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LA RIVELAZIONE DI DIO
Rino Fisichella
Dio rivela il suo «disegno di benevolenza»
• E a partire dalla rivelazione di Dio, infatti, che diventa possibile comprendere il
contenuto della fede cristiana. In soli tre capoversi, seguendo una formulazione
classica, il CCC presenta i tratti fondamentali della rivelazione: in che cosa
consiste, i contenuti che la formano, e il fine verso cui tende.
• La citazione di DV, con cui si apre il capitolo, costituisce lo scenario su cui porre il
concetto di rivelazione: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare sé
stesso e far conoscere il mistero della sua volontà» (n. 2).
• Da questa espressione si desume che l’atto della rivelazione è concepito come
l’autocomunicazione di Dio. Egli esce dal silenzio del suo mistero per farsi
conoscere e comunicare se stesso con lo scopo di una comunione di vita con
l’umanità.
• Questo testo va posto in relazione con il Proemio della Cost. dogm. Citando 1 Gv
1,2-3, il Concilio rende evidente la sua intenzione di introdurre nel mistero che
ha permesso la salvezza dell’umanità. In questo contesto, è facile comprendere
che l’espressione migliore con la quale il Concilio intende la rivelazione sia quella
di amore
- Rivelazione di Dio, come un atto di amore
libero e gratuito
• La rivelazione di Dio, infatti, è un atto di amore libero e gratuito che
null’altro desidera se non il bene della persona amata. E un amore tale che
ama senza alcuna possibilità di contraccambio.
• Concepire la rivelazione alla luce dell’amore, come il principio che la
informa, permette al credente di porsi alla sequela di Cristo, farsi suo
discepolo, assumendo la sua legge che non è altro che amore.
• Questa scelta in nulla lo umilia, ma in tutto lo realizza perché la vocazione
umana è l’amore. Nello stesso tempo, il credente può rivolgersi al Padre
nell’atto di piena fiducia e abbandono, chiedendo che si compia sempre la
sua volontà.
• Egli, infatti, è cosciente e certo che la volontà di Dio potrà esprimersi
sempre e solo alla luce dell’amore.
- Contenuto e l’atto della rivelazione
• Contenuto della rivelazione è Dio nel suo mistero trinitario.
• La «luce inaccessibile» in cui egli abita viene diradata dall’evento
dell’incarnazione in cui uno della Trinità diventa uomo.
• In questo evento, unico e irrepetibile, l’atto con il quale Dio si rivela non è
più scindibile dal contenuto stesso che viene rivelato.
• Rivelatore e rivelazione si identificano nella persona del Figlio fatto carne,
che diventa il vero «interprete» della vita divina (Gv 1,18).
• Questa dimensione verrà chiarificata nei numeri successivi, dove il CCC,
sulla stessa lunghezza d’onda di DV, passa in rassegna le diverse tappe
dell’economia della rivelazione per giungere fino al suo culmine:
• Cristo Gesù «mediatore e pienezza di tutta la rivelazione» (DV2).
Il fine della rivelazione, salvezza,
partecipazione…
• Il fine della rivelazione è la salvezza umana, o meglio la sua partecipazione
alla vita divina. L’atto con il quale Dio rivela se stesso è un atto di amore,
che si estende a tutta l’umanità e a ogni persona come chiamata di grazia
alla condivisione.
• La salvezza viene spiegata alla luce del testo di Giovanni: «Questa è la vita
eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo» (Gv 17,3). La rivelazione in Gesù Cristo, quindi, supera quella che si
è resa visibile nella creazione. Nella creazione ognuno è chiamato a
riconoscere e lodare Dio come creatore; in Gesù Cristo, invece, l’essere
umano è invitato alla partecipazione della vita divina come figlio…
• Una piena conoscenza di Dio, quindi, non si può avere a partire dalla
creazione, ma ha bisogno di raggiungere l’evento dell’incarnazione, con la
quale Dio stesso si fa conoscere come una persona che viene incontro
all’uomo chiedendo la risposta della fede in lui.
- La rivelazione nell orizzonte biblico-patrisitico
• Con la DV il Concilio affrontava il tema della rivelazione nell’orizzonte di
una comprensione maggiormente biblico-patristica, facendo emergere
primariamente la componente storico-salvifica. Rileggere la rivelazione
alla luce della storia della salvezza, comunque, equivale a compiere un
duplice movimento:
• da una parte, si realizza il ritorno alla fonte originaria della rivelazione, la
Parola di Dio;
• dall’altra, si evidenzia l’originalità della rivelazione cristiana nei confronti
di ogni altra possibile rivelazione. Il ritorno alla prospettiva biblica va di
pari passo con il recupero dell’orizzonte salvifico della rivelazione. Il Dio
che si rivela è il Padre che entra nella storia umana per comunicare il suo
amore e per entrare in una relazione di amicizia e di comunione.
La rivelzione come primato de Dio…
• Lo attesta con grande forza l’espressione: «Nel suo grande amore Dio parla
agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli
alla comunione con sé» (DV 2 con i richiami biblici a Es 33,11; Bar 3,38; Gv
15,14-15).
• Con poche parole, i Padri conciliari affermano il primato di Dio nel rivelarsi;
nello stesso tempo, comunque, esprimono la modalità della rivelazione.
Essa è frutto dell’amore e consente di avere una presenza costante,
permanente e continuativa di Dio in vista della partecipazione alla sua vita
di amore.
• Dio quindi non solo si rivela, ma si «intrattiene»; cioè permane a lungo,
perché l’invito alla partecipazione della vita divina sia un vero atto di libertà
personale con il quale ogni persona realizza se stessa nella comunione di
vita con Dio.
- Dei Verbum e Dei Filius
• Per quanto concerne più direttamente l’evento della rivelazione,
si deve notare un passaggio estremamente importante che è
compiuto dalla DV nei confronti della DF:
• la rivelazione passa da una presentazione di ordine
«gnoseologico» a uno di ordine «salvifico».
• Mentre in DF, la rivelazione era interpretata alla luce di un
insegnamento dato per via soprannaturale, DV recupera la
dimensione veritativa nell’orizzonte della storia della salvezza:
• Dio si autocomunica, ma lo fa entrando nella storia e
sottoponendosi ad essa nei suoi limiti.
- Le tappe della rivelazione
• La teologia successiva al Vaticano II ha preferito una divisione che
cerca di recuperare maggiormente i dati veterotestamentari ed è
quella assunta dal CCC.
• Si è soliti ormai stabilire i tre grandi passaggi:
• 1) la rivelazione attraverso la natura;
• 2) attraverso la storia di Israele;
• 3) mediante i profeti.
• Ogni suddivisione comporta chiaramente limiti e pregi; ma al di là di
questo, comunque, è facile scorgere l’idea sottostante: un progresso
continuo e permanente di Dio, quasi una sua propria pedagogia per
giungere all’evento finale: Gesù Cristo.
La comprensione cristiana della rivelazione
• Perché questi testi non siano letti in chiave riduzionista, è bene sottolineare che
il CCC, percorrendo il cammino tracciato dalla DV, non può prescindere dal
porre queste diverse tappe alla luce dell’incarnazione.
• DV 2, ripetutamente citato nei tre paragrafi in questione, come pure lo stesso
par. 53, che si conclude con la prospettiva della rivelazione che «risplende»
nella sua pienezza in Cristo, non fanno altro che esprimere questa centralità.
• La stessa cosa si nota con la citazione di DV 3 che introduce il paragrafo sulla
rivelazione attraverso la creazione che trova piena luce nel mistero
dell’incarnazione: «Dio il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del
Verbo».
• Questi riferimenti mostrano che il fondamento di questo insegnamento è da
ricondurre al principio cristologico.
• La comprensione cristiana della rivelazione, quindi, nelle sue diverse
manifestazioni, può efficacemente essere riconosciuta come storia della
salvezza operata da Dio a partire dalla sua fine; là dove si realizza il compimento
della rivelazione stessa: Gesù di Nazaret nel suo mistero pasquale.
La creazione
• La «creazione», ancora una volta, è posta come lo scenario necessario su cui
porre la prima rivelazione di Dio. Essa permane nella storia anzitutto come fatto
iniziale con il quale il Dio Trino dà avvio alla rivelazione del suo progetto salvifico
che né peccato né tradimento potranno mai distruggere (n. 55).
• Nello stesso tempo, la creazione permane un atto dinamico e vivo nella storia, e
continuerà fino alla fine dei tempi, quando tutto sarà ricapitolato in Cristo (Ef
1,10; Col 1,16.20).
• La rivelazione tramite il cosmo permette di riconoscere, anzitutto, che la
creazione è dono gratuito di Dio, ed egli è all’origine di ogni cosa. Lo esprime
chiaramente il profeta quando dice: «Io, il Signore, sono il primo» (Is 41,4); o
ancora: «Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l’uomo; io con le mani ho
dispiegato i cieli e do ordini a tutto il loro esercito» (Is 45,12).
• Si evidenzia, inoltre, nello stesso momento che l’uomo è creato a immagine del
Creatore e porta in sé il riflesso della divinità.
- la creazione e la presenza del peccato
• Il peccato non priva la rivelazione del suo aspetto di grazia; anzi, per usare le
parole dell’Apostolo, «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm
5,20).
• Questa parte del CCC trova una sua significativa esplicitazione nella Lett. enc. LS
di papa Francesco. Il Papa mentre analizza il «mistero dell’universo», lo legge e
interpreta alla luce dell’amore (cf n. 76).
• Il creato è una «carezza di Dio» (n. 84) e nella sua contemplazione è possibile
cogliere la novità della rivelazione divina: «Questa contemplazione del creato ci
permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole
comunicare, perché “per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un
messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa”.
• Possiamo dire che “accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle
sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e
nel calare della notte”. Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere
umano impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature» (n. 85).
L’alleanza: nella storia della rivelazione
• Il passaggio che ora il CCC compie è quello di presentare la seconda tappa
della storia della rivelazione: l’«alleanza». Non dovrà meravigliare la forte
sottolineatura e lo spazio dedicato all’alleanza con Noè. La sua figura è
carica delle caratteristiche che sono offerte dall’Antico e dal Nuovo
Testamento. In particolare, comunque, nella persona di Noè si evidenzia il
carattere universale dell’alleanza di Dio con l’umanità e il suo carattere
sociale.
• L’alleanza con Noè, infatti, è figura di un’alleanza che toccherà per sempre
le «nazioni», cioè i popoli (cf n. 58). La rivelazione di Dio, offerta con
l’alleanza a Noè, non si limiterà più ad un singolo soggetto o a una sola
nazione, ma si aprirà ai popoli e alle nazioni intere.
• Questo permette di vedere un’idea sottostante che viene esplicitata nel n.
57: la divisione tra i popoli è un male oggettivo; esso è sempre all’erta ogni
qual volta si distrae il volto da Dio, sorgente di unità e di pace. Forme di
idolatria o di politeismo, che assumono oggi nelle diverse società nuovi
nomi e nuovi volti, indicano un cammino provvisorio e non permettono di
finalizzare né la storia personale né quella universale.
Noè, come segno di consolazione
• La figura di Noè è particolarmente significativa in proposito. Egli è
assunto come prototipo della persona giusta che fruisce della salvezza
nonostante il peccato e il male dell’umanità (Sir 44,17-18).
• Noè, come il nome stesso attesta (Noab), è segno di consolazione per
avere ascoltato la parola di YHWH. Egli, comunque, diventa
soprattutto immagine dell’intera umanità con la quale Dio si riconcilia
per sempre: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo... né colpirò
più ogni essere vivente come ho fatto» (Gn 8,21). L’universalità di
questa alleanza fatta con Noè rimarrà nella storia del popolo come il
segno di una paziente misericordia che Dio nutre nei suoi confronti:
• «Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più
riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi
con te e di non più minacciarti» (Is 54,9).
Noe nel NT (coraggio – coerenza -)
• Alla luce di una lettura neotestamentaria, la figura di Noè, posta a questo
punto del CCC, dovrebbe richiamare anche alla vigilanza permanente che il
credente deve avere davanti all’attesa del ritorno del Signore (Mt 24,37).
• In un mondo in cui spesso il cristiano diventa una voce isolata, ma non per
questo meno profetica, la figura di Noè ricorda il coraggio della
testimonianza (2 Pt 2,5) e la coerenza della fede (Eb 11,7).
• L’alleanza universale ed eterna che viene qui proposta, permette di vedere
un ulteriore tratto saliente della rivelazione: il peccato non potrà mai avere
il sopravvento sull’amore di Dio, perché nella morte del Crocefisso ogni
uomo viene salvato dal diluvio della morte e dell’autodistruzione.
• Passando attraverso le acque del battesimo, infatti, ognuno può rinascere a
una vita nuova.
l’alleanza con Abramo, un’ulteriore tappa della
rivelazione
• E su questo orizzonte, che si può leggere un’ulteriore tappa della rivelazione che il
CCC presenta con i nn. 59-61: l’alleanza che Dio compie con Abramo, «padre di tutti i
credenti» (Rm 4,11.18).
• La figura di Abramo, come risulta dalle tre tradizioni bibliche - elohista, yahwista e
sacerdotale - che vengono a confluire in Gn 12-25, è quella dell’uomo chiamato da
Dio per compiere l’alleanza che si sarebbe trasmessa per intere generazioni. Messo
alla prova, ma colmato di benedizioni, Abramo risponde con l’abbandono fiducioso
e totale a questa chiamata, fidandosi solo della promessa che gli viene fatta.
• Dio è sempre il primo che interviene. Il primato si riconosce nella chiamata a seguire
la sua volontà, come pure nel proporre l’alleanza. Non c’è alternativa; è Dio che
sceglie Abram; è sua la proposta dell’alleanza; sua la promessa. L’espressione: «Io ti
darò», risuona come un ritornello in tutti i testi che riguardano Abramo: la «terra»,
la «fecondità di Sara», il «figlio Isacco», una «generazione numerosa come le stelle
del cielo»... tutto è dono e grazia che si pone davanti ad Abramo perché «il Signore
lo aveva benedetto in tutto» (Gn 24,1).
• Ciò che, tuttavia, risalta come un fattore determinante è che la vocazione di Abramo
sia finalizzata alla sua «paternità». La chiamata non è individuale, ma universale: «Si
diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra» (Gn 22,18).
- Noe e Abramo
• Come in Noè Dio aveva promesso un’alleanza universale ed eterna con la
quale non avrebbe mai più distrutto il frutto della sua creazione, così in
Abramo Dio rende visibile il primo abbozzo di questa benedizione e
promessa.
• Mentre in Noè la benedizione di Dio possedeva dei tratti generici, perché
si estendeva su tutto, in Abramo invece essa diventa concreta, perché
focalizzata sull’uomo che ha fede in lui.
• A partire da Abramo, quindi, si apre ancora una volta la prospettiva
universale della rivelazione di Dio che ha chiamato ed eletto tutti gli
uomini, specialmente coloro che erano lontani, a partecipare alla sua
mensa. Nessuno più sarà escluso (cf Gv 12,20), perché la morte del Figlio
possiede un valore universale: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò
tutti a me» (Gv 12,32). Innestandosi sull’«olivo buono» (Rm 11,24), la
Chiesa non può rinunciare alla storia del popolo su cui si è inserita.
- L’Alleanza nella storia della salvezza
• Nella storia, e nelle diverse vicende che la compongono, Israele ha conosciuto
l’azione rivelatrice e salvatrice di YHWH. A partire da qui, quindi, ha preso avvio la
storia della rivelazione come oggi la conosciamo anche se, cronologicamente, la
rivelazione ha conosciuto fasi differenti.
• In questo senso si qualifica la rivelazione come «storica», per indicare l’ingresso
di Dio nelle vicende del popolo eletto e per specificare ulteriormente le modalità
della rivelazione.
• La parola con la quale Dio aveva creato il cielo e la terra, diventa ora una parola
che interpella l’uomo e il popolo eletto ad assumere le proprie responsabilità.
Dio interviene provocando a riconoscere i segni della sua presenza, e a partire da
essi chiede ad ognuno di vivere secondo i canoni dell’alleanza.
• Il popolo risponde a YHWH con la fede, accettando le sue parole e mettendole in
pratica. Il testo di Esodo esprime, in un atto solo, l’essenza dell’alleanza: «Se
darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una
proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra. Voi sarete per
me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6).
Nuovo Testamento e Alleanza sinaitica
• Solo alla luce del Nuovo Testamento, si comprende a pieno il valore
dell’alleanza sinaitica.
• Gesù che celebra la Pasqua con i suoi discepoli esprime la stessa autorità di
Dio; egli solo, pertanto, è in grado di realizzare l’alleanza nel suo «sangue»
(Mc 14,24; Mt 26,28; Lc 22,20; 1 Cor 11,25) che avrà d’ora in poi valore
salvifico universale.
• Al sacrificio fatto al Sinai con cui si erano immolati gli animali e con il cui
sangue Mosè aveva asperso il popolo (Es 24,8), si sostituisce ora il sangue
dell’agnello innocente che rende il sacrificio completamente e
radicalmente nuovo.
• Solo adesso, la nuova alleanza assume i tratti della definitività, perché
coniuga e sintetizza in sé in un solo atto, sacrificio dell’alleanza, sacrificio
espiatorio e nuova Pasqua di Dio in mezzo al suo popolo
- Tappa della rivelazione profetica
• E sempre nell’orizzonte dell’alleanza che si comprende il n. 64 che segna la tappa della
rivelazione «profetica». Il profetismo accompagna trasversalmente l’intera storia del
popolo.
• Nei momenti del tradimento il profeta rimane come «sentinella» vigile, per
richiamare la fedeltà al patto; nella deportazione, fa udire la sua voce come
consolazione e speranza; nel ritorno in patria, egli diventa strumento di rinnovamento
e misericordia che tocca l’uomo nella radice più profonda del cuore e non gli permette
di accontentarsi della sola osservanza formale della legge.
• Il ruolo dei profeti nella storia della rivelazione è essenziale perché evidenzia la
mediazione privilegiata che Dio assume per comunicare con il suo popolo. Egli parla
attraverso i profeti (Ger 1,9; Ez 3,1-3); la sua stessa voce risuona nei segni che il
profeta pone in atto; l’obbedienza che è richiesta al profeta è totale e la sua morte
segna l’estremo e incondizionato votarsi alla parola che gli è stata rivolta…
• Nonostante il peccato e il tradimento, l’amore di Dio e la fedeltà alla sua Parola
mantengono il primato. La rivelazione profetica rilegge i temi dell’esodo prospettando
nel futuro del popolo un nuovo esodo e una nuova alleanza…
Cristo Gesù «mediatore e pienezza
di tutta la rivelazione»
• La presentazione della rivelazione in Gesù Cristo permette al CCC di raggiungere il
culmine dell’insegnamento sulla rivelazione
• Aprendo il paragrafo con la citazione iniziale della Lettera agli Ebrei, lo sguardo va
inevitabilmente a posarsi sulla dialettica che l’autore sacro ha voluto porre tra gli
elementi espressi nelle diverse tappe della rivelazione nell’Antico Testamento e la
novità espressa da quella di Gesù:
• «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri
per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo
del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto
anche il mondo» (Eb 1,1-2).
• Ciò che l’autore della lettera agli Ebrei vuole insegnare, infatti, è che Dio ha
instancabilmente cercato con l’essere umano un rapporto di vero amore come
tra due persone…
• La rivelazione non è primariamente un insieme di dottrine o di conoscenze, ma
l’incontro con una persona.
Gesu, rivelazione e rivelatore
• La stessa citazione di Eb 1,1-2 la si trova anche in DV 4 ed è necessario tornare a questo punto
se si vuole giungere a una comprensione globale del tema. In DV, in effetti, si nota una
presentazione progressiva della rivelazione in Cristo che a partire dal Proemio giunge fino al n.
4 dove i Padri conciliari compiono una identificazione tra il contenuto della rivelazione e il
rivelatore. Poiché Gesù è il «Verbo fatto carne» e «parla le parole di Dio», non si dà più
differenza alcuna tra ciò che egli è come rivelatore e come contenuto della rivelazione stessa.
• La sua parola in nulla differisce da quella del Padre, perché egli l’ha sentita pronunciare
all’interno del Padre stesso (cf Gv 5,38); le opere che egli compie sono le stesse che ha visto
compiere dal Padre (cf Gv 5,36); la testimonianza che egli offre è convalidata dal Padre stesso
al quale lui rende testimonianza perché a lui, e solo a lui, rinvia costantemente per far
comprendere la sua vita come missione obbedienziale che ha ricevuto da Dio (cf Gv 5,31-34).
• La pienezza e definitività della rivelazione, pertanto, si compie per il fatto che Gesù è la
seconda persona della Trinità, il Verbo che si fa uomo; egli è Dio come il Padre che con
l’incarnazione parla in linguaggio umano. Nessuno meglio di lui poteva esprimere il mistero di
Dio, perché solo lui
• lo conosce perfettamente in quanto è Dio. Ciò che permette di giungere a questa identità è la
citazione del testo di Giovanni: «Chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9). Con questa
consapevolezza si delinea la definitività della rivelazione;
- La Rivelazione dopo Cristo
• Il n. 67 conclude questo capitolo suggerendo due problemi di vasta portata e di
attualità: il problema delle rivelazioni dopo Cristo e la specificità della rivelazione
cristiana nei confronti di altre religioni che avanzano la stessa pretesa rivelativa…
• Per quanto riguarda la specificità della rivelazione cristiana nei confronti delle
altre religioni, è opportuno ricordare quanto il Vaticano II insegnava in NA:
• «La Chiesa nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa
considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e
quelle dottrine che, quantunque divergano in molti punti da quanto essa stessa
crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che
illumina tutti gli uomini» (n. 2).
• In forza della rivelazione, comunque, la Chiesa non può venire meno alla sua
missione di annunciare che Cristo è «la via la verità e vita» (Gv 14,6).
• Il dialogo interreligioso si apre alla recezione di elementi positivi e veritativi
presenti nelle diverse esperienze religiose, non rinunciando, comunque, al valore
normativo e salvifico che la rivelazione di Gesù Cristo possiede per la fede
cristiana…

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  • 1. LA RIVELAZIONE DI DIO Rino Fisichella
  • 2. Dio rivela il suo «disegno di benevolenza» • E a partire dalla rivelazione di Dio, infatti, che diventa possibile comprendere il contenuto della fede cristiana. In soli tre capoversi, seguendo una formulazione classica, il CCC presenta i tratti fondamentali della rivelazione: in che cosa consiste, i contenuti che la formano, e il fine verso cui tende. • La citazione di DV, con cui si apre il capitolo, costituisce lo scenario su cui porre il concetto di rivelazione: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare sé stesso e far conoscere il mistero della sua volontà» (n. 2). • Da questa espressione si desume che l’atto della rivelazione è concepito come l’autocomunicazione di Dio. Egli esce dal silenzio del suo mistero per farsi conoscere e comunicare se stesso con lo scopo di una comunione di vita con l’umanità. • Questo testo va posto in relazione con il Proemio della Cost. dogm. Citando 1 Gv 1,2-3, il Concilio rende evidente la sua intenzione di introdurre nel mistero che ha permesso la salvezza dell’umanità. In questo contesto, è facile comprendere che l’espressione migliore con la quale il Concilio intende la rivelazione sia quella di amore
  • 3. - Rivelazione di Dio, come un atto di amore libero e gratuito • La rivelazione di Dio, infatti, è un atto di amore libero e gratuito che null’altro desidera se non il bene della persona amata. E un amore tale che ama senza alcuna possibilità di contraccambio. • Concepire la rivelazione alla luce dell’amore, come il principio che la informa, permette al credente di porsi alla sequela di Cristo, farsi suo discepolo, assumendo la sua legge che non è altro che amore. • Questa scelta in nulla lo umilia, ma in tutto lo realizza perché la vocazione umana è l’amore. Nello stesso tempo, il credente può rivolgersi al Padre nell’atto di piena fiducia e abbandono, chiedendo che si compia sempre la sua volontà. • Egli, infatti, è cosciente e certo che la volontà di Dio potrà esprimersi sempre e solo alla luce dell’amore.
  • 4. - Contenuto e l’atto della rivelazione • Contenuto della rivelazione è Dio nel suo mistero trinitario. • La «luce inaccessibile» in cui egli abita viene diradata dall’evento dell’incarnazione in cui uno della Trinità diventa uomo. • In questo evento, unico e irrepetibile, l’atto con il quale Dio si rivela non è più scindibile dal contenuto stesso che viene rivelato. • Rivelatore e rivelazione si identificano nella persona del Figlio fatto carne, che diventa il vero «interprete» della vita divina (Gv 1,18). • Questa dimensione verrà chiarificata nei numeri successivi, dove il CCC, sulla stessa lunghezza d’onda di DV, passa in rassegna le diverse tappe dell’economia della rivelazione per giungere fino al suo culmine: • Cristo Gesù «mediatore e pienezza di tutta la rivelazione» (DV2).
  • 5. Il fine della rivelazione, salvezza, partecipazione… • Il fine della rivelazione è la salvezza umana, o meglio la sua partecipazione alla vita divina. L’atto con il quale Dio rivela se stesso è un atto di amore, che si estende a tutta l’umanità e a ogni persona come chiamata di grazia alla condivisione. • La salvezza viene spiegata alla luce del testo di Giovanni: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La rivelazione in Gesù Cristo, quindi, supera quella che si è resa visibile nella creazione. Nella creazione ognuno è chiamato a riconoscere e lodare Dio come creatore; in Gesù Cristo, invece, l’essere umano è invitato alla partecipazione della vita divina come figlio… • Una piena conoscenza di Dio, quindi, non si può avere a partire dalla creazione, ma ha bisogno di raggiungere l’evento dell’incarnazione, con la quale Dio stesso si fa conoscere come una persona che viene incontro all’uomo chiedendo la risposta della fede in lui.
  • 6. - La rivelazione nell orizzonte biblico-patrisitico • Con la DV il Concilio affrontava il tema della rivelazione nell’orizzonte di una comprensione maggiormente biblico-patristica, facendo emergere primariamente la componente storico-salvifica. Rileggere la rivelazione alla luce della storia della salvezza, comunque, equivale a compiere un duplice movimento: • da una parte, si realizza il ritorno alla fonte originaria della rivelazione, la Parola di Dio; • dall’altra, si evidenzia l’originalità della rivelazione cristiana nei confronti di ogni altra possibile rivelazione. Il ritorno alla prospettiva biblica va di pari passo con il recupero dell’orizzonte salvifico della rivelazione. Il Dio che si rivela è il Padre che entra nella storia umana per comunicare il suo amore e per entrare in una relazione di amicizia e di comunione.
  • 7. La rivelzione come primato de Dio… • Lo attesta con grande forza l’espressione: «Nel suo grande amore Dio parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2 con i richiami biblici a Es 33,11; Bar 3,38; Gv 15,14-15). • Con poche parole, i Padri conciliari affermano il primato di Dio nel rivelarsi; nello stesso tempo, comunque, esprimono la modalità della rivelazione. Essa è frutto dell’amore e consente di avere una presenza costante, permanente e continuativa di Dio in vista della partecipazione alla sua vita di amore. • Dio quindi non solo si rivela, ma si «intrattiene»; cioè permane a lungo, perché l’invito alla partecipazione della vita divina sia un vero atto di libertà personale con il quale ogni persona realizza se stessa nella comunione di vita con Dio.
  • 8. - Dei Verbum e Dei Filius • Per quanto concerne più direttamente l’evento della rivelazione, si deve notare un passaggio estremamente importante che è compiuto dalla DV nei confronti della DF: • la rivelazione passa da una presentazione di ordine «gnoseologico» a uno di ordine «salvifico». • Mentre in DF, la rivelazione era interpretata alla luce di un insegnamento dato per via soprannaturale, DV recupera la dimensione veritativa nell’orizzonte della storia della salvezza: • Dio si autocomunica, ma lo fa entrando nella storia e sottoponendosi ad essa nei suoi limiti.
  • 9. - Le tappe della rivelazione • La teologia successiva al Vaticano II ha preferito una divisione che cerca di recuperare maggiormente i dati veterotestamentari ed è quella assunta dal CCC. • Si è soliti ormai stabilire i tre grandi passaggi: • 1) la rivelazione attraverso la natura; • 2) attraverso la storia di Israele; • 3) mediante i profeti. • Ogni suddivisione comporta chiaramente limiti e pregi; ma al di là di questo, comunque, è facile scorgere l’idea sottostante: un progresso continuo e permanente di Dio, quasi una sua propria pedagogia per giungere all’evento finale: Gesù Cristo.
  • 10. La comprensione cristiana della rivelazione • Perché questi testi non siano letti in chiave riduzionista, è bene sottolineare che il CCC, percorrendo il cammino tracciato dalla DV, non può prescindere dal porre queste diverse tappe alla luce dell’incarnazione. • DV 2, ripetutamente citato nei tre paragrafi in questione, come pure lo stesso par. 53, che si conclude con la prospettiva della rivelazione che «risplende» nella sua pienezza in Cristo, non fanno altro che esprimere questa centralità. • La stessa cosa si nota con la citazione di DV 3 che introduce il paragrafo sulla rivelazione attraverso la creazione che trova piena luce nel mistero dell’incarnazione: «Dio il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo». • Questi riferimenti mostrano che il fondamento di questo insegnamento è da ricondurre al principio cristologico. • La comprensione cristiana della rivelazione, quindi, nelle sue diverse manifestazioni, può efficacemente essere riconosciuta come storia della salvezza operata da Dio a partire dalla sua fine; là dove si realizza il compimento della rivelazione stessa: Gesù di Nazaret nel suo mistero pasquale.
  • 11. La creazione • La «creazione», ancora una volta, è posta come lo scenario necessario su cui porre la prima rivelazione di Dio. Essa permane nella storia anzitutto come fatto iniziale con il quale il Dio Trino dà avvio alla rivelazione del suo progetto salvifico che né peccato né tradimento potranno mai distruggere (n. 55). • Nello stesso tempo, la creazione permane un atto dinamico e vivo nella storia, e continuerà fino alla fine dei tempi, quando tutto sarà ricapitolato in Cristo (Ef 1,10; Col 1,16.20). • La rivelazione tramite il cosmo permette di riconoscere, anzitutto, che la creazione è dono gratuito di Dio, ed egli è all’origine di ogni cosa. Lo esprime chiaramente il profeta quando dice: «Io, il Signore, sono il primo» (Is 41,4); o ancora: «Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l’uomo; io con le mani ho dispiegato i cieli e do ordini a tutto il loro esercito» (Is 45,12). • Si evidenzia, inoltre, nello stesso momento che l’uomo è creato a immagine del Creatore e porta in sé il riflesso della divinità.
  • 12. - la creazione e la presenza del peccato • Il peccato non priva la rivelazione del suo aspetto di grazia; anzi, per usare le parole dell’Apostolo, «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). • Questa parte del CCC trova una sua significativa esplicitazione nella Lett. enc. LS di papa Francesco. Il Papa mentre analizza il «mistero dell’universo», lo legge e interpreta alla luce dell’amore (cf n. 76). • Il creato è una «carezza di Dio» (n. 84) e nella sua contemplazione è possibile cogliere la novità della rivelazione divina: «Questa contemplazione del creato ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare, perché “per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa”. • Possiamo dire che “accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte”. Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature» (n. 85).
  • 13. L’alleanza: nella storia della rivelazione • Il passaggio che ora il CCC compie è quello di presentare la seconda tappa della storia della rivelazione: l’«alleanza». Non dovrà meravigliare la forte sottolineatura e lo spazio dedicato all’alleanza con Noè. La sua figura è carica delle caratteristiche che sono offerte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. In particolare, comunque, nella persona di Noè si evidenzia il carattere universale dell’alleanza di Dio con l’umanità e il suo carattere sociale. • L’alleanza con Noè, infatti, è figura di un’alleanza che toccherà per sempre le «nazioni», cioè i popoli (cf n. 58). La rivelazione di Dio, offerta con l’alleanza a Noè, non si limiterà più ad un singolo soggetto o a una sola nazione, ma si aprirà ai popoli e alle nazioni intere. • Questo permette di vedere un’idea sottostante che viene esplicitata nel n. 57: la divisione tra i popoli è un male oggettivo; esso è sempre all’erta ogni qual volta si distrae il volto da Dio, sorgente di unità e di pace. Forme di idolatria o di politeismo, che assumono oggi nelle diverse società nuovi nomi e nuovi volti, indicano un cammino provvisorio e non permettono di finalizzare né la storia personale né quella universale.
  • 14. Noè, come segno di consolazione • La figura di Noè è particolarmente significativa in proposito. Egli è assunto come prototipo della persona giusta che fruisce della salvezza nonostante il peccato e il male dell’umanità (Sir 44,17-18). • Noè, come il nome stesso attesta (Noab), è segno di consolazione per avere ascoltato la parola di YHWH. Egli, comunque, diventa soprattutto immagine dell’intera umanità con la quale Dio si riconcilia per sempre: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo... né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto» (Gn 8,21). L’universalità di questa alleanza fatta con Noè rimarrà nella storia del popolo come il segno di una paziente misericordia che Dio nutre nei suoi confronti: • «Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti» (Is 54,9).
  • 15. Noe nel NT (coraggio – coerenza -) • Alla luce di una lettura neotestamentaria, la figura di Noè, posta a questo punto del CCC, dovrebbe richiamare anche alla vigilanza permanente che il credente deve avere davanti all’attesa del ritorno del Signore (Mt 24,37). • In un mondo in cui spesso il cristiano diventa una voce isolata, ma non per questo meno profetica, la figura di Noè ricorda il coraggio della testimonianza (2 Pt 2,5) e la coerenza della fede (Eb 11,7). • L’alleanza universale ed eterna che viene qui proposta, permette di vedere un ulteriore tratto saliente della rivelazione: il peccato non potrà mai avere il sopravvento sull’amore di Dio, perché nella morte del Crocefisso ogni uomo viene salvato dal diluvio della morte e dell’autodistruzione. • Passando attraverso le acque del battesimo, infatti, ognuno può rinascere a una vita nuova.
  • 16. l’alleanza con Abramo, un’ulteriore tappa della rivelazione • E su questo orizzonte, che si può leggere un’ulteriore tappa della rivelazione che il CCC presenta con i nn. 59-61: l’alleanza che Dio compie con Abramo, «padre di tutti i credenti» (Rm 4,11.18). • La figura di Abramo, come risulta dalle tre tradizioni bibliche - elohista, yahwista e sacerdotale - che vengono a confluire in Gn 12-25, è quella dell’uomo chiamato da Dio per compiere l’alleanza che si sarebbe trasmessa per intere generazioni. Messo alla prova, ma colmato di benedizioni, Abramo risponde con l’abbandono fiducioso e totale a questa chiamata, fidandosi solo della promessa che gli viene fatta. • Dio è sempre il primo che interviene. Il primato si riconosce nella chiamata a seguire la sua volontà, come pure nel proporre l’alleanza. Non c’è alternativa; è Dio che sceglie Abram; è sua la proposta dell’alleanza; sua la promessa. L’espressione: «Io ti darò», risuona come un ritornello in tutti i testi che riguardano Abramo: la «terra», la «fecondità di Sara», il «figlio Isacco», una «generazione numerosa come le stelle del cielo»... tutto è dono e grazia che si pone davanti ad Abramo perché «il Signore lo aveva benedetto in tutto» (Gn 24,1). • Ciò che, tuttavia, risalta come un fattore determinante è che la vocazione di Abramo sia finalizzata alla sua «paternità». La chiamata non è individuale, ma universale: «Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra» (Gn 22,18).
  • 17. - Noe e Abramo • Come in Noè Dio aveva promesso un’alleanza universale ed eterna con la quale non avrebbe mai più distrutto il frutto della sua creazione, così in Abramo Dio rende visibile il primo abbozzo di questa benedizione e promessa. • Mentre in Noè la benedizione di Dio possedeva dei tratti generici, perché si estendeva su tutto, in Abramo invece essa diventa concreta, perché focalizzata sull’uomo che ha fede in lui. • A partire da Abramo, quindi, si apre ancora una volta la prospettiva universale della rivelazione di Dio che ha chiamato ed eletto tutti gli uomini, specialmente coloro che erano lontani, a partecipare alla sua mensa. Nessuno più sarà escluso (cf Gv 12,20), perché la morte del Figlio possiede un valore universale: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Innestandosi sull’«olivo buono» (Rm 11,24), la Chiesa non può rinunciare alla storia del popolo su cui si è inserita.
  • 18. - L’Alleanza nella storia della salvezza • Nella storia, e nelle diverse vicende che la compongono, Israele ha conosciuto l’azione rivelatrice e salvatrice di YHWH. A partire da qui, quindi, ha preso avvio la storia della rivelazione come oggi la conosciamo anche se, cronologicamente, la rivelazione ha conosciuto fasi differenti. • In questo senso si qualifica la rivelazione come «storica», per indicare l’ingresso di Dio nelle vicende del popolo eletto e per specificare ulteriormente le modalità della rivelazione. • La parola con la quale Dio aveva creato il cielo e la terra, diventa ora una parola che interpella l’uomo e il popolo eletto ad assumere le proprie responsabilità. Dio interviene provocando a riconoscere i segni della sua presenza, e a partire da essi chiede ad ognuno di vivere secondo i canoni dell’alleanza. • Il popolo risponde a YHWH con la fede, accettando le sue parole e mettendole in pratica. Il testo di Esodo esprime, in un atto solo, l’essenza dell’alleanza: «Se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra. Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6).
  • 19. Nuovo Testamento e Alleanza sinaitica • Solo alla luce del Nuovo Testamento, si comprende a pieno il valore dell’alleanza sinaitica. • Gesù che celebra la Pasqua con i suoi discepoli esprime la stessa autorità di Dio; egli solo, pertanto, è in grado di realizzare l’alleanza nel suo «sangue» (Mc 14,24; Mt 26,28; Lc 22,20; 1 Cor 11,25) che avrà d’ora in poi valore salvifico universale. • Al sacrificio fatto al Sinai con cui si erano immolati gli animali e con il cui sangue Mosè aveva asperso il popolo (Es 24,8), si sostituisce ora il sangue dell’agnello innocente che rende il sacrificio completamente e radicalmente nuovo. • Solo adesso, la nuova alleanza assume i tratti della definitività, perché coniuga e sintetizza in sé in un solo atto, sacrificio dell’alleanza, sacrificio espiatorio e nuova Pasqua di Dio in mezzo al suo popolo
  • 20. - Tappa della rivelazione profetica • E sempre nell’orizzonte dell’alleanza che si comprende il n. 64 che segna la tappa della rivelazione «profetica». Il profetismo accompagna trasversalmente l’intera storia del popolo. • Nei momenti del tradimento il profeta rimane come «sentinella» vigile, per richiamare la fedeltà al patto; nella deportazione, fa udire la sua voce come consolazione e speranza; nel ritorno in patria, egli diventa strumento di rinnovamento e misericordia che tocca l’uomo nella radice più profonda del cuore e non gli permette di accontentarsi della sola osservanza formale della legge. • Il ruolo dei profeti nella storia della rivelazione è essenziale perché evidenzia la mediazione privilegiata che Dio assume per comunicare con il suo popolo. Egli parla attraverso i profeti (Ger 1,9; Ez 3,1-3); la sua stessa voce risuona nei segni che il profeta pone in atto; l’obbedienza che è richiesta al profeta è totale e la sua morte segna l’estremo e incondizionato votarsi alla parola che gli è stata rivolta… • Nonostante il peccato e il tradimento, l’amore di Dio e la fedeltà alla sua Parola mantengono il primato. La rivelazione profetica rilegge i temi dell’esodo prospettando nel futuro del popolo un nuovo esodo e una nuova alleanza…
  • 21. Cristo Gesù «mediatore e pienezza di tutta la rivelazione» • La presentazione della rivelazione in Gesù Cristo permette al CCC di raggiungere il culmine dell’insegnamento sulla rivelazione • Aprendo il paragrafo con la citazione iniziale della Lettera agli Ebrei, lo sguardo va inevitabilmente a posarsi sulla dialettica che l’autore sacro ha voluto porre tra gli elementi espressi nelle diverse tappe della rivelazione nell’Antico Testamento e la novità espressa da quella di Gesù: • «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2). • Ciò che l’autore della lettera agli Ebrei vuole insegnare, infatti, è che Dio ha instancabilmente cercato con l’essere umano un rapporto di vero amore come tra due persone… • La rivelazione non è primariamente un insieme di dottrine o di conoscenze, ma l’incontro con una persona.
  • 22. Gesu, rivelazione e rivelatore • La stessa citazione di Eb 1,1-2 la si trova anche in DV 4 ed è necessario tornare a questo punto se si vuole giungere a una comprensione globale del tema. In DV, in effetti, si nota una presentazione progressiva della rivelazione in Cristo che a partire dal Proemio giunge fino al n. 4 dove i Padri conciliari compiono una identificazione tra il contenuto della rivelazione e il rivelatore. Poiché Gesù è il «Verbo fatto carne» e «parla le parole di Dio», non si dà più differenza alcuna tra ciò che egli è come rivelatore e come contenuto della rivelazione stessa. • La sua parola in nulla differisce da quella del Padre, perché egli l’ha sentita pronunciare all’interno del Padre stesso (cf Gv 5,38); le opere che egli compie sono le stesse che ha visto compiere dal Padre (cf Gv 5,36); la testimonianza che egli offre è convalidata dal Padre stesso al quale lui rende testimonianza perché a lui, e solo a lui, rinvia costantemente per far comprendere la sua vita come missione obbedienziale che ha ricevuto da Dio (cf Gv 5,31-34). • La pienezza e definitività della rivelazione, pertanto, si compie per il fatto che Gesù è la seconda persona della Trinità, il Verbo che si fa uomo; egli è Dio come il Padre che con l’incarnazione parla in linguaggio umano. Nessuno meglio di lui poteva esprimere il mistero di Dio, perché solo lui • lo conosce perfettamente in quanto è Dio. Ciò che permette di giungere a questa identità è la citazione del testo di Giovanni: «Chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9). Con questa consapevolezza si delinea la definitività della rivelazione;
  • 23. - La Rivelazione dopo Cristo • Il n. 67 conclude questo capitolo suggerendo due problemi di vasta portata e di attualità: il problema delle rivelazioni dopo Cristo e la specificità della rivelazione cristiana nei confronti di altre religioni che avanzano la stessa pretesa rivelativa… • Per quanto riguarda la specificità della rivelazione cristiana nei confronti delle altre religioni, è opportuno ricordare quanto il Vaticano II insegnava in NA: • «La Chiesa nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque divergano in molti punti da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (n. 2). • In forza della rivelazione, comunque, la Chiesa non può venire meno alla sua missione di annunciare che Cristo è «la via la verità e vita» (Gv 14,6). • Il dialogo interreligioso si apre alla recezione di elementi positivi e veritativi presenti nelle diverse esperienze religiose, non rinunciando, comunque, al valore normativo e salvifico che la rivelazione di Gesù Cristo possiede per la fede cristiana…