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REPORTAGE TAR SANDS - LA STAMPA
1. U
na volta Fort McMurray
era un angolo di quello
che gli antichi capi india-
ni chiamavano Athaba-
sca, «dove cresce una
pianta dopo l’altra»: un’immensa di-
stesa di alberi, terra, luce e acqua.
Solo dieci anni fa queste valli erano
uno dei luoghi più selvaggi del piane-
ta e il territorio di caccia dei Chipew-
yan, che con il sangue delle prede in-
naffiavano quelle terre per compiace-
re gli spiriti e anche Nostro Signore.
Poi arrivò l’uomo bianco, attirato dal-
l’odore fetido di una poltiglia nera na-
scosta a più di 400 metri di profondi-
tà. Per i Chipewyan era solo una sab-
bia argillosa che usavano per rivesti-
re le canoe. Per i petrolieri è «sabbia
bituminosa», da trasformare in oro
nero. Sono le Tar Sands: una miscela
di petrolio, catrame, sabbia e creta
impregnata di idrocarburi, più facile
da trasformare in asfalto che in greg-
gio. Finché, con il prezzo del barile
salito oltre i 100 dollari al barile, la
provincia canadese dell’Alberta di-
chiarò ufficialmente aperta la nuova
corsa all’«oro sporco»
Prima arrivarono le trivelle della
British Petroleum. Qualche anno do-
po dall’Aia giunsero le ruspe della
Shell, da Dallas i camion dell’Exxon,
da Parigi i bulldozer della Total. E poi
ancora dalla California gli escavatori
della Chevron, dalla Cina le pale cin-
golate della Cnooc e Sinopec. Un tota-
le di 17 miniere a cielo aperto e più di
30 miliardi di dollari di investimenti.
Fort McMurray venne ribattezzato
Fort McMoney:
un deserto di cra-
teri velenosi, cir-
condato da fast fo-
od, stazioni di ser-
vizio, motel e un
cartello che an-
nuncia «We have the Energy».
Adam Allan, capo dei Chipewyan,
veniva qui a caccia con il padre. «Que-
sto posto era una meraviglia - raccon-
ta Allan -: selvaggio, verde, pulito.
Una delle più belle foreste boreali del
pianeta». Quando Fort McMurray
era ancora Athabasca, si potevano
ammirare le grandi alci, con corna
ampie due metri, bagnarsi nelle ac-
que dei fiumi. Gli antichi capi diceva-
no che sono le prede più difficili da
cacciare. Più forte di uno stallone e
più veloce di qualsiasi indiano, l’enor-
me cervide è un simbolo sacro per le
Prime Nazioni. I Chipewyan le danno
la caccia muovendosi in gruppo come
un branco di lupi, saggiando l’aria, se-
guendo pazientemente le sue tracce.
Per i Nativi la caccia non è solo una
questione di fucili e pallottole. È medi-
tazione: liberare la mente, svuotarla
dai pensieri, se non vuoi che il tuo av-
versario scopra i tuoi piani. Oggi, rac-
conta Allan, puoi a mala pena vedere
degli strani topi muschiati galleggiare
a pancia in su nelle
acque gelide del fiu-
me Athabasca. «Le
alci sono scomparse
- dice - alcune sono
morte e altre sono
migrate verso sud.
La loro carne non era più commestibi-
le. È carne all’arsenico».
Il petrolio di Fort McMurray non
sgorga dal sottosuolo e per estrarlo
non si usano né pompe né tubature. Bi-
sogna scavare il terreno, raccogliere il
bitume e impastarlo con apposite so-
stanze chimiche per favorirne la fluidi-
tà. I sottoprodotti della lavorazione del-
le Tar Sands sono quanto di più inqui-
nante esista nel pianeta. Per riempire
un singolo barile di petrolio (159 litri)
occorrono più di mille litri di acqua mi-
schiata a acido solfidrico, ossido di azo-
to, piombo e nichel, che viene poi scari-
cata in enormi buche di sabbia, for-
mandocosì laghi tossici.
Una volta ricco di lucci e trote ar-
cobaleno, oggi il fiume Athabasca
sembra una strada appena asfaltata
popolata da strani pesci mutanti. «Ci
sono dei lucci con delle grosse protu-
beranze sul dorso - racconta Allan -.
È chiaro che in quel fiume non si può
più pescare. Ma prima di capirlo, mol-
ti di noi c'hanno lasciato la pelle». An-
che i Chipewyan
stanno scomparen-
do. Muoiono lenta-
mente, giorno dopo
giorno, annientati
da una rarissima
forma di cancro
che attacca il fegato e i vasi sangui-
gni. «Abbiamo chiesto al governo di
indagare sulla situazione, ma non ci
hanno mai risposto».
Secondo i numeri di Greenpeace le
emissioni di CO2 prodotte dall’estrazio-
ne del petrolio dalle Tar Sands in un
anno si aggirano attorno ai 140 milioni
di tonnellate: due volte i gas emessi da
camion e macchine in tutto il Canada.
Il primo ministro Stephen Harper non
sembra preoccuparsene troppo. «Il Ca-
nada intende divenire una superpoten-
za dell’energia, ma anche una superpo-
tenza pulita», aveva assicurato la scor-
sa estate durante un incontroa Londra
con le Camere di Commercio inglesi, ri-
badendo che il suo governo imporrà
dei limiti alle emissioni prodotte dalla
lavorazione delle Tar Sands.
Ma qui, in questa remota provincia
canadese, grande due volte l’Italia, do-
ve il termometro in inverno tocca me-
no 40 gradi, il business dell’oro nero
non si ferma davanti a nulla. Secondo i
dati delle associazioni ambientaliste
saranno 150 i miliar-
di investiti nelle
Tar Sands nel pros-
simo decennio. Na-
sceranno nuove
strade, oleodotti,
raffinerie. I trattati
stipulati con gli indiani sono vecchi di
140 anni, quando i coloni facevano
sbronzare gli aborigeni che firmavano
con una croce la cessione di migliaia di
acri di terra, per due casse di rum. I
Chipewayn lo scorso anno hanno intra-
preso un'azione legale contro il gover-
no dell’Alberta. Così una bella matti-
na, senza alcun preavviso, si sono ri-
trovati i bulldozer dei petrolieri nelle
loro terre. «Rubano i nostri territori -
dice Allan -. Un giorno sono nostri e il
giorno dopo appartengono a loro». Lo
scorso 12 dicembre la corte federale
ha rigettato la loro istanza. Ma Adam
Allan non si dà per vinto: «Continuere-
mo a lottare - dice -, non abbiamo mol-
ta scelta. O noi o loro».
Solo la crisi finanziaria potrebbe
rallentare il disastro. Ne è convinto
Eric Schaeffer, direttore dell’Enviro-
mental Integrity Project, associazione
ambientalista che da anni si batte con-
tro lo sfruttamento dell’Athabasca.
Schaeffer spiega che prima dell’11 set-
tembre le Tar Sands erano solo dei po-
tenziali serbatoi di energia. Allora i co-
sti per la raffinazione del catrame era-
no ancora proibitivi. Poi il prezzo del
greggio cominciò a salire fino ai 147
dollarial barile del luglio scorso. Fino a
quando il prezzo del greggio oscillava
tra i 100 e i 120 dollari «tutto andava a
gonfie vele» e l’Athabasca si era guada-
gnata l’appellativo di «Emiratodel XXI
secolo». Oggi il greggio oscilla tra i 40 e
i 50 dollari: un incubo per le trivelle del-
l’Athabasca.«Sotto i 40 dollari- spiega
Schaeffe - le Tar Sands rischiano di
trasformarsi in un investimento falli-
mentare per le compagnie petrolife-
re». I giornali canadesi parlano già di
un falò di 150 miliardi e migliaia di li-
cenziamenti.
Ma a pagare il prezzo più alto di
questo disastro è la natura. La mitica
terra dei Chipeweyan, inquinata e stra-
volta, è ormai solo una leggenda.
CRISI BENEDETTA
Le aziende hanno investito
150 miliardi. Ma con il crollo
dei prezzi rischiano di fallire
Reportage
LORENZO TONDO
EDMONTON (Canada)
PESCI E CERVI DEFORMI
Il capo dei Chipewyan
«I lucci hanno strane gobbe
C’è arsenico nella carne»
“L’oro sporco ci ucciderà”
Deserto
Le foreste
sono state
rase al
suolo per
estrarre le
sabbie
intrise di
catrame
A destra, gli
enormi
camion che
trasporta-
no il
materiale
grezzo,poi
raffinato
con acqua
bollente e
solventi
chimici
In alto,
nativo
americano
con il
costume
tradi-
zionale
Gli indiani canadesi contro i petrolieri dell’Athabasca: “Avvelenano tutto, uomini e alci”
Sabbie bituminose Lo Stato dell’Alberta
possiede i più ricchi giacimenti di petrolio
non convenzionale, un’altra Arabia Saudita
Costi altissimi Il greggio è ottenuto
con procedimenti chimici che riempiono
fiumi e laghi di sostanze tossiche e solventi
16 Estero LA STAMPA
GIOVEDÌ 8 GENNAIO 2009