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Giornale di Sicilia 9 Marzo 2005

“Le mani della mafia su rapine e racket”
Colpo al clan Lo Piccolo: blitz con 84 arresti
Un quartiere in assedio, quasi tutto il codice penale copiato nel mandato di cattura, 84
arresti, decine e decine di estorsioni e rapine ricostruite. È l’operazione «notte di San
Lorenzo», il nuovo maxiblitz antimafia che ha colpito il feudo del capo militare di Cosa
nostra: Salvatore Lo Piccolo, latitante da quasi un quarto di secolo. Soltanto allo Zen sono
stati eseguiti una quarantina di ordini di custodia che hanno raggiunto boss, manovali del
crimine e fiancheggiatori del superlatitante. Ma in carcere sono finiti anche insospettabili:commercianti, imprenditori e un architetto. Tutti rispondono a vario titolo di
associazione mafiosa, estorsioni, rapine, furto, riciclaggio, detenzione di armi, favoreggiamento, spaccio di droga. Tutto è mega in questa operazione, ad iniziare
dall'ordinanza di custodia del gip Marcello Viola, duemila pagine divise in sei tomi.
Dentro c'è di tutto. Dal racket imposto a tappeto dalla cosca di Lo Piccolo, alle rapine in
banca ed a quelle a scopo di estorsione, per fare pagare alle vittime una tangente mensile
più esosa. E poi il pizzo più odioso, quello imposto ai residenti dello Zen che, sostengono
gli investigatori, devono pagare una tassa a Cosa nostra per avere luce e gas.
Dall'inchiesta, condotta dai pm Domenico Gozzo, Gaetano Paci e Anna Maria Picozzi,
emerge una mafia onnivora e onnipresente. I boss sembrano controllare tutto, dalla
tangente di pochi spiccioli ai grandi affari, come quello del centro commerciale che
doveva sorgere a Brancaccio. Lì avrebbe operato una nuova figura, battezzata dagli
inquirenti «sensale mafioso» Un fiume di denaro, le cui tracce sono state scoperte pure ieri
mattina, durante le perquisizioni. In casa di Ruggero Vernengo, uno degli arrestati, sono
stati trovati 100 mila euro in contanti. E infine, non poteva mancare il sangue. L'omicidio
del macellaio Felice Orlando commesso nel 1999 allo Zen che sancì la definitiva ascesa di
Lo Piccolo. Nessun altro da allora ha osato contrapporsi a lui ed a suo figlio Sandro, pure
lui latitante, considerato il degno erede del padre.
Due anni di indagini
Tanto c'è voluto per raccogliere gli indizi che ieri mattina all'alba hanno spedito in carcere
66 persone. Altre 18 hanno ricevuto (ordine di custodia in cella, mentre all'appello
mancano solo i due Lo Piccolo. In tutto 86 mandati di cattura, la cui origine è singolare:
Tutto nasce infatti dalle dichiarazioni di due rapinatori: Raimondo Gagliano e Francesco
Lo Nardo. Personaggi di spessore, veri esperti del settore, ma prima dei loro arresti
ritenuti estranei ai giri mafiosi. Invece quando hanno iniziato a cantare non si sono fennati
più. Le loro dichiarazioni sono state raccolte dal pm Picozzi e l’antirapine della Squadra
mobile diretta da Paolo Lo Manto ha iniziato una lunga sfilza di accertamenti. Lo Nardo
era uno dei banditi arrestati per il sanguinoso colpo alla gioielleria La Torre, commesso tre
anni in corso Calatafimi. Si è rivelata una miniera di informazioni, che hanno coinvolto
decine di personaggi legati a Cosa nostra.
Il colpo fantasma
Lo Nardo ha iniziato a parlare del suo campo: le rapine.Oltre a ricostruire decine di assalti,
ha parlato anche di una rapina di cui nessuno aveva notizia. Il colpo messo a segno,
sostiene il pentito, ai danni della gioielleria «Emmezeta» di via Castellana a Borgo Nuovo
nel febbraio 2002 che non è mai stato denunciato dai titolari. Per questo motivo la
responsabile del negozio, Anna Mazzotto è stata denunciata per favoreggiamento. Secondo
la ricostruzione degli investigatori, i titolari del negozio per recuperare i 30 chili d'oro
trafugati invece di chiamare la polizia, preferirono contattare i mafiosi. Che fecero la loro
indagine, avvalendosi anche della videocassetta riprese dalle telecamere installate nel
negozio e ben presto trovarono i responsabili. In cambio di una manciata di milioni, l'oro ri
tornò ai proprietari.
I boss dello Zen
Ruolo centrale in questa vicenda lo svolgono i due presunti capibastone della borgata,
Gabriele Viviano e Antonino Lo Brano, detto Tonino u curtoìu. Loro due avrebbero
contattato la banda di Lo Nardo per riavere l'oro trafugato, la loro autorità non era messa
in discussione da nessuno. Un posto di vertice, occupato dopo l’arresto di un altro pezzo
da novanta, Carmelo Militano. Nella restituzione del bottino avrebbe svolto un ruolo
anche Giovanni Palazzolo, detto Giovanni ‘a spisa, referente per la zona di Borgo Nuovo e
Carlo Puccio, detto Carletto, nipote di Lo Piccolo.
Il pizzo per la luce
È il racket degli straccioni, una tassa odiosa che colpisce chi abita nei padiglioni dello Zen
2. La mafia impone un pizzo di 15 euro per ogni famiglia, chi non paga si trova con i cavi
tranciati. Si tratta di allacci abusivi, gli unici però ché forniscono energia elettrica in quelle
case. Stesso discorso per il gas. La raccolta è capillare e secondo le dichiarazioni di
Gagliano e Lo Nardo se ne occupano i due capoccia dello Zen, Viviano e Lo Brano, e poi
Angelo Mineo, Emanuele Cimò e finchè era a piede libero anche Carmelo Militano, il
reggente della borgata. «Ogni padiglione ha uno o due responsabili - racconta Lo Nardo –
che fanno la raccolta con un blocchetto facendosi pagare 30 mila lire a famiglia. Allo Zen
2 tutte le famiglie pagano il pizzo».
Il sensale
Mala cosca di Lo Piccolo si occupa anche di affari più grossi. Come il famoso centro
commerciale “Carrefour”, mai realizzato, già entrato in un'altra inchiesta antimafia, quella
sul boss-chirurgo di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e del medico ed ex assessore comunale Udc Mimmo Miceli. I tèrreni sui quali doveva sorgere l'ipermercato interessavano
a Cosa nostra che li avrebbe ceduti all’azienda francese dietro una interessata
intermediazione. Ruolo centrale in questa vicenda sarebbe stato svolto da Salvatore
Gottuso, amministratore della ditta edile «Sbs srl» di viale Regione Siciliana. Gottuso
avrebbe preteso una tangente del 10 per cento per la sua opere, mentre un altro 10 per
cento sarebbe andato a Cosa nostra.
L'omicidio
E’ quello del macellaio Felice Orlando, ucciso nella sua bottega il 17 novembre del 1999:
L'agguato non è stato addebitato a nessuno, ma è stato ricostruito il contesto. Un delitto
voluto da Lo Piccolo, ha detto il collaboratore Lo Nardo, che non tollerava l'atteggiamento
di Orlando. Il macellaio avrebbe cercato di ritagliarsi un suo ruolo nella borgata e per questo era inviso ai ”lealisti”, cioè i fiancheggiatori di Lo Piccolo. Quattro, colpi di pistola
chiusero la partita.
Leopoldo Gargano
EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS

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  • 2. la ricostruzione degli investigatori, i titolari del negozio per recuperare i 30 chili d'oro trafugati invece di chiamare la polizia, preferirono contattare i mafiosi. Che fecero la loro indagine, avvalendosi anche della videocassetta riprese dalle telecamere installate nel negozio e ben presto trovarono i responsabili. In cambio di una manciata di milioni, l'oro ri tornò ai proprietari. I boss dello Zen Ruolo centrale in questa vicenda lo svolgono i due presunti capibastone della borgata, Gabriele Viviano e Antonino Lo Brano, detto Tonino u curtoìu. Loro due avrebbero contattato la banda di Lo Nardo per riavere l'oro trafugato, la loro autorità non era messa in discussione da nessuno. Un posto di vertice, occupato dopo l’arresto di un altro pezzo da novanta, Carmelo Militano. Nella restituzione del bottino avrebbe svolto un ruolo anche Giovanni Palazzolo, detto Giovanni ‘a spisa, referente per la zona di Borgo Nuovo e Carlo Puccio, detto Carletto, nipote di Lo Piccolo. Il pizzo per la luce È il racket degli straccioni, una tassa odiosa che colpisce chi abita nei padiglioni dello Zen 2. La mafia impone un pizzo di 15 euro per ogni famiglia, chi non paga si trova con i cavi tranciati. Si tratta di allacci abusivi, gli unici però ché forniscono energia elettrica in quelle case. Stesso discorso per il gas. La raccolta è capillare e secondo le dichiarazioni di Gagliano e Lo Nardo se ne occupano i due capoccia dello Zen, Viviano e Lo Brano, e poi Angelo Mineo, Emanuele Cimò e finchè era a piede libero anche Carmelo Militano, il reggente della borgata. «Ogni padiglione ha uno o due responsabili - racconta Lo Nardo – che fanno la raccolta con un blocchetto facendosi pagare 30 mila lire a famiglia. Allo Zen 2 tutte le famiglie pagano il pizzo». Il sensale Mala cosca di Lo Piccolo si occupa anche di affari più grossi. Come il famoso centro commerciale “Carrefour”, mai realizzato, già entrato in un'altra inchiesta antimafia, quella sul boss-chirurgo di Brancaccio Giuseppe Guttadauro e del medico ed ex assessore comunale Udc Mimmo Miceli. I tèrreni sui quali doveva sorgere l'ipermercato interessavano a Cosa nostra che li avrebbe ceduti all’azienda francese dietro una interessata intermediazione. Ruolo centrale in questa vicenda sarebbe stato svolto da Salvatore Gottuso, amministratore della ditta edile «Sbs srl» di viale Regione Siciliana. Gottuso avrebbe preteso una tangente del 10 per cento per la sua opere, mentre un altro 10 per cento sarebbe andato a Cosa nostra. L'omicidio E’ quello del macellaio Felice Orlando, ucciso nella sua bottega il 17 novembre del 1999: L'agguato non è stato addebitato a nessuno, ma è stato ricostruito il contesto. Un delitto voluto da Lo Piccolo, ha detto il collaboratore Lo Nardo, che non tollerava l'atteggiamento di Orlando. Il macellaio avrebbe cercato di ritagliarsi un suo ruolo nella borgata e per questo era inviso ai ”lealisti”, cioè i fiancheggiatori di Lo Piccolo. Quattro, colpi di pistola chiusero la partita. Leopoldo Gargano EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS