provocava alla comunità nazionale e allo Stato in termini di contrasti, di illegalità e di sconvolgimenti sedati con il costoso impiego della forza pubblica Erano spese eccessive per un Paese oberato e con un’economia in crisi. E si poteva dire che fossero insopportabili, anche se taluni altruisti sostenevano che un Paese civile come l’Italia dovrebbe vergognarsi se desse importanza a quelle spese destinate a sovvenire bisognosi. In quei frangenti in cui era evidente l’impossibilità di continuare a far fronte ad altri impegni e ad altre spese, l’afflusso di migranti continuava e secondo alcune previsioni sarebbe cresciuto. Stando a precise informazioni dei servizi segreti fornite nel settembre 2014, solo in Libia quasi un milione di persone sarebbero pronte a salpare per l’Italia. E già nel mese di aprile 2014 il funzionario del Viminale Pinto, in un’audizione al parlamento, aveva dato l’allarme indicando la saturazione del sistema di accoglienza in Italia e la presenza di 800.000 africani e asiatici sulle coste libiche pronti a partire per l’Italia. Queste sue indicazioni, definite allarmistiche dal Premier italiano, non influirono sull’indifferenza generale. L’opinione pubblica era assuefatta al progredire della situazione di emergenza. Il numero degli immigrati, in continua crescita da tre decenni, era andato aumentando ancor più negli ultimi due anni.
  • 11. http://www.caracciolofrancesco.it Mentre era cresciuto dell’8,3 %, di 395.000 persone, nel 2013 rispetto al 2012 (Eurostat; Istat.), e ancor più nel 2014 rispetto al 2013, erano andate decrescendo le risorse e la capienza del Paese. Il numero dei suoi abitanti, 61 milioni circa, era eccessivo, e alto era il numero dei suoi disoccupati, il 12,3% della popolazione nel giugno 2014 (Istat, 31 giugno 2014), mentre era in media il 10,8% nei 28 Stati dell’Unione Europea (Eurostat). Con il crescente numero degli immigrati si accompagnarono e crebbero disadattamento di molti di loro, sfruttamento, violenze e conflitto sociale.”
  • 12. http://www.caracciolofrancesco.it Fabio Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: società, istituzioni, costituzione, leggi, dispotismo, libertà, felicità, destino dell'uomo, Tropea, Catanzaro, Reggio Calabria, Gerace, Napoli, Tommaso Campanella, rivolta antispagnola, Turchi, amore, amicizia, Fabio Furci, Maurizio de Rinaldis. Indice: 1 . A Guardavalle Fabio Furci si incontra con gli ospiti il 4 luglio 1599. 2 . La cena in casa di Lucio. L’iniziazione. 3. La rivelazione del progetto. La congiura, L’adesione e l’impegno di Fabio. 4. Il racconto di Maurizio de Rinaldis: Sinan Bassà, capitano della flotta turca, le sue gesta, il suo impegno. La fine della cena e dell’incontro. 5. Il congedo e la partenza di Fabio da Guardavalle. L’avventuroso viaggio alla volta di Tropea attraverso le Serre. 6. La riunione con due amici di Tropea nella casa di campagna di Fabio. La loro adesione. 7. Un’impresa giovanile di Fabio all’origine della sua latitanza. 8. Fermi proponimenti di fare proseliti. 9. L’incontro con Livia. 10. Il grande amore: ostacoli e proibizioni. 11. Il gruppo cresce di numero. Difficoltà di acquisire altri partecipanti al progetto. Considerazione sulla società. 12. Gli amici si riuniscono più volte nei mesi di agosto e di settembre. Improvviso arrivo di Tonio Imbesi dal versante orientale della regione. Notizia del fallimento della congiura per la delazione di due congiurati. 13. Progetti sul da fare. 14. Fabio a cena con i suoi familiari nella casa paterna. 15. L’ansia e le domande di Livia. L’arrivo di Orazio Paparatto, incalzato dagli sgherri del marchese Spinelli. Rifugio dei sei amici nel convento di San Francesco. 16. Il convento cinto d’assedio. I rifiuti del padre priore di consegnare i rifugiati agli assedianti. La curia vescovile difende il diritto d’asilo. Accordo del vescovo con i persecutori. Consegna dei rifugiati. 17. Gli sgherri non tengono fede all’impegno preso con il vescovo. Portano via i sei giovani, sottraendoli al tribunale ecclesiastico. Delusione e malcontento in curia. Dolore e rabbia dell’abate Stefano. 18. Dolore e disperazione di Livia. I prigionieri a Monteleone e poi nel castello di Gerace. Carcere e processo sommario. 19. In carcere: le riflessioni di Fabio. 20. Partenza da Gerace, viaggio e arrivo nella spiaggia di Pizzo. Imbarco sulle navi di centinaia di prigionieri là convenuti. Incontro con Maurizio. Riflessioni di Fabio, incatenato con molti compagni nella stiva di una delle navi. 21. Fabio e Maurizio discutono del fallimento della congiura e della loro mala sorte. 22. Scoperte fatte da Maurizio nei mesi di prigionia. Considerazioni sulla società, sull’efficacia delle riforme, sulle leggi, sulla natura umana. 23. Ultime riflessioni di Fabio ancora incatenato nella stiva della nave. Arrivo della piccola flotta nel golfo di Napoli. Ingresso delle navi nel porto. Esecuzione delle condanne. Morte di Fabio, di Maurizio e di altri giovani congiurati. Indice
  • 13. http://www.caracciolofrancesco.it Retro copertina: “- Vedi, Fabio, — continuò a dire Maurizio — quanto ho cercato di spiegarti si può dire in poche parole [...]: «C'è una forza nella vita umana che, oppressa, si contrae ma resiste e si rafforza; se è lasciata libera, si snatura e deperisce.» [...] se non si eccede da una parte, si eccede dall'altra [ed] è difficile evitare l'eccesso e mantenere l'equilibrio con il giusto mezzo. [...] l'uomo non soffre solo perché subisce l'oppressione della tirannia di un [despota] o di più o meno occulti prevaricatori, ma anche perché egli stesso può farsi vittima del proprio libertinaggio.” Da capitolo 9 “[…] I due giovani si erano conosciuti per caso e, poco tempo dopo, avevano iniziato un rapporto non mai interrotto. La frequenza dei loro incontri era il segno di un legame intimo che non dava adito a dubbi o a sospetti. Si erano incontrati due anni prima. La ragazza aveva allora quattordici anni. In un pomeriggio del mese di gennaio percorreva la viuzza che passava davanti alla casa di campagna di Fabio. Tornava al paese dalla campagna. Pioveva a dirotto. Un ammasso cupo di nubi nel cielo sprigionava continue saette e faceva presagire l’inasprirsi del temporale. Il vento sbatteva la pioggia obliqua e la ragazza riusciva a camminare a stento. Vedeva appena davanti a sé la striscia bianca della via che stava percorrendo. Era tutta inzuppata. La maglia che le copriva il busto, la lunga gonna di lana e la mantellina pure di lana, che dalle spalle aveva trasferito sul capo, grondavano acqua. Camminava protesa in avanti per vincere la forza del vento. Non si accorse dell’arrivo in senso inverso di un cavallo e di un cavaliere. Era Fabio che si recava nella casa di campagna. Da una certa distanza il giovane vide la ragazza grondante acqua e malconcia e, quando le fu vicino, per farsi udire in mezzo al frastuono di quella bufera, le disse forte che l’avrebbe presa in groppa. Ella alzò il capo, vide il giovane che le gridava dall’alto del cavallo, intuì l’offerta che le faceva e annuì con un cenno. Si fece quindi aiutare a salire su, davanti a lui. Il paese era lontano e la ragazza aveva subito bisogno di soccorso. Fabio decise di percorrere il miglio di distanza che lo separava dalla propria casa di campagna e diresse il cavallo in quella direzione. Quando vi giunsero Fabio smontò da cavallo, aiutò la ragazza a scendere e la fece entrare in casa. Le offrì subito una casacca e una tunica che lui indossava in certe occasioni. Indicò alla ragazza presa dal freddo una stanzetta attigua allo stanzone in cui erano e le disse che poteva andare là a cambiarsi gli indumenti inzuppati. Accese quindi il fuoco nel camino. Era urgente vincere il freddo che si faceva sentire di più con l’acqua addosso. Occorreva pure asciugare i propri vestiti e le vesti che la ragazza avrebbe dismesso. Quando lei riapparve Fabio notò la straordinaria bellezza della fanciulla. I panni provvisori che aveva indossato e i capelli inzuppati e cadenti sulle spalle la rendevano proprio attraente. Fabio versò vino in due calici e ne offrì uno a lei, che aveva cominciato ad asciugarsi i capelli. […]” Da capitolo 21 “[…] – Vedi, Fabio, il potere rivela a tutti i livelli e con frequenza la propria arbitraria condotta. Se tu offendi o solo contrasti, pure senza volerlo, un individuo potente, devi aspettarti la sua vendetta. Egli è temibile, anche se è persona che non vale molto, e diviene infallibile se è affiliato a una setta, se è a capo di una fazione, se è un importante cliente che
  • 14. http://www.caracciolofrancesco.it può contare sulla protezione o un adepto che può fare affidamento sull’apporto di una congrega organizzata. Caro Fabio, tu devi ancor più temere la sua dura reazione se lo disturbi o se solo lo osservi mentre sta con la testa dentro la greppia, perché in tal caso egli farà in modo che tu sia punito a tutti i costi; e che tu lo sia più severamente di come si punisce un delinquente che danneggia il prossimo e la convivenza civile. Il potente che tu hai urtato mobilita la consorteria o la conventicola cui appartiene, corrompe il magistrato e il pubblico ufficiale, fa travisare la tua condotta e fa inventare prove inesistenti. Ottiene così la tua condanna, mentre resta indifferente o si mostra indulgente verso i reati di un delinquente; e, anzi, non di rado, giunge a farli minimizzare e a farne trascurare la gravità se l’opera di quel delinquente gli può essere utile. Sappi dunque – continuò Maurizio – che per non incorrere in gravi punizioni non è tanto importante essere innocente, quanto invece è indispensabile non avere urtato un individuo potente, un membro di consorteria, un affiliato a conventicole, specie se è intento ad accudire ai propri loschi affari per conservare il potere. E devi pure sapere che spesso, per questo viziato comportamento umano, soccombono i migliori. Periscono coloro che danno un effettivo contributo al progresso civile ma sono d’intralcio alle mene del parassita o del superbo e dell’arrogante. Muoiono cioè quanti sono d’ostacolo a chi giudica e comanda, a chi infligge la punizione restando nell’occulto e manovrando fili che non appaiono. […]”
  • 15. http://www.caracciolofrancesco.it Onorata società e società onorata Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: Camorra, mafia, ‘ndrangheta, sacra corona unita, garduña, setta segreta, associazione fuorilegge, criminalità organizzata, Cervantes, società civile, istituzioni, colletti bianchi, privilegi, magistratura, nepotismo, corruzione, università, massoneria. Indice dell’edizione integrale: I. ONORATA SOCIETÀ Introduzione I. La garduña II. Dalla garduña all’onorata società III. Arbitrio e reazione. Banditismo e criminalità organizzata IV. Camorra, mafia, ‘ndrangheta. Gli incunaboli V. Scopi, mezzi e codice d’onore dell’associazione mafiosa VI. Mafia e feudo VII. Prima e dopo l’eversione della feudalità VIII. Nella società borghese IX. Il genitore inanimato X. Alla ricerca delle origini XI. Prime tracce di misfatti XII. L’associazione mafiosa si adegua alle opportunità XIII. La mafia siciliana prima a correre XIV. La camorra e la ‘ndrangheta emulano la mafia XV. La ‘ndrangheta fa il sorpasso XVI. Mafia vecchia e mafia nuova XVII. La cosca, occulto nucleo vitale di un organismo mostruoso XVIII. Mafia, capitale e impresa XIX. Capitalisti e capitalisti mafiosi XX. Imprenditori e imprenditori mafiosi XXI. Mafia e ceti sociali XXII. Strumento dei ceti dominanti o dei diseredati? XXIII. Mafia e potere XXIV. Condizioni oggettive e condizioni soggettive II. SOCIETÀ ONORATA XXV. Gli altri XXVI. Mentalità diffusa e sopraffazione mascherata XXVII. Sopraffattori e sopraffatti XXVIII. Settari più o meno noti XXIX. I non violenti XXX. L’alterità pacifica e intransigente XXXI. Prevaricazione e reazione nel passato e nel presente XXXII. Duplice condotta arbitraria. Comune derivazione. XXXIII. Colletti bianchi e coppole storte XXXIV. La parte sana e la parte malata del corpo sociale XXXV. Chi generò Caino? XXXVI. Il duplice obiettivo
  • 16. http://www.caracciolofrancesco.it INDICI Indice dei nomi Indice analitico Indice del volume Indice dell’edizione ridotta: ONORATA SOCIETÀ Introduzione I. La garduña. II. Dalla garduña alla camorra III. Camorra, mafia e ‘ndrangheta. Gli incunaboli IV. Scopi, mezzi e codice d’onore dell’associazione mafiosa. V. Alla ricerca delle origini. VI. La mafia siciliana prima a correre VII. La camorra e la ‘ndrangheta emulano la mafia. VIII. La ‘ndrangheta fa il sorpasso. IX. Mafia vecchia e mafia nuova. X. La cosca, occulto nucleo vitale di un organismo mostruoso. XI. Mafia e potere SOCIETÀ ONORATA XII. Mentalità diffusa e sopraffazione mascherata. XIII. Settari più o meno noti. XIV. L’alterità pacifica e intransigente. XV. Duplice condotta arbitraria. Comune derivazione. XVI. La parte sana e la parte malata del corpo sociale. XVII. Chi generò Caino? XVIII. Il duplice obiettivo Indice del volume Retro copertina: “L'associazione mafiosa è perseguita e talvolta duramente colpita, ma continua a sussistere, a resistere e a reclutare affiliati. Qual è la causa della sua vitalità e della sua capacità di resistenza e di aggressività? È stato insufficiente o male indirizzato lo sforzo fatto dalle istituzioni per debellarla? Per trovare la risposta a queste e ad altre domande del genere l'autore ha esaminato le origini, la crescita, la costituzione e il carattere dell'associazione fuorilegge e, non avendo trovato esaurienti spiegazioni, ha scavato in profondità, al di là di quel che di solito si osserva. Ha trovato nella società civile la fonte del reclutamento di tanti affiliati e la causa del radicamento di un'associazione tanto perniciosa, della sua vitalità e della sua capacità di reclutare e di sussistere nonostante tanti ostacoli e tanta persecuzione.” Dal testo
  • 17. http://www.caracciolofrancesco.it […] Nel passato la criminalità organizzata fu sempre una minaccia. Specie in alcuni anni della seconda metà del novecento, parve avere la meglio sulle istituzioni. I suoi traffici illeciti nazionali e internazionali aumentavano e i suoi crimini non avevano limiti. Sembrava che con la violenza si fosse appropriata del territorio e del controllo di ogni attività. Con le sue imprevedibili scorribande colpiva eminenti rappresentanti delle istituzioni, illustri tutori della legge e fedeli servitori dello Stato. I suoi rapporti illeciti coinvolgevano individui e gruppi di ogni estrazione e partiti di ogni orientamento. E in quegli anni prevaleva la convinzione che si fosse giunti al crepuscolo delle istituzioni, dello stato di diritto, delle leggi e della giustizia. È difficile credere che il pericolo che incombeva allora sulle istituzioni e sulla società fosse minore o uguale a quello che giunse poi, nel primo decennio del duemila, dalle locali violenze della camorra e dagli episodici delitti e dai traffici organizzati della ‘ndrangheta. Eppure nessuno allora fece delle singole stragi o dei singoli episodi di violenza che esplodevano qua e là l’oggetto di un libro apocalittico. Quei fatti criminosi non produssero allora tanta meraviglia quanta ne produssero altri misfatti alcuni decenni dopo. Come se le violenze della camorra nel Napoletano fossero novità assolute dei primi anni del duemila, eventi inauditi mai accaduti, imprevisti e imprevedibili, e non fossero un saggio di altri numerosi e più aberranti fatti criminosi, ben più organizzati, temibili e pericolosi, commessi prima. Come se specie nella seconda metà del novecento non ci fosse stato in molta parte del Mezzogiorno un permanente clima di guerra; un crescente conflitto tra mafia e istituzioni, in cui caddero illustri e coraggiosi magistrati, giudici e numerosi servitori dello Stato; in cui la complicità e la connivenza tra mafia e rappresentanti dei poteri pubblici erano occulti ma consueti e parve vacillare la certezza del diritto e la fiducia nelle istituzioni. La criminalità organizzata è una conoscenza di vecchia data e la società e le istituzioni non hanno bisogno di conoscere altri suoi crimini. Della descrizione di quei suoi crimini sono colmi innumerevoli volumi. Molti autori e molti inquirenti se ne sono occupati ogni volta che in qualche luogo o in qualche zona o città si sono verificati fatti criminosi. Nel primo decennio del duemila l’attenzione si volse specialmente a sporadici crimini commessi da individui indisciplinati e feroci componenti di alcuni clan della camorra. Pertanto mi è parso superfluo occuparsi ancora una volta di che cosa fanno le associazioni criminali presenti nel Mezzogiorno. Non ho ritenuto importante raccontare che la criminalità organizzata è in combutta e in complicità con amministratori pubblici, con politici e con imprenditori. Ho pure fatto a meno di spiegare che la malavita nostrana ricorre al reclutamento di delinquenti stranieri e insegna loro lo sperimentato modo di agire per vivere illecitamente seminando morte e distruggendo quel che resta di un paese in dissoluzione. In realtà è assurdo credere che si possa conoscere e combattere la criminalità organizzata rievocando all’infinito i suoi crimini già da tempo conosciuti anche nei particolari. Al contrario, è fondamentale scoprire le cause che l’hanno fatta esistere e sussistere e che la fanno continuare a delinquere e a insegnare a delinquere. E questa necessità mi ha indotto a […].” Da capitolo IV edizione ridotta, capitolo V edizione integrale È probabile che assai presto l’associazione abbia avuto nelle sue file affiliati di riguardo, baroni, nobili cittadini e ricchi proprietari. Dapprima si sarà trattato di casi isolati, che si fecero sempre più frequenti e che divennero alquanto numerosi nel corso dell’ottocento. Dopo l’eversione della feudalità, attuata nel 1806 nel Mezzogiorno e nel 1812 in Sicilia, la giustizia in gran parte non fu più amministrata dai feudatari e dai loro ufficiali e giudici, ma da burocrati e da magistrati regi, che estesero a tutti gli ambiti il loro potere giurisdizionale, fino allora limitato a un’esigua parte del territorio e agli ultimi e più elevati gradi di giudizio. Il barone non fu più possessore di uno o più feudi, cioè titolare di un istituto di diritto pubblico.
  • 18. http://www.caracciolofrancesco.it Pertanto non esercitò più ufficialmente il potere locale. Perse l’autorità che si era fino allora accompagnata con il ruolo ufficiale che aveva svolto. Non influì più con il peso della sua funzione sulla gestione dei suoi possessi e dei suoi beni, che egli aveva in parte fino allora concessi in affitto, quasi sempre in modeste quote. Non ebbe più uomini armati e bravi al suo servizio, che in veste legale e illegale avevano difeso sé e i suoi averi. Dopo l’eversione della feudalità, egli affittava in grandi dimensioni beni e terre di cui era proprietario a pochi individui che avevano i mezzi per gestirli in proprio. Di quei beni e di quelle terre ne facevano richiesta elementi del ceto benestante, in parte ex suoi affittuari o ex suoi fattori arricchiti, che avevano acquisito una solida posizione sociale ed esercitavano autorità sulla popolazione e sui contadini. Non era sorprendente che molti o pochi di quei benestanti e grandi affittuari fossero nelle file dell’associazione e si giovassero del suo ausilio. E si può credere che, prima di loro, altri benestanti e affittuari si fossero affiliati alla setta segreta. Non è peregrino sostenere che, nel tempo e un po’ per volta, nell’associazione si introdussero elementi che ne mutarono l’indole e la fisionomia. E che per queste acquisizioni la setta andò smarrendo parte dell’antica severità e della segretezza, mentre conservò più a lungo il formale cerimoniale, i segreti riti e i vecchi simboli. Considerando il carattere che ha assunto tra la seconda metà del novecento e i primi anni del duemila, si può dire che la setta è mutata profondamente in circa due secoli, cioè da quando nei primi anni dell’ottocento si sono verificate le sue prime manifestazioni. La sua fedeltà alla tradizione e il suo rigore originario andarono diminuendo, mentre andò rivelando la sua presenza e specialmente ogni volta che dovette integrarsi nei profondi mutamenti della società civile. Da strumento di difesa la setta divenne lentamente strumento di partecipazione attiva agli affari, ai soprusi dei potenti e ai vantaggi derivanti dall’esercizio del potere. Si può dunque dire che il cambiamento del carattere dell’associazione non fu una novità degli ultimi decenni del novecento. Il cambiamento avvenne nel tempo, parecchie volte. E ogni volta si verificò un’evidente alterazione del costume e si attenuò il rigore originario; e tutto ciò avvenne ogni volta che aumentò la partecipazione della setta all’attiva realizzazione di lucro e di concreti vantaggi, conseguiti con la stessa violenza che era stata usata prima a fine di difesa. Fu poi naturale che, in un’associazione frantumata in migliaia di cosche, il codice d’onore e le norme da esso prescritte […].” Da capitolo XVII (edizione ridotta), da capitolo XXXV (edizione integrale) “[…] In realtà quel cambiamento dell’associazione mafiosa non solo era stato indicato da alcuni decenni, ma non aveva nulla di sorprendente. Era un ennesimo adeguamento dell’associazione mafiosa alle condizioni dell’economia, della società e delle istituzioni. E si poteva considerare parte della trasformazione della società civile, di una trasformazione non rara e antica quanto il mondo. Parte cioè di una trasformazione determinata dal trasferimento di ricchezza realizzata con mezzi illeciti nel circolo di un’economia del tutto legale; di una trasformazione determinata dal mutamento di artefici di quella ricchezza illecita in rispettabili capitalisti e imprenditori. E si può rinvenire un significativo precedente di questo mutamento senza andare troppo lontano nel passato. Nel decimo e nell’undicesimo secolo della nostra era, il capitale che proveniva dal malaffare, dal contrabbando, dalla pirateria contribuì notevolmente a trasformare l’economia chiusa e prevalentemente di autoconsumo, di scambi in natura e con scarso impiego di moneta, in un’economia aperta, di rapporti commerciali e finanziari. I detentori del capitale realizzato con mezzi illeciti e violenti divennero allora conduttori di traffici e autori di investimenti del tutto legittimi, capitalisti e ricchi proprietari rispettabili e legalmente inseriti nella società feudale in disfacimento e attivi promotori del rinnovamento
  • 19. http://www.caracciolofrancesco.it delle sue istituzioni. Da fuorilegge, pirati e contrabbandieri divennero cittadini onorati, borghesi, fautori di riforme progressiste. Fu questo un precedente esemplare, che può essere indicativo, mutatis mutandis, del quieto mutamento di status che ebbero sempre, prima e dopo quell’epoca, capitali illeciti e capitalisti fuorilegge. Non si vede dunque che novità sia e che sorpresa possa destare la trasformazione dei mafiosi arricchiti in rispettabili borghesi. Certo si può temere che i mafiosi arricchiti e divenuti borghesi continuino a comportarsi come affiliati all’associazione e a usare la violenza per continuare a condurre i propri affari e a esercitare i propri traffici. Si può ritenere che la mafia, divenuta borghesia, continui a fare in seno alle istituzioni, sotto le ali delle leggi e sotto gli occhi dei tutori dell’ordine, quanto fece sempre. Ma ciò che si teme e si sostiene con tanta certezza, ha poco riscontro nella realtà. I mafiosi che si inserissero nelle istituzioni e nella società civile impiegando alla luce del sole i loro capitali accumulati, non sarebbero più mafiosi, affiliati all’associazione fuorilegge, ma sarebbero borghesi e si comporterebbero come tali. Non avrebbero più necessità di ricorrere alla violenza per arricchirsi, ma opererebbero nella società civile, nel rispetto formale della legalità Si comporterebbero come tanti altri borghesi. E come i borghesi che, al loro nascere nel passato, dismisero di fare i pirati, di darsi al contrabbando e di svolgere attività illecite e furilegge, così i mafiosi, divenuti borghesi, smetterebbero di essere affiliati all’associazione e sarebbero legittimi, attivi e produttivi componenti della società civile. Non è dunque ai mafiosi divenuti borghesi che si deve guardare. Cercare di capire questa loro trasformazione o ostacolarli nel loro nuovo stato comporta uno sforzo che si può ritenere inutile. Quel che bisogna capire e impedire è a monte; è ciò che rende possibile l’esistenza di tanti fuorilegge e la persistenza delle loro azioni violente e del loro arricchimento. Ha dunque poca importanza sapere che gli affiliati all’associazione mafiosa si arricchiscono e si imborghesiscono; che alcuni di loro sono stati presenti in importanti logge massoniche; che l’associazione talvolta eseguì il mandato di servizi segreti deviati, agenti in ossequio alle direttive di eminenti politici; che, nella sua occulta funzione di sicaria, assassinò integerrimi magistrati non allineati e valorosi membri delle forze dell’ordine; che mafia e mafiosi furono complici di politici e di amministratori e influenzarono e spesso guidarono il potere locale e nazionale mediante il controllo di parte notevole del consenso elettorale. Tutti ne furono e ne sono a conoscenza e, nonostante ciò, non è servito a nulla. Anzi la gente si è stancata di sentire ripetere che l’associazione mafiosa condiziona il potere politico ed economico, controlla parte notevole degli elettori e, per conseguenza, degli eletti a tutti i livelli e determina molte loro deliberazioni. Quel che non si riesce a capire e a spiegare è la causa di tutto ciò. Ovvero per quale arcano mistero l’associazione mafiosa poté fare, fece e continua a fare tutto questo, nonostante le disquisizioni sul suo conto e i provvedimenti repressivi. Ed è quello che si deve capire, per scoprire il punto vulnerabile e colpire a morte. Ed è quello che si è cercato di scoprire in questo libro. La conclusione cui si è giunti rivela l’esistenza di un mostro indefinibile, subdolo, sfuggente e difficilmente perseguibile. Un mostro assai diverso da quello che fu finora raffigurato e che si cercò di abbattere. Il mostro che finora poté fare, fece e continua a fare tanti incalcolabili danni e che uscì sempre pressoché indenne da ogni colpo apparentemente mortale, non è un’entità astratta, una generica e fantomatica associazione che cambia pelle, che si trasforma, che gestisce i propri affari direttamente o tramite mediatori. Non è un’associazione che, qua e là, si rivela più o meno centralizzata e che si indentifica con una cupola o con alcuni capi più o meno primule rosse. È al contrario un gran numero di cellule, di cosche o famiglie, di ogni dimensione, presenti in centri abitati e in rioni di grandi città. È un insieme di cosche autonome e autogestite da affiliati convinti di potere e di dovere; e soprattutto di avere il monopolio del malaffare da cui trarre lucro e di dovere imporre, in contrasto con lo Stato, il
  • 20. http://www.caracciolofrancesco.it proprio arbitrario diritto di condizionare e controllare quanto avviene sul territorio che ritengono di loro competenza. È questo il mostro dalle mille vite da colpire e da annientare. E non si potrà mai colpire a morte e annientare se la repressione si volge qua e là, dove di volta in volta si manifestano gli eccessi del crimine e del malaffare. Non si deve […]”
  • 21. http://www.caracciolofrancesco.it Banditi baroni e viceré nel regno di Napoli in età moderna Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM Parole chiave: Carlo V, viceré di Napoli, Pietro di Toledo, Sanseverino, marchese Carrafa, Pacheco, Alcalà, Granvelle, Alessandrino, conte di Miranda, Mondejar, Marco Berardi, Marco Sciarra, Olivares, conte di Lemos, Ossuna, Monterrey, duca di Medina, Oñate, Castrillo Indice: Abbreviazioni Prefazione Introduzione 1. Prima e dopo la perdita dell’indipendenza 2. Il crescente malessere 3. Il governo forte 4. Le prime contraddizioni 5. Provvedimenti drastici e recrudescenza del banditismo 6. L’ostacolo ai buoni propositi 7. Il persistente rigore 8. Le continue contraddizioni. Dall’Alcalà all’Olivares. 9. Le grandi bande 10. L’ultima grande banda 11. Comitive di fuorilegge 12. Formazione ed estrazione sociale 13. Fazioni, bande e banditi 14. Il diritto di asilo 15. Baroni e banditi 16. Ribellione e repressione dal Toledo al Mondejar. 17. Inasprimento della repressione 18. Nuova tattica repressiva 19. Il rimedio peggiore del male 20. Regie udienze, uditori e ufficiali 21. Dissesto finanziario, debito pubblico e ripercussioni sociali. 22. Esigenze contrastanti 23. La calma apparente 24. Malcostume e abusi del clero nei primi decenni del seicento. 25. Disfunzioni degli uffici e arbìtri degli ufficiali 26. Alienazione di diritti, uffici e prerogative ai baroni 27. Persistente alienazione dei mezzi del potere ai baroni 28. Banditi e congiure 29. Crescente sconvolgimento 30. Le tacite rinunce dei viceré dal terzo decennio del seicento 31. Gli estremi limiti del dissesto e delle difficoltà del governo 32. Rivolte, repressione, congiure e banditi 33. Dopo la rivolta del 1647 34. Persistente disfunzione e crescente corruzione 35. Aumento della ricchezza, degli arbìtri e del potere effettivo dei baroni 36. Baroni, popolo e governo nella capitale 37. Banditi, baroni, congiure e viceré
  • 22. http://www.caracciolofrancesco.it 38. L’opposto processo 39. Pretese del clero e arbìtri e violenze nei feudi 40. Aumento della ricchezza occulta e delle sue fonti 41. La mutata efficacia dei provvedimenti repressivi 42. Fattori oggettivi e soggettivi 43. Potere, società e banditismo Appendici I viceré di Napoli (1503-1707) Il viceré, Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos, al consiglio d’Italia e al sovrano, 28 dicembre 1611 Indice dei nomi Retro copertina: «Si può dire che la povertà e le altre cause oggettive siano state le minori e non sempre cause determinanti del banditismo e di ogni forma di violenza. E ciò si può constatare anche osservando che in molte società e in molti paesi c’è e ci fu povertà, e spesso molta povertà, ma non banditismo e violenza. Più che l’enorme divario tra le fortune di pochi ricchi e l’estremo bisogno di molti poveri furono la prevalente arbitraria condotta e la disinvolta violazione delle leggi che produssero disperazione, malessere sociale, reazione e ribellione. E l’arbitraria condotta non fu solo di pochi privilegiati, baroni e benestanti, ma fu anche di mercanti, di ufficiali e magistrati, i cui eccessi e la cui corruzione resero insopportabile l’esistenza di gran parte della popolazione, e degli stessi prevaricati e sopraffatti i quali, quando furono in condizione di reagire, prevaricarono e sopraffecero, a loro volta, i più deboli di loro.» Da capitolo 9 “[…] In lui, come in ogni altro bandito e in ogni altro capo di banda grande e piccola, non c’erano scopi politici e nemmeno mire di rivendicazione sociale. C’era certo un impeto di forza e di intelligenza, provocato anche dal bisogno represso di manifestarsi e imporsi rompendo il guscio delle convenzioni sociali e delle pastoie del potere costituito. C’era il bisogno di uscire dal groviglio di strettoie che mortificavano la capacità, l’intelligenza e l’iniziativa. Per soddisfare questo impellente bisogno, Marco Berardi divenne bandito, capo di banditi e re Marcone. Durante quattro anni capeggiò la banda più numerosa non solo allora, in quei decenni del cinquecento, ma in tutto il tempo in cui, prima e dopo di allora, nel Mezzogiorno imperversò il banditismo. In particolari momenti metteva insieme fino a 1500 uomini. Di solito aveva sede sui monti della Sila, dove teneva il suo governo e, all’occorrenza, un vero e proprio consiglio di guerra. Amministrava giustizia ed esigeva tributi. Retribuiva i suoi uomini con nove scudi al mese, che era una paga doppia di quella che percepiva allora un soldato del re di Spagna. Poneva taglie sulla testa dei capitani incaricati dal governo vicereale di perseguirlo e rilasciava salvacondotti in sostituzione di quelli ufficiali rilasciati dal governo regio, di cui i viaggiatori erano in possesso. Nel 1563, davanti alla città di Crotone, affrontò e sconfisse in battaglia le altrettanto numerose truppe regie, che gli erano state inviate contro. Ma il successo clamoroso che riportò in quell’occasione, fu di breve durata, il principio della fine. La battaglia vittoriosa era costata al nemico la perdita di oltre cinquanta uomini. Ne andavano di mezzo il prestigio e l’autorità delle forze regie. Il viceré, duca di Alcalà, dovette correre ai ripari e il 16 agosto di quello
  • 23. http://www.caracciolofrancesco.it stesso anno inviò in Calabria una spedizione di truppe regie molto più numerosa di quella precedente con a capo il marchese di Cerchiara. Era una spedizione eccezionale, assai agguerrita e troppo forte per non distogliere la banda calabrese da ogni velleitario proposito di potervi resistere. Re Marcone si rese conto di non poterla spuntare contro un esercito forte di migliaia di uomini. Era evidente che lo scontro avrebbe prodotto solo inutili perdite. Decise di evitarlo. Sciolse la banda e diede così modo ai suoi uomini di frazionarsi in piccoli gruppi o di tornare ai propri paesi e alle proprie case e mimetizzarsi e nascondersi per sfuggire alla dura e capillare repressione che sarebbe seguita. […]” Da capitolo 14: “[…] Molti ecclesiastici fornivano rifugio a banditi e delinquenti nelle chiese, nei conventi, nei luoghi pii, nelle curie diocesane e negli stessi palazzi di vescovi e cardinali. Facevano passare quell’ospitalità e quel rifugio per un loro diritto. Abusandone senza limiti, accoglievano e sottraevano alla persecuzione banditi e delinquenti di ogni specie, ricoverandoli e ospitandoli nelle chiese e nei luoghi religiosi (3). Pur essendo evidente che quella consueta loro pratica contrastava con gli sforzi che faceva il governo regio per combattere il banditismo, la consideravano indiscutibile. Clerici a tutti i livelli, i più alti prelati e la santa sede la difendevano con accanimento e con tutti i mezzi. Gli ecclesiastici esercitavano così un diritto di cui godevano da vecchia data e di cui si erano sempre avvalsi. L’ospitalità che, in base al diritto d’asilo, essi avevano dato in passato a fuggiaschi e a disperati per sottrarre tanti di loro all’arbitraria persecuzione, al sopruso e all’ingiustizia, era stata una manifestazione di ossequio allo spirito evangelico e di umana pietà, anche se aveva limitato l’esecuzione delle leggi. Nel corso del cinquecento quell’ospitalità divenne una pratica tanto diffusa, frequente e abusata da non potere essere più legittimata dal diritto d’asilo, né spiegata con la fedeltà al vangelo e con l’umana pietà. Si trasformò in ricettazione, in evidente arbitraria protezione, in un colossale abuso che la Chiesa continuò a coprire con il diritto d’asilo di cui godeva. Il rifugio che nei luoghi religiosi si dava in tal modo a un gran numero di banditi e fuorilegge, divenne una pratica che produceva la reazione delle autorità laiche, specialmente regie, ma non destava stupore nella gente ormai abituata ad osservare il continuo evidente deterioramento dei costumi del clero. Allora non sfuggiva a nessuno che molti dei numerosissimi ecclesiastici avevano una mentalità e un modo di fare non diversi da quelli dei banditi e sapevano come comportarsi nei loro confronti e come trattare con loro. Alcuni ecclesiastici si trovavano nel proprio elemento facendo i banditi, capeggiando una comitiva e commettendo violenze e reati di ogni genere. Uno di essi […]”
  • 24. http://www.caracciolofrancesco.it Banditismo nel Mezzogiorno d’Italia tra Rinascimento e Barocco. Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Da capitolo III “[…] A metà del cinquecento la dura persecuzione che c’era stata negli anni precedenti aveva reso evidente l’efficacia delle forze repressive e la vulnerabilità e la debolezza dei banditi sciolti o riuniti in piccoli gruppi. Aveva fatto constatare che banditi e fuorilegge, anche se molto numerosi, non avevano possibilità di difendersi ed erano destinati a soccombere e ad essere sopraffatti dalle ingenti forze del governo se fossero rimasti isolati, se non si fossero uniti in grandi gruppi. La persecuzione era divenuta sempre più organizzata. Nelle province non solo giungevano ogni anno nutrite spedizioni di compagnie di gente d’armi, ma esistevano da anni agguerrite squadre di persecutori stabili alle dipendenze delle regie udienze e delle autorità locali. Gli attacchi di tanta forza organizzata dovettero rivelare ai numerosi banditi, di solito sciolti o uniti in gruppi di pochi individui, la necessità di difendersi meglio per potere continuare a delinquere. E in quegli anni della metà del secolo quella necessità fu tradotta nei fatti. La prima grande banda che lasciò traccia di sé era capeggiata da un pastore di nome Galera. Era alquanto numerosa e, in alcune occasioni, giungeva fino a duecento uomini. Batteva specialmente le campagne e i monti della Calabria settentrionale. Trovava occulto sostegno e tacita protezione nei territori di alcuni feudi e specialmente in quelli dei feudi del principe Sanseverino di Bisignano. Dalla seconda metà degli anni quaranta al 1554 aggredì e saccheggiò, irruppe nei centri abitati e sfuggì ad ogni persecuzione; anzi si difese efficacemente da ogni attacco. Fornì il suo apporto alle congiure allora tentate in alcuni feudi e a quelle fomentate dal principe di Salerno e dai suoi sostenitori. Divenne un pericolo per le istituzioni. Gli uomini che la componevano, si scioglievano nei momenti difficili o trovavano rifugio nei boschi e sui monti. La banda di Galera scorse le campagne e saccheggiò le città negli anni in cui il Toledo, con i suoi provvedimenti repressivi, fece catturare e giustiziare migliaia di banditi. Continuò a delinquere anche dopo la morte del Toledo, come fecero numerosi altri gruppi di fuorilegge. E il successore del Toledo, il cardinale Pacheco, nel 1553 continuò a perseguirla con l’invio di spedizioni di compagnie di gente d’armi e con l’impiego di squadre di campagna. Ma come era accaduto in tanti anni ai persecutori inviati dal Toledo, anche la caccia ordinata dal viceré Pacheco non ebbe successo. Nel corso del 1553 la banda continuò a delinquere e, come aveva fatto negli anni precedenti, sfuggì ad ogni persecuzione. Fu un caso fortuito a segnare la sua fine. In pieno inverno dell’anno successivo, 1554, nei mesi in cui di solito tacciono la guerra, la pirateria, il banditismo e la persecuzione, la banda molto ridotta di numero si imbatté in alcune squadre di campagna dell’udienza provinciale e nelle compagnie d’armi del governatore della Calabria, Carlo Spinelli, conte di Seminara, il quale «se ha dado tan buena maña» nel perseguire il bandito. Nello scontro la banda fu dispersa e il Galera fu ferito e catturato. Cessava così di riunirsi e di esistere almeno nelle dimensioni della grande e temibile banda. Il Galera fu condotto a Napoli e divenne un ostaggio prezioso, trattato con ogni cura per ordine del governo, che si aspettava di ottenere da lui importanti informazioni sulle congiure in quegli anni ordite nel regno e sulle trame dei congiurati, di cui si supponeva che il bandito fosse a conoscenza. Indipendentemente dalle rivelazioni che poteva fare, la sua cattura fu di enorme importanza, un evento straordinario, tanto che il viceré Pacheco il 29 marzo 1554 comunicava al sovrano l’eccezionale successo che aveva avuto essendo finalmente le forze regie riuscite a catturare «il più famoso e insigne bandito che si era avuto nel Regno da molti anni in qua». […].”
  • 25. http://www.caracciolofrancesco.it Cattiva Stella Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: Mezzogiorno Italia, Romanzo, Novecento, Terremoto, Saga Familiare, Amore, Famiglia. Indice: 1. Fossa, marzo 1908. Nascita delle gemelle Caterina e Nunziatina. Alcune vicende della famiglia Gennaro. 2. Donna Carmela Arcuri in Gennaro. La famiglia patriarcale da cui proveniva. Il marito. La morte dei figli. Il terremoto del 1908. 3. La nascita di Francesca, la morte del padre, la saggezza di donna Carmela. 4. L’innamoramento. Caterina adolescente e il giovane Vincenzo Caruso che si procura le necessarie referenze e ottiene di fidanzarsi con lei. 5. Altri pretendenti. Minacce. Supposizioni e timori di Vincenzo. Caterina aggredita e ferita. 6. Le nozze. I rapporti con i parenti. Gli sposi a Verrino, il paese di Vincenzo. 7. La dimora degli sposi. Il primo figlio e la sua morte per l’imperizia di un sedicente medico e gerarchetto fascista. La malevolenza e le falsità di un concorrente di Vincenzo, come lui commerciante. 8. La cieca ostinazione del concorrente. Il passato e gli eccezionali requisiti di Vincenzo. 9. La sposa e i familiari di Vincenzo. 10. Nascita di Francesco, il secondogenito. Difficoltà nel commercio specialmente dopo il 1929. Vincenzo scongiura il fallimento riuscendo a concludete un vantaggioso concordato con il quale riduce notevolmente il debito verso due grandi mulini di Genova e di Venezia. 11. Nunziatina e i suoi diversi corteggiatori. I lauti guadagni, le abitudini disordinate e l’eccessiva prodigalità di uno di loro. 12. 1929, a Fossa: rapimento di Nunziatina. Disperazione della madre. Caccia ai rapitori. Permanenza della rapita, del mandante e degli esecutori in una casa di campagna. 13. Conclusione del rapimento. Ritorno in paese della rapita e del mandante, loro convivenza, separazione e inimicizia. Visite e mediazione dei parenti. Matrimonio. Malattia e contagio. Riconciliazione degli sposi con i familiari. 14. A Verrino, l’invidioso concorrente diffonde falsità e cerca di assoldare un sicario per fare uccidere Vincenzo. Ottiene un rifiuto. Vicende di Domenico, fratello maggiore di Vincenzo. 15. Il concorrente accumula altra invidia e altro odio. Si esercita sparando ai topi. Del suo inspiegabile accanimento un amico dà a Vincenzo una lunga ed erudita spiegazione. 16. 4 marzo 1933. Vincenzo non va a Fossa, a una festa nuziale, esce di casa per passare qualche ora con gli amici. In piazza, tra la gente, sta appostato il concorrente che dà sfogo al suo odio uccidendo Domenico e Vincenzo e trova la morte. 17. Disperazione dei congiunti, generale costernazione e sdegno per quel feroce e incomprensibile delitto. Indice Retro di copertina: “Caterina aveva appena compiuto sedici anni e da tempo si era fatta avvenente, quando un giorno accadde qualcosa che sconvolse le sue tranquille abitudini di vita. Nel negozio entrò un giovane che non si era mai visto prima. Forse era stato informato dell’avvenenza e della bellezza della ragazza ed era là per questo. O forse si era trovato per caso a passare e aveva avuto il desiderio di acquistare un po’ di carne di bue. Fatto sta che ordinò un taglio di filetto, attese che gli fosse detta la somma da pagare e porse un biglietto da venticinque lire. Nel 1924
  • 26. http://www.caracciolofrancesco.it era un biglietto che si vedeva raramente in circolazione, forse non si vedeva mai in quegli anni di deflazione o si usava solo nelle grosse contrattazioni. Caterina prese il biglietto e lo pose sul bancone ...” È rivissuta una complessa vicenda che si svolge nei primi decenni del novecento in alcune contrade del Mezzogiorno d’Italia. I fatti narrati e i personaggi rendono vivo e attraente il particolare e difficile ambiente in cui si muovono.” Da Capitolo 4 “[…] Caterina aveva appena compiuto sedici anni e da tempo si era fatta avvenente, quando un giorno accadde qualcosa che sconvolse le sue tranquille abitudini di vita. Nel negozio entrò un giovane che non si era mai visto prima. Forse era stato informato dell’avvenenza e della bellezza della ragazza ed era là per questo. O forse si era trovato per caso a passare e aveva avuto il desiderio di acquistare un po’ di carne di bue. Fatto sta che ordinò un taglio di filetto, attese che gli fosse detta la somma da pagare e porse un biglietto da venticinque lire. Nel 1924 era un biglietto che si vedeva raramente in circolazione, forse non si vedeva mai in quegli anni di deflazione o si usava solo nelle grosse contrattazioni. Caterina prese il biglietto e lo pose sul bancone, andò in una stanza retrostante e tornò subito dopo, contò quindi il resto da dare con molta rapidità, posando a una a una banconote e monete sul piano di marmo. Come fece la madre, rispose al saluto che il giovane rivolse loro mentre si accingeva a uscire dal negozio. Pensò e, poco dopo, disse alla madre che quel giovane aveva voluto constatare come ella se la sarebbe cavata nel calcolare e nel dare il resto di quel biglietto. Insomma, le sembrava un test, un sondaggio: il giovane aveva voluto accertare il suo grado di bravura e di prontezza nel fare il conto e nel dare il resto di quel biglietto di grosso taglio. Disse questo alla madre, ma non riuscì a nascondere il colpo che aveva ricevuto da quell’apparizione. La madre se ne accorse, ma non diede a intenderlo. Era il primo segno di ammirazione per qualcuno che notava in quella sua figlia piuttosto distaccata. E in realtà la ragazza avvertiva qualcosa che non aveva mai provato prima, ma non confessava neppure a se stessa di sentire nascere in sé un improvviso sentimento. Tuttavia si sorprendeva a rimproverarsi di non essere stata meno riservata e di non avere fatto capire a quel giovane che lo ammirava. «Chissà – diceva tra sé – se tornerà più. Se è venuto per vedere me e per sondare il terreno e le mie capacità, posso non essergli riuscita simpatica. Forse avevo la mia solita espressione indifferente, che lo ha scoraggiato e lo consiglierà a non farsi più vedere». [… ]” Da capitolo 5 “[…]Il compaesano elegante passava molte volte al giorno davanti al portoncino della casa di Caterina. La ragazza, quando puliva la scala e il pavimento dell’ingresso, apriva il portoncino per fare uscire la polvere che si sollevava. Il compaesano approfittava di quei pochi istanti e gettava dentro, nell’ingresso, un biglietto contenente certo la sua proposta amorosa. Ma appena il biglietto toccava il pavimento, la ragazza con un colpo di scopa che aveva in mano lo rimandava fuori con la violenza che l’indisposizione e lo sconcerto imprimevano alle sue braccia e alla ramazza. Era un affronto imperdonabile per chi teneva alla propria reputazione di malandrino vedere giacere il proprio biglietto sul marciapiede, rigettato insieme con la polvere e la poca immondizia. Era troppo! Era vero che era stato lui a provocare quella reazione. Era stato lui a tentare di seguire quella via nella speranza di catturare con le buone maniere la ragazzina ben formata e con una buona dote. Ma quel gesto di buttar fuori il proprio biglietto lo rendeva ridicolo. Gli toglieva il marchio di individuo senza scrupoli,
  • 27. http://www.caracciolofrancesco.it feroce e implacabile, che tanto timore incuteva in molti paesani e tanto autorevole lo aveva reso tra molti altri gaglioffi. Il fallimento dei suoi tentativi tutte le volte che li ripeté in seguito, lo indispettì sempre più. Fece quindi ricorso a un mezzo efficace per catturare la preda e per riabilitarsi agli occhi dei colleghi e dei paesani. Decise di rendere la ragazza non più appetibile e di costringerla così ad accettare lui come fidanzato e marito. Una sera del mese di maggio, sull’imbrunire, Caterina era appena uscita dalla chiesa ed era sulla via per tornare a casa. In quella stradetta che stava percorrendo, di solito poco frequentata, c’erano in quel momento alcune persone che avevano seguito la funzione religiosa. Lei era in compagnia di Francesca, che familiari e parenti chiamavano Cilla, la sorella minore. Il compaesano si trovava poco distante impalato lungo la stradetta e guardava davanti a sé. Stava immobile in quella posizione come se fosse in attesa di qualcuno o se volesse osservare i passanti. La ragazza insieme con la sorella doveva passargli vicino per seguire il proprio cammino. Quando ella fu a poca distanza, egli, con una rapidità e maestrìa straordinarie, fece un balzo verso di lei, allungò il braccio e si protese in avanti. Teneva tra le dita della mano destra un rasoio aperto con la lama luccicante agli ultimi sprazzi di luce. Afferrò con la mano sinistra l’omero destro della ragazza e affondò il rasoio da un […]”
  • 28. http://www.caracciolofrancesco.it La congiura antispagnola di Tommaso Campanella: delatori e persecutori. Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM Parole chiave: congiura antispagnola, delatori congiura Campanella, persecutori congiura Campanella, delatori Biblia DiLauro, persecutori Xarava, Spinelli, Morano, Catanzaro Reggio Tropea Indice: I. Monaco, filosofo e congiurato II. Congiurati, delatori e persecutori III. I timori, la discolpa e i meriti della città di Catanzaro IV. I meriti e le richieste dei persecutori V. I due delatori VI. Punizioni e vendette VII. In attesa della ricompensa VIII. Persistente timore di denunce e vendette Indice dei nomi Retro copertina: «Il giovane [Giovanbattista Biblia] restava a Catanzaro e denunciava senza remore e senza titubanze un progetto di congiura contro il potere costituito, pur sapendo che quel potere sarebbe stato inesorabile e feroce nel reprimere i molti congiurati e concittadini che egli tradiva. Fece questo per denaro e per ottenere un titolo: per ricavare un utile che contrastava con lo scopo del programma che si era riproposto di realizzare poco tempo prima. È incomprensibile che egli abbia potuto fare questo [...]». da capitolo VIII.: “[…] Notevoli o modeste che fossero le sue dimensioni e i suoi effetti, la congiura mobilitò la partecipazione di individui di ogni condizione sociale, dal mercante al barone, all’ecclesiastico, al prelato, al bandito. Fu come il passaggio di un turbine silenzioso che scosse quanti erano più esposti e sensibili alle novità. Lasciò di sé il ricordo di avere smosso le acque chete in superficie ma torbide e agitate nel fondo. Costò la morte crudele di molti idealisti, specialmente giovani. E nella città di Catanzaro la sua scoperta aggiunse turbolenza a turbolenza e alimentò le vendette e gli omicidi occulti. Accrebbe il timore che aveva la città di perdere quanto aveva conquistato. Con mezzi inconsistenti e con uno scopo assai vago, la congiura e i congiurati tentarono di attuare, nel modo praticamente possibile, un «pensier grande» di Tommaso Campanella, che il filosofo aveva concepito sotto la spinta della sua personale reazione alle amare esperienze giovanili, delle cognizioni astrologiche e della constatazione del malessere sociale e del diffuso malcontento popolare.”
  • 29. http://www.caracciolofrancesco.it Fossa Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM, LAFELTRINELLI.IT Parole chiave: Fossa, Villa San Giovanni, seta grezza, Ruffo, Scilla, filande, gelso, Tropea, Aldobrandino, Caracciolo Rocco Antonio, Campo Calabro, Cannitello, Aspromonte, Fiumara di Muro. Indice: Avvertenza Introduzione 1. I baroni di Fiumara di Muro. 2. Dalla baronessa Di Francesco al principe Ruffo. 3. Il feudo e il suo territorio. Da «Fossa» a Villa San Giovanni. 4. Risorse e luoghi religiosi. 5. La terra e il casale. Abitanti, amministratori e ufficiali. 6. Possessi feudali e proprietà private. 7. Investimenti e concessioni. 8. Crescente rendimento dei beni e delle aziende. 9. Diverso aumento della rendita e del profitto. 10. L’intraprendenza della principessa Ruffo e la fraudolenta gestione degli erari del feudo. 11. L’andamento della produzione nel seicento. 12. Un’opinione particolare. 13. L’arricchimento dei baroni. 14. All’origine del potere e dell’arricchimento dei baroni. INDICE DEI NOMI Retro copertina: È analizzato un caso indicativo, uno dei tanti, di ciò che è avvenuto nel seicento in un feudo del Mezzogiorno d’Italia. Al contrario di quel che è stato sostenuto risulta che non ci fu rifeudalizzazione e diminuzione della produzione, ma ........ da capitolo 3: “[…] Come vedremo, nel seicento le famiglie Caminiti, Lofaro, Marra e tante altre avevano coltivato direttamente modesti lotti di terra feudale ottenuti in affitto e in enfiteusi e avevano lavorato seta a domicilio. Nel settecento i loro discendenti avevano accresciuto i possessi che avevano ereditato e avevano ampliato le attività produttive. Nel corso dell’ottocento i successori di costoro impiantarono filande munite di caldaie e azionate da numerosa manodopera. Le loro attività e la grande opportunità che offriva la zona, ormai con un fitto e capillare tessuto produttivo composto anche di 44 filande tra Acciarello e Cannitello nel 1847, attrassero capitalisti forestieri. Come i filandieri locali, i nuovi imprenditori, spinti dal vento della rivoluzione industriale che soffiava in Inghilterra e poi in Europa dalla fine del
  • 30. http://www.caracciolofrancesco.it settecento, investirono competenze e capitali nella costruzione e nella conduzione di nuove e grandi filande meccanizzate. Nella seconda metà del secolo le redditizie attività in quella zona crebbero notevolmente. Adriano Erba, milanese, Thomas Hallam e il nipote Edward J. Eaton, inglesi, la famiglia Florio di Palermo si associarono con imprenditori del luogo e impiantarono filande a caldaia in imponenti edifici in cui si svolgeva il lavoro di centinaia di persone. Estesero gli investimenti ad altre attività, al commercio di cereali e all’esportazione del prodotto serico. Crebbe notevolmente la struttura produttiva in quella zona e, con essa, crebbe il numero degli abitanti di Fossa ora Villa San Giovanni, che da 240 circa all’inizio degli anni ottanta del settecento divennero 6650 all’inizio del novecento. Nelle molte filande sparse in tutto il territorio, da «Azzarello» a «Cannatello», migliaia di operai, in gran parte donne che giungevano dall’entroterra, lavoravano in enormi stanzoni dall’alba al tramonto e producevano il semilavorato. Tanta attività e tanto fermento erano andati crescendo sia per l’evoluzione di piccoli produttori a domicilio divenuti filandieri, sia per gli investimenti di capitale che fecero imprenditori stranieri, come l’inglese. E l’inglese lasciò il segno. Nella parte centrale del territorio di Villa San Giovanni impiantò una grande azienda, dai cui molti stabilimenti prese il nome una strada ad essi adiacente, allora la via principale del paese, «a calata ru ‘ngrisi», la discesa dell’inglese, poi via Garibaldi. Tutta quella contrada era da tempo il maggior polo manifatturiero dei pochissimi che c’erano nell’ottocento in tutta la regione. Continuò ad essere tale finché tirò la domanda del prodotto proveniente anche dall’estero. Quando la domanda cominciò a diminuire dall’inizio del novecento fino a cessare per la concorrenza di altri prodotti, quel polo di industrie grandi e piccole scomparve. Restarono grandi edifici vuoti e alti e robusti fumaioli. Le maestranze, i proprietari e i conduttori di aziende grandi e piccole non seppero innovare, cercando almeno di scoprire qualche altra attività sostitutiva in cui investire i capitali che avevano realizzato. Da tempo erano divenuti percettori di rendita, destinatari di ingenti utili derivanti da aziende molto redditizie, che prosperavano per l’elevata domanda ed erano condotte da maestranze e manodopera a basso costo in locali e con strumenti impiantati dai loro avi nel settecento e nell’ottocento. Quando tutto ciò venne meno, alcuni di loro lasciarono il denaro accumulato nelle banche, molti lo sperperarono in cavalli, carrozze, ville e prostitute e altri comprarono terre e costruirono imponenti case padronali. Vissero di rendite di giardini e vigneti finché la manodopera fu abbondante e poco costosa e il basso costo del lavoro rese possibile un margine di rendita tale da soddisfare gli alti consumi cui si erano abituati. E quando tutto ciò venne meno dopo i primi decenni del novecento, le rendite si assottigliarono sempre più e loro non seppero mai neppure tentare di investire le risorse di cui disponevano in nuove attività produttive. Consumarono quanto avevano nelle loro dimore padronali e inveirono contro la mala sorte e contro il governo. Molti loro eredi, dei quali alcuni divennero pubblici funzionari sfogarono il malcontento ereditato dai loro avi contro coloro che riuscivano nell’impresa e progredivano nella società. […]”.
  • 31. http://www.caracciolofrancesco.it Canti Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM Parole chiave: natura, Big Bang, bue, mare, onda, bosco, uomo, Terminillo, potere, libertà Descrizione: I canti, in prevalenza di versi endecasillabi e settenari, hanno contenuti molto vari:dal nulla al cosmo, alla natura, all'uomo e ai suoi pregi e difetti. Indice: 1. Lievi e grevi I. La penna II. Le foglie III. L’esplosione IV. La natura e l’uomo V. L’ultimo confine VI. Passione VII. La pazienza VIII. L’eccesso IX. Il cuculo X. L’onda XI. Miliardi XII. L’acervo XII. Il volo XIV. Il consumo XV. Il cieco fato XVI. La struttura XVII. Il peggio XVIII. Beni e potere XIX. La slealtà XX. L’astuto XXI. I vinti XXII. L’avere XXIII. Natura XXIV. L’estraneo XXV. Il pregio XXVI. Nessuno XXVII. Il cigno XXVIII. Cosiffatto XXIX. Libero XXX. Il Terminillo XXXI. Il bosco XXXII. Cettina, la mia compagna 2. Su potere e libertà XXXIII. Fede e pensiero XXXIV. Il privilegio XXXV. Democrazia
  • 32. http://www.caracciolofrancesco.it XXXVI. Potere occulto XXXVII. Decadenza XXXVIII. Conquistatori italiani del Novecento Da “Le foglie”: “Dal vento mosse vibrano veloci foglie a miriadi, ch’in su io guardo con tremanti pupille come voci di moribondi trafitti da dardo. Mi danno il senso del perpetuo moto sul fondo fermo dell’azzurro cielo, ch’a me appare uguale e immoto, là dietro quello sfolgorante velo. […]” Da “L’esplosione”: “Puntini appaiono luminosi e, presto, di scintillii gioiosi un manto riempie con la luna del cielo la volta che più s’imbruna. Infiniti sono astri lontani, ch’in me accendono pensieri vani su l’immensità, sul globo sperduto, […] Un senso di dolore è in me con torpore, e cresce la tendenza a dare consistenza all’ardir ch’in me tace quando divien audace. Intanto, sì vagando, a me stesso domando: perché sono io nato con altri nel creato? […]”
  • 33. http://www.caracciolofrancesco.it Satire e poemetti Acquista: ILMIOLIBRO.IT, LULU.COM Parole chiave: Descrizione: Su individui e associati e su singolari aspetti del loro carattere e delle loro azioni in seno a istituzioni, partiti e conventicole. Indice: TRA SCILLA E CARIDDI 1. Giudici e imputati I. Il libero convincimento II. L’equità universale, specialmente in tribunale III. Giudice e pittore e leguleio adulatore IV. Causidico e politicante, del popolo rappresentante 2. scalatori. Tra logge, partiti, ateneo e foro, percorso seguirono trionfale, nella sicula città del peloro, alcuni anche nella capitale V. La colpa VI. Rossastro, professore, consigliere e rettore VII. Sempre in salita: dal paesello ai più alti siti, tramite consorterie e partiti VIII. L’affiliato, i suoi congiunti e lor carriere IX. Enzuccio, professore, avvocato e reggino rinomato X. Dall’aspromonte al peloro, avvocato e docente più d’altri sapiente XI. Trimalchione, professore, preside, avvocato, senatore e giudice elevato da Trinacria a Roma catapultato XII. Calabrone, preside e professorone TOGATI, MEDIA E FORO ALL’OMBRA DEL PELORO XIII. Il giocatore togato al tresette fortunato XIV. Legalità XV. Learco, re provinciale, direttore di giornale XVI. Prigioniero, del peloritano ateneo in commissioni, tra laureandi, relatori e dissertazioni Da “Calabrone, preside e professorone” “Un tale calabrone di cognome è una specie d’uomo molto strana, intelligente appena quanto e come
  • 34. http://www.caracciolofrancesco.it basta per esser di razza umana. […] placido e uguale come un bove, asseconda protettori e protetti, e si fa strada, sì, per ogni dove, sol badando a divieti e paletti. […] Da “Learco, re provinciale, direttore di giornale” “Il foglio, che suole dare notizie in una città e in una regione, banal permane e colmo di tristizie, per l’acume del direttor santone. Influendo su partitini e logge, questi la fa da signore e padrone, assume le più convenienti fogge e abusa del mezzo onde dispone. […]”