Tecnica di ingegneria naturalistica da impiegarsi nei suoli piroclastici o presentanti orizzonti pedologici fisicamente, chimicamente o biologicamente inerti.
2. A mio figlio Antonio
Siam polvere di Stelle
Schiva il fango,
resisti alla tormenta,
loda l’Arte e il Creato
e sorridi all’Amore
Se cadi, rialzati da solo:
raccatta i tuoi sogni e,
a fronte alta, riprendi la via.
Pria che ti sorprenda la sera.
E, quando si appresta la notte,
foriera dell’Alba radiosa,
ti rallegri il Divino lignaggio:
seppur sembriamo sol polvere,
siam polvere di Stelle.
(da “Appunti di Viaggio” - Pellegrino De Rosa)
Pensiero e Azione.
(G. Mazzini)
1
4. Pellegrino De Rosa
LA GESTIONE DELL’AMBIENTE
E DEL TERRITORIO
E
LA “METODICA DE ROSA”
Geopedologia - Ecologia - Selvicoltura e Ingegneria Naturalistica
(Aspetti tecnico-scientifici e applicazioni pratiche)
EDIZIONI
SIMPLE
3
8. Prefazione
La gestione del territorio è un argomento talmente complesso da non
poter essere certamente esaurito nelle poche pagine della presente pubbli-
cazione o in quelle di altre singole trattazioni, seppur più corpose. E ciò
perché gli aspetti da tenere in considerazione spaziano da quelli tecnico-
ambientali (di per sé già piuttosto complessi), a quelli di natura socio-
economica, a quelli connessi al becero opportunismo politico che, talora,
vanifica quanto accuratamente pianificato dai tecnici del settore.
Tuttavia, la presente pubblicazione ha il pregio di portare alcuni fattivi
contributi tecnico-scientifici e alcuni personali punti di vista derivanti sia
dalla specifica e approfondita formazione dell’autore sia dalla sua espe-
rienza “sul campo”, entrambe di tutto rispetto.
Egli, infatti, è in possesso della laurea magistrale in Scienze e Tecnolo-
gie Agrarie, dell’abilitazione all’esercizio della professione di Dottore
Agronomo e Forestale senior, di alcuni ulteriori corsi di approfondimento
in Scienze Forestali e Ambientali e di un Master in Gestione e Difesa del
Territorio (geopedologia, geotecnica, cartografia GIS, ecologia) - titoli
conseguiti tutti presso la prestigiosa Facoltà universitaria di Portici, fa-
cente capo alla Federico-II di Napoli.
Ha poi svolto importanti lavori in ambito ambientale, collaborando sia
con la Facoltà di Veterinaria di Napoli sia con il Dipartimento di Ingegne-
ria Agraria e Agronomia del Territorio della Federico-II sia con il Dipar-
timento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale di Portici (Na).
Ha, inoltre, partecipato alla progettazione preliminare di estesi interven-
ti per conto della Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, riguar-
danti la prevenzione del rischio frane.
Ha fatto parte, ancora, del tavolo di concertazione della Provincia di
Avellino per i P.I.R. (Programmi Integrati Rurali) e ha partecipato a uno
studio sulla fauna venatoria, per l’A.T.C. (Associazione Territoriale Cac-
cia), di Avellino.
Tra l’altro è stato anche Amministratore e Direttore Tecnico di un coope-
rativa per la gestione e manutenzione del verde.
Infine, i suoi studi, le sue osservazioni e le sue ricerche lo hanno portato
a proporre una innovativa tecnica di Ingegneria Naturalistica, denomina-
ta “Metodica De Rosa”, da utilizzarsi nei suoli vulcanici, e a pubblica-
re i volumi: “L’assestamento forestale e l’ingeneria naturalistica nei
suoli con coperture piroclastiche”; “La via dei mestieri”, per la Comu-
nità Montana Vallo di Lauro e Baianese, e - per la Regione Campania -
7
9. “Le erbe alimurgiche del Baianese e del Lauretano”.
Consapevole del fatto che, affinché un territorio possa essere tenuto in
buone condizioni, c’è bisogno della presenza continua dell’uomo, e che
questa è possibile solo se la popolazione può ricavare un reddito soddisfa-
cente dalla sua attività sul territorio, ha condotto alcuni studi sperimentali
sulle razze suine locali (oggetto della sua tesi di laurea sui salumi di
Mugnano del Cardinale, frutto di una ricerca da lui svolta presso il Dipar-
timento di Scienze Zootecniche e Ispezione degli Alimenti di Portici) e sul-
le possibili applicazioni del selviturismo (argomento questo “trasferito”
agli operatori locali, attraverso alcune lezioni da lui tenute per conto dello
Stapa-Cepica di Avellino).
La passione scientifica ed ecologica dell’autore è, altresì, evidente sia
nella sua attività giornalistica (è giornalista-pubblicista) e divulgativa (ha
tenuto lezioni, come esperto esterno, sia a Master universitari su tematiche
geopedologiche e ambientali sia in numerosi progetti PON nelle scuole
medie superiori statali) sia in quella letteraria (ha pubblicato il romanzo
techno-thriller “Metamorfer - La gemma di Darwin”, acquistabile anche
on-line pesso i più importanti bookstore -ibs.it, bol.it - in cui, tra l’altro,
partendo dall’osservazione degli insetti mimetici, espone una sua origina-
le interpretazione delle “forze” induttrici dell’evoluzione delle specie vi-
venti) e arriva a suggerire una teoria evoluzionistica (il plasticismo) che
avrebbe in sé gli elementi per superare l’annoso dualismo tra evoluzioni-
smo su base darwiniana e creazionismo.
A testimonianza della validità e della benemerenza delle sue molteplici
attività, l’autore è stato insignito, di recente, dell’alta onorificenza di Ca-
valiere al Merito della Repubblica Italiana.
Per quanto fin qui esposto, sono convinto che questo testo potrà essere
utile sia agli studenti degli Istituti Tecnici e Professionali (presso i quali
l’autore insegna da circa un lustro), sia a tutti gli operatori del settore, sia
- semplicemente - a chi voglia avere un’idea più precisa delle complesse
problematiche connesse con la tutela del territorio.
(Enzo Pecorelli - Giornalista)
8
10. Introduzione
La presente pubblicazione ha lo scopo di fornire agli studiosi di
problematiche ambientali una ulteriore occasione di riflessione su alcuni
particolari aspetti della gestione delle risorse naturali di un territorio.
In particolare, con essa si vuole suggerire alcuni metodi utili alla conser-
vazione della “risorsa suolo”. E ciò con particolare riferimento ai suoli
piroclastici (cioè, quei suoli formatisi per azione dei fattori della pedogenesi
sulla matrice litoide di origine vulcanica) e ai suoli forestali.
Si indicherà, anche attraverso il filmato allegato al presente volume, un
possibile modo di studiare il territorio - preliminarmente alla progettazione
dell’intervento - utilizzando i software di cartografia tematica e di simula-
zione (ad. es. Arcview e le sue estensioni) e si suggerirà l’adozione delle
tecniche di ingegneria naturalistica e di riforestazione più idonee ai suoli
piroclastici.
Quando necessario saranno effettuati alcuni richiami teorici e si farà rife-
rimento a un territorio reale (l’area del Baianese) e a studi e progettazioni
realmente eseguiti dall’autore.
Verranno descritte le caratteristiche geopedologiche, climatiche e
naturalistiche del territorio di riferimento, ed evidenziate alcune caratteri-
stiche geomeccaniche e agronomiche dei suoli piroclastici, che influenze-
ranno la scelta del tipo di intervento più adatto. Saranno posti in evidenza
alcuni aspetti dell’interazione (biologica, ma anche meccanica) tra le radi-
ci delle piante ed il terreno e verrà indicato di quali fattori ambientali ed
edafici tener conto - quando si voglia intervenire su un territorio con tecni-
che di mitigazione “verdi” - e di come distribuire i lavori nel corso delle
stagioni per non interferire con i cicli naturali di vegetazione e fauna.
Infine, verrà presentata una innovativa tecnica di ingegneria naturalistica
e fornito un esempio di Valutazione di Impatto Ambientale.
Per il momento, si vuole solo sottolineare che, quando si debba interveni-
re in un ambiente naturale, sarebbe preferibile che a coordinare gli inter-
venti sia un esperto di quel settore, un “ruralista” (un dottore agronomo e
forestale), così come in ambiente antropizzato si ricorre a un “urbanista”
(ingegnere o architetto).
Inoltre, è ormai evidente che, in entrambi gli ambiti, è ormai necessario
un approccio multidisciplinare in cui professionisti di diversa formazione
possano interagire produttivamente tra di loro.
Ciò, per la verità, non sempre avviene e - addirittura - manca ancora un
linguaggio comune.
9
11. Un semplice esempio può forse chiarire meglio il concetto: prendiamo il
caso della definizione di “degradato” o “alterato” riferita al suolo, e di come
essa - all’interno di una relazione tecnica - possa assume un significato
diverso a seconda della formazione professionale di chi scrive.
Un geologo definirà, presumibilmente, il suolo come uno “strato di alte-
razione” (sottintendendo, della roccia madre) mentre un agronomo - al con-
trario - considererà “alterato” (o “degradato”) un suolo sul quale l’azione
erosiva abbia asportato lo strato di terreno fertile lasciando esposta la roc-
cia nuda (quella, cioè, che per il geologo non è degradata!). Ad alcuni urba-
nisti, d’altro canto, potrà capitare di usare il termine “degradato” per indi-
care, grossolanamente, un terreno di periferia invaso dalle erbacce, e pro-
porlo per un suo “recupero” urbanistico, destinandolo come suolo
edificatorio, ignorando - come capita nell’hinterland napoletano - che quel
particolare tipo di andosuolo (il più fertile del pianeta) ha impiegato circa
13.000 anni per formarsi e in condizioni (presenza di foreste e di praterie)
non facilmente riproducibili!
Un altro esempio potrebbe essere quello della definizione stessa di suolo.
Esso, di volta in volta e in relazione ai diversi punti di vista, potrà essere
definito “materiale incoerente”, “sistema poroso trifasico”, “substrato per
la vegetazione“, e così via. Ma nessuna di queste definizioni, da sola, è
esaustiva: il suolo non è semplicisticamente l’una o l’altra cosa, ma rac-
chiude in sé tutti gli aspetti innanzi ricordati.
Inoltre, dovrebbe sempre essere tenuto presente che si tratta di una risor-
sa limitata e rinnovabile solo con estrema lentezza; pertanto, il pianifica-
tore dovrebbe fare il possibile per salvaguardarla.
10
13. 12
1) Croce puntone; 2) Ciesco Bianco; 3) Torretiello; 4) Toppola grande; 5) Valle Fredda; 6) Acquaserta; 7) Ciesco Alto;
8) M. Spadanfora; 9) Bosco di Arciano; 10) M. Campimma; 11) Montevergine.
14. 1. Descrizione dell’area di riferimento
1.1. Orogenesi e aspetti geopedologici
La valle del Baianese si apre a ventaglio, in direzione del golfo di Napoli, tra
due dorsali, o catene montuose, carbonatiche, disposte secondo il tipico andamento
appenninico (NordOvest-SudEst). Quella dei Monti di Lauro (1.104 metri slm) a
Sud e quella dei monti di Avella a Nord. La cima più alta dei Monti Avella
(1.598 m) si trova in vicinanza di Ciesco Bianco (1.589 m) e sopravanza di oltre
100 metri la non lontana Montevergine (1.493 m) o Monte Partenio.
Le “pieghe” che hanno dato origine ai rilievi sono del tipo monoclinale.
Questi rilievi si ribassano a gradinata verso la fossa tettonica della piana
Campana (Graben). Le fratture e le faglie che interessano i nostri rilievi sono
generalmente raggruppate in due sistemi: il primo con andamento
appenninico, parallelo ai rilievi (di forma allungata) e alle valli ed il secondo
pressoché perpendicolare al precedente.
I rilievi sono costituiti prevalentemente da rocce calcaree (CaCO3), dolomitiche
[CaMg(CaCO3)2] e aragonitiche (MgCO3), formatesi nell’era Mesozoica o
Secondaria (compresa all’incirca tra 225 e 65 milioni di anni fa).
Presumibilmente, nel secondo (Giurassico) e nel terzo periodo (Cretacico) di
tale era geologica: all’epoca dei dinosauri, tanto per intenderci. Quando
cominciarono a diffondersi le angiosperme (piante con fiori), affiancandosi
alle conifere o gimnosperme (piante con seme nudo) e alle felci (piante vascolari).
Incluse in alcune fessurazioni del calcare troviamo il Flysch terziario
(costituito da materiali terrigeni come marne, argille e arenarie), che funge,
idrologicamente, da tampone e consente al calcare di trattenere come in un
immenso serbatoio le acque sotterranee.
Esistono zone - come quella della “panoramica” di Avella, quella del
Colle del Seminario (al confine tra Avella, Roccarainola e Tufino), quella di
Ponte di ferro, a Sirignano - in cui è possibile trovare fossili di paleorganismi
Rudiste (molluschi fossili) inglobate in una roccia marini come molluschi,
calcarea rinvenuta a Sirignano (Av)
gasteropodi, lamellibranchi
e coralli. Essi testimoniano
che centinaia di milioni di
anni fa “le porche”(i monti)
di Avella si trovavano sotto
il livello del mare e
andavano a costituire il
fondale marino.
Lo strato mesozoico, di
cui fanno parte anche
questi depositi, raggiunge
13
15. presumibilmente lo spessore di circa 4.500 metri, ma esso non è interamente
visibile a causa delle notevoli complicazioni tettoniche intervenute
successivamente. In realtà non si ha la totale certezza di cosa vi sia più sotto
e quanto sia spessa, sotto i nostri piedi, la crosta terrestre.
In linea generale gran parte degli studiosi concorda che essa possa
raggiungere anche i 60 Km sotto i continenti e che misuri solo pochi
chilometri sotto il fondo degli oceani. Vale, comunque, il concetto generale
che la crosta terrestre con le sue catene montuose “galleggia” su di uno
strato fluido-plastico, a “maggiore densità” (principio dell’isostasia, cfr. figura
a fondo pagina). Il sistema è in equilibrio quando gran parte della massa è
immersa nel fluido. Qualcosa di simile accade per gli iceberg, i giganteschi
blocchi di ghiaccio che si staccano dalla calotta polare nella stagione più
calda e la cui parte emergente è circa un settimo della massa totale.
Quindi, sotto una catena montuosa (antiradice), normalmente c’è una
radice grande alcune volte la parte emersa. Questa regola generale presenta,
peraltro, numerose eccezioni, in quanto occorre tener presenti anche i
movimenti delle zolle ed altri complessi meccanismi tettonici.
Sulle sommità dei rilievi spesso la roccia è affiorante ma altrove è ricoperta
da materiale piroclastico “da caduta” (ceneri, pomici e lapilli) proveniente,
in gran parte, dall’attività eruttiva del complesso Monte Somma-Vesuvio e,
più limitatamente, dall’attività dei Campi Flegrei e di altri siti attualmente
sepolti nella piana Campana. Come verrà detto più estesamente in seguito,
proprio la presenza di queste stratificazioni piroclastiche, unitamente
alla presenza di argille plio-pleistoceniche particolarmente instabili,
costituirebbe la causa principale dei movimenti franosi che hanno
funestato Sarno e Quindici (1998) e Cervinara (1999), e che hanno
interessato anche i Monti di Avella, per fortuna senza vittime.
I versanti particolarmente a rischio risultano essere quelli compresi
tra una pendenza di 35° e 50°. L’acqua piovana infiltrandosi attraverso lo
strato poroso piroclastico del suolo, spesso messo a nudo da disboscamenti
e da incendi che a volte interessano anche la stessa coltre erbosa, raggiunge
il bedrock calcareo (ovvero la roccia viva) e vi forma un vero e proprio
piccolo fiume di acqua che solleva il terreno e lo fa slittare fino a valle.
14
16. A quote più basse, si possono riscontrare paleosuoli e sedimenti
alluvionali mentre, in superficie, c’è l’attuale suolo agrario o montano.
Nell’era Mesozoica dovevano emergere, presumibilmente, solo le cime
dei rilievi mentre l’attuale pianura doveva essere completamente sommersa
dal mare. Solo nell’era Neozoica o Quaternaria e, più precisamente, nel periodo
detto Pleistocene (o Diluvium) superiore (150.000 – 10.000 a.C.) il “golfo”, che
arrivava fino a questa valle, comincerà a colmarsi, sia per azione erosiva e
conseguente accumulo di detriti, sia per gli apporti piroclastici dovuti alle
attività effusive ed eruttive dei vari apparati vulcanici.
Questo periodo geologico fu caratterizzato da ben quattro glaciazioni.
Nel corso dell’ultima di queste (Wurm: da 70.000 a 10.000 anni fa) il mare si
abbassò di oltre 100 metri, rispetto al livello attuale, e l’isola di Capri si
congiunse alla terraferma. Il primitivo Homo sapiens del Paleolitico, quindi,
se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungere Capri a piedi. Per avere un’idea
di quanto il vulcanesimo abbia influito sulla formazione del nostro territorio
si consideri che solamente Capri, tra tutte le isole e gli isolotti del golfo, è di
natura non vulcanica ma calcarea (come i nostri rilievi) e per questo viene
anche chiamata isola bianca.
Nel bel mezzo del Wurm, circa 33.000 anni fa, vi fu una terrificante eruzione di
tipo ignimbritico, che modificò radicalmente il territorio della depressione Campana e depositò
uno spessore enorme di “Tufo Grigio Campano”. Grandi fessure, attualmente
sepolte nell’area Nord di Napoli, emisero dense e ciclopiche nuvole
eruttive ad altissima temperatura che giunsero fino ai nostri monti e
secondo alcuni studiosi (ma qui i pareri sono discordi), risalendo i valichi,
arrivarono fino al cuore dell’Irpinia, dove esistono imponenti depositi
di tufo. Lo strato che ne derivò in alcune zone superò i 30 metri (come
nelle cave di tufo di Casamarciano) mentre raggiunse solo alcune decine
di centimetri alle pendici Ovest delle nostre dorsali montuose.
Questa eruzione fu talmente devastante da risultare sicuramente una
delle più violente di tutto il bacino del mediterraneo. E’ provato che le
ceneri di questo evento giunsero fino all’isola di Cipro, infatti depositi di
materiale vulcanico riferibili a tale impressionante eruzione sono stati
riportati alla luce da recenti saggi (carotaggi) colà effettuati. Successivamente,
l’erosione e l’accumulo di detriti alluvionali contribuirono a conferire alla
vallata la conformazione attuale.
Altri e impressionanti fenomeni vulcanici interessarono, nelle epoche
successive, l’area baianese, questa volta, prevalentemente ad opera del
complesso vulcanico Monte Somma-Vesuvio.
I numerosi eventi eruttivi hanno portato ad accumuli di materiale
vulcanico che in alcuni siti supera i 15 metri di spessore e che, quasi
ovunque, interessa l’intero strato del terreno coltivato.
15
17. Rappresentazione di alcune isopache, indicanti le aree di caduta e lo spessore, del materiale
piroclastico sparso da alcuni eventi eruttivi del complesso Monte Somma-Vesuvio.
Profilo pedologico tipico dell’area baianese
1) Suolo attuale
2) Strato di pomici (eruzione di Pollena) 472 d.C.
3) Paleosuolo di Pollena (con suoli di aratura sepolti)
4) Prodotti piroclastici “da caduta” (ceneri, lapilli e pomi-
ci) relativi ad eventi eruttivi databili tra l’evento di Avellino
e quello di Pollena
5) Paleosuolo
6) Pomici relativi all’evento di Avellino (3.500 BP)9
7) Paleosuolo eneolitico-bronzo antico
8) Fall di pomici dell’eruzione di Mercato (8.000 BP)
9) Paleosuolo
10) Strato di Tufo grigio campano (33.000 BP)
11) Limo ed argille (forse di un laghetto paleolitico
montano?)
12) Strato di prodotti piroclastici da caduta relativo
ad un evento sconosciuto
13) Paleosuolo
14) Bedrock calcareo (cretacico superiore)
3500 BP= Before present = 3500 anni fa
16
18. 1.2. Aspetti idrografici
La valle del Baianese (denominata pure Conca Avellana) non presenta corsi
d’acqua perenni. Essa è chiusa a Nord dal bacino del Clanio e a Sud dai
torrenti Acqualonga e Gaudo-Sciminaro.
Il Clanio (Clanis) sorge col nome di Fiume di Avella da una serie di
sorgenti, la maggiore delle quali si chiama Bocca dell’acqua, nel territorio di
Sirignano. Tra le minori ricordiamo: Fontana di Sambuco, del Monaco, di
Pianura, delle Fontanelle (poco sopra l’ultimo dei vecchi quattro mulini
funzionanti un tempo) e della Peschiera. L’acqua veniva usata, oltre che per i
mulini, per innaffiare gli orti e per far macerare la canapa nelle Fusare che un
tempo si trovavano, in Avella, nei pressi del quartiere San Pietro e della Piazza.
Si tratta, in realtà, di un corso d’acqua a regime torrentizio. Asciutto per
gran parte dell’anno.
In passato, con ogni probabilità, esso doveva avere un flusso più continuo
e più consistente, in quanto l’acqua delle sorgenti non gli era stata ancora
sottratta per essere adoperata per fini idropotabili e, verosimilmente, il clima
doveva essere più piovoso. Andando ancora indietro nel tempo, non è
escluso che il “fiume” Clanio potesse essere addirittura navigabile (beninteso
solo in alcuni tratti e solo tramite piroghe, canoe o rudimentali zattere).
Infatti le incisioni e i detriti che esso ha lasciato lungo il Vallone Serroncello
(Avella), farebbero pensare ad una portata d’acqua ben più importante
dell’attuale, misero, rivolo d’acqua.
Probabilmente, inoltre, le sue acque venivano utilizzate, oltre che per gli usi
prima menzionati, anche per allagare l’anfiteatro romano di Avella e potervi
rappresentare spettacoli di battaglie navali.
Accresciuto dalle acque che scendono dai monti circostanti, e attraversata
Avella, il fiume continua il suo percorso scorrendo fra Risigliano e Tufino e
fra Cutignano e Camposano, continuando col nome di Canale di Bosco Fangone e,
dal Ponte dei Fusari, assumendo più propriamente il nome di Regi Lagni.
17
19. Dopo aver ricevuto numerosi altri corsi d’acqua il Clanio1 (o Regi Lagni)
raggiunge la pineta di Castelvolturno dove si divide in duplice corso, andando
a sfociare l’uno nel Tirreno e l’altro nel Lago di Patria.
In definitiva il corso del Clanio si può dividere in tre sezioni: alto, medio
e basso. L’alto Clanio, dalla sorgente a Marigliano (zona di confluenza delle
acque provenienti dal Vallo di Lauro e dalle colline nolane con quelle della
Mefite e del Monte Somma). Il medio, da Marigliano a Ponte Rotto (punto
di confluenza delle acque delle Valli Caudine e di Maddaloni e dei Monti
Tifatini). Il basso, da Ponte Rotto alla foce. L’asta principale dei Regi Lagni
inizia in agro di Marigliano e procede per altri 46,300 Km fino al mar
Tirreno.
Il bacino idrografico dei Regi Lagni è uno dei più importanti della
Campania, con i suoi 110.000 ettari di territorio. Comprende una vasta rete
di canali artificiali, creata nei secoli scorsi per bonificare quella parte della
fascia pianeggiante che dal Lago di Patria si addentra verso est per circa 60
Km, sino alle pendici dei Monti di Avella.
Criterio fondamentale di tale bonifica fu quello di separare le acque di
pioggia provenienti dalla zona montana (acque alte), da quelle che cadono e
ristagnano nella piana (acque basse). Nella rete di canali esistenti si distinguono,
quindi, canali di acque alte che immettono direttamente nel lagno centrale e
canali di acque basse che trovano recapito in lunghi controfossi affiancati a
destra e a sinistra del lagno centrale, da cui sono separati tramite argini in terra.
Più a monte sono presenti alcune “vasche di compensazione”, come la
vasca, detta di Sperone (che in realtà si trova nel territorio di Avella), che in
origine aveva la funzione di contenere i flussi di piena e di far rallentare le
acque in maniera che vi si depositassero terriccio e particelle sospese.
Successivamente tali siti, com’è ampiamente noto, sono serviti da discariche
abusive di materiale da risulta e, si mormora, anche di sostanze tossiche.
Inoltre, i corsi dei lagni hanno subìto un grave degrado. In alcuni casi sono
intasati da frane, in altri casi vengono coltivati o, addirittura, vengono
cementificati o trasformati in strade.
1
Il Clanis ha rappresentato, fin dalla preistoria, la vita e la morte per le vecchie popolazioni
indigene. E’ accertato, infatti, che alcune tribù preistoriche si siano stanziate lungo il
Vallone Serroncello (nel territorio di Avella), dove trovarono acqua e selvaggina abbondanti
e anfratti naturali in cui proteggersi dalle fiere e dalle intemperie.
Quando, però, il violento torrente straripava, provocava inondazioni, morte e allagamenti.
Nella pianura nolana l’acqua ristagnava in una vera e propria palude, maleodorante e
malsana. Epidemie di varia origine e malaria mietevano intere popolazioni. Sicuramente,
le popolazioni locali si adoperarono per regimentare il flusso dei vari torrenti e “lagni”
(dal greco “làginos”, vaso, ricettacolo di acque) ma la situazione subì un netto
peggioramento agli inizi dell’anno mille. In quell’epoca , com’è noto, le popolazioni
depresse e impaurite dalla fine millennio, si ritirarono sui monti ad aspettare la fine del
mondo. Abbandonarono, perciò, le normali attività compreso la cura degli argini e la
sistemazione dei terreni.
18
21. Nella tabella riportata nella pagina precedente sono indicati i
principali recapiti sorgivi dell’area baianese. I suoli sono caratterizzati,
nel complesso, da una buona permeabilità primaria e secondaria (per
carsismo e fratturazione) che gli consentono l’infiltrazione di gran parte
dell’acqua di precipitazione. L’acquifero (il “sebatoio d’acqua” sotterraneo)
che riveste maggiore importanza strategica è quello, carbonatico, detto
“idrostruttura dei Monti di Avella-Montevergine-Pizzo d’Alvano”, alle cui
propaggini meridionali ed occidentali si individuano le principali scaturigini.
All’interno di questa idrostruttura si individuano due faglie inverse che
generano una sorta di alto idrico all’interno della struttura dei Monti Avella-
Montevergine, con deflussi orientati, in parte, verso le sorgenti Mofito (o
Mefite) e Calabricito (portata media annua pari a circa 1,3 m3/s) e, in parte,
verso il gruppo sorgivo di Sarno (portata media annua pari a circa 9,0 m3/s).
Nel territorio dei paesi del baianese non esistono significativi recapiti
sorgivi dell’idrostruttura carbonatica (profonda) descritta, ma solo recapiti
di falda sospesa (più superficiale). Esse hanno portate modeste e, spesso, a
carattere temporaneo o stagionale.
Alcune di esse alimentano reti acquedottistiche locali di importanza
secondaria (come ad esempio, quella dell’acqua vecchia, a Mugnano del
Cardinale).
Avella, Baiano e Sperone, riuniti in consorzio, riescono ad essere quasi
autosufficienti per l’approvvigionamento idrico, grazie all’acqua proveniente
da alcune di queste sorgenti e a quella da essi captata dai pozzi artesiani
appositamente scavati.
20
22. 1.4. Fenomeni carsici
“La Fossa” di Mugnano del Cardinale.
Ortofoto scattata da 6000 metri, nel 1997. (1)Fossa, (2) Gesù e Maria,
(3) San Pietro a Cesarano, (4) Cimitero, (5) autostrada A-16.
“La Bocca del vento” di Avella
(sulla strada Panoramica, nei pressi di Piano delle mandrie).
A destra si possono osservare i depositi di calcite, di forma ondulata,
prodotti dalla condensazione del vapore saturo di carbonato di calcio.
Dalla fessura al centro della foto esce, quasi sempre, un flusso d’aria.
Per cui, lanciando delle foglie verso di essa queste vengono respinte
all’indietro. Probabilmente la “Bocca del Vento” è un’apertura di un esteso
sistema di grotte carsiche non ancora esplorato.
21
23. La “fossa” di Mugnano del Cardinale in una elaborazione tecnica dell’autore.
Per fenomeni carsici si intendono l’insieme di processi di corrosione chimica
provocati dalle acque su rocce solubili (calcari e dolomie, nel nostro caso, e,
altrove, gessi e depositi salini). Avviene che l’anidride carbonica contenuta
nell’acqua trasforma il carbonato di calcio delle rocce, insolubile, in bicarbonato
di calcio, solubile, che viene disciolto e asportato.
Questa asportazione, nel corso dei secoli, dei millenni e delle ere geologiche,
provoca la formazione di campi solcati, lapies, doline, cavità, inghiottitoi, caverne
e grotte in cui sono frequenti stalattiti (che pendono dalla volta), stalagmiti (che
vanno dal basso verso l’alto) e colonne (dalla fusione di stalattiti e stalagmiti) che
a volte vanno a costituire complessi di grande interesse speleologico e turistico.
Questi fenomeni vengono detti “carsici” perché sono più evidenti e sono
stati maggiormente studiati nella regione del Carso (zona alpina orientale,
comprendente le Alpi istriane, triestine e dell’ex Jugoslavia), ma sono diffusi
nel Massiccio del Gran Sasso, nel Gargano, nelle Murge, nelle Madonie.
Il termine “carso” è serbo-croato e significa “roccia”.
Il carsismo superficiale è ben rappresentato nella zona oggetto di studio e
la formazione più spettacolare è, sicuramente, la cosiddetta Fossa di Mugnano
del Cardinale. Questa caratteristica depressione, estesa circa un ettaro, è una
“dolina” formatasi da una originaria piccola depressione in cui avrebbe
continuato ad infiltrarsi l’acqua che, sciogliendo la roccia calcarea ha prodotto
prima una cavità e, poi, il crollo della volta e la conseguente formazione del
caratteristico affossamento del terreno.
22
24. Tra le maggiori formazioni carsiche della zona vanno senz’altro annoverate
le tre grotte di Avella: la grotta di San Michele, la grotta delle Camerelle di Pianura e
la grotta degli Sportiglioni.
La grotta di San Michele è situata nella parte mediana del Vallone
Serroncello-Fontanelle. E’ costituita da tre cavità o ambienti separati.
Non è molto importante sotto l’aspetto scientifico ma riveste notevole
importanza dai punti di vista artistico e religioso.
La grotta di Camerelle di Pianura è la più importante dal punto di
vista speleologico. Si apre alla quota di 900 metri sul fianco orientale
del Vallone S. Egidio, in prossimità della Fontana di Pianura,
sviluppandosi per quasi 150 metri nelle direzioni S-N e W-E.
Vi si accede tramite una “buca” nel terreno. Superato il salto iniziale
di quasi 5 metri, ci si inoltra in una serie di grossi ambienti, in cui, fin
dall’inizio, sono ben visibili pittoresche formazioni colonnari, più
imponenti nella seconda sala. Dalla parete meridionale del tratto W-E,
si accede a un ramo inferiore piuttosto ampio. La morfologia della
grotta depone a favore di un’origine dovuta a una serie di crolli in
cavità già allargate dall’azione chimica delle acque.
La Grotta degli Sportiglioni, riveste una particolare importanza dal
punto di vista biologico. In essa, infatti, sono state riscontrate ben
quattro specie endemiche: l’acaro Rhizoalyphus sportilionensis, l’isopodo
Haplophthalmus mengei
legrecai, il collembolo Grotte di San Michele
disparrhopalites patrizi e il
coleottero Bathisciola
partenii, tutti a regime
alimentare saprofago (si
nutrono di materiale
vegetale o animale in
decomposizione).
La grotta si estende
per circa 120 metri.
Si trova nel vallone
Serroncello a poche
centinaia di metri, salendo,
dopo la grotta di San
Michele e sullo stesso lato
di questa, nascosta dalla
vegetazione.
23
25. sezione Grotta delle Camerelle
pianta
sezione
Grotta degli Sportiglioni
pianta
24
26. 1.5. Aspetti naturalistici
1.5.1. La flora
La coltura che predomina alle quote più basse è il nocciòlo (Corylus
avellana) cui, salendo di quota, subentrano, nell’ordine, l’olivo (Olea europaea),
il castagno (Castanea Sativa) e, oltre i 1000 metri, il faggio (Fagus Silvatica).
Più sopra ancora si trovano alcune specie di pino, tra cui ricordiamo il Pinus
Laricio .
In passato, soprattutto in pianura ma anche in collina, si trovavano estesi
vigneti, ciliegi, pomacee (meli e peri), e piante di gelso (le ceuze, in dialetto)
le cui foglie costituivano il “foraggio” dei bachi da seta (Bombyx mori), un
tempo allevati nei nostri paesini da quasi tutte le famiglie.
Fra i 900 e i 1.500 metri, si trovano, fra i boschi di faggio, alcuni alberi di
tasso (Taxus baccata). Si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti per
la presenza di un alcaloide chiamato “tassina”.
Tra le altre specie diffuse sul territorio, sono presenti noci (Juglans regia),
òntani napoletani (Alnus cordata), olmi (Ulmus glabra, Ulmus minor), il kaki
(Diospyros Kaki), il sorbo (Sorbus aucuparia, Sorbus aria), le varie specie di
acero (Acer lobelii, Acer platanoides, Acer pseudoplatanus, A. negundo, A. campestre,
A. obtusatum), il carpino (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus), il
carpino bianco (Carpinus orientalis). Sono presenti anche le querce (Quercus),
i lecci (Quercus ilex). Lungo le strade troviamo i platani (Platanus orientalis, P.
Occidentalis), il pioppo nero (Populus nigra), il tiglio (Tilia cordata), il biancospino
(Crataegus oxiacantha).
Non tutti sanno che i nostri boschi sono ricchi di numerose specie di
orchidee, come la Orchis morio subsp. Picta, Orchis mascula, Orchis pauciflora,
presenti nelle località Piano del Pozzo e Piano Maggiore ai confini dei territori
di Avella e Roccarainola (600-900 m slm). Mentre sulla collina delle Vallicelle
(Mugnano del Cardinale e Quadrelle) sono presenti Orchis papilionacea, Orchis
x gennari, Orchis purpurea, Orchis pauciflora ed altre.
Nel sottobosco troviamo: pungitopo (Ruscus aculeatus), edera (Hedera helix),
salvia (Salvia glutinosa), rosa selvatica (rosa sempervirens), fragola (Fragaria vesca),
asparago (Asparagus acutifolius), origano (Origanum vulgare), e vari tipi di felci
e di ginestre (Spartium iunceum, ecc.), graminacee da prato ed erbe officinali.
Sono state censite oltre 700 specie vegetali diverse.
1.5.2. I funghi
Esiste una buona varietà di funghi. Si trovano i chiodini (Armillaria
mellea), detti ‘e semmentini, che si trovano vicino alle ceppaie di nocciòlo
o di alberi da frutto e nei boschi di faggio e di castagno. Poi vi sono i
porcini (Boletus edulis), detti comunemente amuniti, che si trovano, di
25
27. prevalenza, nei faggeti e nei castagneti (ma alcune specie si trovano
anche sotto le querce e nelle pinete).
Da menzionare i taurini, del gruppo dei porcini, ma velenosi, dal cappello
più rossiccio e dalla “carne” (così si chiama il corpo dei funghi) che, se
tagliata, ossidandosi a contatto con l’aria, diventa subito rossiccia o bluastra.
Alcuni boscaioli di Monteforte Irpino li mangiano dopo averli ben bolliti,
infatti la tossina è termolabile, ovvero, si distrugge con il calore.
Sono presenti anche numerose specie di prataioli, spugnole, e “conocchie”
o “mazze di tamburo” (Lepiota, Macrolepiota, Agaricus ecc..) che vivono
sullo “strame” (materiale organico in decomposizione), da non tutti
conosciuti e apprezzati.
Se si è fortunati, è possibile trovare anche l’ Amanita cesarea (detta, in
dialetto, pirozzola ‘e uovo, tuorlo d’uovo). I parenti velenosi, anzi letali, di
questa specie e cioè l’Amanita muscaria (con sparse macchie bianche sul
cappello rosso), e l’Amanita phalloides (dal cappello verde), sembra che da
noi non siano presenti: comunque è meglio fare attenzione, non si sa mai.
Altre specie nostrane sono i “lattari” (detti ‘e piesciuli) e i Cantharellus
cibarius (detti ‘e gallinelle oppure‘e manolle). Infine, va menzionato il tartufo
nero (Tuber aestivum) che cresce sotto terra e che viene cercato con l’aiuto di
cani o di maiali addestrati allo scopo. Si trova nei faggeti, nei querceti e nei
noccioleti.
1.5.3. La fauna
Da rinvenimenti effettuati lungo il Clanio, nel territorio di Avella, si è
potuto verificare che in epoca preistorica erano presenti l’orso (Ursus Arctos),
il tasso (Meles meles), la martora (Martes martes), la tartaruga terrestre, il capriolo
e il cervo (Cervius).
Numerose ed interessanti sono le specie animali attualmente presenti.
Tra gli anfibi appartenenti agli Urodeli (le specie provviste di coda anche da
adulti), troviamo la salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii) dalle
grandi macchie gialle nere, la salamandra dagli occhiali (Salamandra tergidata),
risalente all’era quaternaria, e alcune specie di tritoni il cui habitat è costituito
dalle acque stagnanti di cisterne e pozzi.
Tra gli anfibi Anuri (le specie sprovviste di coda da adulti), troviamo il
rospo comune (Bufo bufo spinosus) ed il rospo smeraldino (Bufo viridis). Nelle
zone più umide, come l’alto corso del Clanio, si possono incontrare anche
alcune specie di rane, come la rana greca (Rana graeca italica), appartenente
alle “rane rosse”(lunga circa 6 cm e dalla caratteristica V capovolta sul dorso)
e la Rana ridibunda, verde, lunga fino a 15 cm.
Dei rettili ricordiamo la lucertola campestre (Podarcis sicula), presente
ovunque, la lucertola muraiola (Podarcis muralis breviceps), comune in alta
26
28. montagna, e il ramarro (Lacerta viridis). Negli abitati frequenti sono i gechi.
Molto particolare è la luscengola (Chalcides chalcides). Questo sauro,
somigliante ad un serpente, in realtà è una via di mezzo fra le lucertole e i
serpenti. Lungo fino a 40 cm, di colore verde scuro o bronzeo, presenta
lunghe strisce dorsali chiare. La sua caratteristica distintiva è che presenta
piccole zampette provviste di tre dita che, durante la fuga, vengono retratte
in apposite cavità presenti lungo il corpo.
Fra i serpenti ricordiamo il cervone (Elaphe quattuorlineata) che, come
dice il nome, presenta quattro linee longitudinali scure su corpo chiaro.
Lungo fino a 2,60 m è un serpente costrittore: soffoca la vittima fra le sue
spire e poi la ingoia; riesce ad ingoiare anche piccioni e conigli. E’ uno dei
serpenti più timidi d’Europa. Esso, conosciuto dagli allevatori del Campo
di Summonte col nome dialettale di “impastoia-vacche”, è ghiotto di latte,
come del resto tutti i serpenti. Esso si porta sotto le mammelle delle vacche
e vi succhia il latte. La vacca, che prova sollievo perché si alleggerisce del
latte, addirittura ritorna allo stesso posto dove è stata “munta” la prima
volta dal serpente e lo aspetta, ed esso, puntualmente, arriva.
Diffusi nel territorio sono altresì la biscia dal collare (Natrix natrix), il
colubro liscio (Coronella austriaca) e il biacco (Coluber viridiflavus).
Un discorso a parte merita l’aspide o vipera comune (Vipera aspis),
l’unico serpente velenoso presente nel nostro territorio. Si distingue dagli
altri serpenti locali, innocui, per avere testa triangolare, muso dall’apice rivolto
verso l’alto e pupilla verticale (come quella dei gatti). Il colore del corpo è
variabile dal grigio, al rosa, al bruno con quattro strisce scure più o meno
estese ai lati del corpo, la punta della coda è rosa, la parte addominale va dal
giallo chiaro al rosso scuro. E’ lunga circa 70-80 cm.
Passando agli uccelli, segnaliamo oltre a quelli più comuni, presenti
nelle zone urbane e nelle campagne circostanti come le colombe, le tortore,
i passeri, i fringuelli, le rondini, le cince e i merli, anche quelli meno comuni
come le beccacce, le quaglie, l’upupa, il pettirosso, l’usignolo, la poiana, il
picchio, la civetta, il barbagianni, il gufo, la capinera, il cardellino, la gazza,
la pica. In zone di montagna, nella parte più alta dei Monti Avella, se si è
fortunati, si possono avvistare anche l’astore, il falco pellegrino, il corvo
imperiale e, forse, anche lo sparviere (più comune nell’altro versante dei
Monti Avella, nei boschi di Pannarano e Cervinara). I fagiani sono presenti
-normalmente- solo per poche ore; dal momento del “lancio” da parte
delle associazioni venatorie, al momento della loro “fucilazione” da parte
dei cacciatori: passano in poche ore dalla gabbia alla pentola.
I mammiferi, sono presenti con quasi 30 specie. Oltre ai vari tipi di
topi, ratti e arvicole, ricordiamo i pipistrelli o “chirotteri” (con otto specie
diverse), le talpe (presenti con due specie), il ghiro (Myoxus glis), presente
27
29. anche nelle faggete, e il moscardino (Muscardinus avellanarius). E’ presente
anche il riccio (Erinaceus europeanus), che è insettivoro. Due specie di
mammiferi, introdotte per scopi venatori dalle associazioni di cacciatori, la
lepre (Lepus capensis) e il cinghiale (Sus scrofa), si sono ambientate molto
bene e diffuse su tutto il territorio. I mammiferi carnivori sono rappresentati
dalla volpe (Vulpes vulpes), dalla martora (Martes martes) e dalla faina (Martes
foina), che sono poco diffuse. Ancor meno diffuso, ma presente, per
“erratismo” (cioè, di passaggio) è il lupo (Canis lupus italicus). Alcuni anni fa
un esemplare femmina venne ucciso nel territorio di Avella. In passato
doveva essere molto più frequente (non a caso Irpinia proviene dal termine
latino hirpus, cioè lupo).
I carnivori più pericolosi sono rappresentati, comunque, da branchi di
cani randagi e rinselvatichiti. Non ce ne sono tantissimi, ma sono presenti,
come ci assicura chi maggiormente frequenta le campagne, i boschi e le
montagne vicine. Essi possono aggredire il viandante isolato e possono
trasmettere (come anche le volpi) pulci e rabbia silvestre.
Sulla presenza del gatto selvatico (Felis Silvestris), più grande del gatto
domestico, i pareri sono discordi. Alcuni giurano di averlo avvistato, altri
ritengono che siano presenti solo gatti domestici rinselvatichiti. Comunque,
esso è sicuramente presente nella catena del Partenio.
Vi sono, poi, centinaia -se non migliaia- di specie di insetti, facenti parte
dei vari e complessi ecosistemi forestali, montani ed agricoli.
Agli insetti autoctoni si è purtroppo aggiunta, la temibile zanzara tigre,
proveniente dal Nord Africa.
Ricordiamo, infine, i molluschi con alcune specie di lumache. Il nostro
ambiente, come dimostrò anni fa una sperimentazione della Comunità
Montana, è particolarmente adatto al loro allevamento (elicicoltura).
28
30. 1.6. Aspetti climatici
Il clima risente sia della relativa vicinanza dal mare (circa 25 Km) che della
presenza dei rilievi. Secondo la classificazione di Pavari e De Philippis, che
mette in relazione clima e flora, il nostro clima si trova a cavallo tra il
Lauretum (maggiore di 19°C) e il Fagetum (inferiore ai 10°C).
Sui rilievi la piovosità raggiunge punte di 2.200 mm di pioggia.
Secondo misurazioni effettuate ad Avella, con una stazione posta a 198
metri slm, la media degli ultimi trent’anni si aggira attorno ai 1.100 mm.
La più evidente caratteristica climatica dell’area baianese rimane, in
ogni caso, il forte, secco e gelido vento di tramontana che non di rado
giunge ad una velocità di venti o trenta nodi, con punte di cinquanta
nodi.
mm
t
G F M A M G L A S O N D
Climatogramma di Walter e Lieth che mette in relazione
la temperatura e la piovosità.
v
e
n
t
o
29
33. 2. La conservazione del bosco e del suolo
2.1. Le funzioni ecologiche ed economiche del bosco
Fustaia ceduo
Da sinistra a destra: 1) Struttura del bosco. 2) Stadi evolutivi di boschi coetani. 3) Rinnovazione di una fustaia:
(A: taglio di sementazione, tendente a favorire lo sviluppo delle chiome delle piante restanti e la germinazione dei semi
caduti. B e C: tagli secondari. E: taglio di sgombero).
32
34. La selvicoltura moderna ha il duplice obiettivo di preservare e valorizza-
re sia gli aspetti strettamente produttivi sia le innumerevoli funzioni am-
bientali degli ecosistemi forestali. Volendo tentare una classificazione som-
maria dei prodotti e dei servizi offerti dai complessi boscati, possiamo ef-
fettuare la seguente schematizzazione:
a) Funzione produttiva
Produzione di legname da costruzione, di energia (legna da ardere, pellettati,
carbonella), di cellulosa, di prodotti alimentari (selvaggina, frutti, funghi, erbe
aromatiche ed officinali, miele), di resine e di sostanze medicamentose.
b) Funzione protettiva
Riduzione del-
l’erosione e del
dilavamento su-
perficiale,
regolazione del
ciclo idrologico
dell’acqua,
mitigazione de-
gli eventi allu-
vionali e sic-
citosi, azione di
riduzione del ri-
schio frane.
c) Funzione ecologica
Il bosco svolge una vera e propria funzione di filtraggio dell’aria. Inoltre,
produce ossigeno (un albero adulto ne produce mediamente 4 chilogram-
mi nelle 24 ore) e fissa anidride carbonica19 . Esso, inoltre, rappresenta un
importante serbatoio di biodiversità costituendo l’habitat naturale per nu-
merosi organismi vegetali ed animali.
d) Funzione estetico-paesaggistica-culturale
La fruizione del bosco ai fini venatori, ricreativi, educativi, turistici,
etnografici, didattico-naturalistici, può garantire un flusso di reddito per le
popolazioni montane, favorendone la permanenza e contribuendo a ridur-
re i rischi di un degrado ambientale conseguente all’eventuale abbandono
della montagna.
Per i motivi innanzi esposti, la moderna pianificazione di un comples-
so forestale in grado di erogare beni e servizi di molteplice natura deve
tener nel giusto conto le sue diverse attitudini e funzioni, superando la tra-
dizionale visione meramente produttivistica, soprattutto quando la pianifi-
cazione riguardi i demani pubblici.
33
35. 2.2. Aspetti agronomici e pedologici
Il suolo è la parte più superficiale della crosta terrestre. E’ un sistema trifasico,
comprendente una fase solida, una fase liquida e una fase gassosa. E’ un fondamen-
tale componente dell’ambiente come l’aria e l’acqua ma poco percepito come tale e,
pertanto, non è specificatamente tutelato. In realtà è una risorsa esauribile e solo
molto lentamente rinnovabile (per formare 30 cm di suolo,a seconda del tipo di
roccia madre, del clima e dei fattori delle modalità d’azione dei fattori della pedogenesi,
occorrono da un centinaio a svariate migliaia di migliaia di anni).
I fattori che determinano la sua formazione (pedogenesi) sono riassunti nella co-
siddetta formula di Jenny:
Del suolo vanno valutate:
le qualità agronomiche,
dalle quali dipende la capacità di produzione di biomassa pr l’alimentazione degli
uomini e degli animali, la produzione di fibre, di legname e di altri materiali utili;
le qualità ecologiche,
dalle quali dipende la funzione di filtro biologico, azione tampone e di trasformazio-
ne di materiali diversi, taluni dei quali potenzialmente inquinanti;
le qualità idrologiche,
dalle quali dipende la regolazione della stabilità dei paesaggi e dei bacini imbriferi;
le qualità naturalistiche,
dalle quali dipende la biodiversità della micro e macroflora e della micro e macro
fauna;
le qualità ingegneristiche,
fonte di approvvigionamento di materie prime (minerali, sabbia, argilla, ghiaia, torba,
ecc.) e le caratteristiche di adeguatezza alle utilizzazioni per insediamenti umani,
insediamenti produttivi e alla realizzazione di attività ricreative.
34
36. Secondo la celeberrima schematizzazione di Tsukamoto e Kusakabe2, di
seguito riportata, le possibili interazioni albero-suolo dal punto di vista
dell’effetto stabilizzante delle radici possono essere riassunte nei seguenti
quattro casi:
Caso A: il terreno è poco profondo e le radici lo permeano
completamente esercitando un meccanismo di rinforzo, ma non si ancorano
alla roccia sottostante. L’interfaccia terreno-roccia resta dunque un piano
di minore resistenza lungo il quale può avvenire lo slittamento.
Caso B: le radici penetrano nella roccia e vi si ancorano, stabilizzando
così il complesso terreno-roccia.
Caso C: le radici non raggiungono la roccia ma si ancorano a strati di
terreno sottostanti ed a maggiore resistenza di quelli superficiali, esercitando
comunque un effetto stabilizzante.
Caso D: le radici non raggiungono la roccia perché il terreno è profondo
e non esercitano un’apprezzabile azione stabilizzante.
2
Tsukamoto, Y., e Kusakabe, O., 1984. Vegetative influences on debris slide occurrences on steep
slopes in Japan. Proc. Symp. “Effects of forest land use on erosion and slope stability”. Environment
and policy institute. Honolulu, Hawaii.
35
37. Appare evidente come il suolo rappresentato nella figura sopra,
ampiamente diffuso nei suoli perivesuviani, e caratterizzato dalla presenza
di uno o più strati pomicei (in bianco), non attraversabili dalle radici, non
sia stato preso in considerazione.
Questo quinto caso di interazione suolo-pianta (che ho definito Caso E) , costituente
l’oggetto del presente lavoro, sarebbe forse degno di ulteriori studi e approfondimenti
in considerazione del fatto che molti dei suoli interessati dalle frane campane sono
ascrivibili proprio a questa particolare tipologia pedologica.
Da alcune considerazioni sul comportamento agronomico e
geomeccanico di questi particolari tipi di suolo possono, poi, conseguire
una serie di implicazioni operative del tipo di quelle proposte nelle pagine
successive (suggerimenti selvicolturali ed adeguamento di alcune strutture
di ingegneria naturalistica).
Numerose osservazioni agronomiche e pedologiche effettuate in terreni
agrari e suoli forestali hanno posto in evidenza come la gran parte delle
specie vegetali incontri insormontabili difficoltà ad approfondirsi in presenza
di strati pomicei. Infatti, in corrispondenza di questi orizzonti, caratterizzati da
elevata macroporosità ma da microporosità e capacità di ritenzione idrica
pressoché nulle, gli apparati radicali subiscono una vera e propria “autopotatura”.
Questo fenomeno, noto non solo ai fisiologi vegetali ma anche a vivaisti
e fiorai (che lo sfruttano, tramite l’utilizzo di appositi vasi forati, per
controllare lo sviluppo radicale), si verifica perché le radici non trovano
nello strato pomiceo né acqua né sali disciolti ma solo aria.
36
38. Il risultato è che, in tali suoli, viene a formarsi superficialmente uno stretto
reticolo di radici che pur rendendo il terreno particolarmente stabile nei
confronti dei fenomeni di erosione superficiale non riesce ad ancorarlo al
suolo sottostante o alla roccia. Perciò, i versanti di questo tipo sottoposti
ad un carico eccessivo, dovuto ad esempio all’appesantimento causato da
un bosco invecchiato (fattore predisponente), qualora dovesse verificarsi
una diminuzione della resistenza degli strati inferiori, dovuta all’aumento
delle tensioni neutre conseguenti a piogge copiose (fattore scatenante),
possono slittare rovinosamente a valle.
Stratificazione tipica dell’area oggetto di studio: (da sotto) bedrock calcareo, paleosuolo, depo-
siti piroclastici (in chiaro), suolo agrario.
Lo strato di pomici non viene attraversato dalle radici delle piante che, pertanto, non possono
ancorarsi allo strato (di roccia o di terreno) inferiore, concausa questa dell’instabilità dei pendii.
37
40. L’effetto stabilizzante degli apparati radicali, di piante erbacee, arbustive ed
arboree ha costituito l’oggetto di numerosi studi3, che hanno messo in relazione
l’equilibrio statico, con il bilancio idrologico e con l’effetto delle radici:
Tali studi hanno messo in evidenza, per esempio, che l’apparato radicale del
castagno (l’albero tipico dei boschi dell’area oggetto di studio) in un terreno
profondo giunge mediamente fino a circa 5,8m, con una resistenza alla trazione
attorno ai 30 Megapascal, per diametri compresi fra 5 e 60 mm.
Sono poi stati effettuati dei test di resistenza a rottura del terreno
permeato di radici a confronto con terreno nudo.
Il rinforzo del terreno ad opera delle radici è stato calcolato in maniera
analoga ai calcoli di rinforzi delle terre armate, in base alla quantità di
radici presenti nel terreno ed alla loro resistenza a trazione.
In accordo con la letteratura dominante (Wu4, Waldron5 , Gray e Leiser6) è
stata considerata l’area delle sezioni delle radici per unità di sezione del terreno.
I modelli adottati si basano sull’equazione di Coulomb per la
resistenza al taglio del terreno: S = c + σNtanφ φ
Il contributo delle radici viene quantificato come incremento della coesione,
per cui si ha che: S = c + ΔS + σNtanφ φ Dove:
S = resistenza al taglio del terreno
c = coesione apparente del terreno
σΝ =sforzo normale al piano di rottura
φ = angolo di attrito
3- Analisi del sistema suolo-vegetazione del comune di Napoli in relazione alle dinamiche di
instabilità dei versanti e definizione di linee-guida di intervento - Stefano Mazzoleni, Mariana
Amato, Antonio Di Gennaro, Fabrizio Cembalo, Virginia Lanzotti. Gaetano di Pasquale, Paolo di
Martino, Donato Maria Giordani, Paolo Abalsamo, Francesco Cona, Maria Bellelli, Sandro Strumia,
Antonello Migliozzi, Livia Vitelli - C.U.G.Ri- Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e Patologia
Vegetale- Università di Napoli Federico-II, 2001.
4- Wu, T.H., 1976. Investigation of Landslides on Prince of Wales Island. Geotechnical Engineering
Report 5, Civil Engineering Depertment, Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A.
5- Waldron, L.J., 1977. Tshear resistance of root-permeated homogeneous and stratified soil. Sci.
Soc. Am. J. 41.
6- Gray, D. H., and Leiser, A.J., Biotechnical slope protection and erosion control. Van Nostrand
Reinhold, New York.
39
41. 2.4. Richiami sull’instabilità delle coltri piroclastiche
I fenomeni che interessano le coperture piroclastiche prendono origine nelle
zone acclivi dei versanti su superfici inclinate di 35°-50°, lungo versanti aperti o
nelle zone di testata dei fossi7 .
Il coefficiente di sicurezza F,
definito come rapporto fra la
resistenza media al taglio
disponibile e la resistenza media
mobilitata, è dato dalla relazione:
Il movimento iniziale della massa è generalmente di tipo traslativo (Soil o
debris slides) ma, favoriti anche dalle pendenze dei versanti, i fenomeni si evolvono
in flussi, caratterizzati da notevoli velocità e capacità erosiva, lungo i versanti ed
i canali di scorrimento.
E’ da evidenziare che non mancano casi di inneschi per crolli di masse calcaree
in specifiche condizioni morfologiche8.
Facendo riferimento alla classificazione proposta da Cruden e Varnes9, con il
nome di debris flow (lett. flusso di detriti) si intende un tipo di frana conosciuta
come “colata rapida”, in cui il materiale coinvolto è costituito fino all’80 per
cento da granelli aventi diametro inferiore a 2 mm con un tipo di movimento
del flusso non assimilabile a quello di un corpo rigido (rotazione e/o traslazione)
ma simile a quello di un fluido, con velocità alquanto diverse tra punti differenti
della massa in movimento.
Inoltre, il materiale mobilitato nella parte alta del versante tende ad
incrementare il proprio volume a causa dell’erosione e dell’abrasione dei materiali
presenti sul fondo e ai fianchi dei canali: si viene quindi a generare un fenomeno
di autoalimentazione simile a quello che si verifica nel caso delle valanghe.
7
Guadagno F.M., 1991. Debris flow in the Campanian vulcanoclastic soil (Southern Italy). Proc.
International Conference on “Slope stability engineering developements and applications”, Inghilterra.
De Rosa Pellegrino. 2005. L’assestamento forestale e l’ingegneria naturalistica nei suoli con
coperture piroclastiche. Atti del Master in Gestione e Difesa del Territorio. Portici (Na)
8
Civita, citato da Guadagno [29].
9
Cruden D.M. & Varnes D.J., 1996. Landslide types and Processes. In “Landslides: Investigation
and Mitigation”. Ed. Turner A.R. e Shuster R.L. Sp. Rep. 247, Trasportation Research Board, National
Research Council, National Academy Press., Washington D.C.
40
42. Stadi della trasformazione di uno scorrimento (debris
slide) in colata detritica (debris flow) [da Howard et
alii, 1988]. Legenda: a) Scorrimento. b) Perdita di
resistenza. c) Disgregazione dei blocchi e loro
fluidificazione. d) Accelerazione della colata con
incorporazione di materiale trovato lungo il cammi-
no. e) deposito.
Il debris flow è caratterizzato da quattro momenti ben definiti:
a) fase di innesco
b) fase di dilatazione,
imbibizione di acqua e rammolli-
mento
c) fase di veloce scorrimento al-
l’interno di un canale, in cui le ca-
ratteristiche
cinematiche del materiale prove-
niente da distacchi sommatali
evolvono in quelle di colata
d) fase di deposizione in lobi o
lame di detriti in una zona dove il
materiale può essere a sua volta sog-
getto ad erosione, trasporto, etc.
Nel determinismo di una frana si distinguono dei fattori predisponenti e dei
fattori innescanti.
Per quanto riguarda i primi si osserva che un ruolo di primaria importanza è
giocato dalle piogge e dalla loro modalità di infiltrazione di ritenzione nel terre-
no, anche se, come già evidenziato da Terzaghi nel 1950, è improbabile che essa
debba considerarsi quale unica causa.
41
43. Altri autori10, infatti, mettono in evidenza sia l’effetto dell’acqua infiltrata
sia di quella a contatto col substrato carbonatico poco permeabile.
Per quanto concerne i fattori predisponenti vengono presi in
considerazione innanzitutto gli aspetti giaciturali (pendenze) e l’assetto
stratigrafico (la coltre piroclastica si presenta generalmente clinostratificata,
con orizzonti di varia natura poggianti su un bedrock di natura carbonatica).
Inoltre, si è potuto osservare come gran parte delle frane verificatesi sulle
catene montuose di Avella-Cervinara, Quindici, Sarno e Siano, si siano prodotte
in prossimità di tagli stradali, o per “scalzamento al piede” o per infiltrazioni di
acqua dal piano del sentiero boschivo o in corrispondenza degli “strascini” di
esbosco del ceduo.
Liquefazione e superficie di scivolamento (Sassa7) Modello taglio-consolidazione (Sassa)
Inviluppo a rottura o di Stato Stazionario per
Test di compressione isotropica (NCL) e test terreni cineritici di alcuni versanti della
triassale di un suolo drenato e non drenato Campania sottoposti a prove di tipo drenato
(Picarelli e Olivares3) (Picarelli e Olivares3)
10
Cascini L., Guida D., Romanzi G., Nocera N. & Sorbino G., 1999. A preliminary model
for the landslides of May 1998 in Campania region. Atti del II Convegno internatale “The
Geotechnics of Hard Soils – Soft Rocks”, Napoli. Ottobre 1998.
De Risio R., Calcaterra D., Santo A., 2001. Le frane percolata rapida in terreni
piroclastici: esperienze sugli aspetti geologici in vari contesti campani.
Celico P. Guadagno F.M., 1998. L’instabilità delle coltri piroclastiche delle dorsali
carbonatiche in Campania: attuali conoscenze. Primo rapporto informativo dell’Unità
Operativa 4/21N del C.N.R./G.N.D.C.I.
42
44. Lo sradicamento è un altro degli indesiderabili effetti del ridotto approfondimento degli apparati radicali
Notevole attenzione meritano alcuni fenomeni di natura idrodinamica. E’
stato infatti osservato che le frane prendono origine prevalentemente laddove
si creano particolari condizioni idrodinamiche consistenti in importanti flussi
idrici sub-paralleli ai versanti e nell’instaurarsi di falde sospese effimere, sia nei
calcari sia nella coltre piroclastica, e nella modifica delle pressioni neutre.
Inoltre, deve essere tenuto presente che nell’orizzonte di molti suoli piroclastici
sono presenti le argille allofaniche, dal singolare comportamento in caso di
saturazione11.
Le prove di tipo drenato sui terreni saturi mostrano che il comportamento
dei terreni è sempre duttile e contraente e la sostanziale assenza di coesione
conferma il fatto che i depositi sono del tutto privi di cementazione.
In prove non drenate su provini saturati questi stessi terreni esibiscono un
comportamento fragile. In effetti, nonostante l’elevato angolo di attrito, al crescere
delle deformazioni indotte si verifica una forte riduzione di resistenza dovuta
alle sovrappressioni neutre indotte.
Normalmente questi fenomeni sono in relazione non solo con la quantità di
pioggia caduta nelle ultime ore, ma anche con quella infiltratasi nel corso
dell’intero anno idrologico.
11
La degradazione di minerali facilmente alterabili o di vetro vulcanico produce elevate concentrazioni
di Ca, Mg, Al, Fe e silice in soluzione. Le soluzioni sono fortemente sovrassature e siccome non vi è
tempo sufficiente per un’appropriata riorganizzazione in una struttura cristallina, Al, Fe e Si precipitano
come componenti amorfe, quali allofane, imogolite, opale e ferridrite. La maggior parte dei cationi
basici (CA, Mg,K, Na) e parte del H4SiO4 vengono rimossi dal drenaggio delle acque. Quindi, condizioni
importanti per la loro formazione sono: presenza di minerali che si alterano velocemente e/o vetro
vulcanico, condizioni di umidità (l’acqua favorisce l’alterazione), buon drenaggio che allontani i cationi.
Condizioni climatiche ben definite e presenza di vegetazione che garantisca una certa umidità. La loro
presenza può essere diagnosticata dall’analisi mineralogica: FTIR e raggi X, o dall’ analisi chimica,
con le estrazioni selettive con ammonio ossalato. In campagna un indizio della loro presenza ci è dato
dalla osservazione di un comportamento tixotropico del campione esaminato, ovvero della capacità di
liquefarsi se sottoposto a pressioni o vibrazioni. Questa proprietà, tipica di alcuni Andosuoli, è dovuta
all’espulsione di acqua dai micropori presenti nelle microstrutture ove vi siano minerali argillosi a
basso ordine cristallino (allofane, protohalloysite).
43
45. In seguito a tali considerazioni sono stati messi a punto alcuni modelli
previsionali basati sulla definizione di una “soglia pluviometrica”, al superamento
della quale diventa altamente probabile il verificarsi di fenomeni franosi.
Attualmente si sta mettendo a punto il modello FLaIR (Forecasting of Landslides
Induced by Rainfalls)12, la cui formulazione teorica si basa sulla definizione di una
“funzione di mobilizzazione” dipendente in ogni istante dalla quantità di acqua
infiltratasi nel sottosuolo prima dell’istante stesso ed avente la funzione di
indicatore sintetico dello stato idrologico e del rischio di mobilizzazione che le
piogge cadute nel passato inducono nel versante in studio.
EFFETTI DEGLI INCENDI SULLA PERMEABILITA’ DEL SUOLO
Versace P., 2001. La riduzione del rischio idrogeologico nei comuni colpiti dagli eventi del maggio
12
98 in Campania. Forum per il Rischio Idrogeologico in Campania. Napoli 22 giugno 2002.
44
48. 3. Ingegneria naturalistica e “Metodica De Rosa”
Come naturale conseguenza di quanto esposto nelle pagine precedenti
deriva la considerazione, confermata dalle osservazioni in pieno campo,
che molte opere di I.N. (ingegneria naturalistica) per risultare realmente
efficaci sui suoli con stratificazioni piroclastiche, debbano essere in qualche
modo “adattate” ad essi ed al tipo di vegetazione che vi alligna.
Per comprendere meglio il settore, occorre premettere che esistono tanti
modi di concepire l’I.N quanti sono i tipi di professionalità che, a vario
titolo, se ne occupano. Si va dal produttore di gabbioni e di materiali sintetici,
per il quale tutto è I.N. purché comprenda, oltre agli articoli da lui
commercializzati, anche il solo episperma di un singolo seme, al naturalista
purista, per il quale l’I.N. deve prevedere solo essenze vegetali e vegetanti.
Tra questi due estremi esiste un variegato mondo di operatori che, a vario
titolo, si interessano del settore. Un approfondimento di tali argomenti
condurrebbe molto lontano, ben oltre i limiti e gli scopi del presente lavoro.
Tuttavia, è possibile ed utile sottolineare due principi che, di solito, sono
universalmente condivisi:
a) che per poter essere definito “opera di ingegneria naturalistica” un
intervento deve prevedere anche la presenza di piante vegetanti;
b) che l’intervento di consolidamento, effettuato generalmente con
paletti di castagno disposti secondo vari criteri, ha funzione solo temporanea,
poiché dopo la loro naturale degradazione (o marcimento) il compito di
garantire la stabilità meccanica dell’opera verrà svolto interamente dagli
apparati radicali e dal fusto delle specie vegetali impiantate ed accresciutesi
nel frattempo.
47
51. Palificata doppia con grata arborata
“De Rosa”
1
2
1= strato inerte (costituito da depositi piroclastici o da altri materiali
biologicamente o idrologicamente inerti) non attraversabile dalle radici
2= buca riempita di terreno fertile che costituisce una via preferenziale per gli
apparati radicali
50
52. 4. Lo studio integrato del territorio.
Nella pratica professionale, dovendo progettare un intervento sul territo-
rio occorre tener ben presenti tre ordini di questioni.
In primo luogo, bisogna tener presente tutti i tipi di vincoli che gravano
sul territorio: se vi siano aree protette (SIC o Siti di Interesse Comunitario,
ZPS o Zone di Protezione Speciali, Parchi, etc.) e modulare gli interventi
da progettare in conformità con i regolamenti o con le linee guide da essi
previsti. La stessa cosa dicasi per quanto concerne le normative Regionali,
le leggi nazionali e le direttive comunitarie, per le Autorità di Bacino (prin-
cipalmente, per il rischio frane e per gli interventi sui corsi d’acqua) e per la
Soprintendenza (vincolo paesaggistico).
In secondo luogo, sarebbe preferibile usare tutti gli strumenti più moderni
(ortofoto, stereofoto, GIS, modelli previsionali, banche dati, cartografia tematica,
etc.) per valutare gli effetti dell’intervento sull’ambiente a scala di bacino.
In terzo luogo, occorre difendere la propria deontologia professionale
dall’invadenza di una classe politica, al contempo sempre più invadente,
parassita e inetta, che tenta di manipolare i pareri e gli studi dei tecnici non
per valutare concretamente quale siano gli interventi tecnicamente più cor-
retti tecnicamente e realmente utili al territorio e alla comunità ma per aval-
lare le sue “scelte politiche” che, troppo spesso, mirano solo al manteni-
mento del clientelismo e alle logiche di partito, quando, addirittura, non si
giunga al vero e proprio peculato e al falso ideologico.
I professionisti, generalmente i più validi, che non si piegano a queste
logiche hanno spesso grosse difficoltà a completare le progettazioni o a
riscuoterle o a farne delle altre.
Ciò premesso, e restringendo le considerazioni al solo aspetto tecnico, il
progettista che voglia attuare un intervento a basso impatto ambientale
che, cioè, consenta di risparmiare il prezioso suolo fertile, di non inquinare
la risorsa idrica, di salvaguardare gli ecosistemi e gli habitat deve eseguire
preventivamente degli studi di carattere climatico, ambientale, pedologico
e vegetazionale, integrandoli - preferibilmente - in un sistema di cartografia
tematica georeferenziata associata ad una matrice di metadati (per esempio
in un S.I.T. o Sistema Integrato Territoriale o GIS).
Qui di seguito verranno riportate solo poche immagini relative a tale
metodica di studio del territorio, mentre nel filmato presente nel cd allega-
to, verranno illustrate (sommariamente e solo ai fini didattici, poiché non
sarebbe corretto rendere pubblico tutto il lavoro di progettazione effettiva-
mente eseguito) le varie fasi di una caso reale di progettazione eseguito
secondo questo “criterio integrato”.
51
54. Alcune delle carte tematiche utili a un corretto inquadramento ambientale
(altre sono quelle: geopedologiche, botaniche, delle precipitazioni,
vegetazionali, delle pendenze, dell’acidità dei suoli, reticolo idrografico ecc...),
talune indicate nel filmato allegato.
53
58. ...all’interno della quale prevedere lavori a basso impatto ambientale, distri-
buiti secondo criteri che tengano conto della flora e della fauna presenti e
del periodo di riproduzione delle specie protette.
Se, per esempio, nel sito sono presenti le seguenti specie protette di
uccelli che nidificano nei mesi indicati...
.
...e si vogliono realizzare i seguenti interventi:
è evidente che, nel definire il cronogramma dei lavori, bisognerà tenerne conto
e indicare (anche a parte) i periodi durante i quali poter svolgere i lavori.
57
59. 5. Esempio di valutazione d’impatto ambientale
Si riporta, qui di seguito, un esempio (didattico e indicativo) di relazione
di Valutazione di Impatto Ambientale.
Per correttezza, sono stati omessi i dati della progettazione (che pure
bisogna riportare, nella pratica).
58
73. Bibliografia
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Report 5, Civil Engineering Depertment, Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A.
73
76. Note sull’autore
Pellegrino De Rosa è dottore agronomo,
giornalista, saggista e scrittore.
È laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie,
e ha un master in Gestione e difesa del territorio.
Insegna materie scientifiche e tecniche
presso le scuole medie superiori ed è istruttore
di scacchi.
Si interessa di progettazioni e di studi in
ambito ambientale, botanico, zootecnico e di
ingegneria naturalistica.
Per contatti. Email: plasticismo@libero.it
Facebook: Pellegrino De Rosa
Altre pubblicazioni dell’autore
Piante alimurgiche
(del Baianese e del Lauretano)
Studio botanico ed etnografico su 74
specie di erbe selvatiche commestibili e
sulla loro utilizzazione gastronomica.
Stampato a cura della Regione
Campania - Assessorato all’Agricoltura
e alle Attività Produttive e con la
prestiogiosa prefazione del prof. Antonio
Saracino di Scienze Forestali e
Ambientali di Portici (Na).
La gestione dell’ambiente e del
territorio e la “Metodica De Rosa”
Studio ambientale sulle areee interne
a rischio di dissesto idrogeologico.
Presentazione di una innovativa
metodica di Ingegneria Naturalistica da
adottarsi nei suoli piroclastici e in quelli
presentanti orizzonti pedologici inerti per
cause di natura fisica, chimica o biologica.
54
77. ROMANZO
Golfo di Napoli.
Aria fresca, mare un po’ mosso, atmosfera sensuale.
Subito un personaggio fosco e affascinante, Raf, assetato di vendetta.
Subito una splendida giornalista, dai capelli color del grano maturo, Eva Nabokova.
E subito una serie di misteriosi interrogativi: chi o che cosa ha folgorato il cane Avatar?
chi ha sparato al delfino? chi ha fatto saltare in aria il campo nomadi di Ponticelli? e chi è
la misteriosa creatura che Raf ha cercato di liberare portando con sé il chip della “gemma
di Darwin”?
Il romanzo di esordio di Pellegrino De Rosa non perde tempo: t’inchioda alla pagina fin
dalle prime righe e ti tiene sulla corda fino all’ultimo e sorprendente capitolo, con il ritmo
incalzante e avvincente dei migliori action-movie.
E subito la storia principale si intreccia con tante altre storie: quella di un simpatico
fotoreporter, donnaiolo incallito; quella di una sexy spia italo-americana; quella di una
misteriosa e vecchia zingara napoletana; quella di un gruppo di “femminielli” e di un
nostalgico boss della camorra, e di tanti e tanti altri personaggi, più o meno secondari, ma
tutti descritti con cura e pathos.
E, sullo sfondo, Napoli, i suoi vicoli, i suoi odori, le sue leggende e i suoi coloratissimi
personaggi.
Soprattutto, viene presentata una inedita ipotesi evoluzionistica (il Plasticismo Evolutivo)
che mette in relazione l’evoluzionismo con le scienze quantistiche.
Ma la complessità dell’argomento non appesantisce affatto la narrazione che, anzi,
scorre via fluida, leggera e allegra, come l’acqua trasparente di un ruscello di alta montagna.
L’autore, infatti, è riuscito a combinare - con stile gradevole e con sovrana leggerezza -
affreschi paesaggistici, battute napoletane, leggende popolari ed erotismo, con azione,
mistero, scienza e filosofia.
Finalmente un techno-thriller italiano che, per contenuti, suspense e humor, è in grado
di competere degnamente con i colossi stranieri dello stesso genere e con una marcia in
più: la scanzonata e fatalistica ironia napoletana.
“Metamorfer. La gemma di Darwin” di Pellegrino De Rosa, Pag. 382. Edizioni Simple
(ISBN:978-88-6259-399-1), acquistabile su http://www.ibs.it e sugli altri bookstore on-line.
55
78. Pellegrino De Rosa
Plasticismo evolutivo
Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sulla
biologia quantistica e sull’entanglement olografico
EDIZIONI
SIMPLE
79. Evoluzionismo, Creazionismo
o Plasticismo evolutivo?
Il Plasticismo evolutivo: un’affascinante
e nuova ipotesi evoluzionistica, presentata
da uno studioso e scrittore italiano, che -
basandosi sui principi delle scienze
quantistiche (universo olografico di
Bohm) e su una serie di osservazioni
naturalistiche (mimetismo) - vorrebbe
conciliare evoluzionismo e creazionismo,
supponendo una possibile funzione
“plastica” della psiche dell’individuo e
richiamando il monismo panteistico
bruniano.
Farfalla “foglia secca” (Kallima inachus) Insetto-foglia (Phyllium spp.)
ISBN: 9788862594165
free download e-book