1. Quanto vale la Bellezza dei Navigli.
di Giuseppe Ucciero
Che lo sviluppo porti con sé necessariamente degrado ambientale ed abbrutimento dei luoghi
è un lascito dell’era industriale ed un pregiudizio difficile da smontare. Fa il paio con
quell’altra visione delle cose per cui la sinistra è poco interessata al bello, essendo i suoi
sostenitori più sensibili all’indispensabile che al “superfluo”.
Questa categoria interpretativa è fuorviante: la capacità, e prima ancora la disposizione del
genere umano, di compiere i gesti più elementari della sopravvivenza biologica intrecciandoli
strettamente con i simboli ed il gusto personale, afferma l’autonomia dell’umano rispetto al
necessario: incrociare vimini in un modo piuttosto che in un altro, decorarsi con segni o
abbellirsi con conchiglie, sono gesti che esprimono non il superfluo della nostra esistenza
umana, ma esattamente il contrario, l’essenziale. Il Design, come segno estetico della
funzione, non è nato con il Fuori Salone.
Nonostante l’evidenza storica e quotidiana di queste elementari considerazioni, il brutto ci
circonda, legittimato dalla leggenda che lo vuole come necessario compagno dell’utile e del
contemporaneo. La sinistra poi è spesso caduta nell’equivoco, accettando lo sviluppo
tecnologicamente distruttivo come il prezzo da pagare per assicurare livelli minimi di
sopravvivenza a larghi strati sociali esclusi: la bruttezza insostenibile delle realizzazioni
socialiste è pari soltanto alla gravità dei suoi disastri ambientali. Possiamo dire che si trattava
di un necessario passaggio storico? Non importa alla fine più che tanto, quando si è ormai
fatta strada una visione del mondo e delle cose che include il Bello come fattore produttivo
specifico della nostra società: l’Economia dell’Immagine si fonda sulla categoria della
Bellezza e del Gusto, ancorchè distorti.
Venendo a noi, pensiamo ai Navigli, a quel prezioso sistema di valori, cultura, memorie,
simboli e pratiche, che si sono via via sedimentati tra la Darsena, le due alzaie, e nei territori
circostanti. Pensiamo al motivo per cui proprio in questi luoghi e non in altri, così come in
Piazza Vetra o in Brera, si sono localizzati, addensandosi in una concentrazione elevatissima,
i servizi per il loisir urbano, per quel bel vivere che attira ogni sera, in un pendolarismo
quotidiano volontario, migliaia di persone. Se pensiamo a tutto ciò e ci chiediamo cosa
chiama a sé, da tutta la città e dalla metropoli milanese, giovani e meno giovani, siamo
costretti a riconoscere nella Bellezza dei Luoghi il fattore distintivo, la risorsa – valore sociale
capace di generare servizio – valore economico. Non c’è dubbio, non si va a sera sui
casermoni di Lorenteggio o sui Navigli coperti di Via Senato. Si va a prendere il fresco ed
un’occhiata di Bello sui Navigli perché lì sono Storia e Natura, in un intreccio unico: il
Sociale. Questa specifica dotazione locale di Bellezza è la risorsa che alimenta la produzione
quotidiana di valore economico.
2. E se così è, non si vede come si possa negare che la sua riproduzione quotidiana costituisca la
garanzia della riproduzione del valore economico d’impresa.
Non pensiamo di aver detto nulla di particolarmente nuovo, e proprio per questo, non si può
non essere stupiti, amareggiati e quasi disarmati, di fronte alla desolazione dei luoghi che
abbiamo appena ricordato. Su tutti, lo scempio della Darsena, luogo simbolo della Milano
città d’acqua, che potrebbe aggiungere Bellezza a bellezza, respiro dello Sguardo al nostro
occhio, attrazione nuova a chi Desidera, e quindi Valore a valore, e invece giace manomesso e
deturpato. E cosa pensare poi dello stato delle Alzaie e cosa del susseguirsi senza soluzione di
continuità di insediamenti del divertimento (le “Quinte” della Movida) che, non regolati,
consumano la Bellezza e così facendo distruggono i loro stessi guadagni futuri?
Difficilmente possiamo trovare a Milano un luogo in cui si coglie così stretta la relazione, e
non l’opposizione, tra il bello e l’utile, tra l’immateriale e l’economico, tra il Valore Sociale
ed il Valore d’impresa. Ed altrettanto difficilmente possiamo trovare a Milano un luogo in cui
questa relazione viene negata dalla aggressività senza prospettive di uno sfruttamento
vergognoso e pari, per la sua impudenza e per la sua gravità, al comportamento di una
pubblica amministrazione che sarebbe facile chiamare ignava, oltre che complice di piccoli
ma sostanziosi interessi privati senza futuro.
Ignava perché lascia residenti ed imprese a fronteggiarsi in un contenzioso ad armi dispari, ma
soprattutto perché del tutto indifferente alla comprensione di una politica attiva, all’altezza dei
tempi e della domanda di tutti, residenti, imprese ed ospiti, in grado di generare quella
maggior Qualità Urbana - Bene Comune che può aggiungere risorse sul tavolo del confronto e
della mediazioni.
Fuor di metafora: una Darsena rimessa a nuovo, una politica degli spazi verdi (micro e
macro), un’azione di attrazione di flussi turistici che facciano vivere il quartiere nelle ore, i
giorni, e le stagioni, non ingolfate dalla Movida, non sono tutti elementi di una dimensione
urbana più vivibile, socievole, fruibile ed al tempo stesso economicamente attraente ?
Non è allora vero che la Bellezza è al tempo stesso Dono sociale e Motore della creazione del
valore d’impresa?
Noi lo affermiamo perché pensiamo che la Bellezza sia sinonimo e non contrario di sviluppo,
lo crediamo perché siamo convinti che la sinistra debba rivendicare a sé il compito di farsi
promotrice del Bello e non solo del necessario, perché infine crediamo che siamo nati come
donne ed uomini non per compiere i gesti automatici e compulsivi, e per questo anonimi, della
sopravvivenza biologica, ma quelli ricchi di senso, di gusto e di individualità, che affermano il
Bello come piena espressione della nostra autonomia.