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Reality
Arte A
TEXT Ilaria Duranti
Arte & Alimentazione
do, fortemente sentito come mo-
mento d’evasione alla ricerca di una
serenità perduta.
Inoltre, l’atto di mangiare, oltre alla sua
finalità nutritiva ha sempre avuto, nelle
diverse culture anche funzioni simbo-
liche, dimostrative e sociali. Anche la
preparazione dei cibi è sottomessa a
codici culturali: il cibo viene tagliato,
sminuzzato, cotto, mescolato secondo
tecniche particolari. Spesso gli viene
data una forma artificiale con valore or-
namentale: molte forme di cibi sono il
risultato dell’incontro tra la potenzialità
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giano. Si pensi ai complicati intrecci del
pane ottenuti sfruttando la malleabilità
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ceria ottocentesca, vere e proprie ope-
re d’arte commestibili.
Anche il binomio arte – cibo trova in
qualche maniera corrispondenza: cu-
cinare, ad esempio, è un’arte e alcuni
cibi o bevande possono avere il potere
di suscitare quelle stesse emozioni, che
nascono dalla creatività artistica.
E d’altra parte avete mai fatto caso
guardando un’opera d’arte, in quale
maniera vengono rappresentati i cibi?
Quanto è cambiata la cucina dalle sue
origini ad oggi! Pensate che il pomo-
doro, ad esempio, ha fatto la sua prima
comparsa sulla nostra tavola solo dopo
la scoperta dell’America. Ciò non sta a
significare, comunque, che i nostri avi
non godessero dei piaceri di vivande
prelibate: durante i banchetti i gastro-
nomipreparavanopiattiappetitosi,che
appagavano anche i palati più esigenti.
Quanti dipinti ci fanno rivivere l’atmo-
sfera magica dei sontuosi banchetti
consumati nella Roma dei Cesari...
Le più importanti testimonianze di
nature morte, nella pittura
antica e romana in parti-
colare, sono ampiamente
documentate sulle pareti di
Pompei ed Ercolano. Allora
erano conosciuti con il nome
di “xenia”, a ricordare un’an-
tica tradizione greca, che
così chiamava i doni di cibi
freschi offerti dal padrone di
casa all’ospite di turno.
Al Museo archeologico di
Napoli è possibile ammirare
un affresco proveniente da
Pompei, in cui è rappresen-
tato un vasto assortimento di
pesci (triglie, seppie, grandi
vongole), che si legano perfettamente
all’area vesuviana.
Oppure nella Casa dei Cervi, a Erco-
lano, troviamo un trionfo pittorico di
selvaggina: un coniglio, un colombo,
un pollo sultano appena cacciati...altri
animali sono ancora in vita e mangia-
no, ignari del fatto che presto divente-
ranno a loro volta preda.
Anche nei secoli seguenti i cibi hanno
continuato ad essere inseriti in varie
raffigurazioni, rivestendo però, ancora
per molto tempo, solo ruoli accessori e
secondari o simbolici.
Fin dal Medioevo l’immaginazione
popolare è stata dominata dall’idea
dell’esistenza di un “paese favoloso”,
ricco di ogni cosa necessaria a vivere
allegramente, dove regnava l’abbon-
danza. “... La regione è lontana lon-
tana... C’è qui una montagna che si
leva fino alle scarpe della luna... Alpi
di formaggio... ora tenero, ora ben
stagionato... Al basso corrono giù...
fiumi di buon brodo che poi vanno
a finire in un lago di zuppa... Ci sono
poi costiere di burro tenero e fresco e
cento pentole fumano piene di gnoc-
chi e di tagliatelle...”.
Pietre Bruegel, nel 1567, raffigurò pro-
prio questo “Paese della Cuccagna”.
Il luogo che appare alla vista è tutto
commestibile e per approdare in que-
sto “farcito” paesaggio è necessario
“grattugiare” una galleria dalle pareti
di parmigiano, particolare evidenziato
l piacere di sedersi a tavola e
trovarsi con amici, magari dopo
una giornata stressante, è cre-I
Il binomio arte-cibo dagli
affreschi di Pompei alle
serigrafie di Andy Warhol
naria da avere una natura morta come
sola “protagonista” della composizio-
ne. Vediamo allora il semplice cestino
di vimini, descritto in maniera minuzio-
sa. I frutti sono stati rappresentati con
attenzione dal vero e sono immedia-
tamente riconoscibili,: grappoli d’uva
bianca e nera, una susina, una pesca,
una mela, dei fichi, delle pere... Sembra
di poter cogliere il grado di maturazio-
ne di ciascun elemento e sono perfino
rappresentate le gocce di rugiada, che
imperlano le superfici. Come nella real-
tà, non vengono tralasciate ammacca-
ture e imperfezioni o parti deteriorate.
Questa rappresentazione particolareg-
giata è un messaggio simbolico legato
alla precarietà delle cose terrene, tutto
scorre, muore e rinasce e per questo Il
canestro di frutta non è un banale og-
getto, ma assume importanza degna
di una figura umana.
Anche Jacopo Chimenti (1551-1640),
conosciuto come un buongustaio, rea-
lizzò una serie di diverse nature morte.
Alcuni sostengono che questa fosse
anche una maniera per mangiare ciò
da un personaggio, che è appena arri-
vato. Sul prato sono stesi tre contadini
in riposata felicità e sfiancati dopo aver
consumato un lauto pasto. Il pane si
offre in versione di cactus, mentre da-
vanti a noi sfila una parata di salsicce,
intrecciate e legate, attorno, invece, si
respira un’aria condita con i profumi
degli arrosti. Probabilmente queste
delizie, a quel tempo, erano solo una
bella fantasia per la maggior parte del-
la gente, che Brueghel aiuta a sognare
attraverso la sua creatività.
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tavole imbandite, perché il cibo arrivas-
se a rivestire ruoli più centrali nell’arte.
Solo nel Seicento si troverà la forza
per inaugurare il genere della “natura
morta”, grazie all’artista Michelangelo
Merisi da Caravaggio e ai pittori fiam-
mingo – olandesi. Allora questo tipo di
raffigurazioni sboccerà con una forza
dirompente diventando il più impor-
tante fenomeno della cultura pittorica
europea.. Il Canestro di frutta di Cara-
vaggio, quello che si trovava sulle vec-
chie centomilalire, è talmente rivoluzio-
che prima aveva dipinto. La disposizio-
nedeiprodottidellaterraedellacucina
ci offre un mondo colorato composto
dai prodotti tipici che si trovavano nei
mercati del tempo: polli, salsicce, carni,
recipienti, frutta, verdura, formaggi...
Mentre, l’Arcimboldo, “ingegnosissi-
mo pittor fantastico” è famoso invece
per i suoi ritratti e busti allegorici, in cui
venivano rappresentate figure umane
attraverso composizioni di fiori, frut-
ta, verdure e animali, che andavano a
creare una perfetta e strana corrispon-
denza fra la natura e l’uomo. Con que-
ste teste dalle sembianze umane, ma
realizzate mediante un insieme di fiori,
frutta e animali, l’artista voleva espri-
mere la grandezza della natura, pro-
sperosa madre, portatrice di energie e
influenze benigne, ma anche sottoline-
are il dominio dell’uomo su di essa.
Tra L’Arcimboldi e il Caravaggio, hanno
operato i Carracci, Ludovico e i cugini
Agostino e Annibale.
Questi tre pittori e incisori formarono la
loro rivoluzionaria Accademia, dove si
privilegiava lo studio della natura.
Nel quadro, il Mangiafagioli di Anni-
bale Carracci, appare in primo piano il
volto di un uomo con gli occhi pene-
tranti e dalla voracità animalesca, si-
mile a quella di un cane rabbioso, che
difende l’osso su cui è seduto. Questo
contadino dalle mani rudi e gonfie di
fatica ignora ogni formalità di un pran-
zo senza galateo. Sembra quasi abbia
paura di essere osservato, come se a
guardarlo potessimo sottrargli il cibo
sudato. I colori della tavola hanno i toni
della campagna emiliana, sembrano
appezzamenti di terra coltivati, messi lì
sottoforma di cibo, commestibili, come
a ricordare le lunghe attese della terra.
Alla fine del ‘600, troviamo Veermer,
la cui ricerca artistica fu sempre indi-
rizzata verso raffigurazioni di scene di
Reality Reality
A
vita domestica, spesso semplici attività
quotidiane. Di questo artista si cono-
scono solo una quarantina di opere,
ma tutte di altissima qualità. Elemento
peculiare della sua arte è la luce, che
aiuta a individuare le cose, ma allo
stesso tempo induce al silenzio e alla
contemplazione, per aumentare la lu-
centezza degli oggetti, poi, era solito
mescolare al colore granelli di sabbia e
bianco di piombo.
Nel quadro intitolato
La Lattaia è rappresen-
tata una donna intenta
a versare del latte in un
recipiente di coccio. Il
chiarore che entra dal-
la finestra disegna forti
contrasti da cui emer-
ge l’interno della casa,
dove l’armonia cromati-
ca crea un’atmosfera di
magica sospensione e il
gesto della donna divie-
ne solenne e sacrale.
L’Ottocento rappresen-
ta un’epoca di radicale
rinnovamento, si assi-
ste, infatti, all’affermarsi
di un gruppo di artisti
desiderosi di esprime-
re la propria creatività
liberamente, opponen-
dosi alle regole rigide
dettate dalla pittura
d’Accademia e privile-
giando temi contem-
poranei e l’osservazio-
ne dal vero.
LeDéjeunersurl’herbe,
opera che Manet realiz-
zerà nel 1863, annunciò
con clamore la nuova
tendenza: quando il
quadro venne presentato al cosiddet-
to Salon des Rèfuses, spazio parallelo
e alternativo all’Esposizione ufficiale,
ebbe l’effetto di un vero e proprio ca-
taclisma su pubblico e critica.
In un bosco, in riva alla Senna, due
uomini in abiti dell’epoca stanno con-
versando con una giovane donna
completamente nuda, dietro un’altra
ragazza quasi svestita sta bagnando-
si. Non era il nudo a scandalizzare, ma
piuttosto il fatto che non fosse inserito
in contesti mitologici o storici. Manet,
con quest’opera, voleva far parlare di
sé in maniera provocatoria. Infatti, il
contrasto tra la giovane senza vestiti,
che siede con naturalezza accanto ai
due uomini in abiti cittadini, si rivela
una scelta audace, che mette in imba-
razzo i contemporanei, perché quella è
una donna comune.
In primo piano svariati oggetti gettati
alla rinfusa creano una natura morta,
mailpastorimanecomeabbandonato,
a dispetto del titolo, pic-nic sull’erba,
non è questo che interessa rappresen-
tare a Manet. Così vediamo il cestino
di frutta, che si rotola sul prato, pane,
coperta, libri e altri oggetti, tutti lasciati
in disparte e trascurati.
Van Gogh fin dagli esordi fu attratto
dalla rappresentazione delle persone
più umili della società. A livello pitto-
rico riusciva ad esprimere l’esistenza
anche più squallida e la povertà, foca-
lizzando la sua attenzione soprattut-
to sulla resa espressiva degli sguardi.
Nel conosciuto quadro I mangiatori di
patate troviamo alcuni contadini, che
dopo una dura giornata di lavoro, sono
riuniti ad una tavola. I volti sono quasi
caricaturali, le mani grandi e contorte e
la loro cena un piatto colmo di patate.
Così li descrive Van Gogh: “Ho voluto...
far capire che questa povera gente...
ha zappato essa stessa la terra, dove
poi le patate sono cresciute; il quadro,
dunque, evoca il lavoro manuale e la-
scia intendere, che quei contadini han-
no onestamente meritato di mangiare
ciò che mangiano”.
Per tornare un po’ nel nostro paese tro-
viamo Giorgio De Chirico, famoso per
i “manichini”, composizioni atemporali
opera d’arte”. Alcuni anni dopo apriva
il Restaurant Spoerri, dove venivano
serviti piatti bizzarri, quanto orripilanti:
ragù di pitone, bistecca di proboscide,
formiche alla griglia...
Martin Parr, fotografo inglese, attira la
nostra attenzione sulle cose che ci cir-
condano e di cui neppure ci accorgia-
mo. Adora i colori flashy: grosse paste
dolci di colore rosa, gelatina di frago-
le, hamburger, succulenti caramelle...
verrebbe voglia di mangiarle se non
fosse che ad ognuna di queste imma-
gini è accostata una foto: dal naso di
un signore, che senza dubbio ha alzato
troppo il gomito, ad un cane che in-
dossa ridicoli occhiali...Cose buffe, ma
anche tristi e sforzate: un modo colora-
to di farci riflettere.
L’artista Felix Gonzales-Torres, con le
sue istallazioni, molto dolcemente vuol
dirci qualcosa sulla fugacità del piace-
re, sulla perdita o l’inevitabile dissol-
vimento delle cose, piazzando in una
galleria una montagna di dolcetti a cui
ognuno può attingere. E si può scom-
mettere che alla fine non resteranno
molti cioccolatini...
Magnificare la banalità del quotidiano,
svelandone la bellezza nascosta fu an-
che una delle sfide raccolta dalla pop
art. Cosa c’è di più banale del cibo che
si vede proposto negli ipermercati?
Andy Warhol rappresenta in una sua
opera una zuppa di pomodoro in sca-
tola e ne fa quasi un oggetto sacrale.
“Tu sei il Voltaire dell’America. Tu of-
fri all’America ciò che si merita: una
minestra in scatola alla parete.” Tay-
lor Mead.
Andy Warhol cominciò a lavorare come
illustratore pubblicitario e la sua prima
mostraufficialerisaleal1962:compren-
deva le immagini di 32 barattoli di zup-
che hanno segnato un momento im-
portante nella storia dell’arte.
Ma l’attività del grande pittore non si
ferma qui: : nell’arco della sua splen-
dida carriera è andato costantemente
alla ricerca di nuovi temi e di nuove
tecniche. Nell’opera Balcone a Firenze
lo spazio si dilata a dismisura, come in
alcune scenografie teatrali, cosicché lo
spettatore è portato a fermarsi non su
l’insieme, ma sui singoli particolari, im-
mersi in una luce calda e dorata. “Le
nature morte rappresentano le cose
che non sono vive, nel senso del movi-
mentoedelrumore,machesonolega-
te alla vita degli uomini, degli animali e
delle piante...queste cose stanno sulla
terra che respira intensamente....che è
piena di rumori e movimento”.
Ma lo sapete che l’arte si può anche
mangiare? In questo caso l’arte non si
offre più solo allo sguardo, ma anche al
tatto e alle papille gustative.
Nel 1961 l’artista Daniel Spoerri, parte-
cipò allo sviluppo della corrente artisti-
ca della Eat Art, dove le creazioni anda-
vano a mettere in evidenza il cibo e le
nostre attitudini alimentari. Trasformò
una drogheria in galleria, dove si com-
prava del cibo etichettato “attenzione
pe in scatola della marca Campbell’s,
realizzate con la tecnica della “serigra-
fia”. L’artista iniziò ripetere le immagi-
ni un numero infinito di volte, con un
linguaggio che ricorda molto quello
martellante della pubblicità, dove la ri-
petizione rendeva ogni singola imma-
gine banale. Con uno stile antiestetico,
molto discusso e poco elegante, Andy
Wahrol si adegua ai soggetti rappre-
sentati, cioè a quegli articoli di massa,
che tutti consumano. Quindi perché
non usare un’icona che a quel tempo
era sulla cresta dell’onda come la Coca
- Cola, assicurandosi così la massima
circolazione e comprensione delle sue
opere in tutto il mondo?
Non c’è dubbio che fra arte e alimen-
tazione esista da sempre uno stretto
legame. Senza cibo non si vive, per
questo fin dalle origini, l’uomo ha
avvertito come necessità per la so-
pravvivenza il cercare di procurarselo.
Lo studio dell’alimentazione diventa,
quindi, anche uno studio delle diver-
se manifestazioni artistiche prodotte
nel tempo, legate alla nutrizione, bi-
sogno primario di cui fino ad adesso
non si è potuto fare a meno.

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  • 1. Reality Arte A TEXT Ilaria Duranti Arte & Alimentazione do, fortemente sentito come mo- mento d’evasione alla ricerca di una serenità perduta. Inoltre, l’atto di mangiare, oltre alla sua finalità nutritiva ha sempre avuto, nelle diverse culture anche funzioni simbo- liche, dimostrative e sociali. Anche la preparazione dei cibi è sottomessa a codici culturali: il cibo viene tagliato, sminuzzato, cotto, mescolato secondo tecniche particolari. Spesso gli viene data una forma artificiale con valore or- namentale: molte forme di cibi sono il risultato dell’incontro tra la potenzialità di un materiale e la creatività di un arti- giano. Si pensi ai complicati intrecci del pane ottenuti sfruttando la malleabilità dell’impasto o ai prodotti della pastic- ceria ottocentesca, vere e proprie ope- re d’arte commestibili. Anche il binomio arte – cibo trova in qualche maniera corrispondenza: cu- cinare, ad esempio, è un’arte e alcuni cibi o bevande possono avere il potere di suscitare quelle stesse emozioni, che nascono dalla creatività artistica. E d’altra parte avete mai fatto caso guardando un’opera d’arte, in quale maniera vengono rappresentati i cibi? Quanto è cambiata la cucina dalle sue origini ad oggi! Pensate che il pomo- doro, ad esempio, ha fatto la sua prima comparsa sulla nostra tavola solo dopo la scoperta dell’America. Ciò non sta a significare, comunque, che i nostri avi non godessero dei piaceri di vivande prelibate: durante i banchetti i gastro- nomipreparavanopiattiappetitosi,che appagavano anche i palati più esigenti. Quanti dipinti ci fanno rivivere l’atmo- sfera magica dei sontuosi banchetti consumati nella Roma dei Cesari... Le più importanti testimonianze di nature morte, nella pittura antica e romana in parti- colare, sono ampiamente documentate sulle pareti di Pompei ed Ercolano. Allora erano conosciuti con il nome di “xenia”, a ricordare un’an- tica tradizione greca, che così chiamava i doni di cibi freschi offerti dal padrone di casa all’ospite di turno. Al Museo archeologico di Napoli è possibile ammirare un affresco proveniente da Pompei, in cui è rappresen- tato un vasto assortimento di pesci (triglie, seppie, grandi vongole), che si legano perfettamente all’area vesuviana. Oppure nella Casa dei Cervi, a Erco- lano, troviamo un trionfo pittorico di selvaggina: un coniglio, un colombo, un pollo sultano appena cacciati...altri animali sono ancora in vita e mangia- no, ignari del fatto che presto divente- ranno a loro volta preda. Anche nei secoli seguenti i cibi hanno continuato ad essere inseriti in varie raffigurazioni, rivestendo però, ancora per molto tempo, solo ruoli accessori e secondari o simbolici. Fin dal Medioevo l’immaginazione popolare è stata dominata dall’idea dell’esistenza di un “paese favoloso”, ricco di ogni cosa necessaria a vivere allegramente, dove regnava l’abbon- danza. “... La regione è lontana lon- tana... C’è qui una montagna che si leva fino alle scarpe della luna... Alpi di formaggio... ora tenero, ora ben stagionato... Al basso corrono giù... fiumi di buon brodo che poi vanno a finire in un lago di zuppa... Ci sono poi costiere di burro tenero e fresco e cento pentole fumano piene di gnoc- chi e di tagliatelle...”. Pietre Bruegel, nel 1567, raffigurò pro- prio questo “Paese della Cuccagna”. Il luogo che appare alla vista è tutto commestibile e per approdare in que- sto “farcito” paesaggio è necessario “grattugiare” una galleria dalle pareti di parmigiano, particolare evidenziato l piacere di sedersi a tavola e trovarsi con amici, magari dopo una giornata stressante, è cre-I Il binomio arte-cibo dagli affreschi di Pompei alle serigrafie di Andy Warhol naria da avere una natura morta come sola “protagonista” della composizio- ne. Vediamo allora il semplice cestino di vimini, descritto in maniera minuzio- sa. I frutti sono stati rappresentati con attenzione dal vero e sono immedia- tamente riconoscibili,: grappoli d’uva bianca e nera, una susina, una pesca, una mela, dei fichi, delle pere... Sembra di poter cogliere il grado di maturazio- ne di ciascun elemento e sono perfino rappresentate le gocce di rugiada, che imperlano le superfici. Come nella real- tà, non vengono tralasciate ammacca- ture e imperfezioni o parti deteriorate. Questa rappresentazione particolareg- giata è un messaggio simbolico legato alla precarietà delle cose terrene, tutto scorre, muore e rinasce e per questo Il canestro di frutta non è un banale og- getto, ma assume importanza degna di una figura umana. Anche Jacopo Chimenti (1551-1640), conosciuto come un buongustaio, rea- lizzò una serie di diverse nature morte. Alcuni sostengono che questa fosse anche una maniera per mangiare ciò da un personaggio, che è appena arri- vato. Sul prato sono stesi tre contadini in riposata felicità e sfiancati dopo aver consumato un lauto pasto. Il pane si offre in versione di cactus, mentre da- vanti a noi sfila una parata di salsicce, intrecciate e legate, attorno, invece, si respira un’aria condita con i profumi degli arrosti. Probabilmente queste delizie, a quel tempo, erano solo una bella fantasia per la maggior parte del- la gente, che Brueghel aiuta a sognare attraverso la sua creatività. Sono occorsi molti secoli di fruttiere e tavole imbandite, perché il cibo arrivas- se a rivestire ruoli più centrali nell’arte. Solo nel Seicento si troverà la forza per inaugurare il genere della “natura morta”, grazie all’artista Michelangelo Merisi da Caravaggio e ai pittori fiam- mingo – olandesi. Allora questo tipo di raffigurazioni sboccerà con una forza dirompente diventando il più impor- tante fenomeno della cultura pittorica europea.. Il Canestro di frutta di Cara- vaggio, quello che si trovava sulle vec- chie centomilalire, è talmente rivoluzio- che prima aveva dipinto. La disposizio- nedeiprodottidellaterraedellacucina ci offre un mondo colorato composto dai prodotti tipici che si trovavano nei mercati del tempo: polli, salsicce, carni, recipienti, frutta, verdura, formaggi... Mentre, l’Arcimboldo, “ingegnosissi- mo pittor fantastico” è famoso invece per i suoi ritratti e busti allegorici, in cui venivano rappresentate figure umane attraverso composizioni di fiori, frut- ta, verdure e animali, che andavano a creare una perfetta e strana corrispon- denza fra la natura e l’uomo. Con que- ste teste dalle sembianze umane, ma realizzate mediante un insieme di fiori, frutta e animali, l’artista voleva espri- mere la grandezza della natura, pro- sperosa madre, portatrice di energie e influenze benigne, ma anche sottoline- are il dominio dell’uomo su di essa. Tra L’Arcimboldi e il Caravaggio, hanno operato i Carracci, Ludovico e i cugini Agostino e Annibale. Questi tre pittori e incisori formarono la loro rivoluzionaria Accademia, dove si privilegiava lo studio della natura. Nel quadro, il Mangiafagioli di Anni- bale Carracci, appare in primo piano il volto di un uomo con gli occhi pene- tranti e dalla voracità animalesca, si- mile a quella di un cane rabbioso, che difende l’osso su cui è seduto. Questo contadino dalle mani rudi e gonfie di fatica ignora ogni formalità di un pran- zo senza galateo. Sembra quasi abbia paura di essere osservato, come se a guardarlo potessimo sottrargli il cibo sudato. I colori della tavola hanno i toni della campagna emiliana, sembrano appezzamenti di terra coltivati, messi lì sottoforma di cibo, commestibili, come a ricordare le lunghe attese della terra. Alla fine del ‘600, troviamo Veermer, la cui ricerca artistica fu sempre indi- rizzata verso raffigurazioni di scene di
  • 2. Reality Reality A vita domestica, spesso semplici attività quotidiane. Di questo artista si cono- scono solo una quarantina di opere, ma tutte di altissima qualità. Elemento peculiare della sua arte è la luce, che aiuta a individuare le cose, ma allo stesso tempo induce al silenzio e alla contemplazione, per aumentare la lu- centezza degli oggetti, poi, era solito mescolare al colore granelli di sabbia e bianco di piombo. Nel quadro intitolato La Lattaia è rappresen- tata una donna intenta a versare del latte in un recipiente di coccio. Il chiarore che entra dal- la finestra disegna forti contrasti da cui emer- ge l’interno della casa, dove l’armonia cromati- ca crea un’atmosfera di magica sospensione e il gesto della donna divie- ne solenne e sacrale. L’Ottocento rappresen- ta un’epoca di radicale rinnovamento, si assi- ste, infatti, all’affermarsi di un gruppo di artisti desiderosi di esprime- re la propria creatività liberamente, opponen- dosi alle regole rigide dettate dalla pittura d’Accademia e privile- giando temi contem- poranei e l’osservazio- ne dal vero. LeDéjeunersurl’herbe, opera che Manet realiz- zerà nel 1863, annunciò con clamore la nuova tendenza: quando il quadro venne presentato al cosiddet- to Salon des Rèfuses, spazio parallelo e alternativo all’Esposizione ufficiale, ebbe l’effetto di un vero e proprio ca- taclisma su pubblico e critica. In un bosco, in riva alla Senna, due uomini in abiti dell’epoca stanno con- versando con una giovane donna completamente nuda, dietro un’altra ragazza quasi svestita sta bagnando- si. Non era il nudo a scandalizzare, ma piuttosto il fatto che non fosse inserito in contesti mitologici o storici. Manet, con quest’opera, voleva far parlare di sé in maniera provocatoria. Infatti, il contrasto tra la giovane senza vestiti, che siede con naturalezza accanto ai due uomini in abiti cittadini, si rivela una scelta audace, che mette in imba- razzo i contemporanei, perché quella è una donna comune. In primo piano svariati oggetti gettati alla rinfusa creano una natura morta, mailpastorimanecomeabbandonato, a dispetto del titolo, pic-nic sull’erba, non è questo che interessa rappresen- tare a Manet. Così vediamo il cestino di frutta, che si rotola sul prato, pane, coperta, libri e altri oggetti, tutti lasciati in disparte e trascurati. Van Gogh fin dagli esordi fu attratto dalla rappresentazione delle persone più umili della società. A livello pitto- rico riusciva ad esprimere l’esistenza anche più squallida e la povertà, foca- lizzando la sua attenzione soprattut- to sulla resa espressiva degli sguardi. Nel conosciuto quadro I mangiatori di patate troviamo alcuni contadini, che dopo una dura giornata di lavoro, sono riuniti ad una tavola. I volti sono quasi caricaturali, le mani grandi e contorte e la loro cena un piatto colmo di patate. Così li descrive Van Gogh: “Ho voluto... far capire che questa povera gente... ha zappato essa stessa la terra, dove poi le patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e la- scia intendere, che quei contadini han- no onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano”. Per tornare un po’ nel nostro paese tro- viamo Giorgio De Chirico, famoso per i “manichini”, composizioni atemporali opera d’arte”. Alcuni anni dopo apriva il Restaurant Spoerri, dove venivano serviti piatti bizzarri, quanto orripilanti: ragù di pitone, bistecca di proboscide, formiche alla griglia... Martin Parr, fotografo inglese, attira la nostra attenzione sulle cose che ci cir- condano e di cui neppure ci accorgia- mo. Adora i colori flashy: grosse paste dolci di colore rosa, gelatina di frago- le, hamburger, succulenti caramelle... verrebbe voglia di mangiarle se non fosse che ad ognuna di queste imma- gini è accostata una foto: dal naso di un signore, che senza dubbio ha alzato troppo il gomito, ad un cane che in- dossa ridicoli occhiali...Cose buffe, ma anche tristi e sforzate: un modo colora- to di farci riflettere. L’artista Felix Gonzales-Torres, con le sue istallazioni, molto dolcemente vuol dirci qualcosa sulla fugacità del piace- re, sulla perdita o l’inevitabile dissol- vimento delle cose, piazzando in una galleria una montagna di dolcetti a cui ognuno può attingere. E si può scom- mettere che alla fine non resteranno molti cioccolatini... Magnificare la banalità del quotidiano, svelandone la bellezza nascosta fu an- che una delle sfide raccolta dalla pop art. Cosa c’è di più banale del cibo che si vede proposto negli ipermercati? Andy Warhol rappresenta in una sua opera una zuppa di pomodoro in sca- tola e ne fa quasi un oggetto sacrale. “Tu sei il Voltaire dell’America. Tu of- fri all’America ciò che si merita: una minestra in scatola alla parete.” Tay- lor Mead. Andy Warhol cominciò a lavorare come illustratore pubblicitario e la sua prima mostraufficialerisaleal1962:compren- deva le immagini di 32 barattoli di zup- che hanno segnato un momento im- portante nella storia dell’arte. Ma l’attività del grande pittore non si ferma qui: : nell’arco della sua splen- dida carriera è andato costantemente alla ricerca di nuovi temi e di nuove tecniche. Nell’opera Balcone a Firenze lo spazio si dilata a dismisura, come in alcune scenografie teatrali, cosicché lo spettatore è portato a fermarsi non su l’insieme, ma sui singoli particolari, im- mersi in una luce calda e dorata. “Le nature morte rappresentano le cose che non sono vive, nel senso del movi- mentoedelrumore,machesonolega- te alla vita degli uomini, degli animali e delle piante...queste cose stanno sulla terra che respira intensamente....che è piena di rumori e movimento”. Ma lo sapete che l’arte si può anche mangiare? In questo caso l’arte non si offre più solo allo sguardo, ma anche al tatto e alle papille gustative. Nel 1961 l’artista Daniel Spoerri, parte- cipò allo sviluppo della corrente artisti- ca della Eat Art, dove le creazioni anda- vano a mettere in evidenza il cibo e le nostre attitudini alimentari. Trasformò una drogheria in galleria, dove si com- prava del cibo etichettato “attenzione pe in scatola della marca Campbell’s, realizzate con la tecnica della “serigra- fia”. L’artista iniziò ripetere le immagi- ni un numero infinito di volte, con un linguaggio che ricorda molto quello martellante della pubblicità, dove la ri- petizione rendeva ogni singola imma- gine banale. Con uno stile antiestetico, molto discusso e poco elegante, Andy Wahrol si adegua ai soggetti rappre- sentati, cioè a quegli articoli di massa, che tutti consumano. Quindi perché non usare un’icona che a quel tempo era sulla cresta dell’onda come la Coca - Cola, assicurandosi così la massima circolazione e comprensione delle sue opere in tutto il mondo? Non c’è dubbio che fra arte e alimen- tazione esista da sempre uno stretto legame. Senza cibo non si vive, per questo fin dalle origini, l’uomo ha avvertito come necessità per la so- pravvivenza il cercare di procurarselo. Lo studio dell’alimentazione diventa, quindi, anche uno studio delle diver- se manifestazioni artistiche prodotte nel tempo, legate alla nutrizione, bi- sogno primario di cui fino ad adesso non si è potuto fare a meno.