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Giornale di Sicilia 5 Marzo 2001

Il suo covo era nascosto dai formaggi.
Carini, in cella un boss ricercato per omicidio
PALERMO. Il nascondiglio del boss era coperto dai formaggi, caciocavalli e provole
erano stati sistemati davanti alla parete d'accesso alla stanza segreta in cui si rifugiava
Matteo Lo Duca. Ma al trucchetto non hanno abboccato i carabinieri che sabato notte sono
riusciti a scovare il ricercato. Su Lo Duca, considerato un affiliato alla « famiglia» di
Carini, pendevano due ordini di custodia emessi nel'98 per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e per omicidi. Provvedimenti giudiziari ai quali l'uomo era riuscito a
sottrarsi. L'altra notte, però, alla porta del suo ultimo rifugio, ricavato nella casa del
fratello, una palazzina di via Armetta, a Carini, hanno bussato gli investigatori e per
Matteo Lo Duca, allevatore di 64 anni, sposato e padre di tre figli (due maschi e una
femmina), si sono aperte le porte del carcere.
A lui, conosciuto con il soprannome di «Panturo» e inserito nella lista dei 500 più
pericolosi latitanti, i carabinieri della compagnia di Carini, con la collaborazione del
comando provinciale, sono arrivati seguendo la moglie. Gli investigatori hanno notato le
visite della donna in casa del cognato e hanno deciso di vederci chiaro. Quando hanno
fatto irruzione nell'appartamento, hanno scoperto la stanza segreta: un vano senza finestre,
con un paio di materassi sul pavimento e alcune candele per fare luce, dal quale si
accedeva attraverso un ingresso mimetizzato: un'apertura quadrata di sessanta centimetri
ricavata in una parete davanti alla quale erano state sistemate le pezze di formaggio.
L'apertura era stata coperta con un pannello rivestito di mattonelle dello stesso colore di
quelle del resto della parete. Un lavoro fatto con maestria per garantire la latitanza di
Matteo Lo Duca, personaggio considerato vicino ai clan dei Pipitone e dei Passalacqua.
Alla vista dei carabinieri, l'uomo, che non era armato, si è lasciato ammanettare. Nel
piccolo covo gli investigatori hanno trovato, oltre a biancheria e vestiti, anche tre milioni
in contanti. Adesso gli inquirenti vogliono stabilire con chi negli ultimi tempi l'uomo sia
stato in contatto, se abbia avuto un ruolo attivo nelle storie di mafia più recenti nella zona
di Carini, dove nei mesi passati non sono mancati scontri e lupare bianche.
Considerato un uomo di Cosa nostra, Matteo Lo Duca era legato da uno stretto rapporto di
amicizia con Giuseppe Di Maggio, il figlio del boss di Cinici sequestrato e ucciso lo
scorso settembre. Sull'uomo pesano le accuse di aver partecipato agli omicidi di Antonino
Badalamenti, cugino del boss Gaetano detenuto negli Stati Uniti, e di Stefano Gallina. 11
prima venne ucciso a colpi di fucile il 19 agosto dell'81 a Villagrazia di Carini, l'altro il
primo ottobre dello stesso anno al passaggio a livello di Carini. Delitti per i quali Lo Duca
si beccò nel luglio del '98 un ordine di custodia, insieme a una trentina di boss e
«picciotti». Provvedimento al quale il carinese era riuscito a sottrarsi, così come all'altro
dello stesso anno per estorsioni. I due, affiliati alla cosca di Gaetano Badalamenti, caddero
sotto i colpi dei «corleonesi» che all'inizio degli anni Ottanta, tra l'altro, scagliarono
l'offensiva contro la cosca di Cinici. Antonino Badalamenti, in particolare, fu assassinato a detta dei collaboratori di giustizia - perché si era rifiutato di notizie sul luogo in cui si
nascondeva il cugino capomafia. Ma c'è di più. Secondo il collaboratore di giustizia Giovan Battista Ferrante, nell'ovile di Lo Duca, dalle parti di Montagna Longa, nei primi anni
Ottanta venne compiuto un triplice omicidio.
Virgilio Fagone
EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS

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  • 1. Giornale di Sicilia 5 Marzo 2001 Il suo covo era nascosto dai formaggi. Carini, in cella un boss ricercato per omicidio PALERMO. Il nascondiglio del boss era coperto dai formaggi, caciocavalli e provole erano stati sistemati davanti alla parete d'accesso alla stanza segreta in cui si rifugiava Matteo Lo Duca. Ma al trucchetto non hanno abboccato i carabinieri che sabato notte sono riusciti a scovare il ricercato. Su Lo Duca, considerato un affiliato alla « famiglia» di Carini, pendevano due ordini di custodia emessi nel'98 per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e per omicidi. Provvedimenti giudiziari ai quali l'uomo era riuscito a sottrarsi. L'altra notte, però, alla porta del suo ultimo rifugio, ricavato nella casa del fratello, una palazzina di via Armetta, a Carini, hanno bussato gli investigatori e per Matteo Lo Duca, allevatore di 64 anni, sposato e padre di tre figli (due maschi e una femmina), si sono aperte le porte del carcere. A lui, conosciuto con il soprannome di «Panturo» e inserito nella lista dei 500 più pericolosi latitanti, i carabinieri della compagnia di Carini, con la collaborazione del comando provinciale, sono arrivati seguendo la moglie. Gli investigatori hanno notato le visite della donna in casa del cognato e hanno deciso di vederci chiaro. Quando hanno fatto irruzione nell'appartamento, hanno scoperto la stanza segreta: un vano senza finestre, con un paio di materassi sul pavimento e alcune candele per fare luce, dal quale si accedeva attraverso un ingresso mimetizzato: un'apertura quadrata di sessanta centimetri ricavata in una parete davanti alla quale erano state sistemate le pezze di formaggio. L'apertura era stata coperta con un pannello rivestito di mattonelle dello stesso colore di quelle del resto della parete. Un lavoro fatto con maestria per garantire la latitanza di Matteo Lo Duca, personaggio considerato vicino ai clan dei Pipitone e dei Passalacqua. Alla vista dei carabinieri, l'uomo, che non era armato, si è lasciato ammanettare. Nel piccolo covo gli investigatori hanno trovato, oltre a biancheria e vestiti, anche tre milioni in contanti. Adesso gli inquirenti vogliono stabilire con chi negli ultimi tempi l'uomo sia stato in contatto, se abbia avuto un ruolo attivo nelle storie di mafia più recenti nella zona di Carini, dove nei mesi passati non sono mancati scontri e lupare bianche. Considerato un uomo di Cosa nostra, Matteo Lo Duca era legato da uno stretto rapporto di amicizia con Giuseppe Di Maggio, il figlio del boss di Cinici sequestrato e ucciso lo scorso settembre. Sull'uomo pesano le accuse di aver partecipato agli omicidi di Antonino Badalamenti, cugino del boss Gaetano detenuto negli Stati Uniti, e di Stefano Gallina. 11 prima venne ucciso a colpi di fucile il 19 agosto dell'81 a Villagrazia di Carini, l'altro il primo ottobre dello stesso anno al passaggio a livello di Carini. Delitti per i quali Lo Duca si beccò nel luglio del '98 un ordine di custodia, insieme a una trentina di boss e «picciotti». Provvedimento al quale il carinese era riuscito a sottrarsi, così come all'altro dello stesso anno per estorsioni. I due, affiliati alla cosca di Gaetano Badalamenti, caddero sotto i colpi dei «corleonesi» che all'inizio degli anni Ottanta, tra l'altro, scagliarono l'offensiva contro la cosca di Cinici. Antonino Badalamenti, in particolare, fu assassinato a detta dei collaboratori di giustizia - perché si era rifiutato di notizie sul luogo in cui si nascondeva il cugino capomafia. Ma c'è di più. Secondo il collaboratore di giustizia Giovan Battista Ferrante, nell'ovile di Lo Duca, dalle parti di Montagna Longa, nei primi anni Ottanta venne compiuto un triplice omicidio.
  • 2. Virgilio Fagone EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS