Proposte per valorizzare in Italia e in Europa le cooperative di autogestione
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Proposte per valorizzare in Italia e in Europa modelli di cooperativa di
autogestione del lavoro
Esiste un problema che l’Unione europea non ha ancora affrontato: una normativa europea per la
regolamentazione del lavoro cooperativo autogestito che garantisca standard elevati di trasparenza e
partecipazione attiva, armonizzati in tutta Europa.
Anche se le cooperative di autogestione in Italia esistono da quarant’anni e sono utilizzate dai lavoratori
per gestire spazi, fondi agricoli e beni comuni, ad oggi la legislazione delle cooperative è datata e non è in
grado di far esprimere al meglio il modello di organizzazione che permette ai lavoratori di conciliare la
libertà tipica e strutturale di certe professioni con i diritti dei lavoratori dipendenti e l’appartenenza a una
comunità.
Di fronte a un mondo del lavoro che vede la riduzione dei posti di lavoro fissi a favore di forme di lavoro
atipiche, di breve durata e per diversi committenti, le cooperative di autogestione sono state ampiamente
messe in campo nei diversi stati europei per dare diritti anche ai nuovi lavoratori, organizzati anche su
piattaforma: in Francia, in Belgio e in Italia già oltre 100.000 professionisti stanno lavorando in modelli
alternativi di organizzazione del lavoro, che sono in grado di rispondere alla flessibilità e multicommittenza
che richiede il mercato e nel contempo di garantire loro le protezioni e tutele tipiche del lavoro. Altri
professionisti si stanno attivando in Regno Unito, Spagna, Svizzera, Germania, Croazia, Bosnia-Erzegovina,
Olanda e Repubblica Ceca per sviluppare modelli di organizzazione simili su esempio di quelli esistenti.
Le cooperative di autogestione del lavoro sono imprese cooperative in cui i soci lavoratori subordinati, in
quanto prestatori di lavoro collaborano nell’impresa e ne osservano direttive generali, regole e obiettivi,
ma nella loro qualità di soci assumono in autogestione la direzione e organizzazione delle attività manuali o
intellettuali secondo le proprie personali competenze e capacità.
In seguito a numerose ricerche e un continuo confronto di esperienze con cooperative di lavoro in Europa,
si mostra sempre più urgente perseguire una armonizzazione della legislazione di questo modello per
offrire una soluzione a tutti i lavoratori che oggi fanno esperienza di attività discontinue e di
multicommittenza.
Le proposte
Una prima ipotesi di lavoro potrebbe partire dalla esperienza italiana rispetto alle regole del lavoro in
cooperativa, e in particolare estendere a livello Europeo le previsioni della normativa ben definita nella
Legge 142/2001 “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla
posizione del socio lavoratore”, in cui oltre a stabilire i doveri e diritti dei soci viene stabilito che “Il socio
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lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del
rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra
forma”.
Nell’ottica di una continua evoluzione della normativa e coerentemente con l’ottavo dei 17 obiettivi globali
di sviluppo sostenibile, dedicato al supporto al lavoro dignitoso come chiave della crescita economica, si
renderebbe necessario aggiornare anche la normativa italiana apportando le seguenti modifiche:
• aggiungendo nella legge 3 aprile 2001, n. 142 art. 1 il comma 2 lettera d):
d) mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato
dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa
stessa, e possono gestire in autogestione con autonomia operativa e organizzativa tali
attività;
• modificato alla stessa legge 3 aprile 2001, n. 142 art. 1 il comma 6 lettera e):
“e) l’attribuzione all’assemblea della facoltà di deliberare, nell’ambito del piano di crisi aziendale
di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla
soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacità finanziarie per un massimo di 6
mesi nell’arco di 48 mesi”
È infatti necessario prevedere un limite temporale allo stato di crisi per evitare l’abuso, cioè di
ridurre per non più di 6 mesi nell’arco di 48 mesi i trattamenti economici, per gli stessi mesi del
godimento della CIG straordinaria.
• Aggiornamento dell’art. 1 per definire standard elevati di controllo e attuazione delle politiche di
trasparenza e partecipazione attiva anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Fondazione Centro Studi Doc
Verona, 10 ottobre 2018