1. Il ricorso in Commissione Tributaria: novità
La struttura del processo tributario degli Enti Locali, non differisce da quella del processo tributario avente
ad oggetto le entrate erariali: anche questo ha inizio con la proposizione di un ricorso diretto alla
Commissione tributaria provinciale nel termine perentorio di 60 giorni dalla data in cui l’atto oggetto di
impugnazione è stato notificato.
I ricorsi debbono considerarsi validi ed ammissibili anche se privi della marca da bollo; costituisce infatti
principio consolidato, che giustifica il rigetto del ricorso dell’amministrazione in Camera di Consiglio ex art.
375 del codice di procedura civile, il fatto che il giudice può assumere a fondamento della sua decisione
anche atti e documenti privi della regolamentare marca da bollo. Come è noto, il processo tributario, resta
soggetto all’imposta di bollo non trovando applicazione in esso il “contributo unificato di iscrizione al ruolo”
(art. 265 del d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115) (Cass., 23 marzo 2006, n. 11587).
A tal proposito però, vi è stata un'innovazione normativa perchè l’articolo 37 del Decreto Legge numero 98
del 6 luglio 2011 (come convertito dalla Legge numero 111 del 15 luglio 2011) ha introdotto, con decorrenza
dal 7 luglio 2011, il contributo unificato anche nell’ambito del processo tributario per tutti gli atti
processuali (ricorso, appello principale e incidentale, istanza di revocazione, ricorso per ottemperanza, atti
di intervento); lo stesso è dovuto, nella misura stabilita dall’articolo 13 del Testo Unico delle Spese di
Giustizia (TUSG), in base al valore della lite, tenendo come riferimento l’importo della sola imposta
contestata (tranne nel caso in cui l'oggetto del processo riguardi le sole sanzioni perchè in questo caso è a
queste che bisogna fare riferimento).
L’importo varia da un minimo di 30 Euro per le controversie di valore sino a Euro 2.582,28 ad un massimo di
1.500 Euro per le controversie di valore superiore a 200.000 Euro e differisce dal normale contributo
unificato anche nella forma, essendoci l'apposita dizione “contributo unificato tributario”.
A tal proposito, merita riportare una recentissima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di
Bergamo - Sentenza 20 marzo 2013, n. 81 secondo cui l'invito per mancato pagamento del contributo
unificato “contiene le modalità di calcolo dell'imposta e la calendarizzazione dei pagamenti e, quindi,
costituisce una vera e propria liquidazione dell'imposta dovuta che incide sulla posizione patrimoniale del
contribuente. L'invito contiene quindi adeguati fattori da cui è ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte
alla comunicazione di una pretesa impositiva, e non ad una richiesta di chiarimenti. Esso è, pertanto, atto
equipollente a quelli elencati nell'art. 19 D.L.vo n. 546/92 e, come tale, è suscettibile di autonoma
impugnazione”.
Anche nel processo tributario degli enti locali può essere richiesta – con apposita istanza - la trattazione
della controversia in pubblica udienza avendo a tal proposito chiarito la Corte Costituzionale - con sentenza
23 aprile 1998, n. 141 - che l’espressione “apposita istanza” contenuta nell’art. 33, comma 2 del d.lgs.
546/1972 non rende necessario che la domanda di trattazione in pubblica udienza debba essere contenuta
in un atto separato e distinto diverso da quello introduttivo del giudizio. Il ricorso, prima di essere
depositato in originale nella segreteria della Commissione tributaria adita, deve essere notificato all’altra
parte a norma degli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile. Le notificazioni possono anche
effettuarsi o depositando direttamente il ricorso all’ufficio che ha emesso l’atto impugnato che deve
rilasciare sulla copia attestazione del ricevimento, o a mezzo del servizio postale mediante spedizione
dell’atto in plico senza busta con raccomandata con avviso di ricevimento.
Le comunicazioni e le notificazioni poi possono essere effettuate anche a mezzo PEC, che va infatti indicata
nell'atto introduttivo del giudizio, poiché il decreto 26 aprile 2012, n. 7425 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 102 del 3 maggio, emanato dal Direttore del Dipartimento delle Finanze del Ministero
dell'Economia lo prevede espressamente (art. 39 del dl 98/2011, convertito in l. n. 111/2011); la mancata
indicazione della stessa non dà luogo ad inammissibilità del ricorso, come in un primo tempo paventato, ma
solamente ad una sanzione pecuniaria pari alla metà del contributo unificato relativo alla causa in
2. questione.
Nel caso poi in cui il ricorso sia spedito a mezzo posta, nelle modalità sopra richiamate, lo stesso si intende
proposto al momento della spedizione; in tal senso, nessun dubbio anche alla luce delle sentenze della
Corte Costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002 e n. 520 del 6 novembre 2002, (Cass., 3 luglio 2003, n.
10481).
Relativamente alla notificazione del ricorso introduttivo effettuata a mezzo posta, la spedizione dell’atto
eseguita mediante consegna all’ufficio postale di una busta chiusa, come previsto dall’art. 20, comma 2 del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 anziché di un “Plico raccomandato senza busta”, costituisce una mera
irregolarità, salvo che il contenuto della busta non sia contestato dal destinatario (Cass., 2 settembre 2004,
n. 17702); nessuna inesistenza della notificazione quindi ma una mera irregolarità sanabile con la
costituzione in giudizio della controparte (Cass., 11 gennaio 2005, n. 333).
La Suprema Corte ha ritenuto però, con la recente sentenza del 16 novembre 2006, n. 27607, che se il
ricorso è spedito in busta chiusa il giudice deve valutare la tempestività dello stesso con riferimento alla
data di arrivo e non a quella di partenza.
Relativamente agli elementi essenziali che, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 546/1992 il ricorso deve contenere
a pena di inammissibilità, vi sono:
la Commissione tributaria a cui è diretto;
il nome del ricorrente o del suo legale rappresentante;
la residenza, la sede legale, il domicilio eventualmente eletto nello
Stato;
il codice fiscale del contribuente e del difensore, oltre alla già citata PEC.
Nell’atto introduttivo debbono essere altresì specificati, sempre a pena di inammissibilità:
l’ufficio dell’Ente locale o del concessionario nei cui confronti è proposto;
gli estremi dell’atto impugnato;
l’oggetto della domanda;
i motivi;
le conclusioni.
La mancanza della sottoscrizione del ricorso della parte o del difensore rende il ricorso inammissibile; la
sanzione dell’inammissibilità non è prevista solamente quando manca il codice fiscale del ricorrente.
Nel caso in cui la parte introduca il giudizio con atto sottoscritto personalmente - quelle cause per il cui
valore è necessario essere rappresentati da un difensore abilitato (quelle di valore superiore a 2.582,28
euro - il giudice concede alla parte termine per nominare un difensore per il corretto proseguimento del
giudizio.
Determina l’inammissibilità del ricorso non soltanto la mancanza dei motivi ma, come previsto dall’art. 18
del citato d.lgs. 546/1992, anche la loro assoluta incertezza.
Ne è infine ammessa l’integrazione quando la controparte deposita documenti non conosciuti o il giudice
ne ordinati la produzione in giudizio; in questo caso, l’integrazione è ammessa entro il termine perentorio di
60 giorni dalla data in cui l’interessato ha avuto notizia del deposito.
L’art. 24 del d.lgs. 546/1992 prevede che, se sia già stata fissata la trattazione della controversia,
l’interessato deve dichiarare che intende proporre motivi aggiunti non oltre la data di trattazione della
controversia in camera di consiglio o in pubblica udienza a pena di inammissibilità ed in detto caso l’udienza
di trattazione deve essere rinviata. Il ricorso per motivi aggiunti deve essere notificato alle altre parti nelle
medesime modalità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio.