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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna

OLTRE IL LISSABON URTEIL: LA SAGA DELLE
“PENSIONI SLOVACCHE” E L’APPLICAZIONE
DELL’ULTRA VIRES REVIEW SECONDO IL GIUDICE
COSTITUZIONALE CECO
Fausto Vecchio
Assistant Professor nell'Università Kore di Enna
Affermando il principio secondo cui, in nome dell’interpretazione orientata verso il
rispetto del diritto europeo (europarechtsfreundlichkeit), l’ultra vires review è subordinato
all’accertamento di una violazione grave e sufficientemente qualificata del principio di
attribuzione,

la

sentenza

Honeywell

del

Bundesverfassungsgericht

sembrava

aver

definitivamente superato le polemiche di quanti avevano visto nelle affermazioni del Lissabon
urteil un pericoloso precedente: il fatto che i giudici costituzionali si siano sforzati di
elaborare un articolato iter argomentativo per evitare di dover dare concreta applicazione alla
minaccia dei controlimiti è stato interpretato come una nuova prova del buon funzionamento
dei meccanismi di “diplomazia giudiziaria” e in ultima analisi come una prova della
sostanziale innocuità della pronuncia del 2009. Tuttavia, dichiarando che una sentenza della
Corte di giustizia non può trovare applicazione perché adottata fuori dal quadro delle
competenze europee, una recentissima pronuncia (PL ÙS 5/12 del 31 gennaio 2012) del
Tribunale costituzionale ceco mostra la precarietà degli equilibri tra gli ordinamenti e riporta
d’attualità i timori di quanti hanno letto come una minaccia alcuni passaggi della dottrina che
ha ispirato la giurisprudenza tedesca.
Il retroscena di questa questione deve essere ricercato in un accordo internazionale
stipulato al momento della proclamazione di indipendenza della Repubblica Ceca e della
Slovacchia e finalizzato alla regolazione del trattamento previdenziale degli ex cittadini
cecoslovacchi. In particolare, secondo questo accordo, il regime applicabile in materia di
pensioni avrebbe dovuto essere individuato sulla base del criterio di residenza del datore di
lavoro. Applicando questo criterio si è dunque determinata una complessa situazione per cui



Nota a sentenza pubblicata sulla Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, n. 43, Roma, 2013.

www.koreuropa.eu
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dell’Università Kore di Enna

cittadini cechi si sono trovati affidati al (più povero) sistema previdenziale slovacco e hanno
ottenuto pensioni più basse di quelle che avrebbero ricevuto se fossero stati inseriti nel
sistema pensionistico nazionale. Nel tentativo di risolvere questa contraddizione, il giudice
costituzionale ceco (con la decisione PL ÙS 405/02), in nome del principio di eguaglianza e in
nome dell’obbligo costituzionale di garantire la sicurezza materiale agli anziani, ha sancito
l’obbligo di integrare le pensioni slovacche dei cittadini cechi che avessero permanentemente
risieduto sul territorio nazionale. Nell’evidente intento di non dare seguito a questo
provvedimento, il supremo tribunale amministrativo ha interpellato la Corte di giustizia con
due questioni pregiudiziali con le quali si chiede di verificare se l’obbligo di integrazione non
configuri una lesione del Regolamento CEE 1408/71 (con cui, in seguito all’ingresso della
Repubblica ceca nell’Unione, si era provveduto a europeizzare l’accordo internazionale alla
base della vicenda) o, in alternativa, se esso non configuri una lesione del principio di non
discriminazione in ragione della nazionalità. Di fronte ad una questione pregiudiziale non
priva di profili strumentali, il giudice europeo ha mantenuto un basso profilo e, dopo aver
escluso che l’europeizzazione dell’accordo ceco - slovacco impedisca di per se stessa la
possibilità di un reintegro, si è semplicemente limitato a sostenere che la soluzione del giudice
costituzionale è comunitariamente illegittima nel momento in cui riconosce ai soli cittadini
nazionali (e non anche agli altri cittadini comunitari) il diritto all’integrazione: secondo
quanto stabilito dalla Corte del Lussemburgo nel caso Landtova (C-399/09), in seguito
all’adesione all’Unione europea tocca alle istituzioni nazionali (secondo le regole del diritto
interno) scegliere se eliminare del tutto il supplemento integrativo oppure se estenderlo anche
a quei cittadini comunitari che per ipotesi si trovino a subire gli effetti dell’accordo. Forte di
questa decisione, con la sentenza 3 Ads 130/2008-204, il Tribunale amministrativo si è
sostanzialmente autoattribuito la competenza a operare la scelta prospettata dal giudice
europeo e ha statuito che l’ingresso nell’Unione europea ha modificato il quadro di
riferimento. Così, richiamandosi alla stessa giurisprudenza costituzionale (in particolare alla
decisione PL ÙS 50/04 e PL ÙS 19/08), ha concretamente denegato il diritto al reintegro e ha
proferito una sentenza provocatoria con cui ha esplicitamente sfidato i magistrati di Brno a
dichiarare l’inapplicabilità di un provvedimento fondato su una norma europea. Alla stessa
maniera, disconoscendo le ragioni dei giudici costituzionali, le istituzioni politiche ceche

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hanno immediatamente optato per la prima alternativa e hanno provveduto a positivizzare una
norma per cui, in ragione degli obblighi disposti dall’ordinamento europeo, si è esclusa la
possibilità di integrare le pensioni slovacche.
Da questa intricata situazione di partenza, prende lo spunto il ricorso individuale di un
cittadino ceco che chiede l’annullamento delle decisioni con cui i tribunali amministrativi gli
hanno negato l’integrazione di una pensione ottenuta in un momento successivo all’adesione
all’Unione. In particolare, egli lamenta che la decisione 6 Ads 52/2009-88 del supremo
tribunale amministrativo, disapplicando le indicazioni del giudice costituzionale (in favore di
quanto statuito dallo stesso tribunale amministrativo nel caso 3 Ads 130/2008-204), avrebbe
leso il suo diritto alla protezione giudiziale, il suo diritto alla sicurezza materiale nella fase
dell’anzianità ed il suo diritto all’eguaglianza.
Di fronte all’opportunità di tornare a pronunciarsi su una vicenda in cui un utilizzo
strumentale del diritto europeo è stato finalizzato alla riduzione delle prerogative individuali e
alla sovversione delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, i giudici di Brno,
piuttosto che limitare le loro censure alle scorrettezze delle istituzioni ceche, scelgono di
coinvolgere anche la Corte di giustizia in una polemica squisitamente interna. Infatti, invece
che rivendicare per sé (escludendo quindi quella degli altri soggetti istituzionali che a vario
titolo sono intervenuti nella vicenda) la competenza a operare la scelta prospettata dal giudice
europeo,

i

magistrati

cechi

preferiscono

richiamarsi

ai

precedenti

del

Bundesverfassungsgericht e inaspettatamente dichiarano che il provvedimento europeo è ultra
vires: partendo dal discutibile presupposto che il Regolamento non offre una adeguata
copertura per l’intervento del giudice europeo, essi statuiscono che «based on the principles
explicitly stated by the Constitutional Court in judgment file no. PL. ÚS 18/09, we cannot do
otherwise than state, in connection with the effects of ECJ judgment of 22 June 2011, C399/09 on analogous cases, that in that case there were excesses on the part of a European
Union body, that a situation occurred in which an act by a European body exceeded the
powers that the Czech Republic transferred to the European Union under Art. 10a of the
Constitution» e quindi concludono che «this exceeded the scope of the transferred powers,
and was ultra vires». Come se ciò non bastasse, i giudici cechi sembrano promettere il futuro
annullamento del provvedimento normativo adottato (che pur non essendo immediatamente

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annullabile per ragioni procedurali è definito «obsolete» perché fondato sul presupposto di un
atto ultra vires) e paiono addirittura orientati a voler sostenere che, al di là della lesione del
principio di attribuzione, la pronuncia europea potrebbe essere considerata inapplicabile
(anche) perché contraria ad uno dei principi su cui si regge l’ordine costituzionale nazionale:
pur senza addentrarsi in un autentico identity review, la sentenza qualifica come un
“abbandono” del principio audiatur et altera pars la scelta con cui la Corte di giustizia non ha
ammesso l’informale lettera di spiegazioni attraverso la quale i giudici cechi, nel caso
Landtova, avevano inusitatamente preteso di prospettare il loro punto di vista.
Passando dalla descrizione al piano valutativo, i profili di criticità di questa decisione
sono evidenti. Infatti, anche volendo mettere in secondo piano la scelta di non interpellare (né
in questo caso, né nei precedenti) la Corte del Lussemburgo, l’applicazione dei controlimiti
non pare in questo caso sorretta da nessuna ragione tecnica: contrariamente a quanto viene
presupposto dalla decisione, i primissimi commentatori hanno correttamente evidenziato
come il Regolamento comunitario offra una solida base di competenza1. Inoltre, l’inusitata
dichiarazione di “obsolescenza” della legge mostra una volontà polemica che mal si concilia
con un giudizio. Infine, la decisione di non ammettere la lettera di spiegazioni è
processualmente inoppugnabile e, in presenza di un chiaro rifiuto delle forme codificate di
dialogo, appare difficile giustificare la permalosità con cui i giudici accolgono il rifiuto dei
loro colleghi.
Alla luce di queste considerazioni paiono legittime alcune conclusioni. In primo luogo,
questa vicenda mette in luce i limiti e le contraddizioni dell’attuale modello di relazioni tra gli
ordinamenti e testimonia la facilità con cui dichiarazioni bellicose come quelle del Lissabon
urteil, lungi dall’essere innocue, possano finire con il fornire basi di legittimità a decisioni
inaccettabili. In secondo luogo, anche a non voler drammatizzare una pronuncia che
difficilmente verrà ripresa in futuro, il fatto per cui una corte tradizionalmente considerata non
ostile all’integrazione sovranazionale assuma posizioni a dir poco estremistiche è una
testimonianza del momento di difficoltà vissuto dal processo europeo e dovrebbe comunque
rappresentare un segnale di allarme.
Sul punto si veda J. KOMAREK, Playing with Matches: the Czech Constitutional Court’s Ultra Vires
Revolution, in www.verfassungblog.
1

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Vecchio Fausto, Oltre il Lissabon urteil. la saga delle pensioni slovacche e l’applicazione dell’ultra vires review secondo il giudice costituzionale ceco

  • 1. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna OLTRE IL LISSABON URTEIL: LA SAGA DELLE “PENSIONI SLOVACCHE” E L’APPLICAZIONE DELL’ULTRA VIRES REVIEW SECONDO IL GIUDICE COSTITUZIONALE CECO Fausto Vecchio Assistant Professor nell'Università Kore di Enna Affermando il principio secondo cui, in nome dell’interpretazione orientata verso il rispetto del diritto europeo (europarechtsfreundlichkeit), l’ultra vires review è subordinato all’accertamento di una violazione grave e sufficientemente qualificata del principio di attribuzione, la sentenza Honeywell del Bundesverfassungsgericht sembrava aver definitivamente superato le polemiche di quanti avevano visto nelle affermazioni del Lissabon urteil un pericoloso precedente: il fatto che i giudici costituzionali si siano sforzati di elaborare un articolato iter argomentativo per evitare di dover dare concreta applicazione alla minaccia dei controlimiti è stato interpretato come una nuova prova del buon funzionamento dei meccanismi di “diplomazia giudiziaria” e in ultima analisi come una prova della sostanziale innocuità della pronuncia del 2009. Tuttavia, dichiarando che una sentenza della Corte di giustizia non può trovare applicazione perché adottata fuori dal quadro delle competenze europee, una recentissima pronuncia (PL ÙS 5/12 del 31 gennaio 2012) del Tribunale costituzionale ceco mostra la precarietà degli equilibri tra gli ordinamenti e riporta d’attualità i timori di quanti hanno letto come una minaccia alcuni passaggi della dottrina che ha ispirato la giurisprudenza tedesca. Il retroscena di questa questione deve essere ricercato in un accordo internazionale stipulato al momento della proclamazione di indipendenza della Repubblica Ceca e della Slovacchia e finalizzato alla regolazione del trattamento previdenziale degli ex cittadini cecoslovacchi. In particolare, secondo questo accordo, il regime applicabile in materia di pensioni avrebbe dovuto essere individuato sulla base del criterio di residenza del datore di lavoro. Applicando questo criterio si è dunque determinata una complessa situazione per cui  Nota a sentenza pubblicata sulla Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, n. 43, Roma, 2013. www.koreuropa.eu
  • 2. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna cittadini cechi si sono trovati affidati al (più povero) sistema previdenziale slovacco e hanno ottenuto pensioni più basse di quelle che avrebbero ricevuto se fossero stati inseriti nel sistema pensionistico nazionale. Nel tentativo di risolvere questa contraddizione, il giudice costituzionale ceco (con la decisione PL ÙS 405/02), in nome del principio di eguaglianza e in nome dell’obbligo costituzionale di garantire la sicurezza materiale agli anziani, ha sancito l’obbligo di integrare le pensioni slovacche dei cittadini cechi che avessero permanentemente risieduto sul territorio nazionale. Nell’evidente intento di non dare seguito a questo provvedimento, il supremo tribunale amministrativo ha interpellato la Corte di giustizia con due questioni pregiudiziali con le quali si chiede di verificare se l’obbligo di integrazione non configuri una lesione del Regolamento CEE 1408/71 (con cui, in seguito all’ingresso della Repubblica ceca nell’Unione, si era provveduto a europeizzare l’accordo internazionale alla base della vicenda) o, in alternativa, se esso non configuri una lesione del principio di non discriminazione in ragione della nazionalità. Di fronte ad una questione pregiudiziale non priva di profili strumentali, il giudice europeo ha mantenuto un basso profilo e, dopo aver escluso che l’europeizzazione dell’accordo ceco - slovacco impedisca di per se stessa la possibilità di un reintegro, si è semplicemente limitato a sostenere che la soluzione del giudice costituzionale è comunitariamente illegittima nel momento in cui riconosce ai soli cittadini nazionali (e non anche agli altri cittadini comunitari) il diritto all’integrazione: secondo quanto stabilito dalla Corte del Lussemburgo nel caso Landtova (C-399/09), in seguito all’adesione all’Unione europea tocca alle istituzioni nazionali (secondo le regole del diritto interno) scegliere se eliminare del tutto il supplemento integrativo oppure se estenderlo anche a quei cittadini comunitari che per ipotesi si trovino a subire gli effetti dell’accordo. Forte di questa decisione, con la sentenza 3 Ads 130/2008-204, il Tribunale amministrativo si è sostanzialmente autoattribuito la competenza a operare la scelta prospettata dal giudice europeo e ha statuito che l’ingresso nell’Unione europea ha modificato il quadro di riferimento. Così, richiamandosi alla stessa giurisprudenza costituzionale (in particolare alla decisione PL ÙS 50/04 e PL ÙS 19/08), ha concretamente denegato il diritto al reintegro e ha proferito una sentenza provocatoria con cui ha esplicitamente sfidato i magistrati di Brno a dichiarare l’inapplicabilità di un provvedimento fondato su una norma europea. Alla stessa maniera, disconoscendo le ragioni dei giudici costituzionali, le istituzioni politiche ceche www.koreuropa.eu
  • 3. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna hanno immediatamente optato per la prima alternativa e hanno provveduto a positivizzare una norma per cui, in ragione degli obblighi disposti dall’ordinamento europeo, si è esclusa la possibilità di integrare le pensioni slovacche. Da questa intricata situazione di partenza, prende lo spunto il ricorso individuale di un cittadino ceco che chiede l’annullamento delle decisioni con cui i tribunali amministrativi gli hanno negato l’integrazione di una pensione ottenuta in un momento successivo all’adesione all’Unione. In particolare, egli lamenta che la decisione 6 Ads 52/2009-88 del supremo tribunale amministrativo, disapplicando le indicazioni del giudice costituzionale (in favore di quanto statuito dallo stesso tribunale amministrativo nel caso 3 Ads 130/2008-204), avrebbe leso il suo diritto alla protezione giudiziale, il suo diritto alla sicurezza materiale nella fase dell’anzianità ed il suo diritto all’eguaglianza. Di fronte all’opportunità di tornare a pronunciarsi su una vicenda in cui un utilizzo strumentale del diritto europeo è stato finalizzato alla riduzione delle prerogative individuali e alla sovversione delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, i giudici di Brno, piuttosto che limitare le loro censure alle scorrettezze delle istituzioni ceche, scelgono di coinvolgere anche la Corte di giustizia in una polemica squisitamente interna. Infatti, invece che rivendicare per sé (escludendo quindi quella degli altri soggetti istituzionali che a vario titolo sono intervenuti nella vicenda) la competenza a operare la scelta prospettata dal giudice europeo, i magistrati cechi preferiscono richiamarsi ai precedenti del Bundesverfassungsgericht e inaspettatamente dichiarano che il provvedimento europeo è ultra vires: partendo dal discutibile presupposto che il Regolamento non offre una adeguata copertura per l’intervento del giudice europeo, essi statuiscono che «based on the principles explicitly stated by the Constitutional Court in judgment file no. PL. ÚS 18/09, we cannot do otherwise than state, in connection with the effects of ECJ judgment of 22 June 2011, C399/09 on analogous cases, that in that case there were excesses on the part of a European Union body, that a situation occurred in which an act by a European body exceeded the powers that the Czech Republic transferred to the European Union under Art. 10a of the Constitution» e quindi concludono che «this exceeded the scope of the transferred powers, and was ultra vires». Come se ciò non bastasse, i giudici cechi sembrano promettere il futuro annullamento del provvedimento normativo adottato (che pur non essendo immediatamente www.koreuropa.eu
  • 4. Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna annullabile per ragioni procedurali è definito «obsolete» perché fondato sul presupposto di un atto ultra vires) e paiono addirittura orientati a voler sostenere che, al di là della lesione del principio di attribuzione, la pronuncia europea potrebbe essere considerata inapplicabile (anche) perché contraria ad uno dei principi su cui si regge l’ordine costituzionale nazionale: pur senza addentrarsi in un autentico identity review, la sentenza qualifica come un “abbandono” del principio audiatur et altera pars la scelta con cui la Corte di giustizia non ha ammesso l’informale lettera di spiegazioni attraverso la quale i giudici cechi, nel caso Landtova, avevano inusitatamente preteso di prospettare il loro punto di vista. Passando dalla descrizione al piano valutativo, i profili di criticità di questa decisione sono evidenti. Infatti, anche volendo mettere in secondo piano la scelta di non interpellare (né in questo caso, né nei precedenti) la Corte del Lussemburgo, l’applicazione dei controlimiti non pare in questo caso sorretta da nessuna ragione tecnica: contrariamente a quanto viene presupposto dalla decisione, i primissimi commentatori hanno correttamente evidenziato come il Regolamento comunitario offra una solida base di competenza1. Inoltre, l’inusitata dichiarazione di “obsolescenza” della legge mostra una volontà polemica che mal si concilia con un giudizio. Infine, la decisione di non ammettere la lettera di spiegazioni è processualmente inoppugnabile e, in presenza di un chiaro rifiuto delle forme codificate di dialogo, appare difficile giustificare la permalosità con cui i giudici accolgono il rifiuto dei loro colleghi. Alla luce di queste considerazioni paiono legittime alcune conclusioni. In primo luogo, questa vicenda mette in luce i limiti e le contraddizioni dell’attuale modello di relazioni tra gli ordinamenti e testimonia la facilità con cui dichiarazioni bellicose come quelle del Lissabon urteil, lungi dall’essere innocue, possano finire con il fornire basi di legittimità a decisioni inaccettabili. In secondo luogo, anche a non voler drammatizzare una pronuncia che difficilmente verrà ripresa in futuro, il fatto per cui una corte tradizionalmente considerata non ostile all’integrazione sovranazionale assuma posizioni a dir poco estremistiche è una testimonianza del momento di difficoltà vissuto dal processo europeo e dovrebbe comunque rappresentare un segnale di allarme. Sul punto si veda J. KOMAREK, Playing with Matches: the Czech Constitutional Court’s Ultra Vires Revolution, in www.verfassungblog. 1 www.koreuropa.eu