2014 Italian Labour Measure: New Provisions on Fixed Term Contracts
Twitter in Francia: la privacy fa un passo indietro
1. Twitter
in
Francia:
la
privacy
fa
un
passo
indietro
31
gennaio
2013
By
Oreste
Pollicino
Giovedì
scorso,
il
24
gennaio,
il
Tribunal
de
Grande
instance
di
Parigi
ha
emesso
una
decisione
che,
se
non
storica,
è
sicuramente
assai
significativa
per
il
diritto
globale
di
internet.
Per
la
prima
volta
infatti
una
Corte
nazionale
ha
ordinato
a
Twitter
di
comunicare
all’autorità
giudiziaria
tutti
i
dati
personali
in
grado
di
identificare
gli
autori
di
tweet
di
natura
razzista
ed
antisemita
contraddistinti
dagli
hastag
#unjuifmort
e
#unbonjuif,
di
per
se’
gia’
abbastanza
esplicativi.
Il
ricorso
era
stato
presentato
a
novembre
del
2012,
tramite
procedura
d’urgenza,
dall’Union
des
étudiants
juifs
de
France
(UEJF),
associazione
studentesca
ebraica
assai
influente
in
Francia.
La
piattaforma
di
microblogging
aveva
rimosso,
su
richiesta
dell’UEJF,
i
messaggi
più
offensivi,
ma
si
era
rifiutata
di
fornire
i
dati
identificativi
degli
autori
di
tali
messaggi.
Per
questa
ragione
l’associazione
aveva
adito
in
giudizio
la
piattaforma
chiedendo
espressamente
al
giudice
di
Parigi
non
soltanto
che
fossero
resi
accessibili
i
dati
personali
degli
autori
dei
messaggi,
ma
anche
che
fosse
disponibile
un
meccanismo
sul
sito
francese
di
Twitter
in
grado
di
consentire
a
ciascun
utente
che
avesse
riscontrato
sulla
stessa
piattaforma
un
qualsiasi
contenuto
ricollegabile
al
reato
di
incitazione
all’odio
razziale,
di
allertare
le
autorità
competenti.
Ed
il
giudice
francese,
come
si
accennava
in
precedenza,
ha
dato
ragione
su
tutta
la
linea
ai
ricorrenti,
non
soltanto
ordinando
a
Twitter
di
comunicare
i
dati
in
grado
di
identificare
gli
autori
dei
messaggi
incriminati,
ma
anche
di
mettere
a
punto
nel
più
breve
tempo
possibile
il
meccanismo
richiesto
attraverso
un
dispositivo
che,
nelle
parole
del
giudice,
deve
essere
“facilmente
accessibile
e
visibile”.
In
caso
di
mancato
adempimento
la
sanzione
prevista
e’
di
1000
euro
per
ogni
giorno
di
ritardo
nel
conformarsi
a
quanto
previsto
dalla
decisione.
Sono
almeno
tre
le
problematiche
che
emergono
dalla
lettura
degli
argomenti
delle
parti
e
del
dispositivo
della
sentenza
(le
motivazioni
non
sono
ancora
disponibili).
La
prima
ha
a
che
fare
con
un
evergreen
del
diritto
del
web:
l’identificazione
della
giurisdizione
competente
a
decidere
del
caso.
Secondo
gli
avvocati
di
Twitter,
il
trattamento
dei
dati
rilevanti
era
interamente
avvenuto
a
San
Francisco,
laddove
si
trovano
i
server
della
piattaforma
e
quindi,
di
conseguenza,
competente
sarebbe
dovuto
essere
un
giudice
americano,
anche
perché,
si
aggiungeva,
la
filiale
francese
della
piattaforma
di
microblogging
stabilita
in
Francia
avrebbe
esclusivamente
una
2. funzione
di
antenna
commerciale
della
casa
madre,
senza
alcuna
autonomia
decisionale.
La
corte
di
Parigi
deve
avere
avuto
un’altra
idea
a
proposito,
e
non
stupisce.
E’
ormai
abbastanza
diffusa
la
tendenza
da
parte
dei
giudici
del
luogo
in
cui
si
è
verificato
l’evento
lesivo
a
considerarsi
competenti
a
giudicare
della
controversia,
a
prescindere
dalla
dove
si
trovi
la
server
farm,
spesso
argomentando
come
strumento
rilevante
ai
fini
del
trattamento
dei
dati,
alla
luce
della
normativa
europea
in
materia
di
tutela
dei
dati
personali
possa
essere
anche
il
semplice
personal
computer
dell’utente,
oppure
facendo
leva
sull’autonomia
decisionale
della
filiale
nazionale
dell’operatore
del
web
che
ha
la
sua
sede
principale
di
stabilimento
al
di
fuori
dell’Unione
europea.
La
seconda
problematica
che
caratterizza
la
controversia
è
questa
volta
di
natura
contenutistica,
e
non
procedurale
come
la
precedente,
e
di
spessore
costituzionale:
il
contrasto
tra
la
visione
statunitense
del
I
emendamento,
in
cui
la
liberta’
di
espressione
assume
un
rango
quasi
sacrale
e
la
sua
portata
incontra
pochissimi
limiti,
tra
cui
non
vi
e’
l’hate
speech,
e
la
visione
che
della
liberta’
di
espressione
ha
il
costituzionalismo
europeo,
in
cui
il
suo
esercizio
incontra
limiti
piuttosto
significativi
e
l’incitamento
all’odio
razziale
e,
molto
spesso,
come
accade
nella
esperienza
costituzionale
francese,
uno
di
questi.
Quale
di
queste
due
visioni
deve
essere
considerata
prevalente?
Ovviamente
la
risposta
cambia
a
secondo
del
soggetto
a
cui
viene
posta.
La
multinazionale
del
web
con
server
negli
USA
ha
tutto
l’interesse
che
il
il
giudice
che
decide
una
controversia
come
quella
che
si
commenta
sposi
la
concezione
proria
del
I
emendamento
della
Costituzione
USA,
chi
invece
ritiene
che
la
propria
dignita’
o
reputazione
sia
stata
lesa
da
un
post
o
da
un
tweet,
evidentemente
si
richiamera’
alla
tradizione
costituzionale
europea
in
materia
di
liberta’
di
espressione.
La
terza
problematica
ha
che
fare
con
la
tutela
della
privacy
ed
il
necessario
contemperamento
di
quest’ultima
con
altri
diritti
con
essa
confliggenti
su
internet.
A
differenza
di
casi
di
qualche
anno
fa
quali
Peppermint
e
Promusicae,
decisi
rispettivamente
dal
Tribunale
di
Roma
e
dalla
Corte
di
giustizia
dell’Unione
europea,
che
avevano
visto
il
prevalere
del
diritto
alla
tutela
dei
dati
personali
rispetto
al
diritto
in
quel
caso
con
esso
confliggente,
ed
avevano
quindi
ritenuto
illegittimo
un
obbligo
in
capo
ad
un
hosting
service
provider
di
fornire
i
dati
identificativi
di
utenti
che
avevano
commesso
un
illecito,
in
questo
caso
invece
la
tutela
dei
dati
personali
si
trova
a
soccombere
nell’operazione
di
bilanciamento
che
il
giudice
fa.
Evidentemente,
la
ragione
del
diverso
esito
di
detto
bilanciamento
va
ricercato
nella
natura
del
diritto
in
contrasto
con
la
privacy.
Nei
casi
prima
richiamati
si
trattava
di
assicurare
la
tutela
del
copyright,
diritto
non
inviolabile
a
contenuto
pecuniario
che
si
ritiene
non
possa
prevalere
di
fronte
alle
esigenze
dettate
dalla
protezione
dei
dati.
Nel
caso
francese
appena
commentanto,
invece,
il
diritto
a
detta
protezione
si
scontra
con
il
piu’
inviolabile
tra
i
diritti,
la
tutela
della
dignita’
dell’essere
umano
che
viene
evidentemente
lesa
in
caso
di
messaggi
che
incitando
all’odio
razziale
siano
discriminatori
nei
confronti
di
una
determinata
categoria
di
persone.
In
questo
caso
il
disvalore
procurato
dalla
commissione
del
fatto
illecito
e’
cosi
significativo
e,
specialmente,
di
portata
ultra-‐individuale,
da
non
poter
che
avere
la
meglio
sulla
tutela
della
privacy
dell’autore
dell’illecito.
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Diritto24