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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
________________________________________
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E
STATISTICHE
Corso di laurea magistrale in
Banca e Finanza
Tesi di Laurea
L’impatto delle opportunità di crescita sul price
to book value delle banche
Relatore: Laureando:
Chiar.mo Prof. Maurizio Polato Giulio Velliscig
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
1
Indice
INTRODUZIONE……………………………………………………2
1. La valutazione delle banche
1.1.I MODELLI DI BUSINESS..…………………………………....4
1.2.IL PATRIMONIO DI VIGILANZA………………………..…....6
1.3.I MODELLI DISCOUNTED CASH FLOW…………………...14
1.3.1. IL DIVIDEND DISCOUNT MODEL……………………14
1.3.2. IL MODELLO CASH FLOW TO EQUITY……………..21
1.4.IL MODELLO EXCESS RETURN……………………………26
1.5.LA VALUTAZIONE RELATIVA………………………….….31
1.6.L’APPROCCIO SUM OF PARTS……………………………..38
2. Le opportunità di crescita
2.1.CENNI DISCIPLINARI…………………….………….............39
2.2.I MODELLI VALUTATIVI……………………………………43
2.2.1. BLACK SCHOLES……………………………................43
2.2.2. IL MODELLO DI COX ROSS………………..…………45
2.3.LE OPZIONI REALI……………………………………….….52
2.4.LE OPPORTUNITÀ DI CRESCITA…………………………..57
2.5.IL MODELLO VALUTATIVO………………………………..63
2.6.LE IMPLICAZIONI VALUTATIVE…………………………..66
3. L’impatto sul valore
3.1.ANALISI DELLA LETTERATURA……………………….….71
3.2.ANALISI EMPIRICA……………………………………….…90
3.2.1. IL CAMPIONE…………………………………………...90
3.2.2. I MODELLI……………………………………………....92
3.3.STATISTICA DESCRITTIVA Vgo………………..………….96
3.3.1. IL TEST……………………………………...………….112
3.4.STATISTICA DESCRITTIVA P/BV………………................117
3.5.LA CATENA DI INFLUENZA……………………………....123
CONCLUSIONE………………………………………………….….134
INDICE DELLE TABELLE…………………………………………136
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………..139
2
INTRODUZIONE:
Le crisi dell’ultimo decennio hanno riportato in auge uno dei più significativi
multipli di mercato per un istituto bancario: il price-to-book-value. Specchio degli
effetti delle crisi sul comparto bancario è stato proprio la flessione del prezzo di
mercato degli istituti in rapporto al valore di libro. L’effetto è stato evidente
soprattutto sul sistema nazionale. Alla luce di queste considerazioni è possibile
leggere lo studio implementato in questo lavoro. La variabile che è stata scelta a fini
di indagine delle dinamiche relative al multiplo bancario è quella delle opportunità di
crescita. Nell’ipotesi che il prezzo di mercato sconti una componente legata alle
opportunità di crescita è sembrato interessante scoprire l’influenza dettata da tale
variabile sulla particolare dinamica del multiplo di mercato. In questo senso lo studio
pone grande attenzione al tema delle opportunità di crescita e ai fattori che ne
determinano i meccanismi di andamento. Una volta comprese tali dinamiche
l’indagine prosegue circa una possibile catena di eventi in grado di spiegare
scientificamente la trasmissione d’influenza tra le opportunità di crescita e il multiplo
bancario. Il quadro che viene a definirsi consente dunque la riconciliazione delle
conoscenze acquisite circa le due variabili sotto la lente del valore complessivo di
mercato dell’istituto bancario. I contributi che questo studio intende offrire alla
letteratura in merito allo studio delle opportunità di crescita riguardano l’approccio
valutativo implementato a fini di stima e l’analisi delle dinamiche alla luce di
variabili proprie del comparto bancario. L’analisi della letteratura ha, infatti,
evidenziato una predilezione delle studio delle opportunità mediante campioni di
istituti non finanziari. Oltre alla specificità del campione in analisi lo studio
implementa uno sforzo circa il metodo valutativo utilizzato in contrasto con
l’indiretto approccio naif dominante in letteratura. Per quanto concerne la catena di
trasmissione d’influenza da una variabile all’altra lo studio apporta una corposa
analisi statistica il cui obiettivo è quello di dare prova scientifica al già teorizzato
sistema di interazione. Lo studio si articola su tre capitoli. Il primo capitolo offre un
resoconto circa i modelli di stima del valore riconosciuti dalla prassi bancaria. Il
secondo capitolo indaga il tema delle opportunità di crescita nella loro ormai accolta
dimensione di opzioni evidenziandone i profili valutativi. Infine lo studio prende
3
corpo attraverso l’analisi empirica che vanta un campione di 37 istituti bancari
europei analizzati in un arco temporale che comprende gli anni dal 2005 al 2016.
4
La valutazione delle banche
1.1 I modelli di business delle banche:
L’evoluzione del contesto macroeconomico, lo sviluppo della tecnologia e la
stringente normativa di vigilanza sono tre fattori che concorrono a definire le
dinamiche di cambiamento che stanno interessando i modelli di business delle
banche in questi anni. L’incertezza e le non confortanti prospettive che insistono
sulle economie mondiali hanno portato le banche a muoversi verso indirizzi strategici
e gestionali differenti. Il basso livello dei tassi d’interesse, il gravare di strutture
produttive e distributive, che influenzano il recupero di efficienza, e l’ampia struttura
regolamentare di vigilanza hanno portato le banche a pesare maggiormente diversi
indicatori di redditività spostando l’attenzione da ratio espressivi del ritorno
economico del core business quale ad esempio il rapporto tra il margine di interesse
e i mezzi propri a ratio quali l’indicatore di diversificazione dei ricavi costruito come
rapporto tra il margine di intermediazione e il margine di interesse. Le banche
dunque puntano ad una maggiore efficienza, alla ricerca di nuovi canali distributivi e
in ultima analisi ad una maggiore presa di coscienza delle dinamiche relative ai rischi
finanziari sia in termini prospettici che gestionali e il conseguente monitoraggio dei
livelli di patrimonializzazione. Il concetto di business model è stato ripreso negli
studi di It ed e-business management dove assume l’accezione di framework in grado
di comprendere la struttura e il comportamento di un’azienda all’interno di un
contesto competitivo e la sua capacità di generare valore in tal senso. Nel filone di
studi sulla strategia il business model assume la connotazione di framework in grado
di spiegare l’insieme delle modalità e dei processi posti in essere al fine di
massimizzare il valore generato dalle strategie, a livello corporate e a livello
business. La scelta di uno specifico business model, definito da decisioni a livello
strategico, caratterizza dunque l’azienda sotto i profili operativo, di creazione e di
cattura del valore per gli stakeholder. La più recente dottrina empirica, invece,
qualifica i business model attraverso il concetto di gruppo strategico, che fa
riferimento ad un conglomerato di imprese uniformi sotto i profili strategico,
dimensionale, tecnologico, della diversificazione. Sussiste in questo caso un trade-off
tra l esigenza di ottenere risultati soddisfacenti sotto il profilo qualitativo e la rigidità
dei criteri attraverso i quali le imprese vengono raggruppate. Nello specifico, per le
5
banche si fa riferimento ad un framework che intende cogliere al suo interno le
dinamiche relative al livello strategico corporate e business e come quest’ultime
incidano nella creazione di valore per le singole business unit. La comprensione di
questo complesso puzzle consente la comprensione del posizionamento competitivo
della banca. Il primo livello strategico fa riferimento a obiettivi di lungo periodo
quali la dimensione e la crescita della banca, i suoi gradi di diversificazione e
internazionalizzazione, la definizione del risk-appetite. Un secondo livello è invece
strettamente interconnesso con le aree d’affari nelle quali opera la banca che fungono
da intermediario tra le strategie corporate e le strategie business. Con riferimento a
queste ultime le aree d’affari identificano le politiche di segmentazione della
clientela, di differenziazione dei prodotti, i servizi componenti il sistema di offerta.
Spetterà dunque al framework operativo e gestionale di primo livello garantire la
coerenza tra questi obiettivi e le capacità in termini di risorse umane e finanziarie che
caratterizzano la banca. La suddivisione per cluster delle banche sulla base del
business model implementato prevede l’utilizzo di variabili di composizione degli
impieghi e delle fonti di finanziamento, di variabili rappresentative delle scelte a
livello strategico. In ambito bancario la corporate strategy guida alla individuazione
delle aree di business e da queste al business mix, mentre la strategia di business
interessa la differenziazione dei prodotti, la segmentazione della clientela,
l’efficienza dei costi e la gestione del rischio in ciascuna area di business. Il business
model di una banca è dunque lo strumento attraverso il quale viene colta la dialettica
tra le due fondamentali variabili in gioco ovvero la strategy e il business mix in modo
tale da spiegare il posizionamento competitivo della banca stessa. La letteratura in
merito però tende a far coincidere il modello di business con il business mix
ignorando la variabile legata alle decisone strategiche sia a livello corporate che
business. Nella prassi empirica vengono evidenziate alcune variabili utili a
comprendere e semplificare l’identificazione dei business model adottati dalle
banche. In questo senso il peso della raccolta al dettaglio tra le fonti di fondi e il suo
apporto al finanziamento dell’attività di prestito risulta essere una variabile
discriminante in termini di business mix per quanto concerne l’individuazione dei
cluster. È utile evidenziare inoltre come un altro fattore quale la disponibilità di
capitale proprio giochi un ruolo fondamentale nelle scelte effettuate a livello di
6
corporate strategy, e quindi porti ciascuna banca a implementare modelli di business
differenti in relazione alle proprie disponibilità di risorse. Oltre al capitale proprio
anche la dimensione di una banca risulta essere un fattore determinante al fine di
comprendere la complessità di un business model. Le banche maggiori avranno
business model più articolati e complessi in questo senso. In ultima analisi la
maggior parte degli studi relativi ai business model bancari utilizza la variabile della
composizione dei ricavi al fine di approssimare il business mix specifico di ciascuna
banca.
1.2 Il patrimonio di vigilanza:
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è un organo consultivo internazionale
istituito nel 1974 dai governatori delle banche centrali dei paesi del G101
.Il Comitato
ha sede a Basilea presso la B.R.I.2
. Il suo principale obiettivo è quello di definire una
regolamentazione della vigilanza bancaria per assicurare stabilità al sistema
finanziario globale. Il Comitato di Basilea non ha potere legislativo ma formula
proposte che dovranno essere recepite nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali.
L’organo redige gli Accordi di Basilea ovvero linee guida riguardanti i requisiti
patrimoniali e prudenziali degli Istituti di Credito. Tra questi rientra il patrimonio di
vigilanza, una forma di capitale regolamentare che le banche devono detenere per
contenere entro livelli giudicati tollerabili la loro probabilità di insolvenza e i costi
che ne derivano a carico del bilancio pubblico. Funzione del patrimonio di vigilanza
è dunque quella di tutelare la stabilità del sistema bancario e assicurare che le banche
siano in grado di assorbire eventuali perdite senza pregiudicare le ragioni dei
depositanti. La regolamentazione dettata dagli Accordi di Basilea stabilisce il livello
minimo di capitale in relazione ai rischi assunti dalle banche e ne definisce la
composizione in termini di strumenti finanziari ammissibili al computo all’interno
del patrimonio al fine di rispettare i requisiti minimi richiesti. I criteri attraverso i
quali la regolamentazione definisce il livello minimo e la qualità del patrimonio di
vigilanza sono guidati dallo scopo di minimizzare i costi sociali delle insolvenze
1
Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia ,Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e
Svizzera. Il Comitato oggi è composto dai rappresentanti delle banche centrali e dalle autorità di
vigilanza bancaria di ben 27 Paesi.
2
Banca dei regolamenti internazionali.
7
bancarie nell’interesse della collettività ma soprattutto dei soggetti tutelati dalla
regolamentazione del sistema finanziario quali i creditori ma soprattutto i depositanti.
Basilea 3
Gli Accordi di Basilea 3 mutano radicalmente la composizione del patrimonio di
vigilanza implementata dal framework precedente. La regolamentazione di Basilea 3
è stata introdotta gradualmente dal 2014. La struttura patrimoniale delle banche verrà
rafforzata gradatamente fino al 1 gennaio 2019, data in cui le nuove soglie
entreranno pienamente in vigore. Gli strumenti finanziari non più ammessi da
Basilea 3 verranno progressivamente eliminati dal patrimonio di vigilanza lungo un
periodo, definito di grandfathering, che avrà termine nel 2023. Ciò comporta che,
fino a quella data, gli strumenti ammessi da Basilea 2 all’interno delle diverse
componenti del patrimonio di vigilanza continueranno ad essere presenti nello stesso,
seppur in misura inferiore di anno in anno. La composizione muta dunque in questo
senso3
:
1. Il Common Equity Tier 1 (CET1) Capitale primario di classe 1
Si tratta del capitale primario di classe 1, la componente del patrimonio di migliore
qualità. È composto prevalentemente da azioni ordinarie, utili non distribuiti e
riserve. Il comitato ha dunque riconosciuto che queste componenti posseggono una
spiccata capacità di assorbire le perdite nella prospettiva della continuazione
dell’attività aziendale, superiore alle altre fonti, e per questo motivo ha deciso di
calibrare su di esse in misura preminente la nuova composizione del Tier 1. Il CET1
dovrà essere aumentato dalla precedente misura del 2% al 4,5% dell’attivo ponderato
per il rischio.
2. Additional Tier 1 (AT1) Capitale aggiuntivo di Classe 1
In questa fascia di patrimonio rientrano per lo più strumenti ibridi, strumenti del
capitale contingente, ossia titoli di debito convertibili in azioni o il cui valore
3
In merito alle informazioni seguenti sul patrimonio si veda RETTIFICA DEL REGOLAMENTO (UE) N.
575/2013, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 26 giugno 2013, e DIRETTIVA 2014/59/UE DEL
PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, Gazzetta Ufficiale dell’ Unione Europea, 15 Maggio 2014.
8
nominale può essere ridotto al verificarsi di un determinato evento attivatore al fine
di rafforzare dal punto di vista patrimoniale l’istituto emittente.
Il capitale di classe 1 (Tier1) viene costruito attraverso la somma di CET1 e AT1. La
sua misura dovrà essere secondo Basilea 3, non inferiore al 6% dell’attivo ponderato
per il rischio.
3. Tier2 (T2) Capitale di classe 2
Le principali componenti di questa classe sono i debiti subordinati con scadenza
minima non inferiore ai 5 anni e strumenti del capitale contingente a basso trigger,
ossia convertibili in azioni o il cui valore nominale può essere ridotto ad una soglia
minore di quella prevista per gli strumenti dell’ AT1.
4. Il Tier 3 è eliminato
Il patrimonio di vigilanza totale è dunque composto dalle 3 classi appena descritte
(CET1+AT1+T2). La sua misura non dovrà essere inferiore all’8% dell’attivo
ponderato per il rischio. Basilea 3 ha inoltre previsto dei buffer di capitale. Il capital
conservation buffer è concepito con il fine di consentire alle banche di accumulare
una riserva di capitale durante le fasi positive del ciclo economico, affinché il livello
del patrimonio possa restare al di sopra dei requisiti minimi nel caso si verificassero
perdite in corso d’esercizio. Si tratta di una riserva composta da capitale primario di
classe 1, di conseguenza opera l’assorbimento delle perdite secondo le normali
procedure di assorbimento che caratterizzano gli strumenti di common equity tier 1.
Il Common Equity Tier 1 deve essere utilizzato in via prioritaria per soddisfare i
requisiti patrimoniali minimi (inclusi quelli relativi al patrimonio di base del 6% e al
patrimonio di vigilanza dell’8%), prima di poter contribuire al rispetto del buffer di
conservazione del capitale. Nel momento in cui questa riserva dovesse diminuire a
causa di perdite, la banca non potrà distribuire utili fino a che non ne sarà ripristinato
il livello minimo. Basilea 3 prevede che questo buffer sia costituito in misura pari al
2,5% delle attività ponderate per il rischio. Il buffer di conservazione del capitale
sarà introdotto gradualmente tra il 1° gennaio 2016 e la fine del 2018 per diventare
pienamente operativo il 1° gennaio 2019. Il Countercyclical buffer ha il compito di
creare una relazione più stringente tra i requisiti patrimoniali del settore bancario e il
9
contesto macrofinanziario in cui operano le banche. Il sistema bancario può subire,
infatti, ingenti perdite quando una fase di recessione del ciclo economico è preceduta
da un periodo di eccessiva espansione del credito. In questa situazione, la fase
negativa dell’economia reale si trasmetterebbe al sistema finanziario, dove a seguito
del credit crunch, tornerebbe a riflettersi al settore reale. In situazioni di recessione i
rating assegnati alle attività tendono a deteriorarsi e ciò richiede agli istituti di credito
una maggiore disponibilità di capitale. Una fase negativa del ciclo economico rende
onerosa la raccolta di capitale per diversi istituti che dunque contraggono l’offerta di
credito (credit crunch), proprio nel momento in cui sarebbe più necessaria
all’economia. In questo modo il sistema di adeguatezza patrimoniale non fa altro che
enfatizzare le fasi recessive del ciclo economico e non prepara le banche al meglio
per affrontare tali situazioni. Qualora l’Autorità di vigilanza reputi che vi sia una
crescita eccessiva del credito in un determinato periodo associata ad un accumulo di
rischi sistemici, essa potrà richiedere la costituzione di un buffer di questo tipo per un
ammontare variabile tra lo 0 e il 2,5% delle attività ponderate per il rischio. Il buffer
sarà evidentemente attivato su base occasionale. Le banche dovranno soddisfare il
requisito relativo a questo buffer con Common Equity Tier 1 o altro capitale
pienamente in grado di assorbire le perdite. Il requisito di buffer anticiclico sarà
introdotto gradualmente dal 2016 e diventerà pienamente operativo dal 1 gennaio
2019. Altri buffer vengono identificati come: global sistemically important
institutions buffer, che richiede una riserva addizionale di capitale primario di classe
1 variabile tra l’1% e il 3.5% in base al grado di importanza sistemica delle
istituzioni finanziarie sistemicamente rilevanti a livello globale; other sistemically
important institutions buffer, che richiede una riserva di capitale primario di classe 1
fino a un massimo del 2% dell’attivo ponderato per il rischio; systemic risk buffer,
che prevede una riserva di capitale primario di classe 1 per prevenire e mitigare il
rischio sistemico, nel senso di un rischio di perturbazione del sistema finanziario che
può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e per l'economia
reale.
Per quanto concerne il denominatore dei ratio patrimoniali di vigilanza esistono 2
diversi metodi di ponderazione del rischio, uno definito standard approach e uno
10
internal ratings-based approach a sua volta suddiviso in base e avanzato. I fattori di
ponderazione su cui si basano questi sistemi di valutazione sono:
 Rating: è il giudizio sul merito creditizio ed esprime la valutazione della
affidabilità del soggetto finanziato sulla base di informazioni quantitative,
qualitative ed andamentali.
 Probabilità di inadempienza (PD = Probability of default): è la probabilità che
il soggetto finanziato si trovi nella situazione di inadempienza (default) in un
dato orizzonte temporale;
 Perdita in caso di inadempienza (LGD= Loss given default): è la percentuale
stimata di perdita in caso di inadempienza.
 Esposizione in caso di inadempienza (EAD= esposure at default): è la quota
di esposizione al momento dell’insolvenza;
 Scadenza (M = Maturity): è la durata residua del finanziamento.
Il sistema standard prevede che la formulazione dei fattori di ponderazione del
rischio venga effettuata da soggetti esterni alla banca. Il rating viene stimato da
società indipendenti che prendono il nome di ECAI (External Credit Assessement
Institution) mentre i restanti fattori vengono fissati dall’Autorità di vigilanza sulla
base di fattori quali la categoria giuridica economica di appartenenza dell’impresa
richiedente il finanziamento, le sue dimensioni aziendali e le caratteristiche tecniche
della operazione di finanziamento. Per quanto concerne i sistemi IRB le banche che
adottano queste procedure stimano al proprio interno il rating della controparte e uno
o più fattori di ponderazione del rischio. Nel caso dei sistemi IRB base la banca
stima il rating della controparte cui è associata automaticamente una specifica PD, gli
altri fattori vengono invece determinati dall’Autorità di vigilanza. I sistemi IRB
avanzati invece stimano tutti i fattori di ponderazione del rischio internamente.
Risulta a questo punto opportuno formulare alcune considerazioni riguardo le
politiche di dotazione patrimoniale delle banche. Nella pratica sovente accade che la
patrimonializzazione degli istituti di credito non sia in linea con i requisiti minimi di
vigilanza ma li ecceda in modo tale da raggiungere un più alto grado di resilienza e
garantirsi un margine di manovra sul piano delle strategie creditizie in caso di
aumento, voluto o imprevisto, del livello di rischiosità degli asset. Il patrimonio di
11
vigilanza va dunque scisso in una componente minima adempiente ai vincoli di
vigilanza e una componente aggiuntiva funzione di quelle che sono le strategie della
banca. Nell’ipotesi in cui il patrimonio di vigilanza sia inferiore a quello richiesto dal
livello degli RWA ci troviamo in presenza di deficit capital che può essere risolto
sotto due profili. Nel primo caso andando ad agire sul capitale attraverso ad esempio
un aumento di capitale o l’emissione di strumenti ibridi in grado di aumentare il
livello del patrimonio di vigilanza. O nell’altro caso contenendo il grado di
rischiosità degli attivi riducendo o rimodulando le esposizioni più rischiose,
migliorando le operazioni di hedging sui rischi o ancora ponendo in essere
operazioni di cessione dei rischi assunti. Nell’ipotesi, invece, che il patrimonio di
vigilanza ecceda il livello richiesto dagli RWA la banca si trova in presenza di un
excess capital. Quest’ultimo può essere indice di una patrimonializzazione
inefficiente in quanto non viene sfruttato in relazione al livello dell’operatività
bancaria e dei rischi assunti. Questo eccesso di capitale risulta dunque liberamente
distribuibile agli azionisti senza che tale operazioni infici la solidità patrimoniale
dell’istituto.Le leve gestionali della banca utili al fine di riequilibrare il livello di
patrimonializzazione potrebbero essere da un lato l’aumento dei rischi assunti sugli
asset e dall’altro la distribuzione del capitale in eccesso agli azionisti sotto forma di
dividendo. In conclusione il management di una banca si trova a gestire un trade-off
per cui non può scendere al di sotto dei requisiti minimi di vigilanza e allo stesso
tempo non può detenere patrimonio in eccesso in quanto comporterebbe una
diluizione della redditività e dei ritorni per gli azionisti. Queste riflessioni sul
patrimonio saranno utili nel comprendere i vari metodi di valutazione delle banche
espressi nei paragrafi successivi.
In ultima analisi pare opportuno menzionare una grandezza strettamente connessa
alla dotazione patrimoniale di una banca, il ROA stabilizzante. Con questa
espressione si identifica il livello di profittabilità che, data una crescita g, lascia
invariato il T1 ratio. In formule:
𝑅𝑂𝐴 𝑠𝑡𝑎𝑏 =
𝑘 𝑡
𝑟𝑤𝑎 𝑡
×
𝑔
(1 + 𝑔)
× 𝑤𝑡
(1 − 𝑑)
12
con:
𝑘 𝑡
𝑟𝑤𝑎 𝑡
= 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑇1 𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜
𝑔
(1 + 𝑔)
= 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑟𝑤𝑎
𝑤𝑡 =
𝑟𝑤𝑎 𝑡
𝐴 𝑡
= 𝑐𝑜𝑒𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à
(1 − 𝑑) = 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖
È evidente dunque una relazione positiva tra la redditività e le variabili al
numeratore, negativa invece rispetto al tasso di ritenzione degli utili. Inoltre, a fronte
della difficoltà per una banca di modificare la propria redditività, si evidenziano tre
soluzioni alternative:
1. Ridurre la crescita delle attività
2. Ridurre il livello di rischio delle attività
3. Ridurre la quota di profitti distribuiti
Quest’ultima soluzione ha un impatto sul rendimento degli azionisti che può essere
definito in questi termini:
𝑅𝑂𝐸 𝑎𝑧 =
𝑅𝑂𝐴 𝑡 × 𝑑
𝑘 𝑡
𝑟𝑤𝑎 𝑡
× 𝑤𝑡
Infine è necessario riflettere sul particolare ruolo giocato dal debito all’interno della
banca. Il debito nelle banche ricopre una funzione differente rispetto a quella
ricoperta all’interno delle imprese non finanziarie. Il debito assolve ad una funzione
molto simile a quella delle materie prime all’interno della banca in virtù del fatto che
la stessa opera la trasformazione del debito in asset finanziari. Tuttavia non è
possibile assumere a pieno questa definizione in quanto nell’ipotesi in cui sia vera e
applicata per intero al debito della banca allora l’istituto non sarebbe indebitato dal
punto di vista finanziario in quanto il debito sarebbe riconducibile all’ area operativa
del management della banca. In questo senso emerge la principale criticità
riguardante il debito all’interno degli istituti finanziari; la sottile linea di
demarcazione tra il debito finanziario e operativo a causa del fatto che in una banca
13
l’area finanziaria è una parte dell’area operativa. Dopo queste precisazioni andiamo
dunque ad analizzare i diversi modelli valutativi che interessano le banche.
14
1.3 I modelli Discounted Cash Flow
Questo tipo di approccio affonda le proprie radici nell’assunto secondo il quale il
prezzo di un asset viene determinato attraverso lo sconto dei cash flow attesi lungo
un periodo di tempo determinato. Per quanto concerne la materia in esame, la
dottrina riconosce due fondamentali modelli all’interno di questo perimetro: il
Dividend Discount Model (DDM) e il Cash Flow to Equity Model (CFE).
1.3.1 Il Dividend Discount Model
Il prezzo dell’azione è uguale al valore attuale dei dividendi futuri attesi scontati ad
un opportuno costo del capitale. Una prima formulazione generale del DDM che
assume come ipotesi la durata illimitata della società oggetto di analisi e
conseguentemente anche della sua capacità di distribuire dividendi è la seguente:
𝑃0 = ∑
𝐷𝑃𝑆𝑖
(1 + 𝐾𝑒)𝑖
∞
𝑖=1
con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′
𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑙 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 0
e 𝐷𝑃𝑆𝑖 = 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑙′
𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑖
Nell’ipotesi in cui i dividendi crescano perpetuamente ad un tasso “g” il DDM
converge verso la formula di Gordon:
𝑃0 =
𝐷𝑃𝑆1
𝐾𝑒 − 𝑔
con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′
𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
Per quanto concerne il tasso di crescita “g” si individuano due driver esplicativi di
questa grandezza: il return on equity (ROE) e il payout ratio. In quanto questa
grandezza è commisurata al potenziale di crescita organica del capitale proprio
dovuto agli utili ritenuti e portati a riserva, si parla di tasso di crescita sostenibile.
Nell’ipotesi in cui il ROE e il payout varino nel corso del tempo, il tasso di crescita
viene nell’anno t viene stimato attraverso la seguente formula4
:
4
Damodaran, A. (2010). The Dark Side of Valuation (2nd Edition). FT Press. (pp.449-475)
15
𝑔𝑡 = 𝑅𝑂𝐸𝑡(1 − 𝑝𝑡−1) +
𝑅𝑂𝐸𝑡 − 𝑅𝑂𝐸𝑡−1
𝑅𝑂𝐸𝑡−1
In riferimento ad un modello DDM a due stadi questa formula consente la stima di
un tasso 𝑔𝑡 per quanto riguarda il periodo di previsione esplicita o di un tasso 𝑔 per il
periodo infinito. In particolare, in quest’ultimo caso vengono utilizzati valori
normalizzati di lungo periodo per quanto concerne il ROE e il payout ratio rendendo
nullo il secondo addendo e modificando la formula come segue:
𝑔 = 𝑅𝑂𝐸(1 − 𝑝)
Nell’ipotesi in cui la società oggetto di valutazione sia caratterizzata da una crescita
straordinaria all’interno del periodo di previsione esplicita e da una crescita stabile
all’infinito in base ad un tasso di crescita 𝑔 𝑛, e che il cost of equity possa essere
diviso per i due periodi in 𝐾𝑒,𝑒𝑙(crescita elevata) e 𝐾𝑒,𝑠𝑡(crescita stabile), allora il
prezzo dell’azione può essere espresso attraverso la seguente formula:
𝑃0 = ∑
𝐷𝑃𝑆𝑡
(1 + 𝐾𝑒,𝑒𝑙) 𝑡
+
𝐷𝑃𝑆 𝑛+1
(𝐾𝑒,𝑠𝑡 − 𝑔 𝑛)(1 + 𝐾𝑒,𝑒𝑙) 𝑛
𝑛
𝑡=1
con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′
𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑒𝑙𝑒𝑣𝑎𝑡𝑎
È utile inoltre ricordare un’ulteriore formulazione derivante dal modello base di
Gordon, per cui se si assume che anche gli utili (E) crescano ad uno stesso tasso “g”
ed inoltre che5
𝐷𝑃𝑆1 = 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0 con BV=Book value, ove è implicito che anche
BV cresca allo stesso tasso “g”, sostituendo all’interno del modello base a 𝐷𝑃𝑆1 la
formula 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0, si giunge alla seguente espressione:
𝑃0 = 𝐵𝑉0 ×
𝑅𝑂𝐸 − 𝑔
𝐾𝑒 − 𝑔
con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′
𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒
5
Se si assume 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0(1 + 𝑔), 𝑝𝑜𝑖𝑐ℎè 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0 + 𝐸1 − 𝐷𝑃𝑆1 , si giunge in pochi passaggi alla
formula 𝐷𝑃𝑆1 = 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0, conseguenza dell’ipotesi che BV cresca secondo il fattore “g”.
16
Questa relazione viene comunemente chiamata metodo Warranted Equity ed esprime
il prezzo dell’azione in funzione del ROE atteso e del Book Value iniziale. La
formulazione risulta, inoltre, coerente al modello di crescita stabile dei dividendi per
azione nell’ipotesi che DPS, E, BV, e RE (retained earnings) crescano secondo lo
stesso fattore “g”.6
Un’ulteriore configurazione del modello prende forma dall’analisi di alcune variabili
interne allo stesso. Il payout, che determina per ciasun anno l’ammontare totale di
utile distribuibile, necessita coerenza sia con l’obiettivo di crescita della banca in
termini di nuovi investimenti sia con i vincoli patrimoniali che da essa scaturiscono.
Le politiche di payout sono dunque funzione dei requisiti patrimoniali dettati dai
nuovi investimenti. Nonostante queste considerazioni vengano incorporate dal
modello, altre ne vengono tralasciate. Il DDM non tiene conto degli eventuali eccessi
di patrimonio rispetto ai requisiti minimi di vigilanza. Eccessi che potrebbero essere
distribuiti agli azionisti o utilizzati al fine di finanziare la crescita senza pregiudicare
una possibile distribuzione per intero dell’utile realizzato nel corso dell’anno. In
questo senso risulta evidente come la formula generale del DDM sia efficace nella
stima del valore dell’equity solo nell’ipotesi in cui la banca oggetto di valutazione sia
caratterizzata da un patrimonio netto allineato ai requisiti patrimoniali minimi di
vigilanza. L’eccesso di capitale è definito come il surplus di capitale rispetto ai
requisiti minimi di vigilanza. Sussiste dunque un trade-off in capo alla banca tra la
minimizzazione del capitale richiesto agli azionisti e la necessità di detenere capitale
in eccedenza rispetto ai vincoli minimi di vigilanza. Questa esigenza trova
spiegazione nella possibile inefficienza del framework dettato da Basilea che
porterebbe ad una sottostima del patrimonio minimo necessario ai fini regolamentari,
o più semplicemente nell’offrire alla propria clientela una garanzia in termini di
resilienza dell’istituto. La prassi valutativa considera il patrimonio in eccesso come
liberamente distribuibile agli azionisti sotto forma di dividendo mentre in presenza di
un deficit di capitale viene ipotizzato in sede di valutazione un aumento di capitale.
6
Se 𝐷𝑃𝑆1=𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0ed 𝐸2 = 𝐸1(1 + 𝑔), allora si può scrivere (𝐷𝑃𝑆2 + 𝑔𝐵𝑉1)/(𝐷𝑃𝑆1 + 𝑔𝐵𝑉0)=1+g
Ne consegue che: 𝐷𝑃𝑆2 + 𝑔𝐵𝑉1 = 𝐷𝑃𝑆1(1 + 𝑔) + 𝑔𝐵𝑉0(1 + 𝑔), e anche che: 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0(1 + 𝑔)
In altri termini; E, DPS, RE, e BV crescono secondo lo stesso fattore “g”.
17
La distribuzione del patrimonio in eccesso sotto forma di dividendi dev’essere
accompagnata da un analisi quantitativa sull’impatto che questa operazione avrebbe
sull’utile netto. In questo senso si distinguono due alternative:
1. La prima ipotesi spiega come una distribuzione del capitale in eccesso
comporti una riduzione del patrimonio e conseguentemente una riduzione
delle attività in egual misura. La riduzione delle attività impatta a livello di
conto economico sul margine di interesse. La prassi spiega la riduzione delle
attività attraverso la liquidazione di titoli di stato ad alto rating, che non
generano valore aggiunto e non comportano assorbimento patrimoniale.
L’impatto è quantificabile attraverso il prodotto tra l’ammontare di
patrimonio in eccesso e il rendimento dei titoli di stato del paese in cui opera
la banca.
2. La seconda ipotesi mantiene inalterate le attività della banca, e come
conseguenza della distribuzione del patrimonio in eccesso ipotizza
l’assunzione di passività onerose. La prassi prevede il ricorso al mercato
interbancario in questa eventualità. L’impatto sul conto economico si
concretizza nell’assunzione di maggiori oneri finanziari, quantificabili come
prodotto tra l’eccesso di capitale e il tasso interbancario.
Di converso, nell’ipotesi di aumento di capitale dovuta alla presenza di un deficit
patrimoniale vi è la necessità di aumentare gli utili netti per l’impatto di
1. Maggiori interessi attivi dovuti all’investimento dei proventi dell’aumento di
capitale in titoli di stato.
2. Minori oneri finanziari dovuti all’utilizzo dei proventi dell’aumento di
capitale per il rimborso di passività finanziarie onerose.
La formula del Dividend Discount Model corretto per l’eventuale presenza di un
excess/deficit capital è la seguente7
:
7
EMANUEL BAGNA, La valutazione delle banche, Egea, 2012.
18
𝐸0 = +𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜)
+ ∑
𝑈𝑡 − (𝑅𝑊𝐴 𝑡 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡−1) × (𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜)
(1 + 𝐾𝑒) 𝑡
𝑇
𝑡=1
− ∑
𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) × (𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡) × (1 − 𝑡𝑐)
(1 + 𝐾𝑒) 𝑡
𝑇
𝑡=1
+ 𝑇𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒
Dove:
𝐸0 = valore dell’equity al tempo 0
𝑈𝑡 = utile al tempo t
T = periodo di previsione esplicita
(𝑅𝑊𝐴 𝑡 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡−1) = variazione delle attività ponderate per il rischio in due periodi
successivi
T1minimo = ratio minimo di vigilanza
𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) = capitale in eccesso al tempo 0
Tc = aliquota fiscale marginale
𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡 = tasso di rendimento a scadenza dei titoli risk free al tempo t
𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) × (𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡) × (1 − 𝑡𝑐)= oneri annui derivanti
dalla distribuzione del capitale in eccesso
Terminal Value = valore della banca oltre il periodo di previsione esplicita T
Quest’ultima grandezza viene definita capitalizzando il reddito liberamente
distribuibile agli azionisti nel periodo immediatamente successivo a quello di
previsione esplicita ad un tasso che esprime la differenza tra il cost of equity e il tasso
di crescita atteso di lungo termine dei redditi. In formule:
19
𝑇𝑉 =
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 − 𝑅𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑇+1 − ∆𝑇𝑖𝑒𝑟1 𝑇+1
𝐾𝑒 − 𝑔
dove:
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 − 𝑅𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑇+1 = 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 −
𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡+1 × (1 − 𝑡𝑐) × (𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡=0) = Utile netto previsto per il primo
anno oltre il periodo di previsione esplicita (T+1) aggiustato per l’eventuale
remunerazione dell’excess capital ipotizzato in distribuzione al tempo 0
g = tasso di crescita degli utili netti oltre il periodo di previsione esplicita
∆𝑇𝑖𝑒𝑟1 𝑇+1 = variazione del patrimonio di base nel terminal value = reinvestimento
di utile necessario ad alimentare la crescita e rispettare i requisiti di vigilanza = ratio
minimo di vigilanza × ∆ risk weighted asset nel terminal value
Ai fini di completezza cronologica si segnala anche la più recente formulazione del
Dividend Discount Model corretto per l’Excess capital8
:
𝐸 = ∑
𝐷𝑖𝑣𝑡
(1 + 𝑟𝑒) 𝑡
+
𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡
(1 + 𝑟𝑒) 𝑡
+
𝑇𝑉
(1 + 𝑟𝑒) 𝑛
,
𝑛
𝑡=1
dove il primo addendo rappresenta l’attualizzazione al cost of equity dei dividendi
effettivamente distribuibili determinati dal management della banca nel business plan
o attesi dagli analisti. Il secondo addendo identifica il valore attuale
dell’excess/deficit capital, determinato in proporzione agli attivi ponderati per il
rischio, corretto per il capitale distribuito cumulato e scontato al cost of equity. Infine
l’ultimo addendo è espressivo del Terminal Value, calcolato come l’ultimo utile netto
esplicito corretto per la distribuzione di capitale (𝑈𝑁𝑎𝑑𝑗), moltiplicato per un tasso di
crescita (g) e diminuito dell’ammontare di capitale richiesto dalla crescita di lungo
periodo degli attivi ponderati per il rischio e moltiplicato per il capital target ratio
(𝑇𝑅𝑙𝑡) della banca, e scontato al cost of equity. In formule:
𝑇𝑉 =
𝑈𝑁𝑎𝑑𝑗 × (1 + 𝑔) − [(𝑅𝑊𝐴 𝑛 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡) × 𝑇𝑅𝑙𝑡]
𝑟𝑒 − 𝑔
8
BELTRAME, PREVITALI, Valuing Banks: A New Corporate Finance Approach, Palgrave Macmillan,
2016.
20
Per quanto concerne la determinazione della distribuzione di capitale in eccesso al
tempo 1, il cash flow è determinato dalla differenza tra il common equity tier 1
disponibile e quello target. In formule:
𝐸𝐶/𝐷𝐶1 = 𝐶𝐸𝑇1 𝑒𝑓𝑓1
− 𝐶𝐸𝑇1 𝑡𝑎𝑟1
Dal tempo 2 fino alla fine del periodo di previsione esplicita il capitale distribuito
viene determinato sottraendo la parte che è già stata distribuita negli anni precedenti
dalla differenza tra il common equity tier 1 effettivo e target. Inoltre il CET1
effettivo dopo il tempo 1 considera la correzione dovuta alla contrazione degli asset.
In formule:
𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡 = (𝐶𝐸𝑇1 𝑒𝑓𝑓𝑡
− 𝐶𝐸𝑇1 𝑡𝑎𝑟𝑡
) − ∑ 𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡−𝑘
𝑡−1
𝑘=1
21
1.3.2 Il modello Cash Flow to Equity:
Oltre al DDM rientra nel perimetro dei modelli Discounted Cash Flow il Cash Flow
to Equity (CFE). Nell’ipotesi in cui si dovesse utilizzare il framework tradizionale
per la definizione dei Free Cash Flow to Equity (FCFE) nella valutazione di una
banca, il flusso dovrebbe essere raggiunto attraverso i seguenti passaggi:
Utile netto
+ ammortamenti
= Flusso di cassa della gestione
variazione dei depositi della clientela
+ variazione dei debiti finanziari
+ + variazione di altri debiti
= Fonti di risorse finanziarie
variazione dei finanziamenti a clientela
+ variazione degli impieghi finanziari
- + investimenti netti
+ variazioni di altre voci dell'attivo diverse dalla liquidità
= impieghi di risorse
= FREE CASH FLOW TO EQUITY
= variazione di tesoreria
TABELLA 1
Questo approccio, però, risulta inadatto ai fini di stima dei FCFE di una banca. È
necessario dunque introdurre alcune assunzioni al fine di evidenziare alcune
peculiarità proprie di una banca:
1. Nella stima dei FCFE di una banca ci si astiene dal valutare le
variazioni in capitale fisso e circolante (operativo) in quanto di norma
rivestono un ruolo marginale nella gestione bancaria9
.
9
“Nel caso invece in cui il business plan della banca preveda significativi cambiamenti gestionali e
investimenti operativi rilevanti – in situazioni quindi di banche di recente costituzione, di turnaround
o di operazioni di concentrazione – è opportuno procedere a proiezioni analitiche dei flussi mediante
la costruzione di bilanci previsionali completi il più dettagliati possibile. In questi casi diventa infatti
necessario determinare: l’entità dei flussi liberati o assorbiti ( e quindi il conseguente rilascio o
assorbimento di patrimonio netto) in funzione delle politiche di impiego che il management intende
22
2. Ci si astiene dal valutare le variazioni del debito in virtù del ruolo che
esso assume nell’attività operativa bancaria e dell’incertezza relativa
alla natura dello stesso, operativa o finanziaria.
3. Un ruolo fondamentale lo giocano le variazioni di patrimonio netto
poste in essere al fine di garantire il rispetto dei vincoli patrimoniali
dettati dalla vigilanza.
In relazione al punto 3. le stringenti regole legate al capitale di una banca
comportano che nel caso in cui ci sia un’espansione degli attivi ponderati per il
rischio, l’utile netto generato non può essere liberamente distribuito agli azionisti ma
per una porzione o interamente può essere ritenuto dalla banca al fine di soddisfare i
vincoli patrimoniali. Inoltre, se gli utili risultassero insufficienti a tale scopo sarebbe
necessario pianificare aumenti dell’equity. Di converso, nel caso di una diminuzione
degli attivi ponderati per il rischio libererebbe una porzione del capitale che potrebbe
dunque accrescere il flusso liberamente distribuibile agli azionisti. In altri termini,
dal punto di vista degli azionisti, gli unici investimenti di cui è necessario tener conto
sono quelli implementati a livello di patrimonio per soddisfare i vincoli di vigilanza e
qualsiasi variazione nell’ ambito di operazioni di gestione del capitale (es. aumento
di capitale). In questo senso gli FCFE al tempo t utili a fini valutativi saranno
spiegati da questa formula10
:
𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡 = 𝑁𝑒𝑡 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒𝑡 ± 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑖𝑛 𝑅𝑒𝑔𝑢𝑙𝑎𝑡𝑜𝑟𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡
± 𝑃𝑙𝑎𝑛𝑛𝑒𝑑 𝐶ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒 𝑖𝑛 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙
dove:
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑖𝑛 𝑅𝑒𝑔𝑢𝑙𝑎𝑡𝑜𝑟𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡 = la differenza tra il capitale detenuto
dalla banca al tempo t-1 e quello detenuto al tempo t definito sulla base del target
patrimoniale di vigilanza e gli attivi ponderati per il rischio attesi. Nell’ ipotesi di
aumento degli attivi ponderati per il rischio questa grandezza avrà segno negativo
attuare; i fabbisogni relativi ai programmi di investimento (CAPEX); e i flussi riferibili a interventi di
ristrutturazione (a livello, per esempio, di personale, di infrastrutture informatiche, di filiali). MARIO
MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, La valutazione delle banche: la best practice (anche in tempo di
crisi) p.10.
10
MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial
Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial
Institutions, Wiley, 2014, (p. 118).
23
evidenziando come l’utile netto dovrà essere ridotto in questa misura. Nel caso di
riduzione degli attivi ponderati per il rischio vale il contrario.
𝑃𝑙𝑎𝑛𝑛𝑒𝑑 𝐶ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒 𝑖𝑛 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 = le variazioni dell’ Equity Capital fanno
riferimento invece agli aumenti o riduzioni di capitale pianificati.
Come già discusso precedentemente sussistono delle criticità per quanto concerne la
definizione del capitale reinvestito a fini regolamentari in quanto sovente accade che
le banche eccedano i livelli minimi di patrimonializzazione dettati dal framework di
vigilanza per i motivi già accennati e per condizioni legate a fattori macroeconomici
e di Paese. Queste considerazioni devono essere valutate nel processo di stima degli
FCFE. Di seguito sono riportati i tre principali approcci Cash Flow to Equity per la
valutazione delle banche11
:
Anche in questo caso risulta utile implementare la formula attraverso la correzione
per l’excess capital, in modo tale da considerare il potenziale capitale distribuibile
agli azionisti. In formule12
:
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 = 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 (𝑑𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡)𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 + 𝐷𝐶𝐹 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
11
MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial
Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial
Institutions, Wiley, 2014, (p.119).
12
MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial
Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial
Institutions, Wiley, 2014, (p.120).
Model design Formula
One-stage
Two-stages
Year-by-year
TABELLA2
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 =
𝐹𝐶𝐹𝐸1
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = ∑
𝐹𝐶𝐹𝐸0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑡
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑡
+
𝐹𝐶𝐹𝐸0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
× (1 + 𝑔𝑠)
𝐾𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛
𝑛
𝑡=1
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = ∑
𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑡
+
𝐹𝐶𝐹𝐸 𝑛+1
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛
𝑛
𝑡=1
24
Al fine di una corretta applicazione del modello è necessario tener conto dell’impatto
che un eventuale excess/deficit capital avrebbe sulla stima dei flussi di cassa. In caso
di surplus la potenziale restituzione agli azionisti dello stesso graverebbe sul flusso di
cassa stimato in termini di una riduzione del margine di interesse13
. Se non si tenesse
conto di queste considerazioni l’effetto del surplus sul valore dell’equity verrebbe
duplicato configurandosi sia come excess capital iniziale sia come elemento
amplificatore del margine di interesse. Considerazioni opposte valgono in caso di
deficit capital.
I due diversi approcci Discounted Cash Flow analizzati fin qui stimano entrambi il
valore dell’Equity come funzione di una sequenza di cash flow disponibili per gli
azionisti. In termini comparativi il DDM si basa su flussi di cassa effettivi per
l’azionista mentre il modello CFE pone l’attenzione su quelli che sono i flussi di
cassa distribuibili, potenziali, ma a fini valutativi considerati come prospetticamente
distribuiti14
. Si può dunque affermare che i due modelli portino ad un medesimo
risultato sulla base dell’assunto che la banca distribuisca tutto il flusso distribuibile
agli azionisti, in questo senso i dividendi eguaglierebbero i Free Cash Flow to
Equity. L’approccio DDM nella pratica viene utilizzato ampiamente a fini valutativi
per quanto concerne le banche. Questo perché gli FCFE non possono essere stimati
senza l’utilizzo di forti assunzioni. Infatti non è richiesta solo la stima dell’utile netto
ma anche una accurata precisione per quanto concerne la previsione della struttura e
dell’evoluzione degli attivi ponderati per il rischio. Inoltre le banche non
distribuiscono tutto l’utile annuale in quanto perseguono politiche di “dividend
smoothing” le quali comportano che i dividendi pagati siano inferiori rispetto a quelli
potenzialmente distribuibili. Questo tipo di politiche mira ad accumulare riserve da
utilizzare in anni non profittevoli al fine di mantenere costanti i dividendi nel medio
termine. Ciononostante la dottrina riconosce i dividendi come la miglior
approssimazione dei cash flow disponibili per gli azionisti. I dividendi sono il
risultato delle politiche di payout di una banca; in questo senso la valutazione di una
banca che adotti politiche di payout conservative attraverso il metodo DDM risulterà
minore rispetto al valore che si otterrebbe utilizzando il metodo CFE. Il caso
13
MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, capitolo 15, (pp.13-14)
14
MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, capitolo 15, (p.15)
25
contrario si verificherebbe nel momento in cui la banca distribuisse dividendi più alti
dei risultati correnti. Dunque per banche che adottino politiche di distribuzione degli
utili rilevanti è consigliato l’utilizzo di modelli DDM. Nel caso invece in cui i
dividendi correnti e attesi non riflettano adeguatamente la profittabilità della banca è
preferito l’utilizzo di modelli CFE. Un’ulteriore precisazione riguardo le politiche di
distribuzione di una banca è che queste sono difficili da prevedere nel lungo termine
soprattutto dalla prospettiva di un’analista esterno. In questo senso in presenza di
forte incertezza sul futuro come ad esempio in periodi di crisi finanziaria il metodo
DDM risulta perdere in termini di affidabilità. Infine è utile soffermarsi su una delle
componenti più importanti dei modelli DCF, il cost of equity. Nella pratica, per
quanto concerne la valutazione di una banca, il modello che viene largamente
utilizzate ai fini di stima del cost of equity è il CAPM. Studi empirici15
hanno
appurato come il CAPM sia il metodo più idoneo applicabile al settore bancario. Il
modello risulta particolarmente efficace soprattutto se la banca oggetto di
valutazione è di grandi dimensioni e largamente diversificata. Questa evidenza trova
riscontro nel fatto che le banche di maggiori dimensioni sono finanziariamente più
evolute e in grado di implementare strategie di hedging che mirano a ridurre
significativamente il rischio specifico, di converso risultano largamente esposte al
rischio sistematico. Di conseguenza a maggiori dimensioni e livelli di
diversificazione verrà associata una maggiore esposizione della banca all’andamento
del mercato e del ciclo economico, e più alto risulterà il beta16
. Ulteriori studi
empirici hanno dimostrato come per quanto concerne il rischio delle banche in
termini di volatilità del titolo azionario, la componente idiosincratica abbia rilevato
una contrazione nel corso del tempo mentre la componente del rischio relativa al
settore ha evidenziato un aumento. Le conclusioni che si traggono da questi studi
vedono un incremento sotto il profilo dell’interdipendenza e dell’esposizione agli
shock di natura settoriale per le banche. In conclusione questi studi evidenziano come
il CAPM sia il modello più idoneo alla stima del cost of equity di una banca e come
15
Per un più ampio approfondimento si rinvia a T. SCHUERMANN, K.STIROH, Visible and Hidden Risk
Factors for Banks, Federal Reserve Bank of New York, Staff Reportn.252, maggio 2006.
16
Per un più ampio approfondimento si rinvia a L.BAELE, O.DE JONGHE, R. VANDER VENNET, Does
the Stock market Value Bank Diversification?, Journal on Banking & Finance, vol.31, n.7, 2007,
(*pp.1999-2024).
26
in virtù di un ruolo rilevante del rischio di settore a discapito di quello idiosincratico
sia utile fare riferimento ad un beta medio di settore a fini valutativi.
1.3.3 Il modello Excess Return:
L’Economic Value Added:
Prima di approfondire questo tipo di approccio è opportuno introdurre il concetto di
Economic Value Added. Si tratta di un modello funzionale a comprendere le
dinamiche relative alla creazione di una performance economica utile sufficiente.
L’obiettivo è comprendere se la società oggetto di valutazione è in grado di generare
un valore economico superiore rispetto al capitale che è stato investito, in altre
parole, se il capitale rende ai conferenti dello stesso più di quanto costa. L’EVA può
essere utilizzato in una duplice accezione. Dal punto di vista della valutazione della
performance in ottica equity l’EVA può essere così tradotto in formule:
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑁𝑒𝑡𝑡𝑜 − 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 > 0
O in altri termini:
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 × (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒) > 0
Questa configurazione può essere adattata per le banche nel seguente modo:
𝐹𝑜𝑛𝑑𝑖 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖 × (𝑅𝐴𝑅𝑂𝐶 − 𝑟𝑒) > 0
L’EVA in ottica performance è uno strumento che risulta efficace solo nel breve
termine. Questo può essere un limite nella misura in cui il manager di una società
valutato attraverso questo modello potrebbe decidere di perseguire risultati positivi
attraverso politiche di sotto-investimento. Gli investimenti infatti concorrerebbero a
deprimere il margine nel corso dell’anno in quanto i risultati sarebbero osservabili
solo nel medio/lungo termine. Per quanto concerne le banche al manager spesso non
vengono consegnate le leve necessarie ad avare un EVA > 0, quali quelle di prezzo o
di tasso.
In ottica di valutazione dell’equity l’EVA in ipotesi steady state assume questa
conformazione:
27
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 +
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 × (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒)
𝑟𝑒
dove:
𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒 = EVA unitario, espressivo del valore assunto dall’EVA per ogni euro di
capitale proprio investito
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜×(𝑅𝑂𝐸−𝑟𝑒)
𝑟𝑒
= Market Value Added, il valore che il mercato
riconosce in più rispetto al capitale proprio.
Si può notare l’analogia tra questo metodo e quello riconosciuto dalla dottrina come
Metodo Misto Patrimoniale-Reddituale, in quanto il valore dell’equity dipende sia
dal patrimonio che dal sovra reddito (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒).
Il modello:
I modelli Discounted Cash Flow analizzati fin ora non consentono di comprendere le
dinamiche legate alla creazione del valore. In questo senso i modelli Residual
Income, conosciuti anche come modelli excess return all’interno della letteratura in
materia, offrono un maggior contributo sotto il profilo informativo per quanto
concerne il processo di creazione del valore. Attraverso questo tipo di modelli è
possibile stimare il valore di una banca sulla base della sua capacità di generare flussi
più alti di quelli che il capitale investito potrebbe generare se fosse investito in altri
asset finanziari con lo stesso profilo di rischio17
. Questi modelli possono essere
implementati in diversi modi ma il principio fondante è che il valore della banca è
dato dalla somma del capitale investito al momento della valutazione e il valore
attuale degli excess returns che ci si aspetta siano generati in futuro. In questo senso
il valore della banca è funzione della capacità della stessa di generare flussi che
eccedano il costo del capitale, cioè di generare degli excess returns, quantificabili
come differenza tra i flussi generati dal capitale investito e il costo del capitale
stesso. Nell’eventualità che questa circostanza non si verifichi il valore eguaglierebbe
17
FEDERICO BELTRAME, DANIELE PREVITALI; Valuing Banks A New Corporate Finance Approach,
2016, (pp.23-24).
28
semplicemente il net asset value18
. Il modello si traduce in formule nel seguente
modo19
:
Dove 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = l’ammontare di equity correntemente investito
e 𝐾𝑒= cost of equity
L’excess return al tempo i può essere alternativamente espresso come:
O
Per completezza vengono di seguito riportati i tre principali approcci excess return
per la valutazione delle banche20
:
18
MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, cap.15, p.16, “Questo modello
stima l’equity value sull’assunto di base secondo il quale il valore corrente (fair value) delle attività al
netto delle passività della banca rappresenterebbe propriamente una misura del capitale economico
se la redditività degli investimenti in essere e di quelli pianificati risultasse in linea con il cost of equity
per la banca stessa”.
19
MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial
Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial
Institutions, Wiley, 2014, (p.121)
20
MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial
Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial
Institutions, Wiley, 2014, (p.121)
29
TABELLA 3
dove : BV = book value dell’equity.
𝑔𝑠 = tasso di crescita stabile
𝑅𝑂𝐸 𝑥 = Return on Equity durante la fase di crescita straordinaria
La differenza tra il modello a due stadi e quello year-to-year è che nel primo caso
viene utilizzato un unico tasso di crescita costante per il primo stadio mentre nel
secondo caso vengono effettuate delle specifiche previsioni per quanto concerne il
ROE di anno in anno durante il periodo di previsione esplicita. Questi tipo di modelli
vengono implementati spesso nella pratica in quanto il ROE rappresenta una misura
di profittabilità chiave per le banche, le quali segnalano spesso all’investitore i target
relativi a questa grandezza e ne garantiscono una semplice reperibilità. Tuttavia la
Banca Centrale Europea (BCE)21
ha fatto emergere alcuni punti deboli riguardo
questa grandezza fondamentale. Nello specifico la BCE fa notare come il ROE non
sia una misura in grado esprimere correttamente la performance futura di una banca e
21
ECB (2010, September) Beyond Roe—How to measure bank performance. Appendix to the report
on EU banking structures.
Model
design Formula
One-
stage
Two-
stages
Year-by-year
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 +
𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝑅𝑒𝑡𝑢𝑟𝑛1
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 + ∑
(𝑅𝑂𝐸 𝑥 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑡−1
(1 + 𝐾𝑒) 𝑡
+
𝑛
𝑡=1
(𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑛
𝐾𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝐾𝑒) 𝑛
𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 + ∑
(𝑅𝑂𝐸𝑡 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑡−1
(1 + 𝐾𝑒) 𝑡
+
𝑛
𝑡=1
(𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑛
𝐾𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝐾𝑒) 𝑛
30
soprattutto non è in grado di offrire una sintesi affidabile degli effetti potenziali dei
rischi e del leveraging e deleveraging sulla futura performance. In questo senso
risulta necessario adottare alcuni accorgimenti nella misurazione del ROE all’interno
del modello in modo tale che tenga conto non solo delle distorsioni contabili ma
anche degli effetti derivanti dalla sostenibilità di strategie a medio-lungo termine, ad
esempio l’erosione del vantaggio competitivo22
. Un’ulteriore considerazione
riguardo questo approccio deve prendere in considerazione la presenza di
excess/deficit capital nella banca oggetto ti valutazione e in questo senso la formula
relativa al valore dell’equity assume dunque questi cambiamenti:
Attraverso questo approccio modificato è necessario apportare ulteriori accorgimenti.
È infatti essenziale prendere in considerazione l’effetto che l’eventuale excess/deficit
capital avrebbe sul ROE. La presenza stabile di excess capital, ad esempio, potrebbe
avere un impatto negativo sul ROE. Al fine di evitare di duplicare l’effetto
dell’excess capital è utile correggere il ROE in questo senso:
dove: EXC = excess capital
𝑟𝑓 = tasso risk-free
𝑡 𝑟 = aliquota fiscale marginale
Un’ulteriore configurazione23
di questo modello viene esposta configurando il valore
dell’equity come somma del suo valore contabile rettificato (BV) e di una
componente di goodwill/badwill (GwBw). In formule:
22
FEDERICO BELTRAME, DANIELE PREVITALI; Valuing Banks A New Corporate Finance Approach,
2016, capitolo 2 Valuation in Banking: Issues and Models, p.25.
23
LUCA ERZEGOVESI, la valutazione delle azioni bancarie nell’era del bail-in, p.87.
31
dove: 𝐸0 =valore dell’equity
e
e dove 𝑅𝑂𝐸 𝑇 = livello atteso di lungo periodo del rendimento sul capitale proprio.
1.3.4 La valutazione relativa:
Questo approccio si basa sul principio di efficienza e liquidità dei mercati. Se questo
assunto è vero allora asset simili caratterizzati dallo stesso profilo di rischio-
rendimento dovrebbero presentare prezzi simili sul mercato. Attraverso questo
metodo è possibile stimare il prezzo di un’azione dal prodotto tra un driver di valore,
identificabile in una grandezza economica/finanziaria di bilancio, e un parametro di
valore relativo identificato in un multiplo. L’apparente semplicità del metodo si
scontra con le consistenti assunzioni e analisi che devono essere poste in essere in
modo tale da realizzare una accurata valutazione. Il valore di una banca viene dunque
stimato attraverso il valore di banche simili. È necessario in questi termini definire
un campione di comparables. Quest’ultimo deve essere composto da banche che
presentino similitudini sotto il profilo del modello di business, diversificazione,
redditività, efficienza, crescita. Risulta evidente la presenza di un trade-off tra il
numero di banche incluse nel campione e la rigidità dei criteri utilizzati nel
selezionare le comparables. Viene dunque demandata alla competenza del valutatore
nel scegliere le banche più idonee alla formazione del campione l’accuratezza e la
qualità della valutazione. A causa, dunque, di un elevata probabilità di incorrere in
un’inadeguata valutazione nella prassi valutativa questo tipo di metodo viene
utilizzato a fini di controllo più che come approccio principale per la valutazione.
Nella prassi i multipli più utilizzati al fine di valutare il prezzo delle azioni sono il
Price Earnings Ratio (PE) e il Price to Book Value Ratio (PBV). Prima di entrare nel
merito è utile effettuare qualche ragionamento riguardo al numeratore e al
denominatore dei multipli in questione. Prendendo ad esempio il PE Ratio il
32
numeratore può essere rappresentato dal prezzo ultimo coincidente con la chiusura
del bilancio o una media dei prezzi dei 6/12 mesi antecedenti in modo da filtrare
eventuali distorsioni legate alla volatilità del prezzo. Per quanto concerne il
denominatore quest’ultimo risulta un fattore discriminante nella classificazione dei
multipli:
 Se si considerano gli utili dell’ultimo bilancio il multiplo verrà qualificato
come current.
 Se si considera l’utile dei dodici mesi precedenti allora il multiplo sarà
trailing.
 Se si considera l’utile prospettico atteso il multiplo sarà qualificato come
leading.
Per quanto concerne il PE Ratio nella prassi viene sovente effettuata una rettifica al
denominatore del multiplo in quanto si preferisce considerare gli adjusted earnings
per share corretti per le eventuali componenti straordinarie. Un’ulteriore tecnica
utilizzata nella prassi a fini valutativi è quella di enucleare il multiplo attraverso un
equazione che ne espliciti i fondamentali. In questo senso risulta semplice applicare i
fondamentali medi ottenuti dalle comparables all’equazione e generare il multiplo
che moltiplicato al driver di valore scelto consentirà di ottenere il valore dell’equity
della banca. Il multiplo può essere ricostruito partendo dal modello di crescita stabile
seguente:
𝑃0 =
𝐷𝑃𝑆1
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Che equivale a:
𝑃0 =
𝐸𝑃𝑆1 × 𝑝𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Dove 𝑝𝑠 = payout ratio in crescita stabile
Attraverso queste formule è dunque possibile ricavare il PE Ratio sia in ottica
current che forward:
33
𝑃0
𝐸𝑃𝑆0
=
(1 + 𝑔𝑠) × 𝑝𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
𝑃0
𝐸𝑃𝑆1
=
𝑝𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Queste relazioni in caso di assenza di crescita comportano la seguente configurazione
del multiplo:
𝑃0
𝐸𝑃𝑆1
=
𝑃0
𝐸𝑃𝑆0
=
𝑝𝑠
𝑘 𝑒
Nel caso di crescita positiva invece, posto 𝑝 = 1 − 𝑔/𝑅𝑂𝐸, la relazione può essere
riscritta entro questi termini:
𝑃0
𝐸𝑃𝑆1
=
1 −
𝑔𝑠
𝑅𝑂𝐸𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Se la banca oggetto di valutazione si trova in una fase di crescita stabile le formule
fin qui presentate sono utili alla stima del multiplo da applicare al driver di valore
scelto al fine di individuare il prezzo dell’azione in ultima analisi. Nel caso in cui la
banca attraversasse 𝑛 periodi di crescita straordinaria 𝑔 𝑥 caratterizzati da un payout
ratio 𝑝 𝑥 per poi equilibrarsi in una fase di crescita stabile allora la procedura per
giungere al multiplo PE dovrebbe seguire i seguenti passaggi:
𝑃0 =
𝐸𝑃𝑆0 × 𝑝 𝑥 × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 −
(1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛]
𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥
+
𝐸𝑃𝑆0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
× 𝑝𝑠 × (1 + 𝑔𝑠)
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛
Che culmina nella seguente formula decomposta del multiplo PE current:
𝑃0
𝐸𝑃𝑆0
=
(1 −
𝑔 𝑥
𝑅𝑂𝐸 𝑥
) × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 −
(1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛]
𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥
34
+
(1 −
𝑔𝑠
𝑅𝑂𝐸𝑠
) × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
× (1 + 𝑔𝑠)
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛
Analoghi ragionamenti possono essere applicati al multiplo PBV. Per cui partendo
dal multiplo PE forward esplicato nei suoi fondamentali, e ricordando che 𝐸𝑃𝑆1 =
𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸1, si ha che:
𝑃0
𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸1
=
𝑝𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Dalla quale si ottiene:
𝑃0
𝐵𝑉0
=
𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝑔𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Ed infine:
𝑃0 = 𝐵𝑉0 ×
𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝑔𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
Quest’ultima formula non è nient’altro che il Warranted Equity Method già
analizzato precedentemente. Analogamente per quanto concerne il Price Tangible
Book Value, in presenza o meno di crescita, si ottengono le seguenti formule:
𝑃0
𝑇𝐵𝑉0
=
𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠 − 𝑔𝑠
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
e
𝑃0
𝑇𝐵𝑉0
=
𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠
𝑘 𝑒
Dove 𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠= Return On Tangible Equity. Anche in questo caso in presenza di un
periodo di 𝑛 anni caratterizzato da una crescita straordinaria e un successivo periodo
di crescita stabile la formula assume questi mutamenti:
𝑃0
𝐵𝑉0
= 𝑅𝑂𝐸 ×
𝑝 𝑥 × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 −
(1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛]
𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥
35
+
𝑅𝑂𝐸 × [
𝑝𝑠 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛
× (1 + 𝑔𝑠)
𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠
]
(1 + 𝑘 𝑒) 𝑛
Ancora una volta è necessario trattare il tema dell’excess capital. Se infatti la banca
oggetto di valutazione presenti del capitale in eccesso i ratio appena illustrati
necessitano di alcune correzioni:
 Il PBV (come il PTBV) deve prevedere delle riduzioni sia al numeratore che
al denominatore pari all’excess capital.
 Il PE vede al numeratore una riduzione di importo pari all’ excess capital
mentre al denominatore gli EPS devono tener conto della parte di utili
riconducibile al capitale in eccesso stesso, assunto che questo venga investito
in assets risk-free.
“Questa modalità di impiego dei multipli è più corretta in quanto coglie meglio la
valorizzazione di mercato di quella porzione dell’equity ritenuta effettivamente
“produttiva” nella gestione della banca”24
. Queste conclusioni però vengono
confutate dalla dottrina (Michele Rutigliano25
) che evidenzia come non sussistano
certezze riguardo al fatto che il capitale in eccesso sia una porzione del patrimonio
netto differentemente produttiva rispetto al patrimonio minimo di vigilanza. Inoltre
non convince l’operazione di sottrazione di una medesima quantità sia al numeratore
che al numeratore in quanto nell’ipotesi in cui il multiplo sia superiore all’unità verrà
generato un multiplo corretto al rialzo, accadrà il contrario nel caso il multiplo sia
inferiore all’unità.
Ulteriori multipli funzionali a questo approccio sono presentati nella tabella
seguente:
24
MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, La valutazione delle banche: la best practice (anche in tempo
di crisi). P.16.
25
MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, cap.15, p.21.
36
TABELLA 4
Un’ulteriore approccio assimilabile a quello dei multipli viene chiamato “Equity
Value Map”. Il metodo viene implementato, per un campione di comparables,
attraverso una regressione, lineare o quadratica, di una variabile espressiva della
redditività della banca quale il ROE e il multiplo Price to Book Value, espressivo a
sua volta della valorizzazione di mercato. La consistenza e l’affidabilità dei risultati
dipendono dal valore assunto dal quadrato del coefficiente di correlazione (𝑅2
)
caratterizzante la regressione. Attraverso la Value Map è possibile ottenere una
prima immediata indicazione di sovra/sottovalutazione del titolo. Se infatti la banca
oggetto di valutazione si posiziona al di sopra della retta di regressione ciò significa
che per quel dato livello di redditività il P/BV Ratio è alto e in questo senso è
Multiple Driver Per share multiple = Equity multiple
Price/Earnings (P/E) Earnings
Price/Book Value (P/BV) Book Value of the Equity
Price/Tangible Book
Value (P/TBV)
Tangible Book Value
(=Book Value of
the Equity - Intangible
Assets)
Price/Deposits Deposits
Price/Revenues Revenues
Price/Operating Income
Operating Income before
Extraordinary
Items and Taxes
Price/Net Asset Value
(P/NAV)
Net Asset Value
Price/Pre-Provision-Profit
(P/PPP)
Total net revenue less non
interest
expense
Price/Assets Under
Management (P/AUM)
Assets Under Management
P/Branches Number of branches
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝐸𝑎𝑟𝑛𝑖𝑛𝑔𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑁𝑒𝑡 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝐵𝑉 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝐵𝑉
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑇𝐵𝑉 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑇𝐵𝑉
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝐷𝑒𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝐷𝑒𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑠
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑅𝑒𝑣𝑒𝑛𝑢𝑒𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑅𝑒𝑣𝑒𝑛𝑢𝑒𝑠
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑂𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑂𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑁𝐴𝑣 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑁𝐴𝑉
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑃𝑟𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛 𝑃𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖 𝑜 𝑛
𝑃𝑟𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝐴𝑈 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝐴𝑈
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
𝑁𝑢𝑚𝑏𝑒𝑟 𝑜𝑓 𝑏𝑟𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒
=
𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛
𝑁𝑢𝑚𝑏𝑒𝑟 𝑜𝑓 𝑏𝑟𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒𝑠
37
ragionevole attendersi una potenziale correzione al ribasso del prezzo del titolo. Il
ragionamento è inverso in caso contrario. Questo tipo di approccio è maggiormente
improntato all’individuazione di titoli sovra/sotto stimati in un ottica di investimento
piuttosto che ad una valutazione di una banca. In questo senso però nella pratica
sovente accade che vengano utilizzati i parametri ottenuti dalla regressione al fine di
ottenere il valore del multiplo della banca oggetto di valutazione. In formule:
𝑃
𝐵𝑉
= 𝑎 + 𝑏 × 𝑅𝑂𝐸 + 𝜀
Dove a e b rappresentano i parametri della regressione effettuata su un campione di
comparables, nello specifico a è l’intercetta mentre b è il coefficiente angolare. In
questo senso è semplice ottenere il multiplo della target applicando i parametri
stimati alla variabile indipendente:
𝑃
𝐵𝑉 𝑡𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡
= 𝑎 + 𝑏 × 𝑅𝑂𝐸𝑡𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡
38
1.3.5 L’approccio Sum of Parts:
La maggior parte delle banche presenti nel mondo oggi sono multi-business. Le aree
d’affari sulle quali ciascuna banca può insistere contemporaneamente spaziano dal
retail banking (gamiglie e piccole/medie imprese), al corporate banking (gradi
imprese e multinazionali), all’ investment banking, all’ asset management. La
presenza di aree d’affari indipendenti ha ripercussioni sull’attività di valutazione di
una banca. Le diverse aree d’affari possono presentare differenze significative sotto
il profilo della redditività, della crescita, dei rischi, degli assorbimenti patrimoniali
delle prospettive, delle strategie. Nella prassi valutativa dunque risulta utile questo
approccio nel caso in cui la banca presenti differenti aree di business. La valutazione
di queste ultime può essere effettuata attraverso un metodo unico o più metodi, in
entrambi i caso il processo valutativo porterà all’emersione ci ciascun contributo al
valore per ogni singola area d’affari. Le criticità più rilevanti all’applicazione di
questo approccio risiedono nell’efficienza informativa che caratterizza la banca
oggetto di valutazione. È evidente infatti come solo attraverso una completa ed
esaustiva disponibilità di informazioni relativa a ciascuna area d’affari e segmento
geografico sia possibile far emergere il contributo di ogni business area al processo
valutativo. In questo senso il principio IFRS 8 viene in aiuto degli analisti esterni26
.
Proprio la necessità di disporre di un elevato database al fine di implementare una
valutazione corretta della banca rappresenta il limite più evidente di questo tipo di
approccio.
26
“Un'entità deve fornire le informazioni che consentono agli utilizzatori del sul bilancio di valutare
la natura e gli effetti sul bilancio delle attività imprenditoriali che intraprende e i contesti economici
nei quali opera.”(IFRS 8, §1). Un settore operativo è una componente di un'entità: a) che
intraprende attività imprenditoriali generatrici di ricavi e di costi (compresi i ricavi e i costi
riguardanti operazioni con altre componenti della medesima entità); b) i cui risultati operativi sono
rivisti periodicamente al più alto livello decisionale operativo dell'entità ai fini dell'adozione di
decisioni in merito alle risorse da allocare al settore e della valutazione dei risultati; e c) per la quale
sono disponibili informazioni di bilancio separate. Un settore operativo può intraprendere attività
imprenditoriali dalle quali non ha ancora ottenuto ricavi: le attività in fase di avviamento (start-up)
possono essere, ad esempio, settori operativi prima della generazione di ricavi. (IFRS 8, §5).
39
2. OPPORTUNITÀ DI CRESCITA:
L’analisi delle opportunità d crescita non può prescindere da una revisione della
disciplina opzionistica che raffronti le dinamiche comuni e contrastanti riguardo le
categorie delle opzioni finanziarie e delle opzioni reali. Se quest’ultime necessitano
un più ampio approfondimento, le prime verranno velocemente richiamate nel box di
seguito:
2.1 Cenni disciplinari:
Il termine opzione fa riferimento nel gergo comune alla facoltà di scelta tra più alternative.
Un’opzione finanziaria, invece, è definita come un contratto tra due parti che conferisce
all’acquirente, previo pagamento di un premio effettuabile a pronti o a termine, il diritto ma non
l’obbligo di acquistare (opzione di acquisto o call option) ovvero di vendere (opzione di vendita o put
option) un determinato quantitativo di attività sottostante (underlyng asset) ad un prezzo prefissato
(prezzo di esercizio dell’opzione o strike price) ad una certa data (opzione europea) ovvero entro una
certa data (opzione americana). La differenza sostanziale con altri tipi diversi di contratti derivati
(forwards, futures, swaps) è che attraverso le opzioni l’acquirente ha la facoltà e non l’obbligo di
acquistare o vendere l’attività sottostante. Il soggetto che acquista l’opzione pagando il premio e
ottenendo il diritto a riservarsi della facoltà di acquistare o vendere il sottostante è detto holder. Di
converso, il soggetto che vende l’opzione e quindi si obbliga ad adempiere alla volontà della
controparte, è detto writer. Quest’ultimo avrà l’obbligo dunque di acquistare l’attività sottostante nel
caso di opzione put, di venderla nel caso di opzione call. Il contratto di opzione prevede che l’holder
possa far valere il proprio diritto all’esercizio solo una volta e in un periodo di tempo stabilito. Nel
caso in cui questo periodo coincida con il lasso temporale tra il momento della stipula del contratto ed
una data futura definita come scadenza o maturità dell’opzione, la stessa sarà detta americana. Nel
caso invece in cui l’esercizio dell’opzione possa avvenire solo ed unicamente a scadenza della stessa,
l’opzione verrà detta europea. Per quanto concerne il sottostante questo può essere caratterizzato da
attività finanziarie quali azioni, titoli a reddito fisso, altri derivati; o da attività reali. I mercati sui quali
questi strumenti vengono scambiati possono essere quelli regolamentati o le transazioni possono
avvenire anche al di fuori di questi; si distinguono dunque le exchange-traded-options dalle over-the-
counter-options. Al fine di comprendere le finalità legate al possesso di opzioni è utile analizzare il
trade-off tra la detenzione di un’unità di sottostante e la detenzione di un’ opzione call su quella
attività sottostante con prezzo di esercizio pari al prezzo corrente del sottostante. Ambe due le
alternative consentono di sfruttare il rialzo del prezzo del sottostante ma solo l’holder dell’opzione
risulterà protetto dall’eventuale caduta dei prezzi del’attività sottostante mentre il possessore della sola
unità di sottostante risulterà esposto alle fluttuazione negative della stessa. Risulta evidente dunque la
funzione speculativa di un’ opzione call per investitori con aspettative di rialzo del prezzo del
sottostante. Di converso la detenzione di un’opzione di vendita anziché la vendita diretta del
40
sottostante garantisce una protezione dall’eventualità che si verifichino fluttuazioni del prezzo del
sottostante al rialzo. In questo senso l’opzione put adempirà ad una finalità speculativa per
l’investitore con aspettative di ribasso del prezzo del sottostante. Risulta ora indispensabile analizzare
il saldo netto a scadenza di posizioni in opzioni. Posto 𝐴 𝑇 come prezzo corrente a maturità T
dell’attività sottostante e K come prezzo di esercizio dell’opzione il saldo netto a scadenza per quanto
concerne l ‘holder di una call è espresso dalla seguente formula:
𝐶 𝑇 = max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0)
Il saldo netto a scadenza è dunque pari alla differenza tra il prezzo dell’attività sottostante a scadenza
e il prezzo di esercizio dell’opzione nel caso in qui questa sia positiva, è nullo in caso contrario.
Nell’ipotesi in cui 𝐴 𝑇 − 𝐾 > 0 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione. Pagherà dunque il
prezzo di esercizio K e realizzerà un guadagno pari alla differenza 𝐴 𝑇 − 𝐾. Nel caso in cui 𝐴 𝑇 − 𝐾 <
0 l’holder non avrà convenienza ad esercitare l’opzione. Graficamente in un piano cartesiano avente
in ascissa i valori dei prezzi dell’attività sottostante e in ordinata il valore del saldo netto a scadenza si
può notare come il grafico che si ottiene, rappresentativo del saldo 𝐶 𝑇 = max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0), sia
rappresentato da una spezzata che coincide con l’asse delle ascisse per valori del prezzo dell’attività
sottostante compresi tra 0 e K e prosegue sulla retta inclinata a 45 gradi che parte dal punto di ascissa
𝐴 𝑇 superiori aK per valori di
K.
TABELLA 5
41
Il saldo netto a scadenza per quanto concerne l’holder di una put è rappresentato dalla seguente
formula:
𝑃𝑇 = max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0)
Il saldo netto a scadenza è dunque pari alla differenza tra il prezzo di esercizio dell’opzione K e il
prezzo dell’attività sottostante a scadenza nel caso in cui questa sia positiva, è nullo in caso contrario.
Infatti se a scadenza si verifica che 𝐴 𝑇 < 𝐾 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione andando
a comprare sul mercato l’attività sottostante e rivendendola immediatamente al writer ottenendo un
guadagno pari a 𝐾 − 𝐴 𝑇. In caso contrario, cioè quando 𝐴 𝑇 > 𝐾 l’holder non avrà convenienza ad
esercitare l’opzione. Graficamente in un piano cartesiano avente in ascissa i valori dei prezzi
dell’attività sottostante e in ordinata il valore del saldo netto a scadenza si può notare come il grafico
che si ottiene, rappresentativo del saldo 𝑃𝑇 = max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0), sia rappresentato da una spezzata
composta da un segmento inclinato negativamente che si proietta dal punto di ordinata K all’asse delle
ascisse e successivamente coincidente con l’asse delle ascisse per valori del prezzo dell’attività
sottostante superiori a K.
TABELLA 6
Il saldo netto delle posizioni in opzioni del writer è l’opposto rispetto a quello dell’holder. In formule:
−𝐶 𝑇 = − max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0) , per il writer di un’opzione call
−𝑃𝑇 = − max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0) , per il writer di un’opzione put
Invero, nel primo caso, in ipotesi di (𝐴 𝑇 − 𝐾) > 0 l’opzione verrà esercitata dall’ holder e il writer
avrà l’obbligo di acquistare l’attività sottostante sul mercato e vendergliela al prezzo di esercizio K,
42
conseguendo una perdita pari a (𝐴 𝑇 − 𝐾). Di converso l’opzione non verrà esercitata da parte
dell’holder e il saldo a scandeza per il writer sarà nullo. Nel secondo caso, invece, nell’ipotesi in cui
(𝐴 𝑇 − 𝐾) < 0 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione e venderà l’attività sottostante al
writer al prezzo di esercizio K lucrando la differenza tra quest’ultimo e il prezzo dell’attività
sottostante. Il saldo per il writer sarà negativo e pari alla differenza tra i due prezzi. Nell’ipotesi in cui
(𝐴 𝑇 − 𝐾) > 0 l’holder non avrà convenienza ad esercitare l’opzione e il saldo per il writer sarà nullo.
Graficamente i saldi netti a scadenza dei writers di opzioni si realizzano attraverso il capovolgimento
ripsetto all’asse delle ascisse dei grafici dei saldi netti a scadenza degli holders.
Inoltre le opzioni possono assumere diverse qualifiche tra le quali at-the-money (ATM), in-the-money
(ITM) e out of the money (OTM) a seconda della posizione dello strike price rispetto al prezzo
corrente del sottostante. A titolo esemplificativo nel caso di una opzione call; definito il prezzo call, o
punto di pareggio, come il prezzo strike maggiorato del premio pagato per l’acquisto dell’opzione
stessa, si evidenziano i tre seguenti scenari:
1. Il prezzo di mercato del sottostante è inferiore allo strike price; l’opzione call è detta out-of-
the-money.
2. Il prezzo di mercato del sottostante è uguale allo strike price; L’opzione assuma la qualifica
at-the-money.
3. Il prezzo di mercato del sottostante è maggiore al prezzo call; l’opzione si dice in-the-money.
43
2.2 I modelli valutativi:
2.2.1 Black-Scholes27
:
In passato ci sono state delle difficoltà nel perseguire l’obiettivo di definizione di un
prezzo teorico in grado di spiegare le quotazioni di mercato di un’opzione anche nel
caso più favorevole ovvero il caso di un’opzione Call o Put europea su un’attività
priva di costi e frutti fino a scandeza. Questo obiettivo è invece raggiungibile
attraverso l’assunzione di ipotesi favorevoli sul funzionamento dle sistema
economico entro il quale le attività sottostanti sono confinate. La definizione di un
prezzo teorico univocamente determinato alla luce del solo principio di assenza di
opportunità di arbitraggio non rischioso è possibile nel momento in cui il sistema
economico permetta un processo chiamato duplicazione sintetica dell’opzione.
Questo tipo di processo consta nella replicazione del valore dell’opzione durante
tutto l’intervallo temporale lungo il quale è interessata finoa scadenza, attraverso una
combinazione di altre attività quotate sui mercati. In questo senso il prezzo teorico
corrente dell’opzione sarà uguale al prezzo corrente del portafoglio replicante. Il
processo di duplicazione è reso possibile attraverso alcune assunzioni riguardanti
l’evoluzione nel tempo del prezzo dell’attività sottostante l’opzione e la struttura dei
tassi di interesse. A tal proposito un’assunzione ormai classica in questo senso è
quella di una struttura piatta e invariante nel tempo per quanto concerne i tassi di
interesse, perlomeno fino a scadenza dell’opzione; e quella di evoluzione del prezzo
dell’attività sottostante descritta da un processo diffusivo lognormale, che meglio
approssima l’evoluzione dle prezzo di attività azionarie e simili. In questo senso il
prezzo di una opzione call su azioni e attività affini prive di frutti perlomeno fino a
scandeza è rappresentato dalla seguente formula chiusa che prende il nome dai due
studiosi Black e Scholes che la elaborarono in un articolo del 1973 pubblicato sul
Journal of Political Economy:
𝐶𝑡 = 𝐴 𝑡 ∙ 𝑁(𝑑1) − 𝐾 ∙ 𝑒−𝛿∙(𝑇−𝑡)
∙ 𝑁(𝑑2)
Dove:
27
BLACK, F. and SCHOLES, M. “The Pricing of Options and Corporate Liabilities”, Journal of Political
Economy 81 (1973), pp. 637-654.
44
𝐴 𝑡 = prezzo corrente dell’attività sottostante
K = prezzo di esercizio
𝛿 = intensità istantanea di interesse
(T-t) = tempo residuo alla scadenza dell’opzione
N(y) = Il valore assunto in y dalla funzione di ripartizione di una distribuzione
normale standard. In altri termini il valore la probabilità che una distribuzione
normale di media 0 e varianza 1 assuma una determinazione non superiore a y.
Inoltre 𝑑1 e 𝑑2 sono valori dipendenti dai parametri del probelma secondo le seguenti
formule:
𝑑1 =
𝑙 𝑛(𝐴 𝑡 /𝐾) + (𝛿 + 𝜎2
/2) ∙ (𝑇 − 𝑡)
𝜎 ∙ √(𝑇 − 𝑡)
𝑑2 = 𝑑1 − 𝜎√(𝑇 − 𝑡)
Dove:
𝜎 = volatilità del processo lognormale dell’attività sottostante
𝛿 = intensità istantanea di interesse, legata al fattore di attualizzazione 𝑣 dalla
𝛿 = −ln(𝑣)
Attraverso la relazione di parità Put-Call per opzioni europee è facilmente ottenibile
la corrispondente espressione chiusa del prezzo teorico di un’omologa opzione put
europea. È utile evidenziare infine come ad eccezione della volatilità tutti i parametri
presenti nella formula di Black-Scholes sono oggetivamente ed inequivocabilmente
deducibili da prezzi di mercato o da condizioni contrattuali. Per uanto concerne la
volatilità, che rappresenta un amisura della variabilità nel tempo dei prezzi delle
attività finanziarie è per molte attività un parametro sufficientemente regolare nel
tempo e del quale esisotno stime molto soddisfacenti.
45
2.2.2 Modello di Cox-Ross28
uniperiodale:
Prima di descrivere il modello valutativo è necessario porre in essere alcune
assunzioni: l’ipotesi di mercato perfetto e quella di assenza di opportunità di
arbitraggio (AOA). Per quanto concerne la prima devono essere soddifatti i seguenti
requisiti:
 Ad ogni istante esistono agenti sul mercato disposti a comprare e vendere
titoli
 Infinita divisibilità dei titoli
 Le possibilità di vendita allo scoperto sono illimitate
 I titoli non presentano frutti
 Non sussistono costi di transizione e imposte
 È presente un titolo non rischioso con un tasso annuo di interesse certo noto e
costante r (intensità istantanea di interesse)
In presenza di ipotesi di AOA che presentino uno stesso valore in una data futura T,
devono avere lo stesso valore in tutte le date intermedia 0<t<T.
Entriamo dunque nel merito del modello valutativo: sul mercato sono presenti due
attività:
 Un’attività rischiosa (es. un’azione) H1: 0 < d < 1 < u
Posto Ω = {𝐻, 𝑇} e 𝜔 ∈ Ω;
Il valore all’epoca 1 del titolo rischioso è:
𝑆1(𝜔) = {
𝑆1(𝐻) = 𝑆0 𝑢
𝑆1(𝑇) = 𝑆0 𝑑
28
COX J., ROSS S., RUBINSTEIN M. (1979), Option pricing: a simplified approach, Journal of financial
economics, vol. 7, issue 3, p. 229-263.
46
 Un’attività non rischiosa (es. un BOT) H2: d < 1 + R < u
Con: R tasso annuo di interesse
Ipotizzando di considerare un’opzione
europea sull’attività rischiosa con stike K e
maturità 1, il valore dell’opzione all’epoca 1 è
descritto attraverso la seguente formula:
𝑉1(𝜔) = {
𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆1(𝜔) − 𝐾} = (𝑆1(𝜔) − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝐶𝑎𝑙𝑙
𝑚𝑎𝑥{0, 𝐾 − 𝑆1(𝜔)} = (𝐾 − 𝑆1(𝜔))+ 𝑠𝑒 𝑃𝑢𝑡
Con 𝑉1 = payoff dell’opzione.
Nel caso di opzione call si avrà:
𝑉1(𝜔) = {
𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆0 𝑢 − 𝐾} = (𝑆0 𝑢 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻
𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆0 𝑑 − 𝐾} = (𝑆0 𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇
Se intendiamo vendere un’opzione call per 𝑉0 euro all’epoca 0, a scadenza avremo
l’obbligo di rendere:
𝑉1(𝜔) = {
(𝑆0 𝑢 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻
(𝑆0 𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇
Al fine di calcolare 𝑉0 è necessario replicare il valore del derivato costruendo un
portafoglio di copertura dinamica. Il portafoglio è identificabile in una coppia (𝛼, 𝛽)
∈ ℝ2
dove:
 𝛼 è la quantità di titolo rischioso detenuta al’epoca 0
 𝛽 è la quantità di titolo non rischioso detenuto all’epoca 0
47
Il valore del portafoglio all’epoca 0 è:
𝑉0
̂ = 𝛼𝑆0 + 𝛽 → 𝛽 = 𝑉0
̂ − 𝛼𝑆0
Afini di copertura a scadenza deve valere la seguente formula:
𝑉1
̂ (𝜔) = 𝑉1(𝜔)
Inoltre per l’ipotesi di assenza di opportunità di arbitraggio (AOA) segue che:
𝑉0
̂ = 𝑉0
Il valore del portafoglio all’epoca 1 è:
{
(∗) 𝛼𝑆1(𝐻) + 𝛽(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻)
𝛼𝑆1(𝑇) + 𝛽(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝑇)
Si risolve il sistema nelle incognite 𝑉0, 𝛼 𝑒 𝛽 ottenendo:
𝛼̂ =
𝑉1(𝐻) − 𝑉1(𝑇)
𝑆1(𝐻) − 𝑆1(𝑇)
𝛽̂ = 𝑉0 − 𝛼̂𝑆0
Ora è possibilie il calcolo di 𝑉0
Dalla (*) si ha:
𝛼̂𝑆1(𝐻) + (𝑉0 − 𝛼̂𝑆0) (1 + 𝑅) = 𝛼̂𝑆1(𝐻) + 𝑉0(1 + 𝑅) − 𝛼̂𝑆0(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻)
𝑉0 =
1
(1 + 𝑅)
[𝑉1(𝐻) − 𝛼̂𝑆1(𝐻) + 𝛼̂𝑆0(1 + 𝑅)]
=
1
(1 + 𝑅)
[𝑉1(𝐻) + 𝛼̂(𝑆0(1 + 𝑅) − 𝑆0 𝑢)]
Con una serie di passaggi matematici si giunge a questa formula:
𝑉0 =
1
(1 + 𝑅)
[
((1 + 𝑅) − 𝑑)
(𝑢 − 𝑑)
𝑉1(𝐻) +
(𝑢 − (1 + 𝑅))
(𝑢 − 𝑑)
𝑉1(𝑇)]
Posti:
48
𝑞 =
(1 + 𝑅) − 𝑑
(𝑢 − 𝑑)
E
𝑞̂ =
𝑢 − (1 + 𝑅)
(𝑢 − 𝑑)
Il prezzo di un’opzione Call all’epoca 0 in ipotesi di AOA è:
𝑉0 =
1
(1 + 𝑅)
[𝑞𝑉1(𝐻) + 𝑞̂𝑉1(𝑇)] = 𝐸 𝑞 [
1
(1 + 𝑅)
𝑉1]
È utile osservare, inoltre, che avendo supposto (H2: d < 1 + R < u)
𝑞 =
(1 + 𝑅) − 𝑑
(𝑢 − 𝑑)
> 0 𝑒 𝑞̂ =
𝑢 − (1 + 𝑅)
(𝑢 − 𝑑)
> 0
𝑞 + 𝑞̂ = 1
q è detta probabilità neautrale al rischio.
Inoltre:
𝐸 𝑞 [
1
(1 + 𝑅)
𝑉1]
Questa formula spiega come il prezzo effettivo corrente sia dato dalla speranza
matematica, secondo la probabilità neutrale al rischio, del valore attuale al tasso non
rischioso dei prezzi di fine periodo.
Ovvero
𝐸 𝑞 [
𝑉1
𝑉0
] = (1 + 𝑅)
Questa formula spiega come la speranza matematica del rendimento di ogni attività è
pari al rendimento dell’attività non rischiosa.
49
Il modello può dunque essere complicato andando a considerare un orizzonte bi-
periodale. In questo scenario il mercato sarà caratterizzato da due attività:
 Un’attività rischiosa (es. un’azione) H1: 0 < d < 1 < u
Posto Ω = {𝐻𝐻, 𝐻𝑇, 𝑇𝐻, 𝑇𝑇} e 𝜔 ∈ Ω i quattro possibili stati di natura 𝜔 = (𝜔1, 𝜔2).
Il valore all’epoca 2 del titolo rischioso è:
𝑆2(𝜔) = {
𝑆2(𝐻𝐻) = 𝑆0 𝑢2
𝑆2(𝐻𝑇) = 𝑆2(𝑇𝐻) = 𝑆0 𝑢𝑑
𝑆2(𝑇𝑇) = 𝑆0 𝑑2
 Un’attività non rischiosa (es. un
BOT) H2: d < 1 + R < u
Ipotizzando di considerare un’opzione europea Call sull’attività rischiosa con stike K
e maturità 2, il valore dell’opzione all’epoca 2 è descritto attraverso la seguente
formula:
𝑉2(𝜔) = {
(𝑆0 𝑢2
− 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻𝐻
(𝑆0 𝑢𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻𝑇 𝑜 𝜔 = 𝑇𝐻
(𝑆0 𝑑2
− 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇𝑇
50
Al fine di calcolare 𝑉0 è necessario replicare il valore del derivato costruendo un
portafoglio di copertura dinamica. A tal fine valgono le assunzioni precedentemente
illustrate per il modello mono-periodale.
Il valore del portafoglio all’epoca 0 è:
𝑉0
̂ = 𝛼𝑆0 + 𝛽0 → 𝛽0 = 𝑉0
̂ − 𝛼𝑆0
Il valore del portafoglio all’epoca 1 è: (1)
{
(1) 𝑉1
̂(𝐻) = 𝛼0 𝑆1(𝐻) + (𝑉0 − 𝛼𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝛼0 𝑆0 𝑢 + (𝑉0 − 𝛼0 𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻
(2) 𝑉1
̂ (𝑇) = 𝛼0 𝑆1(𝑇) + (𝑉0 − 𝛼𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝛼0 𝑆0 𝑑 + (𝑉0 − 𝛼0 𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝑇)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇
In questo senso 𝑉1
̂ dipende da 𝜔1.
Con il nuovo importo 𝑉1
̂ costruisco un nuovo portafoglio il cui valore all’epoca 1 è:
𝑉1
̂ = 𝛼1 𝑆1 + 𝛽1 → 𝛽1 = 𝑉1
̂ − 𝛼1 𝑆1
Con 𝛼1, 𝛽1 𝑒 𝑆1 che dipendono da 𝜔1. Si parla dunque di ribilanciamento di
portafoglio. Il valore del portafoglio (𝑉2
̂ ) all’epoca 2 è dunque:
{
(3) 𝑉2
̂ (𝐻𝐻) = 𝛼1(𝐻)𝑆2(𝐻𝐻) + (𝑉1(𝐻) − 𝛼1(𝐻)𝑆1(𝐻))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝐻𝐻)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻 𝑒 𝜔2 = 𝐻
(4) 𝑉2
̂ (𝐻𝑇) = 𝛼1(𝐻)𝑆2(𝐻𝑇) + (𝑉1(𝐻) − 𝛼1(𝐻)𝑆1(𝐻))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝐻𝑇)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻 𝑒 𝜔2 = 𝑇
(5) 𝑉2
̂ (𝑇𝐻) = 𝛼1(𝑇)𝑆2(𝑇𝐻) + (𝑉1(𝑇) − 𝛼1(𝑇)𝑆1(𝑇))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝑇𝐻)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇 𝑒 𝜔2 = 𝐻
(6) 𝑉2
̂ (𝑇𝑇) = 𝛼1(𝑇)𝑆2(𝑇𝑇) + (𝑉1(𝑇) − 𝛼1(𝑇)𝑆1(𝑇))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝑇𝑇)
𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇 𝑒 𝜔2 = 𝑇
Da (5)-(6) risulta:
𝛼1(𝑇) =
𝑉2(𝑇𝐻) − 𝑉2(𝑇𝑇)
𝑆2(𝑇𝐻) − 𝑆2(𝑇𝑇)
Quindi operando una sostituzione nella (5):
51
𝑉1(𝑇) =
1
(1 + 𝑅)
[𝑞𝑉2(𝑇𝐻) + 𝑞̂𝑉2(𝑇𝑇)]
Da (3)-(4) risulta:
𝛼1(𝐻) =
𝑉2(𝐻𝐻) − 𝑉2(𝐻𝑇)
𝑆2(𝐻𝐻) − 𝑆2(𝐻𝑇)
Quindi sostituendo nell (3):
𝑉1(𝐻) =
1
(1 + 𝑅)
[𝑞𝑉2(𝐻𝐻) + 𝑞̂𝑉2(𝐻𝑇)]
Da (1)-(2) risulta dunque:
𝛼0 =
𝑉1(𝐻) − 𝑉1(𝑇)
𝑆1(𝐻) − 𝑆1(𝑇)
Da cui:
𝑉0 =
1
(1 + 𝑅)
[𝑞𝑉1(𝐻) + 𝑞̂𝑉1(𝑇)]
Infine; il prezzo di un’opzione Call all’epoca 0 con maturità 2 in ipotesi di AOA:
𝑉0 =
1
(1 + 𝑅)2
[𝑞2
𝑉2(𝐻𝐻) + 𝑞𝑞̂𝑉2(𝑇𝐻) + 𝑞𝑞̂𝑉2(𝐻𝑇) + 𝑞̂2
𝑉2(𝑇𝑇)]
= 𝐸 𝑞 [
1
(1 + 𝑅)2
𝑉2]
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  • 1. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE ________________________________________ DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E STATISTICHE Corso di laurea magistrale in Banca e Finanza Tesi di Laurea L’impatto delle opportunità di crescita sul price to book value delle banche Relatore: Laureando: Chiar.mo Prof. Maurizio Polato Giulio Velliscig ANNO ACCADEMICO 2016/2017
  • 2. 1 Indice INTRODUZIONE……………………………………………………2 1. La valutazione delle banche 1.1.I MODELLI DI BUSINESS..…………………………………....4 1.2.IL PATRIMONIO DI VIGILANZA………………………..…....6 1.3.I MODELLI DISCOUNTED CASH FLOW…………………...14 1.3.1. IL DIVIDEND DISCOUNT MODEL……………………14 1.3.2. IL MODELLO CASH FLOW TO EQUITY……………..21 1.4.IL MODELLO EXCESS RETURN……………………………26 1.5.LA VALUTAZIONE RELATIVA………………………….….31 1.6.L’APPROCCIO SUM OF PARTS……………………………..38 2. Le opportunità di crescita 2.1.CENNI DISCIPLINARI…………………….………….............39 2.2.I MODELLI VALUTATIVI……………………………………43 2.2.1. BLACK SCHOLES……………………………................43 2.2.2. IL MODELLO DI COX ROSS………………..…………45 2.3.LE OPZIONI REALI……………………………………….….52 2.4.LE OPPORTUNITÀ DI CRESCITA…………………………..57 2.5.IL MODELLO VALUTATIVO………………………………..63 2.6.LE IMPLICAZIONI VALUTATIVE…………………………..66 3. L’impatto sul valore 3.1.ANALISI DELLA LETTERATURA……………………….….71 3.2.ANALISI EMPIRICA……………………………………….…90 3.2.1. IL CAMPIONE…………………………………………...90 3.2.2. I MODELLI……………………………………………....92 3.3.STATISTICA DESCRITTIVA Vgo………………..………….96 3.3.1. IL TEST……………………………………...………….112 3.4.STATISTICA DESCRITTIVA P/BV………………................117 3.5.LA CATENA DI INFLUENZA……………………………....123 CONCLUSIONE………………………………………………….….134 INDICE DELLE TABELLE…………………………………………136 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………..139
  • 3. 2 INTRODUZIONE: Le crisi dell’ultimo decennio hanno riportato in auge uno dei più significativi multipli di mercato per un istituto bancario: il price-to-book-value. Specchio degli effetti delle crisi sul comparto bancario è stato proprio la flessione del prezzo di mercato degli istituti in rapporto al valore di libro. L’effetto è stato evidente soprattutto sul sistema nazionale. Alla luce di queste considerazioni è possibile leggere lo studio implementato in questo lavoro. La variabile che è stata scelta a fini di indagine delle dinamiche relative al multiplo bancario è quella delle opportunità di crescita. Nell’ipotesi che il prezzo di mercato sconti una componente legata alle opportunità di crescita è sembrato interessante scoprire l’influenza dettata da tale variabile sulla particolare dinamica del multiplo di mercato. In questo senso lo studio pone grande attenzione al tema delle opportunità di crescita e ai fattori che ne determinano i meccanismi di andamento. Una volta comprese tali dinamiche l’indagine prosegue circa una possibile catena di eventi in grado di spiegare scientificamente la trasmissione d’influenza tra le opportunità di crescita e il multiplo bancario. Il quadro che viene a definirsi consente dunque la riconciliazione delle conoscenze acquisite circa le due variabili sotto la lente del valore complessivo di mercato dell’istituto bancario. I contributi che questo studio intende offrire alla letteratura in merito allo studio delle opportunità di crescita riguardano l’approccio valutativo implementato a fini di stima e l’analisi delle dinamiche alla luce di variabili proprie del comparto bancario. L’analisi della letteratura ha, infatti, evidenziato una predilezione delle studio delle opportunità mediante campioni di istituti non finanziari. Oltre alla specificità del campione in analisi lo studio implementa uno sforzo circa il metodo valutativo utilizzato in contrasto con l’indiretto approccio naif dominante in letteratura. Per quanto concerne la catena di trasmissione d’influenza da una variabile all’altra lo studio apporta una corposa analisi statistica il cui obiettivo è quello di dare prova scientifica al già teorizzato sistema di interazione. Lo studio si articola su tre capitoli. Il primo capitolo offre un resoconto circa i modelli di stima del valore riconosciuti dalla prassi bancaria. Il secondo capitolo indaga il tema delle opportunità di crescita nella loro ormai accolta dimensione di opzioni evidenziandone i profili valutativi. Infine lo studio prende
  • 4. 3 corpo attraverso l’analisi empirica che vanta un campione di 37 istituti bancari europei analizzati in un arco temporale che comprende gli anni dal 2005 al 2016.
  • 5. 4 La valutazione delle banche 1.1 I modelli di business delle banche: L’evoluzione del contesto macroeconomico, lo sviluppo della tecnologia e la stringente normativa di vigilanza sono tre fattori che concorrono a definire le dinamiche di cambiamento che stanno interessando i modelli di business delle banche in questi anni. L’incertezza e le non confortanti prospettive che insistono sulle economie mondiali hanno portato le banche a muoversi verso indirizzi strategici e gestionali differenti. Il basso livello dei tassi d’interesse, il gravare di strutture produttive e distributive, che influenzano il recupero di efficienza, e l’ampia struttura regolamentare di vigilanza hanno portato le banche a pesare maggiormente diversi indicatori di redditività spostando l’attenzione da ratio espressivi del ritorno economico del core business quale ad esempio il rapporto tra il margine di interesse e i mezzi propri a ratio quali l’indicatore di diversificazione dei ricavi costruito come rapporto tra il margine di intermediazione e il margine di interesse. Le banche dunque puntano ad una maggiore efficienza, alla ricerca di nuovi canali distributivi e in ultima analisi ad una maggiore presa di coscienza delle dinamiche relative ai rischi finanziari sia in termini prospettici che gestionali e il conseguente monitoraggio dei livelli di patrimonializzazione. Il concetto di business model è stato ripreso negli studi di It ed e-business management dove assume l’accezione di framework in grado di comprendere la struttura e il comportamento di un’azienda all’interno di un contesto competitivo e la sua capacità di generare valore in tal senso. Nel filone di studi sulla strategia il business model assume la connotazione di framework in grado di spiegare l’insieme delle modalità e dei processi posti in essere al fine di massimizzare il valore generato dalle strategie, a livello corporate e a livello business. La scelta di uno specifico business model, definito da decisioni a livello strategico, caratterizza dunque l’azienda sotto i profili operativo, di creazione e di cattura del valore per gli stakeholder. La più recente dottrina empirica, invece, qualifica i business model attraverso il concetto di gruppo strategico, che fa riferimento ad un conglomerato di imprese uniformi sotto i profili strategico, dimensionale, tecnologico, della diversificazione. Sussiste in questo caso un trade-off tra l esigenza di ottenere risultati soddisfacenti sotto il profilo qualitativo e la rigidità dei criteri attraverso i quali le imprese vengono raggruppate. Nello specifico, per le
  • 6. 5 banche si fa riferimento ad un framework che intende cogliere al suo interno le dinamiche relative al livello strategico corporate e business e come quest’ultime incidano nella creazione di valore per le singole business unit. La comprensione di questo complesso puzzle consente la comprensione del posizionamento competitivo della banca. Il primo livello strategico fa riferimento a obiettivi di lungo periodo quali la dimensione e la crescita della banca, i suoi gradi di diversificazione e internazionalizzazione, la definizione del risk-appetite. Un secondo livello è invece strettamente interconnesso con le aree d’affari nelle quali opera la banca che fungono da intermediario tra le strategie corporate e le strategie business. Con riferimento a queste ultime le aree d’affari identificano le politiche di segmentazione della clientela, di differenziazione dei prodotti, i servizi componenti il sistema di offerta. Spetterà dunque al framework operativo e gestionale di primo livello garantire la coerenza tra questi obiettivi e le capacità in termini di risorse umane e finanziarie che caratterizzano la banca. La suddivisione per cluster delle banche sulla base del business model implementato prevede l’utilizzo di variabili di composizione degli impieghi e delle fonti di finanziamento, di variabili rappresentative delle scelte a livello strategico. In ambito bancario la corporate strategy guida alla individuazione delle aree di business e da queste al business mix, mentre la strategia di business interessa la differenziazione dei prodotti, la segmentazione della clientela, l’efficienza dei costi e la gestione del rischio in ciascuna area di business. Il business model di una banca è dunque lo strumento attraverso il quale viene colta la dialettica tra le due fondamentali variabili in gioco ovvero la strategy e il business mix in modo tale da spiegare il posizionamento competitivo della banca stessa. La letteratura in merito però tende a far coincidere il modello di business con il business mix ignorando la variabile legata alle decisone strategiche sia a livello corporate che business. Nella prassi empirica vengono evidenziate alcune variabili utili a comprendere e semplificare l’identificazione dei business model adottati dalle banche. In questo senso il peso della raccolta al dettaglio tra le fonti di fondi e il suo apporto al finanziamento dell’attività di prestito risulta essere una variabile discriminante in termini di business mix per quanto concerne l’individuazione dei cluster. È utile evidenziare inoltre come un altro fattore quale la disponibilità di capitale proprio giochi un ruolo fondamentale nelle scelte effettuate a livello di
  • 7. 6 corporate strategy, e quindi porti ciascuna banca a implementare modelli di business differenti in relazione alle proprie disponibilità di risorse. Oltre al capitale proprio anche la dimensione di una banca risulta essere un fattore determinante al fine di comprendere la complessità di un business model. Le banche maggiori avranno business model più articolati e complessi in questo senso. In ultima analisi la maggior parte degli studi relativi ai business model bancari utilizza la variabile della composizione dei ricavi al fine di approssimare il business mix specifico di ciascuna banca. 1.2 Il patrimonio di vigilanza: Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è un organo consultivo internazionale istituito nel 1974 dai governatori delle banche centrali dei paesi del G101 .Il Comitato ha sede a Basilea presso la B.R.I.2 . Il suo principale obiettivo è quello di definire una regolamentazione della vigilanza bancaria per assicurare stabilità al sistema finanziario globale. Il Comitato di Basilea non ha potere legislativo ma formula proposte che dovranno essere recepite nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali. L’organo redige gli Accordi di Basilea ovvero linee guida riguardanti i requisiti patrimoniali e prudenziali degli Istituti di Credito. Tra questi rientra il patrimonio di vigilanza, una forma di capitale regolamentare che le banche devono detenere per contenere entro livelli giudicati tollerabili la loro probabilità di insolvenza e i costi che ne derivano a carico del bilancio pubblico. Funzione del patrimonio di vigilanza è dunque quella di tutelare la stabilità del sistema bancario e assicurare che le banche siano in grado di assorbire eventuali perdite senza pregiudicare le ragioni dei depositanti. La regolamentazione dettata dagli Accordi di Basilea stabilisce il livello minimo di capitale in relazione ai rischi assunti dalle banche e ne definisce la composizione in termini di strumenti finanziari ammissibili al computo all’interno del patrimonio al fine di rispettare i requisiti minimi richiesti. I criteri attraverso i quali la regolamentazione definisce il livello minimo e la qualità del patrimonio di vigilanza sono guidati dallo scopo di minimizzare i costi sociali delle insolvenze 1 Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia ,Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e Svizzera. Il Comitato oggi è composto dai rappresentanti delle banche centrali e dalle autorità di vigilanza bancaria di ben 27 Paesi. 2 Banca dei regolamenti internazionali.
  • 8. 7 bancarie nell’interesse della collettività ma soprattutto dei soggetti tutelati dalla regolamentazione del sistema finanziario quali i creditori ma soprattutto i depositanti. Basilea 3 Gli Accordi di Basilea 3 mutano radicalmente la composizione del patrimonio di vigilanza implementata dal framework precedente. La regolamentazione di Basilea 3 è stata introdotta gradualmente dal 2014. La struttura patrimoniale delle banche verrà rafforzata gradatamente fino al 1 gennaio 2019, data in cui le nuove soglie entreranno pienamente in vigore. Gli strumenti finanziari non più ammessi da Basilea 3 verranno progressivamente eliminati dal patrimonio di vigilanza lungo un periodo, definito di grandfathering, che avrà termine nel 2023. Ciò comporta che, fino a quella data, gli strumenti ammessi da Basilea 2 all’interno delle diverse componenti del patrimonio di vigilanza continueranno ad essere presenti nello stesso, seppur in misura inferiore di anno in anno. La composizione muta dunque in questo senso3 : 1. Il Common Equity Tier 1 (CET1) Capitale primario di classe 1 Si tratta del capitale primario di classe 1, la componente del patrimonio di migliore qualità. È composto prevalentemente da azioni ordinarie, utili non distribuiti e riserve. Il comitato ha dunque riconosciuto che queste componenti posseggono una spiccata capacità di assorbire le perdite nella prospettiva della continuazione dell’attività aziendale, superiore alle altre fonti, e per questo motivo ha deciso di calibrare su di esse in misura preminente la nuova composizione del Tier 1. Il CET1 dovrà essere aumentato dalla precedente misura del 2% al 4,5% dell’attivo ponderato per il rischio. 2. Additional Tier 1 (AT1) Capitale aggiuntivo di Classe 1 In questa fascia di patrimonio rientrano per lo più strumenti ibridi, strumenti del capitale contingente, ossia titoli di debito convertibili in azioni o il cui valore 3 In merito alle informazioni seguenti sul patrimonio si veda RETTIFICA DEL REGOLAMENTO (UE) N. 575/2013, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 26 giugno 2013, e DIRETTIVA 2014/59/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, Gazzetta Ufficiale dell’ Unione Europea, 15 Maggio 2014.
  • 9. 8 nominale può essere ridotto al verificarsi di un determinato evento attivatore al fine di rafforzare dal punto di vista patrimoniale l’istituto emittente. Il capitale di classe 1 (Tier1) viene costruito attraverso la somma di CET1 e AT1. La sua misura dovrà essere secondo Basilea 3, non inferiore al 6% dell’attivo ponderato per il rischio. 3. Tier2 (T2) Capitale di classe 2 Le principali componenti di questa classe sono i debiti subordinati con scadenza minima non inferiore ai 5 anni e strumenti del capitale contingente a basso trigger, ossia convertibili in azioni o il cui valore nominale può essere ridotto ad una soglia minore di quella prevista per gli strumenti dell’ AT1. 4. Il Tier 3 è eliminato Il patrimonio di vigilanza totale è dunque composto dalle 3 classi appena descritte (CET1+AT1+T2). La sua misura non dovrà essere inferiore all’8% dell’attivo ponderato per il rischio. Basilea 3 ha inoltre previsto dei buffer di capitale. Il capital conservation buffer è concepito con il fine di consentire alle banche di accumulare una riserva di capitale durante le fasi positive del ciclo economico, affinché il livello del patrimonio possa restare al di sopra dei requisiti minimi nel caso si verificassero perdite in corso d’esercizio. Si tratta di una riserva composta da capitale primario di classe 1, di conseguenza opera l’assorbimento delle perdite secondo le normali procedure di assorbimento che caratterizzano gli strumenti di common equity tier 1. Il Common Equity Tier 1 deve essere utilizzato in via prioritaria per soddisfare i requisiti patrimoniali minimi (inclusi quelli relativi al patrimonio di base del 6% e al patrimonio di vigilanza dell’8%), prima di poter contribuire al rispetto del buffer di conservazione del capitale. Nel momento in cui questa riserva dovesse diminuire a causa di perdite, la banca non potrà distribuire utili fino a che non ne sarà ripristinato il livello minimo. Basilea 3 prevede che questo buffer sia costituito in misura pari al 2,5% delle attività ponderate per il rischio. Il buffer di conservazione del capitale sarà introdotto gradualmente tra il 1° gennaio 2016 e la fine del 2018 per diventare pienamente operativo il 1° gennaio 2019. Il Countercyclical buffer ha il compito di creare una relazione più stringente tra i requisiti patrimoniali del settore bancario e il
  • 10. 9 contesto macrofinanziario in cui operano le banche. Il sistema bancario può subire, infatti, ingenti perdite quando una fase di recessione del ciclo economico è preceduta da un periodo di eccessiva espansione del credito. In questa situazione, la fase negativa dell’economia reale si trasmetterebbe al sistema finanziario, dove a seguito del credit crunch, tornerebbe a riflettersi al settore reale. In situazioni di recessione i rating assegnati alle attività tendono a deteriorarsi e ciò richiede agli istituti di credito una maggiore disponibilità di capitale. Una fase negativa del ciclo economico rende onerosa la raccolta di capitale per diversi istituti che dunque contraggono l’offerta di credito (credit crunch), proprio nel momento in cui sarebbe più necessaria all’economia. In questo modo il sistema di adeguatezza patrimoniale non fa altro che enfatizzare le fasi recessive del ciclo economico e non prepara le banche al meglio per affrontare tali situazioni. Qualora l’Autorità di vigilanza reputi che vi sia una crescita eccessiva del credito in un determinato periodo associata ad un accumulo di rischi sistemici, essa potrà richiedere la costituzione di un buffer di questo tipo per un ammontare variabile tra lo 0 e il 2,5% delle attività ponderate per il rischio. Il buffer sarà evidentemente attivato su base occasionale. Le banche dovranno soddisfare il requisito relativo a questo buffer con Common Equity Tier 1 o altro capitale pienamente in grado di assorbire le perdite. Il requisito di buffer anticiclico sarà introdotto gradualmente dal 2016 e diventerà pienamente operativo dal 1 gennaio 2019. Altri buffer vengono identificati come: global sistemically important institutions buffer, che richiede una riserva addizionale di capitale primario di classe 1 variabile tra l’1% e il 3.5% in base al grado di importanza sistemica delle istituzioni finanziarie sistemicamente rilevanti a livello globale; other sistemically important institutions buffer, che richiede una riserva di capitale primario di classe 1 fino a un massimo del 2% dell’attivo ponderato per il rischio; systemic risk buffer, che prevede una riserva di capitale primario di classe 1 per prevenire e mitigare il rischio sistemico, nel senso di un rischio di perturbazione del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e per l'economia reale. Per quanto concerne il denominatore dei ratio patrimoniali di vigilanza esistono 2 diversi metodi di ponderazione del rischio, uno definito standard approach e uno
  • 11. 10 internal ratings-based approach a sua volta suddiviso in base e avanzato. I fattori di ponderazione su cui si basano questi sistemi di valutazione sono:  Rating: è il giudizio sul merito creditizio ed esprime la valutazione della affidabilità del soggetto finanziato sulla base di informazioni quantitative, qualitative ed andamentali.  Probabilità di inadempienza (PD = Probability of default): è la probabilità che il soggetto finanziato si trovi nella situazione di inadempienza (default) in un dato orizzonte temporale;  Perdita in caso di inadempienza (LGD= Loss given default): è la percentuale stimata di perdita in caso di inadempienza.  Esposizione in caso di inadempienza (EAD= esposure at default): è la quota di esposizione al momento dell’insolvenza;  Scadenza (M = Maturity): è la durata residua del finanziamento. Il sistema standard prevede che la formulazione dei fattori di ponderazione del rischio venga effettuata da soggetti esterni alla banca. Il rating viene stimato da società indipendenti che prendono il nome di ECAI (External Credit Assessement Institution) mentre i restanti fattori vengono fissati dall’Autorità di vigilanza sulla base di fattori quali la categoria giuridica economica di appartenenza dell’impresa richiedente il finanziamento, le sue dimensioni aziendali e le caratteristiche tecniche della operazione di finanziamento. Per quanto concerne i sistemi IRB le banche che adottano queste procedure stimano al proprio interno il rating della controparte e uno o più fattori di ponderazione del rischio. Nel caso dei sistemi IRB base la banca stima il rating della controparte cui è associata automaticamente una specifica PD, gli altri fattori vengono invece determinati dall’Autorità di vigilanza. I sistemi IRB avanzati invece stimano tutti i fattori di ponderazione del rischio internamente. Risulta a questo punto opportuno formulare alcune considerazioni riguardo le politiche di dotazione patrimoniale delle banche. Nella pratica sovente accade che la patrimonializzazione degli istituti di credito non sia in linea con i requisiti minimi di vigilanza ma li ecceda in modo tale da raggiungere un più alto grado di resilienza e garantirsi un margine di manovra sul piano delle strategie creditizie in caso di aumento, voluto o imprevisto, del livello di rischiosità degli asset. Il patrimonio di
  • 12. 11 vigilanza va dunque scisso in una componente minima adempiente ai vincoli di vigilanza e una componente aggiuntiva funzione di quelle che sono le strategie della banca. Nell’ipotesi in cui il patrimonio di vigilanza sia inferiore a quello richiesto dal livello degli RWA ci troviamo in presenza di deficit capital che può essere risolto sotto due profili. Nel primo caso andando ad agire sul capitale attraverso ad esempio un aumento di capitale o l’emissione di strumenti ibridi in grado di aumentare il livello del patrimonio di vigilanza. O nell’altro caso contenendo il grado di rischiosità degli attivi riducendo o rimodulando le esposizioni più rischiose, migliorando le operazioni di hedging sui rischi o ancora ponendo in essere operazioni di cessione dei rischi assunti. Nell’ipotesi, invece, che il patrimonio di vigilanza ecceda il livello richiesto dagli RWA la banca si trova in presenza di un excess capital. Quest’ultimo può essere indice di una patrimonializzazione inefficiente in quanto non viene sfruttato in relazione al livello dell’operatività bancaria e dei rischi assunti. Questo eccesso di capitale risulta dunque liberamente distribuibile agli azionisti senza che tale operazioni infici la solidità patrimoniale dell’istituto.Le leve gestionali della banca utili al fine di riequilibrare il livello di patrimonializzazione potrebbero essere da un lato l’aumento dei rischi assunti sugli asset e dall’altro la distribuzione del capitale in eccesso agli azionisti sotto forma di dividendo. In conclusione il management di una banca si trova a gestire un trade-off per cui non può scendere al di sotto dei requisiti minimi di vigilanza e allo stesso tempo non può detenere patrimonio in eccesso in quanto comporterebbe una diluizione della redditività e dei ritorni per gli azionisti. Queste riflessioni sul patrimonio saranno utili nel comprendere i vari metodi di valutazione delle banche espressi nei paragrafi successivi. In ultima analisi pare opportuno menzionare una grandezza strettamente connessa alla dotazione patrimoniale di una banca, il ROA stabilizzante. Con questa espressione si identifica il livello di profittabilità che, data una crescita g, lascia invariato il T1 ratio. In formule: 𝑅𝑂𝐴 𝑠𝑡𝑎𝑏 = 𝑘 𝑡 𝑟𝑤𝑎 𝑡 × 𝑔 (1 + 𝑔) × 𝑤𝑡 (1 − 𝑑)
  • 13. 12 con: 𝑘 𝑡 𝑟𝑤𝑎 𝑡 = 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑇1 𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜 𝑔 (1 + 𝑔) = 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑟𝑤𝑎 𝑤𝑡 = 𝑟𝑤𝑎 𝑡 𝐴 𝑡 = 𝑐𝑜𝑒𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à (1 − 𝑑) = 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖 È evidente dunque una relazione positiva tra la redditività e le variabili al numeratore, negativa invece rispetto al tasso di ritenzione degli utili. Inoltre, a fronte della difficoltà per una banca di modificare la propria redditività, si evidenziano tre soluzioni alternative: 1. Ridurre la crescita delle attività 2. Ridurre il livello di rischio delle attività 3. Ridurre la quota di profitti distribuiti Quest’ultima soluzione ha un impatto sul rendimento degli azionisti che può essere definito in questi termini: 𝑅𝑂𝐸 𝑎𝑧 = 𝑅𝑂𝐴 𝑡 × 𝑑 𝑘 𝑡 𝑟𝑤𝑎 𝑡 × 𝑤𝑡 Infine è necessario riflettere sul particolare ruolo giocato dal debito all’interno della banca. Il debito nelle banche ricopre una funzione differente rispetto a quella ricoperta all’interno delle imprese non finanziarie. Il debito assolve ad una funzione molto simile a quella delle materie prime all’interno della banca in virtù del fatto che la stessa opera la trasformazione del debito in asset finanziari. Tuttavia non è possibile assumere a pieno questa definizione in quanto nell’ipotesi in cui sia vera e applicata per intero al debito della banca allora l’istituto non sarebbe indebitato dal punto di vista finanziario in quanto il debito sarebbe riconducibile all’ area operativa del management della banca. In questo senso emerge la principale criticità riguardante il debito all’interno degli istituti finanziari; la sottile linea di demarcazione tra il debito finanziario e operativo a causa del fatto che in una banca
  • 14. 13 l’area finanziaria è una parte dell’area operativa. Dopo queste precisazioni andiamo dunque ad analizzare i diversi modelli valutativi che interessano le banche.
  • 15. 14 1.3 I modelli Discounted Cash Flow Questo tipo di approccio affonda le proprie radici nell’assunto secondo il quale il prezzo di un asset viene determinato attraverso lo sconto dei cash flow attesi lungo un periodo di tempo determinato. Per quanto concerne la materia in esame, la dottrina riconosce due fondamentali modelli all’interno di questo perimetro: il Dividend Discount Model (DDM) e il Cash Flow to Equity Model (CFE). 1.3.1 Il Dividend Discount Model Il prezzo dell’azione è uguale al valore attuale dei dividendi futuri attesi scontati ad un opportuno costo del capitale. Una prima formulazione generale del DDM che assume come ipotesi la durata illimitata della società oggetto di analisi e conseguentemente anche della sua capacità di distribuire dividendi è la seguente: 𝑃0 = ∑ 𝐷𝑃𝑆𝑖 (1 + 𝐾𝑒)𝑖 ∞ 𝑖=1 con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′ 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑙 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 0 e 𝐷𝑃𝑆𝑖 = 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑙′ 𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑖 Nell’ipotesi in cui i dividendi crescano perpetuamente ad un tasso “g” il DDM converge verso la formula di Gordon: 𝑃0 = 𝐷𝑃𝑆1 𝐾𝑒 − 𝑔 con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′ 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 Per quanto concerne il tasso di crescita “g” si individuano due driver esplicativi di questa grandezza: il return on equity (ROE) e il payout ratio. In quanto questa grandezza è commisurata al potenziale di crescita organica del capitale proprio dovuto agli utili ritenuti e portati a riserva, si parla di tasso di crescita sostenibile. Nell’ipotesi in cui il ROE e il payout varino nel corso del tempo, il tasso di crescita viene nell’anno t viene stimato attraverso la seguente formula4 : 4 Damodaran, A. (2010). The Dark Side of Valuation (2nd Edition). FT Press. (pp.449-475)
  • 16. 15 𝑔𝑡 = 𝑅𝑂𝐸𝑡(1 − 𝑝𝑡−1) + 𝑅𝑂𝐸𝑡 − 𝑅𝑂𝐸𝑡−1 𝑅𝑂𝐸𝑡−1 In riferimento ad un modello DDM a due stadi questa formula consente la stima di un tasso 𝑔𝑡 per quanto riguarda il periodo di previsione esplicita o di un tasso 𝑔 per il periodo infinito. In particolare, in quest’ultimo caso vengono utilizzati valori normalizzati di lungo periodo per quanto concerne il ROE e il payout ratio rendendo nullo il secondo addendo e modificando la formula come segue: 𝑔 = 𝑅𝑂𝐸(1 − 𝑝) Nell’ipotesi in cui la società oggetto di valutazione sia caratterizzata da una crescita straordinaria all’interno del periodo di previsione esplicita e da una crescita stabile all’infinito in base ad un tasso di crescita 𝑔 𝑛, e che il cost of equity possa essere diviso per i due periodi in 𝐾𝑒,𝑒𝑙(crescita elevata) e 𝐾𝑒,𝑠𝑡(crescita stabile), allora il prezzo dell’azione può essere espresso attraverso la seguente formula: 𝑃0 = ∑ 𝐷𝑃𝑆𝑡 (1 + 𝐾𝑒,𝑒𝑙) 𝑡 + 𝐷𝑃𝑆 𝑛+1 (𝐾𝑒,𝑠𝑡 − 𝑔 𝑛)(1 + 𝐾𝑒,𝑒𝑙) 𝑛 𝑛 𝑡=1 con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′ 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑒𝑙𝑒𝑣𝑎𝑡𝑎 È utile inoltre ricordare un’ulteriore formulazione derivante dal modello base di Gordon, per cui se si assume che anche gli utili (E) crescano ad uno stesso tasso “g” ed inoltre che5 𝐷𝑃𝑆1 = 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0 con BV=Book value, ove è implicito che anche BV cresca allo stesso tasso “g”, sostituendo all’interno del modello base a 𝐷𝑃𝑆1 la formula 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0, si giunge alla seguente espressione: 𝑃0 = 𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸 − 𝑔 𝐾𝑒 − 𝑔 con 𝑃0 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙′ 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒𝑖𝑛 𝑖𝑝𝑜𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 5 Se si assume 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0(1 + 𝑔), 𝑝𝑜𝑖𝑐ℎè 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0 + 𝐸1 − 𝐷𝑃𝑆1 , si giunge in pochi passaggi alla formula 𝐷𝑃𝑆1 = 𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0, conseguenza dell’ipotesi che BV cresca secondo il fattore “g”.
  • 17. 16 Questa relazione viene comunemente chiamata metodo Warranted Equity ed esprime il prezzo dell’azione in funzione del ROE atteso e del Book Value iniziale. La formulazione risulta, inoltre, coerente al modello di crescita stabile dei dividendi per azione nell’ipotesi che DPS, E, BV, e RE (retained earnings) crescano secondo lo stesso fattore “g”.6 Un’ulteriore configurazione del modello prende forma dall’analisi di alcune variabili interne allo stesso. Il payout, che determina per ciasun anno l’ammontare totale di utile distribuibile, necessita coerenza sia con l’obiettivo di crescita della banca in termini di nuovi investimenti sia con i vincoli patrimoniali che da essa scaturiscono. Le politiche di payout sono dunque funzione dei requisiti patrimoniali dettati dai nuovi investimenti. Nonostante queste considerazioni vengano incorporate dal modello, altre ne vengono tralasciate. Il DDM non tiene conto degli eventuali eccessi di patrimonio rispetto ai requisiti minimi di vigilanza. Eccessi che potrebbero essere distribuiti agli azionisti o utilizzati al fine di finanziare la crescita senza pregiudicare una possibile distribuzione per intero dell’utile realizzato nel corso dell’anno. In questo senso risulta evidente come la formula generale del DDM sia efficace nella stima del valore dell’equity solo nell’ipotesi in cui la banca oggetto di valutazione sia caratterizzata da un patrimonio netto allineato ai requisiti patrimoniali minimi di vigilanza. L’eccesso di capitale è definito come il surplus di capitale rispetto ai requisiti minimi di vigilanza. Sussiste dunque un trade-off in capo alla banca tra la minimizzazione del capitale richiesto agli azionisti e la necessità di detenere capitale in eccedenza rispetto ai vincoli minimi di vigilanza. Questa esigenza trova spiegazione nella possibile inefficienza del framework dettato da Basilea che porterebbe ad una sottostima del patrimonio minimo necessario ai fini regolamentari, o più semplicemente nell’offrire alla propria clientela una garanzia in termini di resilienza dell’istituto. La prassi valutativa considera il patrimonio in eccesso come liberamente distribuibile agli azionisti sotto forma di dividendo mentre in presenza di un deficit di capitale viene ipotizzato in sede di valutazione un aumento di capitale. 6 Se 𝐷𝑃𝑆1=𝐸1 − 𝑔𝐵𝑉0ed 𝐸2 = 𝐸1(1 + 𝑔), allora si può scrivere (𝐷𝑃𝑆2 + 𝑔𝐵𝑉1)/(𝐷𝑃𝑆1 + 𝑔𝐵𝑉0)=1+g Ne consegue che: 𝐷𝑃𝑆2 + 𝑔𝐵𝑉1 = 𝐷𝑃𝑆1(1 + 𝑔) + 𝑔𝐵𝑉0(1 + 𝑔), e anche che: 𝐵𝑉1 = 𝐵𝑉0(1 + 𝑔) In altri termini; E, DPS, RE, e BV crescono secondo lo stesso fattore “g”.
  • 18. 17 La distribuzione del patrimonio in eccesso sotto forma di dividendi dev’essere accompagnata da un analisi quantitativa sull’impatto che questa operazione avrebbe sull’utile netto. In questo senso si distinguono due alternative: 1. La prima ipotesi spiega come una distribuzione del capitale in eccesso comporti una riduzione del patrimonio e conseguentemente una riduzione delle attività in egual misura. La riduzione delle attività impatta a livello di conto economico sul margine di interesse. La prassi spiega la riduzione delle attività attraverso la liquidazione di titoli di stato ad alto rating, che non generano valore aggiunto e non comportano assorbimento patrimoniale. L’impatto è quantificabile attraverso il prodotto tra l’ammontare di patrimonio in eccesso e il rendimento dei titoli di stato del paese in cui opera la banca. 2. La seconda ipotesi mantiene inalterate le attività della banca, e come conseguenza della distribuzione del patrimonio in eccesso ipotizza l’assunzione di passività onerose. La prassi prevede il ricorso al mercato interbancario in questa eventualità. L’impatto sul conto economico si concretizza nell’assunzione di maggiori oneri finanziari, quantificabili come prodotto tra l’eccesso di capitale e il tasso interbancario. Di converso, nell’ipotesi di aumento di capitale dovuta alla presenza di un deficit patrimoniale vi è la necessità di aumentare gli utili netti per l’impatto di 1. Maggiori interessi attivi dovuti all’investimento dei proventi dell’aumento di capitale in titoli di stato. 2. Minori oneri finanziari dovuti all’utilizzo dei proventi dell’aumento di capitale per il rimborso di passività finanziarie onerose. La formula del Dividend Discount Model corretto per l’eventuale presenza di un excess/deficit capital è la seguente7 : 7 EMANUEL BAGNA, La valutazione delle banche, Egea, 2012.
  • 19. 18 𝐸0 = +𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) + ∑ 𝑈𝑡 − (𝑅𝑊𝐴 𝑡 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡−1) × (𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) (1 + 𝐾𝑒) 𝑡 𝑇 𝑡=1 − ∑ 𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) × (𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡) × (1 − 𝑡𝑐) (1 + 𝐾𝑒) 𝑡 𝑇 𝑡=1 + 𝑇𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 Dove: 𝐸0 = valore dell’equity al tempo 0 𝑈𝑡 = utile al tempo t T = periodo di previsione esplicita (𝑅𝑊𝐴 𝑡 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡−1) = variazione delle attività ponderate per il rischio in due periodi successivi T1minimo = ratio minimo di vigilanza 𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) = capitale in eccesso al tempo 0 Tc = aliquota fiscale marginale 𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡 = tasso di rendimento a scadenza dei titoli risk free al tempo t 𝑅𝑊𝐴0 × (𝑇10 − 𝑇1𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜) × (𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡) × (1 − 𝑡𝑐)= oneri annui derivanti dalla distribuzione del capitale in eccesso Terminal Value = valore della banca oltre il periodo di previsione esplicita T Quest’ultima grandezza viene definita capitalizzando il reddito liberamente distribuibile agli azionisti nel periodo immediatamente successivo a quello di previsione esplicita ad un tasso che esprime la differenza tra il cost of equity e il tasso di crescita atteso di lungo termine dei redditi. In formule:
  • 20. 19 𝑇𝑉 = 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 − 𝑅𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑇+1 − ∆𝑇𝑖𝑒𝑟1 𝑇+1 𝐾𝑒 − 𝑔 dove: 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 − 𝑅𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑇+1 = 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑇+1 − 𝑅𝑖𝑠𝑘 𝑓𝑟𝑒𝑒𝑡+1 × (1 − 𝑡𝑐) × (𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡=0) = Utile netto previsto per il primo anno oltre il periodo di previsione esplicita (T+1) aggiustato per l’eventuale remunerazione dell’excess capital ipotizzato in distribuzione al tempo 0 g = tasso di crescita degli utili netti oltre il periodo di previsione esplicita ∆𝑇𝑖𝑒𝑟1 𝑇+1 = variazione del patrimonio di base nel terminal value = reinvestimento di utile necessario ad alimentare la crescita e rispettare i requisiti di vigilanza = ratio minimo di vigilanza × ∆ risk weighted asset nel terminal value Ai fini di completezza cronologica si segnala anche la più recente formulazione del Dividend Discount Model corretto per l’Excess capital8 : 𝐸 = ∑ 𝐷𝑖𝑣𝑡 (1 + 𝑟𝑒) 𝑡 + 𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡 (1 + 𝑟𝑒) 𝑡 + 𝑇𝑉 (1 + 𝑟𝑒) 𝑛 , 𝑛 𝑡=1 dove il primo addendo rappresenta l’attualizzazione al cost of equity dei dividendi effettivamente distribuibili determinati dal management della banca nel business plan o attesi dagli analisti. Il secondo addendo identifica il valore attuale dell’excess/deficit capital, determinato in proporzione agli attivi ponderati per il rischio, corretto per il capitale distribuito cumulato e scontato al cost of equity. Infine l’ultimo addendo è espressivo del Terminal Value, calcolato come l’ultimo utile netto esplicito corretto per la distribuzione di capitale (𝑈𝑁𝑎𝑑𝑗), moltiplicato per un tasso di crescita (g) e diminuito dell’ammontare di capitale richiesto dalla crescita di lungo periodo degli attivi ponderati per il rischio e moltiplicato per il capital target ratio (𝑇𝑅𝑙𝑡) della banca, e scontato al cost of equity. In formule: 𝑇𝑉 = 𝑈𝑁𝑎𝑑𝑗 × (1 + 𝑔) − [(𝑅𝑊𝐴 𝑛 − 𝑅𝑊𝐴 𝑡) × 𝑇𝑅𝑙𝑡] 𝑟𝑒 − 𝑔 8 BELTRAME, PREVITALI, Valuing Banks: A New Corporate Finance Approach, Palgrave Macmillan, 2016.
  • 21. 20 Per quanto concerne la determinazione della distribuzione di capitale in eccesso al tempo 1, il cash flow è determinato dalla differenza tra il common equity tier 1 disponibile e quello target. In formule: 𝐸𝐶/𝐷𝐶1 = 𝐶𝐸𝑇1 𝑒𝑓𝑓1 − 𝐶𝐸𝑇1 𝑡𝑎𝑟1 Dal tempo 2 fino alla fine del periodo di previsione esplicita il capitale distribuito viene determinato sottraendo la parte che è già stata distribuita negli anni precedenti dalla differenza tra il common equity tier 1 effettivo e target. Inoltre il CET1 effettivo dopo il tempo 1 considera la correzione dovuta alla contrazione degli asset. In formule: 𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡 = (𝐶𝐸𝑇1 𝑒𝑓𝑓𝑡 − 𝐶𝐸𝑇1 𝑡𝑎𝑟𝑡 ) − ∑ 𝐸𝐶/𝐷𝐶𝑡−𝑘 𝑡−1 𝑘=1
  • 22. 21 1.3.2 Il modello Cash Flow to Equity: Oltre al DDM rientra nel perimetro dei modelli Discounted Cash Flow il Cash Flow to Equity (CFE). Nell’ipotesi in cui si dovesse utilizzare il framework tradizionale per la definizione dei Free Cash Flow to Equity (FCFE) nella valutazione di una banca, il flusso dovrebbe essere raggiunto attraverso i seguenti passaggi: Utile netto + ammortamenti = Flusso di cassa della gestione variazione dei depositi della clientela + variazione dei debiti finanziari + + variazione di altri debiti = Fonti di risorse finanziarie variazione dei finanziamenti a clientela + variazione degli impieghi finanziari - + investimenti netti + variazioni di altre voci dell'attivo diverse dalla liquidità = impieghi di risorse = FREE CASH FLOW TO EQUITY = variazione di tesoreria TABELLA 1 Questo approccio, però, risulta inadatto ai fini di stima dei FCFE di una banca. È necessario dunque introdurre alcune assunzioni al fine di evidenziare alcune peculiarità proprie di una banca: 1. Nella stima dei FCFE di una banca ci si astiene dal valutare le variazioni in capitale fisso e circolante (operativo) in quanto di norma rivestono un ruolo marginale nella gestione bancaria9 . 9 “Nel caso invece in cui il business plan della banca preveda significativi cambiamenti gestionali e investimenti operativi rilevanti – in situazioni quindi di banche di recente costituzione, di turnaround o di operazioni di concentrazione – è opportuno procedere a proiezioni analitiche dei flussi mediante la costruzione di bilanci previsionali completi il più dettagliati possibile. In questi casi diventa infatti necessario determinare: l’entità dei flussi liberati o assorbiti ( e quindi il conseguente rilascio o assorbimento di patrimonio netto) in funzione delle politiche di impiego che il management intende
  • 23. 22 2. Ci si astiene dal valutare le variazioni del debito in virtù del ruolo che esso assume nell’attività operativa bancaria e dell’incertezza relativa alla natura dello stesso, operativa o finanziaria. 3. Un ruolo fondamentale lo giocano le variazioni di patrimonio netto poste in essere al fine di garantire il rispetto dei vincoli patrimoniali dettati dalla vigilanza. In relazione al punto 3. le stringenti regole legate al capitale di una banca comportano che nel caso in cui ci sia un’espansione degli attivi ponderati per il rischio, l’utile netto generato non può essere liberamente distribuito agli azionisti ma per una porzione o interamente può essere ritenuto dalla banca al fine di soddisfare i vincoli patrimoniali. Inoltre, se gli utili risultassero insufficienti a tale scopo sarebbe necessario pianificare aumenti dell’equity. Di converso, nel caso di una diminuzione degli attivi ponderati per il rischio libererebbe una porzione del capitale che potrebbe dunque accrescere il flusso liberamente distribuibile agli azionisti. In altri termini, dal punto di vista degli azionisti, gli unici investimenti di cui è necessario tener conto sono quelli implementati a livello di patrimonio per soddisfare i vincoli di vigilanza e qualsiasi variazione nell’ ambito di operazioni di gestione del capitale (es. aumento di capitale). In questo senso gli FCFE al tempo t utili a fini valutativi saranno spiegati da questa formula10 : 𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡 = 𝑁𝑒𝑡 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒𝑡 ± 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑖𝑛 𝑅𝑒𝑔𝑢𝑙𝑎𝑡𝑜𝑟𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡 ± 𝑃𝑙𝑎𝑛𝑛𝑒𝑑 𝐶ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒 𝑖𝑛 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 dove: 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑖𝑛 𝑅𝑒𝑔𝑢𝑙𝑎𝑡𝑜𝑟𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑡 = la differenza tra il capitale detenuto dalla banca al tempo t-1 e quello detenuto al tempo t definito sulla base del target patrimoniale di vigilanza e gli attivi ponderati per il rischio attesi. Nell’ ipotesi di aumento degli attivi ponderati per il rischio questa grandezza avrà segno negativo attuare; i fabbisogni relativi ai programmi di investimento (CAPEX); e i flussi riferibili a interventi di ristrutturazione (a livello, per esempio, di personale, di infrastrutture informatiche, di filiali). MARIO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, La valutazione delle banche: la best practice (anche in tempo di crisi) p.10. 10 MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial Institutions, Wiley, 2014, (p. 118).
  • 24. 23 evidenziando come l’utile netto dovrà essere ridotto in questa misura. Nel caso di riduzione degli attivi ponderati per il rischio vale il contrario. 𝑃𝑙𝑎𝑛𝑛𝑒𝑑 𝐶ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒 𝑖𝑛 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 = le variazioni dell’ Equity Capital fanno riferimento invece agli aumenti o riduzioni di capitale pianificati. Come già discusso precedentemente sussistono delle criticità per quanto concerne la definizione del capitale reinvestito a fini regolamentari in quanto sovente accade che le banche eccedano i livelli minimi di patrimonializzazione dettati dal framework di vigilanza per i motivi già accennati e per condizioni legate a fattori macroeconomici e di Paese. Queste considerazioni devono essere valutate nel processo di stima degli FCFE. Di seguito sono riportati i tre principali approcci Cash Flow to Equity per la valutazione delle banche11 : Anche in questo caso risulta utile implementare la formula attraverso la correzione per l’excess capital, in modo tale da considerare il potenziale capitale distribuibile agli azionisti. In formule12 : 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 = 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 (𝑑𝑒𝑓𝑖𝑐𝑖𝑡)𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 + 𝐷𝐶𝐹 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 11 MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial Institutions, Wiley, 2014, (p.119). 12 MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial Institutions, Wiley, 2014, (p.120). Model design Formula One-stage Two-stages Year-by-year TABELLA2 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐹𝐶𝐹𝐸1 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = ∑ 𝐹𝐶𝐹𝐸0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑡 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑡 + 𝐹𝐶𝐹𝐸0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 × (1 + 𝑔𝑠) 𝐾𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛 𝑛 𝑡=1 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = ∑ 𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑡 + 𝐹𝐶𝐹𝐸 𝑛+1 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛 𝑛 𝑡=1
  • 25. 24 Al fine di una corretta applicazione del modello è necessario tener conto dell’impatto che un eventuale excess/deficit capital avrebbe sulla stima dei flussi di cassa. In caso di surplus la potenziale restituzione agli azionisti dello stesso graverebbe sul flusso di cassa stimato in termini di una riduzione del margine di interesse13 . Se non si tenesse conto di queste considerazioni l’effetto del surplus sul valore dell’equity verrebbe duplicato configurandosi sia come excess capital iniziale sia come elemento amplificatore del margine di interesse. Considerazioni opposte valgono in caso di deficit capital. I due diversi approcci Discounted Cash Flow analizzati fin qui stimano entrambi il valore dell’Equity come funzione di una sequenza di cash flow disponibili per gli azionisti. In termini comparativi il DDM si basa su flussi di cassa effettivi per l’azionista mentre il modello CFE pone l’attenzione su quelli che sono i flussi di cassa distribuibili, potenziali, ma a fini valutativi considerati come prospetticamente distribuiti14 . Si può dunque affermare che i due modelli portino ad un medesimo risultato sulla base dell’assunto che la banca distribuisca tutto il flusso distribuibile agli azionisti, in questo senso i dividendi eguaglierebbero i Free Cash Flow to Equity. L’approccio DDM nella pratica viene utilizzato ampiamente a fini valutativi per quanto concerne le banche. Questo perché gli FCFE non possono essere stimati senza l’utilizzo di forti assunzioni. Infatti non è richiesta solo la stima dell’utile netto ma anche una accurata precisione per quanto concerne la previsione della struttura e dell’evoluzione degli attivi ponderati per il rischio. Inoltre le banche non distribuiscono tutto l’utile annuale in quanto perseguono politiche di “dividend smoothing” le quali comportano che i dividendi pagati siano inferiori rispetto a quelli potenzialmente distribuibili. Questo tipo di politiche mira ad accumulare riserve da utilizzare in anni non profittevoli al fine di mantenere costanti i dividendi nel medio termine. Ciononostante la dottrina riconosce i dividendi come la miglior approssimazione dei cash flow disponibili per gli azionisti. I dividendi sono il risultato delle politiche di payout di una banca; in questo senso la valutazione di una banca che adotti politiche di payout conservative attraverso il metodo DDM risulterà minore rispetto al valore che si otterrebbe utilizzando il metodo CFE. Il caso 13 MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, capitolo 15, (pp.13-14) 14 MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, capitolo 15, (p.15)
  • 26. 25 contrario si verificherebbe nel momento in cui la banca distribuisse dividendi più alti dei risultati correnti. Dunque per banche che adottino politiche di distribuzione degli utili rilevanti è consigliato l’utilizzo di modelli DDM. Nel caso invece in cui i dividendi correnti e attesi non riflettano adeguatamente la profittabilità della banca è preferito l’utilizzo di modelli CFE. Un’ulteriore precisazione riguardo le politiche di distribuzione di una banca è che queste sono difficili da prevedere nel lungo termine soprattutto dalla prospettiva di un’analista esterno. In questo senso in presenza di forte incertezza sul futuro come ad esempio in periodi di crisi finanziaria il metodo DDM risulta perdere in termini di affidabilità. Infine è utile soffermarsi su una delle componenti più importanti dei modelli DCF, il cost of equity. Nella pratica, per quanto concerne la valutazione di una banca, il modello che viene largamente utilizzate ai fini di stima del cost of equity è il CAPM. Studi empirici15 hanno appurato come il CAPM sia il metodo più idoneo applicabile al settore bancario. Il modello risulta particolarmente efficace soprattutto se la banca oggetto di valutazione è di grandi dimensioni e largamente diversificata. Questa evidenza trova riscontro nel fatto che le banche di maggiori dimensioni sono finanziariamente più evolute e in grado di implementare strategie di hedging che mirano a ridurre significativamente il rischio specifico, di converso risultano largamente esposte al rischio sistematico. Di conseguenza a maggiori dimensioni e livelli di diversificazione verrà associata una maggiore esposizione della banca all’andamento del mercato e del ciclo economico, e più alto risulterà il beta16 . Ulteriori studi empirici hanno dimostrato come per quanto concerne il rischio delle banche in termini di volatilità del titolo azionario, la componente idiosincratica abbia rilevato una contrazione nel corso del tempo mentre la componente del rischio relativa al settore ha evidenziato un aumento. Le conclusioni che si traggono da questi studi vedono un incremento sotto il profilo dell’interdipendenza e dell’esposizione agli shock di natura settoriale per le banche. In conclusione questi studi evidenziano come il CAPM sia il modello più idoneo alla stima del cost of equity di una banca e come 15 Per un più ampio approfondimento si rinvia a T. SCHUERMANN, K.STIROH, Visible and Hidden Risk Factors for Banks, Federal Reserve Bank of New York, Staff Reportn.252, maggio 2006. 16 Per un più ampio approfondimento si rinvia a L.BAELE, O.DE JONGHE, R. VANDER VENNET, Does the Stock market Value Bank Diversification?, Journal on Banking & Finance, vol.31, n.7, 2007, (*pp.1999-2024).
  • 27. 26 in virtù di un ruolo rilevante del rischio di settore a discapito di quello idiosincratico sia utile fare riferimento ad un beta medio di settore a fini valutativi. 1.3.3 Il modello Excess Return: L’Economic Value Added: Prima di approfondire questo tipo di approccio è opportuno introdurre il concetto di Economic Value Added. Si tratta di un modello funzionale a comprendere le dinamiche relative alla creazione di una performance economica utile sufficiente. L’obiettivo è comprendere se la società oggetto di valutazione è in grado di generare un valore economico superiore rispetto al capitale che è stato investito, in altre parole, se il capitale rende ai conferenti dello stesso più di quanto costa. L’EVA può essere utilizzato in una duplice accezione. Dal punto di vista della valutazione della performance in ottica equity l’EVA può essere così tradotto in formule: 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑁𝑒𝑡𝑡𝑜 − 𝐶𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 > 0 O in altri termini: 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 × (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒) > 0 Questa configurazione può essere adattata per le banche nel seguente modo: 𝐹𝑜𝑛𝑑𝑖 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖 × (𝑅𝐴𝑅𝑂𝐶 − 𝑟𝑒) > 0 L’EVA in ottica performance è uno strumento che risulta efficace solo nel breve termine. Questo può essere un limite nella misura in cui il manager di una società valutato attraverso questo modello potrebbe decidere di perseguire risultati positivi attraverso politiche di sotto-investimento. Gli investimenti infatti concorrerebbero a deprimere il margine nel corso dell’anno in quanto i risultati sarebbero osservabili solo nel medio/lungo termine. Per quanto concerne le banche al manager spesso non vengono consegnate le leve necessarie ad avare un EVA > 0, quali quelle di prezzo o di tasso. In ottica di valutazione dell’equity l’EVA in ipotesi steady state assume questa conformazione:
  • 28. 27 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 + 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 × (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒) 𝑟𝑒 dove: 𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒 = EVA unitario, espressivo del valore assunto dall’EVA per ogni euro di capitale proprio investito 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜×(𝑅𝑂𝐸−𝑟𝑒) 𝑟𝑒 = Market Value Added, il valore che il mercato riconosce in più rispetto al capitale proprio. Si può notare l’analogia tra questo metodo e quello riconosciuto dalla dottrina come Metodo Misto Patrimoniale-Reddituale, in quanto il valore dell’equity dipende sia dal patrimonio che dal sovra reddito (𝑅𝑂𝐸 − 𝑟𝑒). Il modello: I modelli Discounted Cash Flow analizzati fin ora non consentono di comprendere le dinamiche legate alla creazione del valore. In questo senso i modelli Residual Income, conosciuti anche come modelli excess return all’interno della letteratura in materia, offrono un maggior contributo sotto il profilo informativo per quanto concerne il processo di creazione del valore. Attraverso questo tipo di modelli è possibile stimare il valore di una banca sulla base della sua capacità di generare flussi più alti di quelli che il capitale investito potrebbe generare se fosse investito in altri asset finanziari con lo stesso profilo di rischio17 . Questi modelli possono essere implementati in diversi modi ma il principio fondante è che il valore della banca è dato dalla somma del capitale investito al momento della valutazione e il valore attuale degli excess returns che ci si aspetta siano generati in futuro. In questo senso il valore della banca è funzione della capacità della stessa di generare flussi che eccedano il costo del capitale, cioè di generare degli excess returns, quantificabili come differenza tra i flussi generati dal capitale investito e il costo del capitale stesso. Nell’eventualità che questa circostanza non si verifichi il valore eguaglierebbe 17 FEDERICO BELTRAME, DANIELE PREVITALI; Valuing Banks A New Corporate Finance Approach, 2016, (pp.23-24).
  • 29. 28 semplicemente il net asset value18 . Il modello si traduce in formule nel seguente modo19 : Dove 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = l’ammontare di equity correntemente investito e 𝐾𝑒= cost of equity L’excess return al tempo i può essere alternativamente espresso come: O Per completezza vengono di seguito riportati i tre principali approcci excess return per la valutazione delle banche20 : 18 MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, cap.15, p.16, “Questo modello stima l’equity value sull’assunto di base secondo il quale il valore corrente (fair value) delle attività al netto delle passività della banca rappresenterebbe propriamente una misura del capitale economico se la redditività degli investimenti in essere e di quelli pianificati risultasse in linea con il cost of equity per la banca stessa”. 19 MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial Institutions, Wiley, 2014, (p.121) 20 MAURO MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, LAURA ZANETTI, The Valuation of Financial Companies, Tools and Techniques to Value Banks, Insurance Companies, and Other Financial Institutions, Wiley, 2014, (p.121)
  • 30. 29 TABELLA 3 dove : BV = book value dell’equity. 𝑔𝑠 = tasso di crescita stabile 𝑅𝑂𝐸 𝑥 = Return on Equity durante la fase di crescita straordinaria La differenza tra il modello a due stadi e quello year-to-year è che nel primo caso viene utilizzato un unico tasso di crescita costante per il primo stadio mentre nel secondo caso vengono effettuate delle specifiche previsioni per quanto concerne il ROE di anno in anno durante il periodo di previsione esplicita. Questi tipo di modelli vengono implementati spesso nella pratica in quanto il ROE rappresenta una misura di profittabilità chiave per le banche, le quali segnalano spesso all’investitore i target relativi a questa grandezza e ne garantiscono una semplice reperibilità. Tuttavia la Banca Centrale Europea (BCE)21 ha fatto emergere alcuni punti deboli riguardo questa grandezza fondamentale. Nello specifico la BCE fa notare come il ROE non sia una misura in grado esprimere correttamente la performance futura di una banca e 21 ECB (2010, September) Beyond Roe—How to measure bank performance. Appendix to the report on EU banking structures. Model design Formula One- stage Two- stages Year-by-year 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 + 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑠𝑠 𝑅𝑒𝑡𝑢𝑟𝑛1 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 + ∑ (𝑅𝑂𝐸 𝑥 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑡−1 (1 + 𝐾𝑒) 𝑡 + 𝑛 𝑡=1 (𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑛 𝐾𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝐾𝑒) 𝑛 𝐸𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 𝑉𝑎𝑙𝑢𝑒0 = 𝐵𝑉0 + ∑ (𝑅𝑂𝐸𝑡 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑡−1 (1 + 𝐾𝑒) 𝑡 + 𝑛 𝑡=1 (𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝐾𝑒) × 𝐵𝑉𝑛 𝐾𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝐾𝑒) 𝑛
  • 31. 30 soprattutto non è in grado di offrire una sintesi affidabile degli effetti potenziali dei rischi e del leveraging e deleveraging sulla futura performance. In questo senso risulta necessario adottare alcuni accorgimenti nella misurazione del ROE all’interno del modello in modo tale che tenga conto non solo delle distorsioni contabili ma anche degli effetti derivanti dalla sostenibilità di strategie a medio-lungo termine, ad esempio l’erosione del vantaggio competitivo22 . Un’ulteriore considerazione riguardo questo approccio deve prendere in considerazione la presenza di excess/deficit capital nella banca oggetto ti valutazione e in questo senso la formula relativa al valore dell’equity assume dunque questi cambiamenti: Attraverso questo approccio modificato è necessario apportare ulteriori accorgimenti. È infatti essenziale prendere in considerazione l’effetto che l’eventuale excess/deficit capital avrebbe sul ROE. La presenza stabile di excess capital, ad esempio, potrebbe avere un impatto negativo sul ROE. Al fine di evitare di duplicare l’effetto dell’excess capital è utile correggere il ROE in questo senso: dove: EXC = excess capital 𝑟𝑓 = tasso risk-free 𝑡 𝑟 = aliquota fiscale marginale Un’ulteriore configurazione23 di questo modello viene esposta configurando il valore dell’equity come somma del suo valore contabile rettificato (BV) e di una componente di goodwill/badwill (GwBw). In formule: 22 FEDERICO BELTRAME, DANIELE PREVITALI; Valuing Banks A New Corporate Finance Approach, 2016, capitolo 2 Valuation in Banking: Issues and Models, p.25. 23 LUCA ERZEGOVESI, la valutazione delle azioni bancarie nell’era del bail-in, p.87.
  • 32. 31 dove: 𝐸0 =valore dell’equity e e dove 𝑅𝑂𝐸 𝑇 = livello atteso di lungo periodo del rendimento sul capitale proprio. 1.3.4 La valutazione relativa: Questo approccio si basa sul principio di efficienza e liquidità dei mercati. Se questo assunto è vero allora asset simili caratterizzati dallo stesso profilo di rischio- rendimento dovrebbero presentare prezzi simili sul mercato. Attraverso questo metodo è possibile stimare il prezzo di un’azione dal prodotto tra un driver di valore, identificabile in una grandezza economica/finanziaria di bilancio, e un parametro di valore relativo identificato in un multiplo. L’apparente semplicità del metodo si scontra con le consistenti assunzioni e analisi che devono essere poste in essere in modo tale da realizzare una accurata valutazione. Il valore di una banca viene dunque stimato attraverso il valore di banche simili. È necessario in questi termini definire un campione di comparables. Quest’ultimo deve essere composto da banche che presentino similitudini sotto il profilo del modello di business, diversificazione, redditività, efficienza, crescita. Risulta evidente la presenza di un trade-off tra il numero di banche incluse nel campione e la rigidità dei criteri utilizzati nel selezionare le comparables. Viene dunque demandata alla competenza del valutatore nel scegliere le banche più idonee alla formazione del campione l’accuratezza e la qualità della valutazione. A causa, dunque, di un elevata probabilità di incorrere in un’inadeguata valutazione nella prassi valutativa questo tipo di metodo viene utilizzato a fini di controllo più che come approccio principale per la valutazione. Nella prassi i multipli più utilizzati al fine di valutare il prezzo delle azioni sono il Price Earnings Ratio (PE) e il Price to Book Value Ratio (PBV). Prima di entrare nel merito è utile effettuare qualche ragionamento riguardo al numeratore e al denominatore dei multipli in questione. Prendendo ad esempio il PE Ratio il
  • 33. 32 numeratore può essere rappresentato dal prezzo ultimo coincidente con la chiusura del bilancio o una media dei prezzi dei 6/12 mesi antecedenti in modo da filtrare eventuali distorsioni legate alla volatilità del prezzo. Per quanto concerne il denominatore quest’ultimo risulta un fattore discriminante nella classificazione dei multipli:  Se si considerano gli utili dell’ultimo bilancio il multiplo verrà qualificato come current.  Se si considera l’utile dei dodici mesi precedenti allora il multiplo sarà trailing.  Se si considera l’utile prospettico atteso il multiplo sarà qualificato come leading. Per quanto concerne il PE Ratio nella prassi viene sovente effettuata una rettifica al denominatore del multiplo in quanto si preferisce considerare gli adjusted earnings per share corretti per le eventuali componenti straordinarie. Un’ulteriore tecnica utilizzata nella prassi a fini valutativi è quella di enucleare il multiplo attraverso un equazione che ne espliciti i fondamentali. In questo senso risulta semplice applicare i fondamentali medi ottenuti dalle comparables all’equazione e generare il multiplo che moltiplicato al driver di valore scelto consentirà di ottenere il valore dell’equity della banca. Il multiplo può essere ricostruito partendo dal modello di crescita stabile seguente: 𝑃0 = 𝐷𝑃𝑆1 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Che equivale a: 𝑃0 = 𝐸𝑃𝑆1 × 𝑝𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Dove 𝑝𝑠 = payout ratio in crescita stabile Attraverso queste formule è dunque possibile ricavare il PE Ratio sia in ottica current che forward:
  • 34. 33 𝑃0 𝐸𝑃𝑆0 = (1 + 𝑔𝑠) × 𝑝𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 𝑃0 𝐸𝑃𝑆1 = 𝑝𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Queste relazioni in caso di assenza di crescita comportano la seguente configurazione del multiplo: 𝑃0 𝐸𝑃𝑆1 = 𝑃0 𝐸𝑃𝑆0 = 𝑝𝑠 𝑘 𝑒 Nel caso di crescita positiva invece, posto 𝑝 = 1 − 𝑔/𝑅𝑂𝐸, la relazione può essere riscritta entro questi termini: 𝑃0 𝐸𝑃𝑆1 = 1 − 𝑔𝑠 𝑅𝑂𝐸𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Se la banca oggetto di valutazione si trova in una fase di crescita stabile le formule fin qui presentate sono utili alla stima del multiplo da applicare al driver di valore scelto al fine di individuare il prezzo dell’azione in ultima analisi. Nel caso in cui la banca attraversasse 𝑛 periodi di crescita straordinaria 𝑔 𝑥 caratterizzati da un payout ratio 𝑝 𝑥 per poi equilibrarsi in una fase di crescita stabile allora la procedura per giungere al multiplo PE dovrebbe seguire i seguenti passaggi: 𝑃0 = 𝐸𝑃𝑆0 × 𝑝 𝑥 × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 − (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛] 𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥 + 𝐸𝑃𝑆0 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 × 𝑝𝑠 × (1 + 𝑔𝑠) 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛 Che culmina nella seguente formula decomposta del multiplo PE current: 𝑃0 𝐸𝑃𝑆0 = (1 − 𝑔 𝑥 𝑅𝑂𝐸 𝑥 ) × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 − (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛] 𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥
  • 35. 34 + (1 − 𝑔𝑠 𝑅𝑂𝐸𝑠 ) × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 × (1 + 𝑔𝑠) 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛 Analoghi ragionamenti possono essere applicati al multiplo PBV. Per cui partendo dal multiplo PE forward esplicato nei suoi fondamentali, e ricordando che 𝐸𝑃𝑆1 = 𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸1, si ha che: 𝑃0 𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸1 = 𝑝𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Dalla quale si ottiene: 𝑃0 𝐵𝑉0 = 𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝑔𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Ed infine: 𝑃0 = 𝐵𝑉0 × 𝑅𝑂𝐸𝑠 − 𝑔𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 Quest’ultima formula non è nient’altro che il Warranted Equity Method già analizzato precedentemente. Analogamente per quanto concerne il Price Tangible Book Value, in presenza o meno di crescita, si ottengono le seguenti formule: 𝑃0 𝑇𝐵𝑉0 = 𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠 − 𝑔𝑠 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 e 𝑃0 𝑇𝐵𝑉0 = 𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠 𝑘 𝑒 Dove 𝑅𝑂𝑇𝐸𝑠= Return On Tangible Equity. Anche in questo caso in presenza di un periodo di 𝑛 anni caratterizzato da una crescita straordinaria e un successivo periodo di crescita stabile la formula assume questi mutamenti: 𝑃0 𝐵𝑉0 = 𝑅𝑂𝐸 × 𝑝 𝑥 × (1 + 𝑔 𝑥) × [1 − (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛] 𝑘 𝑒 − 𝑔 𝑥
  • 36. 35 + 𝑅𝑂𝐸 × [ 𝑝𝑠 × (1 + 𝑔 𝑥) 𝑛 × (1 + 𝑔𝑠) 𝑘 𝑒 − 𝑔𝑠 ] (1 + 𝑘 𝑒) 𝑛 Ancora una volta è necessario trattare il tema dell’excess capital. Se infatti la banca oggetto di valutazione presenti del capitale in eccesso i ratio appena illustrati necessitano di alcune correzioni:  Il PBV (come il PTBV) deve prevedere delle riduzioni sia al numeratore che al denominatore pari all’excess capital.  Il PE vede al numeratore una riduzione di importo pari all’ excess capital mentre al denominatore gli EPS devono tener conto della parte di utili riconducibile al capitale in eccesso stesso, assunto che questo venga investito in assets risk-free. “Questa modalità di impiego dei multipli è più corretta in quanto coglie meglio la valorizzazione di mercato di quella porzione dell’equity ritenuta effettivamente “produttiva” nella gestione della banca”24 . Queste conclusioni però vengono confutate dalla dottrina (Michele Rutigliano25 ) che evidenzia come non sussistano certezze riguardo al fatto che il capitale in eccesso sia una porzione del patrimonio netto differentemente produttiva rispetto al patrimonio minimo di vigilanza. Inoltre non convince l’operazione di sottrazione di una medesima quantità sia al numeratore che al numeratore in quanto nell’ipotesi in cui il multiplo sia superiore all’unità verrà generato un multiplo corretto al rialzo, accadrà il contrario nel caso il multiplo sia inferiore all’unità. Ulteriori multipli funzionali a questo approccio sono presentati nella tabella seguente: 24 MASSARI, GIANFRANCO GIANFRATE, La valutazione delle banche: la best practice (anche in tempo di crisi). P.16. 25 MICHELE RUTIGLIANO, Le analisi per la valutazione delle banche, cap.15, p.21.
  • 37. 36 TABELLA 4 Un’ulteriore approccio assimilabile a quello dei multipli viene chiamato “Equity Value Map”. Il metodo viene implementato, per un campione di comparables, attraverso una regressione, lineare o quadratica, di una variabile espressiva della redditività della banca quale il ROE e il multiplo Price to Book Value, espressivo a sua volta della valorizzazione di mercato. La consistenza e l’affidabilità dei risultati dipendono dal valore assunto dal quadrato del coefficiente di correlazione (𝑅2 ) caratterizzante la regressione. Attraverso la Value Map è possibile ottenere una prima immediata indicazione di sovra/sottovalutazione del titolo. Se infatti la banca oggetto di valutazione si posiziona al di sopra della retta di regressione ciò significa che per quel dato livello di redditività il P/BV Ratio è alto e in questo senso è Multiple Driver Per share multiple = Equity multiple Price/Earnings (P/E) Earnings Price/Book Value (P/BV) Book Value of the Equity Price/Tangible Book Value (P/TBV) Tangible Book Value (=Book Value of the Equity - Intangible Assets) Price/Deposits Deposits Price/Revenues Revenues Price/Operating Income Operating Income before Extraordinary Items and Taxes Price/Net Asset Value (P/NAV) Net Asset Value Price/Pre-Provision-Profit (P/PPP) Total net revenue less non interest expense Price/Assets Under Management (P/AUM) Assets Under Management P/Branches Number of branches 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝐸𝑎𝑟𝑛𝑖𝑛𝑔𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑁𝑒𝑡 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝐵𝑉 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝐵𝑉 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑇𝐵𝑉 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑇𝐵𝑉 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝐷𝑒𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝐷𝑒𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑠 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑅𝑒𝑣𝑒𝑛𝑢𝑒𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑅𝑒𝑣𝑒𝑛𝑢𝑒𝑠 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑂𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑂𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑁𝐴𝑣 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑁𝐴𝑉 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑃𝑟𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛 𝑃𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖 𝑜 𝑛 𝑃𝑟𝑒 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝐴𝑈 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑧 𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝐴𝑈 𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 𝑁𝑢𝑚𝑏𝑒𝑟 𝑜𝑓 𝑏𝑟𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒𝑠 𝑝𝑒𝑟 𝑠ℎ𝑎𝑟𝑒 = 𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑁𝑢𝑚𝑏𝑒𝑟 𝑜𝑓 𝑏𝑟𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒𝑠
  • 38. 37 ragionevole attendersi una potenziale correzione al ribasso del prezzo del titolo. Il ragionamento è inverso in caso contrario. Questo tipo di approccio è maggiormente improntato all’individuazione di titoli sovra/sotto stimati in un ottica di investimento piuttosto che ad una valutazione di una banca. In questo senso però nella pratica sovente accade che vengano utilizzati i parametri ottenuti dalla regressione al fine di ottenere il valore del multiplo della banca oggetto di valutazione. In formule: 𝑃 𝐵𝑉 = 𝑎 + 𝑏 × 𝑅𝑂𝐸 + 𝜀 Dove a e b rappresentano i parametri della regressione effettuata su un campione di comparables, nello specifico a è l’intercetta mentre b è il coefficiente angolare. In questo senso è semplice ottenere il multiplo della target applicando i parametri stimati alla variabile indipendente: 𝑃 𝐵𝑉 𝑡𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡 = 𝑎 + 𝑏 × 𝑅𝑂𝐸𝑡𝑎𝑟𝑔𝑒𝑡
  • 39. 38 1.3.5 L’approccio Sum of Parts: La maggior parte delle banche presenti nel mondo oggi sono multi-business. Le aree d’affari sulle quali ciascuna banca può insistere contemporaneamente spaziano dal retail banking (gamiglie e piccole/medie imprese), al corporate banking (gradi imprese e multinazionali), all’ investment banking, all’ asset management. La presenza di aree d’affari indipendenti ha ripercussioni sull’attività di valutazione di una banca. Le diverse aree d’affari possono presentare differenze significative sotto il profilo della redditività, della crescita, dei rischi, degli assorbimenti patrimoniali delle prospettive, delle strategie. Nella prassi valutativa dunque risulta utile questo approccio nel caso in cui la banca presenti differenti aree di business. La valutazione di queste ultime può essere effettuata attraverso un metodo unico o più metodi, in entrambi i caso il processo valutativo porterà all’emersione ci ciascun contributo al valore per ogni singola area d’affari. Le criticità più rilevanti all’applicazione di questo approccio risiedono nell’efficienza informativa che caratterizza la banca oggetto di valutazione. È evidente infatti come solo attraverso una completa ed esaustiva disponibilità di informazioni relativa a ciascuna area d’affari e segmento geografico sia possibile far emergere il contributo di ogni business area al processo valutativo. In questo senso il principio IFRS 8 viene in aiuto degli analisti esterni26 . Proprio la necessità di disporre di un elevato database al fine di implementare una valutazione corretta della banca rappresenta il limite più evidente di questo tipo di approccio. 26 “Un'entità deve fornire le informazioni che consentono agli utilizzatori del sul bilancio di valutare la natura e gli effetti sul bilancio delle attività imprenditoriali che intraprende e i contesti economici nei quali opera.”(IFRS 8, §1). Un settore operativo è una componente di un'entità: a) che intraprende attività imprenditoriali generatrici di ricavi e di costi (compresi i ricavi e i costi riguardanti operazioni con altre componenti della medesima entità); b) i cui risultati operativi sono rivisti periodicamente al più alto livello decisionale operativo dell'entità ai fini dell'adozione di decisioni in merito alle risorse da allocare al settore e della valutazione dei risultati; e c) per la quale sono disponibili informazioni di bilancio separate. Un settore operativo può intraprendere attività imprenditoriali dalle quali non ha ancora ottenuto ricavi: le attività in fase di avviamento (start-up) possono essere, ad esempio, settori operativi prima della generazione di ricavi. (IFRS 8, §5).
  • 40. 39 2. OPPORTUNITÀ DI CRESCITA: L’analisi delle opportunità d crescita non può prescindere da una revisione della disciplina opzionistica che raffronti le dinamiche comuni e contrastanti riguardo le categorie delle opzioni finanziarie e delle opzioni reali. Se quest’ultime necessitano un più ampio approfondimento, le prime verranno velocemente richiamate nel box di seguito: 2.1 Cenni disciplinari: Il termine opzione fa riferimento nel gergo comune alla facoltà di scelta tra più alternative. Un’opzione finanziaria, invece, è definita come un contratto tra due parti che conferisce all’acquirente, previo pagamento di un premio effettuabile a pronti o a termine, il diritto ma non l’obbligo di acquistare (opzione di acquisto o call option) ovvero di vendere (opzione di vendita o put option) un determinato quantitativo di attività sottostante (underlyng asset) ad un prezzo prefissato (prezzo di esercizio dell’opzione o strike price) ad una certa data (opzione europea) ovvero entro una certa data (opzione americana). La differenza sostanziale con altri tipi diversi di contratti derivati (forwards, futures, swaps) è che attraverso le opzioni l’acquirente ha la facoltà e non l’obbligo di acquistare o vendere l’attività sottostante. Il soggetto che acquista l’opzione pagando il premio e ottenendo il diritto a riservarsi della facoltà di acquistare o vendere il sottostante è detto holder. Di converso, il soggetto che vende l’opzione e quindi si obbliga ad adempiere alla volontà della controparte, è detto writer. Quest’ultimo avrà l’obbligo dunque di acquistare l’attività sottostante nel caso di opzione put, di venderla nel caso di opzione call. Il contratto di opzione prevede che l’holder possa far valere il proprio diritto all’esercizio solo una volta e in un periodo di tempo stabilito. Nel caso in cui questo periodo coincida con il lasso temporale tra il momento della stipula del contratto ed una data futura definita come scadenza o maturità dell’opzione, la stessa sarà detta americana. Nel caso invece in cui l’esercizio dell’opzione possa avvenire solo ed unicamente a scadenza della stessa, l’opzione verrà detta europea. Per quanto concerne il sottostante questo può essere caratterizzato da attività finanziarie quali azioni, titoli a reddito fisso, altri derivati; o da attività reali. I mercati sui quali questi strumenti vengono scambiati possono essere quelli regolamentati o le transazioni possono avvenire anche al di fuori di questi; si distinguono dunque le exchange-traded-options dalle over-the- counter-options. Al fine di comprendere le finalità legate al possesso di opzioni è utile analizzare il trade-off tra la detenzione di un’unità di sottostante e la detenzione di un’ opzione call su quella attività sottostante con prezzo di esercizio pari al prezzo corrente del sottostante. Ambe due le alternative consentono di sfruttare il rialzo del prezzo del sottostante ma solo l’holder dell’opzione risulterà protetto dall’eventuale caduta dei prezzi del’attività sottostante mentre il possessore della sola unità di sottostante risulterà esposto alle fluttuazione negative della stessa. Risulta evidente dunque la funzione speculativa di un’ opzione call per investitori con aspettative di rialzo del prezzo del sottostante. Di converso la detenzione di un’opzione di vendita anziché la vendita diretta del
  • 41. 40 sottostante garantisce una protezione dall’eventualità che si verifichino fluttuazioni del prezzo del sottostante al rialzo. In questo senso l’opzione put adempirà ad una finalità speculativa per l’investitore con aspettative di ribasso del prezzo del sottostante. Risulta ora indispensabile analizzare il saldo netto a scadenza di posizioni in opzioni. Posto 𝐴 𝑇 come prezzo corrente a maturità T dell’attività sottostante e K come prezzo di esercizio dell’opzione il saldo netto a scadenza per quanto concerne l ‘holder di una call è espresso dalla seguente formula: 𝐶 𝑇 = max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0) Il saldo netto a scadenza è dunque pari alla differenza tra il prezzo dell’attività sottostante a scadenza e il prezzo di esercizio dell’opzione nel caso in qui questa sia positiva, è nullo in caso contrario. Nell’ipotesi in cui 𝐴 𝑇 − 𝐾 > 0 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione. Pagherà dunque il prezzo di esercizio K e realizzerà un guadagno pari alla differenza 𝐴 𝑇 − 𝐾. Nel caso in cui 𝐴 𝑇 − 𝐾 < 0 l’holder non avrà convenienza ad esercitare l’opzione. Graficamente in un piano cartesiano avente in ascissa i valori dei prezzi dell’attività sottostante e in ordinata il valore del saldo netto a scadenza si può notare come il grafico che si ottiene, rappresentativo del saldo 𝐶 𝑇 = max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0), sia rappresentato da una spezzata che coincide con l’asse delle ascisse per valori del prezzo dell’attività sottostante compresi tra 0 e K e prosegue sulla retta inclinata a 45 gradi che parte dal punto di ascissa 𝐴 𝑇 superiori aK per valori di K. TABELLA 5
  • 42. 41 Il saldo netto a scadenza per quanto concerne l’holder di una put è rappresentato dalla seguente formula: 𝑃𝑇 = max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0) Il saldo netto a scadenza è dunque pari alla differenza tra il prezzo di esercizio dell’opzione K e il prezzo dell’attività sottostante a scadenza nel caso in cui questa sia positiva, è nullo in caso contrario. Infatti se a scadenza si verifica che 𝐴 𝑇 < 𝐾 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione andando a comprare sul mercato l’attività sottostante e rivendendola immediatamente al writer ottenendo un guadagno pari a 𝐾 − 𝐴 𝑇. In caso contrario, cioè quando 𝐴 𝑇 > 𝐾 l’holder non avrà convenienza ad esercitare l’opzione. Graficamente in un piano cartesiano avente in ascissa i valori dei prezzi dell’attività sottostante e in ordinata il valore del saldo netto a scadenza si può notare come il grafico che si ottiene, rappresentativo del saldo 𝑃𝑇 = max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0), sia rappresentato da una spezzata composta da un segmento inclinato negativamente che si proietta dal punto di ordinata K all’asse delle ascisse e successivamente coincidente con l’asse delle ascisse per valori del prezzo dell’attività sottostante superiori a K. TABELLA 6 Il saldo netto delle posizioni in opzioni del writer è l’opposto rispetto a quello dell’holder. In formule: −𝐶 𝑇 = − max(𝐴 𝑇 − 𝐾, 0) , per il writer di un’opzione call −𝑃𝑇 = − max(𝐾 − 𝐴 𝑇, 0) , per il writer di un’opzione put Invero, nel primo caso, in ipotesi di (𝐴 𝑇 − 𝐾) > 0 l’opzione verrà esercitata dall’ holder e il writer avrà l’obbligo di acquistare l’attività sottostante sul mercato e vendergliela al prezzo di esercizio K,
  • 43. 42 conseguendo una perdita pari a (𝐴 𝑇 − 𝐾). Di converso l’opzione non verrà esercitata da parte dell’holder e il saldo a scandeza per il writer sarà nullo. Nel secondo caso, invece, nell’ipotesi in cui (𝐴 𝑇 − 𝐾) < 0 l’holder avrà convenienza ad esercitare l’opzione e venderà l’attività sottostante al writer al prezzo di esercizio K lucrando la differenza tra quest’ultimo e il prezzo dell’attività sottostante. Il saldo per il writer sarà negativo e pari alla differenza tra i due prezzi. Nell’ipotesi in cui (𝐴 𝑇 − 𝐾) > 0 l’holder non avrà convenienza ad esercitare l’opzione e il saldo per il writer sarà nullo. Graficamente i saldi netti a scadenza dei writers di opzioni si realizzano attraverso il capovolgimento ripsetto all’asse delle ascisse dei grafici dei saldi netti a scadenza degli holders. Inoltre le opzioni possono assumere diverse qualifiche tra le quali at-the-money (ATM), in-the-money (ITM) e out of the money (OTM) a seconda della posizione dello strike price rispetto al prezzo corrente del sottostante. A titolo esemplificativo nel caso di una opzione call; definito il prezzo call, o punto di pareggio, come il prezzo strike maggiorato del premio pagato per l’acquisto dell’opzione stessa, si evidenziano i tre seguenti scenari: 1. Il prezzo di mercato del sottostante è inferiore allo strike price; l’opzione call è detta out-of- the-money. 2. Il prezzo di mercato del sottostante è uguale allo strike price; L’opzione assuma la qualifica at-the-money. 3. Il prezzo di mercato del sottostante è maggiore al prezzo call; l’opzione si dice in-the-money.
  • 44. 43 2.2 I modelli valutativi: 2.2.1 Black-Scholes27 : In passato ci sono state delle difficoltà nel perseguire l’obiettivo di definizione di un prezzo teorico in grado di spiegare le quotazioni di mercato di un’opzione anche nel caso più favorevole ovvero il caso di un’opzione Call o Put europea su un’attività priva di costi e frutti fino a scandeza. Questo obiettivo è invece raggiungibile attraverso l’assunzione di ipotesi favorevoli sul funzionamento dle sistema economico entro il quale le attività sottostanti sono confinate. La definizione di un prezzo teorico univocamente determinato alla luce del solo principio di assenza di opportunità di arbitraggio non rischioso è possibile nel momento in cui il sistema economico permetta un processo chiamato duplicazione sintetica dell’opzione. Questo tipo di processo consta nella replicazione del valore dell’opzione durante tutto l’intervallo temporale lungo il quale è interessata finoa scadenza, attraverso una combinazione di altre attività quotate sui mercati. In questo senso il prezzo teorico corrente dell’opzione sarà uguale al prezzo corrente del portafoglio replicante. Il processo di duplicazione è reso possibile attraverso alcune assunzioni riguardanti l’evoluzione nel tempo del prezzo dell’attività sottostante l’opzione e la struttura dei tassi di interesse. A tal proposito un’assunzione ormai classica in questo senso è quella di una struttura piatta e invariante nel tempo per quanto concerne i tassi di interesse, perlomeno fino a scadenza dell’opzione; e quella di evoluzione del prezzo dell’attività sottostante descritta da un processo diffusivo lognormale, che meglio approssima l’evoluzione dle prezzo di attività azionarie e simili. In questo senso il prezzo di una opzione call su azioni e attività affini prive di frutti perlomeno fino a scandeza è rappresentato dalla seguente formula chiusa che prende il nome dai due studiosi Black e Scholes che la elaborarono in un articolo del 1973 pubblicato sul Journal of Political Economy: 𝐶𝑡 = 𝐴 𝑡 ∙ 𝑁(𝑑1) − 𝐾 ∙ 𝑒−𝛿∙(𝑇−𝑡) ∙ 𝑁(𝑑2) Dove: 27 BLACK, F. and SCHOLES, M. “The Pricing of Options and Corporate Liabilities”, Journal of Political Economy 81 (1973), pp. 637-654.
  • 45. 44 𝐴 𝑡 = prezzo corrente dell’attività sottostante K = prezzo di esercizio 𝛿 = intensità istantanea di interesse (T-t) = tempo residuo alla scadenza dell’opzione N(y) = Il valore assunto in y dalla funzione di ripartizione di una distribuzione normale standard. In altri termini il valore la probabilità che una distribuzione normale di media 0 e varianza 1 assuma una determinazione non superiore a y. Inoltre 𝑑1 e 𝑑2 sono valori dipendenti dai parametri del probelma secondo le seguenti formule: 𝑑1 = 𝑙 𝑛(𝐴 𝑡 /𝐾) + (𝛿 + 𝜎2 /2) ∙ (𝑇 − 𝑡) 𝜎 ∙ √(𝑇 − 𝑡) 𝑑2 = 𝑑1 − 𝜎√(𝑇 − 𝑡) Dove: 𝜎 = volatilità del processo lognormale dell’attività sottostante 𝛿 = intensità istantanea di interesse, legata al fattore di attualizzazione 𝑣 dalla 𝛿 = −ln(𝑣) Attraverso la relazione di parità Put-Call per opzioni europee è facilmente ottenibile la corrispondente espressione chiusa del prezzo teorico di un’omologa opzione put europea. È utile evidenziare infine come ad eccezione della volatilità tutti i parametri presenti nella formula di Black-Scholes sono oggetivamente ed inequivocabilmente deducibili da prezzi di mercato o da condizioni contrattuali. Per uanto concerne la volatilità, che rappresenta un amisura della variabilità nel tempo dei prezzi delle attività finanziarie è per molte attività un parametro sufficientemente regolare nel tempo e del quale esisotno stime molto soddisfacenti.
  • 46. 45 2.2.2 Modello di Cox-Ross28 uniperiodale: Prima di descrivere il modello valutativo è necessario porre in essere alcune assunzioni: l’ipotesi di mercato perfetto e quella di assenza di opportunità di arbitraggio (AOA). Per quanto concerne la prima devono essere soddifatti i seguenti requisiti:  Ad ogni istante esistono agenti sul mercato disposti a comprare e vendere titoli  Infinita divisibilità dei titoli  Le possibilità di vendita allo scoperto sono illimitate  I titoli non presentano frutti  Non sussistono costi di transizione e imposte  È presente un titolo non rischioso con un tasso annuo di interesse certo noto e costante r (intensità istantanea di interesse) In presenza di ipotesi di AOA che presentino uno stesso valore in una data futura T, devono avere lo stesso valore in tutte le date intermedia 0<t<T. Entriamo dunque nel merito del modello valutativo: sul mercato sono presenti due attività:  Un’attività rischiosa (es. un’azione) H1: 0 < d < 1 < u Posto Ω = {𝐻, 𝑇} e 𝜔 ∈ Ω; Il valore all’epoca 1 del titolo rischioso è: 𝑆1(𝜔) = { 𝑆1(𝐻) = 𝑆0 𝑢 𝑆1(𝑇) = 𝑆0 𝑑 28 COX J., ROSS S., RUBINSTEIN M. (1979), Option pricing: a simplified approach, Journal of financial economics, vol. 7, issue 3, p. 229-263.
  • 47. 46  Un’attività non rischiosa (es. un BOT) H2: d < 1 + R < u Con: R tasso annuo di interesse Ipotizzando di considerare un’opzione europea sull’attività rischiosa con stike K e maturità 1, il valore dell’opzione all’epoca 1 è descritto attraverso la seguente formula: 𝑉1(𝜔) = { 𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆1(𝜔) − 𝐾} = (𝑆1(𝜔) − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝐶𝑎𝑙𝑙 𝑚𝑎𝑥{0, 𝐾 − 𝑆1(𝜔)} = (𝐾 − 𝑆1(𝜔))+ 𝑠𝑒 𝑃𝑢𝑡 Con 𝑉1 = payoff dell’opzione. Nel caso di opzione call si avrà: 𝑉1(𝜔) = { 𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆0 𝑢 − 𝐾} = (𝑆0 𝑢 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻 𝑚𝑎𝑥{0, 𝑆0 𝑑 − 𝐾} = (𝑆0 𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇 Se intendiamo vendere un’opzione call per 𝑉0 euro all’epoca 0, a scadenza avremo l’obbligo di rendere: 𝑉1(𝜔) = { (𝑆0 𝑢 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻 (𝑆0 𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇 Al fine di calcolare 𝑉0 è necessario replicare il valore del derivato costruendo un portafoglio di copertura dinamica. Il portafoglio è identificabile in una coppia (𝛼, 𝛽) ∈ ℝ2 dove:  𝛼 è la quantità di titolo rischioso detenuta al’epoca 0  𝛽 è la quantità di titolo non rischioso detenuto all’epoca 0
  • 48. 47 Il valore del portafoglio all’epoca 0 è: 𝑉0 ̂ = 𝛼𝑆0 + 𝛽 → 𝛽 = 𝑉0 ̂ − 𝛼𝑆0 Afini di copertura a scadenza deve valere la seguente formula: 𝑉1 ̂ (𝜔) = 𝑉1(𝜔) Inoltre per l’ipotesi di assenza di opportunità di arbitraggio (AOA) segue che: 𝑉0 ̂ = 𝑉0 Il valore del portafoglio all’epoca 1 è: { (∗) 𝛼𝑆1(𝐻) + 𝛽(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻) 𝛼𝑆1(𝑇) + 𝛽(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝑇) Si risolve il sistema nelle incognite 𝑉0, 𝛼 𝑒 𝛽 ottenendo: 𝛼̂ = 𝑉1(𝐻) − 𝑉1(𝑇) 𝑆1(𝐻) − 𝑆1(𝑇) 𝛽̂ = 𝑉0 − 𝛼̂𝑆0 Ora è possibilie il calcolo di 𝑉0 Dalla (*) si ha: 𝛼̂𝑆1(𝐻) + (𝑉0 − 𝛼̂𝑆0) (1 + 𝑅) = 𝛼̂𝑆1(𝐻) + 𝑉0(1 + 𝑅) − 𝛼̂𝑆0(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻) 𝑉0 = 1 (1 + 𝑅) [𝑉1(𝐻) − 𝛼̂𝑆1(𝐻) + 𝛼̂𝑆0(1 + 𝑅)] = 1 (1 + 𝑅) [𝑉1(𝐻) + 𝛼̂(𝑆0(1 + 𝑅) − 𝑆0 𝑢)] Con una serie di passaggi matematici si giunge a questa formula: 𝑉0 = 1 (1 + 𝑅) [ ((1 + 𝑅) − 𝑑) (𝑢 − 𝑑) 𝑉1(𝐻) + (𝑢 − (1 + 𝑅)) (𝑢 − 𝑑) 𝑉1(𝑇)] Posti:
  • 49. 48 𝑞 = (1 + 𝑅) − 𝑑 (𝑢 − 𝑑) E 𝑞̂ = 𝑢 − (1 + 𝑅) (𝑢 − 𝑑) Il prezzo di un’opzione Call all’epoca 0 in ipotesi di AOA è: 𝑉0 = 1 (1 + 𝑅) [𝑞𝑉1(𝐻) + 𝑞̂𝑉1(𝑇)] = 𝐸 𝑞 [ 1 (1 + 𝑅) 𝑉1] È utile osservare, inoltre, che avendo supposto (H2: d < 1 + R < u) 𝑞 = (1 + 𝑅) − 𝑑 (𝑢 − 𝑑) > 0 𝑒 𝑞̂ = 𝑢 − (1 + 𝑅) (𝑢 − 𝑑) > 0 𝑞 + 𝑞̂ = 1 q è detta probabilità neautrale al rischio. Inoltre: 𝐸 𝑞 [ 1 (1 + 𝑅) 𝑉1] Questa formula spiega come il prezzo effettivo corrente sia dato dalla speranza matematica, secondo la probabilità neutrale al rischio, del valore attuale al tasso non rischioso dei prezzi di fine periodo. Ovvero 𝐸 𝑞 [ 𝑉1 𝑉0 ] = (1 + 𝑅) Questa formula spiega come la speranza matematica del rendimento di ogni attività è pari al rendimento dell’attività non rischiosa.
  • 50. 49 Il modello può dunque essere complicato andando a considerare un orizzonte bi- periodale. In questo scenario il mercato sarà caratterizzato da due attività:  Un’attività rischiosa (es. un’azione) H1: 0 < d < 1 < u Posto Ω = {𝐻𝐻, 𝐻𝑇, 𝑇𝐻, 𝑇𝑇} e 𝜔 ∈ Ω i quattro possibili stati di natura 𝜔 = (𝜔1, 𝜔2). Il valore all’epoca 2 del titolo rischioso è: 𝑆2(𝜔) = { 𝑆2(𝐻𝐻) = 𝑆0 𝑢2 𝑆2(𝐻𝑇) = 𝑆2(𝑇𝐻) = 𝑆0 𝑢𝑑 𝑆2(𝑇𝑇) = 𝑆0 𝑑2  Un’attività non rischiosa (es. un BOT) H2: d < 1 + R < u Ipotizzando di considerare un’opzione europea Call sull’attività rischiosa con stike K e maturità 2, il valore dell’opzione all’epoca 2 è descritto attraverso la seguente formula: 𝑉2(𝜔) = { (𝑆0 𝑢2 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻𝐻 (𝑆0 𝑢𝑑 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝐻𝑇 𝑜 𝜔 = 𝑇𝐻 (𝑆0 𝑑2 − 𝐾)+ 𝑠𝑒 𝜔 = 𝑇𝑇
  • 51. 50 Al fine di calcolare 𝑉0 è necessario replicare il valore del derivato costruendo un portafoglio di copertura dinamica. A tal fine valgono le assunzioni precedentemente illustrate per il modello mono-periodale. Il valore del portafoglio all’epoca 0 è: 𝑉0 ̂ = 𝛼𝑆0 + 𝛽0 → 𝛽0 = 𝑉0 ̂ − 𝛼𝑆0 Il valore del portafoglio all’epoca 1 è: (1) { (1) 𝑉1 ̂(𝐻) = 𝛼0 𝑆1(𝐻) + (𝑉0 − 𝛼𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝛼0 𝑆0 𝑢 + (𝑉0 − 𝛼0 𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝐻) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻 (2) 𝑉1 ̂ (𝑇) = 𝛼0 𝑆1(𝑇) + (𝑉0 − 𝛼𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝛼0 𝑆0 𝑑 + (𝑉0 − 𝛼0 𝑆0)(1 + 𝑅) = 𝑉1(𝑇) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇 In questo senso 𝑉1 ̂ dipende da 𝜔1. Con il nuovo importo 𝑉1 ̂ costruisco un nuovo portafoglio il cui valore all’epoca 1 è: 𝑉1 ̂ = 𝛼1 𝑆1 + 𝛽1 → 𝛽1 = 𝑉1 ̂ − 𝛼1 𝑆1 Con 𝛼1, 𝛽1 𝑒 𝑆1 che dipendono da 𝜔1. Si parla dunque di ribilanciamento di portafoglio. Il valore del portafoglio (𝑉2 ̂ ) all’epoca 2 è dunque: { (3) 𝑉2 ̂ (𝐻𝐻) = 𝛼1(𝐻)𝑆2(𝐻𝐻) + (𝑉1(𝐻) − 𝛼1(𝐻)𝑆1(𝐻))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝐻𝐻) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻 𝑒 𝜔2 = 𝐻 (4) 𝑉2 ̂ (𝐻𝑇) = 𝛼1(𝐻)𝑆2(𝐻𝑇) + (𝑉1(𝐻) − 𝛼1(𝐻)𝑆1(𝐻))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝐻𝑇) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝐻 𝑒 𝜔2 = 𝑇 (5) 𝑉2 ̂ (𝑇𝐻) = 𝛼1(𝑇)𝑆2(𝑇𝐻) + (𝑉1(𝑇) − 𝛼1(𝑇)𝑆1(𝑇))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝑇𝐻) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇 𝑒 𝜔2 = 𝐻 (6) 𝑉2 ̂ (𝑇𝑇) = 𝛼1(𝑇)𝑆2(𝑇𝑇) + (𝑉1(𝑇) − 𝛼1(𝑇)𝑆1(𝑇))(1 + 𝑅) = 𝑉2(𝑇𝑇) 𝑠𝑒 𝜔1 = 𝑇 𝑒 𝜔2 = 𝑇 Da (5)-(6) risulta: 𝛼1(𝑇) = 𝑉2(𝑇𝐻) − 𝑉2(𝑇𝑇) 𝑆2(𝑇𝐻) − 𝑆2(𝑇𝑇) Quindi operando una sostituzione nella (5):
  • 52. 51 𝑉1(𝑇) = 1 (1 + 𝑅) [𝑞𝑉2(𝑇𝐻) + 𝑞̂𝑉2(𝑇𝑇)] Da (3)-(4) risulta: 𝛼1(𝐻) = 𝑉2(𝐻𝐻) − 𝑉2(𝐻𝑇) 𝑆2(𝐻𝐻) − 𝑆2(𝐻𝑇) Quindi sostituendo nell (3): 𝑉1(𝐻) = 1 (1 + 𝑅) [𝑞𝑉2(𝐻𝐻) + 𝑞̂𝑉2(𝐻𝑇)] Da (1)-(2) risulta dunque: 𝛼0 = 𝑉1(𝐻) − 𝑉1(𝑇) 𝑆1(𝐻) − 𝑆1(𝑇) Da cui: 𝑉0 = 1 (1 + 𝑅) [𝑞𝑉1(𝐻) + 𝑞̂𝑉1(𝑇)] Infine; il prezzo di un’opzione Call all’epoca 0 con maturità 2 in ipotesi di AOA: 𝑉0 = 1 (1 + 𝑅)2 [𝑞2 𝑉2(𝐻𝐻) + 𝑞𝑞̂𝑉2(𝑇𝐻) + 𝑞𝑞̂𝑉2(𝐻𝑇) + 𝑞̂2 𝑉2(𝑇𝑇)] = 𝐸 𝑞 [ 1 (1 + 𝑅)2 𝑉2]