2. 12/05/13 Stampa articolo
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Anche il Sud Europa — che ha nell'Italia
la capofila — deve decidersi: lo spirito europeo, che ha sempre coltivato, deve assumersi le sue
responsabilità. Nessuno può chiedere ai Paesi ricchi di pagare in cambio di niente. I Paesi del Sud
hanno il dovere di riconoscere il ritardo storico in cui versano e di mettere finalmente mano alle
riforme. Per usare un'immagine calcistica: qualificate per il campionato mondiale, le loro
rappresentative non ne sono all'altezza. E rimediano così una serie di brutte figure.
Al punto in cui siamo, la teoria dei giochi suggerisce che siamo destinati al peggio. Impostare sulla
base del mutuo interesse un negoziato tra parti così disomogenee, e con opinioni pubbliche così
emotive, è una sfida impossibile. Anche perché l'equilibrio virtuoso a cui si deve aspirare si può
raggiungere solo in un certo numero di anni. Ad aiutarci è la consapevolezza che il costo di un
abbandono del progetto europeo sarebbe alto per tutti. Ma non è possibile stare insieme senza una
visione politica positiva, capace, cioè, di far tesoro dell'insegnamento di Aristotele per il quale
l'amicizia politica, che è condizione per la fondazione di una qualunque comunità, nasce solo dal
comune riconoscimento e perseguimento di un bene comune irriducibile alla mera somma degli
interessi di parte.
In questi dieci anni ci eravamo illusi che
la moneta unica avrebbe creato l'unità politica. Ora la situazione si è ribaltata: se non si agisce
politicamente, sarà l'euro a far deragliare il percorso di unificazione. Spezzando la solidarietà tra il
Nord e il Sud del Continente. Senza individuare il bene comune capace di rifondare una amicizia
europea — l'Europa che vogliamo essere, il percorso per arrivarci e le condizioni per poterci stare —
non sarà possibile uscire dalla crisi nella quale ci ritroviamo. La politica, più che mai, è in campo.
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