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Considerazioni su nuovi incentivi per fonti rinnovabili
1. Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia
SE SI AGGIORNANO PIÙ I DECRETI CHE I TABLET...
Dario Di Santo, FIRE
Fra i tanti temi oggetti al momento di dibattiti appassionati a livello Paese, quello delle fonti
rinnovabili domina il settore energetico.
Non si contrappongono solo gli interessi degli operatori termoelettrici – stretti da una continua
riduzione delle ore di funzionamento dei propri impianti (vedi articolo di Iliceto e Tardioli allegato
all’edizione di sabato 31 marzo della Staffetta) – a quelli dei produttori da rinnovabili, ma si agitano
nel calderone anche le istituzioni – con l’Autorità e il Ministero dell’Ambiente che litigano sui numeri
(vedi ad esempio Corriere della sera del 14 aprile u.s.) e parlamentari dei diversi schieramenti che
dicono la loro a favore o contro – e alcune categorie di utenti finali, preoccupate dei costi crescenti
della bolletta.
I provvedimenti presentati (quinto conto energia per il fotovoltaico e nuove regole per le altre
rinnovabili, reperibili sul sito web del Ministero dello sviluppo economico), che si ricorda
rappresentano la versione inviata alla Conferenza Stato-Regioni, non quella finale, presentano in
effetti cambiamenti drastici rispetto alle attese di alcuni soggetti. Non tanto per l’entità degli
incentivi, che comunque vengono ridotti, quanto per l’introduzione di vincoli rigidi sugli oneri di
sistema complessivi.
L’utilizzo dei registri per gli impianti sopra una certa soglia (pari a 12 kW per il fotovoltaico e 50 kW
per le altre fonti), insieme all’entità prefissata dei limiti di spesa, garantisce il controllo dei costi, ma
toglie contestualmente certezze agli investitori.
Ritenendo la situazione contraria ai propositi di sviluppo e crescita, e anzi foriera di fallimenti e
chiusure, le associazioni di settore hanno indetto una manifestazione a Roma il 18 aprile davanti a
Montecitorio per sostenere le fonti rinnovabili.
Da parte sua il Ministero dello sviluppo economico, estensore dei provvedimenti, ne sostiene la
correttezza e sottolinea il rafforzamento delle politiche di crescita, fissate oltre gli obiettivi del Piano
di azione del 2010, fatte salve eventuali revisioni nell’ambito della nuova Strategia energetica
nazionale (SEN).
A questi provvedimenti si può reagire in vario modo, e molto è stato scritto su queste pagine in
questi giorni. Si può andare dallo strapparsi le vesti di chi vede i suoi investimenti in pericolo e
rischia di chiudere, all’”era ora” di chi percepisce solo una corsa continua all’aumento della bolletta
per l’effetto sinergico degli oneri di sistema e delle trasformazioni del mercato elettrico.
In realtà è giusto tenere i conti sotto controllo e promuovere gli autoconsumi e i piccoli impianti.
Questa è la vera generazione distribuita. Peccato semmai che non si promuova anche il modello
ESCo più sistemi efficienti di utenza (SEU), di cui tanto si parla nei piani di azione europei e
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nazionali. I SEU sono, tra l’altro, una delle tante chimere legislative che attendono gli appositi
provvedimenti per potersi concretizzare (in questo caso da parte dell’Autorità per l’energia elettrica
e il gas, che ancora non è riuscita a dipanare la matassa dopo due documenti di consultazione).
Purtroppo ci si concentra sempre sugli incentivi e si trascurano i provvedimenti di base, che creano
le reali condizioni per un mercato concorrenziale e durevole (non è colpa solo delle istituzioni,
perché se le lobby insistono sugli altri aspetti è impossibile ignorarle).
I decreti confermano inoltre la positiva tendenza, già manifestata nelle bozze di altri provvedimenti
recenti, a prestare maggiore attenzione alle misure di monitoraggio e accompagnamento, anche
se non sempre sono evidenziate le necessarie risorse economiche aggiuntive nel caso degli enti
pubblici come l’ENEA, risorse senza le quali certe richieste rischiano di non trovare completa ed
efficace attuazione.
Certo le procedure per accedere ai fondi diventano più complesse. Ma è giusto rammentare che
siamo in un momento di crisi, e che tanti settori vorrebbero avere l’accesso ad incentivi e non ne
hanno la possibilità. Quindi è accettabile che i privilegiati facciano un po’ di fatica, purché non
debbano combattere con i mulini a vento. Lo stesso sistema elettrico è ormai molto più complesso,
con dinamiche stravolte rispetto a due-tre anni fa e sviluppi accelerati. Finché le rinnovabili,
idroelettrico escluso, erano le cenerentole della situazione si poteva chiedere molto. Ora che
competono sul mercato con numeri confrontabili al termoelettrico non è realistico chiedere di avere
sia benefici come la priorità al dispacciamento, sia incentivi forti. Fa parte degli svantaggi della
crescita. Si aprono scenari nuovi e nel tempo potremo veramente assistere a fenomeni interessanti
sul fronte dei costi complessivi e della sostenibilità energetica e ambientale, con i principali player
che dovranno elaborare nuove strategie, magari da rivendere su qualche mercato estero.
Più discutibile far di ogni erba un fascio, mettendo sulle nuove tecnologie limiti giustificabili per
quelle più mature – che dopo un certo numero di anni di incentivi consistenti dovrebbero
naturalmente essere in grado di vivere senza –, ma eccessivi per chi deve iniziare a crescere. A
tale proposito sarebbe assurdo premiare efficienza energetica e fonti rinnovabili termiche senza
limiti solo perché finora si sono trascurate, ma è anche utile e sacrosanto prevedere un supporto
adeguato, anche a costo di aumentare un po’ le spese complessive, se veramente si considerano
prioritarie per il Paese. Del resto il problema non sono i costi – altrimenti dovremmo prima
lamentarci per quelli annosi dell’inefficienza e dell’evasione fiscale, nonché per tutti i provvedimenti
governativi degli ultimi mesi, che comportano oneri che vanno ben oltre la famigerata componente
A3 –, ma gli effetti sul mercato. L’idea di base è che questi oneri si trasformino in investimenti per
la crescita e nuova industria, oltre a portare benefici energetici, ambientali ed economici. Se
questo accade, ben vengano costi in bolletta, purché sotto controllo.
In altri termini, i 12 miliardi di euro annui di stabilizzazione dei costi indicati dall’MSE alla
presentazione dei nuovi decreti non sono di per sé significativi, ma vanno inquadrati in un’ottica di
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benefici, che purtroppo è stata del tutto trascurata dal dicastero (mi riferisco alla presentazione,
ovviamente). In questi giorni molti citano un recente rapporto dell’osservatorio OIR dell’Agici, che
stima in circa 80 miliardi di euro al 2030 i benefici netti per il sistema Paese collegati alle fonti
rinnovabili, con un risultato positivo già a partire dal 2012. Dunque un buon investimento, che
rimarrebbe tale anche aumentando i costi, se i conti fossero confermati da altre fonti. E se ciò è
vero, possiamo solo mangiarci le mani per l’investimento mancato in efficienza energetica negli usi
finali o anche solo nelle rinnovabili termiche, che avrebbe reso molto di più. E sottolineare che non
è il caso di continuare a mangiarcele in futuro, quando appare necessario investire in efficienza per
tagliare i costi delle famiglie e delle imprese e alimentare uno dei pochi mercati che al momento
sembrano poter resistere in Patria, stante l’immobilismo della domanda. Anzi, i tempi di ritorno
brevi dell’efficienza aiuterebbero a compensare l’aumento degli oneri nel breve e medio periodo.
Al di là dei numeri, sempre da prendere un po’ con le molle con i dati scarsi disponibili,
l’esperienza di questi anni evidenzia soprattutto che agire senza pianificazione e monitoraggio,
come FIRE da sempre segnala, non può che portare a problemi e danni. Se si fossero dati
incentivi in modo ragionevole avremmo un industria in crescita, il sistema elettrico si starebbe
modificando più lentamente, e dunque con meno attriti, i costi sarebbero inferiori, rimarrebbero più
risorse per finanziare nuove tecnologie, e non saremmo al quinto conto energia fotovoltaico.
Potremmo prendercela con gli estensori del famoso emendamento al Salva Alcoa, ma sarebbe
meglio riformare il modo con cui si fanno le leggi. Se gli organi tecnici non verificano gli impatti
delle decisioni parlamentari si ripresenteranno sempre problemi analoghi. E se non si dedicano
risorse delle bollette – qualche percento degli oneri, niente più – a finanziare l’ENEA e le altre
agenzie affinché possano costituire basi di dati solide e supportare adeguatamente i ministeri
competenti e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas oltreché il mercato (campagne informative e
formative, diffusione di buone pratiche, gruppi di lavoro, etc.), parlare di una nuova SEN è quasi
ridicolo.
Siamo famosi per il Rinascimento, nessuno ci vieta di riprovarci. Non mancheranno novelli
Leonardo, Raffaello e Michelangelo se sapremo fornirgli le tele, o, visti i tempi, i tablet giusti (e
lasciamo che gli aggiornamenti continui riguardino l’ICT e non il quadro regolatorio; siamo uomini,
non App…).
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