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Qual è il contributo di innova-
zione della sua ricerca?
Tutti vorremmo che le nostre ricerche
avessero un potente impatto nel loro
campo, ma è raro che sia effettivamente
così, soprattutto al giorno d’oggi. D’altra
parte, il mio è solo un altro piccolissimo
passo verso un possibile futuro miglio-
re. Ho cominciato durante il tirocinio
per la laurea magistrale. Tesi e relatore
mi convinsero poi a tentare la strada
del dottorato di ricerca sullo stesso ar-
gomento. Abbiamo infatti avuto pochi
dubbi quando è stato il momento di sce-
gliere il titolo per la nuova tesi: “Green
Transformations of Bio-based Chemi-
cals”. Può sembrare un po’ generico,
ma nasce dal bisogno di raggruppare
molteplici composti e reazioni parti-
colari. Io ed altri ci siamo occupati di
questo. Abbiamo sposato un approccio
di tipo “strategy driven ossia guidato
dall’attenzione a capire tutto quello che
potevamo realizzare per mezzo delle
strategie di chimica verde di cui era-
vamo più esperti. Mi spiego meglio: la
ricerca degli ultimi anni ha dimostrato
come alcune molecole di base possano
essere ottenute in modo efficiente dalla
biomassa con molecole di lignocellu-
losica (quindi piante e scarti vegetali).
Questi composti di base sono appunto
chiamati platform chemicals, poiché essi
vorrebbero diventare, in futuro, i matto-
ni di base per un nuovo tipo di chimi-
ca, non più basata sulle risorse fossili.
Così abbiamo scelto i composti rinno-
vabili più interessanti sia per potenzia-
lità che per fattibilità (acidi carbossilici,
lattoni, dioli, acidi grassi) e abbiamo
studiato a fondo quello a cui potevano
condurre. Mi sono occupato ad ampio
raggio di chimica verde quindi non
solo risorse rinnovabili ma anche pro-
cessi chimici più sicuri per l’uomo e per
l’ambiente. Ad esempio, abbiamo svi-
luppato interessanti reazioni dell’acido
levulinico (ossidazione e alchilazione),
reazioni di alchilazione e di apertu-
ra d’anello dei lattoni, ottenimento di
carbonati ciclici o monomeri per poli-
carbonati dai dioli, abbassamento del
punto di congelamento dei biodiesel.
In sintesi, il risultato consiste in nuove
strategie per ottenere cose molto diver-
se: dai fine chemicals ai monomeri, dai
solventi particolari ai bio-carburanti.
Il concetto alla base di tutto questo è
solo uno: la ricerca della sostenibilità.
Potete immaginare l’orgoglio quan-
do, lo scorso febbraio, la mia tesi è
stata premiata alla fiera BioEnergy
Italy 2015 come “miglior tesi di Dotto-
rato sul tema dell’uso delle bioenergie
o della chimica verde in agricoltura”.
Che cosa l’ha spinta a scegliere
la chimica come mestiere?
C'è un episodio specifico che
l’ha indotta ad intraprendere
questa strada?
Quando ero piccolo, mio padre, fre-
sco di laurea in scienze agrarie, faceva
qualche supplenza negli istituti tecnici.
Lo convinsi a portarmi a vedere i labo-
ratori nelle scuole. Quelli chimici, quel-
lo di microscopia e quelli di botanica.
Ricordo anche che mi feci regalare un
rotolo di cartina al tornasole, senza
contare che avevo un’adorazione par-
ticolare per la vetreria da laboratorio.
Anni dopo mi iscrissi al liceo scientifico,
puntando subito al corso con un’interes-
sante sperimentazione. Ebbi la fortuna
di avere un’insegnante in gamba e ap-
passionata e così, una volta fatto l’anno
di chimica decisi che all’università, quel-
la sarebbe stata la mia strada.
Gli elementi
per il futuro
Alessio Caretto, giovane scienziato cresciuto alla
Ca’Foscari, già vincitore del premio di dottorato
Bioenergy 2015, promosso da Legambiente, racconta la
sua passione per una chimica impegnata, nell’industria e
nella ricerca, a regalare all’uomo un mondo migliore
ILCHIMICOITALIANO
	di FABRIZIOBALEANI
Io un chimico
MARZODUEMILASEDICI
“abbiamo sposato un
approccio di tipo strategy
driven ossia guidato
dall’attenzione a capire tutto
quello che potevamo realizzare
per mezzo delle strategie di
chimica verde di cui eravamo
più esperti”
37ILCHIMICOITALIANO
Come vive il suo ruolo di giova-
ne scienziato?
L’esperienza del dottorato è stata fanta-
stica, anche perché abbiamo stipulato
un titolo congiunto tra la mia università
di provenienza (Ca’ Foscari di Venezia)
e la University of Sydney (dove ho speso
più di un anno). Ora, in realtà, provo
un po’ di amarezza: mi sono reso conto
di amare molto l’ambiente accademico,
ma, soprattutto qui in Italia, si tratta di
una strada in salita, per non dire una
scalata. Per il momento mi sono dato al
ramo industriale. Ma un po’ di nostalgia
per l’ambiente accademico rimane. In
futuro potrei farci un pensiero.
Lei ha un curriculum internazio-
nale. Rileva delle differenze di
approccio e cultura tra la ricerca
italiana e quella degli altri paesi
nei quali ha studiato e lavorato?
Diciamo che mi sono fatto una vaga
idea di cosa c’è in giro per il mondo.
Non solo per l’esperienza in Australia
ma anche attraverso gli incontri con
studenti, ricercatori e professori di altri
paesi ai congressi internazionali.
C’è un grosso pro e un grosso contro per
quanto riguarda la ricerca in Italia. Par-
tendo dal buono: l’inventiva e creatività
italiane credo siano senza dubbio supe-
riori a quelle di tutti gli altri.
In Italia si cerca di risolvere velocemente
ed estrosamente i problemi, per quanto
a volte in modo poco ortodosso.
Altri paesi vantano invece una migliore
organizzazione, ma il contro più gran-
de del lavorare in Italia è a mio parere
il rapporto quasi inesistente tra mondo
accademico e mondo industriale.
Si potrebbe migliorare tanto, con benefi-
ci per entrambi i lati.
Nei paesi anglosassoni ad esempio que-
sto aspetto è a livelli molto migliori.
MARZODUEMILASEDICI
PIONIERI
A spasso
con la biochimica
di Fischer
Nel campo biochimico, nel corso del XX
secolo si è cercato di ricostruire la strut-
tura delle molecole dei viventi, consape-
voli del fatto che da questa poi deriva
la loro funzione. Un ruolo fondamentale
ricoprono in questo ambito le ricerche
di Emil Fischer,professore bavarese con
Nobel per la Chimica nel 1902.
Egli in gioventù aveva determinato la
struttura di molecole complesse come
la caffeina, ma i risultati principali li
ottenne studiando la sintesi proteica. In
particolare, è considerato il padre del-
la chimica degli enzimi. Riuscì infatti ad
identificarne un gran numero e fu il pri-
mo a definirne la funzione.
Partendo dai suoi studi, negli ultimi anni,
i ricercatori sono riusciti a definire le dif-
ferenze tra le reazioni chimiche che av-
vengono in un essere vivente e quelle di
laboratorio:
- Le reazioni biochimiche si verificano a
temperature relativamente basse e sono
in genere abbastanza veloci.
Ciò avviene grazie alla presenza di spe-
ciali catalizzatori, gli enzimi appunto,
dotati di alta specificità.
- Quasi tutte le sostanze che costituisco-
no le cellule sono complesse macromo-
lecole (polios, proteine, acidi nucleici,
acidi grassi).
- Uno stesso composto può subire tra-
sformazioni diverse a seconda dei casi,
a causa della variazione delle condizio-
ni chimico-fisiche della cellula che per-
mettono l’attivazione di enzimi diversi.
Il chimico tedesco muore a Berlino nel
1919.

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  • 1.
  • 2. 36 Qual è il contributo di innova- zione della sua ricerca? Tutti vorremmo che le nostre ricerche avessero un potente impatto nel loro campo, ma è raro che sia effettivamente così, soprattutto al giorno d’oggi. D’altra parte, il mio è solo un altro piccolissimo passo verso un possibile futuro miglio- re. Ho cominciato durante il tirocinio per la laurea magistrale. Tesi e relatore mi convinsero poi a tentare la strada del dottorato di ricerca sullo stesso ar- gomento. Abbiamo infatti avuto pochi dubbi quando è stato il momento di sce- gliere il titolo per la nuova tesi: “Green Transformations of Bio-based Chemi- cals”. Può sembrare un po’ generico, ma nasce dal bisogno di raggruppare molteplici composti e reazioni parti- colari. Io ed altri ci siamo occupati di questo. Abbiamo sposato un approccio di tipo “strategy driven ossia guidato dall’attenzione a capire tutto quello che potevamo realizzare per mezzo delle strategie di chimica verde di cui era- vamo più esperti. Mi spiego meglio: la ricerca degli ultimi anni ha dimostrato come alcune molecole di base possano essere ottenute in modo efficiente dalla biomassa con molecole di lignocellu- losica (quindi piante e scarti vegetali). Questi composti di base sono appunto chiamati platform chemicals, poiché essi vorrebbero diventare, in futuro, i matto- ni di base per un nuovo tipo di chimi- ca, non più basata sulle risorse fossili. Così abbiamo scelto i composti rinno- vabili più interessanti sia per potenzia- lità che per fattibilità (acidi carbossilici, lattoni, dioli, acidi grassi) e abbiamo studiato a fondo quello a cui potevano condurre. Mi sono occupato ad ampio raggio di chimica verde quindi non solo risorse rinnovabili ma anche pro- cessi chimici più sicuri per l’uomo e per l’ambiente. Ad esempio, abbiamo svi- luppato interessanti reazioni dell’acido levulinico (ossidazione e alchilazione), reazioni di alchilazione e di apertu- ra d’anello dei lattoni, ottenimento di carbonati ciclici o monomeri per poli- carbonati dai dioli, abbassamento del punto di congelamento dei biodiesel. In sintesi, il risultato consiste in nuove strategie per ottenere cose molto diver- se: dai fine chemicals ai monomeri, dai solventi particolari ai bio-carburanti. Il concetto alla base di tutto questo è solo uno: la ricerca della sostenibilità. Potete immaginare l’orgoglio quan- do, lo scorso febbraio, la mia tesi è stata premiata alla fiera BioEnergy Italy 2015 come “miglior tesi di Dotto- rato sul tema dell’uso delle bioenergie o della chimica verde in agricoltura”. Che cosa l’ha spinta a scegliere la chimica come mestiere? C'è un episodio specifico che l’ha indotta ad intraprendere questa strada? Quando ero piccolo, mio padre, fre- sco di laurea in scienze agrarie, faceva qualche supplenza negli istituti tecnici. Lo convinsi a portarmi a vedere i labo- ratori nelle scuole. Quelli chimici, quel- lo di microscopia e quelli di botanica. Ricordo anche che mi feci regalare un rotolo di cartina al tornasole, senza contare che avevo un’adorazione par- ticolare per la vetreria da laboratorio. Anni dopo mi iscrissi al liceo scientifico, puntando subito al corso con un’interes- sante sperimentazione. Ebbi la fortuna di avere un’insegnante in gamba e ap- passionata e così, una volta fatto l’anno di chimica decisi che all’università, quel- la sarebbe stata la mia strada. Gli elementi per il futuro Alessio Caretto, giovane scienziato cresciuto alla Ca’Foscari, già vincitore del premio di dottorato Bioenergy 2015, promosso da Legambiente, racconta la sua passione per una chimica impegnata, nell’industria e nella ricerca, a regalare all’uomo un mondo migliore ILCHIMICOITALIANO di FABRIZIOBALEANI Io un chimico MARZODUEMILASEDICI “abbiamo sposato un approccio di tipo strategy driven ossia guidato dall’attenzione a capire tutto quello che potevamo realizzare per mezzo delle strategie di chimica verde di cui eravamo più esperti”
  • 3. 37ILCHIMICOITALIANO Come vive il suo ruolo di giova- ne scienziato? L’esperienza del dottorato è stata fanta- stica, anche perché abbiamo stipulato un titolo congiunto tra la mia università di provenienza (Ca’ Foscari di Venezia) e la University of Sydney (dove ho speso più di un anno). Ora, in realtà, provo un po’ di amarezza: mi sono reso conto di amare molto l’ambiente accademico, ma, soprattutto qui in Italia, si tratta di una strada in salita, per non dire una scalata. Per il momento mi sono dato al ramo industriale. Ma un po’ di nostalgia per l’ambiente accademico rimane. In futuro potrei farci un pensiero. Lei ha un curriculum internazio- nale. Rileva delle differenze di approccio e cultura tra la ricerca italiana e quella degli altri paesi nei quali ha studiato e lavorato? Diciamo che mi sono fatto una vaga idea di cosa c’è in giro per il mondo. Non solo per l’esperienza in Australia ma anche attraverso gli incontri con studenti, ricercatori e professori di altri paesi ai congressi internazionali. C’è un grosso pro e un grosso contro per quanto riguarda la ricerca in Italia. Par- tendo dal buono: l’inventiva e creatività italiane credo siano senza dubbio supe- riori a quelle di tutti gli altri. In Italia si cerca di risolvere velocemente ed estrosamente i problemi, per quanto a volte in modo poco ortodosso. Altri paesi vantano invece una migliore organizzazione, ma il contro più gran- de del lavorare in Italia è a mio parere il rapporto quasi inesistente tra mondo accademico e mondo industriale. Si potrebbe migliorare tanto, con benefi- ci per entrambi i lati. Nei paesi anglosassoni ad esempio que- sto aspetto è a livelli molto migliori. MARZODUEMILASEDICI PIONIERI A spasso con la biochimica di Fischer Nel campo biochimico, nel corso del XX secolo si è cercato di ricostruire la strut- tura delle molecole dei viventi, consape- voli del fatto che da questa poi deriva la loro funzione. Un ruolo fondamentale ricoprono in questo ambito le ricerche di Emil Fischer,professore bavarese con Nobel per la Chimica nel 1902. Egli in gioventù aveva determinato la struttura di molecole complesse come la caffeina, ma i risultati principali li ottenne studiando la sintesi proteica. In particolare, è considerato il padre del- la chimica degli enzimi. Riuscì infatti ad identificarne un gran numero e fu il pri- mo a definirne la funzione. Partendo dai suoi studi, negli ultimi anni, i ricercatori sono riusciti a definire le dif- ferenze tra le reazioni chimiche che av- vengono in un essere vivente e quelle di laboratorio: - Le reazioni biochimiche si verificano a temperature relativamente basse e sono in genere abbastanza veloci. Ciò avviene grazie alla presenza di spe- ciali catalizzatori, gli enzimi appunto, dotati di alta specificità. - Quasi tutte le sostanze che costituisco- no le cellule sono complesse macromo- lecole (polios, proteine, acidi nucleici, acidi grassi). - Uno stesso composto può subire tra- sformazioni diverse a seconda dei casi, a causa della variazione delle condizio- ni chimico-fisiche della cellula che per- mettono l’attivazione di enzimi diversi. Il chimico tedesco muore a Berlino nel 1919.