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Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 
Commissioni riunite V della Camera dei Deputati e 5a del Senato della Repubblica 
Camera dei Deputati, 13 ottobre 2014
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In questa relazione per la prima volta l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), costituito nello scorso maggio, esprime le proprie valutazioni su un documento di finanza pubblica, in particolare sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014. I temi trattati in questo documento costituiranno l’ossatura del Rapporto che verrà reso pubblico all’inizio del prossimo mese. 
La prima sezione della relazione è dedicata all’analisi del quadro macroeconomico tendenziale e programmatico per presentare sia l’esito del processo di validazione del 2014-15 sia le valutazioni sul periodo successivo 2016-18 e sui rischi sottostanti all’intero quadro di previsione. La sezione successiva esamina gli andamenti tendenziali di finanza pubblica presentati nella Nota di aggiornamento e discute il quadro finanziario programmatico. La sezione finale della relazione è dedicata alla discussione della sussistenza delle circostanze che consentono un allontanamento dagli obiettivi di finanza pubblica, come definiti dall’ordinamento europeo e da quello nazionale, e del rispetto delle regole di bilancio. 
1. Il quadro macroeconomico 
L’UPB sottopone all’esercizio di validazione le previsioni macroeconomiche pubblicate nella Nota di aggiornamento che per la prima volta distinguono tra uno scenario tendenziale (che incorpora le previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente) e uno programmatico che sconta gli effetti delle misure di finanza pubblica che il Governo intende adottare con il disegno di legge di stabilità). Sebbene la normativa europea richieda soltanto la validazione delle previsioni macroeconomiche programmatiche 2014-15, l’UPB ha concordato con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) di estendere l’esercizio di validazione anche alle previsioni macroeconomiche tendenziali 2014-15. 
L’UPB ha trasmesso il 29 settembre scorso al MEF la propria lettera di validazione sulle previsioni macroeconomiche tendenziali poi pubblicate nella Nota di
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aggiornamento, dopo che in precedenza aveva comunicato i propri rilievi su una prima versione di tali previsioni. Successivamente, il 10 ottobre scorso l’UPB ha validato le previsioni macroeconomiche programmatiche già pubblicate nella Nota di aggiornamento e che saranno riportate nel Documento programmatico di bilancio da inviare alla Commissione europea. L’UPB ha validato il quadro macroeconomico programmatico anche sulla base delle informazioni trasmesse dal MEF circa le ipotesi di finanza pubblica adottate nella Nota per il passaggio dal quadro macroeconomico tendenziale a quello programmatico. L’UPB ha valutato il realismo e l’affidabilità dei quadri macroeconomici presentati nella Nota anche per gli anni 2016-18. 
In estrema sintesi, il quadro macroeconomico tendenziale della Nota di aggiornamento del DEF stima una variazione del PIL negativa per l’anno in corso (-0,3 per cento) e una ripresa, sia pure modesta, nel 2015 (0,5 per cento). Si tratta di una drastica revisione verso il basso rispetto a quanto previsto nell’aprile scorso con il DEF (0,8 per cento per il 2014 e 1,3 per il 2015) motivata dalla Nota di aggiornamento dal mutato scenario internazionale (minore crescita del commercio mondiale, diverso comportamento dei concorrenti internazionali), dall’impatto degli interventi di politica economica (DL 66/2014) e dai ritardi di applicazione delle riforme approvate nel 2012-13. Alla ripresa prevista nella Nota contribuirebbe in modo significativo la domanda interna trainata dall’inversione di tendenza degli investimenti e dall’accelerazione dei consumi delle famiglie, anche grazie alle migliorate condizioni finanziarie legate alle azioni della BCE. I prezzi crescerebbero a ritmi assai modesti in assenza di spinte inflazionistiche estere e interne. Il tasso di disoccupazione resterebbe stabile su livelli storicamente elevati (12,6 per cento). Negli anni successivi al 2015 le previsioni tendenziali mostrano un’ulteriore, anche se contenuta, accelerazione del PIL (dallo 0,8 per cento nel 2016 all’1,2 nel 2018), di nuovo spinta primariamente dalle componenti della domanda interna (investimenti e consumi delle famiglie). L’inflazione continuerebbe ad aumentare sia pure in misura modesta, così come lievi segni di riduzione si registrerebbero sul fronte della disoccupazione. 
Rispetto a queste previsioni tendenziali il quadro macroeconomico programmatico – che, come detto, include l’impatto sull’economia dei nuovi interventi di finanza pubblica che saranno più compiutamente dettagliati nella legge di stabilità – mostra scostamenti limitati se si guarda al 2015: il PIL crescerebbe rispetto alla baseline di appena 0,1 punti percentuali in più, sospinto da un aumento dei consumi e degli investimenti, con sostanziale invarianza dei prezzi e della disoccupazione. Negli anni successivi, nonostante una politica di bilancio neutrale nel 2016 (rispetto al 2015) e restrittiva dal 2017, la dinamica incrementale del PIL si rafforzerebbe leggermente rispetto al tendenziale (0,2 nel triennio 2016-18), sostenuta soprattutto dalle nuove riforme strutturali annunciate (giustizia, pubblica amministrazione, competitività, mercato del lavoro).
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L’esercizio di validazione è stato condotto dall’UPB ricorrendo alle stime elaborate indipendentemente da una serie di previsori pubblici e privati (ISTAT, CER, Prometeia e REF.ricerche, di seguito indicati come panel UPB) mediante i rispettivi modelli macro-econometrici. 
Si è trattato di una strategia che, al di là dell’indisponibilità, in questa fase di avvio dell’attività, di un modello di previsione macroeconomica proprio dell’UPB – la cui costruzione richiede un orizzonte di lavoro almeno biennale –, è suggerita, data l’incertezza intrinseca delle previsioni macroeconomiche, dall’opportunità di ricorrere a più modelli di stima la cui combinazione produce in genere stime più affidabili e robuste di quelle basate su un singolo modello. Per garantire piena confrontabilità tra le stime della Nota e quelle elaborate dal panel UPB, gli esercizi di stima condotti dai previsori indipendenti hanno adottato variabili esogene internazionali (tasso di cambio, prezzo del petrolio, andamento del commercio internazionale) e ipotesi di finanza pubblica “a legislazione vigente” (rilevante per le previsioni macroeconomiche tendenziali) analoghe a quelle assunte dal Governo. Combinando le stime rilasciate dai diversi previsori del panel, l’UPB ha costruito specifici intervalli di validazione per ciascuna grandezza del quadro macroeconomico sia tendenziale, sia programmatico rispetto ai quali valutare la verosimiglianza delle previsioni formulate dal Governo. 
I risultati dell’analisi sono illustrati, con riferimento al 2015 e limitatamente alle variabili macroeconomiche che hanno un impatto più rilevante sulla finanza pubblica, nella Figura 1. Le previsioni della Nota cadono sempre nell’intervallo delle stime formulate dal panel UPB, sia per il quadro tendenziale sia per quello programmatico. Inoltre le previsioni della Nota si collocano quasi sempre nella coda di sinistra della distribuzione, ad indicazione di un sufficiente grado di prudenza da parte del Governo (nel caso delle importazioni, che concorrono negativamente alla formazione della domanda aggregata, la figura va interpretata nel senso contrario). 
Passando al triennio successivo 2016-18 le previsioni della Nota appaiono in qualche misura improntate a maggiore ottimismo rispetto a quelle del panel UPB. La Figura 2 confronta le previsioni sulla dinamica del PIL nel triennio con quelle del panel UPB distinguendo tra quadro tendenziale e programmatico. Anche se gli intervalli delle stime elaborate dai previsori si ampliano passando dal 2016 al 2018 – a conferma del fatto che il grado di incertezza aumenta con l’allungarsi dell’orizzonte –, va segnalato che, se si considera il quadro tendenziale, le previsioni del Governo si collocano sempre
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all’interno del campo di variazione del panel, eccetto che nel 2016 dove comunque la previsione ufficiale (0,8 per cento) è al di sotto del minimo del panel. 
Risultati diversi si hanno quando si considera il quadro programmatico: le previsioni di crescita della Nota in due anni su tre si collocano sull’estremo superiore dell’intervallo delle stime del panel, mentre nel terzo anno (2017) la previsione sorpassa il massimo del panel di ben 0,3 punti percentuali. 
Se tuttavia si depurassero le previsioni programmatiche dall’impatto stimato delle riforme strutturali annunciate, lo scenario cambierebbe: in tutti gli anni la previsione del Governo rientrerebbe ampiamente nel campo di variazione delle stime del panel. Questo risultato segnala dunque che l’effetto delle riforme strutturali è elemento critico della prospettiva di ripresa economica prefigurata dal Governo nel medio periodo. 
Al di là delle considerazioni svolte, vanno ricordati gli elementi di rischio che possono rendere fragili le prospettive di ripresa previste nella Nota. Questi riguardano principalmente: 
 la crescita del commercio internazionale che è esposta a forti incertezze, come indica la recente revisione verso il basso delle previsioni da parte della Word Trade Organization. Le tensioni geopolitiche in Ucraina e in Medio Oriente costituiscono un ulteriore fattore di rischio per il recupero dell’economia globale, anche perché potrebbero condurre a un aumento del prezzo del petrolio; 
 l’accelerazione della congiuntura Usa che potrebbe portare alla normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti, con la necessità per la Fed di anticipare la fase di crescita dei tassi d’interesse più di quanto già anticipato dai mercati. Ne potrebbero risultare influenzate le condizioni di finanziamento nella zona euro, nonostante una fase ciclica più sfavorevole, e probabilmente accresciute le tensioni finanziarie nelle economie emergenti; 
 le aspettative degli agenti economici a sostegno della ripresa della domanda interna che potrebbero tardare a concretizzarsi. In particolare, l’assenza di decisi segnali di miglioramento nel mercato del lavoro potrebbe condurre le famiglie a non ridurre i propri risparmi precauzionali. La ripresa degli investimenti delle imprese potrebbe essere più debole del previsto a causa del basso tasso di utilizzo degli impianti e delle incerte prospettive dell’attività economica;
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 i rischi di deflazione nell’area euro che potrebbero deprimere le aspettative di ripresa. 
Un fattore di incertezza che incide sulle previsioni di Governo, ma di natura diversa rispetto a quelli ora richiamati, è costituito dal passaggio al nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (SEC 2010) su cui la Nota di aggiornamento è costruita. La nuova metodologia di rilevazione statistica comporta innovazioni nella misurazione dell’economia (capitalizzazione delle spese in R&S, ridefinizione degli scambi con l’estero in base al principio del trasferimento di proprietà) e delle grandezze di finanza pubblica (diverso trattamento della spesa per armamenti e delle operazioni di swap sul debito pubblico, riperimetrazione della PA, riclassificazione di riduzioni di imposte e contributi). Le previsioni della Nota di aggiornamento sono state costruite sui dati annuali coerenti con il nuovo SEC 2010 diffusi dall’Istat il 22 settembre scorso. Questi tuttavia costituiscono una base statistica che richiede di essere confermata dal prossimo rilascio dei nuovi dati trimestrali di contabilità nazionale prevista per il 15 ottobre. Il Governo ha già annunciato che qualora ciò rendesse necessario una revisione significativa delle proiezioni macroeconomiche e di finanza pubblica presenterà al Parlamento una Relazione ad hoc con il nuovo quadro programmatico. 
Sulle prospettive di crescita prefigurate dal Governo nel proprio quadro programmatico per il 2016-18 incidono in misura determinante le riforme strutturali in corso di approvazione parlamentare o che saranno specificate nell’ambito della manovra di fine anno. La Nota di aggiornamento dedica particolare attenzione all’illustrazione degli effetti macroeconomici degli interventi strutturali sottolineando come tali misure dovrebbero avere riflessi positivi sulla sostenibilità di medio-lungo periodo delle finanze pubbliche anche attraverso un aumento della crescita potenziale. Le riforme strutturali di nuova attuazione (giustizia, PA, competitività e mercato del lavoro) dovrebbero produrre, nelle previsioni programmatiche del Governo, effetti positivi sulla crescita del PIL pari a 0,2 punti percentuali nel 2016 e 0,4 punti percentuali per il 2017 e il 2018. Ciò significa che il 20 per cento della crescita prevista nel 2016 sarebbe imputabile all’impatto delle riforme strutturali e questa incidenza salirebbe a circa il 30 per cento nel 2017 e 2018. 
La considerazione degli effetti macroeconomici delle riforme strutturali nel quadro programmatico del Governo, e la portata a loro attribuita, meritano una riflessione.
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Innanzitutto alcune riforme strutturali sono ancora in via di definizione il che rende difficile la valutazione del loro impatto sull’economia. 
In secondo luogo, almeno nell’esperienza del nostro paese, le riforme strutturali hanno sempre sofferto di pesanti ritardi nella fase di concreta implementazione, ritardi che hanno comportato successive revisioni dell’impatto a breve termine inizialmente stimato. Da ultimo, per esempio, la Nota di aggiornamento ha rivisto verso il basso gli effetti delle riforme adottate nel 2012-14 imputando tali revisioni sia a ritardi di implementazione sia al protrarsi della fase congiunturale negativa. Tali effetti, che sono già incorporati nell’andamento tendenziale a legislazione vigente, sarebbero stati fino ad oggi sostanzialmente neutralizzati dalla presenza di condizioni di domanda particolarmente deboli. 
Infine vanno considerati gli elementi di discrezionalità che caratterizzano i modelli generalmente utilizzati nell’esperienza internazionale per analizzare l’impatto macroeconomico delle riforme strutturali (per l’Italia i modelli ITEM, QUEST III e IGEM). 
Si tratta di modelli di equilibrio economico generale con cui viene stimato l’effetto sul prodotto potenziale e sull’occupazione di misure che siano quantificabili in termini di imposte, sussidi, spese per il welfare, riduzione dei costi di compliance o degli oneri regolatori sostenuti dalle imprese. La traduzione in indicatori quantificabili di input del modello (come detto imposte, sussidi, spese per il welfare, costo di compliance) di interventi complessi e articolati come sono appunto le riforme strutturali è però essenzialmente affidata alla valutazione discrezionale dell’analista, con conseguente rischio di errori e distorsioni nelle stime del loro impatto macroeconomico. Inoltre, i modelli citati valutano l’impatto delle riforme sul prodotto potenziale e non su quello effettivo: le riforme possono richiedere molto tempo dalla loro attuazione prima che dispieghino pienamente il loro impatto sul PIL effettivo, soprattutto quando il ciclo è particolarmente sfavorevole. La metodologia attualmente utilizzata per la predisposizione della Nota di Aggiornamento non pare distinguere tra impatto sul prodotto potenziale e quello effettivo. 
Tutte queste considerazioni evidenziano dunque che la stima degli effetti di crescita delle riforme strutturali è esercizio complesso e affetto da un elevato grado di incertezza. Un approccio prudenziale consiglierebbe pertanto di escludere gli effetti delle riforme strutturali dalla formulazione delle previsioni macroeconomiche.
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2. La finanza pubblica 
2.1 Il quadro tendenziale 
Con la Nota di aggiornamento del DEF, sono state riviste le previsioni di finanza pubblica rispetto a quanto indicato ad aprile, alla luce del peggioramento del quadro macroeconomico, degli effetti delle misure varate successivamente al DEF e del monitoraggio in corso d’anno. A questi elementi si è aggiunto un fattore straordinario costituito dal passaggio al nuovo SEC 2010. 
Da tale passaggio è derivato un aumento del PIL e una revisione al rialzo del livello complessivo delle entrate e delle spese del conto economico della PA (rispettivamente di 30,2 e di 28,2 miliardi nel 2013) con un effetto limitato sull’indebitamento netto (0,2 punti percentuali, al 2,8 per cento del PIL). 
Per il 2014, la Nota di aggiornamento del DEF prevede un aumento dell’indebitamento netto rispetto al 2013 dal 2,8 al 3,0 per cento del PIL e un peggioramento del saldo primario dal 2,0 all’1,7 per cento1. È attesa una lieve flessione della spesa per interessi. 
Tale quadro presenta andamenti opposti a quelli indicati nello scorso aprile, quando erano attesi una riduzione del deficit di 0,4 punti del prodotto e un corrispondente aumento del saldo primario (al 2,6 per cento). La motivazione risiede nel deterioramento del quadro macroeconomico, nell’ambito del quale il prodotto è previsto diminuire dello 0,3 per cento a fronte di un incremento dello 0,8 indicato nel DEF. 
Allineando il quadro tendenziale del DEF con gli effetti dei provvedimenti varati da aprile e dell’aumento del PIL connesso al solo passaggio al nuovo sistema contabile, il confronto con la Nota di aggiornamento evidenzia che il deterioramento macroeconomico di per sé ha determinato un peggioramento dell’andamento delle entrate che ha più che compensato la minore crescita delle spese correnti primarie e di quelle in conto capitale. L’andamento delle uscite correnti ha, tra l’altro, beneficiato della più ridotta dinamica prevista per le pensioni. Il minore incremento atteso per le 
1 I dati relativi al 2013 riportati nella Nota di aggiornamento (e utilizzati in questa audizione) sono quelli pubblicati dall’Istat il 22 settembre 2014. Essi non includono le lievi differenze segnalate dall’Istat il 3 ottobre in occasione del rilascio dei dati SEC 2010 per il periodo 1995-2013. Si tratta di un aumento dell’indebitamento netto di 600 milioni (a 45.958 milioni) dovuto a una riduzione sia delle imposte dirette sia di quelle in conto capitale di 300 milioni. L’incidenza sul PIL dell’indebitamento netto è rimasta invariata.
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erogazioni in conto capitale deriverebbe dalle indicazioni provenienti dall’attività di monitoraggio. 
Per le spese in conto capitale, in senso opposto ha invece operato l’aggravio dovuto al peso del nuovo trattamento di alcuni crediti di imposta per effetto del passaggio al SEC 2010. Si tratta in particolare dei crediti – vantati soprattutto dalle banche e da altre istituzioni finanziarie a fronte di crediti in sofferenza (cosiddette Deferred Tax Assets, DTA) – che in base al SEC 2010 devono essere contabilizzati in questa voce di bilancio in termini di competenza; è valutabile che ciò abbia comportato un aumento di tali spese dell’ordine di 5,5 miliardi (circa 2,5 nel 2013). 
I crediti di imposta cosiddetti “pagabili”, ossia che possono essere richiesti dal contribuente qualora superino il debito di imposta, non sono più registrati nel conto della PA come minori entrate fiscali; secondo il SEC 2010 devono essere contabilizzati come spesa nell’anno in cui si sono formati, senza avere effetto sulle entrate, che quindi vengono lordizzate per l’ammontare utilizzato come detrazione. In particolare, tali crediti d’imposta sono registrati tra le spese correnti o in conto capitale a seconda della loro natura. 
Quanto al peggioramento dell’evoluzione delle entrate connesso all’andamento dell’economia, dovrebbe risultare una contrazione particolarmente marcata dell’IRES e delle imposta sostitutiva sugli interessi dei depositi bancari, una sostanziale invarianza del gettito dell’IRPEF e una più contenuta dinamica dell’IVA. 
Nel 2015 la Nota di aggiornamento prevede una riduzione rispetto al 2014 dell’indebitamento netto di 0,8 punti percentuali, al 2,2 per cento del PIL, a fronte di una flessione di 0,6 punti attesa nel DEF. 
Il saldo primario aumenterebbe di 0,6 punti (0,4 nel DEF), al 2,3 per cento; la spesa per interessi si ridurrebbe ulteriormente di 0,2 punti del prodotto (come nel DEF), al 4,5 per cento. 
Il miglioramento del deficit, in presenza di un lieve aumento delle entrate (circa 0,2 punti percentuali), è previsto derivare principalmente da una riduzione delle spese totali (0,7 punti del prodotto), che diminuiscono in valore assoluto (-0,3 per cento) per la terza volta dal 1995, anno dal quale si dispone delle serie storiche secondo il SEC 2010. 
Correggendo le previsioni contenute nel DEF per tenere conto degli effetti dei provvedimenti varati successivamente alla sua presentazione, le spese sarebbero invece dovute aumentare dello 0,5 per cento.
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Il diverso andamento che emerge dalla Nota di aggiornamento rispetto al DEF deriva, tra l’altro, dalle nuove stime relative alle spese per interessi, a quelle per le pensioni e alle erogazioni in conto capitale. 
Le diverse stime riguardanti le prime due componenti di spesa possono essere ricondotte all’aggiornamento delle ipotesi sottostanti quali, rispettivamente, l’andamento dei tassi di interesse e il livello del tasso di indicizzazione dei trattamenti pensionistici. Per le spese in conto capitale la comprensione della differenza tra i due documenti è resa più complessa dalle limitate informazioni sulle componenti di questa voce; vi è una revisione al ribasso dei contributi agli investimenti (peraltro già presente nel 2014) e una caduta degli altri trasferimenti che potrebbe derivare dalla stima di un minore impatto delle DTA nel 2015. Su questo ultimo punto sono state richieste informazioni, che il Governo si è impegnato a fornire. 
Nel triennio 2016-18, la Nota di aggiornamento prevede una evoluzione dell’indebitamento netto dal 2,2 per cento del PIL atteso per il 2015 allo 0,8 nel 2018 (dal 2,0 allo 0,3 per cento nel DEF). Tale risultato deriverebbe da un aumento del saldo primario di 1,1 punti percentuali (al 3,4 per cento) e da un contributo della spesa per interessi (0,3 punti) in linea con quello atteso ad aprile. Il miglioramento del surplus primario è totalmente ascrivibile alla riduzione delle spese (1,4 punti percentuali del PIL, al 44,8 per cento), essenzialmente dovuta alla formulazione a legislazione vigente del conto; le entrate diminuiscono di 0,3 punti percentuali, al 48,2 per cento del prodotto. 
Tra il 2016 e il 2018, la spesa per interessi è stimata ridursi di 0,3 punti percentuali (al 4,2 per cento), variazione equivalente a quella attesa nel DEF (0,3 punti, al 4,8 per cento). Nella Nota si evidenzia un aumento temporaneo in termini nominali della spesa nel 2016 a parità di incidenza sul PIL. L’assenza di un profilo crescente nel biennio 2017-18 è in contrasto con le ipotesi del quadro macroeconomico tendenziale. L’impatto dei titoli indicizzati è stimato in base all’inflazione. Quest’ultima, valutata in termini di deflatore dei consumi, è prevista aumentare dallo 0,6 per cento nel 2015 all’1,2 nel 2016, per poi salire ulteriormente all’1,5 nel 2017 e 2018. Il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi con scadenza decennale è ipotizzato diminuire da 150 punti base del 2015 a 100 dal 2016 in poi. Tale valore risulta peraltro ottimistico rispetto a quello osservato nelle aspettative deducibili dagli andamenti di mercato.
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2.2 Il quadro programmatico 
Gli obiettivi indicati nel quadro programmatico della Nota di aggiornamento sono meno ambiziosi di quelli contenuti nel DEF. L’indebitamento netto è previsto scendere dal 3,0 per cento del PIL nel 2014 allo 0,2 nel 2018; nel DEF si programmava il passaggio da un deficit del 2,6 a un surplus dello 0,3 per cento. Nella Nota non viene fornito il dettaglio degli obiettivi programmatici per sottosettore (tranne che per il debito pubblico) previsto dalla L. 196/2009, art. 10bis, c. 1 in quanto i conti per sottosettore secondo il SEC 2010 non sono ancora disponibili. 
La variazione attesa del saldo primario tra il 2014 e il 2018 è ora pari a 2,2 punti percentuali (al 3,9 per cento del PIL), a fronte di un aumento di 2,4 punti (al 5,0) previsto nel DEF. 
Il raggiungimento dell’Obiettivo di medio termine (OMT), che per l’Italia è il pareggio di bilancio in termini strutturali, viene ritardato di un anno, portandolo al 2017. In particolare, il percorso verso l’aggiustamento viene interrotto nel 2014 e nel 2015 e ripreso nel 2016. Viene programmato un disavanzo strutturale più elevato di 0,3 punti percentuali del PIL nel 2014, 0,8 nel 2015 e 0,4 nel 2016. 
Dalla differenza tra gli obiettivi fissati per il saldo primario e i corrispondenti valori tendenziali, emerge che la manovra di bilancio in termini nominali sarà espansiva per 0,7 punti percentuali del prodotto nel 2015, neutrale nel 2016 e nuovamente restrittiva nel 2017 e nel 2018 per un ammontare pari, rispettivamente, a 0,3 e 0,5 punti percentuali. 
Nel 2015 l’indebitamento netto peggiora di 11,5 miliardi, passando dal 2,2 per cento tendenziale al 2,9 programmatico e il saldo strutturale è previsto migliorare di 0,1 punti percentuali del PIL. 
Nel 2016 gli effetti delle misure strutturali introdotte nel 2015 e una apposita clausola di salvaguardia automatica sull’IVA e su altre imposte indirette, pari a 12,4 miliardi (sempre da includere nella legge di stabilità 2015), consentono il raggiungimento dell’obiettivo nominale e di ridurre il saldo strutturale di 0,5 punti percentuali del PIL. 
La stessa clausola di salvaguardia, prevista per importi crescenti – pari a 17,8 e 21,4 miliardi – anche per il 2017 e il 2018, permetterebbe di raggiungere il pareggio di bilancio strutturale nel 2017 e di mantenerlo nell’anno successivo. Affinché la nuova
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clausola di salvaguardia venga inclusa nelle valutazioni della Commissione europea sull’andamento dei conti pubblici e sull’osservanza delle regole, è necessario che sia chiaramente esplicitata la modalità dell’aumento dell’IVA e delle altre imposte indirette già nella legge di stabilità 2015. Nessun altro provvedimento dovrà essere quindi necessario per far scattare tale clausola (automaticità). 
Va tenuto presente che la nuova clausola di salvaguardia sull’IVA sostituirebbe in buona parte quella già esistente (pari a 7 miliardi nel 2016 e a 10 miliardi sia nel 2017 sia nel 2018) introdotta con la legge di stabilità 2014 e che sarebbe dovuta essere esplicitata con uno specifico provvedimento entro il 15 gennaio 2015. Quest’ultimo avrebbe dovuto modificare le aliquote o la struttura delle imposte a meno di non voler realizzare importi equivalenti attraverso tagli di spesa. 
Con il disegno di legge di stabilità 2015 si conoscerà la composizione delle misure della manovra di bilancio. La scelta di peggiorare l’indebitamento netto del 2015 è motivata nella Nota dalla volontà di supportare la domanda aggregata e la competitività del paese. 
L’utilizzo di tale margine e il reperimento di ulteriori risorse attraverso il contenimento delle spese (e la razionalizzazione delle stesse per un loro miglioramento qualitativo), oltre a rifinanziare le erogazioni connesse con le politiche invariate e il bonus in favore dei lavoratori con redditi medio bassi introdotto con il DL 66/2014 (convertito dalla L. 89/2014), consentiranno di realizzare misure atte a: 1) ridurre il prelievo sulle imprese, attraverso un’ulteriore revisione dell’IRAP; 2) superare il Patto di stabilità interno per le amministrazioni locali con il passaggio al principio del pareggio di bilancio (e la conseguente liberazione di risorse a sostegno degli investimenti) in anticipo di un anno (dal 2016 al 2015) rispetto a quanto previsto dalla L. 243/2012; 3) migliorare il sistema della formazione (finanziando interventi nei settori dell’istruzione e della ricerca e sviluppo); 4) rivedere il quadro complessivo degli ammortizzatori sociali alla luce della riscrittura delle regole del mercato del lavoro. 
Sembrerebbe che la politica di bilancio prospettata, oltre a rifinanziare gli “impegni” relativi a intereventi in scadenza (come tradizionalmente avviene) e al bonus, avvii alcuni elementi delle nuove riforme strutturali con costi iniziali nel 2015. Costi che successivamente verrebbero compensati attraverso la clausola di salvaguardia a partire dal 2016, quando le stesse nuove riforme strutturali inizieranno ad influenzare la crescita.
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Nei programmi del Governo, l’incidenza del debito sul prodotto salirebbe ancora di 1,8 punti percentuali, dal 131,6 al 133,4 per cento nel 2015, per poi diminuire di 8,8 punti nel triennio successivo, al 124,6. Tali andamenti beneficeranno di introiti da privatizzazioni programmati per 0,7 punti percentuali di PIL all’anno dal 2015. Nel DEF era atteso un minore aumento nel 2014 (dal 132,6 al 134,9 per cento), una riduzione già dal prossimo anno e una flessione dal 2015 al 2018 pari a 12,8 punti del PIL. La differenza per l’anno in corso è dovuta alla minore crescita, al più elevato deficit e ai minori introiti da privatizzazioni (0,28 per cento del PIL, a fronte di una previsione iniziale dello 0,7). Alla luce dei minori incassi del 2014, l’obiettivo di realizzare privatizzazioni per 0,7 punti percentuali l’anno (ammontare dell’ordine di 12 miliardi annui) sembra ambizioso. 
Depurando degli effetti dei sostegni ai paesi in difficoltà finanziaria e della partecipazione dell’Italia al capitale dello European Stability Mechanism, il debito si ridurrebbe dal 2015 in maniera equivalente (8,7 punti percentuali del PIL) raggiungendo alla fine dell’orizzonte previsivo il 121,0 per cento del PIL, facendo emergere il minore impegno finanziario ipotizzato nelle previsioni. 
Il pagamento dei debiti commerciali continuerebbe ad avere un ruolo di accrescimento del debito fino al 2014. Negli anni successivi si registrerebbe un effetto opposto (complessivamente pari a circa 0,6 punti percentuali del PIL), in relazione alla restituzione delle quote di capitale e degli interessi da parte degli enti che hanno ricevuto le somme per effettuare i suddetti pagamenti. 
3. Eventi eccezionali e regole di bilancio 
La legge per l’attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio (L. 243/2012) chiarisce che l’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2). Richiede quindi che i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio stabiliscano obiettivi dell’indebitamento netto delle AP tali da assicurare almeno il conseguimento dell’obiettivo di medio termine (OMT) ovvero il rispetto del percorso di avvicinamento a tale obiettivo già autorizzato in precedenza (comma 3). L’obiettivo può, tuttavia, tener conto dei riflessi finanziari delle riforme strutturali con un impatto positivo significativo sulla sostenibilità delle finanze pubbliche (comma 4).
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3.1 Gli eventi eccezionali 
Nella Nota di aggiornamento del DEF 2014 e nella Relazione al Parlamento il Governo dichiara che la revisione operata negli obiettivi di bilancio e nel percorso di avvicinamento all’OMT - che richiederebbe, sulla base di quanto previsto nel DEF 2014, un miglioramento dello 0,5 per cento del saldo strutturale - è motivata, tra l’altro, dalla necessità di far fronte al peggioramento delle condizioni dell’economia sperimentato nell’anno in corso, che si configura come un evento eccezionale ai sensi della normativa europea e nazionale. 
Il percorso programmatico del saldo strutturale presentato nel DEF 2014 prevedeva un valore di -0,6 nel 2014, -0,1 nel 2015 e il pareggio nel 2016. 
In effetti, nella normativa italiana, scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico sono consentiti esclusivamente nel caso di “eventi eccezionali” (art. 6 della L. 243/2012) 2. Tali si intendono: a) periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea; b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato (…) con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese. 
Le disposizioni richiamate sono da interpretare in coerenza con l’ordinamento europeo, in particolare con il braccio preventivo (regolamento CE n. 1466/97) e con quello correttivo (regolamento CE n. 1467/97) del Patto di stabilità e crescita (PSC). La parte correttiva definisce una grave recessione come una situazione caratterizzata da un tasso di crescita negativo del PIL in termini reali o una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa rispetto a quella potenziale. Nella parte preventiva, si prevede per i paesi che non hanno ancora raggiunto il proprio OMT (come è il caso dell’Italia) una dispensa (waiver) dall’obbligo di migliorare il saldo strutturale in caso di grave recessione. Più in generale, il miglioramento del saldo in misura pari allo 0,5 per cento l’anno va inteso come termine di riferimento: l’aggiustamento dovrebbe essere superiore allo 0,5 per cento nelle fasi favorevoli del ciclo (“good times”) mentre può essere inferiore in quelle avverse (“bad times”). 
2 Per un’analisi del concetto di eventi eccezionali si rinvia all’Allegato 1.
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In particolare, secondo la prassi interpretativa della Commissione europea, nota agli Stati membri, è accettabile non compiere alcun progresso lungo il percorso di avvicinamento all’OMT per un paese che in un determinato anno presenti un tasso di crescita negativo del prodotto oppure un output gap superiore al 4 per cento. Queste due condizioni soglia funzionano nella prassi interpretativa della Commissione come “regola del pollice” per definire operativamente il concetto di grave recessione economica, che comporta una deroga totale (waiver) rispetto all’obbligo di avvicinamento all’OMT. D’altro canto, secondo questa interpretazione sembrerebbe che se nessuna delle due condizioni è soddisfatta, il paese sarebbe tenuto a proseguire normalmente nel suo percorso di avvicinamento all’OMT. La nozione secondo cui nelle fasi sfavorevoli sarebbe consentito uno sforzo fiscale inferiore al normale (e viceversa in quelle favorevoli) non sembra si sia tradotta in una regola operativa. 
3.2 L’obiettivo di medio termine3 
Nel caso dell’Italia, come si è detto, il percorso di avvicinamento implica in condizioni normali un miglioramento dello 0,5 per cento del saldo strutturale. Con riferimento all’anno in corso, il saldo strutturale, secondo le stime del Governo, peggiorerebbe passando dal -0,7 per cento del 2013 al -0,9 del 2014. Tuttavia, poiché nel 2014 si avrebbe una diminuzione del prodotto dello 0,3 per cento e un output gap pari a -4,3, entrambe le condizioni soglia utilizzate dalla Commissione sarebbero soddisfatte: crescita reale negativa e output gap superiore al 4 per cento. 
Per il 2015, la situazione è diversa. Il saldo strutturale migliorerebbe, rispetto al 2014, di uno 0,1 punti percentuali, inferiore quindi al valore normale di 0,5 punti. Se si adottassero le condizioni soglia della Commissione, nessuna delle due sarebbe soddisfatta: il prodotto segnerebbe una crescita positiva seppur contenuta (0,6 per cento) e l’output gap sarebbe inferiore al 4 per cento (per la precisione il 3,5). 
Definire la nozione di “evento eccezionale” di cui alla normativa italiana sulla base della “regola del pollice” appena descritta sembra, tuttavia, un criterio privo di gradualità. Sarebbe ragionevole ritenere che una situazione come quella prevista per l’Italia nel 2015 non debba essere trattata allo stesso modo di una caratterizzata da un 
3 Per un approfondimento degli argomenti trattati in questo paragrafo si rimanda agli Allegati 2 e 3.
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output gap negativo di dimensioni molto più ridotte o al limite nullo. Inoltre, la formulazione del PSC richiama un criterio di definizione della fase del ciclo che dovrebbe anche tener conto della storia recente, come quando nel braccio correttivo, ci si riferisce alla diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa rispetto a quella potenziale. Per l’Italia, la modesta crescita del prodotto prevista per il 2015, interverrebbe dopo tre anni consecutivi di diminuzione, con un output gap superiore al 4 per cento negli ultimi due anni. 
Come criterio alternativo, per definire un “periodo di grave recessione economica” e quindi un “evento eccezionale”, per usare la terminologia rilevante per la normativa italiana si potrebbero adottare valori soglia in termini del cosiddetto ROG (representative output gap), una nozione già utilizzata nel contesto della normativa europea. Si tratta del valore dell’output gap, che considerando un arco di tempo di venticinque anni, è migliore solo del 5 per cento dei casi. In altre parole quel valore dell’output gap che risulterebbe peggiore dei valori effettivamente riscontrati nel 95 per cento degli anni considerati. Se si adotta questo criterio, il quadro macroeconomico previsto per il 2015 sarebbe, in effetti, da considerarsi “eccezionale”: il ROG per l’Italia è, infatti, stimato nel 2,7 per cento. Il 2015, con un output gap del 3,5 per cento rientrerebbe quindi ampiamente tra gli anni caratterizzati da una fase ciclica eccezionalmente avversa. Al contrario, il 2016 presenterebbe, secondo la previsione del governo, un output gap del 2,6 per cento, inferiore al ROG4. 
Le considerazioni sopra illustrate portano a concludere che in effetti nel 2015 permarrebbe una condizione eccezionale tale da giustificare, in base alla normativa italiana, lo scostamento temporaneo del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico. 
Questa conclusione necessita tuttavia di alcune qualificazioni. La prima andrebbe nella direzione di rafforzare la conclusione precedente. La normativa europea e quella italiana che la recepisce contemplano, tra i fattori che possono consentire deviazioni temporanee dal sentiero di aggiustamento verso l’OMT, “l’attuazione di importanti riforme strutturali idonee a generare benefici finanziari diretti a lungo termine, compreso il rafforzamento del potenziale di crescita sostenibile, e che pertanto abbiano un impatto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanza pubbliche” (Reg. 
4 Per una illustrazione della persistenza della recessione e della determinazione del ROG nel caso italiano, si rinvia all’Allegato 4.
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1466/97, art. 5). Nella Nota di aggiornamento del DEF sono richiamate, come si è visto, una serie di riforme che avrebbero queste caratteristiche, in quattro aree di intervento: riforma della PA, misure per la competitività, riforma del mercato del lavoro, riforma della giustizia. Si tratta senz’altro di interventi potenzialmente in grado di influenzare la crescita di lungo periodo della nostra economia. In alcuni casi sono riforme la cui realizzazione potrebbe comportare spese aggiuntive immediate che incidono sul saldo delle pubbliche amministrazioni (di questo, comunque, si potrà essere certi solo dopo l’approvazione del disegno di legge di stabilità). Da questo punto di vista, potrebbero anche giustificare una deviazione che rispecchi l’importo di tali spese aggiuntive (in tal senso si esprime esplicitamente una disposizione della parte preventiva del PSC). Allo stato attuale, tuttavia, è necessario essere prudenti al riguardo, sia perché si tratta in buona parte di riforme ancora in corso di definizione, sia perché anche una volta attuate resta comunque ampia l’incertezza nella stima dell’intensità dei loro effetti sulla crescita e dei tempi in cui tali effetti potranno realizzarsi. Sono, in pratica, le stesse considerazioni che in precedenza hanno spinto a ritenere preferibile evitare di includere tali effetti sin da subito nelle previsioni macroeconomiche. Una verifica attenta del grado di attuazione delle riforme e una nuova valutazione dei loro effetti dovranno essere effettuate in sede di definizione del Programma di stabilità. 
La seconda qualificazione alla conclusione generale di giustificazione della deviazione dal percorso di aggiustamento per il 2015 sottolinea invece la necessità di cautela nel fissare la misura della deviazione. La normativa stabilisce che in ogni caso (sia in presenza di grave recessione sia di riforme strutturali) deviazioni temporanee dall’OMT o dal percorso di avvicinamento non devono mettere in pericolo la sostenibilità di medio periodo. A tal fine, si deve comunque mantenere un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento per il rapporto tra disavanzo nominale e PIL. La previsione programmatica per il 2015 esposta nella Nota di aggiornamento del DEF, pari al 2,9 per cento, costituisce, in questa ottica, un forte elemento di rischio, i cui contorni si definiranno meglio solo dopo la presentazione del disegno di legge di stabilità, che consentirà di valutare la credibilità delle cifre associate ai vari interventi della politica di bilancio. 
In conclusione, si ritiene che il quadro che si prospetta per l’economia italiana nel 2015 giustifichi una deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’OMT sulla base della
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clausola degli eventi eccezionali. Occorre garantire, tuttavia, anche sulla base di una più completa e affidabile valutazione degli effetti delle riforme, che l’ampiezza di tale deviazione sia tale da non mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica. 
3.3 Regola sulla crescita della spesa 
Nella parte preventiva del PSC la regola sull’OMT è integrata da una regola sulla spesa. Il quadro di riferimento per la verifica di questa regola è basato sull’esclusione di alcune voci la cui entità viene definita con la manovra di finanza pubblica per il prossimo triennio. Per questo motivo, come anche sottolineato dal Governo, si potrà valutare il rispetto della regola solo dopo l’approvazione del disegno di legge di stabilità. Ad oggi si può sottolineare che la crescita negativa del PIL attesa per il 2014 dovrebbe consentire – secondo la prassi della Commissione – di sospendere l’applicazione del cd “margine di convergenza”, cioè della richiesta, per i paesi che non hanno raggiunto l’obiettivo di medio termine di registrare una crescita della spesa inferiore a quella del PIL potenziale. 
3.4. Regola sulla diminuzione del debito in rapporto al PIL 
Ai fini della regola sul debito, fino al 2015, l’Italia rientra nel periodo di transizione. Senza entrare nel dettaglio delle formule, è richiesto un aggiustamento del saldo strutturale di 1 punto di PIL nel 2014 e 2,2 nel 2015. Il Governo della Nota di aggiornamento dichiara di non ritenere la correzione né fattibile, né auspicabile: pertanto il quadro programmatico non rispetta i parametri del periodo di transizione. 
Si ritiene che le conclusioni del precedente paragrafo ai fini della sospensione del percorso di avvicinamento all’OMT possano essere invocate anche per la regola sul debito. Questa osservazione è rafforzata dalle analisi che individuano i parametri delle politiche di bilancio cd. self-defeating, cioè quei casi in cui le manovre di correzione del saldo implicano una recessione tale da comportare, via denominatore, un aumento del rapporto debito/PIL. Il segno dell’effetto di una manovra sul rapporto debito/PIL dipende dalla misura dei moltiplicatori, vi è, cioè, una soglia dei parametri al di sopra
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della quale le manovre di finanza pubblica (destinate a migliorare la sostenibilità dei bilanci) hanno l’effetto opposto a quello desiderato. Il tema dei moltiplicatori come noto è stato molto dibattuto nel 2013 quando alcuni analisti hanno sottolineato come la crisi del 2008 e 2009 avesse comportato una modifica strutturale del comportamento dei sistemi economici non riflessa nella modellistica in uso. In allegato si propone un esercizio molto semplice, nel quale si evidenzia la perdita di prodotto che si avrebbe - sulla base dei moltiplicatori ad oggi stimati dai vari previsori - in caso di manovra correttiva della entità necessaria per rispettare la regola del pareggio di bilancio e quella della riduzione debito (Allegato 5). Con riferimento ai risultati sul debito, l’analisi evidenzia che il segno è negativo in ciascuno dei casi considerati, con effetto tanto più ampio quanto maggiore è la dimensione del moltiplicatore (come ad esempio quello recentemente stimato dall’FMI). 
Ovviamente l’analisi sulla sostenibilità del debito non si può limitare agli effetti delle manovre nel primo anno di applicazione, ma deve coprire un periodo pluriennale. Tuttavia la politica di bilancio non può certamente trascurare le implicazioni anche di breve periodo che deriverebbero da scelte che non tengano adeguatamente conto del contesto economico nel quale operano. 
La presenza di una deviazione significativa delle previsioni programmatiche rispetto ai parametri di riferimento implicherebbe, a livello europeo, la preparazione di un Rapporto da parte della Commissione, contenente una analisi complessiva delle condizioni di stabilità del debito e degli eventuali fattori rilevanti. Le conclusioni sarebbero utilizzate per valutare l’eventuale apertura di una procedura di deficit eccessivo che in questo caso riguarderebbe il debito. Due elementi del contesto italiano devono essere presi in considerazione per confermare la cautela nell’applicazione della regola sul debito come prevista nei regolamenti europei: l’accelerazione del pagamento dei debiti commerciali operata negli ultimi due esercizi dai governi italiani e la bassa inflazione. Su quest’ultimo punto occorre sottolineare che l’intero quadro di riferimento sovranazionale trascura completamente il tema dei prezzi, mentre le dinamiche recenti sembrerebbero imporre un ripensamento che consenta di tenere conto delle implicazioni (particolarmente rilevanti nel caso della regola sul debito) che una bassa inflazione ha sugli schemi analitici vigenti.
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La deroga nell’applicazione della regola sul debito per il 2015 non deve però far trascurare la rilevanza della problematica. Il volume di emissioni annue di debito rimane molto elevato, un roll-over di più di 300 miliardi l’anno, rendendo vulnerabile il paese all’incertezza dell’evoluzione dei tassi di interesse, oggi fortunatamente molto bassi. La spesa per interessi, pari a quasi 5 punti di PIL, obbliga ad avere un saldo primario positivo ed elevato, con evidenti implicazioni sulla composizione del bilancio. Indipendentemente dall’applicazione delle regole numeriche, quindi, l’elevato volume del debito in rapporto al PIL riflette un vincolo permanente nella definizione delle politiche di bilancio italiane. 
4. Conclusioni 
Le principali conclusioni del presente documento possono così essere sintetizzate: 
 L’UPB valida il quadro macroeconomico programmatico e tendenziale per gli anni 2014 e 2015, in quanto, allo stato delle informazioni disponibili, esse si collocano nell’intervallo accettabile delle previsioni; 
 Le previsioni macroeconomiche programmatiche per gli anni 2016-18 appaiono ottimistiche, soprattutto per l’inclusione degli effetti delle riforme strutturali in corso di definizione; l’UPB ritiene preferibile che, nei prossimi documenti di programmazione, gli effetti delle riforme strutturali siano analizzati separatamente e non incorporati nel quadro programmatico; 
 Alcuni elementi di rischio possono influire sulle prospettive di ripresa, in particolare quelli connessi con lo scenario internazionale e con il clima di fiducia di famiglie e imprese; 
 Le previsioni tendenziali di finanza pubblica sono realistiche, anche se occorre ricordare che il criterio della legislazione vigente (in confronto a quello a politiche invariate) tende a presentare risultati migliori; 
 Gli obiettivi programmatici di finanza pubblica presuppongono l’introduzione di una clausola di salvaguardia, di importo crescente nel periodo di programmazione. Affinché gli effetti della clausola siano incorporati nei conti
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occorre che questa sia formulata in modo automatico, senza necessità di rinvio ad atti amministrativi di attuazione; 
 L’UPB ritiene che nel 2015 vi siano le condizioni eccezionali tali da giustificare l’ammissibilità dell’allontanamento temporaneo dal percorso di aggiustamento verso l’OMT; 
 Occorre garantire, tuttavia, anche sulla base di una più completa e affidabile valutazione degli effetti delle riforme, che l’ampiezza di tale deviazione sia tale da non mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica; in particolare, va mantenuto, con la definizione concreta delle misure che comporranno il DDL stabilità, un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento; 
 Con riferimento al rapporto debito/PIL, la deroga nella correzione del saldo strutturale non deve far trascurare la rilevanza della questione. Indipendentemente dalla applicazione di regole numeriche, l’elevato volume del debito in rapporto al PIL pone un vincolo permanente alla definizione delle politiche di bilancio italiane.
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Allegato 1 
La definizione di “evento eccezionale” nella normativa europea 
Nella Nota di aggiornamento del DEF 2014 e nella Relazione al Parlamento il Governo dichiara che la revisione operata negli obiettivi di bilancio e nel piano di rientro verso l’OMT (obiettivo di medio termine) è motivata, tra le altre cose, dalla necessità di far fronte all’ulteriore inusuale inasprimento delle condizioni dell’economia sperimentato nell’anno in corso, che si configura come un evento eccezionale ai sensi della normativa europea5 e nazionale6. 
La legge 243/2012 (cd. legge rinforzata) stabilisce che scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo di medio termine sono consentiti esclusivamente in caso di eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, e in particolare periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea. 
Per valutare il fondamento giuridico della sussistenza dell’evento eccezionale, è utile una breve disamina degli aspetti definitori incorporati nell’ordinamento europeo. 
L’utilità di una cd. escape clause rispetto all’applicazione delle regole numeriche di bilancio è riconosciuta nella letteratura, in base alla quale un buon disegno delle regole deve comunque prevedere la possibilità di una deroga in caso di eventi eccezionali per evitare il rischio di prociclicità delle regole stesse. 
Già il Trattato di Maastricht prevedeva la possibilità di una deroga alle soglie di riferimento introdotte per il disavanzo e il debito in rapporto al PIL (3 e 60 per cento, rispettivamente) qualora “il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento” (art. 104 C). La norma in questione è stata confermata anche nelle successive riscritture dei trattati fondativi europei (Trattati di Nizza, di Amsterdam e di Lisbona) ed è incorporata nel vigente Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (art. 126). L’evoluzione della legislazione secondaria di attuazione di questa norma evidenzia un’articolazione interpretativa finalizzata a consentire che la valutazione del quadro economico possa consentire deroghe all’applicazione della regola numerica. 
Anche il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (cd. fiscal compact) conferma tale impianto, consentendo la deviazione temporanea dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento solo in circostanze eccezionali (art 3, par. 1, lettera c). Lo stesso Fiscal Compact definisce le circostanze eccezionali come “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, ovvero periodi di grave recessione 
5 Cfr. in particolare dell’articolo 5 del regolamento europeo n. 1466/1997. 
6 Cfr. l’articolo 6, comma 5, della L. n. 243/1912.
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economica ai sensi del Patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine”. Vengono pertanto confermati il concetto di temporaneità dell’evento e l’esigenza di presentare un piano correttivo per non compromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine. 
Il Patto di stabilità e crescita, nella versione rivista e attuata mediante i regolamenti, tiene conto del rischio di prociclicità della politica di bilancio indotto dall’applicazione delle regole. Il concetto di deroga si ritrova prima di tutto nelle procedure relative al braccio correttivo, dove viene prevista la possibilità di non aprire una procedura di disavanzo eccessivo al verificarsi di circostanze eccezionali come una grave recessione economica. Successivamente, nell’ambito delle procedure di sorveglianza (braccio preventivo), non solo consente di effettuare uno sforzo inferiore nei periodi avversi (bad times) ma individua inoltre un cd. waiver in caso di circostanze eccezionali. 
È interessante osservare come la definizione di evento eccezionale abbia subito nell’ambito di questo quadro un’evoluzione, con riferimento in particolare alla definizione di grave recessione economica (severe economic downturn). Ai fini dell’applicazione delle regole del braccio correttivo (le prime a essere introdotte) prima del 2005 si parlava di declino annuo del PIL almeno pari al 2 per cento o se inferiore al 2 per cento a condizioni molto particolari (modalità improvvise ed inattese con cui la recessione si è manifestata o della diminuzione cumulata della produzione rispetto alle tendenze passate). Dopo il 2005, è sufficiente registrare un tasso di crescita negativo del volume annuo del PIL o una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. 
A partire dal 2011, dopo le modifiche del six pack, la deroga legata alla grave recessione economica (severe economic downturn) viene estesa anche alle procedure del braccio preventivo, chiarendo che essa può riguardare la zona euro o l’intera Unione, accanto alla fattispecie di evento inconsueto al di fuori del controllo dello Stato membro che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale dello Stato stesso. In tali ipotesi “gli Stati membri possono essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento all’obiettivo di bilancio a medio termine di cui al terzo comma, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa”7. Il regolamento non qualifica però ulteriormente cosa si intenda per grave recessione economica. 
Una definizione più puntuale è fornita invece nell’ambito delle procedure riguardanti il braccio correttivo8, ai fini delle quali una grave recessione economica viene qualificata con profili applicativi meglio definiti, individuando due condizioni che devono essere presenti, anche disgiuntamente, per qualificare un periodo di recessione come una circostanza eccezionale. Tali condizioni sono: 
a) una crescita reale negativa del PIL; 
7 Art. 5 del Reg. (CE) 7 luglio 1997, n. 1466/97 
8 Art. 2 del Reg. (CE) 7 luglio 1997, n. 1467/97
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b) una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. 
Tale definizione, benché fornita nell’ambito delle disposizioni relative al braccio correttivo, risulta avere una valenza informativa di carattere generale, come risulta dal Vademecum sul Patto di stabilità e crescita, elaborato dalla Commissione europea nel maggio 2013, il quale espressamente precisa che la definizione di severe economic downturn fornita dal regolamento sul braccio correttivo può guidare anche le valutazioni circa lo scostamento temporaneo dall’OMT ai fini del braccio preventivo. Sempre il Vademecum precisa che una volta superata la circostanza eccezionale dovrà comunque prevedersi una ripresa dell’aggiustamento strutturale e ribadisce la condizione che lo scostamento dall’obiettivo non comprometta la sostenibilità di bilancio di medio periodo.
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Allegato 2 
La stima del prodotto potenziale e dell’output gap 
Il prodotto potenziale e l’output gap 
La stima e la valutazione dei saldi strutturali di finanza pubblica sono strumenti fondamentali per la verifica del rispetto del pareggio di bilancio previsto dal nostro ordinamento nonché dal processo di sorveglianza multilaterale del Patto di stabilità e crescita. Come noto, è infatti richiesto che il rapporto disavanzo/PIL in termini strutturali, vale a dire aggiustato per il ciclo economico e per le una tantum, si avvicini a un ritmo annuale di ½ punto percentuale al cosiddetto "obiettivo di medio termine" (nel caso dell’Italia pari a zero), a meno di circostanze eccezionali. Il motivo principale della centralità assunta dal saldo strutturale è quello di evitare politiche di bilancio che possano aggravare andamenti già indesiderati dell’economia, vale a dire recessioni o rallentamenti eccessivi del PIL, oppure espansioni tali da provocare un’inflazione troppo elevata. In termini tecnici, tali politiche di bilancio sono dette procicliche, in quanto sono espansive in periodi di ciclo favorevole e restrittive in periodi di ciclo sfavorevole. 
Il calcolo del saldo strutturale di finanza pubblica richiede quello del PIL potenziale e dell’output gap che non sono variabili osservabili e devono quindi essere stimate. Il PIL potenziale si può definire come il livello massimo di prodotto ottenibile con il pieno utilizzo delle risorse (lavoro e capitale) e coerente con un’inflazione stabile. L’output gap è la differenza tra il PIL effettivo e quello potenziale, e rappresenta quindi un indicatore di pressioni inflazionistiche. 
A causa dei problemi dei metodi per il calcolo del PIL potenziale e dell’output gap e dell’incertezza che ne caratterizza le stime, vi è un generale consenso che i relativi risultati debbano essere usati con cautela, soprattutto per determinare le scelte di politica economica. Questo in parte contrasta con la scelta di mettere al centro del monitoraggio e della valutazione delle politiche di finanza pubblica le variazioni e il livello del saldo di bilancio strutturale. In linea di principio, tale scelta è ragionevole dal punto di vista economico in quanto dovrebbe ridurre il rischio di condurre politiche procicliche ma comporta in pratica una serie di inconvenienti tecnici che dovrebbero indurre alla prudenza, soprattutto nell’uso dei livelli delle variabili non osservabili (l’utilizzo delle variazioni dovrebbe essere più affidabile in quanto, attraverso le differenze, gli eventuali errori nei livelli potrebbero compensarsi ed eliminarsi a vicenda).
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A causa delle frequenti revisioni di queste stime, inoltre, è possibile che sulla loro base vengano fornite ex-ante raccomandazioni di finanza pubblica che ex-post possono rivelarsi controproducenti. Un caso evidente di questa circostanza si verifica quando, a seguito di revisioni successive, l’output gap cambia di segno per uno stesso anno, indicando per esempio ex-post che l’economia si trova in una fase ciclica negativa quando ex-ante era invece stimata essere in una fase ciclica positiva. 
Per rimediare all’incertezza delle stime, potrebbe essere raccomandabile utilizzare in parallelo diversi metodi di stima del PIL potenziale; dovrebbe quindi essere condotto un confronto e un’analisi di sensibilità dei relativi risultati alle ipotesi sottostanti. L’utilizzo delle stime dei saldi strutturali ai fini della politica economica potrebbe quindi essere raccomandabile solo se i risultati delle stime sono simili tra i diversi metodi e poco sensibili alle ipotesi sottostanti. Quando al contrario i risultati non sono simili oppure sono poco robusti, potrebbe essere opportuno utilizzare in parallelo altre strategie di valutazione che facciano affidamento solo su variabili osservabili. Per esempio, il monitoraggio e la valutazione dell’andamento delle componenti di spesa meno influenzate dal ciclo economico possono rappresentare un buon indicatore della posizione di bilancio. La cosiddetta regola della spesa stabilita dalla recente riforma del Patto di Stabilità e Crescita è un passo verso questa strategia, anche se per alcuni aspetti la regola continua a essere influenzata dalla stima della crescita potenziale e dell’output gap. 
I metodi di calcolo del PIL potenziale e dell’output gap 
Il PIL potenziale è il livello di prodotto a cui l’economia dovrebbe convergere nel medio termine (vale a dire in un arco di tempo tra i 5 e i 10 anni) quando i disequilibri ciclici (o di altra natura) si ipotizzano esauriti, e la domanda e l’offerta si ipotizzano bilanciate. In questo contesto, il tasso di inflazione dovrebbe allinearsi intorno al suo valore di lungo termine (di solito definito dall’obiettivo di politica monetaria). L’output gap rappresenta quindi un indicatore di pressioni inflazionistiche. Quando l’output gap è positivo, è possibile che vi siano tensioni nei mercati interni (del lavoro, dei beni o dei servizi) tali da causare un aumento dell’inflazione. All’opposto, un output gap negativo segnala la possibilità di minori pressioni inflazionistiche. E’ importante in ogni caso sottolineare che la relazione tra output gap e inflazione potrebbe non essere stabile nel tempo e che la crescita dei prezzi dipende anche da altri fattori, come ad esempio i tassi di cambio o i prezzi delle materie prime nei mercati internazionali. 
Le due principali strategie di stima del PIL potenziale sono quelle puramente "statistiche", che si basano sulla sola serie del PIL, e quelle "economiche", che si basano sulla cosiddetta funzione di produzione.
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I metodi statistici di stima del PIL potenziale cercano di decomporre direttamente la serie del PIL in una componente di trend e un’altra ciclica. Il metodo statistico più comunemente usato è quello basato sul filtro di Hodrick-Prescott (HP) dal nome dei due economisti che lo hanno per la prima volta proposto. Con questo metodo, la componente di trend di PIL è ottenuta attraverso un algoritmo che "filtra" le fluttuazioni cicliche, estraendo la componente meno variabile del PIL stesso. 
Il filtro HP ha il vantaggio di essere relativamente semplice da applicare o replicare; tuttavia presenta anche numerosi problemi. In primo luogo, i risultati (andamento del trend e ampiezza del ciclo) sono abbastanza sensibili alla scelta di un particolare parametro, λ, che non viene stimato ma è scelto in modo arbitrario e che influenza il grado di variabilità della componente di trend di PIL che si andrà ad ottenere. Per questo motivo, se λ non è ben calibrato, la frequenza della serie utilizzata può influenzare l’ampiezza del ciclo: utilizzare la serie annuale del PIL può fornire risultati diversi da quelli ottenuti utilizzando la serie trimestrale del PIL stesso. Lo stesso vale se vengono utilizzati intervalli di osservazione di diversa ampiezza. Un altro problema di questo metodo è l’implicazione nella scelta implicita nell’algoritmo che la somma degli output gap nel periodo di osservazione debba essere zero, anche se non vi è stato un numero esatto di cicli compiuti nel periodo di riferimento. 
Uno dei problemi più rilevanti è che, con questo metodo, il PIL potenziale è influenzato in modo eccessivo dalle ultime osservazioni della serie di riferimento e quindi tende ad essere "prociclico" alla fine del periodo di osservazione. Questo è il cosiddetto "end-of- sample bias", legato al fatto che il metodo, nel restituire una serie di trend del PIL per un dato anno, utilizza con una certa ponderazione sia informazioni degli anni precedenti sia informazioni degli anni successivi. Di conseguenza, alla fine del periodo di osservazione, mancando di osservazioni successive, si troverà a restituire un valore che attribuisce un peso eccessivo agli ultimi anni osservati (in termini tecnici si dice che ciò equivale a ottenere una media mobile asimmetrica alla fine del periodo preso in esame). Questo aumenta la possibilità di avere stime imprecise del PIL potenziale alla fine del periodo della serie, proprio quando tali stime sono più importanti per determinare le decisioni di politica economica. 
Il metodo di calcolo utilizzato per il Patto di stabilità e crescita 
Anche per i motivi sopra ricordati, a partire dal 2002, la Commissione europea, in cooperazione con l’Output Group Working Group dell’Economic Policy Commitee (OGWG, un gruppo di lavoro composto da delegazioni degli Stati membri), ha deciso di interrompere l’utilizzo del filtro HP per la stima del PIL potenziale e di utilizzare il metodo della funzione di produzione; lo stesso metodo viene utilizzato dal MEF nei
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documenti programmatici. Con questo metodo, il PIL potenziale può essere rappresentato come una combinazione di fattori produttivi (lavoro, capitale) moltiplicati dalla componente di trend della cosiddetta produttività totale dei fattori (total factor productivity, TFP) che è una misura delle innovazioni tecnologiche e organizzative. A sua volta, il fattore lavoro, definito come la componente di trend del numero di ore totali, viene suddiviso nella sua componente demografica (popolazione in età lavorativa), la componente di trend del tasso di partecipazione, il tasso di disoccupazione strutturale, e la componente di trend delle ore medie lavorate. Questo metodo ha quindi l’ulteriore vantaggio di poter fornire una spiegazione economica all’andamento del PIL potenziale, potendo mostrare il contributo di ciascun fattore di produzione e della produttività. Ciò può essere utile per determinare le priorità nelle scelte di politica economica. 
Tuttavia, anche il metodo della funzione di produzione richiede di utilizzare alcune variabili che non sono direttamente osservabili e che quindi devono essere stimate. Le due variabili non osservabili più rilevanti sono la componente di trend della TFP e la disoccupazione strutturale. Per quest’ultima, la Commissione e l’OGWG hanno scelto di utilizzare, in linea con altre organizzazioni nazionali e internazionali, il tasso di disoccupazione coerente con una crescita stabile dei salari (non-accelerating-wage rate of unemployment, NAWRU). Per la stima sia del NAWRU sia della componente di trend della TFP, la Commissione e l’OGWG hanno deciso di utilizzare metodi "semi- strutturali", vale a dire dei metodi che utilizzano valutazioni economiche di carattere teorico o empirico per migliorare i risultati di filtri statistici. In particolare, per entrambi viene utilizzato il cosiddetto filtro di Kalman bivariato. Nel caso della TFP, il metodo sfrutta la relazione tra TFP e utilizzo della capacità produttiva nell’economia per eliminare la componente ciclica del TFP ed "estrarne" la componente di trend. Un metodo simile viene utilizzato per la stima del NAWRU, in questo caso sfruttando la relazione tra il tasso di disoccupazione e variazioni della crescita dei salari (cosiddetta curva di Phillips). Infine, per le altre due serie che devono essere stimate, la componente di trend del tasso di partecipazione e quella delle ore medie lavorate, la Commissione europea e l’OGWG hanno invece deciso di utilizzare il filtro HP. 
Il metodo di stima del PIL potenziale attraverso la funzione di produzione utilizzato dalla Commissione europea presenta dei vantaggi rispetto ai metodi statistici. In primo luogo, come accennato in precedenza, attraverso questo metodo è possibile ottenere un’interpretazione economica dei risultati ottenuti. Ciò ha il duplice vantaggio di rendere più agevole la valutazione dei risultati stessi e di individuare le azioni di policy prioritarie per eventualmente migliorare l’andamento del PIL potenziale. In secondo luogo, il nuovo metodo utilizzato dalla Commissione ha eliminato il problema dell’“end-of-sample bias” della stima della component di trend del TFP aumentandone
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la precisione e riducendo la sua prociclicità alla fine del periodo di osservazione e quindi, almeno in parte, quella del PIL potenziale. 
Tuttavia, anche con il metodo della funzione di produzione rimangono alcuni problemi. Prima di tutto, il metodo non elimina del tutto la prociclicità delle stime del PIL potenziale. Ciò è dovuto a una serie di motivi: 1) la relazione tra il tasso di disoccupazione e la variazione della crescita dei salari (curva di Phillips) potrebbe essere fragile e quindi, di fatto, l’andamento del NAWRU potrebbe seguire molto da vicino quello del tasso di disoccupazione effettivo; 2) alcune componenti della funzione di produzione, come il tasso di partecipazione e le ore medie lavorate, continuano a essere stimate attraverso il metodo HP; 3) lo stock di capitale dipende dall’andamento degli investimenti che è influenzato dal ciclo. 
Inoltre, l’utilizzo del metodo della funzione di produzione accresce la necessità di compiere delle scelte arbitrarie, per esempio per quanto riguarda la specificazione della funzione di produzione, la natura dei dati (in particolare per lo stock di capitale), e i metodi di stima. In aggiunta, il metodo di Kalman non è scevro da problemi di natura statistica. Anche con questo metodo il grado di variabilità delle componenti di trend risulta particolarmente sensibile alla scelta di alcuni parametri la cui interpretazione economica appare estremamente ardua, se non pressoché impossibile, da determinare. Tali scelte possono influenzare in modo significativo i risultati finali e quindi metterne in evidenza la fragilità. 
Infine, anche il metodo della funzione di produzione, come quelli statistici, produce stime del PIL potenziale che possono essere soggette a importanti revisioni nel corso del tempo, soprattutto alla fine del periodo di stima, quello più importante per le scelte di politica economica. Questo risultato è dovuto in parte alla revisione cui sono soggette le serie del PIL effettivo e delle altre variabili che entrano nel calcolo del PIL potenziale (ore lavorate, stock di capitale). Un altro motivo è l’utilizzo di previsioni per la stima di alcune delle componenti della funzione di produzione; tali previsioni ex-post possono rivelarsi errate (in generale troppo ottimistiche) ed essere soggette a correzioni. Sempre nel periodo di previsione, nell’ambito della sorveglianza UE l’output gap viene inoltre influenzato anche dall’ipotesi arbitraria di chiusura del ciclo economico entro i tre anni successivi all’ultimo anno di previsione; un’ipotesi che può essere particolarmente impegnativa da soddisfare quando l’output gap è elevato. 
Il caso dell’Italia 
Le stime del PIL potenziale e dell’output gap riportate nella Nota di aggiornamento sono soggette ad alcuni dei problemi che sono stati precedentemente ricordati.
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In particolare, il NAWRU coerente con il quadro macroeconomico programmatico stimato nella Nota di aggiornamento presenta una notevole componente ciclica come la figura sotto mostra. La presenza di una notevole componente ciclica nelle stime del NAWRU è stata anche di recente messa in evidenza da alcuni studi della Commissione Europea (per esempio nel Box I.4 delle European Economic Forecast, Spring 2014). L’evidente ciclicità del NAWRU può mettere in serio dubbio la validità dell’output gap come indicatore della posizione ciclica dell’economia. 
Per verificare l’impatto di una diversa stima della disoccupazione strutturale, si è quindi ipotizzato un NAWRU con una componente del ciclo meno pronunciata per verificare il suo impatto sul PIL potenziale e sui saldi strutturali di bilancio. Il NAWRU "non- ciclico" italiano è stato costruito ipotizzando un andamento simile a quello stimato dalla Commissione per l’area euro nello studio sopracitato. Vale a dire, si è ipotizzato che il NAWRU e il NAWRU non-ciclico fossero pressoché identici nel 2008 (quindi agli albori della crisi) e che da quella data cominciassero a divergere fino a raggiungere nel 2012 una differenza di 1-1½ punti percentuali (si veda figura sopra). 
Utilizzando l’ipotesi di NAWRU non ciclico così costruito e mantenendo tutte le altre componenti del PIL potenziale invariate, le implicazioni di policy potrebbero essere significative. Infatti, a causa del miglioramento del PIL potenziale, il livello del saldo strutturale di bilancio migliorerebbe notevolmente (si veda tabella sotto), anche per gli anni passati. In particolare, queste stime mostrano che il saldo strutturale di bilancio sarebbe stato vicino al pareggio già dal 2013. Inoltre, prendendo a riferimento il quadro
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di finanza pubblica programmatico, dopo un lieve peggioramento nel 2014-15, il saldo strutturale di bilancio diventerebbe leggermente positivo dal 2016. 
20112012201320142015201620172018NAWRU - Nota di Aggiornamento8,59,49,910,210,310,410,510,5Ipotesi NAWRU non-ciclico8,08,38,58,68,78,78,78,7Saldo strutturale di bilancio programmatico-2,5-1,5-0,7-0,9-0,9-0,40,00,0Saldo strutturale di bilancio corretto per impatto NAWRU non-ciclico-2,3-1,1-0,1-0,3-0,20,30,70,7Tabella 1. Confronto tra saldi strutturali di bilancio con diverse definizioni di disoccupazione strutturale (valori percentuali)
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Allegato 3 
L’analisi della fiscal stance 
Il confronto tra l’andamento dell’avanzo primario strutturale (cioè il saldo primario corretto per il ciclo e al netto delle una tantum) e l’output gap, che evidenzia la distanza tra il PIL effettivo e il PIL potenziale, consente un’analisi della fiscal stance, la quale misura l’indirizzo espansivo o restrittivo della politica di bilancio a fronte dell’andamento macroeconomico. 
Le variabili utilizzate nell’analisi grafica sono riportate nella tabella seguente. 
Tav. 2 – Output gap e avanzo primario strutturale programmatico 
(% PIL) 2011(*) 2012(*) 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Output gap -1,4 -3,0 -4,3 -4,3 -3,5 -2,6 -1,4 -0,4 variazioni output gap -1,7 -1,3 0,0 0,8 0,9 1,2 1,0 Avanzo primario corretto per il ciclo e al netto una tantum 1,2 3,7 4,2 3,8 3,7 4,1 4,2 4,1 Variazione avanzo primario strutturale 2,5 0,5 -0,4 -0,1 0,4 0,1 -0,1 
Fonte: Nota di aggiornamento del DEF 2014, La finanza pubblica corretta per i ciclo, Tavola III.3 
(*) La variazione dell’avanzo primario strutturale del 2012 e, conseguentemente, l’entità di tale avanzo nel 2011, è ricostruita aggiungendo alla variazione del deficit strutturale 2012, riportata dalla Nota di aggiornamento del DEF, la variazione della spesa per interessi registrata nello stesso esercizio (Istat, dati SEC 2010). L’output gap 2011 è stato fornito dal MEF. 
La figura seguente confronta la variazione dell’avanzo primario strutturale con l’output gap nel periodo 2012-18. Esso si compone di quattro quadranti. Quello in alto a sinistra contiene i punti che rappresentano situazioni di restrizione di bilancio e di ciclo economico negativo. In basso a sinistra, si posizionano le combinazioni di manovre espansive e ciclo economico negativo. I due quadranti a destra, corrispondenti a situazioni economiche favorevoli, illustrano, quello in alto, una politica di bilancio restrittiva, quello in basso, una politica di bilancio espansiva. 
Una politica di bilancio di carattere anticiclico dovrebbe prevedere l’adozione di misure di consolidamento fiscale nella fasi positive del ciclo e viceversa nelle fasi recessive. La crisi economica e finanziaria, e in particolare l’aumentato livello di rischio sui titoli di debito sovrano, hanno tuttavia comportato per alcuni paesi, tra cui l’Italia, la necessità di mantenere un compromesso tra la finalità anticiclica della politica di bilancio e quella di assicurare i mercati e i partner europei in merito alla sostenibilità di medio e lungo
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termine della finanza pubblica, rispettando al contempo i vincoli del patto di stabilità e crescita. 
Le regole europee9 prevedono infatti che solo gli Stati membri che abbiano già raggiunto l’obiettivo di medio termine (OMT) e che presentino pertanto un bilancio pubblico in pareggio strutturale possono lasciare operare liberamente gli stabilizzatori automatici (in termini della figura seguente, ciò implica che tali Paesi si trovino sull’asse orizzontale che rappresenta una stance neutrale), o eventualmente adottare misure discrezionali per contenere le fluttuazioni cicliche, nei limiti del rispetto del loro OMT. 
Ai Paesi che non abbiano raggiunto il pareggio di bilancio sono richiesti, invece, aggiustamenti annui in termini di aumento dell’avanzo primario strutturale pari o superiori allo 0,5 per cento. Essi dovrebbero pertanto trovarsi in punti situati nei due quadranti superiori della figura, corrispondenti a politiche di bilancio restrittive. 
Per l’Italia, l’OMT è fissato nel pareggio di bilancio strutturale. Nella Nota in esame, l’obiettivo del pareggio di bilancio viene indicato per il 2017. 
Fig. 1 – Variazione dell’avanzo primario strutturale e output gap 
Fonte: Elaborazioni su dati Nota di aggiornamento del DEF 2014 (cfr. supra). 
La figura 1 evidenzia l’impronta restrittiva della politica di bilancio nel 2012, in presenza di una fase ciclica negativa, con un output gap superiore a quello tipico delle ordinarie oscillazioni cicliche dell’economia nazionale10. Nel 2013, in presenza dell’amplificarsi della crisi, la politica di bilancio ha mantenuto un carattere restrittivo e 
9 Regolamento (CE) n. 1466/97 come modificato dal regolamento (UE) n. 1175/2011 del 16 novembre 2011 e Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. fiscal compact). 
10 Rappresentato dal ROG (Representative output gap), pari per l’Italia a -2,7.
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solo nell’esercizio essa ha ripreso a svolgere una funzione moderatamente anticiclica, evidenziata dallo spostamento nel quadrante inferiore. 
Per il 2015 è prevista una politica di bilancio sostanzialmente neutrale, con una marginale flessione dell’avanzo primario di un solo decimo di punto. Si evidenzia che, sulla base degli andamenti tendenziali, la fiscal stance resterebbe prociclica anche per il 2015, con un aumento dell’avanzo primario in una fase di output gap negativo. A decorrere dal 2016, la figura evidenzia una politica di bilancio pro ciclica, riconducibile al conseguimento di avanzi primari crescenti, al fine di rispettare il percorso di avvicinamento all’OMT, in una fase ancora negativa del ciclo. 
Un secondo metodo per valutare la fiscal stance mette in relazione le variazioni dell’avanzo primario strutturale con le variazioni dell’output gap anziché con il suo livello. Un simile approccio permette di porre maggiore enfasi sulla dinamica del ciclo economico e di cogliere in modo più puntuale i cambiamenti della politica di bilancio. 
Fig. 2 – Variazione dell’avanzo primario strutturale e variazione dell’output gap 
Fonte: Elaborazioni su Nota di aggiornamento del DEF 2014 (cfr. supra). 
Nella figura 2 si nota come la stretta fiscale attuata nel biennio 2012-13, in una fase di forte peggioramento del ciclo (l’output gap aumenta il proprio valore negativo rispettivamente di 1,7 e 1,3 punti di PIL), si inverte nel 2014. Nell’esercizio in corso, infatti, in presenza di un output gap che non ha ancora iniziato a chiudersi, il consolidamento di bilancio viene sospeso. La politica di bilancio torna ad essere restrittiva nel biennio 2016 e 2017, per poi assestarsi su un profilo neutrale a seguito del raggiungimento dell’OMT.
36 
Allegato 4 
Persistenza e profondità delle recessioni in Italia nel periodo 2008-2018 
L’economia italiana è stata recentemente colpita da due profonde fasi di contrazione del prodotto, di cui non si riscontrano precedenti negli ultimi 45 anni, e che si sono susseguite a brevissima distanza l’una dall’altra. 
La figura 1, che compara i profili della dinamica del prodotto nelle principali fasi recessive, evidenzia come sia proprio la persistenza del calo del prodotto l’elemento caratterizzante delle crisi del 2008 e 2012 rispetto a quelle riscontrate nel 1974 e nel 1992. Se infatti l’impatto iniziale (variazione del prodotto al tempo t) delle recessioni recenti è paragonabile con quanto riscontrato in passato, è invece mutato radicalmente il profilo della ripresa, che negli anni 70 e 90 ha consentito di ristabilire un livello di prodotto pre-crisi già nell’anno che segue l’avvio della recessione. 
Se nel 2008 la fase acuta della crisi è durata due anni, con il calo maggiore riscontrato nel secondo anno, a partire dal 2012 gli anni consecutivi di calo del prodotto sono stati tre, con un recupero molto lento e fragile previsto per il triennio successivo. 
La normativa europea include la persistenza tra i fattori che identificano un eccezionale periodo di recessione ai fini dell’applicazione delle regole fiscali. Come meglio esplicitato in altra sezione del documento, il regolamento 1467/97 (braccio correttivo del patto) identifica come requisiti:
37 
a) una crescita reale negativa del PIL; 
b) una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. 
In altri termini la recessione si considera severa anche quando la crescita nell’anno è positiva, ma l’output gap è risultato crescente per una fase prolungata e si è accumulata una decrescita del prodotto. 
La figura 2 illustra la perdita cumulata del prodotto nelle fasi di peggioramento dell’output gap in Italia. Le barre indicano la variazione dell’output gap mentre le linee indicano la perdita cumulata del prodotto nelle fasi (contigue) di peggioramento dell’output gap. 
Tale ammontare risulta particolarmente significativo nel caso italiano nelle due recenti fasi recessive: la perdita di prodotto è risultata di circa 6,6 punti percentuali nella recessione 2008-2009 e di circa 4,5 nella recessione 2012-14. 
Se poi si considera che il recupero del prodotto avvenuto nel 2010 e 2011 è risultato estremamente contenuto (poco più del 2per cento complessivo sui due anni), la caduta cumulata riscontrata nel periodo 2008 - 2014 ha raggiunto circa nove punti percentuali di PIL. 
Sulla base delle stime del Governo, a partire dal 2015 il prodotto dovrebbe ricominciare a crescere a ritmi comunque molto blandi: in assenza di manovre la crescita dovrebbe risultare rispettivamente di 0,5 nel 2015, 0,8 nel 2016, 1,1 nel 2017 e 1,2 nel 2018. Al termine dell’orizzonte di previsione, a dieci anni dall’avvio della crisi, il prodotto dovrebbe risultare ancora sensibilmente inferiore dei valori pre-crisi.
38 
Per quanto riguarda la relazione tra prodotto effettivo e potenziale si osserva che, benché la procedura sviluppata dall’Output Gap Working Group11 e adottata dalla Commissione abbia operato diverse revisioni verso il basso del prodotto potenziale (e quindi una riduzione dell’output gap a parità di prodotto effettivo) il PIL italiano rimane nell’orizzonte programmatico 2014-18 ampiamente al disotto del proprio potenziale. Un differenziale che appare eccezionale sia in termini durata della fase negativa sia di ampiezza del gap (fig. 3). 
A partire dal 2009 il PIL italiano risulta infatti inferiore al proprio potenziale, circostanza che si è verificata anche nel biennio di ripresa 2010-11. Si tratta del periodo più lungo di persistenza del prodotto al disotto del potenziale nell’arco di tempo per cui la Commissione rende note le stime (1967-2015). 
Se si prende a riferimento il livello del Representative Output Gap (ROG, pari al -2,7 per cento per l’Italia, cfr. box dedicato) che identifica “un livello particolarmente basso dell’output gap che si stima possa realizzarsi con una probabilità del 5%”, si osserva che dal 2009 l’output gap risulta inferiore a tale livello per cinque anni su dieci (compreso il 2015). Nel 2016, sulla base delle previsioni programmatiche l’output gap per l’Italia (-2,6 per cento) dovrebbe invece risultare superiore al ROG. 
11 Gruppo di lavoro dell’Economic Policy Committee, organismo demandato allo sviluppo della metodologia di calcolo del prodotto potenziale finalizzata al calcolo dei saldi di bilancio corretti per il ciclo nel quadro del Patto di Stabilità e Crescita.
39 
Representative Output Gap 
Il Representative Output Gap fornisce una misura dell’ampiezza “tipica” delle fluttuazioni cicliche specifiche per l’economia del singolo Paese. 
Il calcolo del ROG si basa sulla media, calcolata su un arco di 25 anni, degli output gap di particolare ampiezza (al quinto percentile dopo aver eliminato le “code” ) del singolo paese e dell’intera unione europea. Il ROG, stimato per l’Italia in -2,7 per cento per il 2012 , costituirebbe la soglia di output gap per la quale risulterebbe minima la probabilità di riscontrare output gap di valore ancora inferiore. Tale eventualità dovrebbe pertanto ritenersi indicativa di una recessione di carattere eccezionale. La formula per il calcolo del ROG è la seguente: 
Dove rappresenta il quinto percentile della distribuzione dell’output gap riscontrato in Italia e il quinto percentile della distribuzione dell’output gap riscontrato per tutti i paesi. e sono rispettivamente il numero di anni di cui si dispongono osservazioni per l’insieme di stati membri e per l’Italia. 
Il livello rappresentativo dell’output gap è determinato singolarmente per ciascun paese, in modo tale da cogliere le specificità del ciclo economico nazionale. Ad esempio il ROG dei paesi più piccoli, tendenzialmente caratterizzati da fluttuazioni più ampie, risulta generalmente più ampio in valore assoluto rispetto a quello delle economie maggiori. 
Tale parametro ha trovato utilizzo finora unicamente nel calcolo del minimum benchmark dell’OMT per ciascun paese mentre non è stato utilizzato quale indicatore quantitativo del carattere di eccezionale gravità delle recessioni.
40 
Allegato 5 
I moltiplicatori di bilancio 
Vi è un generale consenso sia a livello accademico sia a livello di istituzioni nazionali e internazionali (per esempio l’OCSE nell’Economic Outlook del 2010) che, tra i Paesi avanzati, l’impatto nel primo anno di una riduzione della spesa dell’1 per cento di PIL comporti una riduzione del prodotto tra lo 0,5 e l’1 per cento; l’impatto di un corrispondente aumento delle entrate dovrebbe essere più basso, in generale inferiore allo 0,5 per cento. Questi impatti, denominati in termini tecnici “moltiplicatori di bilancio”, sono stimati attraverso modelli macro-econometrici/statistici, dove viene in genere ipotizzato che il loro valore rimanga pressoché stabile nel tempo. 
Negli ultimi anni, numerosi studi hanno tuttavia messo in dubbio la stabilità dei moltiplicatori di bilancio, soprattutto in periodi di prolungata crisi come quella attualmente in corso. Vi sono in effetti una serie di ragioni teoriche per le quali i moltiplicatori potrebbero non essere stabili nel tempo. 
Per esempio, i moltiplicatori di bilancio dovrebbero essere più elevati in periodi di prolungata recessione o ciclo economico negativo, in particolare se dovuto a crisi finanziarie. In questo caso, infatti, i normali canali di finanziamento alle imprese e alle famiglie potrebbero non funzionare come in tempi normali. Gli istituti finanziari potrebbero infatti trovarsi nella necessità di ridurre i loro prestiti, a scapito soprattutto delle famiglie e delle imprese che non possono assicurare adeguate garanzie. In questo contesto, una restrizione di bilancio che riduca i trasferimenti alle famiglie oppure che aumenti le tasse sulle imprese potrebbe non essere compensata da un aumento di credito da parte delle banche e si tradurrebbe quindi in una notevole riduzione dei consumi delle famiglie o degli investimenti delle imprese. 
I moltiplicatori di bilancio potrebbero inoltre essere più elevati quando i tassi di politica monetaria si trovano vicino allo zero, o sono addirittura negativi. In simili circostanze, la politica monetaria non potrebbe infatti svolgere un eventuale ruolo accomodante, almeno con i suoi strumenti convenzionali. 
L'attuale contesto economico italiano presenta molte delle caratteristiche che potrebbero determinare moltiplicatori di bilancio maggiori di quelli stimati attraverso i tradizionali modelli macro-econometrici. Come noto, il PIL si è contratto dell’1,9 per cento nel 2013 ed è previsto diminuire di 0,3 quest’anno. Nel 2015, la crescita potrebbe tornare positiva ma l’output gap, un indicatore del ciclo economico, è stimato nella Nota di
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aggiornamento al -3,5 per cento, un valore particolarmente negativo. Inoltre, i tassi di interesse si trovano già a livelli molto bassi. 
In queste circostanze, alcuni studi, in particolare dell’FMI, stimano che i moltiplicatori della spesa potrebbero raggiungere valori pari a due, quindi più del doppio di quanto stimato attraverso i modelli tradizionali. I moltiplicatori delle tasse potrebbero aumentare ma rimanere comunque inferiori allo 0,5. 
Abbiamo quindi utilizzato un intervallo di stime dei moltiplicatori medi (vale a dire calcolati come media semplice di moltiplicatori di spese e di entrate) per una prima valutazione del possibile impatto sul tasso di crescita del PIL nel 2015 in caso di attuazione di manovre necessarie per rispettare il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (OMT) o la regola del debito. I moltiplicatori medi scelti sono: a) 0,5 - indicato dal MEF nella Nota di aggiornamento (p. 33); b) 0,65 - media semplice di alcuni moltiplicatori indicati dall’OCSE per l’Italia nell’Economic Outlook del 2010; c) 1,1 - media semplice di moltiplicatori di spesa e di entrata in periodi di recessione nei Paesi avanzati da alcuni studi del FMI (in particolare Batini, Eyraud e Weber: “A simple method to compute fiscal multipliers”, WP/14/93, 2014). 
Secondo la Nota di aggiornamento, per il raggiungimento dell’OMT nel 2015 occorre attuare una manovra pari allo 0,9 per cento del PIL mentre il rispetto della regola del debito richiede una correzione del 2,2 per cento del PIL. I relativi risultati sono illustrati nella tavola allegata. 
Secondo questa prima valutazione, ipotizzando che gli altri fattori che determinano le previsioni di crescita rimangano invariate, si può stimare che una manovra correttiva per il raggiungimento dell’OMT nel 2015, con una composizione di misure suddivise tra spese ed entrate, potrebbe risultare in un andamento dell’economia sostanzialmente stagnante anche nel 2015. Il PIL potrebbe variare tra -0,1 per cento, utilizzando un moltiplicatore in linea con quelli stimati dall’FMI per i periodi di recessione, a 0,2 utilizzando il moltiplicatore indicato nella Nota di aggiornamento. Nel caso di una manovra per il rispetto della regola del debito, l’economia risulterebbe in recessione con tutti i moltiplicatori utilizzati. La caduta del PIL varierebbe in questo scenario da -1,5 a -0,5 per cento a seconda del moltiplicatore scelto.
42 
Moltiplicatore medioTasso crescita PIL 2015 con rispetto MTOTasso crescita PIL 2015 con rispetto regola debito0,500,2%-0,5% 0,650,1%-0,8% 1,10-0,1%-1,5% Tabella 1. Tasso di crescita del PIL con diverse ipotesi di moltiplicatori di bilancio

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Audizione presidenteupb 13_10_2014

  • 1. Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 Commissioni riunite V della Camera dei Deputati e 5a del Senato della Repubblica Camera dei Deputati, 13 ottobre 2014
  • 2.
  • 3. 1 In questa relazione per la prima volta l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), costituito nello scorso maggio, esprime le proprie valutazioni su un documento di finanza pubblica, in particolare sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014. I temi trattati in questo documento costituiranno l’ossatura del Rapporto che verrà reso pubblico all’inizio del prossimo mese. La prima sezione della relazione è dedicata all’analisi del quadro macroeconomico tendenziale e programmatico per presentare sia l’esito del processo di validazione del 2014-15 sia le valutazioni sul periodo successivo 2016-18 e sui rischi sottostanti all’intero quadro di previsione. La sezione successiva esamina gli andamenti tendenziali di finanza pubblica presentati nella Nota di aggiornamento e discute il quadro finanziario programmatico. La sezione finale della relazione è dedicata alla discussione della sussistenza delle circostanze che consentono un allontanamento dagli obiettivi di finanza pubblica, come definiti dall’ordinamento europeo e da quello nazionale, e del rispetto delle regole di bilancio. 1. Il quadro macroeconomico L’UPB sottopone all’esercizio di validazione le previsioni macroeconomiche pubblicate nella Nota di aggiornamento che per la prima volta distinguono tra uno scenario tendenziale (che incorpora le previsioni di finanza pubblica a legislazione vigente) e uno programmatico che sconta gli effetti delle misure di finanza pubblica che il Governo intende adottare con il disegno di legge di stabilità). Sebbene la normativa europea richieda soltanto la validazione delle previsioni macroeconomiche programmatiche 2014-15, l’UPB ha concordato con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) di estendere l’esercizio di validazione anche alle previsioni macroeconomiche tendenziali 2014-15. L’UPB ha trasmesso il 29 settembre scorso al MEF la propria lettera di validazione sulle previsioni macroeconomiche tendenziali poi pubblicate nella Nota di
  • 4. 2 aggiornamento, dopo che in precedenza aveva comunicato i propri rilievi su una prima versione di tali previsioni. Successivamente, il 10 ottobre scorso l’UPB ha validato le previsioni macroeconomiche programmatiche già pubblicate nella Nota di aggiornamento e che saranno riportate nel Documento programmatico di bilancio da inviare alla Commissione europea. L’UPB ha validato il quadro macroeconomico programmatico anche sulla base delle informazioni trasmesse dal MEF circa le ipotesi di finanza pubblica adottate nella Nota per il passaggio dal quadro macroeconomico tendenziale a quello programmatico. L’UPB ha valutato il realismo e l’affidabilità dei quadri macroeconomici presentati nella Nota anche per gli anni 2016-18. In estrema sintesi, il quadro macroeconomico tendenziale della Nota di aggiornamento del DEF stima una variazione del PIL negativa per l’anno in corso (-0,3 per cento) e una ripresa, sia pure modesta, nel 2015 (0,5 per cento). Si tratta di una drastica revisione verso il basso rispetto a quanto previsto nell’aprile scorso con il DEF (0,8 per cento per il 2014 e 1,3 per il 2015) motivata dalla Nota di aggiornamento dal mutato scenario internazionale (minore crescita del commercio mondiale, diverso comportamento dei concorrenti internazionali), dall’impatto degli interventi di politica economica (DL 66/2014) e dai ritardi di applicazione delle riforme approvate nel 2012-13. Alla ripresa prevista nella Nota contribuirebbe in modo significativo la domanda interna trainata dall’inversione di tendenza degli investimenti e dall’accelerazione dei consumi delle famiglie, anche grazie alle migliorate condizioni finanziarie legate alle azioni della BCE. I prezzi crescerebbero a ritmi assai modesti in assenza di spinte inflazionistiche estere e interne. Il tasso di disoccupazione resterebbe stabile su livelli storicamente elevati (12,6 per cento). Negli anni successivi al 2015 le previsioni tendenziali mostrano un’ulteriore, anche se contenuta, accelerazione del PIL (dallo 0,8 per cento nel 2016 all’1,2 nel 2018), di nuovo spinta primariamente dalle componenti della domanda interna (investimenti e consumi delle famiglie). L’inflazione continuerebbe ad aumentare sia pure in misura modesta, così come lievi segni di riduzione si registrerebbero sul fronte della disoccupazione. Rispetto a queste previsioni tendenziali il quadro macroeconomico programmatico – che, come detto, include l’impatto sull’economia dei nuovi interventi di finanza pubblica che saranno più compiutamente dettagliati nella legge di stabilità – mostra scostamenti limitati se si guarda al 2015: il PIL crescerebbe rispetto alla baseline di appena 0,1 punti percentuali in più, sospinto da un aumento dei consumi e degli investimenti, con sostanziale invarianza dei prezzi e della disoccupazione. Negli anni successivi, nonostante una politica di bilancio neutrale nel 2016 (rispetto al 2015) e restrittiva dal 2017, la dinamica incrementale del PIL si rafforzerebbe leggermente rispetto al tendenziale (0,2 nel triennio 2016-18), sostenuta soprattutto dalle nuove riforme strutturali annunciate (giustizia, pubblica amministrazione, competitività, mercato del lavoro).
  • 5. 3 L’esercizio di validazione è stato condotto dall’UPB ricorrendo alle stime elaborate indipendentemente da una serie di previsori pubblici e privati (ISTAT, CER, Prometeia e REF.ricerche, di seguito indicati come panel UPB) mediante i rispettivi modelli macro-econometrici. Si è trattato di una strategia che, al di là dell’indisponibilità, in questa fase di avvio dell’attività, di un modello di previsione macroeconomica proprio dell’UPB – la cui costruzione richiede un orizzonte di lavoro almeno biennale –, è suggerita, data l’incertezza intrinseca delle previsioni macroeconomiche, dall’opportunità di ricorrere a più modelli di stima la cui combinazione produce in genere stime più affidabili e robuste di quelle basate su un singolo modello. Per garantire piena confrontabilità tra le stime della Nota e quelle elaborate dal panel UPB, gli esercizi di stima condotti dai previsori indipendenti hanno adottato variabili esogene internazionali (tasso di cambio, prezzo del petrolio, andamento del commercio internazionale) e ipotesi di finanza pubblica “a legislazione vigente” (rilevante per le previsioni macroeconomiche tendenziali) analoghe a quelle assunte dal Governo. Combinando le stime rilasciate dai diversi previsori del panel, l’UPB ha costruito specifici intervalli di validazione per ciascuna grandezza del quadro macroeconomico sia tendenziale, sia programmatico rispetto ai quali valutare la verosimiglianza delle previsioni formulate dal Governo. I risultati dell’analisi sono illustrati, con riferimento al 2015 e limitatamente alle variabili macroeconomiche che hanno un impatto più rilevante sulla finanza pubblica, nella Figura 1. Le previsioni della Nota cadono sempre nell’intervallo delle stime formulate dal panel UPB, sia per il quadro tendenziale sia per quello programmatico. Inoltre le previsioni della Nota si collocano quasi sempre nella coda di sinistra della distribuzione, ad indicazione di un sufficiente grado di prudenza da parte del Governo (nel caso delle importazioni, che concorrono negativamente alla formazione della domanda aggregata, la figura va interpretata nel senso contrario). Passando al triennio successivo 2016-18 le previsioni della Nota appaiono in qualche misura improntate a maggiore ottimismo rispetto a quelle del panel UPB. La Figura 2 confronta le previsioni sulla dinamica del PIL nel triennio con quelle del panel UPB distinguendo tra quadro tendenziale e programmatico. Anche se gli intervalli delle stime elaborate dai previsori si ampliano passando dal 2016 al 2018 – a conferma del fatto che il grado di incertezza aumenta con l’allungarsi dell’orizzonte –, va segnalato che, se si considera il quadro tendenziale, le previsioni del Governo si collocano sempre
  • 6. 4 all’interno del campo di variazione del panel, eccetto che nel 2016 dove comunque la previsione ufficiale (0,8 per cento) è al di sotto del minimo del panel. Risultati diversi si hanno quando si considera il quadro programmatico: le previsioni di crescita della Nota in due anni su tre si collocano sull’estremo superiore dell’intervallo delle stime del panel, mentre nel terzo anno (2017) la previsione sorpassa il massimo del panel di ben 0,3 punti percentuali. Se tuttavia si depurassero le previsioni programmatiche dall’impatto stimato delle riforme strutturali annunciate, lo scenario cambierebbe: in tutti gli anni la previsione del Governo rientrerebbe ampiamente nel campo di variazione delle stime del panel. Questo risultato segnala dunque che l’effetto delle riforme strutturali è elemento critico della prospettiva di ripresa economica prefigurata dal Governo nel medio periodo. Al di là delle considerazioni svolte, vanno ricordati gli elementi di rischio che possono rendere fragili le prospettive di ripresa previste nella Nota. Questi riguardano principalmente:  la crescita del commercio internazionale che è esposta a forti incertezze, come indica la recente revisione verso il basso delle previsioni da parte della Word Trade Organization. Le tensioni geopolitiche in Ucraina e in Medio Oriente costituiscono un ulteriore fattore di rischio per il recupero dell’economia globale, anche perché potrebbero condurre a un aumento del prezzo del petrolio;  l’accelerazione della congiuntura Usa che potrebbe portare alla normalizzazione della politica monetaria negli Stati Uniti, con la necessità per la Fed di anticipare la fase di crescita dei tassi d’interesse più di quanto già anticipato dai mercati. Ne potrebbero risultare influenzate le condizioni di finanziamento nella zona euro, nonostante una fase ciclica più sfavorevole, e probabilmente accresciute le tensioni finanziarie nelle economie emergenti;  le aspettative degli agenti economici a sostegno della ripresa della domanda interna che potrebbero tardare a concretizzarsi. In particolare, l’assenza di decisi segnali di miglioramento nel mercato del lavoro potrebbe condurre le famiglie a non ridurre i propri risparmi precauzionali. La ripresa degli investimenti delle imprese potrebbe essere più debole del previsto a causa del basso tasso di utilizzo degli impianti e delle incerte prospettive dell’attività economica;
  • 7. 5  i rischi di deflazione nell’area euro che potrebbero deprimere le aspettative di ripresa. Un fattore di incertezza che incide sulle previsioni di Governo, ma di natura diversa rispetto a quelli ora richiamati, è costituito dal passaggio al nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (SEC 2010) su cui la Nota di aggiornamento è costruita. La nuova metodologia di rilevazione statistica comporta innovazioni nella misurazione dell’economia (capitalizzazione delle spese in R&S, ridefinizione degli scambi con l’estero in base al principio del trasferimento di proprietà) e delle grandezze di finanza pubblica (diverso trattamento della spesa per armamenti e delle operazioni di swap sul debito pubblico, riperimetrazione della PA, riclassificazione di riduzioni di imposte e contributi). Le previsioni della Nota di aggiornamento sono state costruite sui dati annuali coerenti con il nuovo SEC 2010 diffusi dall’Istat il 22 settembre scorso. Questi tuttavia costituiscono una base statistica che richiede di essere confermata dal prossimo rilascio dei nuovi dati trimestrali di contabilità nazionale prevista per il 15 ottobre. Il Governo ha già annunciato che qualora ciò rendesse necessario una revisione significativa delle proiezioni macroeconomiche e di finanza pubblica presenterà al Parlamento una Relazione ad hoc con il nuovo quadro programmatico. Sulle prospettive di crescita prefigurate dal Governo nel proprio quadro programmatico per il 2016-18 incidono in misura determinante le riforme strutturali in corso di approvazione parlamentare o che saranno specificate nell’ambito della manovra di fine anno. La Nota di aggiornamento dedica particolare attenzione all’illustrazione degli effetti macroeconomici degli interventi strutturali sottolineando come tali misure dovrebbero avere riflessi positivi sulla sostenibilità di medio-lungo periodo delle finanze pubbliche anche attraverso un aumento della crescita potenziale. Le riforme strutturali di nuova attuazione (giustizia, PA, competitività e mercato del lavoro) dovrebbero produrre, nelle previsioni programmatiche del Governo, effetti positivi sulla crescita del PIL pari a 0,2 punti percentuali nel 2016 e 0,4 punti percentuali per il 2017 e il 2018. Ciò significa che il 20 per cento della crescita prevista nel 2016 sarebbe imputabile all’impatto delle riforme strutturali e questa incidenza salirebbe a circa il 30 per cento nel 2017 e 2018. La considerazione degli effetti macroeconomici delle riforme strutturali nel quadro programmatico del Governo, e la portata a loro attribuita, meritano una riflessione.
  • 8. 6 Innanzitutto alcune riforme strutturali sono ancora in via di definizione il che rende difficile la valutazione del loro impatto sull’economia. In secondo luogo, almeno nell’esperienza del nostro paese, le riforme strutturali hanno sempre sofferto di pesanti ritardi nella fase di concreta implementazione, ritardi che hanno comportato successive revisioni dell’impatto a breve termine inizialmente stimato. Da ultimo, per esempio, la Nota di aggiornamento ha rivisto verso il basso gli effetti delle riforme adottate nel 2012-14 imputando tali revisioni sia a ritardi di implementazione sia al protrarsi della fase congiunturale negativa. Tali effetti, che sono già incorporati nell’andamento tendenziale a legislazione vigente, sarebbero stati fino ad oggi sostanzialmente neutralizzati dalla presenza di condizioni di domanda particolarmente deboli. Infine vanno considerati gli elementi di discrezionalità che caratterizzano i modelli generalmente utilizzati nell’esperienza internazionale per analizzare l’impatto macroeconomico delle riforme strutturali (per l’Italia i modelli ITEM, QUEST III e IGEM). Si tratta di modelli di equilibrio economico generale con cui viene stimato l’effetto sul prodotto potenziale e sull’occupazione di misure che siano quantificabili in termini di imposte, sussidi, spese per il welfare, riduzione dei costi di compliance o degli oneri regolatori sostenuti dalle imprese. La traduzione in indicatori quantificabili di input del modello (come detto imposte, sussidi, spese per il welfare, costo di compliance) di interventi complessi e articolati come sono appunto le riforme strutturali è però essenzialmente affidata alla valutazione discrezionale dell’analista, con conseguente rischio di errori e distorsioni nelle stime del loro impatto macroeconomico. Inoltre, i modelli citati valutano l’impatto delle riforme sul prodotto potenziale e non su quello effettivo: le riforme possono richiedere molto tempo dalla loro attuazione prima che dispieghino pienamente il loro impatto sul PIL effettivo, soprattutto quando il ciclo è particolarmente sfavorevole. La metodologia attualmente utilizzata per la predisposizione della Nota di Aggiornamento non pare distinguere tra impatto sul prodotto potenziale e quello effettivo. Tutte queste considerazioni evidenziano dunque che la stima degli effetti di crescita delle riforme strutturali è esercizio complesso e affetto da un elevato grado di incertezza. Un approccio prudenziale consiglierebbe pertanto di escludere gli effetti delle riforme strutturali dalla formulazione delle previsioni macroeconomiche.
  • 9. 7 2. La finanza pubblica 2.1 Il quadro tendenziale Con la Nota di aggiornamento del DEF, sono state riviste le previsioni di finanza pubblica rispetto a quanto indicato ad aprile, alla luce del peggioramento del quadro macroeconomico, degli effetti delle misure varate successivamente al DEF e del monitoraggio in corso d’anno. A questi elementi si è aggiunto un fattore straordinario costituito dal passaggio al nuovo SEC 2010. Da tale passaggio è derivato un aumento del PIL e una revisione al rialzo del livello complessivo delle entrate e delle spese del conto economico della PA (rispettivamente di 30,2 e di 28,2 miliardi nel 2013) con un effetto limitato sull’indebitamento netto (0,2 punti percentuali, al 2,8 per cento del PIL). Per il 2014, la Nota di aggiornamento del DEF prevede un aumento dell’indebitamento netto rispetto al 2013 dal 2,8 al 3,0 per cento del PIL e un peggioramento del saldo primario dal 2,0 all’1,7 per cento1. È attesa una lieve flessione della spesa per interessi. Tale quadro presenta andamenti opposti a quelli indicati nello scorso aprile, quando erano attesi una riduzione del deficit di 0,4 punti del prodotto e un corrispondente aumento del saldo primario (al 2,6 per cento). La motivazione risiede nel deterioramento del quadro macroeconomico, nell’ambito del quale il prodotto è previsto diminuire dello 0,3 per cento a fronte di un incremento dello 0,8 indicato nel DEF. Allineando il quadro tendenziale del DEF con gli effetti dei provvedimenti varati da aprile e dell’aumento del PIL connesso al solo passaggio al nuovo sistema contabile, il confronto con la Nota di aggiornamento evidenzia che il deterioramento macroeconomico di per sé ha determinato un peggioramento dell’andamento delle entrate che ha più che compensato la minore crescita delle spese correnti primarie e di quelle in conto capitale. L’andamento delle uscite correnti ha, tra l’altro, beneficiato della più ridotta dinamica prevista per le pensioni. Il minore incremento atteso per le 1 I dati relativi al 2013 riportati nella Nota di aggiornamento (e utilizzati in questa audizione) sono quelli pubblicati dall’Istat il 22 settembre 2014. Essi non includono le lievi differenze segnalate dall’Istat il 3 ottobre in occasione del rilascio dei dati SEC 2010 per il periodo 1995-2013. Si tratta di un aumento dell’indebitamento netto di 600 milioni (a 45.958 milioni) dovuto a una riduzione sia delle imposte dirette sia di quelle in conto capitale di 300 milioni. L’incidenza sul PIL dell’indebitamento netto è rimasta invariata.
  • 10. 8 erogazioni in conto capitale deriverebbe dalle indicazioni provenienti dall’attività di monitoraggio. Per le spese in conto capitale, in senso opposto ha invece operato l’aggravio dovuto al peso del nuovo trattamento di alcuni crediti di imposta per effetto del passaggio al SEC 2010. Si tratta in particolare dei crediti – vantati soprattutto dalle banche e da altre istituzioni finanziarie a fronte di crediti in sofferenza (cosiddette Deferred Tax Assets, DTA) – che in base al SEC 2010 devono essere contabilizzati in questa voce di bilancio in termini di competenza; è valutabile che ciò abbia comportato un aumento di tali spese dell’ordine di 5,5 miliardi (circa 2,5 nel 2013). I crediti di imposta cosiddetti “pagabili”, ossia che possono essere richiesti dal contribuente qualora superino il debito di imposta, non sono più registrati nel conto della PA come minori entrate fiscali; secondo il SEC 2010 devono essere contabilizzati come spesa nell’anno in cui si sono formati, senza avere effetto sulle entrate, che quindi vengono lordizzate per l’ammontare utilizzato come detrazione. In particolare, tali crediti d’imposta sono registrati tra le spese correnti o in conto capitale a seconda della loro natura. Quanto al peggioramento dell’evoluzione delle entrate connesso all’andamento dell’economia, dovrebbe risultare una contrazione particolarmente marcata dell’IRES e delle imposta sostitutiva sugli interessi dei depositi bancari, una sostanziale invarianza del gettito dell’IRPEF e una più contenuta dinamica dell’IVA. Nel 2015 la Nota di aggiornamento prevede una riduzione rispetto al 2014 dell’indebitamento netto di 0,8 punti percentuali, al 2,2 per cento del PIL, a fronte di una flessione di 0,6 punti attesa nel DEF. Il saldo primario aumenterebbe di 0,6 punti (0,4 nel DEF), al 2,3 per cento; la spesa per interessi si ridurrebbe ulteriormente di 0,2 punti del prodotto (come nel DEF), al 4,5 per cento. Il miglioramento del deficit, in presenza di un lieve aumento delle entrate (circa 0,2 punti percentuali), è previsto derivare principalmente da una riduzione delle spese totali (0,7 punti del prodotto), che diminuiscono in valore assoluto (-0,3 per cento) per la terza volta dal 1995, anno dal quale si dispone delle serie storiche secondo il SEC 2010. Correggendo le previsioni contenute nel DEF per tenere conto degli effetti dei provvedimenti varati successivamente alla sua presentazione, le spese sarebbero invece dovute aumentare dello 0,5 per cento.
  • 11. 9 Il diverso andamento che emerge dalla Nota di aggiornamento rispetto al DEF deriva, tra l’altro, dalle nuove stime relative alle spese per interessi, a quelle per le pensioni e alle erogazioni in conto capitale. Le diverse stime riguardanti le prime due componenti di spesa possono essere ricondotte all’aggiornamento delle ipotesi sottostanti quali, rispettivamente, l’andamento dei tassi di interesse e il livello del tasso di indicizzazione dei trattamenti pensionistici. Per le spese in conto capitale la comprensione della differenza tra i due documenti è resa più complessa dalle limitate informazioni sulle componenti di questa voce; vi è una revisione al ribasso dei contributi agli investimenti (peraltro già presente nel 2014) e una caduta degli altri trasferimenti che potrebbe derivare dalla stima di un minore impatto delle DTA nel 2015. Su questo ultimo punto sono state richieste informazioni, che il Governo si è impegnato a fornire. Nel triennio 2016-18, la Nota di aggiornamento prevede una evoluzione dell’indebitamento netto dal 2,2 per cento del PIL atteso per il 2015 allo 0,8 nel 2018 (dal 2,0 allo 0,3 per cento nel DEF). Tale risultato deriverebbe da un aumento del saldo primario di 1,1 punti percentuali (al 3,4 per cento) e da un contributo della spesa per interessi (0,3 punti) in linea con quello atteso ad aprile. Il miglioramento del surplus primario è totalmente ascrivibile alla riduzione delle spese (1,4 punti percentuali del PIL, al 44,8 per cento), essenzialmente dovuta alla formulazione a legislazione vigente del conto; le entrate diminuiscono di 0,3 punti percentuali, al 48,2 per cento del prodotto. Tra il 2016 e il 2018, la spesa per interessi è stimata ridursi di 0,3 punti percentuali (al 4,2 per cento), variazione equivalente a quella attesa nel DEF (0,3 punti, al 4,8 per cento). Nella Nota si evidenzia un aumento temporaneo in termini nominali della spesa nel 2016 a parità di incidenza sul PIL. L’assenza di un profilo crescente nel biennio 2017-18 è in contrasto con le ipotesi del quadro macroeconomico tendenziale. L’impatto dei titoli indicizzati è stimato in base all’inflazione. Quest’ultima, valutata in termini di deflatore dei consumi, è prevista aumentare dallo 0,6 per cento nel 2015 all’1,2 nel 2016, per poi salire ulteriormente all’1,5 nel 2017 e 2018. Il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi con scadenza decennale è ipotizzato diminuire da 150 punti base del 2015 a 100 dal 2016 in poi. Tale valore risulta peraltro ottimistico rispetto a quello osservato nelle aspettative deducibili dagli andamenti di mercato.
  • 12. 10 2.2 Il quadro programmatico Gli obiettivi indicati nel quadro programmatico della Nota di aggiornamento sono meno ambiziosi di quelli contenuti nel DEF. L’indebitamento netto è previsto scendere dal 3,0 per cento del PIL nel 2014 allo 0,2 nel 2018; nel DEF si programmava il passaggio da un deficit del 2,6 a un surplus dello 0,3 per cento. Nella Nota non viene fornito il dettaglio degli obiettivi programmatici per sottosettore (tranne che per il debito pubblico) previsto dalla L. 196/2009, art. 10bis, c. 1 in quanto i conti per sottosettore secondo il SEC 2010 non sono ancora disponibili. La variazione attesa del saldo primario tra il 2014 e il 2018 è ora pari a 2,2 punti percentuali (al 3,9 per cento del PIL), a fronte di un aumento di 2,4 punti (al 5,0) previsto nel DEF. Il raggiungimento dell’Obiettivo di medio termine (OMT), che per l’Italia è il pareggio di bilancio in termini strutturali, viene ritardato di un anno, portandolo al 2017. In particolare, il percorso verso l’aggiustamento viene interrotto nel 2014 e nel 2015 e ripreso nel 2016. Viene programmato un disavanzo strutturale più elevato di 0,3 punti percentuali del PIL nel 2014, 0,8 nel 2015 e 0,4 nel 2016. Dalla differenza tra gli obiettivi fissati per il saldo primario e i corrispondenti valori tendenziali, emerge che la manovra di bilancio in termini nominali sarà espansiva per 0,7 punti percentuali del prodotto nel 2015, neutrale nel 2016 e nuovamente restrittiva nel 2017 e nel 2018 per un ammontare pari, rispettivamente, a 0,3 e 0,5 punti percentuali. Nel 2015 l’indebitamento netto peggiora di 11,5 miliardi, passando dal 2,2 per cento tendenziale al 2,9 programmatico e il saldo strutturale è previsto migliorare di 0,1 punti percentuali del PIL. Nel 2016 gli effetti delle misure strutturali introdotte nel 2015 e una apposita clausola di salvaguardia automatica sull’IVA e su altre imposte indirette, pari a 12,4 miliardi (sempre da includere nella legge di stabilità 2015), consentono il raggiungimento dell’obiettivo nominale e di ridurre il saldo strutturale di 0,5 punti percentuali del PIL. La stessa clausola di salvaguardia, prevista per importi crescenti – pari a 17,8 e 21,4 miliardi – anche per il 2017 e il 2018, permetterebbe di raggiungere il pareggio di bilancio strutturale nel 2017 e di mantenerlo nell’anno successivo. Affinché la nuova
  • 13. 11 clausola di salvaguardia venga inclusa nelle valutazioni della Commissione europea sull’andamento dei conti pubblici e sull’osservanza delle regole, è necessario che sia chiaramente esplicitata la modalità dell’aumento dell’IVA e delle altre imposte indirette già nella legge di stabilità 2015. Nessun altro provvedimento dovrà essere quindi necessario per far scattare tale clausola (automaticità). Va tenuto presente che la nuova clausola di salvaguardia sull’IVA sostituirebbe in buona parte quella già esistente (pari a 7 miliardi nel 2016 e a 10 miliardi sia nel 2017 sia nel 2018) introdotta con la legge di stabilità 2014 e che sarebbe dovuta essere esplicitata con uno specifico provvedimento entro il 15 gennaio 2015. Quest’ultimo avrebbe dovuto modificare le aliquote o la struttura delle imposte a meno di non voler realizzare importi equivalenti attraverso tagli di spesa. Con il disegno di legge di stabilità 2015 si conoscerà la composizione delle misure della manovra di bilancio. La scelta di peggiorare l’indebitamento netto del 2015 è motivata nella Nota dalla volontà di supportare la domanda aggregata e la competitività del paese. L’utilizzo di tale margine e il reperimento di ulteriori risorse attraverso il contenimento delle spese (e la razionalizzazione delle stesse per un loro miglioramento qualitativo), oltre a rifinanziare le erogazioni connesse con le politiche invariate e il bonus in favore dei lavoratori con redditi medio bassi introdotto con il DL 66/2014 (convertito dalla L. 89/2014), consentiranno di realizzare misure atte a: 1) ridurre il prelievo sulle imprese, attraverso un’ulteriore revisione dell’IRAP; 2) superare il Patto di stabilità interno per le amministrazioni locali con il passaggio al principio del pareggio di bilancio (e la conseguente liberazione di risorse a sostegno degli investimenti) in anticipo di un anno (dal 2016 al 2015) rispetto a quanto previsto dalla L. 243/2012; 3) migliorare il sistema della formazione (finanziando interventi nei settori dell’istruzione e della ricerca e sviluppo); 4) rivedere il quadro complessivo degli ammortizzatori sociali alla luce della riscrittura delle regole del mercato del lavoro. Sembrerebbe che la politica di bilancio prospettata, oltre a rifinanziare gli “impegni” relativi a intereventi in scadenza (come tradizionalmente avviene) e al bonus, avvii alcuni elementi delle nuove riforme strutturali con costi iniziali nel 2015. Costi che successivamente verrebbero compensati attraverso la clausola di salvaguardia a partire dal 2016, quando le stesse nuove riforme strutturali inizieranno ad influenzare la crescita.
  • 14. 12 Nei programmi del Governo, l’incidenza del debito sul prodotto salirebbe ancora di 1,8 punti percentuali, dal 131,6 al 133,4 per cento nel 2015, per poi diminuire di 8,8 punti nel triennio successivo, al 124,6. Tali andamenti beneficeranno di introiti da privatizzazioni programmati per 0,7 punti percentuali di PIL all’anno dal 2015. Nel DEF era atteso un minore aumento nel 2014 (dal 132,6 al 134,9 per cento), una riduzione già dal prossimo anno e una flessione dal 2015 al 2018 pari a 12,8 punti del PIL. La differenza per l’anno in corso è dovuta alla minore crescita, al più elevato deficit e ai minori introiti da privatizzazioni (0,28 per cento del PIL, a fronte di una previsione iniziale dello 0,7). Alla luce dei minori incassi del 2014, l’obiettivo di realizzare privatizzazioni per 0,7 punti percentuali l’anno (ammontare dell’ordine di 12 miliardi annui) sembra ambizioso. Depurando degli effetti dei sostegni ai paesi in difficoltà finanziaria e della partecipazione dell’Italia al capitale dello European Stability Mechanism, il debito si ridurrebbe dal 2015 in maniera equivalente (8,7 punti percentuali del PIL) raggiungendo alla fine dell’orizzonte previsivo il 121,0 per cento del PIL, facendo emergere il minore impegno finanziario ipotizzato nelle previsioni. Il pagamento dei debiti commerciali continuerebbe ad avere un ruolo di accrescimento del debito fino al 2014. Negli anni successivi si registrerebbe un effetto opposto (complessivamente pari a circa 0,6 punti percentuali del PIL), in relazione alla restituzione delle quote di capitale e degli interessi da parte degli enti che hanno ricevuto le somme per effettuare i suddetti pagamenti. 3. Eventi eccezionali e regole di bilancio La legge per l’attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio (L. 243/2012) chiarisce che l’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2). Richiede quindi che i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio stabiliscano obiettivi dell’indebitamento netto delle AP tali da assicurare almeno il conseguimento dell’obiettivo di medio termine (OMT) ovvero il rispetto del percorso di avvicinamento a tale obiettivo già autorizzato in precedenza (comma 3). L’obiettivo può, tuttavia, tener conto dei riflessi finanziari delle riforme strutturali con un impatto positivo significativo sulla sostenibilità delle finanze pubbliche (comma 4).
  • 15. 13 3.1 Gli eventi eccezionali Nella Nota di aggiornamento del DEF 2014 e nella Relazione al Parlamento il Governo dichiara che la revisione operata negli obiettivi di bilancio e nel percorso di avvicinamento all’OMT - che richiederebbe, sulla base di quanto previsto nel DEF 2014, un miglioramento dello 0,5 per cento del saldo strutturale - è motivata, tra l’altro, dalla necessità di far fronte al peggioramento delle condizioni dell’economia sperimentato nell’anno in corso, che si configura come un evento eccezionale ai sensi della normativa europea e nazionale. Il percorso programmatico del saldo strutturale presentato nel DEF 2014 prevedeva un valore di -0,6 nel 2014, -0,1 nel 2015 e il pareggio nel 2016. In effetti, nella normativa italiana, scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico sono consentiti esclusivamente nel caso di “eventi eccezionali” (art. 6 della L. 243/2012) 2. Tali si intendono: a) periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea; b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato (…) con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese. Le disposizioni richiamate sono da interpretare in coerenza con l’ordinamento europeo, in particolare con il braccio preventivo (regolamento CE n. 1466/97) e con quello correttivo (regolamento CE n. 1467/97) del Patto di stabilità e crescita (PSC). La parte correttiva definisce una grave recessione come una situazione caratterizzata da un tasso di crescita negativo del PIL in termini reali o una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa rispetto a quella potenziale. Nella parte preventiva, si prevede per i paesi che non hanno ancora raggiunto il proprio OMT (come è il caso dell’Italia) una dispensa (waiver) dall’obbligo di migliorare il saldo strutturale in caso di grave recessione. Più in generale, il miglioramento del saldo in misura pari allo 0,5 per cento l’anno va inteso come termine di riferimento: l’aggiustamento dovrebbe essere superiore allo 0,5 per cento nelle fasi favorevoli del ciclo (“good times”) mentre può essere inferiore in quelle avverse (“bad times”). 2 Per un’analisi del concetto di eventi eccezionali si rinvia all’Allegato 1.
  • 16. 14 In particolare, secondo la prassi interpretativa della Commissione europea, nota agli Stati membri, è accettabile non compiere alcun progresso lungo il percorso di avvicinamento all’OMT per un paese che in un determinato anno presenti un tasso di crescita negativo del prodotto oppure un output gap superiore al 4 per cento. Queste due condizioni soglia funzionano nella prassi interpretativa della Commissione come “regola del pollice” per definire operativamente il concetto di grave recessione economica, che comporta una deroga totale (waiver) rispetto all’obbligo di avvicinamento all’OMT. D’altro canto, secondo questa interpretazione sembrerebbe che se nessuna delle due condizioni è soddisfatta, il paese sarebbe tenuto a proseguire normalmente nel suo percorso di avvicinamento all’OMT. La nozione secondo cui nelle fasi sfavorevoli sarebbe consentito uno sforzo fiscale inferiore al normale (e viceversa in quelle favorevoli) non sembra si sia tradotta in una regola operativa. 3.2 L’obiettivo di medio termine3 Nel caso dell’Italia, come si è detto, il percorso di avvicinamento implica in condizioni normali un miglioramento dello 0,5 per cento del saldo strutturale. Con riferimento all’anno in corso, il saldo strutturale, secondo le stime del Governo, peggiorerebbe passando dal -0,7 per cento del 2013 al -0,9 del 2014. Tuttavia, poiché nel 2014 si avrebbe una diminuzione del prodotto dello 0,3 per cento e un output gap pari a -4,3, entrambe le condizioni soglia utilizzate dalla Commissione sarebbero soddisfatte: crescita reale negativa e output gap superiore al 4 per cento. Per il 2015, la situazione è diversa. Il saldo strutturale migliorerebbe, rispetto al 2014, di uno 0,1 punti percentuali, inferiore quindi al valore normale di 0,5 punti. Se si adottassero le condizioni soglia della Commissione, nessuna delle due sarebbe soddisfatta: il prodotto segnerebbe una crescita positiva seppur contenuta (0,6 per cento) e l’output gap sarebbe inferiore al 4 per cento (per la precisione il 3,5). Definire la nozione di “evento eccezionale” di cui alla normativa italiana sulla base della “regola del pollice” appena descritta sembra, tuttavia, un criterio privo di gradualità. Sarebbe ragionevole ritenere che una situazione come quella prevista per l’Italia nel 2015 non debba essere trattata allo stesso modo di una caratterizzata da un 3 Per un approfondimento degli argomenti trattati in questo paragrafo si rimanda agli Allegati 2 e 3.
  • 17. 15 output gap negativo di dimensioni molto più ridotte o al limite nullo. Inoltre, la formulazione del PSC richiama un criterio di definizione della fase del ciclo che dovrebbe anche tener conto della storia recente, come quando nel braccio correttivo, ci si riferisce alla diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa rispetto a quella potenziale. Per l’Italia, la modesta crescita del prodotto prevista per il 2015, interverrebbe dopo tre anni consecutivi di diminuzione, con un output gap superiore al 4 per cento negli ultimi due anni. Come criterio alternativo, per definire un “periodo di grave recessione economica” e quindi un “evento eccezionale”, per usare la terminologia rilevante per la normativa italiana si potrebbero adottare valori soglia in termini del cosiddetto ROG (representative output gap), una nozione già utilizzata nel contesto della normativa europea. Si tratta del valore dell’output gap, che considerando un arco di tempo di venticinque anni, è migliore solo del 5 per cento dei casi. In altre parole quel valore dell’output gap che risulterebbe peggiore dei valori effettivamente riscontrati nel 95 per cento degli anni considerati. Se si adotta questo criterio, il quadro macroeconomico previsto per il 2015 sarebbe, in effetti, da considerarsi “eccezionale”: il ROG per l’Italia è, infatti, stimato nel 2,7 per cento. Il 2015, con un output gap del 3,5 per cento rientrerebbe quindi ampiamente tra gli anni caratterizzati da una fase ciclica eccezionalmente avversa. Al contrario, il 2016 presenterebbe, secondo la previsione del governo, un output gap del 2,6 per cento, inferiore al ROG4. Le considerazioni sopra illustrate portano a concludere che in effetti nel 2015 permarrebbe una condizione eccezionale tale da giustificare, in base alla normativa italiana, lo scostamento temporaneo del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico. Questa conclusione necessita tuttavia di alcune qualificazioni. La prima andrebbe nella direzione di rafforzare la conclusione precedente. La normativa europea e quella italiana che la recepisce contemplano, tra i fattori che possono consentire deviazioni temporanee dal sentiero di aggiustamento verso l’OMT, “l’attuazione di importanti riforme strutturali idonee a generare benefici finanziari diretti a lungo termine, compreso il rafforzamento del potenziale di crescita sostenibile, e che pertanto abbiano un impatto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanza pubbliche” (Reg. 4 Per una illustrazione della persistenza della recessione e della determinazione del ROG nel caso italiano, si rinvia all’Allegato 4.
  • 18. 16 1466/97, art. 5). Nella Nota di aggiornamento del DEF sono richiamate, come si è visto, una serie di riforme che avrebbero queste caratteristiche, in quattro aree di intervento: riforma della PA, misure per la competitività, riforma del mercato del lavoro, riforma della giustizia. Si tratta senz’altro di interventi potenzialmente in grado di influenzare la crescita di lungo periodo della nostra economia. In alcuni casi sono riforme la cui realizzazione potrebbe comportare spese aggiuntive immediate che incidono sul saldo delle pubbliche amministrazioni (di questo, comunque, si potrà essere certi solo dopo l’approvazione del disegno di legge di stabilità). Da questo punto di vista, potrebbero anche giustificare una deviazione che rispecchi l’importo di tali spese aggiuntive (in tal senso si esprime esplicitamente una disposizione della parte preventiva del PSC). Allo stato attuale, tuttavia, è necessario essere prudenti al riguardo, sia perché si tratta in buona parte di riforme ancora in corso di definizione, sia perché anche una volta attuate resta comunque ampia l’incertezza nella stima dell’intensità dei loro effetti sulla crescita e dei tempi in cui tali effetti potranno realizzarsi. Sono, in pratica, le stesse considerazioni che in precedenza hanno spinto a ritenere preferibile evitare di includere tali effetti sin da subito nelle previsioni macroeconomiche. Una verifica attenta del grado di attuazione delle riforme e una nuova valutazione dei loro effetti dovranno essere effettuate in sede di definizione del Programma di stabilità. La seconda qualificazione alla conclusione generale di giustificazione della deviazione dal percorso di aggiustamento per il 2015 sottolinea invece la necessità di cautela nel fissare la misura della deviazione. La normativa stabilisce che in ogni caso (sia in presenza di grave recessione sia di riforme strutturali) deviazioni temporanee dall’OMT o dal percorso di avvicinamento non devono mettere in pericolo la sostenibilità di medio periodo. A tal fine, si deve comunque mantenere un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento per il rapporto tra disavanzo nominale e PIL. La previsione programmatica per il 2015 esposta nella Nota di aggiornamento del DEF, pari al 2,9 per cento, costituisce, in questa ottica, un forte elemento di rischio, i cui contorni si definiranno meglio solo dopo la presentazione del disegno di legge di stabilità, che consentirà di valutare la credibilità delle cifre associate ai vari interventi della politica di bilancio. In conclusione, si ritiene che il quadro che si prospetta per l’economia italiana nel 2015 giustifichi una deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’OMT sulla base della
  • 19. 17 clausola degli eventi eccezionali. Occorre garantire, tuttavia, anche sulla base di una più completa e affidabile valutazione degli effetti delle riforme, che l’ampiezza di tale deviazione sia tale da non mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica. 3.3 Regola sulla crescita della spesa Nella parte preventiva del PSC la regola sull’OMT è integrata da una regola sulla spesa. Il quadro di riferimento per la verifica di questa regola è basato sull’esclusione di alcune voci la cui entità viene definita con la manovra di finanza pubblica per il prossimo triennio. Per questo motivo, come anche sottolineato dal Governo, si potrà valutare il rispetto della regola solo dopo l’approvazione del disegno di legge di stabilità. Ad oggi si può sottolineare che la crescita negativa del PIL attesa per il 2014 dovrebbe consentire – secondo la prassi della Commissione – di sospendere l’applicazione del cd “margine di convergenza”, cioè della richiesta, per i paesi che non hanno raggiunto l’obiettivo di medio termine di registrare una crescita della spesa inferiore a quella del PIL potenziale. 3.4. Regola sulla diminuzione del debito in rapporto al PIL Ai fini della regola sul debito, fino al 2015, l’Italia rientra nel periodo di transizione. Senza entrare nel dettaglio delle formule, è richiesto un aggiustamento del saldo strutturale di 1 punto di PIL nel 2014 e 2,2 nel 2015. Il Governo della Nota di aggiornamento dichiara di non ritenere la correzione né fattibile, né auspicabile: pertanto il quadro programmatico non rispetta i parametri del periodo di transizione. Si ritiene che le conclusioni del precedente paragrafo ai fini della sospensione del percorso di avvicinamento all’OMT possano essere invocate anche per la regola sul debito. Questa osservazione è rafforzata dalle analisi che individuano i parametri delle politiche di bilancio cd. self-defeating, cioè quei casi in cui le manovre di correzione del saldo implicano una recessione tale da comportare, via denominatore, un aumento del rapporto debito/PIL. Il segno dell’effetto di una manovra sul rapporto debito/PIL dipende dalla misura dei moltiplicatori, vi è, cioè, una soglia dei parametri al di sopra
  • 20. 18 della quale le manovre di finanza pubblica (destinate a migliorare la sostenibilità dei bilanci) hanno l’effetto opposto a quello desiderato. Il tema dei moltiplicatori come noto è stato molto dibattuto nel 2013 quando alcuni analisti hanno sottolineato come la crisi del 2008 e 2009 avesse comportato una modifica strutturale del comportamento dei sistemi economici non riflessa nella modellistica in uso. In allegato si propone un esercizio molto semplice, nel quale si evidenzia la perdita di prodotto che si avrebbe - sulla base dei moltiplicatori ad oggi stimati dai vari previsori - in caso di manovra correttiva della entità necessaria per rispettare la regola del pareggio di bilancio e quella della riduzione debito (Allegato 5). Con riferimento ai risultati sul debito, l’analisi evidenzia che il segno è negativo in ciascuno dei casi considerati, con effetto tanto più ampio quanto maggiore è la dimensione del moltiplicatore (come ad esempio quello recentemente stimato dall’FMI). Ovviamente l’analisi sulla sostenibilità del debito non si può limitare agli effetti delle manovre nel primo anno di applicazione, ma deve coprire un periodo pluriennale. Tuttavia la politica di bilancio non può certamente trascurare le implicazioni anche di breve periodo che deriverebbero da scelte che non tengano adeguatamente conto del contesto economico nel quale operano. La presenza di una deviazione significativa delle previsioni programmatiche rispetto ai parametri di riferimento implicherebbe, a livello europeo, la preparazione di un Rapporto da parte della Commissione, contenente una analisi complessiva delle condizioni di stabilità del debito e degli eventuali fattori rilevanti. Le conclusioni sarebbero utilizzate per valutare l’eventuale apertura di una procedura di deficit eccessivo che in questo caso riguarderebbe il debito. Due elementi del contesto italiano devono essere presi in considerazione per confermare la cautela nell’applicazione della regola sul debito come prevista nei regolamenti europei: l’accelerazione del pagamento dei debiti commerciali operata negli ultimi due esercizi dai governi italiani e la bassa inflazione. Su quest’ultimo punto occorre sottolineare che l’intero quadro di riferimento sovranazionale trascura completamente il tema dei prezzi, mentre le dinamiche recenti sembrerebbero imporre un ripensamento che consenta di tenere conto delle implicazioni (particolarmente rilevanti nel caso della regola sul debito) che una bassa inflazione ha sugli schemi analitici vigenti.
  • 21. 19 La deroga nell’applicazione della regola sul debito per il 2015 non deve però far trascurare la rilevanza della problematica. Il volume di emissioni annue di debito rimane molto elevato, un roll-over di più di 300 miliardi l’anno, rendendo vulnerabile il paese all’incertezza dell’evoluzione dei tassi di interesse, oggi fortunatamente molto bassi. La spesa per interessi, pari a quasi 5 punti di PIL, obbliga ad avere un saldo primario positivo ed elevato, con evidenti implicazioni sulla composizione del bilancio. Indipendentemente dall’applicazione delle regole numeriche, quindi, l’elevato volume del debito in rapporto al PIL riflette un vincolo permanente nella definizione delle politiche di bilancio italiane. 4. Conclusioni Le principali conclusioni del presente documento possono così essere sintetizzate:  L’UPB valida il quadro macroeconomico programmatico e tendenziale per gli anni 2014 e 2015, in quanto, allo stato delle informazioni disponibili, esse si collocano nell’intervallo accettabile delle previsioni;  Le previsioni macroeconomiche programmatiche per gli anni 2016-18 appaiono ottimistiche, soprattutto per l’inclusione degli effetti delle riforme strutturali in corso di definizione; l’UPB ritiene preferibile che, nei prossimi documenti di programmazione, gli effetti delle riforme strutturali siano analizzati separatamente e non incorporati nel quadro programmatico;  Alcuni elementi di rischio possono influire sulle prospettive di ripresa, in particolare quelli connessi con lo scenario internazionale e con il clima di fiducia di famiglie e imprese;  Le previsioni tendenziali di finanza pubblica sono realistiche, anche se occorre ricordare che il criterio della legislazione vigente (in confronto a quello a politiche invariate) tende a presentare risultati migliori;  Gli obiettivi programmatici di finanza pubblica presuppongono l’introduzione di una clausola di salvaguardia, di importo crescente nel periodo di programmazione. Affinché gli effetti della clausola siano incorporati nei conti
  • 22. 20 occorre che questa sia formulata in modo automatico, senza necessità di rinvio ad atti amministrativi di attuazione;  L’UPB ritiene che nel 2015 vi siano le condizioni eccezionali tali da giustificare l’ammissibilità dell’allontanamento temporaneo dal percorso di aggiustamento verso l’OMT;  Occorre garantire, tuttavia, anche sulla base di una più completa e affidabile valutazione degli effetti delle riforme, che l’ampiezza di tale deviazione sia tale da non mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica; in particolare, va mantenuto, con la definizione concreta delle misure che comporranno il DDL stabilità, un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento;  Con riferimento al rapporto debito/PIL, la deroga nella correzione del saldo strutturale non deve far trascurare la rilevanza della questione. Indipendentemente dalla applicazione di regole numeriche, l’elevato volume del debito in rapporto al PIL pone un vincolo permanente alla definizione delle politiche di bilancio italiane.
  • 23. 21
  • 24. 22
  • 25. 23 Allegato 1 La definizione di “evento eccezionale” nella normativa europea Nella Nota di aggiornamento del DEF 2014 e nella Relazione al Parlamento il Governo dichiara che la revisione operata negli obiettivi di bilancio e nel piano di rientro verso l’OMT (obiettivo di medio termine) è motivata, tra le altre cose, dalla necessità di far fronte all’ulteriore inusuale inasprimento delle condizioni dell’economia sperimentato nell’anno in corso, che si configura come un evento eccezionale ai sensi della normativa europea5 e nazionale6. La legge 243/2012 (cd. legge rinforzata) stabilisce che scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo di medio termine sono consentiti esclusivamente in caso di eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, e in particolare periodi di grave recessione economica relativi anche all’area dell’euro o all’intera Unione europea. Per valutare il fondamento giuridico della sussistenza dell’evento eccezionale, è utile una breve disamina degli aspetti definitori incorporati nell’ordinamento europeo. L’utilità di una cd. escape clause rispetto all’applicazione delle regole numeriche di bilancio è riconosciuta nella letteratura, in base alla quale un buon disegno delle regole deve comunque prevedere la possibilità di una deroga in caso di eventi eccezionali per evitare il rischio di prociclicità delle regole stesse. Già il Trattato di Maastricht prevedeva la possibilità di una deroga alle soglie di riferimento introdotte per il disavanzo e il debito in rapporto al PIL (3 e 60 per cento, rispettivamente) qualora “il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento” (art. 104 C). La norma in questione è stata confermata anche nelle successive riscritture dei trattati fondativi europei (Trattati di Nizza, di Amsterdam e di Lisbona) ed è incorporata nel vigente Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (art. 126). L’evoluzione della legislazione secondaria di attuazione di questa norma evidenzia un’articolazione interpretativa finalizzata a consentire che la valutazione del quadro economico possa consentire deroghe all’applicazione della regola numerica. Anche il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e monetaria (cd. fiscal compact) conferma tale impianto, consentendo la deviazione temporanea dall’obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento solo in circostanze eccezionali (art 3, par. 1, lettera c). Lo stesso Fiscal Compact definisce le circostanze eccezionali come “eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, ovvero periodi di grave recessione 5 Cfr. in particolare dell’articolo 5 del regolamento europeo n. 1466/1997. 6 Cfr. l’articolo 6, comma 5, della L. n. 243/1912.
  • 26. 24 economica ai sensi del Patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine”. Vengono pertanto confermati il concetto di temporaneità dell’evento e l’esigenza di presentare un piano correttivo per non compromettere la sostenibilità del bilancio a medio termine. Il Patto di stabilità e crescita, nella versione rivista e attuata mediante i regolamenti, tiene conto del rischio di prociclicità della politica di bilancio indotto dall’applicazione delle regole. Il concetto di deroga si ritrova prima di tutto nelle procedure relative al braccio correttivo, dove viene prevista la possibilità di non aprire una procedura di disavanzo eccessivo al verificarsi di circostanze eccezionali come una grave recessione economica. Successivamente, nell’ambito delle procedure di sorveglianza (braccio preventivo), non solo consente di effettuare uno sforzo inferiore nei periodi avversi (bad times) ma individua inoltre un cd. waiver in caso di circostanze eccezionali. È interessante osservare come la definizione di evento eccezionale abbia subito nell’ambito di questo quadro un’evoluzione, con riferimento in particolare alla definizione di grave recessione economica (severe economic downturn). Ai fini dell’applicazione delle regole del braccio correttivo (le prime a essere introdotte) prima del 2005 si parlava di declino annuo del PIL almeno pari al 2 per cento o se inferiore al 2 per cento a condizioni molto particolari (modalità improvvise ed inattese con cui la recessione si è manifestata o della diminuzione cumulata della produzione rispetto alle tendenze passate). Dopo il 2005, è sufficiente registrare un tasso di crescita negativo del volume annuo del PIL o una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. A partire dal 2011, dopo le modifiche del six pack, la deroga legata alla grave recessione economica (severe economic downturn) viene estesa anche alle procedure del braccio preventivo, chiarendo che essa può riguardare la zona euro o l’intera Unione, accanto alla fattispecie di evento inconsueto al di fuori del controllo dello Stato membro che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale dello Stato stesso. In tali ipotesi “gli Stati membri possono essere autorizzati ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento all’obiettivo di bilancio a medio termine di cui al terzo comma, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa”7. Il regolamento non qualifica però ulteriormente cosa si intenda per grave recessione economica. Una definizione più puntuale è fornita invece nell’ambito delle procedure riguardanti il braccio correttivo8, ai fini delle quali una grave recessione economica viene qualificata con profili applicativi meglio definiti, individuando due condizioni che devono essere presenti, anche disgiuntamente, per qualificare un periodo di recessione come una circostanza eccezionale. Tali condizioni sono: a) una crescita reale negativa del PIL; 7 Art. 5 del Reg. (CE) 7 luglio 1997, n. 1466/97 8 Art. 2 del Reg. (CE) 7 luglio 1997, n. 1467/97
  • 27. 25 b) una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. Tale definizione, benché fornita nell’ambito delle disposizioni relative al braccio correttivo, risulta avere una valenza informativa di carattere generale, come risulta dal Vademecum sul Patto di stabilità e crescita, elaborato dalla Commissione europea nel maggio 2013, il quale espressamente precisa che la definizione di severe economic downturn fornita dal regolamento sul braccio correttivo può guidare anche le valutazioni circa lo scostamento temporaneo dall’OMT ai fini del braccio preventivo. Sempre il Vademecum precisa che una volta superata la circostanza eccezionale dovrà comunque prevedersi una ripresa dell’aggiustamento strutturale e ribadisce la condizione che lo scostamento dall’obiettivo non comprometta la sostenibilità di bilancio di medio periodo.
  • 28. 26 Allegato 2 La stima del prodotto potenziale e dell’output gap Il prodotto potenziale e l’output gap La stima e la valutazione dei saldi strutturali di finanza pubblica sono strumenti fondamentali per la verifica del rispetto del pareggio di bilancio previsto dal nostro ordinamento nonché dal processo di sorveglianza multilaterale del Patto di stabilità e crescita. Come noto, è infatti richiesto che il rapporto disavanzo/PIL in termini strutturali, vale a dire aggiustato per il ciclo economico e per le una tantum, si avvicini a un ritmo annuale di ½ punto percentuale al cosiddetto "obiettivo di medio termine" (nel caso dell’Italia pari a zero), a meno di circostanze eccezionali. Il motivo principale della centralità assunta dal saldo strutturale è quello di evitare politiche di bilancio che possano aggravare andamenti già indesiderati dell’economia, vale a dire recessioni o rallentamenti eccessivi del PIL, oppure espansioni tali da provocare un’inflazione troppo elevata. In termini tecnici, tali politiche di bilancio sono dette procicliche, in quanto sono espansive in periodi di ciclo favorevole e restrittive in periodi di ciclo sfavorevole. Il calcolo del saldo strutturale di finanza pubblica richiede quello del PIL potenziale e dell’output gap che non sono variabili osservabili e devono quindi essere stimate. Il PIL potenziale si può definire come il livello massimo di prodotto ottenibile con il pieno utilizzo delle risorse (lavoro e capitale) e coerente con un’inflazione stabile. L’output gap è la differenza tra il PIL effettivo e quello potenziale, e rappresenta quindi un indicatore di pressioni inflazionistiche. A causa dei problemi dei metodi per il calcolo del PIL potenziale e dell’output gap e dell’incertezza che ne caratterizza le stime, vi è un generale consenso che i relativi risultati debbano essere usati con cautela, soprattutto per determinare le scelte di politica economica. Questo in parte contrasta con la scelta di mettere al centro del monitoraggio e della valutazione delle politiche di finanza pubblica le variazioni e il livello del saldo di bilancio strutturale. In linea di principio, tale scelta è ragionevole dal punto di vista economico in quanto dovrebbe ridurre il rischio di condurre politiche procicliche ma comporta in pratica una serie di inconvenienti tecnici che dovrebbero indurre alla prudenza, soprattutto nell’uso dei livelli delle variabili non osservabili (l’utilizzo delle variazioni dovrebbe essere più affidabile in quanto, attraverso le differenze, gli eventuali errori nei livelli potrebbero compensarsi ed eliminarsi a vicenda).
  • 29. 27 A causa delle frequenti revisioni di queste stime, inoltre, è possibile che sulla loro base vengano fornite ex-ante raccomandazioni di finanza pubblica che ex-post possono rivelarsi controproducenti. Un caso evidente di questa circostanza si verifica quando, a seguito di revisioni successive, l’output gap cambia di segno per uno stesso anno, indicando per esempio ex-post che l’economia si trova in una fase ciclica negativa quando ex-ante era invece stimata essere in una fase ciclica positiva. Per rimediare all’incertezza delle stime, potrebbe essere raccomandabile utilizzare in parallelo diversi metodi di stima del PIL potenziale; dovrebbe quindi essere condotto un confronto e un’analisi di sensibilità dei relativi risultati alle ipotesi sottostanti. L’utilizzo delle stime dei saldi strutturali ai fini della politica economica potrebbe quindi essere raccomandabile solo se i risultati delle stime sono simili tra i diversi metodi e poco sensibili alle ipotesi sottostanti. Quando al contrario i risultati non sono simili oppure sono poco robusti, potrebbe essere opportuno utilizzare in parallelo altre strategie di valutazione che facciano affidamento solo su variabili osservabili. Per esempio, il monitoraggio e la valutazione dell’andamento delle componenti di spesa meno influenzate dal ciclo economico possono rappresentare un buon indicatore della posizione di bilancio. La cosiddetta regola della spesa stabilita dalla recente riforma del Patto di Stabilità e Crescita è un passo verso questa strategia, anche se per alcuni aspetti la regola continua a essere influenzata dalla stima della crescita potenziale e dell’output gap. I metodi di calcolo del PIL potenziale e dell’output gap Il PIL potenziale è il livello di prodotto a cui l’economia dovrebbe convergere nel medio termine (vale a dire in un arco di tempo tra i 5 e i 10 anni) quando i disequilibri ciclici (o di altra natura) si ipotizzano esauriti, e la domanda e l’offerta si ipotizzano bilanciate. In questo contesto, il tasso di inflazione dovrebbe allinearsi intorno al suo valore di lungo termine (di solito definito dall’obiettivo di politica monetaria). L’output gap rappresenta quindi un indicatore di pressioni inflazionistiche. Quando l’output gap è positivo, è possibile che vi siano tensioni nei mercati interni (del lavoro, dei beni o dei servizi) tali da causare un aumento dell’inflazione. All’opposto, un output gap negativo segnala la possibilità di minori pressioni inflazionistiche. E’ importante in ogni caso sottolineare che la relazione tra output gap e inflazione potrebbe non essere stabile nel tempo e che la crescita dei prezzi dipende anche da altri fattori, come ad esempio i tassi di cambio o i prezzi delle materie prime nei mercati internazionali. Le due principali strategie di stima del PIL potenziale sono quelle puramente "statistiche", che si basano sulla sola serie del PIL, e quelle "economiche", che si basano sulla cosiddetta funzione di produzione.
  • 30. 28 I metodi statistici di stima del PIL potenziale cercano di decomporre direttamente la serie del PIL in una componente di trend e un’altra ciclica. Il metodo statistico più comunemente usato è quello basato sul filtro di Hodrick-Prescott (HP) dal nome dei due economisti che lo hanno per la prima volta proposto. Con questo metodo, la componente di trend di PIL è ottenuta attraverso un algoritmo che "filtra" le fluttuazioni cicliche, estraendo la componente meno variabile del PIL stesso. Il filtro HP ha il vantaggio di essere relativamente semplice da applicare o replicare; tuttavia presenta anche numerosi problemi. In primo luogo, i risultati (andamento del trend e ampiezza del ciclo) sono abbastanza sensibili alla scelta di un particolare parametro, λ, che non viene stimato ma è scelto in modo arbitrario e che influenza il grado di variabilità della componente di trend di PIL che si andrà ad ottenere. Per questo motivo, se λ non è ben calibrato, la frequenza della serie utilizzata può influenzare l’ampiezza del ciclo: utilizzare la serie annuale del PIL può fornire risultati diversi da quelli ottenuti utilizzando la serie trimestrale del PIL stesso. Lo stesso vale se vengono utilizzati intervalli di osservazione di diversa ampiezza. Un altro problema di questo metodo è l’implicazione nella scelta implicita nell’algoritmo che la somma degli output gap nel periodo di osservazione debba essere zero, anche se non vi è stato un numero esatto di cicli compiuti nel periodo di riferimento. Uno dei problemi più rilevanti è che, con questo metodo, il PIL potenziale è influenzato in modo eccessivo dalle ultime osservazioni della serie di riferimento e quindi tende ad essere "prociclico" alla fine del periodo di osservazione. Questo è il cosiddetto "end-of- sample bias", legato al fatto che il metodo, nel restituire una serie di trend del PIL per un dato anno, utilizza con una certa ponderazione sia informazioni degli anni precedenti sia informazioni degli anni successivi. Di conseguenza, alla fine del periodo di osservazione, mancando di osservazioni successive, si troverà a restituire un valore che attribuisce un peso eccessivo agli ultimi anni osservati (in termini tecnici si dice che ciò equivale a ottenere una media mobile asimmetrica alla fine del periodo preso in esame). Questo aumenta la possibilità di avere stime imprecise del PIL potenziale alla fine del periodo della serie, proprio quando tali stime sono più importanti per determinare le decisioni di politica economica. Il metodo di calcolo utilizzato per il Patto di stabilità e crescita Anche per i motivi sopra ricordati, a partire dal 2002, la Commissione europea, in cooperazione con l’Output Group Working Group dell’Economic Policy Commitee (OGWG, un gruppo di lavoro composto da delegazioni degli Stati membri), ha deciso di interrompere l’utilizzo del filtro HP per la stima del PIL potenziale e di utilizzare il metodo della funzione di produzione; lo stesso metodo viene utilizzato dal MEF nei
  • 31. 29 documenti programmatici. Con questo metodo, il PIL potenziale può essere rappresentato come una combinazione di fattori produttivi (lavoro, capitale) moltiplicati dalla componente di trend della cosiddetta produttività totale dei fattori (total factor productivity, TFP) che è una misura delle innovazioni tecnologiche e organizzative. A sua volta, il fattore lavoro, definito come la componente di trend del numero di ore totali, viene suddiviso nella sua componente demografica (popolazione in età lavorativa), la componente di trend del tasso di partecipazione, il tasso di disoccupazione strutturale, e la componente di trend delle ore medie lavorate. Questo metodo ha quindi l’ulteriore vantaggio di poter fornire una spiegazione economica all’andamento del PIL potenziale, potendo mostrare il contributo di ciascun fattore di produzione e della produttività. Ciò può essere utile per determinare le priorità nelle scelte di politica economica. Tuttavia, anche il metodo della funzione di produzione richiede di utilizzare alcune variabili che non sono direttamente osservabili e che quindi devono essere stimate. Le due variabili non osservabili più rilevanti sono la componente di trend della TFP e la disoccupazione strutturale. Per quest’ultima, la Commissione e l’OGWG hanno scelto di utilizzare, in linea con altre organizzazioni nazionali e internazionali, il tasso di disoccupazione coerente con una crescita stabile dei salari (non-accelerating-wage rate of unemployment, NAWRU). Per la stima sia del NAWRU sia della componente di trend della TFP, la Commissione e l’OGWG hanno deciso di utilizzare metodi "semi- strutturali", vale a dire dei metodi che utilizzano valutazioni economiche di carattere teorico o empirico per migliorare i risultati di filtri statistici. In particolare, per entrambi viene utilizzato il cosiddetto filtro di Kalman bivariato. Nel caso della TFP, il metodo sfrutta la relazione tra TFP e utilizzo della capacità produttiva nell’economia per eliminare la componente ciclica del TFP ed "estrarne" la componente di trend. Un metodo simile viene utilizzato per la stima del NAWRU, in questo caso sfruttando la relazione tra il tasso di disoccupazione e variazioni della crescita dei salari (cosiddetta curva di Phillips). Infine, per le altre due serie che devono essere stimate, la componente di trend del tasso di partecipazione e quella delle ore medie lavorate, la Commissione europea e l’OGWG hanno invece deciso di utilizzare il filtro HP. Il metodo di stima del PIL potenziale attraverso la funzione di produzione utilizzato dalla Commissione europea presenta dei vantaggi rispetto ai metodi statistici. In primo luogo, come accennato in precedenza, attraverso questo metodo è possibile ottenere un’interpretazione economica dei risultati ottenuti. Ciò ha il duplice vantaggio di rendere più agevole la valutazione dei risultati stessi e di individuare le azioni di policy prioritarie per eventualmente migliorare l’andamento del PIL potenziale. In secondo luogo, il nuovo metodo utilizzato dalla Commissione ha eliminato il problema dell’“end-of-sample bias” della stima della component di trend del TFP aumentandone
  • 32. 30 la precisione e riducendo la sua prociclicità alla fine del periodo di osservazione e quindi, almeno in parte, quella del PIL potenziale. Tuttavia, anche con il metodo della funzione di produzione rimangono alcuni problemi. Prima di tutto, il metodo non elimina del tutto la prociclicità delle stime del PIL potenziale. Ciò è dovuto a una serie di motivi: 1) la relazione tra il tasso di disoccupazione e la variazione della crescita dei salari (curva di Phillips) potrebbe essere fragile e quindi, di fatto, l’andamento del NAWRU potrebbe seguire molto da vicino quello del tasso di disoccupazione effettivo; 2) alcune componenti della funzione di produzione, come il tasso di partecipazione e le ore medie lavorate, continuano a essere stimate attraverso il metodo HP; 3) lo stock di capitale dipende dall’andamento degli investimenti che è influenzato dal ciclo. Inoltre, l’utilizzo del metodo della funzione di produzione accresce la necessità di compiere delle scelte arbitrarie, per esempio per quanto riguarda la specificazione della funzione di produzione, la natura dei dati (in particolare per lo stock di capitale), e i metodi di stima. In aggiunta, il metodo di Kalman non è scevro da problemi di natura statistica. Anche con questo metodo il grado di variabilità delle componenti di trend risulta particolarmente sensibile alla scelta di alcuni parametri la cui interpretazione economica appare estremamente ardua, se non pressoché impossibile, da determinare. Tali scelte possono influenzare in modo significativo i risultati finali e quindi metterne in evidenza la fragilità. Infine, anche il metodo della funzione di produzione, come quelli statistici, produce stime del PIL potenziale che possono essere soggette a importanti revisioni nel corso del tempo, soprattutto alla fine del periodo di stima, quello più importante per le scelte di politica economica. Questo risultato è dovuto in parte alla revisione cui sono soggette le serie del PIL effettivo e delle altre variabili che entrano nel calcolo del PIL potenziale (ore lavorate, stock di capitale). Un altro motivo è l’utilizzo di previsioni per la stima di alcune delle componenti della funzione di produzione; tali previsioni ex-post possono rivelarsi errate (in generale troppo ottimistiche) ed essere soggette a correzioni. Sempre nel periodo di previsione, nell’ambito della sorveglianza UE l’output gap viene inoltre influenzato anche dall’ipotesi arbitraria di chiusura del ciclo economico entro i tre anni successivi all’ultimo anno di previsione; un’ipotesi che può essere particolarmente impegnativa da soddisfare quando l’output gap è elevato. Il caso dell’Italia Le stime del PIL potenziale e dell’output gap riportate nella Nota di aggiornamento sono soggette ad alcuni dei problemi che sono stati precedentemente ricordati.
  • 33. 31 In particolare, il NAWRU coerente con il quadro macroeconomico programmatico stimato nella Nota di aggiornamento presenta una notevole componente ciclica come la figura sotto mostra. La presenza di una notevole componente ciclica nelle stime del NAWRU è stata anche di recente messa in evidenza da alcuni studi della Commissione Europea (per esempio nel Box I.4 delle European Economic Forecast, Spring 2014). L’evidente ciclicità del NAWRU può mettere in serio dubbio la validità dell’output gap come indicatore della posizione ciclica dell’economia. Per verificare l’impatto di una diversa stima della disoccupazione strutturale, si è quindi ipotizzato un NAWRU con una componente del ciclo meno pronunciata per verificare il suo impatto sul PIL potenziale e sui saldi strutturali di bilancio. Il NAWRU "non- ciclico" italiano è stato costruito ipotizzando un andamento simile a quello stimato dalla Commissione per l’area euro nello studio sopracitato. Vale a dire, si è ipotizzato che il NAWRU e il NAWRU non-ciclico fossero pressoché identici nel 2008 (quindi agli albori della crisi) e che da quella data cominciassero a divergere fino a raggiungere nel 2012 una differenza di 1-1½ punti percentuali (si veda figura sopra). Utilizzando l’ipotesi di NAWRU non ciclico così costruito e mantenendo tutte le altre componenti del PIL potenziale invariate, le implicazioni di policy potrebbero essere significative. Infatti, a causa del miglioramento del PIL potenziale, il livello del saldo strutturale di bilancio migliorerebbe notevolmente (si veda tabella sotto), anche per gli anni passati. In particolare, queste stime mostrano che il saldo strutturale di bilancio sarebbe stato vicino al pareggio già dal 2013. Inoltre, prendendo a riferimento il quadro
  • 34. 32 di finanza pubblica programmatico, dopo un lieve peggioramento nel 2014-15, il saldo strutturale di bilancio diventerebbe leggermente positivo dal 2016. 20112012201320142015201620172018NAWRU - Nota di Aggiornamento8,59,49,910,210,310,410,510,5Ipotesi NAWRU non-ciclico8,08,38,58,68,78,78,78,7Saldo strutturale di bilancio programmatico-2,5-1,5-0,7-0,9-0,9-0,40,00,0Saldo strutturale di bilancio corretto per impatto NAWRU non-ciclico-2,3-1,1-0,1-0,3-0,20,30,70,7Tabella 1. Confronto tra saldi strutturali di bilancio con diverse definizioni di disoccupazione strutturale (valori percentuali)
  • 35. 33 Allegato 3 L’analisi della fiscal stance Il confronto tra l’andamento dell’avanzo primario strutturale (cioè il saldo primario corretto per il ciclo e al netto delle una tantum) e l’output gap, che evidenzia la distanza tra il PIL effettivo e il PIL potenziale, consente un’analisi della fiscal stance, la quale misura l’indirizzo espansivo o restrittivo della politica di bilancio a fronte dell’andamento macroeconomico. Le variabili utilizzate nell’analisi grafica sono riportate nella tabella seguente. Tav. 2 – Output gap e avanzo primario strutturale programmatico (% PIL) 2011(*) 2012(*) 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Output gap -1,4 -3,0 -4,3 -4,3 -3,5 -2,6 -1,4 -0,4 variazioni output gap -1,7 -1,3 0,0 0,8 0,9 1,2 1,0 Avanzo primario corretto per il ciclo e al netto una tantum 1,2 3,7 4,2 3,8 3,7 4,1 4,2 4,1 Variazione avanzo primario strutturale 2,5 0,5 -0,4 -0,1 0,4 0,1 -0,1 Fonte: Nota di aggiornamento del DEF 2014, La finanza pubblica corretta per i ciclo, Tavola III.3 (*) La variazione dell’avanzo primario strutturale del 2012 e, conseguentemente, l’entità di tale avanzo nel 2011, è ricostruita aggiungendo alla variazione del deficit strutturale 2012, riportata dalla Nota di aggiornamento del DEF, la variazione della spesa per interessi registrata nello stesso esercizio (Istat, dati SEC 2010). L’output gap 2011 è stato fornito dal MEF. La figura seguente confronta la variazione dell’avanzo primario strutturale con l’output gap nel periodo 2012-18. Esso si compone di quattro quadranti. Quello in alto a sinistra contiene i punti che rappresentano situazioni di restrizione di bilancio e di ciclo economico negativo. In basso a sinistra, si posizionano le combinazioni di manovre espansive e ciclo economico negativo. I due quadranti a destra, corrispondenti a situazioni economiche favorevoli, illustrano, quello in alto, una politica di bilancio restrittiva, quello in basso, una politica di bilancio espansiva. Una politica di bilancio di carattere anticiclico dovrebbe prevedere l’adozione di misure di consolidamento fiscale nella fasi positive del ciclo e viceversa nelle fasi recessive. La crisi economica e finanziaria, e in particolare l’aumentato livello di rischio sui titoli di debito sovrano, hanno tuttavia comportato per alcuni paesi, tra cui l’Italia, la necessità di mantenere un compromesso tra la finalità anticiclica della politica di bilancio e quella di assicurare i mercati e i partner europei in merito alla sostenibilità di medio e lungo
  • 36. 34 termine della finanza pubblica, rispettando al contempo i vincoli del patto di stabilità e crescita. Le regole europee9 prevedono infatti che solo gli Stati membri che abbiano già raggiunto l’obiettivo di medio termine (OMT) e che presentino pertanto un bilancio pubblico in pareggio strutturale possono lasciare operare liberamente gli stabilizzatori automatici (in termini della figura seguente, ciò implica che tali Paesi si trovino sull’asse orizzontale che rappresenta una stance neutrale), o eventualmente adottare misure discrezionali per contenere le fluttuazioni cicliche, nei limiti del rispetto del loro OMT. Ai Paesi che non abbiano raggiunto il pareggio di bilancio sono richiesti, invece, aggiustamenti annui in termini di aumento dell’avanzo primario strutturale pari o superiori allo 0,5 per cento. Essi dovrebbero pertanto trovarsi in punti situati nei due quadranti superiori della figura, corrispondenti a politiche di bilancio restrittive. Per l’Italia, l’OMT è fissato nel pareggio di bilancio strutturale. Nella Nota in esame, l’obiettivo del pareggio di bilancio viene indicato per il 2017. Fig. 1 – Variazione dell’avanzo primario strutturale e output gap Fonte: Elaborazioni su dati Nota di aggiornamento del DEF 2014 (cfr. supra). La figura 1 evidenzia l’impronta restrittiva della politica di bilancio nel 2012, in presenza di una fase ciclica negativa, con un output gap superiore a quello tipico delle ordinarie oscillazioni cicliche dell’economia nazionale10. Nel 2013, in presenza dell’amplificarsi della crisi, la politica di bilancio ha mantenuto un carattere restrittivo e 9 Regolamento (CE) n. 1466/97 come modificato dal regolamento (UE) n. 1175/2011 del 16 novembre 2011 e Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. fiscal compact). 10 Rappresentato dal ROG (Representative output gap), pari per l’Italia a -2,7.
  • 37. 35 solo nell’esercizio essa ha ripreso a svolgere una funzione moderatamente anticiclica, evidenziata dallo spostamento nel quadrante inferiore. Per il 2015 è prevista una politica di bilancio sostanzialmente neutrale, con una marginale flessione dell’avanzo primario di un solo decimo di punto. Si evidenzia che, sulla base degli andamenti tendenziali, la fiscal stance resterebbe prociclica anche per il 2015, con un aumento dell’avanzo primario in una fase di output gap negativo. A decorrere dal 2016, la figura evidenzia una politica di bilancio pro ciclica, riconducibile al conseguimento di avanzi primari crescenti, al fine di rispettare il percorso di avvicinamento all’OMT, in una fase ancora negativa del ciclo. Un secondo metodo per valutare la fiscal stance mette in relazione le variazioni dell’avanzo primario strutturale con le variazioni dell’output gap anziché con il suo livello. Un simile approccio permette di porre maggiore enfasi sulla dinamica del ciclo economico e di cogliere in modo più puntuale i cambiamenti della politica di bilancio. Fig. 2 – Variazione dell’avanzo primario strutturale e variazione dell’output gap Fonte: Elaborazioni su Nota di aggiornamento del DEF 2014 (cfr. supra). Nella figura 2 si nota come la stretta fiscale attuata nel biennio 2012-13, in una fase di forte peggioramento del ciclo (l’output gap aumenta il proprio valore negativo rispettivamente di 1,7 e 1,3 punti di PIL), si inverte nel 2014. Nell’esercizio in corso, infatti, in presenza di un output gap che non ha ancora iniziato a chiudersi, il consolidamento di bilancio viene sospeso. La politica di bilancio torna ad essere restrittiva nel biennio 2016 e 2017, per poi assestarsi su un profilo neutrale a seguito del raggiungimento dell’OMT.
  • 38. 36 Allegato 4 Persistenza e profondità delle recessioni in Italia nel periodo 2008-2018 L’economia italiana è stata recentemente colpita da due profonde fasi di contrazione del prodotto, di cui non si riscontrano precedenti negli ultimi 45 anni, e che si sono susseguite a brevissima distanza l’una dall’altra. La figura 1, che compara i profili della dinamica del prodotto nelle principali fasi recessive, evidenzia come sia proprio la persistenza del calo del prodotto l’elemento caratterizzante delle crisi del 2008 e 2012 rispetto a quelle riscontrate nel 1974 e nel 1992. Se infatti l’impatto iniziale (variazione del prodotto al tempo t) delle recessioni recenti è paragonabile con quanto riscontrato in passato, è invece mutato radicalmente il profilo della ripresa, che negli anni 70 e 90 ha consentito di ristabilire un livello di prodotto pre-crisi già nell’anno che segue l’avvio della recessione. Se nel 2008 la fase acuta della crisi è durata due anni, con il calo maggiore riscontrato nel secondo anno, a partire dal 2012 gli anni consecutivi di calo del prodotto sono stati tre, con un recupero molto lento e fragile previsto per il triennio successivo. La normativa europea include la persistenza tra i fattori che identificano un eccezionale periodo di recessione ai fini dell’applicazione delle regole fiscali. Come meglio esplicitato in altra sezione del documento, il regolamento 1467/97 (braccio correttivo del patto) identifica come requisiti:
  • 39. 37 a) una crescita reale negativa del PIL; b) una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale. In altri termini la recessione si considera severa anche quando la crescita nell’anno è positiva, ma l’output gap è risultato crescente per una fase prolungata e si è accumulata una decrescita del prodotto. La figura 2 illustra la perdita cumulata del prodotto nelle fasi di peggioramento dell’output gap in Italia. Le barre indicano la variazione dell’output gap mentre le linee indicano la perdita cumulata del prodotto nelle fasi (contigue) di peggioramento dell’output gap. Tale ammontare risulta particolarmente significativo nel caso italiano nelle due recenti fasi recessive: la perdita di prodotto è risultata di circa 6,6 punti percentuali nella recessione 2008-2009 e di circa 4,5 nella recessione 2012-14. Se poi si considera che il recupero del prodotto avvenuto nel 2010 e 2011 è risultato estremamente contenuto (poco più del 2per cento complessivo sui due anni), la caduta cumulata riscontrata nel periodo 2008 - 2014 ha raggiunto circa nove punti percentuali di PIL. Sulla base delle stime del Governo, a partire dal 2015 il prodotto dovrebbe ricominciare a crescere a ritmi comunque molto blandi: in assenza di manovre la crescita dovrebbe risultare rispettivamente di 0,5 nel 2015, 0,8 nel 2016, 1,1 nel 2017 e 1,2 nel 2018. Al termine dell’orizzonte di previsione, a dieci anni dall’avvio della crisi, il prodotto dovrebbe risultare ancora sensibilmente inferiore dei valori pre-crisi.
  • 40. 38 Per quanto riguarda la relazione tra prodotto effettivo e potenziale si osserva che, benché la procedura sviluppata dall’Output Gap Working Group11 e adottata dalla Commissione abbia operato diverse revisioni verso il basso del prodotto potenziale (e quindi una riduzione dell’output gap a parità di prodotto effettivo) il PIL italiano rimane nell’orizzonte programmatico 2014-18 ampiamente al disotto del proprio potenziale. Un differenziale che appare eccezionale sia in termini durata della fase negativa sia di ampiezza del gap (fig. 3). A partire dal 2009 il PIL italiano risulta infatti inferiore al proprio potenziale, circostanza che si è verificata anche nel biennio di ripresa 2010-11. Si tratta del periodo più lungo di persistenza del prodotto al disotto del potenziale nell’arco di tempo per cui la Commissione rende note le stime (1967-2015). Se si prende a riferimento il livello del Representative Output Gap (ROG, pari al -2,7 per cento per l’Italia, cfr. box dedicato) che identifica “un livello particolarmente basso dell’output gap che si stima possa realizzarsi con una probabilità del 5%”, si osserva che dal 2009 l’output gap risulta inferiore a tale livello per cinque anni su dieci (compreso il 2015). Nel 2016, sulla base delle previsioni programmatiche l’output gap per l’Italia (-2,6 per cento) dovrebbe invece risultare superiore al ROG. 11 Gruppo di lavoro dell’Economic Policy Committee, organismo demandato allo sviluppo della metodologia di calcolo del prodotto potenziale finalizzata al calcolo dei saldi di bilancio corretti per il ciclo nel quadro del Patto di Stabilità e Crescita.
  • 41. 39 Representative Output Gap Il Representative Output Gap fornisce una misura dell’ampiezza “tipica” delle fluttuazioni cicliche specifiche per l’economia del singolo Paese. Il calcolo del ROG si basa sulla media, calcolata su un arco di 25 anni, degli output gap di particolare ampiezza (al quinto percentile dopo aver eliminato le “code” ) del singolo paese e dell’intera unione europea. Il ROG, stimato per l’Italia in -2,7 per cento per il 2012 , costituirebbe la soglia di output gap per la quale risulterebbe minima la probabilità di riscontrare output gap di valore ancora inferiore. Tale eventualità dovrebbe pertanto ritenersi indicativa di una recessione di carattere eccezionale. La formula per il calcolo del ROG è la seguente: Dove rappresenta il quinto percentile della distribuzione dell’output gap riscontrato in Italia e il quinto percentile della distribuzione dell’output gap riscontrato per tutti i paesi. e sono rispettivamente il numero di anni di cui si dispongono osservazioni per l’insieme di stati membri e per l’Italia. Il livello rappresentativo dell’output gap è determinato singolarmente per ciascun paese, in modo tale da cogliere le specificità del ciclo economico nazionale. Ad esempio il ROG dei paesi più piccoli, tendenzialmente caratterizzati da fluttuazioni più ampie, risulta generalmente più ampio in valore assoluto rispetto a quello delle economie maggiori. Tale parametro ha trovato utilizzo finora unicamente nel calcolo del minimum benchmark dell’OMT per ciascun paese mentre non è stato utilizzato quale indicatore quantitativo del carattere di eccezionale gravità delle recessioni.
  • 42. 40 Allegato 5 I moltiplicatori di bilancio Vi è un generale consenso sia a livello accademico sia a livello di istituzioni nazionali e internazionali (per esempio l’OCSE nell’Economic Outlook del 2010) che, tra i Paesi avanzati, l’impatto nel primo anno di una riduzione della spesa dell’1 per cento di PIL comporti una riduzione del prodotto tra lo 0,5 e l’1 per cento; l’impatto di un corrispondente aumento delle entrate dovrebbe essere più basso, in generale inferiore allo 0,5 per cento. Questi impatti, denominati in termini tecnici “moltiplicatori di bilancio”, sono stimati attraverso modelli macro-econometrici/statistici, dove viene in genere ipotizzato che il loro valore rimanga pressoché stabile nel tempo. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno tuttavia messo in dubbio la stabilità dei moltiplicatori di bilancio, soprattutto in periodi di prolungata crisi come quella attualmente in corso. Vi sono in effetti una serie di ragioni teoriche per le quali i moltiplicatori potrebbero non essere stabili nel tempo. Per esempio, i moltiplicatori di bilancio dovrebbero essere più elevati in periodi di prolungata recessione o ciclo economico negativo, in particolare se dovuto a crisi finanziarie. In questo caso, infatti, i normali canali di finanziamento alle imprese e alle famiglie potrebbero non funzionare come in tempi normali. Gli istituti finanziari potrebbero infatti trovarsi nella necessità di ridurre i loro prestiti, a scapito soprattutto delle famiglie e delle imprese che non possono assicurare adeguate garanzie. In questo contesto, una restrizione di bilancio che riduca i trasferimenti alle famiglie oppure che aumenti le tasse sulle imprese potrebbe non essere compensata da un aumento di credito da parte delle banche e si tradurrebbe quindi in una notevole riduzione dei consumi delle famiglie o degli investimenti delle imprese. I moltiplicatori di bilancio potrebbero inoltre essere più elevati quando i tassi di politica monetaria si trovano vicino allo zero, o sono addirittura negativi. In simili circostanze, la politica monetaria non potrebbe infatti svolgere un eventuale ruolo accomodante, almeno con i suoi strumenti convenzionali. L'attuale contesto economico italiano presenta molte delle caratteristiche che potrebbero determinare moltiplicatori di bilancio maggiori di quelli stimati attraverso i tradizionali modelli macro-econometrici. Come noto, il PIL si è contratto dell’1,9 per cento nel 2013 ed è previsto diminuire di 0,3 quest’anno. Nel 2015, la crescita potrebbe tornare positiva ma l’output gap, un indicatore del ciclo economico, è stimato nella Nota di
  • 43. 41 aggiornamento al -3,5 per cento, un valore particolarmente negativo. Inoltre, i tassi di interesse si trovano già a livelli molto bassi. In queste circostanze, alcuni studi, in particolare dell’FMI, stimano che i moltiplicatori della spesa potrebbero raggiungere valori pari a due, quindi più del doppio di quanto stimato attraverso i modelli tradizionali. I moltiplicatori delle tasse potrebbero aumentare ma rimanere comunque inferiori allo 0,5. Abbiamo quindi utilizzato un intervallo di stime dei moltiplicatori medi (vale a dire calcolati come media semplice di moltiplicatori di spese e di entrate) per una prima valutazione del possibile impatto sul tasso di crescita del PIL nel 2015 in caso di attuazione di manovre necessarie per rispettare il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (OMT) o la regola del debito. I moltiplicatori medi scelti sono: a) 0,5 - indicato dal MEF nella Nota di aggiornamento (p. 33); b) 0,65 - media semplice di alcuni moltiplicatori indicati dall’OCSE per l’Italia nell’Economic Outlook del 2010; c) 1,1 - media semplice di moltiplicatori di spesa e di entrata in periodi di recessione nei Paesi avanzati da alcuni studi del FMI (in particolare Batini, Eyraud e Weber: “A simple method to compute fiscal multipliers”, WP/14/93, 2014). Secondo la Nota di aggiornamento, per il raggiungimento dell’OMT nel 2015 occorre attuare una manovra pari allo 0,9 per cento del PIL mentre il rispetto della regola del debito richiede una correzione del 2,2 per cento del PIL. I relativi risultati sono illustrati nella tavola allegata. Secondo questa prima valutazione, ipotizzando che gli altri fattori che determinano le previsioni di crescita rimangano invariate, si può stimare che una manovra correttiva per il raggiungimento dell’OMT nel 2015, con una composizione di misure suddivise tra spese ed entrate, potrebbe risultare in un andamento dell’economia sostanzialmente stagnante anche nel 2015. Il PIL potrebbe variare tra -0,1 per cento, utilizzando un moltiplicatore in linea con quelli stimati dall’FMI per i periodi di recessione, a 0,2 utilizzando il moltiplicatore indicato nella Nota di aggiornamento. Nel caso di una manovra per il rispetto della regola del debito, l’economia risulterebbe in recessione con tutti i moltiplicatori utilizzati. La caduta del PIL varierebbe in questo scenario da -1,5 a -0,5 per cento a seconda del moltiplicatore scelto.
  • 44. 42 Moltiplicatore medioTasso crescita PIL 2015 con rispetto MTOTasso crescita PIL 2015 con rispetto regola debito0,500,2%-0,5% 0,650,1%-0,8% 1,10-0,1%-1,5% Tabella 1. Tasso di crescita del PIL con diverse ipotesi di moltiplicatori di bilancio