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      Universita degli Studi di Perugia
     Facolt` di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
           a

          Corso di laurea in Scienze Chimiche




                Tesi di Laurea Specialistica

  Modulazione dell’attivit` catalitica
                          a
    di enzimi tramite interazione
         con nanoparticelle

Laureanda:                        Relatore:
Orsola Ripa                       Prof. Antonio Cipiciani

                                  Correlatore:
                                  Dott.ssa Francesca Bellezza




                  Anno Accademico 2009/2010
a Marcello e Marella ♥
Premessa

La possibilit` di regolare l’attivit` catalitica delle proteine gioca un ruolo impor-
             a                      a
tante nella modulazione di processi cellulari vitali. Disfunzioni a livello dell’azione
svolta da enzimi e proteine sono la causa di disturbi e malattie per l’uomo, e la
capacit` di regolare la funzione enzimatica e l’interazione tra sistemi proteici pu`
       a                                                                           o
fornire una promettente strategia per curare tali disturbi.
La struttura e la funzione di un enzima possono essere modulate tramite l’intera-
zione con nanoparticelle. Il ruolo chiave ` svolto dalle propriet` del nanomateriale,
                                          e                      a
come la struttura, le dimensioni, la chimica superficiale, la carica e la forma.
Le nanoparticelle hanno alcuni vantaggi rispetto ad altre piccole molecole organi-
che: esse hanno una grande area superficiale (rapporto superficie/volume elevato)
che favorisce il legame con le proteine e le interazioni di tipo biologico. Le parti-
celle di dimensioni nanometriche possono entrare facilmente nelle cellule, cosa che
non ` permessa ad alcune piccole molecole, anche di natura biologica. Inoltre, oggi
    e
sono disponibili strategie sintetiche che permettono di ottenere nanoparticelle con
propriet` controllabili in termini di dimensioni, geometria e caratteristiche super-
        a
ficiali, che siano integrabili con la complessit` strutturale delle proteine. Il fiorente
                                               a
sviluppo nel campo dei nanomateriali offre una nuova strada verso la modulazione
dell’attivit` di proteine attraverso l’instaurarsi di interazioni superficiali tra i due
            a
sistemi.
D’altra parte, la diffusione massiccia di questo tipo di materiali in numerosi ambi-
ti, che vanno dal biomedico all’alimentare, ha come conseguenza l’introduzione di
questo tipo di molecole nell’organismo. Proprio allo scopo di verificare e prevenire
eventuali effetti negativi e/o problemi di tossicit` diventa fondamentale studiare
                                                  a
cosa succede a questi sistemi quando vengono a contatto con l’ambiente fisiologi-
co, con particolare attenzione verso gli enzimi, per capire il tipo di interazione che
eventualmente si instaura e verificare le ripercussioni sull’attivit` catalitica della
                                                                   a
proteina.
Solo conoscendo in modo preciso e da ogni punto di vista il sistema proteina-
nanoparticella si pu` controllarlo, manipolarlo e utilizzarlo al meglio la dove ne-
                    o
cessario.
In questo lavoro ` stata posta l’attenzione su due eme-proteine che svolgono un
                 e
ruolo molto importante nell’organismo: la mioglobina, la cui funzione principe `
                                                                               e
legare reversibilmente l’ossigeno molecolare, e il citocromo C, enzima essenziale
della catena di trasporto mitocondriale degli elettroni.
Di entrambi ` stata studiata l’attivit` perossidasica, cio` la capacit` di ossidare
            e                         a                   e           a
substrati donatori di elettroni, in presenza di nanomateriali quali la silice e il fo-
sfato di zirconio. Il primo ` un materiale molto diffuso e ampiamente utilizzato
                            e
mentre il secondo ` un materiale di nuova sintesi.
                  e
Lo scopo del lavoro di tesi ` stato capire come nanoparticelle cariche negativamen-
                            e
te in superficie interagiscono con la mioglobina e il citocromo C, che possiedono
carica netta differente a pH sperimentale, e vedere che ripercussioni ha tale inte-
razione sulla loro attivit` perossidasica.
                          a
Indice

1 Interazione di enzimi con nanomateriali                                               1
  1.1   Il ruolo delle nanotecnologie oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .        1
  1.2   L’interazione proteine-nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . . . .         2
  1.3   Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle . . . . . . .
                                a                                                       6
  1.4   Materiali nanostrutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .         9
        1.4.1   Silice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    9
        1.4.2   α-Fosfato di zirconio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .      13

2 Emeproteine e attivit` perossidasica
                       a                                                               16
  2.1   La catalisi enzimatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .       18
  2.2   Le emeproteine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .       22
        2.2.1   Mioglobina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .       23
        2.2.2   Citocromo C . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .        25
        2.2.3   Interazione di emeproteine con materiali nanostrutturati . .           27
  2.3   Attivit` perossidasica e studi cinetici . . . . . . . . . . . . . . . . .
               a                                                                       28
  2.4   Equilibri di formazione di complessi proteina-
        ligando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    34

3 Scopo del lavoro                                                                     37

4 Risultati e discussione                                                              40
  4.1   Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 41
        4.1.1   Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 . . .
                       a                                                               41
        4.1.2   Spettri UV-Vis della mioglobina in presenza di SiO2 . . . .            45




                                                                                        i
INDICE


        4.1.3   Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 in
                       a
                funzione della forza ionica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    47
        4.1.4   Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 -APTES 49
                       a
        4.1.5   Stabilit` della mioglobina all’inattivazione in presenza di
                        a
                perossido di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    50
        4.1.6   Determinazione delle costanti di equilibrio per i sistemi mioglobina-
                imidazolo e mioglobina-azide . . . . . . . . . . . . . . . . .       52
  4.2   Interazione del citocromo C con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 55
        4.2.1   Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 . . .
                       a                                                             55
        4.2.2   Spettri UV-Vis del citocromo C in presenza di SiO2 . . . .           58
        4.2.3   Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 in
                       a
                funzione della forza ionica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    59
        4.2.4   Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 -APTES 60
                       a
        4.2.5   Stabilit` del citocromo C all’inattivazione in presenza di
                        a
                perossido di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    61
  4.3   Interazione di emeproteine con α-ZrP in forma nanostrutturata . .            62
        4.3.1   Interazione della mioglobina con nanoparticelle di α-ZrP . .         63
        4.3.2   Interazione del citocromo C con nanoparticelle di α-ZrP . .          67

5 Conclusioni                                                                        72

6 Parte sperimentale                                                                 75
  6.1   Materiali utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   75
        6.1.1   Funzionalizzazione della silice Ludox TM-40 . . . . . . . . .        75
        6.1.2   Sintesi di nanoparticelle di α-ZrP . . . . . . . . . . . . . . .     76
  6.2   Studi cinetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   76
        6.2.1   Studio dell’attivit` catalitica di emeproteine in presenza di
                                   a
                nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   76
        6.2.2   Determinazione delle costanti cinetiche kcat e KM per la
                proteina nativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    78




                                                                                     ii
INDICE


        6.2.3   Determinazione delle costanti cinetiche kcat e KM della pro-
                teina adsorbita su nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . .       78
  6.3   Inattivazione della proteina in presenza di perossido di idrogeno . .         79
  6.4   Spettroscopia UV-Vis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .        79
        6.4.1   Spettri UV-Vis delle proteine nella forma nativa . . . . . .          79
        6.4.2   Spettri UV-Vis delle proteine in presenza di silice . . . . . .       80
        6.4.3   Spettri UV-Vis delle proteine in presenza di fosfato di zirconio 80
  6.5   Determinazione delle costanti di equilibrio per i sistemi mioglobina-
        ligando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   80

Bibliografia                                                                           82




                                                                                      iii
Capitolo 1

Interazione di enzimi con
nanomateriali

1.1     Il ruolo delle nanotecnologie oggi

Le nanotecnologie si occupano della ricerca e sviluppo di sistemi nanostrutturati
e sono il ramo scientifico pi` studiato e su cui si ` investito moltissimo, a livello
                            u                      e
mondiale, in questo inizio di secolo.
La capacit` di lavorare a livello molecolare, atomo per atomo, e di manipolare
          a
specifiche caratteristiche dei nanomateriali, quali propriet` fisiche, chimiche e bio-
                                                           a
logiche, offre una gamma di possibilit` di sintesi di minuscole strutture, altamente
                                     a
funzionalizzate, utilizzabili nell’ambito del drug delivery, in tecniche di imaging,
per la progettazione di biosensori, circuiti elettrici, microchips, switches moleco-
lari e anche analoghi per tessuti cutanei, ossa, muscoli e altri organi.
D’altra parte, i notevoli passi avanti fatti dalla medicina e dalle biotecnologie nel
campo della diagnostica e della cura di malattie dipendono da una approfondita
conoscenza dei processi biologici. Le malattie possono essere identificate sulla ba-
se di anomalie a livello molecolare e anche le cure progettate a partire da questo
stesso livello. Anche se esistono molti metodi diagnostici cosi come esistono gi`
                                                                                a
cure mirate, ` auspicabile usare strumenti con dimensioni paragonabili a quelle
             e
molecolari per capire meglio i meccanismi coinvolti nei processi. Questi strumen-
ti possono essere basati su nanoparticelle, nano-probs o altri nanomateriali, che



                                                                                   1
1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle


possono essere usati per interagire col processo biologico d’interesse.
La scienza biomedica e le biotecnologie hanno beneficiato dei progressi tecnologici
raggiunti in molti campi e le nanotecnologie sono uno di questi, rappresentando
un’area molto importante e promettente anche per il futuro.
Le nanoparticelle hanno propriet` uniche che possono essere sfruttate in questo
                                a
ambito: possiedono propriet` elettroniche, ottiche, chimiche e magnetiche inusuali
                           a
rispetto ai materiali di dimensioni macro, hanno un elevato rapporto superficie-
volume e dimensioni paragonabili a quelle di importanti sistemi biologici (proteine,
DNA, membrane cellulari). Tutto questo permette loro di interagire in maniera
sofisticata e controllata a livello cellulare.
Negli ultimi anni, nanoparticelle di diverse dimensioni, composizione e funzionalit`
                                                                                   a
superficiale sono state studiate per capirne l’interazione con proteine. I meccani-
smi d’interazione nanoparticella-proteina implicati sono, nella maggior parte dei
casi, interazioni idrofobiche, π − π ed elettrostatiche, che ovviamente possono
coesistere.


1.2     L’interazione proteine-nanoparticelle

Lo studio del meccanismo di interazione di proteine con nanomateriali ha avuto
inizio negli anni ’50, quando cominciarono i primi tentativi di utilizzare enzimi
fuori dal loro ambiente naturale. Ad oggi l’interesse nel comprendere le forze che
regolano il legame proteina-solido non ` soltanto rendere l’enzima pi` stabile e
                                       e                             u
resistente al variare delle condizioni sperimentali in cui lavora, ma anche quello di
modulare l’attivit` enzimatica tramite l’interazione con specifici nanomateriali.
                  a
Proprio per la sempre maggiore diffusione di tali sistemi in prodotti di tipo biome-
dico e di consumo, pu` essere facile entrare in contatto con essi e diventa quindi
                     o
cruciale conoscere cosa accade quando nanoparticelle si trovano a contatto di li-
quidi biologici. Questo obiettivo pu` essere raggiunto, step by step, partendo dallo
                                    o
studio dell’interazione di nanomateriali con le proteine presenti nel nostro organi-
smo.



                                                                                   2
1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle


Una proteina pu` interagire con nanoparticelle tramite adsorbimento o tramite
               o
formazione di legami covalenti; in entrambi i casi ` necessario capire quale parte
                                                   e
della proteina ` coinvolta e nel caso di enzimi se il sito attivo ` direttamente coin-
               e                                                  e
volto o meno.
In genere il processo di adsorbimento di proteine prevede pi` passaggi:
                                                            u

  1. deidratazione della superficie: consiste nel rilascio di molecole di acqua
      dalla superficie della proteina e delle nanoparticelle; favorisce l’adsorbimento
      su materiali idrofobici e sfavorisce quello su materiali idrofilici;

  2. interazioni proteina-nanoparticelle: sono in genere interazioni elettro-
      statiche o di Van der Waals;

  3. cambiamenti strutturali della proteina: la struttura folded di una pro-
      teina ` il risultato del fatto che le interazioni idrofobiche tra i residui apolari
            e
      interni riescono a superare sia le repulsioni tra cariche dello stesso segno di
      residui esterni sia la perdita di entropia dovuta alla struttura folded pi` or-
                                                                                u
      dinata. A contatto con un nanomateriale idrofobico tale bilanciamento viene
      meno e le interazioni idrofobiche tra i residui apolari interni sono sostituite
      da quelle che si instaurano tra la macromolecola e il solido.
      Pu` verificarsi che le repulsioni tra cariche dello stesso segno di residui
        o
      esterni prevalgano e si abbia l’unfolding della proteina, con successivo au-
      mento dell’area occupata da ciascuna molecola proteica sulla superficie del
      nanomateriale.

  4. interazioni laterali tra proteine adsorbite: sulla superficie delle na-
      noparticelle possono legarsi pi` unit` proteiche in grado di interagire tra
                                     u     a
      loro sia in modo attrattivo che repulsivo. Tali interazioni sono fortemente
      dipendenti dal grado di copertura della superficie.

La comprensione e il controllo dei fenomeni che regolano l’interazione tra una
proteina e un materiale nanostrutturato ` molto complesso.
                                        e



                                                                                       3
1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle


Altri fattori importanti che influenzano il modo in cui una proteina si adsorbe su
una superficie solida sono:

   • propriet` e stabilit` della proteina: le proteine possono essere suddivise
             a           a
     in due grandi classi, proteine hard e soft. Questa terminologia ` utile per
                                                                     e
     descrivere la tendenza di una proteina a subire cambiamenti strutturali pi`
                                                                               u
     o meno significativi quando si adsorbe su superfici solide.
     Le proteine hard hanno elevata stabilit` strutturale e tendono ad interagire
                                            a
     con materiali superficialmente idrofobici, a meno che non ci siano forze di
     attrazione elettrostatica. A seguito dell’adsorbimento, interazioni di questo
     tipo inducono sulla proteina hard variazioni conformazionali poco significa-
     tive. A questa classe appartengo per esempio l’α-chimotripsina , il lisozima
     e il citocromo C (CytC).
     Le proteine soft hanno una bassa stabilit` strutturale e maggiore flessibilit`;
                                              a                                  a
     ne sono un esempio l’emoglobina (Hb), la mioglobina (Mb) e l’albumina
     (HSA). Esse si adsorbono pi` facilmente su superfici idrofiliche anche in pre-
                                u
     senza di repulsione elettrostatica, grazie al guadagno entropico dovuto ad
     alterazioni conformazionali indotte dall’interazione;

   • fattori termodinamici: oltre alla natura della proteina il processo di in-
     terazione tiene conto dell’energia messa in gioco.
     Termodinamicamente, l’adsorbimento ` determinato dalla variazione di ener-
                                        e
     gia libera che, a temperatura ambiente, ` correlata a fattori entalpici ed en-
                                             e
     tropici. I primi dipendono dalla intensit` delle forze attrattive e/o repulsive
                                              a
     (elettrostatiche, idrofobiche e di Van der Waals) che regolano la formazione
     del sistema proteina-nanomateriale. I fattori entropici sono legati al rilascio
     dell’acqua di idratazione della proteina e delle nanoparticelle e ad un even-
     tuale riduzione di ordine nella struttura proteica dovuto all’unfolding che lo
     stabilirsi dell’interazione pu` causare;
                                   o

   • condizioni sperimentali: note le caratteristiche strutturali della protei-



                                                                                  4
1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle


na e del nanomateriale, ` possibile ottimizzare l’adsorbimento variando le
                        e
condizioni sperimentali. In particolare l’interazione tra i due sistemi ` in-
                                                                        e
fluenzata dal pH e dalla temperatura.
Un aumento della temperatura pu` avere un effetto sulla stabilit` e sulla
                               o                               a
struttura conformazionale della proteina. Pur essendo una possibile causa
di denaturazione, la variazione di temperatura pu` essere utilizzata per de-
                                                 o
finire le driving-forces responsabili dell’adsorbimento. La variazione della
percentuale di proteina adsorbita all’aumentare della temperatura indica se
il processo ` endotermico o esotermico: una diminuzione della percentuale
            e
di adsorbimento corrisponde ad un processo esotermico (∆H < 0) mentre,
un aumento corrisponde ad un processo endotermico (∆H > 0). In quest’ul-
timo caso, dato che il processo ` spontaneo, si deve verificare un aumento di
                                e
entropia dovuto, ad esempio, a variazioni conformazionali.
Le proteine soft risentono maggiormente di variazioni di temperatura ri-
spetto alle hard, perch´ le modifiche strutturali che subiscono favoriscono il
                       e
processo da un punto di vista entropico.
Anche il pH ha un ruolo fondamentale sui processi di interazione proteine-
nanomateriali. Il massimo valore di proteina adsorbita si ottiene, in genere,
a un valore di pH prossimo a quello del punto isoelettrico (pI) della proteina:
quando il pH uguaglia il pI la proteina non ha una carica superficiale netta
e risente meno delle repulsioni laterali tra molecole adsorbite, favorendo un
miglior impaccamento.
Un altro fattore molto importante ` la forza ionica del mezzo in cui avviene
                                  e
l’interazione: essa pu` avere un effetto drammatico su processo di adsorbi-
                      o
mento. Valori elevati di forza ionica favoriscono l’adsorbimento in condizioni
di repulsione elettrostatica tra proteina e solido e lo inibiscono se c’` attra-
                                                                        e
zione elettrostatica. In generale, una marcata dipendenza dell’adsorbimento
dalla forza ionica indica un forte contributo da parte di interazioni di tipo
elettrostatico.



                                                                              5
1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle
                                              a


1.3     Modulazione dell’attivit` catalitica con nanopar-
                                a
        ticelle

L’importanza che l’interazione tra una proteina e nanoparticelle pu` avere in am-
                                                                   o
bito biologico nel modulare l’attivit` enzimatica ` dimostrata dal sempre crescente
                                     a            e
numero di lavori di letteratura che riguardano tale argomento e dagli ottimi risul-
tati raggiunti [1].
Nell’ambito di tale tematica particolare interesse ` stato rivolto allo studio di na-
                                                   e
noparticelle di natura inorganica. Ad esempio, nanoparticelle di silice di diverse
dimensioni sono state utilizzate per indagare l’effetto su proteine quali il lisozima
[2], la ribonucleasi A [3] e l’anidrasi carbonica [4].
Il tipo di interazione, la struttura e la capacit` catalitica della proteina adsorbita
                                                 a
sono fortemente influenzate dalle dimensioni della silice. Un differente raggio di
curvatura influenza l’assorbimento che a sua volta induce cambiamenti conforma-
zionali diversi e quindi modifiche sull’attivit` dell’enzima. Nel caso del lisozima,
                                              a
nanoparticelle di dimensioni pi` grandi (100 nm di diametro) stabiliscono intera-
                               u
zioni pi` forti con la proteina (4 nm di diametro), causando un maggiore unfolding
        u
con conseguente diminuzione di attivit` enzimatica (Figura 1.1) [2].
                                      a




Figura 1.1: Adsorbimento del lisozima su nanoparticelle di silice di diverse
dimensioni.


Inoltre, la funzionalizzabilit` superficiale delle nanoparticelle offre una gamma
                              a
di possibilit` per lo studio dei processi che avvengono all’interfaccia proteina-
             a
nanoparticella.


                                                                                    6
1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle
                                           a


Ad esempio, sono stati messi a punto sistemi costituiti da un core di nanoparti-
celle d’oro, ricoperti da un monostrato organico con diversi gruppi superficiali e
denominati MMPC (Figura 1.2): questi sistemi hanno un diametro di circa 6 nm
e sono in grado di interagire con biomolecole come la chimotripsina [5] [6].




Figura 1.2:      a) Struttura chimotripsina.   b) Dimensioni relative della
chimotripsina e delle nanoparticelle MMPC. c) MMPC anionici e cationici.


In base alla carica dei gruppi funzionali superficiali gli MMPCs hanno un effetto
diverso sulla proteina: quelli di tipo anionico inibiscono la chimotripsina a causa
delle cariche negative terminali complementari a quelle localizzate attorno a sito
attivo dell’enzima. (Figura 1.3).




Figura 1.3:        Rappresentazione dell’interazione tra la chimotripsina e
nanoparticelle di oro funzionalizzate in superficie.




                                                                                 7
1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle
                                           a


L’attivit` catalitica della chimotripsina si pu` quindi modulare attraverso l’inte-
         a                                     o
razione con diversi tipi MMPC.
L’interazione nanoparticelle-proteine pu` pertanto essere messa a punto modifi-
                                        o
cando la superficie del nanomateriale: in questo modo si pu` ottimizzare l’attivit`
                                                          o                      a
catalitica dell’enzima di interesse in base al tipo di applicazione desiderata.
Particelle di CdSe, derivatizzate sulla superficie con gruppi terminali diversi, sono
un altro esempio interessante [7]: tre situazioni possibili sono illustrate nella Fi-
gura 1.4.




Figura 1.4: Modalit` d’interazione della chimotripsina al variare dei legandi
                       a
presenti sulla superficie di nanoparticelle di CdSe


Cambiando la natura del legando superficiale cambia il comportamento della pro-
teina. Nel caso a) la chimotripsina si lega alle nanoparticelle ma l’interazione
determina l’unfolding con conseguente denaturazione; nel caso b) la proteina non
si lega mentre, nel caso c), l’enzima si lega mantenendo inalterata la sua struttura
e attivit`.
         a
Anche alcuni amminoacidi sono stati utilizzati come legandi per modificare la su-
perficie di nanoparticelle di oro in modo da modulare l’attivit` della chimotripsina.
                                                              a
Le nanoparticelle possono avere un ruolo chiave anche nei processi di riconoscimen-



                                                                                   8
1.4 Materiali nanostrutturati


to e di interazione tra proteine che sono alla base di complesse funzioni cellulari,
quali l’apoptosi e l’angiogenesi. Ad esempio nanoparticelle di oro possono inibire
l’interazione tra il CytC e la citocromo C perossidasi se funzionalizzate con gruppi
tiolato con linker PEG biocompatibili e gruppi amminici terminali [8].




1.4     Materiali nanostrutturati

La scelta del materiale da far interagire con una proteina va fatta in base alle
caratteristiche che esso possiede, al tipo di reazione che si vuole studiare e alle
condizioni sperimentali. Alcuni parametri sono considerati fondamentali:

   • il tipo, la distribuzione e la densit` dei gruppi funzionali superficiali; questi
                                          a
      fattori influenzano l’adsorbimento e la stabilit` del sistema che si forma;
                                                     a

   • area superficiale: si preferiscono nanomateriali con ampia area superficiale
      cosi da garantire un maggiore carico di proteina;

   • rapporto idrofobicit`/idrofilia della matrice: essa influisce sulle interazioni
                         a
      non covalenti, l’adsorbimento, la distribuzione e la disponibilit` di substrato
                                                                       a
      e prodotto;

   • forma e grandezza delle nanoparticelle.

I materiali studiati in questo lavoro di tesi sono di tipo inorganico e sono molto
diffusi, sia in ambito di ricerca che dal punto di vista applicativo: questo, insieme
alle caratteristiche che essi possiedono, ` tra i motivi per cui ` interessante capire
                                          e                      e
cosa succede quando essi entrano in contatto con enzimi presenti nell’organismo
per fare luce anche sulla loro eventuale pericolosit` per l’uomo.
                                                    a

1.4.1    Silice

La silice ` da molti anni tra i nanomateriali pi` utilizzati nella ricerca e nella
          e                                     u
progettazione di sistemi con applicazioni in diversi campi.



                                                                                    9
1.4 Materiali nanostrutturati


Essa pu` essere sintetizzata tramite diverse tecniche preparative sotto forma di
       o
nanoparticelle e film trasparenti. Le tecniche sintetiche pi` comuni prevedono un
                                                           u
approccio di tipo bottom-up e sono:

   • metodo di st¨ber [9]: il metodo pi` utilizzato per la sintesi di silice col-
                 o                     u
     loidale in forma nanometrica e con dimensioni inferiori a 100 nm.
     Il processo prevede l’idrolisi di un precursore, in genere tetraetossisilano
     (TEOS), in una miscela di etanolo, acqua e idrossido di ammonio; durante
     la reazione si forma acido silicico e quando la sua concentrazione supera la
     solubilit` in etanolo esso aggrega in modo omogeneo e forma particelle di
              a
     silice con diametro che va da meno di 10 nm a 1 µm. Le dimensioni delle par-
     ticelle possono essere controllate ottimizzando alcuni parametri sperimentali
     come la concentrazione e la temperatura.
     La presenza di alcool e di condizioni di pH basiche fanno si che questa tecnica
     sintetica sia poco compatibile con la formazione di bio-coniugati in quanto, in
     queste condizioni, la proteina pu` subire denaturazione; esistono comunque
                                      o
     altri approcci che cercano di limitare tale inconveniente;

   • metodo delle micelle inverse: una micro-emulsione di acqua in olio
     (W/O) crea aggregati di surfattanti anfifilici termodinamicamente stabili.
     All’interno di questi aggregati si crea una zona idrofilica e le nano goccioline
     di acqua fanno da micro-reattore: ` qui che si formano le nanoparticelle a
                                       e
     partire dal’idrolisi di silani precursori. Il diametro delle nanoparticelle in
     crescita ` controllato dalla grandezza delle gocce di acqua e dal rapporto
              e
     acqua/surfattante.
     Questa procedura richiede un tempo di reazione pi` lungo rispetto al me-
                                                      u
     todo precedente ma permette di sintetizzare particelle altamente sferiche e
     monodisperse.

La struttura e la superficie della silice sono rappresentate in Figura 1.5: il core di
ogni particella ` costituito da unit` SiO2 che si ripetono mentre sulla superficie
                e                   a



                                                                                  10
1.4 Materiali nanostrutturati


sono presenti gruppi silano (-OH) e/o silossano (-OR). Sono questi gruppi che
determinano le propriet` chimiche superficiali della silice.
                       a




Figura 1.5: a) Immagine TEM di nanoparticelle di silice Ludox TM-40. b)
Rappresentazione schematica di una nanoparticella di silice.


La silice pu` essere facilmente derivatizzata sostituendo gli ossidrili con gruppi
            o
amminici, carbossilici o tiolici (Figura 1.6). La funzionalizzazione non si limita
soltanto a procedure che prevedano modifiche chimiche ma si pu` ottenere anche
                                                             o
tramite assorbimento passivo di molecole.
Tutte queste caratteristiche fanno della silice un ottimo materiale anche per ap-
plicazioni di tipo biotecnologico e medico [10].
Le nanobiotecnologie si occupano principalmente dello sviluppo di circuiti elet-
tronici, switches molecolari, biosensori e microchips, mentre la nanomedicina fo-
calizza l’attenzione sulla cura di malattie, tecniche di diagnosi, di monitoraggio,
e sul rilascio e l’individuazione di agenti diagnostici, terapeutici e farmaceutici.
L’importanza che l’uso di questo nanomateriale pu` avere in questi ambiti ` di-
                                                 o                        e
mostrato dalla quantit` di lavori pubblicati al riguardo (Figura 1.7).
                      a


Le applicazioni come biosensori sono le pi` studiate e diffuse: in questo ambi-
                                          u
to si utilizzano biotecnologie avanzate per creare prodotti in grado di rilevare e
quantificare analiti in ambiente clinico (analisi del sangue di routine), domestico


                                                                                 11
1.4 Materiali nanostrutturati




Figura 1.6: Nanoparticelle di silice funzionalizzate con diversi gruppi organici.


(monitoraggio del glucosio), industriale (sicurezza lavoratori, sicurezza alimentare)
e ambientale. Questi devices devono unire alte prestazioni, in termini di sensibi-
lit` e selettivit`, dimensioni minime, alta velocit` di risposta e bassi costi. Per
   a             a                                 a
realizzarli ` necessario mettere insieme fondamenti di biologia, chimica e scienze
            e
dei materiali. Le nanoparticelle sono unit` attive per sistemi di questo tipo perch´
                                          a                                        e
sono in grado di amplificare un segnale. Nanoparticelle di silice funzionalizzate
con proteine e acidi nucleici sono state usate come unit` per amplificare la tra-
                                                        a
sduzione di segnali di riconoscimento biologico.
Intrappolando le biomolecole in nanosfere a base di silice alcuni ricercatori hanno
ottenuto sistemi con elevata capacit` di immobilizzazione per le biomolecole.
                                    a
La silice ` molto utilizzata anche nell’ambito dei saggi di tipo immunologico [11]:
          e
questi si basano sulla reazione tra un analita (antigene) e un anticorpo selettivo a
dare un complesso. La reazione pu` essere visualizzata in diversi modi ad esempio
                                 o
con enzimi e fluorofori. Per ottenere una elevata sensibilit` del saggio sono indi-
                                                           a
spensabili anticorpi con alta affinit` e appropriati supporti.
                                   a



                                                                                  12
1.4 Materiali nanostrutturati




Figura 1.7: Pubblicazioni riguardanti applicazioni di nanoparticelle di silice
funzionalizzate nel periodo 1999-2008.


Le nanoparticelle di silice hanno enorme potenzialit` come base per ottenere bio-
                                                    a
marker per l’imaging cellulare. Le nanoparticelle, in questo caso, possono essere
drogate con molecole fluorescenti e derivatizzate in modo che abbiano una elevata
affinit` per molecole in grado di legarsi a recettori di membrane cellulari.
     a
Proprio in virt` del suo potenziale applicativo in ambito biotecnologico, c’` la
               u                                                            e
concreta possibilit` che questi materiali entrino in contatto con gli enzimi, mole-
                   a
cole che hanno un ruolo cruciale in processi vitali, ed ` importante capire anche
                                                        e
l’eventuale tossicit` e i problemi che, nel tempo, possono causare all’organismo.
                    a

1.4.2    α-Fosfato di zirconio

I fosfati di zirconio sono una classe di composti largamente investigati in virt`
                                                                                u
delle loro potenzialit` dal punto di vista applicativo in numerosi campi. Sono
                      a
ottenuti soprattutto in forma lamellare, in diverse strutture, ognuna delle quali
possiede particolari caratteristiche [12] [13].
Diversi gruppi funzionali, da super-acidi a basici, da liofili a lipofili possono essere
inseriti nella struttura base del solido sia tramite sintesi diretta che attraverso
procedure specifiche quali lo scambio topotattico, reazione di scambio anionico



                                                                                   13
1.4 Materiali nanostrutturati


di gruppi fosfato acidi superficiali della lamella con altri gruppi organo-fosfato o
fosfonati.
Il fosfato di zirconio monoidrato di tipo α (α-Zr(HPO4 )2 · H2 O), indicato come
α-ZrP, appartiene alla classe dei solidi lamellari carichi negativamente la cui strut-
tura ` quella riportata in Figura 1.8.
     e




      Figura 1.8: Rappresentazione schematica dell’α-Zr(HPO4 )2 · H2 O.


Le lamelle consistono di atomi di Zr (rosa) posti su piani al di sopra e al di sot-
to dei quali si trovano alternativamente i gruppi monoidrogeno-fosfato (verde) in
coordinazione tetraedrica. I tre atomi di ossigeno (blu) di ogni gruppo fosfato
sono legati a tre differenti atomi di zirconio, i quali formano un triangolo equila-
tero distorto; ogni atomo di Zr ` cosi coordinato ottaedricamente a sei atomi di
                                e
ossigeno. Il quarto atomo di ossigeno del gruppo fosfato ` legato ad un protone
                                                         e
(non mostrato in figura) e punta nella regione interstrato.
L’impacchettamento degli strati ` tale che ciascun atomo di Zr trova sopra e sotto
                                e
di se gli ossidrili dei due stati adiacenti; si formano quindi piccole cavit` esagonali
                                                                            a
in cui viene ospitata una mole di acqua per peso formula. Le molecole di acqua
formano dei legami a idrogeno con i gruppi fosfato ma gli strati sono tenuti insieme
da forze di Van der Waals; non ci sono dunque legami a idrogeno interstrato.
Nell’α-ZrP i protoni sono in grado di diffondere attraverso il reticolo cristallino


                                                                                    14
1.4 Materiali nanostrutturati


ed possono essere sostituiti con cationi metallici (es. Na+ ) (propriet` di scambio
                                                                       a
         `
ionico). E possibile inserire, spesso reversibilmente, specie ospiti tra le lamelle
senza alterare la struttura degli strati (propriet` di intercalazione).
                                                  a
Il fosfato di zirconio in forma nanostrutturata ` stato sintetizzato tramite la tec-
                                                e
nica della microemulsione inversa [14] o tramite reazione solvotermica [15].
Il fosfato di zirconio e i suoi derivati, unendo un’ampia possibilit` di modulare le
                                                                    a
propriet` superficiali a propriet` quali la biocompatibilit`, sono molto interessanti
        a                       a                         a
da un punto di vista applicativo in ambito biologico. Numerosi studi riportano
l’interazione di tali materiali con proteine ed enzimi [17] [18] [19], anche se dati
riguardanti l’attivit` catalitica di tali sistemi sono ancora carenti.
                     a




                                                                                 15
Capitolo 2

Emeproteine e attivit`
                     a
perossidasica

Gli enzimi sono proteine e rappresentano le macromolecole pi` abbondanti presen-
                                                            u
ti nelle cellule. All’interno della cellula ci sono migliaia di differenti enzimi, ognuno
dei quali sovrintende uno specifico processo chimico, rendendolo possibile in tempi
brevi e concertato con tutti quelli necessari alla vita cellulare. La funzione svolta
da un enzima ` specificata dal DNA sotto forma di sequenza amminoacidica, la
             e
quale rappresenta la struttura primaria di una proteina. I legami peptidici sono
lo scheletro della struttura proteica e si formano tra amminoacidi adiacenti con
eliminazione di una molecola di acqua.
La conformazione tridimensionale pu` essere descritta sulla base di tre livelli ul-
                                   o
teriori: struttura secondaria, terziaria e quaternaria. Le interazioni responsabili
della stabilizzazione di questi tre livelli sono principalmente di natura non cova-
lente.
La struttura secondaria rende conto della disposizione nello spazio di amminoaci-
di vicini ed ` dovuta alla ripetizione regolare di tratti di catena peptidica grazie
             e
all’instaurarsi di legami a idrogeno tra un azoto amminico e l’ossigeno carbonilico
tra residui distanti poche unit` amminoacidiche. Le pi` frequenti strutture secon-
                               a                      u
darie sono l’α-elica e il β-foglietto.
La struttura terziaria riguarda la disposizione spaziale di amminoacidi lontani tra
loro nella struttura primaria. La stabilizzazione di questa struttura ` resa possibi-
                                                                      e


                                                                                     16
2. Emeproteine e attivit` perossidasica
                                                               a


le da interazioni tra le catene laterali di amminoacidi non adiacenti. La struttura
quaternaria deriva dall’associazione di due o pi` catene polipeptidiche con forma-
                                                u
zione di una proteina a pi` subunit`.
                          u        a
Ogni proteina pu` avere una sola struttura tridimensionale e ad ognuna ` asso-
                o                                                      e
ciata una specifica funzione chimica o strutturale. Le proteine hanno un ruolo
fondamentale praticamente in tutti i processi biologici: nel metabolismo del cibo
per generare energia, nella sintesi di nuove strutture cellulari, come trasportatori
di molecole necessarie alla vita, nelle principali funzioni svolte dal sistema nervoso
centrale.
Da tempo ` nota anche la capacit` degli enzimi di catalizzare processi fuori dal-
         e                      a
l’ambiente biologico, trasformazioni che coinvolgono substrati diversi da quelli
naturali e il loro impiego come biocatalizzatori si ` diffuso in diversi settori indu-
                                                    e
striali.
I vantaggi principali legati all’utilizzo di questa classe di catalizzatori sono legati
ad alcune caratteristiche peculiari degli enzimi:

    • selettivit`: ` la capacit` di un enzima di riconoscere uno specifico substrato
                a e            a
       e promuoverne la trasformazione desiderata;

    • enantioselettivit`: un enzima ` in grado di discriminare un particolare
                       a            e
       enantiomero in una miscela racemica e catalizzarne la reazione voluta;

    • diastereoselettivit`: un enzima ` capace di selezionare un diastereoisome-
                         a            e
       ro in una miscela distereoisomerica e di favorire la sua trasformazione;

    • chemoselettivit`: un enzima riesce ad agire selettivamente su un gruppo
                     a
       funzionale, in presenza di altri gruppi in una molecola, con reattivit` uguale
                                                                             a
       o superiore;

    • regioselettivit`: ` la capacit` di un enzima di riconoscere un particolare
                     a e            a
       gruppo funzionale tra gruppi uguali o simili presenti in un reagente e di
       catalizzarne la trasformazione desiderata;



                                                                                    17
2.1 La catalisi enzimatica


   • utilizzo di materie prime grezze: l’alta selettivit` di un enzima permette
                                                        a
      spesso l’utilizzo di materie prime non purificate: miscele racemiche, soluzioni
      proteiche, di zuccheri, brodi di fermentazione e intermedi ottenuti da processi
      chimici;

   • basso impatto ambientale: la possibilit` di eseguire reazioni in condizioni
                                            a
      blande e in mezzo acquoso permette la progettazione di processi con ridotto
      impatto ambientale in termini di consumo di solventi, trattamento degli
      scarichi e consumi energetici ridotti.


2.1     La catalisi enzimatica

Gli enzimi hanno una straordinaria forza catalitica, generalmente maggiore rispet-
to ai catalizzatori di sintesi, ed un’elevata specificit` per i substrati che permette
                                                       a
loro di promuovere reazioni chimiche evitando la formazione di sottoprodotti. Il
processo di catalisi indotto da un enzima consiste nell’aumentare la velocit` di
                                                                            a
reazione e nel velocizzare il raggiungimento dello stato di equilibrio termodinami-
co senza alterare il punto di equilibrio della reazione a cui partecipa.
L’enzima facilita la reazione attraverso l’interazione del proprio sito attivo (sito
catalitico) con il substrato formando il complesso ES e abbassando l’energia di at-
tivazione della reazione ma senza modificare la variazione di energia libera totale
(Figura 2.1). Avvenuta la reazione il prodotto si stacca dall’enzima e la proteina
ritorna nel ciclo catalitico.
In un processo enzimatico, in generale, ` possibile distinguere tre differenti stadi:
                                        e

   • uno stadio pre-stazionario in cui si ha la formazione del complesso ES e la
      scomparsa della proteina libera e del substrato con successiva formazione del
      prodotto;

   • un secondo stadio, stazionario, con ulteriore formazione del complesso e
      aumento della concentrazione del prodotto;




                                                                                  18
2.1 La catalisi enzimatica


   • il terzo stadio in cui il substrato ` stato completamente trasformato nel
                                         e
     prodotto di reazione e diminuisce la concentrazione del complesso ES.




                 Figura 2.1: Profilo energetico di una reazione.


Partendo da questa osservazione Leonor Michaelis e Maud Menten nel 1913, osser-
varono che a concentrazione costante di enzima l’aumento della velocit` di reazione
                                                                      a
` proporzionale all’aumento della concentrazione del substrato fino a quando non
e
si raggiunge un valore di velocit` massima che non viene superato nemmeno au-
                                 a
mentando in modo significativo la quantit` di substrato.
                                        a
Raggiunta la condizione di saturazione la proteina non ` pi` in grado di aumentare
                                                       e u
la velocit` di reazione. Il modello di Michaelis-Menten prevede il raggiungimento
          a
di una condizione di equilibrio tra l’enzima, il substrato e il complesso ES:

                                    1k  k
                            E + S −− ES −2 E + P
                                   −−    →
                                    k−1

Nel primo step, regolato dalla costante di velocit` k1 , si forma il complesso ES in
                                                  a
maniera reversibile. Nel secondo stadio il complesso si scinde e viene rilasciato il
prodotto di reazione e l’enzima libero (costante di velocit` k2 ).
                                                           a
La velocit` massima della reazione viene raggiunta quando tutto l’enzima ` pre-
          a                                                              e


                                                                                 19
2.1 La catalisi enzimatica


sente in soluzione come complesso ES, condizione possibile solo a concentrazioni
di substrato molto elevate.
L’equazione elaborata da Michaelis-Menten ` un’espressione algebrica dell’anda-
                                          e
mento iperbolico che si ottiene graficando la la velocit` di reazione sperimentale
                                                       a
in funzione della concentrazione del substrato.
L’elaborazione dell’equazione presuppone che negli istanti iniziali ci sia proporzio-
nalit` tra la velocit` e la concentrazione di substrato e che sia esclusa la reazione
     a               a
inversa del secondo stadio del processo catalitico. Quindi la velocit` pu` essere
                                                                     a   o
espressa come:


                                     v = k2 [ES]                                (2.1)



Applicando il principio dello stato stazionario, la velocit` di formazione e scom-
                                                           a
parsa del complesso si eguagliano:


                              k1 [E][S] = (k−1 + k2 )[ES]                       (2.2)




                                           k1 [E][S]
                                  [ES] =                                        (2.3)
                                           k−1 + k2


Introducendo la costante di Michaelis-Menten come:


                                           k−1 + k2
                                   KM =                                         (2.4)
                                              k1


l’equazione 2.3 diventa:


                                             [E][S]
                                    [ES] =                                      (2.5)
                                              KM




                                                                                  20
2.1 La catalisi enzimatica




Considerando che l’enzima sia presente in concentrazioni catalitiche rispetto al
substrato e che la sua concentrazione in soluzione sia:


                                 [E] = [ET ] − [ES]                            (2.6)



Sostituendo la 2.6 nella 2.5 si ottiene:


                                              [ET ][S]
                                 [ES] =                                        (2.7)
                                             [S] + KM


Sostituendo la 2.7 nella 2.1 si ottiene:


                                           k2 [ET ][S]
                                   v=                                          (2.8)
                                           [S] + KM


Considerando che la velocit` massima vM AX viene raggiunta quando tutti i siti
                           a
catalitici dell’enzima sono saturi di substrato, cio` quando [S]
                                                    e                KM , si ottiene
l’equazione di Michaelis-Menten 2.10:


                                  vM AX = k2 [ET ]                             (2.9)




                                            vM AX [S]
                                   v=                                         (2.10)
                                           [S] + KM


La KM , parametro fondamentale dell’equazione 2.10, ` caratteristica di ogni enzi-
                                                    e
ma per un determinato substrato, in determinate condizioni di pH e di tempera-
tura. La KM rappresenta la quantit` di substrato necessaria affinch´ la reazione
                                  a                              e
abbia velocit` pari alla met` della velocit` massima (vM AX ). Questa costante
             a              a              a
definisce quantitativamente l’affinit` di un enzima per un substrato: pi` basso `
                                  a                                  u       e


                                                                                 21
2.2 Le emeproteine


il suo valore, maggiore ` l’affinit` enzima-substrato e quindi minore ` la concen-
                        e        a                                  e
trazione di substrato necessaria per raggiungere un valore di velocit` che sia met`
                                                                     a            a
della velocit` massima. Viceversa, maggiore ` il valore di KM minore ` l’affinit`
             a                              e                        e        a
dell’enzima per il substrato.
L’altra costante importante nell’equazione di Michaelis-Menten ` kcat (= k2 ) o
                                                               e
numero di turnover, definita come il numero di molecole di substrato convertite
per secondo. Il rapporto kcat /KM ` un indice della capacit` catalitica dell’enzi-
                                  e                        a
ma a basse concentrazioni di substrato e spesso viene utilizzato per confrontare
l’efficienza di diversi enzimi o quella di un enzima con differenti substrati. Un va-
lore elevato di tale rapporto indica una buona efficienza dell’enzima in condizioni
fisiologicamente rilevanti.


2.2     Le emeproteine

Le emeproteine sono enzimi che svolgono un ruolo essenziale in molti dei processi
fisiologici. A questa famiglia appartengono proteine come l’Hb e la Mb, implicate
nel trasporto dell’ossigeno molecolare, ma anche ossidasi, catalasi, perossidasi e
citocromi, tutte legate a processi di attivazione dell’ossigeno molecolare, alla di-
stribuzione e attivazione del perossido di idrogeno e al trasferimento di elettroni
all’interno della cellula. Le emeproteine sono caratterizzate dalla presenza di un
gruppo eme come gruppo prostetico (piccola molecola di natura non proteica o
uno ione metallico che si associa all’enzima e ne rende possibile l’attivit` catalitica
                                                                           a
tipica dell’enzima stesso), costituito da un anello porfirinico al quale ` legato un
                                                                        e
atomo di ferro. Tale metallo, insieme al rame, ` impiegato in molti enzimi ossi-
                                               e
dativi data l’ampia modulabilit` della propria reattivit` al variare dello stato di
                               a                        a
ossidazione e di coordinazione. I gruppi eme sono distinti in tipo a (farnesileme),
tipo b (protoeme IX) e tipo c (mesoeme) in base ai diversi sostituenti periferici
dell’anello porfirinico. L’eme b ` il pi` diffuso in natura mentre l’eme di tipo
                                e      u
c ` l’unico ad essere legato covalentemente alla struttura proteica tramite ponti
  e
tioetere con i gruppi tiolici di due cisteine presenti nella proteina.



                                                                                    22
2.2 Le emeproteine


Le propriet` delle emeproteine sono fortemente influenzate dalla struttura pro-
           a
teica; l’intorno amminoacidico del sito attivo ne determina l’attivit`, imponendo
                                                                     a
la natura e le dimensioni della sacca in cui ` inserito l’eme stesso e del canale
                                             e
d’accesso al sito stesso dall’esterno dell’enzima.

2.2.1    Mioglobina

La Mb ` la prima proteina di cui sia stata risolta la struttura ai raggi X grazie
      e
al lavoro di John Kendrew [20]; ` piccola (dimensioni approssimate di 4.5∗3.5∗2.5
                                e
nm3 , peso = 17800 Da) e costituita da una catena polipeptidica singola e dal
gruppo eme di tipo b.
L’apoproteina della Mb, denominata globina, ` costituita da 153 amminoacidi or-
                                            e
ganizzati in una struttura secondaria in cui sono individuabili otto regioni con con-
formazione α-elica (A-H), cinque segmenti non elicali che uniscono α-eliche adia-
centi e due frammenti terminali, uno ammino-terminale (N-A) ed uno carbossil-
terminale (H-C).




                     Figura 2.2: Struttura della mioglobina.


L’eme ` costituito da un anello tetrapirrolico chiamato protoporfirina IX che lega
      e



                                                                                  23
2.2 Le emeproteine


lo ione Fe2+ . I quattro anelli pirrolici sono legati da ponti -CH= cos` che l’in-
                                                                       ı
tera struttura della porfirina risulta insatura e planare. Quattro gruppi metilici,
due gruppi vinilici e due propionilici ionizzati sono legati all’anello tetrapirrolico.
L’Fe2+ sostituisce due protoni della porfirina IX. Il complesso Fe-protoporfirina
IX ` un ibrido di risonanza in cui il ferro risulta legato ai quattro atomi di azoto
   e
della protoporfirina IX.
L’interno della Mb ` caratterizzato dalla presenza di residui altamente idrofobici
                   e
(Val, Ile, Phe e Met) mentre in superficie si trovano sia residui idrofili che idrofo-
bici. Le molecole di acqua sono, in generale, escluse dalla porzione interna della
proteina e la maggior parte dei residui ionizzabili ` localizzata sulla superficie;
                                                    e
tuttavia alcuni amminoacidi ionizzabili si possono trovare in corrispondenza di
tasche accessibili a molecole che si legano in modo specifico alla proteina stessa.
La propriet` principale di questo enzima (nella forma Fe2+ ) ` la capacit` di le-
           a                                                 e           a
gare reversibilmente l’ossigeno molecolare, svolgendo la funzione di deposito nel
tessuto muscolare e aiutando la diffusione dell’ossigeno dai capillari all’ambien-
te intracellulare, dove viene utilizzato per produrre energia. La formazione del
legame reversibile tra la Mb e l’ossigeno ` denominata ossigenazione: l’accessibi-
                                          e
lit` dell’eme dipende dal movimento di catene laterali di amminoacidi situati in
   a
prossimit` dell’eme stesso. L’His 64, detta distale, ` un residuo non legato covalen-
         a                                           e
temente all’eme che svolge un ruolo cruciale per l’attivit` di trasporto dell’ossigeno
                                                          a
da parte della Mb in quanto assiste la coordinazione dell’ossigeno al ferro eminico;
l’His 93, detta prossimale, contribuisce a trattenere il ferro all’interno dell’eme
(Figura 2.3).
Il sito attivo della Mb presenta molte analogie strutturali con quello di alcune
perossidasi, sia per la presenza del gruppo prostetico che delle due istidine: essa
` quindi in grado di catalizzare anche reazioni ossidative di substrati micro e ma-
e
cromolecolari da parte di perossidi come il perossido di idrogeno o alchilperossidi.




                                                                                    24
2.2 Le emeproteine




Figura 2.3: Struttura dell’eme e di alcuni residui presenti nel sito catalitico della
mioglobina.


2.2.2    Citocromo C

Il CytC ` una piccola proteina globulare le cui dimensioni sono 2.6∗3.0∗3.2 nm3 e
        e
il cui peso ` 12360 Da.
            e
L’atomo di ferro legato all’eme ` esacoordinato, con i residui His 23 e Met 80 ad
                                e
occupare la quinta e sesta posizione di coordinazione del metallo.
Il gruppo eme (tipo c) ` legato covalentemente, attraverso due legami tioetere,
                       e
alla catena polipeptidica ed esattamente ai residui 14 e 17. Un legame di questo
tipo fa si che l’eme si trovi pi` vicino alla parte N-terminale della catena rispetto
                                u
a quanto accade per l’eme non covalentemente legato della Hb e Mb. Ci` non
                                                                     o
` inaspettato in virt` delle diverse funzioni del CytC rispetto alle proteine che
e                    u
trasportano ossigeno.
Una estremit` del gruppo eme ` quindi esposta verso l’esterno e numerosi residui
            a                e
di Lys sono posizionati vicino o attorno alla tasca eminica, che risulta essere una
regione carica positivamente. Questa carica positiva intorno al sito catalitico `
                                                                                e
implicata nell’interazione tra il CytC e i suoi partner redox nei processi di trasfe-
rimento elettronico.



                                                                                  25
2.2 Le emeproteine




                     Figura 2.4: Struttura del citocromo C.


In generale quando si parla di CytC ci si riferisce alla proteina mitocondriale, re-
sponsabile del trasporto di elettroni dalla citocromo C reduttasi alla citocromo C
ossidasi nel processo di respirazione cellulare. Durante quest’ultimo il CytC viene
ridotto e si sposta nella membrana interna del mitocondrio, dove interagisce con
la citocromo C ossidasi cedendole un elettrone.
Come biocatalizzatore [21] il Cytc presenta alcuni vantaggi:

   • l’eme legato covalentemente alla proteina pu` costituire un vantaggio nel caso
                                                 o
      in cui la catalisi avvenga in solvente organico in quanto la perdita dell’eme
     ` impedita;
     e

   • ` uno dei pochi enzimi attivo in un range di pH molto ampio;
     e

   • il CytC ` in grado di catalizzare reazioni fino a temperature di 120 ◦ C, con
             e
      un massimo di attivit` raggiunto a 80 ◦ C;
                           a

   • il basso costo e l’elevata stabilit` sono due dei principali fattori per il suo
                                        a
      possibile impiego in biocatalisi su larga scala.

Il CytC mostra attivit` di tipo perossidasico, essendo in grado di catalizzare rea-
                      a
zioni di ossidazione di molecole ricche di elettroni in presenza di H2 O2 .


                                                                                 26
2.2 Le emeproteine


La Met 80, che occupa la sesta posizione di coordinazione del ferro dell’eme, ha
un ruolo importante nel determinare la capacit` catalitica dell’enzima: la presen-
                                              a
za di questo residuo amminoacidico nel sito attivo determina la minore efficienza
come perossidasi del CytC rispetto a una vera perossidasi. Tuttavia, la rottura
del legame Fe-S (Met) pu` facilitare l’accesso del substrato (H2 O2 ) nel sito attivo
                        o
dell’enzima e migliorarne l’attivit` perossidasica.
                                   a



2.2.3      Interazione di emeproteine con materiali nanostrutturati

Molti gruppi di ricerca hanno posto l’attenzione sull’effetto che i nanomateriali
posso avere sulla struttura, sulla stabilit` e attivit` di emeproteine, quali la Mb e
                                           a          a
il CytC.
L’adsorbimento di queste proteine su nanoparticelle di silice ` stato indagato dal
                                                              e
                                                                           `
punto di vista strutturale tramite dicroismo circolare e spettroscopia UV. E stato
visto che la Mb, proteina soft, tende a legarsi alla superficie modificando lievemen-
te la sua struttura secondaria e terziaria; mentre il CytC, proteina hard, si lega
senza subire alterazioni significative della configurazione nativa [22].
Dal punto di vista della funzionalit` biologica di tali molecole, i dati di letteratura
                                    a
sono in genere di tipo qualitativo e comunque carenti.
Per quanto riguarda la Mb, ci sono soltanto studi condotti su materiali silicei di
tipo mesoporoso, i quali riportano una ritenzione di attivit` catalitica della pro-
                                                            a
teina immobilizzata.
Nel caso del CytC, studi riguardanti l’interazione con derivati silicei mesoporosi
riportano un aumento dell’attivit` perossidasica della proteina dovuta a cambia-
                                 a
menti dello stato di spin del ferro dell’eme [23].
I dati di letteratura riguardanti l’attivit` catalitica del CytC adsorbito su nano-
                                           a
particelle di silice sono piuttosto controversi [24] [25].
L’interazione della Mb e del CytC con fosfati e fosfonati di zirconio ` stata indagata
                                                                      e
utilizzando essenzialmente materiali di tipo lamellare e di dimensioni micrometri-




                                                                                    27
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                               a


che.
I dati disponibili sulla Mb riportano di solito una diminuzione dell’attivit` catali-
                                                                            a
tica della proteina adsorbita su fosfati e fosfonati di zirconio [26].
Studi riguardanti la struttura e l’attivit` perossidasica del CytC adsorbito su
                                          a
α-ZrP evidenziano un aumento dell’attivit` catalitica della proteina come conse-
                                         a
guenza di modifiche dello stato di coordinazione del ferro dell’eme [17].
In conclusione, nonostante l’adsorbimento di proteine sia un argomento di ricerca
molto indagato, sono ancora pochi i risultati ottenuti in termini di modulazione
dell’attivit` catalitica con materiali nanostrutturati.
            a


2.3     Attivit` perossidasica e studi cinetici
               a

Le perossidasi sono enzimi che, sulla base della loro sequenza amminoacidica e
della struttura ai raggi X, possono essere raggruppati in due grandi famiglie a
seconda che siano di origine vegetale o animale.
Nelle piante esse svolgono molte funzioni tra le quali quella di difesa da agenti
patogeni, contribuendo alla sintesi della parete cellulare grazie alla loro capacit`
                                                                                   a
di produrre composti polimerici.
Negli animali le perossidasi svolgono funzioni di tipo antibatterico (lattoperossi-
dasi nel latte, nella saliva e nelle lacrime), biosintetico (tiroide perossidasi nella
sintesi di ormoni tiroidei, prostaglandina H sintasi nel metabolismo dei lipidi) e di
eliminazione di agenti nocivi per la cellula.
Le perossidasi catalizzano reazioni di ossidazione di substrati da parte di perossidi
come il perossido di idrogeno:

                            2SH + H2 O2 → 2S + 2H2 O

Il ciclo catalitico prevede la formazione di due intermedi enzimatici, chiamati
Composto I e Composto II, con elevato potere ossidativo e l’ossidazione monoe-
lettronica dei substrati (Figura 2.5). Gli intermedi sono stati caratterizzati grazie
all’utilizzo di diverse tecniche spettrofotometriche quali UV-Vis e RAMAN.



                                                                                   28
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                                a




             Figura 2.5: Meccanismo di reazione delle perossidasi.


Nella prima fase del ciclo catalitico il perossido di idrogeno si coordina al ferro
(Fe3+ ) dell’eme nella forma nativa con formazione di un perosso-composto del ferro
a basso spin. L’His presente in prossimit` dell’eme nella cavit` distale promuove
                                         a                     a
la coordinazione appena descritta.
Il perosso-composto ha un tempo di vita estremamente limitato e subisce la rot-
tura eterolitica del legame O-O. L’intermedio che si forma, il composto I, ` un
                                                                           e
radicale catione porfirinico ed ha il ferro, in stato d’ossidazione IV, legato ad un
atomo di ossigeno.



                                                                                29
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                                a


Il Composto I ha un’elevata tendenza ad estrarre un elettrone da substrati che ne
sono ricchi trasformandosi nel Composto II, che ha perso la caratteristica di radi-
cale catione ma presenta il ferro ancora nello stato IV legato all’ossigeno. Questa
specie ha un elevato potere ossidativo, anche se minore del Composto I, ed inte-
ragisce con un’altra molecola di substrato trasformandolo in radicale. L’enzima
ritorna quindi nella forma nativa (Fe3+ ) e l’ossigeno ferrilico viene rilasciato sotto
forma di una molecola di acqua.
Lo stadio lento dell’intero ciclo ` solitamente il terzo, ovvero l’ossidazione della se-
                                  e
conda molecola di substrato. Durante il ciclo catalitico si pu` avere la formazione
                                                              o
di altri intermedi: il pi` importante tra questi ` il Composto III, specie poco attiva
                         u                       e
dal punto di vista dell’attivit` perossidasica, che si forma a partire dal Composto
                               a
II per eccesso di H2 O2 .
Non essendoci selettivit` per i substrati alcune proteine con attivit` perossidasica
                        a                                            a
possono catalizzare reazioni diverse come solfonazioni di solfuri, epossidazioni di
stireni, N-dealchilazioni di ammine ed anche ossidazioni di substrati inorganici
come I− e SCN− .
I substrati tipici per le perossidasi sono i composti fenolici che rappresentano una
delle principali famiglie di sostanze inquinanti nel settore agroindustriale. Da qui
il crescente interesse riguardo le perossidasi in ambito biotecnologico per il loro
utilizzo in processi di decontaminazione ambientale. L’attivit` perossidasica pu`
                                                              a                 o
anche essere sfruttata per produrre sostanze ad azione antibatterica o antimicro-
bica.
Il substrato utilizzato in questo lavoro per studiare l’attivit` catalitica della Mb e
                                                               a
del CytC ` il 2-metossifenolo o guaiacolo (Figura 2.6).
         e
Il substrato nel ciclo catalitico delle perossidasi reagisce nel secondo e terzo stadio
                                                         `
in una sorta di meccanismo tipo ping-pong trimolecolare. E per` possibile ridurlo
                                                              o
a bimolecolare in quanto il Composto I, che ha un potere ossidativo elevato, `
                                                                             e
presente in concentrazioni cosi basse da poter essere trascurato.




                                                                                     30
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                                 a




                Figura 2.6: Reazione di ossidazione del guaiacolo.


L’equazione cinetica che descrive il processo ` la seguente:
                                              e


                                           kcat [E]
                                V =        KM 1     KM 2
                                                                              (2.11)
                                      1+   H2 O2 + [S]



dove kcat ` la costante di velocit` della reazione globale, KM 1 e KM 2 sono le
          e                       a
costanti di Michaelis-Menten dei processi 1 e 3 e [E] ` la concentrazione totale di
                                                      e
enzima.
Utilizzando un elevata concentrazione di perossido di idrogeno si pu` trascurare il
                                                                    o
secondo termine a denominatore e l’equazione cinetica acquista una forma simile
a quella di Michaelis-Menten:


                                  kcat [E]    kcat [E][S]
                           V =        KM 2
                                           =                                  (2.12)
                                 1 + [S]     [S] + KM 2


L’equazione 2.12 pu` assumere la forma seguente:
                   o


                                          VM AX [S]
                                  V =                                         (2.13)
                                         [S] + KM 2


dove VM AX = kcat [E]. Durante il turnover la specie enzimatica presente nel sistema
in forma maggioritaria ` il Composto II e la velocit` di reazione registrata ` quella
                       e                            a                        e
relativa allo step 3:


                                                                                  31
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                               a


                          CompostoII + SH → E(F e3+ ) + S·

In condizioni di saturazione di perossido di idrogeno il processo enzimatico si pu`
                                                                                  o
assimilare al seguente:

                                      k1                    k2
               CompostoII + SH −− CompostoII − SH −−E + P
                                −−
                                    k−1



                                       k−1 + k2    kcat     k1 k2
                kcat = k2      KM =                     =                     (2.14)
                                          k1       KM     k−1 + k2


Nel caso in cui k2    k−1 si ha che KM = k−1 /k1 , espressione che rappresenta la
costante di dissociazione del complesso CompostoII-S per cui si pu` affermare che
                                                                  o
la KM ` una misura dell’affinit` dell’enzima per il substrato. Il valore di questo
      e                      a
parametro ` legato all’energia del complesso substrato-specie attiva e tanto pi` `
          e                                                                    ue
piccolo il suo valore pi` ` favorita la formazione del complesso. Il valore di KM
                        ue
per un enzima ` specifico per ogni substrato, in determinate condizioni di pH e
              e
temperatura.
Il termine kcat ` legato al trasferimento elettronico dal substrato alla specie atti-
                e
va; un valore elevato di questo parametro ` indice di un pi` facile trasferimento
                                          e                u
elettronico.
Il rapporto kcat /KM tiene conto di tutti i fattori prima considerati ed ` utilizzato
                                                                         e
come indice della capacit` catalitica dell’enzima in condizioni di basse concentra-
                         a
zioni di substrato: un valore elevato di questo rapporto indice di buona efficienza
nel processo catalitico.
In condizioni di forte eccesso di H2 O2 si pu` avere l’inattivazione della proteina
                                             o
                                                `
per formazione del Composto III non pi` attivo. E necessario ottimizzare la quan-
                                      u
tit` di perossido di idrogeno, studiando l’andamento della velocit` di reazione in
   a                                                              a
funzione della concentrazione di perossido e scegliendo quella a saturazione, cor-
rispondente a un punto sul plateau, prima che la curva inizi la fase discendente,
indice di inibizione (formazione del Composto III) o inattivazione dell’enzima.
Per seguire l’andamento della velocit` in funzione della concentrazione di perossido
                                     a


                                                                                  32
2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici
                                                a


di idrogeno occorre operare con forte eccesso di substrato, cos` da poter trascu-
                                                               ı
rare il termine KM2 /[S] nella equazione 2.11. Tuttavia, per evitare inibizione da
substrato, anche la concentrazione di quest’ultimo deve essere ottimizzata. L’ot-
timizzazione delle condizioni di reazione avviene pertanto con processo iterativo.
Per gli studi cinetici si seguono gli istanti iniziali della reazione in modo da conside-
rare le concentrazioni istantanee pari a quelle iniziali e da mettersi nelle condizioni
di pseudo ordine zero. Questa scelta permette anche di trascurare l’eventuale for-
mazione di derivati, ottenuti dalla ricombinazione dei prodotti di reazione, che si
suppone non si verifichi negli istanti iniziali del processo.
Le reazioni vengono seguite per mezzo di uno spettrofotometro UV-Vis osservan-
do l’andamento nel tempo dell’assorbanza nella regione delle bande caratteristiche
del prodotto.
Negli istanti iniziali si osserva un andamento lineare dell’assorbanza in funzio-
ne del tempo, la cui pendenza (dA/dt) fornisce la velocit` di reazione secondo
                                                         a
l’equazione:



                                   dA       d[P ]
                                      =l·ε·                                       (2.15)
                                   dt        dt

dove l ` il cammino ottico della cuvetta utilizzata, ε ` il coefficiente di estinzione
       e                                               e
molare del prodotto e d[P ]/dt ` la velocit`.
                               e           a
I parametri cinetici vengono ricavati riportando i dati relativi alla velocit` in
                                                                             a
funzione della concentrazione di substrato e interpolando la curva con l’equazione
2.12 (Figura 2.7).




                                                                                      33
2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina-
                                                                     ligando




Figura 2.7: Profilo della velocit` di reazione in funzione della concentrazione di
                                a
substrato.


2.4     Equilibri di formazione di complessi proteina-
        ligando

Le funzioni di molte proteine richiedono il legame con altre molecole dette ligandi.
L’interazione proteina-ligando ` reversibile e dipende dalla struttura della protei-
                               e
na; inoltre si associa spesso a modificazioni conformazionali che ne influenzano
l’attivit` e la specificit`.
         a               a
Il legame tra una proteina (E) ed un ligando (L) determina la formazione del
complesso EL:

                                    E+L        EL

                               [EL]
                      KB =           = costante di associazione              (2.16)
                              [E][L]



                               1
                       KD =      = costante di dissociazione                 (2.17)
                              KB


La KD esprime l’affinit` dei una proteina per il ligando (pi` basso ` il suo valore,
                     a                                    u       e
pi` l’interazione proteina-ligando ` forte).
  u                                e


                                                                                 34
2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina-
                                                                    ligando


Nel caso della Mb, la coordinazione del ferro nel gruppo eme determina la possi-
bilit` di legame con molecole quali l’imidazolo e l’azide [27] [28].
     a
Queste sono infatti in grado di penetrare all’interno del sito attivo e coordinarsi
all’atomo di ferro, prendendo il posto della molecola di acqua che si trova debol-
mente legata, occupando la sesta posizione di coordinazione.
Dato che questi ligandi instaurano un legame forte con il ferro, al contrario del-
l’acqua, la proteina passa da uno stato esa-coordinato ad alto spin (6c-HS) ad uno
stato esa-coordinato a basso spin (6c-LS).
Queste due forme possiedono assorbimenti nella regione Soret differenti tra loro.
Durante la formazione del complesso per aggiunte successive di ligando, le specie
presenti in soluzione sono due ed in equilibrio fra di loro. Pertanto l’assorbanza
della soluzione, per ciascun valore di λ, ` dato dalla somma delle assorbanze delle
                                          e
due specie:

                A = AE(6c−HS) + AEL(6c−LS) = εE ∗ cE + εEL ∗ cEL             (2.18)



Sapendo che [E0 ] = [EL] + [E] e [L0 ] = [EL] + [L], si pu` ricavare, unitamente
                                                          o
alla 2.16, un’espressione matematica per [EL].
Sperimentalmente si misura la variazione di assorbanza di soluzioni a concentra-
zione fissa di enzima a cui sono aggiunti volumi fissati di soluzioni di legando a
titolo noto; essa dipende direttamente dalla frazione di enzima legata al legando,
in accordo con l’equazione 2.19:

                                              [EL]
                                   ∆A = ∆A∞                                  (2.19)
                                               [E0 ]



dove ∆A indica la variazione di assorbanza dopo ogni aggiunta rispetto al valore
ottenuto per la proteina non complessata e ∆A∞ ` la variazione di assorbanza
                                               e
quando tutto l’enzima ` legato.
                      e
Sostituendo la [EL] precedentemente trovata nell’equazione 2.19 si ottiene l’equa-



                                                                                35
2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina-
                                                                   ligando


zione 2.20:

         ∆A∞                                  2
∆A =              KB ([E0 ] + [L0 ]) + 1 −   KB ([L0 ] − [E0 ])2 + 2KB ([L0 ] + [E0 ]) + 1
       2[E0 ]KB
                                                                                 (2.20)


Riportando in grafico ∆A in funzione [L0 ] e fittando la curva ottenuta con l’equa-
zione precedente, si possono ottenere i valoti di KB e ∆A∞ .




                                                                                    36
Capitolo 3

Scopo del lavoro

Lo scopo di questo lavoro di tesi ` studiare il comportamento di sistemi proteici
                                  e
nel momento in cui vengono a contatto con materiali di dimensioni nanometriche.
Le proteine scelte, quali la Mb e il CytC, sono comuni enzimi presenti nel nostro
organismo, dove svolgono un ruolo cruciale in processi biologici vitali.
I materiali nanostrutturati scelti, la silice e il fosfato di zirconio, appartengono
alla classe di materiali inorganici aventi caratteristiche superficiali di tipo idrofi-
lico. Entrambi possiedono dimensioni comprese tra 20 e 40 nm e gruppi ossidrile
in superficie con carattere acido.
Vista l’enorme diffusione delle nanotecnologie in numerosi ambiti pu` risultare
                                                                   o
facile per materiali nanostrutturati di tal genere venire a contatto con sistemi di
                  `
natura biologica. E quindi fondamentale capire che tipo di risposta danno sistemi
che sovrintendono a processi vitali per l’organismo, quali proteine ed enzimi, in
presenza di materiali di questo tipo.
Il primo passo da fare per seguire tale obiettivo ` cercare di capire se la presenza
                                                  e
di nanoparticelle modifica la propriet` principale che un enzima possiede, ovvero
                                     a
l’attivit` catalitica. Se c’` un cambiamento della velocit` del processo preso in
         a                  e                             a
esame significa che le nanoparticelle in qualche modo interferiscono con il normale
decorso reattivo e quindi si `, molto probabilmente, in presenza di un’interazione
                             e
tra la proteina e la superficie del materiale nanometrico. L’assenza di modifiche
nell’attivit` catalitica di un enzima non necessariamente esclude l’interazione tra
            a



                                                                                  37
3. Scopo del lavoro


la proteina e il materiale, poich´ potrebbe comunque essere avvenuta senza com-
                                 e
portare variazioni nella funzionalit` del sistema.
                                    a
L’instaurarsi di interazioni proteina-materiali si pu` in genere verificare tramite
                                                     o
recupero del biocomposito, ovvero della proteina adsorbita, dal mezzo di reazione
tramite centrifugazione. Tale procedura consente inoltre di quantificare la protei-
na adsorbita per differenza con quella ritrovata nel surnatante. Il biocomposito
cosi ottenuto pu` essere utilizzato in biocatalisi ma si ` visto che molto spesso
                o                                        e
in questo modo si altera in maniera negativa l’attivit` catalitica della proteina in
                                                      a
seguito alla centrifugazione.
In questo lavoro, la scelta di utilizzare materiali sotto forma di nanoparticelle ha
consentito di testare direttamente l’attivit` catalitica delle proteine, senza bisogno
                                            a
di recuperare il biocompostito per centrifugazione. Questo perch´ le sospensioni
                                                                e
di nanoparticelle sono otticamente semi-trasparenti e consentono di limitare al
minimo il fenomeno dello scattering.
Una volta stabilito che si instaura una interazione proteina-nanoparticelle il pas-
so successivo ` capire se l’interazione ha portato come conseguenza cambiamenti
              e
conformazionali, i quali a loro volta potrebbero essere la causa della modificazione
dell’attivit` catalitica osservata.
            a
Tramite studi di tipo spettroscopico ` possibile stabilire se l’interazione provoca
                                     e
cambiamenti a livello della struttura secondaria e terziaria della proteina e, in par-
ticolare per le emeproteine, se la regione del sito attivo e il gruppo eme subiscono
modifiche.
Successivamente, sulla base di informazioni strutturali che si hanno a disposizione
sia per il materiale che per la proteina, ` possibile fare delle ipotesi sulla natura
                                          e
dell’interazione e condurre esperimenti mirati a confermare tale ipotesi. Ad esem-
pio, in presenza di interazioni elettrostatiche si ha una significativa dipendenza
dell’adsorbimento dalla forza ionica. Un aumento di tale parametro comporta il
rilascio della proteina dalla superficie, confermando la natura elettrostatica del-
l’interazione.



                                                                                   38
3. Scopo del lavoro


La possibilit` di derivatizzare superficialmente la silice ha inoltre consentito di
             a
variare le cariche presenti, passando da gruppi ossidrili a gruppi amminici, al fi-
ne di vedere l’effetto sull’adsorbimento delle proteine in esame ed eventualmente
confermare ulteriormente la natura elettrostatica dell’interazione.
Un altro punto molto importante da chiarire ` in quale zona della superficie pro-
                                            e
teica ` avvenuta l’interazione con il nanomateriale. In questo modo ` possibile
      e                                                             e
capire se ci possono essere delle ripercussioni sul sito attivo della proteina stessa.
Questo aspetto ` stato affrontato tramite studi riguardanti la complessazione della
               e
Mb con ligandi carichi quali ad esempio l’azide.
Una eventuale interazione coinvolgente la zona del sito attivo comporterebbe infat-
ti ripercussioni non solo sull’attivit` catalitica ma anche sulle costanti di equilibrio
                                      a
per la formazione del complesso proteina-ligando.




                                                                                     39
Capitolo 4

Risultati e discussione

In questo lavoro di tesi si ` voluto indagare il comportamento di due emeproteine,
                            e
la Mb e il CytC, in presenza di materiali nanostrutturati.
Dati i punti isoelettrici delle proteine, 7.2 per la Mb e 10.2 per il CytC, il ma-
teriale che meglio si adatta ad un’interazione di tipo elettrostatico deve possede-
re una superficie carica negativamente a pH fisiologico. Per questo motivo si `
                                                                            e
scelta inizialmente la silice colloidale commercialmente nota come Ludox TM-40.
La sospensione Ludox TM-40 ha tutte le caratteristiche richieste per il tipo di
problematica che si vuole affrontare:

   • sospensione colloidale in H2 O (40% in peso di silice);

   • densit` 1,3 g/mL a 25 ◦ C;
           a

   • dimensione delle nanoparticelle 20-30 nm;

   • area superficiale 140 m2 /g;

   • pH ∼ 9;

   • pI ∼ 2.

La gran parte dei lavori di letteratura riportano l’utilizzo di nanoparticelle di si-
lice, o suoi derivati, di dimensioni micrometriche o dell’ordine dei 100 nm. Per
questo lavoro si ` utilizzata silice con dimensioni pi` piccole, 20-nm, confrontabili
                 e                                    u



                                                                                  40
4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox
                                                                   TM-40


con quelle degli enzimi di interesse (4-5 nm). Ci` garantisce infatti un’ampia area
                                                 o
superficiale e quindi la possibilit` di interazione per un elevato numero di moleco-
                                  a
le.
Inoltre, un punto isoelettrico di due assicura che, a pH sperimentale (pH 7), la
superficie delle nanoparticelle ` carica negativamente e quindi potenzialmente in
                               e
grado di interagire con Mb e CytC.
I gruppi OH della silice possono essere facilmente sostituiti con funzionalit` di va-
                                                                             a
rio tipo: ammine, aldeidi, gruppi carbossilici, tioli, epossidi e gruppi etero-atomici.
Esistono vari metodi per ottenere nanoparticelle di silice funzionalizzate. Ad esem-
pio, si pu` effettuare la condensazione del TEOS con appropriati silani contenenti
          o
i gruppi funzionali desiderati oppure derivatizzare successivamente la silice con il
silano.
Nel nostro caso, ` stata utilizzata la seconda procedura per introdurre gruppi am-
                 e
minici sulla superficie.
La silice Ludox TM-40 ` stata fatta reagire con l’amminopropiltrietossisilano
                      e
(APTES) secondo lo schema riportato in Figura 4.1 [29].




              Figura 4.1: Sintesi di nanoparticelle di SiO2 -APTES.



4.1       Interazione della mioglobina con nanoparticelle di
          silice Ludox TM-40
4.1.1     Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2
                 a

Nella prima fase di questo lavoro si ` studiato il comportamento della Mb in pre-
                                     e
senza di nanoparticelle di silice Ludox TM-40.
Il primo punto affrontato ` stato lo studio dell’attivit` catalitica della Mb al variare
                         e                             a


                                                                                    41
4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox
                                                                  TM-40


della concentrazione di nanoparticelle di Ludox TM-40: ` stata seguita la reazione
                                                       e
di ossidazione del guaiacolo catalizzata dalla Mb e mediata da H2 O2 in tampone
fosfato 10 mM e pH 7, in presenza di concentrazioni variabili di nanoparticelle.
La reazione che porta alla formazione di un tetramero colorato ` stata seguita allo
                                                               e
spettrofotometro UV-Vis alla lunghezza d’onda di 470 nm. La velocit` iniziale
                                                                   a
rilevata per ogni esperimento ` stata confrontata con quella riscontrata con la Mb
                              e
nativa.
I dati ottenuti evidenziano che la velocit` della reazione di ossidazione aumen-
                                          a
ta al crescere della concentrazione di nanoparticelle in soluzione (Figura 4.2 e
Figura 4.3). Questo risultato indica che mettendo a contatto nanoparticelle con
superficie carica negativamente con la proteina (globalmente neutra nelle condizio-
ni sperimentali) si stabilisce un’interazione che ha un effetto positivo sull’attivit`
                                                                                    a
catalitica della Mb.
Per avere la conferma che la Mb interagisce con la superficie del nanomateriale,
la proteina ` stata messa a contatto con campioni contenenti concentrazioni cre-
            e
scenti di nanoparticelle (sono state usate le stesse concentrazioni relative di Mb e
di nanoparticelle utilizzate per gli esperimenti di attivit` catalitica). Dopo aver
                                                           a
centrifugato i campioni, ` stata misurata la concentrazione residua di Mb nel sur-
                         e
natante ed ` stato verificato che oltre il 90 % della proteina totale si adsorbe sulla
           e
superficie della silice.




                                                                                  42
4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox
                                                                  TM-40




Figura 4.2: Variazione di assorbanza (λ = 470 nnm) in funzione del tempo per
la reazione di ossidazione del guaiacolo catalizzata dalla mioglobina, in presenza
di nanoparticelle di SiO2 .




Figura 4.3: Attivit` catalitica della mioglobina nella reazione di ossidazione del
                    a
guaiacolo, mediata da H2 O2 , in funzione della concentrazione di Ludox TM-40.


   Ulteriori informazioni sull’effetto che le nanoparticelle hanno sulla Mb si pos-


                                                                               43
4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox
                                                                  TM-40


sono ottenere determinando i parametri cinetici kcat e KM , per la reazione di
ossidazione del guaiacolo in presenza di silice e confrontarli con quelli della Mb
nativa.
I profili cinetici sono stati ricavati a due diverse concentrazioni di nanoparticelle
e sono riportati nella Figura 4.4.




Figura 4.4: Profili di Michaelis-Menten della mioglobina per la reazione di ossi-
dazione del guaiacolo, mediata da H2 O2 , in presenza di diverse concentrazioni di
Ludox TM-40.


I parametri cinetici ottenuti sono riportati nella Tabella 4.1 per confrontarli con
quelli della Mb nativa. Le nanoparticelle di silice determinano una diminuzione
della kcat e una diminuzione della KM che, complessivamente, portano ad un au-
mento dell’efficienza catalitica dell’enzima. La diminuzione dei parametri cinetici
` pi` significativa a concentrazioni minori di silice.
e u
La variazione dei parametri cinetici della Mb in presenza di nanoparticelle di si-
lice da un’indicazione del fatto che la proteina interagisce con la superficie delle
nanoparticelle.




                                                                                 44
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  • 1. ` Universita degli Studi di Perugia Facolt` di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali a Corso di laurea in Scienze Chimiche Tesi di Laurea Specialistica Modulazione dell’attivit` catalitica a di enzimi tramite interazione con nanoparticelle Laureanda: Relatore: Orsola Ripa Prof. Antonio Cipiciani Correlatore: Dott.ssa Francesca Bellezza Anno Accademico 2009/2010
  • 2. a Marcello e Marella ♥
  • 3. Premessa La possibilit` di regolare l’attivit` catalitica delle proteine gioca un ruolo impor- a a tante nella modulazione di processi cellulari vitali. Disfunzioni a livello dell’azione svolta da enzimi e proteine sono la causa di disturbi e malattie per l’uomo, e la capacit` di regolare la funzione enzimatica e l’interazione tra sistemi proteici pu` a o fornire una promettente strategia per curare tali disturbi. La struttura e la funzione di un enzima possono essere modulate tramite l’intera- zione con nanoparticelle. Il ruolo chiave ` svolto dalle propriet` del nanomateriale, e a come la struttura, le dimensioni, la chimica superficiale, la carica e la forma. Le nanoparticelle hanno alcuni vantaggi rispetto ad altre piccole molecole organi- che: esse hanno una grande area superficiale (rapporto superficie/volume elevato) che favorisce il legame con le proteine e le interazioni di tipo biologico. Le parti- celle di dimensioni nanometriche possono entrare facilmente nelle cellule, cosa che non ` permessa ad alcune piccole molecole, anche di natura biologica. Inoltre, oggi e sono disponibili strategie sintetiche che permettono di ottenere nanoparticelle con propriet` controllabili in termini di dimensioni, geometria e caratteristiche super- a ficiali, che siano integrabili con la complessit` strutturale delle proteine. Il fiorente a sviluppo nel campo dei nanomateriali offre una nuova strada verso la modulazione dell’attivit` di proteine attraverso l’instaurarsi di interazioni superficiali tra i due a sistemi. D’altra parte, la diffusione massiccia di questo tipo di materiali in numerosi ambi- ti, che vanno dal biomedico all’alimentare, ha come conseguenza l’introduzione di questo tipo di molecole nell’organismo. Proprio allo scopo di verificare e prevenire eventuali effetti negativi e/o problemi di tossicit` diventa fondamentale studiare a cosa succede a questi sistemi quando vengono a contatto con l’ambiente fisiologi- co, con particolare attenzione verso gli enzimi, per capire il tipo di interazione che eventualmente si instaura e verificare le ripercussioni sull’attivit` catalitica della a proteina.
  • 4. Solo conoscendo in modo preciso e da ogni punto di vista il sistema proteina- nanoparticella si pu` controllarlo, manipolarlo e utilizzarlo al meglio la dove ne- o cessario. In questo lavoro ` stata posta l’attenzione su due eme-proteine che svolgono un e ruolo molto importante nell’organismo: la mioglobina, la cui funzione principe ` e legare reversibilmente l’ossigeno molecolare, e il citocromo C, enzima essenziale della catena di trasporto mitocondriale degli elettroni. Di entrambi ` stata studiata l’attivit` perossidasica, cio` la capacit` di ossidare e a e a substrati donatori di elettroni, in presenza di nanomateriali quali la silice e il fo- sfato di zirconio. Il primo ` un materiale molto diffuso e ampiamente utilizzato e mentre il secondo ` un materiale di nuova sintesi. e Lo scopo del lavoro di tesi ` stato capire come nanoparticelle cariche negativamen- e te in superficie interagiscono con la mioglobina e il citocromo C, che possiedono carica netta differente a pH sperimentale, e vedere che ripercussioni ha tale inte- razione sulla loro attivit` perossidasica. a
  • 5. Indice 1 Interazione di enzimi con nanomateriali 1 1.1 Il ruolo delle nanotecnologie oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle . . . . . . . a 6 1.4 Materiali nanostrutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.4.1 Silice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.4.2 α-Fosfato di zirconio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 2 Emeproteine e attivit` perossidasica a 16 2.1 La catalisi enzimatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2.2 Le emeproteine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2.2.1 Mioglobina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 2.2.2 Citocromo C . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2.3 Interazione di emeproteine con materiali nanostrutturati . . 27 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici . . . . . . . . . . . . . . . . . a 28 2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina- ligando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 3 Scopo del lavoro 37 4 Risultati e discussione 40 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 41 4.1.1 Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 . . . a 41 4.1.2 Spettri UV-Vis della mioglobina in presenza di SiO2 . . . . 45 i
  • 6. INDICE 4.1.3 Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 in a funzione della forza ionica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 4.1.4 Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 -APTES 49 a 4.1.5 Stabilit` della mioglobina all’inattivazione in presenza di a perossido di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.1.6 Determinazione delle costanti di equilibrio per i sistemi mioglobina- imidazolo e mioglobina-azide . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 4.2 Interazione del citocromo C con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 55 4.2.1 Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 . . . a 55 4.2.2 Spettri UV-Vis del citocromo C in presenza di SiO2 . . . . 58 4.2.3 Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 in a funzione della forza ionica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 4.2.4 Attivit` catalitica del citocromo C in presenza di SiO2 -APTES 60 a 4.2.5 Stabilit` del citocromo C all’inattivazione in presenza di a perossido di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 4.3 Interazione di emeproteine con α-ZrP in forma nanostrutturata . . 62 4.3.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di α-ZrP . . 63 4.3.2 Interazione del citocromo C con nanoparticelle di α-ZrP . . 67 5 Conclusioni 72 6 Parte sperimentale 75 6.1 Materiali utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 6.1.1 Funzionalizzazione della silice Ludox TM-40 . . . . . . . . . 75 6.1.2 Sintesi di nanoparticelle di α-ZrP . . . . . . . . . . . . . . . 76 6.2 Studi cinetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 6.2.1 Studio dell’attivit` catalitica di emeproteine in presenza di a nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 6.2.2 Determinazione delle costanti cinetiche kcat e KM per la proteina nativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 ii
  • 7. INDICE 6.2.3 Determinazione delle costanti cinetiche kcat e KM della pro- teina adsorbita su nanoparticelle . . . . . . . . . . . . . . . 78 6.3 Inattivazione della proteina in presenza di perossido di idrogeno . . 79 6.4 Spettroscopia UV-Vis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 6.4.1 Spettri UV-Vis delle proteine nella forma nativa . . . . . . 79 6.4.2 Spettri UV-Vis delle proteine in presenza di silice . . . . . . 80 6.4.3 Spettri UV-Vis delle proteine in presenza di fosfato di zirconio 80 6.5 Determinazione delle costanti di equilibrio per i sistemi mioglobina- ligando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Bibliografia 82 iii
  • 8. Capitolo 1 Interazione di enzimi con nanomateriali 1.1 Il ruolo delle nanotecnologie oggi Le nanotecnologie si occupano della ricerca e sviluppo di sistemi nanostrutturati e sono il ramo scientifico pi` studiato e su cui si ` investito moltissimo, a livello u e mondiale, in questo inizio di secolo. La capacit` di lavorare a livello molecolare, atomo per atomo, e di manipolare a specifiche caratteristiche dei nanomateriali, quali propriet` fisiche, chimiche e bio- a logiche, offre una gamma di possibilit` di sintesi di minuscole strutture, altamente a funzionalizzate, utilizzabili nell’ambito del drug delivery, in tecniche di imaging, per la progettazione di biosensori, circuiti elettrici, microchips, switches moleco- lari e anche analoghi per tessuti cutanei, ossa, muscoli e altri organi. D’altra parte, i notevoli passi avanti fatti dalla medicina e dalle biotecnologie nel campo della diagnostica e della cura di malattie dipendono da una approfondita conoscenza dei processi biologici. Le malattie possono essere identificate sulla ba- se di anomalie a livello molecolare e anche le cure progettate a partire da questo stesso livello. Anche se esistono molti metodi diagnostici cosi come esistono gi` a cure mirate, ` auspicabile usare strumenti con dimensioni paragonabili a quelle e molecolari per capire meglio i meccanismi coinvolti nei processi. Questi strumen- ti possono essere basati su nanoparticelle, nano-probs o altri nanomateriali, che 1
  • 9. 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle possono essere usati per interagire col processo biologico d’interesse. La scienza biomedica e le biotecnologie hanno beneficiato dei progressi tecnologici raggiunti in molti campi e le nanotecnologie sono uno di questi, rappresentando un’area molto importante e promettente anche per il futuro. Le nanoparticelle hanno propriet` uniche che possono essere sfruttate in questo a ambito: possiedono propriet` elettroniche, ottiche, chimiche e magnetiche inusuali a rispetto ai materiali di dimensioni macro, hanno un elevato rapporto superficie- volume e dimensioni paragonabili a quelle di importanti sistemi biologici (proteine, DNA, membrane cellulari). Tutto questo permette loro di interagire in maniera sofisticata e controllata a livello cellulare. Negli ultimi anni, nanoparticelle di diverse dimensioni, composizione e funzionalit` a superficiale sono state studiate per capirne l’interazione con proteine. I meccani- smi d’interazione nanoparticella-proteina implicati sono, nella maggior parte dei casi, interazioni idrofobiche, π − π ed elettrostatiche, che ovviamente possono coesistere. 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle Lo studio del meccanismo di interazione di proteine con nanomateriali ha avuto inizio negli anni ’50, quando cominciarono i primi tentativi di utilizzare enzimi fuori dal loro ambiente naturale. Ad oggi l’interesse nel comprendere le forze che regolano il legame proteina-solido non ` soltanto rendere l’enzima pi` stabile e e u resistente al variare delle condizioni sperimentali in cui lavora, ma anche quello di modulare l’attivit` enzimatica tramite l’interazione con specifici nanomateriali. a Proprio per la sempre maggiore diffusione di tali sistemi in prodotti di tipo biome- dico e di consumo, pu` essere facile entrare in contatto con essi e diventa quindi o cruciale conoscere cosa accade quando nanoparticelle si trovano a contatto di li- quidi biologici. Questo obiettivo pu` essere raggiunto, step by step, partendo dallo o studio dell’interazione di nanomateriali con le proteine presenti nel nostro organi- smo. 2
  • 10. 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle Una proteina pu` interagire con nanoparticelle tramite adsorbimento o tramite o formazione di legami covalenti; in entrambi i casi ` necessario capire quale parte e della proteina ` coinvolta e nel caso di enzimi se il sito attivo ` direttamente coin- e e volto o meno. In genere il processo di adsorbimento di proteine prevede pi` passaggi: u 1. deidratazione della superficie: consiste nel rilascio di molecole di acqua dalla superficie della proteina e delle nanoparticelle; favorisce l’adsorbimento su materiali idrofobici e sfavorisce quello su materiali idrofilici; 2. interazioni proteina-nanoparticelle: sono in genere interazioni elettro- statiche o di Van der Waals; 3. cambiamenti strutturali della proteina: la struttura folded di una pro- teina ` il risultato del fatto che le interazioni idrofobiche tra i residui apolari e interni riescono a superare sia le repulsioni tra cariche dello stesso segno di residui esterni sia la perdita di entropia dovuta alla struttura folded pi` or- u dinata. A contatto con un nanomateriale idrofobico tale bilanciamento viene meno e le interazioni idrofobiche tra i residui apolari interni sono sostituite da quelle che si instaurano tra la macromolecola e il solido. Pu` verificarsi che le repulsioni tra cariche dello stesso segno di residui o esterni prevalgano e si abbia l’unfolding della proteina, con successivo au- mento dell’area occupata da ciascuna molecola proteica sulla superficie del nanomateriale. 4. interazioni laterali tra proteine adsorbite: sulla superficie delle na- noparticelle possono legarsi pi` unit` proteiche in grado di interagire tra u a loro sia in modo attrattivo che repulsivo. Tali interazioni sono fortemente dipendenti dal grado di copertura della superficie. La comprensione e il controllo dei fenomeni che regolano l’interazione tra una proteina e un materiale nanostrutturato ` molto complesso. e 3
  • 11. 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle Altri fattori importanti che influenzano il modo in cui una proteina si adsorbe su una superficie solida sono: • propriet` e stabilit` della proteina: le proteine possono essere suddivise a a in due grandi classi, proteine hard e soft. Questa terminologia ` utile per e descrivere la tendenza di una proteina a subire cambiamenti strutturali pi` u o meno significativi quando si adsorbe su superfici solide. Le proteine hard hanno elevata stabilit` strutturale e tendono ad interagire a con materiali superficialmente idrofobici, a meno che non ci siano forze di attrazione elettrostatica. A seguito dell’adsorbimento, interazioni di questo tipo inducono sulla proteina hard variazioni conformazionali poco significa- tive. A questa classe appartengo per esempio l’α-chimotripsina , il lisozima e il citocromo C (CytC). Le proteine soft hanno una bassa stabilit` strutturale e maggiore flessibilit`; a a ne sono un esempio l’emoglobina (Hb), la mioglobina (Mb) e l’albumina (HSA). Esse si adsorbono pi` facilmente su superfici idrofiliche anche in pre- u senza di repulsione elettrostatica, grazie al guadagno entropico dovuto ad alterazioni conformazionali indotte dall’interazione; • fattori termodinamici: oltre alla natura della proteina il processo di in- terazione tiene conto dell’energia messa in gioco. Termodinamicamente, l’adsorbimento ` determinato dalla variazione di ener- e gia libera che, a temperatura ambiente, ` correlata a fattori entalpici ed en- e tropici. I primi dipendono dalla intensit` delle forze attrattive e/o repulsive a (elettrostatiche, idrofobiche e di Van der Waals) che regolano la formazione del sistema proteina-nanomateriale. I fattori entropici sono legati al rilascio dell’acqua di idratazione della proteina e delle nanoparticelle e ad un even- tuale riduzione di ordine nella struttura proteica dovuto all’unfolding che lo stabilirsi dell’interazione pu` causare; o • condizioni sperimentali: note le caratteristiche strutturali della protei- 4
  • 12. 1.2 L’interazione proteine-nanoparticelle na e del nanomateriale, ` possibile ottimizzare l’adsorbimento variando le e condizioni sperimentali. In particolare l’interazione tra i due sistemi ` in- e fluenzata dal pH e dalla temperatura. Un aumento della temperatura pu` avere un effetto sulla stabilit` e sulla o a struttura conformazionale della proteina. Pur essendo una possibile causa di denaturazione, la variazione di temperatura pu` essere utilizzata per de- o finire le driving-forces responsabili dell’adsorbimento. La variazione della percentuale di proteina adsorbita all’aumentare della temperatura indica se il processo ` endotermico o esotermico: una diminuzione della percentuale e di adsorbimento corrisponde ad un processo esotermico (∆H < 0) mentre, un aumento corrisponde ad un processo endotermico (∆H > 0). In quest’ul- timo caso, dato che il processo ` spontaneo, si deve verificare un aumento di e entropia dovuto, ad esempio, a variazioni conformazionali. Le proteine soft risentono maggiormente di variazioni di temperatura ri- spetto alle hard, perch´ le modifiche strutturali che subiscono favoriscono il e processo da un punto di vista entropico. Anche il pH ha un ruolo fondamentale sui processi di interazione proteine- nanomateriali. Il massimo valore di proteina adsorbita si ottiene, in genere, a un valore di pH prossimo a quello del punto isoelettrico (pI) della proteina: quando il pH uguaglia il pI la proteina non ha una carica superficiale netta e risente meno delle repulsioni laterali tra molecole adsorbite, favorendo un miglior impaccamento. Un altro fattore molto importante ` la forza ionica del mezzo in cui avviene e l’interazione: essa pu` avere un effetto drammatico su processo di adsorbi- o mento. Valori elevati di forza ionica favoriscono l’adsorbimento in condizioni di repulsione elettrostatica tra proteina e solido e lo inibiscono se c’` attra- e zione elettrostatica. In generale, una marcata dipendenza dell’adsorbimento dalla forza ionica indica un forte contributo da parte di interazioni di tipo elettrostatico. 5
  • 13. 1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle a 1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanopar- a ticelle L’importanza che l’interazione tra una proteina e nanoparticelle pu` avere in am- o bito biologico nel modulare l’attivit` enzimatica ` dimostrata dal sempre crescente a e numero di lavori di letteratura che riguardano tale argomento e dagli ottimi risul- tati raggiunti [1]. Nell’ambito di tale tematica particolare interesse ` stato rivolto allo studio di na- e noparticelle di natura inorganica. Ad esempio, nanoparticelle di silice di diverse dimensioni sono state utilizzate per indagare l’effetto su proteine quali il lisozima [2], la ribonucleasi A [3] e l’anidrasi carbonica [4]. Il tipo di interazione, la struttura e la capacit` catalitica della proteina adsorbita a sono fortemente influenzate dalle dimensioni della silice. Un differente raggio di curvatura influenza l’assorbimento che a sua volta induce cambiamenti conforma- zionali diversi e quindi modifiche sull’attivit` dell’enzima. Nel caso del lisozima, a nanoparticelle di dimensioni pi` grandi (100 nm di diametro) stabiliscono intera- u zioni pi` forti con la proteina (4 nm di diametro), causando un maggiore unfolding u con conseguente diminuzione di attivit` enzimatica (Figura 1.1) [2]. a Figura 1.1: Adsorbimento del lisozima su nanoparticelle di silice di diverse dimensioni. Inoltre, la funzionalizzabilit` superficiale delle nanoparticelle offre una gamma a di possibilit` per lo studio dei processi che avvengono all’interfaccia proteina- a nanoparticella. 6
  • 14. 1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle a Ad esempio, sono stati messi a punto sistemi costituiti da un core di nanoparti- celle d’oro, ricoperti da un monostrato organico con diversi gruppi superficiali e denominati MMPC (Figura 1.2): questi sistemi hanno un diametro di circa 6 nm e sono in grado di interagire con biomolecole come la chimotripsina [5] [6]. Figura 1.2: a) Struttura chimotripsina. b) Dimensioni relative della chimotripsina e delle nanoparticelle MMPC. c) MMPC anionici e cationici. In base alla carica dei gruppi funzionali superficiali gli MMPCs hanno un effetto diverso sulla proteina: quelli di tipo anionico inibiscono la chimotripsina a causa delle cariche negative terminali complementari a quelle localizzate attorno a sito attivo dell’enzima. (Figura 1.3). Figura 1.3: Rappresentazione dell’interazione tra la chimotripsina e nanoparticelle di oro funzionalizzate in superficie. 7
  • 15. 1.3 Modulazione dell’attivit` catalitica con nanoparticelle a L’attivit` catalitica della chimotripsina si pu` quindi modulare attraverso l’inte- a o razione con diversi tipi MMPC. L’interazione nanoparticelle-proteine pu` pertanto essere messa a punto modifi- o cando la superficie del nanomateriale: in questo modo si pu` ottimizzare l’attivit` o a catalitica dell’enzima di interesse in base al tipo di applicazione desiderata. Particelle di CdSe, derivatizzate sulla superficie con gruppi terminali diversi, sono un altro esempio interessante [7]: tre situazioni possibili sono illustrate nella Fi- gura 1.4. Figura 1.4: Modalit` d’interazione della chimotripsina al variare dei legandi a presenti sulla superficie di nanoparticelle di CdSe Cambiando la natura del legando superficiale cambia il comportamento della pro- teina. Nel caso a) la chimotripsina si lega alle nanoparticelle ma l’interazione determina l’unfolding con conseguente denaturazione; nel caso b) la proteina non si lega mentre, nel caso c), l’enzima si lega mantenendo inalterata la sua struttura e attivit`. a Anche alcuni amminoacidi sono stati utilizzati come legandi per modificare la su- perficie di nanoparticelle di oro in modo da modulare l’attivit` della chimotripsina. a Le nanoparticelle possono avere un ruolo chiave anche nei processi di riconoscimen- 8
  • 16. 1.4 Materiali nanostrutturati to e di interazione tra proteine che sono alla base di complesse funzioni cellulari, quali l’apoptosi e l’angiogenesi. Ad esempio nanoparticelle di oro possono inibire l’interazione tra il CytC e la citocromo C perossidasi se funzionalizzate con gruppi tiolato con linker PEG biocompatibili e gruppi amminici terminali [8]. 1.4 Materiali nanostrutturati La scelta del materiale da far interagire con una proteina va fatta in base alle caratteristiche che esso possiede, al tipo di reazione che si vuole studiare e alle condizioni sperimentali. Alcuni parametri sono considerati fondamentali: • il tipo, la distribuzione e la densit` dei gruppi funzionali superficiali; questi a fattori influenzano l’adsorbimento e la stabilit` del sistema che si forma; a • area superficiale: si preferiscono nanomateriali con ampia area superficiale cosi da garantire un maggiore carico di proteina; • rapporto idrofobicit`/idrofilia della matrice: essa influisce sulle interazioni a non covalenti, l’adsorbimento, la distribuzione e la disponibilit` di substrato a e prodotto; • forma e grandezza delle nanoparticelle. I materiali studiati in questo lavoro di tesi sono di tipo inorganico e sono molto diffusi, sia in ambito di ricerca che dal punto di vista applicativo: questo, insieme alle caratteristiche che essi possiedono, ` tra i motivi per cui ` interessante capire e e cosa succede quando essi entrano in contatto con enzimi presenti nell’organismo per fare luce anche sulla loro eventuale pericolosit` per l’uomo. a 1.4.1 Silice La silice ` da molti anni tra i nanomateriali pi` utilizzati nella ricerca e nella e u progettazione di sistemi con applicazioni in diversi campi. 9
  • 17. 1.4 Materiali nanostrutturati Essa pu` essere sintetizzata tramite diverse tecniche preparative sotto forma di o nanoparticelle e film trasparenti. Le tecniche sintetiche pi` comuni prevedono un u approccio di tipo bottom-up e sono: • metodo di st¨ber [9]: il metodo pi` utilizzato per la sintesi di silice col- o u loidale in forma nanometrica e con dimensioni inferiori a 100 nm. Il processo prevede l’idrolisi di un precursore, in genere tetraetossisilano (TEOS), in una miscela di etanolo, acqua e idrossido di ammonio; durante la reazione si forma acido silicico e quando la sua concentrazione supera la solubilit` in etanolo esso aggrega in modo omogeneo e forma particelle di a silice con diametro che va da meno di 10 nm a 1 µm. Le dimensioni delle par- ticelle possono essere controllate ottimizzando alcuni parametri sperimentali come la concentrazione e la temperatura. La presenza di alcool e di condizioni di pH basiche fanno si che questa tecnica sintetica sia poco compatibile con la formazione di bio-coniugati in quanto, in queste condizioni, la proteina pu` subire denaturazione; esistono comunque o altri approcci che cercano di limitare tale inconveniente; • metodo delle micelle inverse: una micro-emulsione di acqua in olio (W/O) crea aggregati di surfattanti anfifilici termodinamicamente stabili. All’interno di questi aggregati si crea una zona idrofilica e le nano goccioline di acqua fanno da micro-reattore: ` qui che si formano le nanoparticelle a e partire dal’idrolisi di silani precursori. Il diametro delle nanoparticelle in crescita ` controllato dalla grandezza delle gocce di acqua e dal rapporto e acqua/surfattante. Questa procedura richiede un tempo di reazione pi` lungo rispetto al me- u todo precedente ma permette di sintetizzare particelle altamente sferiche e monodisperse. La struttura e la superficie della silice sono rappresentate in Figura 1.5: il core di ogni particella ` costituito da unit` SiO2 che si ripetono mentre sulla superficie e a 10
  • 18. 1.4 Materiali nanostrutturati sono presenti gruppi silano (-OH) e/o silossano (-OR). Sono questi gruppi che determinano le propriet` chimiche superficiali della silice. a Figura 1.5: a) Immagine TEM di nanoparticelle di silice Ludox TM-40. b) Rappresentazione schematica di una nanoparticella di silice. La silice pu` essere facilmente derivatizzata sostituendo gli ossidrili con gruppi o amminici, carbossilici o tiolici (Figura 1.6). La funzionalizzazione non si limita soltanto a procedure che prevedano modifiche chimiche ma si pu` ottenere anche o tramite assorbimento passivo di molecole. Tutte queste caratteristiche fanno della silice un ottimo materiale anche per ap- plicazioni di tipo biotecnologico e medico [10]. Le nanobiotecnologie si occupano principalmente dello sviluppo di circuiti elet- tronici, switches molecolari, biosensori e microchips, mentre la nanomedicina fo- calizza l’attenzione sulla cura di malattie, tecniche di diagnosi, di monitoraggio, e sul rilascio e l’individuazione di agenti diagnostici, terapeutici e farmaceutici. L’importanza che l’uso di questo nanomateriale pu` avere in questi ambiti ` di- o e mostrato dalla quantit` di lavori pubblicati al riguardo (Figura 1.7). a Le applicazioni come biosensori sono le pi` studiate e diffuse: in questo ambi- u to si utilizzano biotecnologie avanzate per creare prodotti in grado di rilevare e quantificare analiti in ambiente clinico (analisi del sangue di routine), domestico 11
  • 19. 1.4 Materiali nanostrutturati Figura 1.6: Nanoparticelle di silice funzionalizzate con diversi gruppi organici. (monitoraggio del glucosio), industriale (sicurezza lavoratori, sicurezza alimentare) e ambientale. Questi devices devono unire alte prestazioni, in termini di sensibi- lit` e selettivit`, dimensioni minime, alta velocit` di risposta e bassi costi. Per a a a realizzarli ` necessario mettere insieme fondamenti di biologia, chimica e scienze e dei materiali. Le nanoparticelle sono unit` attive per sistemi di questo tipo perch´ a e sono in grado di amplificare un segnale. Nanoparticelle di silice funzionalizzate con proteine e acidi nucleici sono state usate come unit` per amplificare la tra- a sduzione di segnali di riconoscimento biologico. Intrappolando le biomolecole in nanosfere a base di silice alcuni ricercatori hanno ottenuto sistemi con elevata capacit` di immobilizzazione per le biomolecole. a La silice ` molto utilizzata anche nell’ambito dei saggi di tipo immunologico [11]: e questi si basano sulla reazione tra un analita (antigene) e un anticorpo selettivo a dare un complesso. La reazione pu` essere visualizzata in diversi modi ad esempio o con enzimi e fluorofori. Per ottenere una elevata sensibilit` del saggio sono indi- a spensabili anticorpi con alta affinit` e appropriati supporti. a 12
  • 20. 1.4 Materiali nanostrutturati Figura 1.7: Pubblicazioni riguardanti applicazioni di nanoparticelle di silice funzionalizzate nel periodo 1999-2008. Le nanoparticelle di silice hanno enorme potenzialit` come base per ottenere bio- a marker per l’imaging cellulare. Le nanoparticelle, in questo caso, possono essere drogate con molecole fluorescenti e derivatizzate in modo che abbiano una elevata affinit` per molecole in grado di legarsi a recettori di membrane cellulari. a Proprio in virt` del suo potenziale applicativo in ambito biotecnologico, c’` la u e concreta possibilit` che questi materiali entrino in contatto con gli enzimi, mole- a cole che hanno un ruolo cruciale in processi vitali, ed ` importante capire anche e l’eventuale tossicit` e i problemi che, nel tempo, possono causare all’organismo. a 1.4.2 α-Fosfato di zirconio I fosfati di zirconio sono una classe di composti largamente investigati in virt` u delle loro potenzialit` dal punto di vista applicativo in numerosi campi. Sono a ottenuti soprattutto in forma lamellare, in diverse strutture, ognuna delle quali possiede particolari caratteristiche [12] [13]. Diversi gruppi funzionali, da super-acidi a basici, da liofili a lipofili possono essere inseriti nella struttura base del solido sia tramite sintesi diretta che attraverso procedure specifiche quali lo scambio topotattico, reazione di scambio anionico 13
  • 21. 1.4 Materiali nanostrutturati di gruppi fosfato acidi superficiali della lamella con altri gruppi organo-fosfato o fosfonati. Il fosfato di zirconio monoidrato di tipo α (α-Zr(HPO4 )2 · H2 O), indicato come α-ZrP, appartiene alla classe dei solidi lamellari carichi negativamente la cui strut- tura ` quella riportata in Figura 1.8. e Figura 1.8: Rappresentazione schematica dell’α-Zr(HPO4 )2 · H2 O. Le lamelle consistono di atomi di Zr (rosa) posti su piani al di sopra e al di sot- to dei quali si trovano alternativamente i gruppi monoidrogeno-fosfato (verde) in coordinazione tetraedrica. I tre atomi di ossigeno (blu) di ogni gruppo fosfato sono legati a tre differenti atomi di zirconio, i quali formano un triangolo equila- tero distorto; ogni atomo di Zr ` cosi coordinato ottaedricamente a sei atomi di e ossigeno. Il quarto atomo di ossigeno del gruppo fosfato ` legato ad un protone e (non mostrato in figura) e punta nella regione interstrato. L’impacchettamento degli strati ` tale che ciascun atomo di Zr trova sopra e sotto e di se gli ossidrili dei due stati adiacenti; si formano quindi piccole cavit` esagonali a in cui viene ospitata una mole di acqua per peso formula. Le molecole di acqua formano dei legami a idrogeno con i gruppi fosfato ma gli strati sono tenuti insieme da forze di Van der Waals; non ci sono dunque legami a idrogeno interstrato. Nell’α-ZrP i protoni sono in grado di diffondere attraverso il reticolo cristallino 14
  • 22. 1.4 Materiali nanostrutturati ed possono essere sostituiti con cationi metallici (es. Na+ ) (propriet` di scambio a ` ionico). E possibile inserire, spesso reversibilmente, specie ospiti tra le lamelle senza alterare la struttura degli strati (propriet` di intercalazione). a Il fosfato di zirconio in forma nanostrutturata ` stato sintetizzato tramite la tec- e nica della microemulsione inversa [14] o tramite reazione solvotermica [15]. Il fosfato di zirconio e i suoi derivati, unendo un’ampia possibilit` di modulare le a propriet` superficiali a propriet` quali la biocompatibilit`, sono molto interessanti a a a da un punto di vista applicativo in ambito biologico. Numerosi studi riportano l’interazione di tali materiali con proteine ed enzimi [17] [18] [19], anche se dati riguardanti l’attivit` catalitica di tali sistemi sono ancora carenti. a 15
  • 23. Capitolo 2 Emeproteine e attivit` a perossidasica Gli enzimi sono proteine e rappresentano le macromolecole pi` abbondanti presen- u ti nelle cellule. All’interno della cellula ci sono migliaia di differenti enzimi, ognuno dei quali sovrintende uno specifico processo chimico, rendendolo possibile in tempi brevi e concertato con tutti quelli necessari alla vita cellulare. La funzione svolta da un enzima ` specificata dal DNA sotto forma di sequenza amminoacidica, la e quale rappresenta la struttura primaria di una proteina. I legami peptidici sono lo scheletro della struttura proteica e si formano tra amminoacidi adiacenti con eliminazione di una molecola di acqua. La conformazione tridimensionale pu` essere descritta sulla base di tre livelli ul- o teriori: struttura secondaria, terziaria e quaternaria. Le interazioni responsabili della stabilizzazione di questi tre livelli sono principalmente di natura non cova- lente. La struttura secondaria rende conto della disposizione nello spazio di amminoaci- di vicini ed ` dovuta alla ripetizione regolare di tratti di catena peptidica grazie e all’instaurarsi di legami a idrogeno tra un azoto amminico e l’ossigeno carbonilico tra residui distanti poche unit` amminoacidiche. Le pi` frequenti strutture secon- a u darie sono l’α-elica e il β-foglietto. La struttura terziaria riguarda la disposizione spaziale di amminoacidi lontani tra loro nella struttura primaria. La stabilizzazione di questa struttura ` resa possibi- e 16
  • 24. 2. Emeproteine e attivit` perossidasica a le da interazioni tra le catene laterali di amminoacidi non adiacenti. La struttura quaternaria deriva dall’associazione di due o pi` catene polipeptidiche con forma- u zione di una proteina a pi` subunit`. u a Ogni proteina pu` avere una sola struttura tridimensionale e ad ognuna ` asso- o e ciata una specifica funzione chimica o strutturale. Le proteine hanno un ruolo fondamentale praticamente in tutti i processi biologici: nel metabolismo del cibo per generare energia, nella sintesi di nuove strutture cellulari, come trasportatori di molecole necessarie alla vita, nelle principali funzioni svolte dal sistema nervoso centrale. Da tempo ` nota anche la capacit` degli enzimi di catalizzare processi fuori dal- e a l’ambiente biologico, trasformazioni che coinvolgono substrati diversi da quelli naturali e il loro impiego come biocatalizzatori si ` diffuso in diversi settori indu- e striali. I vantaggi principali legati all’utilizzo di questa classe di catalizzatori sono legati ad alcune caratteristiche peculiari degli enzimi: • selettivit`: ` la capacit` di un enzima di riconoscere uno specifico substrato a e a e promuoverne la trasformazione desiderata; • enantioselettivit`: un enzima ` in grado di discriminare un particolare a e enantiomero in una miscela racemica e catalizzarne la reazione voluta; • diastereoselettivit`: un enzima ` capace di selezionare un diastereoisome- a e ro in una miscela distereoisomerica e di favorire la sua trasformazione; • chemoselettivit`: un enzima riesce ad agire selettivamente su un gruppo a funzionale, in presenza di altri gruppi in una molecola, con reattivit` uguale a o superiore; • regioselettivit`: ` la capacit` di un enzima di riconoscere un particolare a e a gruppo funzionale tra gruppi uguali o simili presenti in un reagente e di catalizzarne la trasformazione desiderata; 17
  • 25. 2.1 La catalisi enzimatica • utilizzo di materie prime grezze: l’alta selettivit` di un enzima permette a spesso l’utilizzo di materie prime non purificate: miscele racemiche, soluzioni proteiche, di zuccheri, brodi di fermentazione e intermedi ottenuti da processi chimici; • basso impatto ambientale: la possibilit` di eseguire reazioni in condizioni a blande e in mezzo acquoso permette la progettazione di processi con ridotto impatto ambientale in termini di consumo di solventi, trattamento degli scarichi e consumi energetici ridotti. 2.1 La catalisi enzimatica Gli enzimi hanno una straordinaria forza catalitica, generalmente maggiore rispet- to ai catalizzatori di sintesi, ed un’elevata specificit` per i substrati che permette a loro di promuovere reazioni chimiche evitando la formazione di sottoprodotti. Il processo di catalisi indotto da un enzima consiste nell’aumentare la velocit` di a reazione e nel velocizzare il raggiungimento dello stato di equilibrio termodinami- co senza alterare il punto di equilibrio della reazione a cui partecipa. L’enzima facilita la reazione attraverso l’interazione del proprio sito attivo (sito catalitico) con il substrato formando il complesso ES e abbassando l’energia di at- tivazione della reazione ma senza modificare la variazione di energia libera totale (Figura 2.1). Avvenuta la reazione il prodotto si stacca dall’enzima e la proteina ritorna nel ciclo catalitico. In un processo enzimatico, in generale, ` possibile distinguere tre differenti stadi: e • uno stadio pre-stazionario in cui si ha la formazione del complesso ES e la scomparsa della proteina libera e del substrato con successiva formazione del prodotto; • un secondo stadio, stazionario, con ulteriore formazione del complesso e aumento della concentrazione del prodotto; 18
  • 26. 2.1 La catalisi enzimatica • il terzo stadio in cui il substrato ` stato completamente trasformato nel e prodotto di reazione e diminuisce la concentrazione del complesso ES. Figura 2.1: Profilo energetico di una reazione. Partendo da questa osservazione Leonor Michaelis e Maud Menten nel 1913, osser- varono che a concentrazione costante di enzima l’aumento della velocit` di reazione a ` proporzionale all’aumento della concentrazione del substrato fino a quando non e si raggiunge un valore di velocit` massima che non viene superato nemmeno au- a mentando in modo significativo la quantit` di substrato. a Raggiunta la condizione di saturazione la proteina non ` pi` in grado di aumentare e u la velocit` di reazione. Il modello di Michaelis-Menten prevede il raggiungimento a di una condizione di equilibrio tra l’enzima, il substrato e il complesso ES: 1k k E + S −− ES −2 E + P −− → k−1 Nel primo step, regolato dalla costante di velocit` k1 , si forma il complesso ES in a maniera reversibile. Nel secondo stadio il complesso si scinde e viene rilasciato il prodotto di reazione e l’enzima libero (costante di velocit` k2 ). a La velocit` massima della reazione viene raggiunta quando tutto l’enzima ` pre- a e 19
  • 27. 2.1 La catalisi enzimatica sente in soluzione come complesso ES, condizione possibile solo a concentrazioni di substrato molto elevate. L’equazione elaborata da Michaelis-Menten ` un’espressione algebrica dell’anda- e mento iperbolico che si ottiene graficando la la velocit` di reazione sperimentale a in funzione della concentrazione del substrato. L’elaborazione dell’equazione presuppone che negli istanti iniziali ci sia proporzio- nalit` tra la velocit` e la concentrazione di substrato e che sia esclusa la reazione a a inversa del secondo stadio del processo catalitico. Quindi la velocit` pu` essere a o espressa come: v = k2 [ES] (2.1) Applicando il principio dello stato stazionario, la velocit` di formazione e scom- a parsa del complesso si eguagliano: k1 [E][S] = (k−1 + k2 )[ES] (2.2) k1 [E][S] [ES] = (2.3) k−1 + k2 Introducendo la costante di Michaelis-Menten come: k−1 + k2 KM = (2.4) k1 l’equazione 2.3 diventa: [E][S] [ES] = (2.5) KM 20
  • 28. 2.1 La catalisi enzimatica Considerando che l’enzima sia presente in concentrazioni catalitiche rispetto al substrato e che la sua concentrazione in soluzione sia: [E] = [ET ] − [ES] (2.6) Sostituendo la 2.6 nella 2.5 si ottiene: [ET ][S] [ES] = (2.7) [S] + KM Sostituendo la 2.7 nella 2.1 si ottiene: k2 [ET ][S] v= (2.8) [S] + KM Considerando che la velocit` massima vM AX viene raggiunta quando tutti i siti a catalitici dell’enzima sono saturi di substrato, cio` quando [S] e KM , si ottiene l’equazione di Michaelis-Menten 2.10: vM AX = k2 [ET ] (2.9) vM AX [S] v= (2.10) [S] + KM La KM , parametro fondamentale dell’equazione 2.10, ` caratteristica di ogni enzi- e ma per un determinato substrato, in determinate condizioni di pH e di tempera- tura. La KM rappresenta la quantit` di substrato necessaria affinch´ la reazione a e abbia velocit` pari alla met` della velocit` massima (vM AX ). Questa costante a a a definisce quantitativamente l’affinit` di un enzima per un substrato: pi` basso ` a u e 21
  • 29. 2.2 Le emeproteine il suo valore, maggiore ` l’affinit` enzima-substrato e quindi minore ` la concen- e a e trazione di substrato necessaria per raggiungere un valore di velocit` che sia met` a a della velocit` massima. Viceversa, maggiore ` il valore di KM minore ` l’affinit` a e e a dell’enzima per il substrato. L’altra costante importante nell’equazione di Michaelis-Menten ` kcat (= k2 ) o e numero di turnover, definita come il numero di molecole di substrato convertite per secondo. Il rapporto kcat /KM ` un indice della capacit` catalitica dell’enzi- e a ma a basse concentrazioni di substrato e spesso viene utilizzato per confrontare l’efficienza di diversi enzimi o quella di un enzima con differenti substrati. Un va- lore elevato di tale rapporto indica una buona efficienza dell’enzima in condizioni fisiologicamente rilevanti. 2.2 Le emeproteine Le emeproteine sono enzimi che svolgono un ruolo essenziale in molti dei processi fisiologici. A questa famiglia appartengono proteine come l’Hb e la Mb, implicate nel trasporto dell’ossigeno molecolare, ma anche ossidasi, catalasi, perossidasi e citocromi, tutte legate a processi di attivazione dell’ossigeno molecolare, alla di- stribuzione e attivazione del perossido di idrogeno e al trasferimento di elettroni all’interno della cellula. Le emeproteine sono caratterizzate dalla presenza di un gruppo eme come gruppo prostetico (piccola molecola di natura non proteica o uno ione metallico che si associa all’enzima e ne rende possibile l’attivit` catalitica a tipica dell’enzima stesso), costituito da un anello porfirinico al quale ` legato un e atomo di ferro. Tale metallo, insieme al rame, ` impiegato in molti enzimi ossi- e dativi data l’ampia modulabilit` della propria reattivit` al variare dello stato di a a ossidazione e di coordinazione. I gruppi eme sono distinti in tipo a (farnesileme), tipo b (protoeme IX) e tipo c (mesoeme) in base ai diversi sostituenti periferici dell’anello porfirinico. L’eme b ` il pi` diffuso in natura mentre l’eme di tipo e u c ` l’unico ad essere legato covalentemente alla struttura proteica tramite ponti e tioetere con i gruppi tiolici di due cisteine presenti nella proteina. 22
  • 30. 2.2 Le emeproteine Le propriet` delle emeproteine sono fortemente influenzate dalla struttura pro- a teica; l’intorno amminoacidico del sito attivo ne determina l’attivit`, imponendo a la natura e le dimensioni della sacca in cui ` inserito l’eme stesso e del canale e d’accesso al sito stesso dall’esterno dell’enzima. 2.2.1 Mioglobina La Mb ` la prima proteina di cui sia stata risolta la struttura ai raggi X grazie e al lavoro di John Kendrew [20]; ` piccola (dimensioni approssimate di 4.5∗3.5∗2.5 e nm3 , peso = 17800 Da) e costituita da una catena polipeptidica singola e dal gruppo eme di tipo b. L’apoproteina della Mb, denominata globina, ` costituita da 153 amminoacidi or- e ganizzati in una struttura secondaria in cui sono individuabili otto regioni con con- formazione α-elica (A-H), cinque segmenti non elicali che uniscono α-eliche adia- centi e due frammenti terminali, uno ammino-terminale (N-A) ed uno carbossil- terminale (H-C). Figura 2.2: Struttura della mioglobina. L’eme ` costituito da un anello tetrapirrolico chiamato protoporfirina IX che lega e 23
  • 31. 2.2 Le emeproteine lo ione Fe2+ . I quattro anelli pirrolici sono legati da ponti -CH= cos` che l’in- ı tera struttura della porfirina risulta insatura e planare. Quattro gruppi metilici, due gruppi vinilici e due propionilici ionizzati sono legati all’anello tetrapirrolico. L’Fe2+ sostituisce due protoni della porfirina IX. Il complesso Fe-protoporfirina IX ` un ibrido di risonanza in cui il ferro risulta legato ai quattro atomi di azoto e della protoporfirina IX. L’interno della Mb ` caratterizzato dalla presenza di residui altamente idrofobici e (Val, Ile, Phe e Met) mentre in superficie si trovano sia residui idrofili che idrofo- bici. Le molecole di acqua sono, in generale, escluse dalla porzione interna della proteina e la maggior parte dei residui ionizzabili ` localizzata sulla superficie; e tuttavia alcuni amminoacidi ionizzabili si possono trovare in corrispondenza di tasche accessibili a molecole che si legano in modo specifico alla proteina stessa. La propriet` principale di questo enzima (nella forma Fe2+ ) ` la capacit` di le- a e a gare reversibilmente l’ossigeno molecolare, svolgendo la funzione di deposito nel tessuto muscolare e aiutando la diffusione dell’ossigeno dai capillari all’ambien- te intracellulare, dove viene utilizzato per produrre energia. La formazione del legame reversibile tra la Mb e l’ossigeno ` denominata ossigenazione: l’accessibi- e lit` dell’eme dipende dal movimento di catene laterali di amminoacidi situati in a prossimit` dell’eme stesso. L’His 64, detta distale, ` un residuo non legato covalen- a e temente all’eme che svolge un ruolo cruciale per l’attivit` di trasporto dell’ossigeno a da parte della Mb in quanto assiste la coordinazione dell’ossigeno al ferro eminico; l’His 93, detta prossimale, contribuisce a trattenere il ferro all’interno dell’eme (Figura 2.3). Il sito attivo della Mb presenta molte analogie strutturali con quello di alcune perossidasi, sia per la presenza del gruppo prostetico che delle due istidine: essa ` quindi in grado di catalizzare anche reazioni ossidative di substrati micro e ma- e cromolecolari da parte di perossidi come il perossido di idrogeno o alchilperossidi. 24
  • 32. 2.2 Le emeproteine Figura 2.3: Struttura dell’eme e di alcuni residui presenti nel sito catalitico della mioglobina. 2.2.2 Citocromo C Il CytC ` una piccola proteina globulare le cui dimensioni sono 2.6∗3.0∗3.2 nm3 e e il cui peso ` 12360 Da. e L’atomo di ferro legato all’eme ` esacoordinato, con i residui His 23 e Met 80 ad e occupare la quinta e sesta posizione di coordinazione del metallo. Il gruppo eme (tipo c) ` legato covalentemente, attraverso due legami tioetere, e alla catena polipeptidica ed esattamente ai residui 14 e 17. Un legame di questo tipo fa si che l’eme si trovi pi` vicino alla parte N-terminale della catena rispetto u a quanto accade per l’eme non covalentemente legato della Hb e Mb. Ci` non o ` inaspettato in virt` delle diverse funzioni del CytC rispetto alle proteine che e u trasportano ossigeno. Una estremit` del gruppo eme ` quindi esposta verso l’esterno e numerosi residui a e di Lys sono posizionati vicino o attorno alla tasca eminica, che risulta essere una regione carica positivamente. Questa carica positiva intorno al sito catalitico ` e implicata nell’interazione tra il CytC e i suoi partner redox nei processi di trasfe- rimento elettronico. 25
  • 33. 2.2 Le emeproteine Figura 2.4: Struttura del citocromo C. In generale quando si parla di CytC ci si riferisce alla proteina mitocondriale, re- sponsabile del trasporto di elettroni dalla citocromo C reduttasi alla citocromo C ossidasi nel processo di respirazione cellulare. Durante quest’ultimo il CytC viene ridotto e si sposta nella membrana interna del mitocondrio, dove interagisce con la citocromo C ossidasi cedendole un elettrone. Come biocatalizzatore [21] il Cytc presenta alcuni vantaggi: • l’eme legato covalentemente alla proteina pu` costituire un vantaggio nel caso o in cui la catalisi avvenga in solvente organico in quanto la perdita dell’eme ` impedita; e • ` uno dei pochi enzimi attivo in un range di pH molto ampio; e • il CytC ` in grado di catalizzare reazioni fino a temperature di 120 ◦ C, con e un massimo di attivit` raggiunto a 80 ◦ C; a • il basso costo e l’elevata stabilit` sono due dei principali fattori per il suo a possibile impiego in biocatalisi su larga scala. Il CytC mostra attivit` di tipo perossidasico, essendo in grado di catalizzare rea- a zioni di ossidazione di molecole ricche di elettroni in presenza di H2 O2 . 26
  • 34. 2.2 Le emeproteine La Met 80, che occupa la sesta posizione di coordinazione del ferro dell’eme, ha un ruolo importante nel determinare la capacit` catalitica dell’enzima: la presen- a za di questo residuo amminoacidico nel sito attivo determina la minore efficienza come perossidasi del CytC rispetto a una vera perossidasi. Tuttavia, la rottura del legame Fe-S (Met) pu` facilitare l’accesso del substrato (H2 O2 ) nel sito attivo o dell’enzima e migliorarne l’attivit` perossidasica. a 2.2.3 Interazione di emeproteine con materiali nanostrutturati Molti gruppi di ricerca hanno posto l’attenzione sull’effetto che i nanomateriali posso avere sulla struttura, sulla stabilit` e attivit` di emeproteine, quali la Mb e a a il CytC. L’adsorbimento di queste proteine su nanoparticelle di silice ` stato indagato dal e ` punto di vista strutturale tramite dicroismo circolare e spettroscopia UV. E stato visto che la Mb, proteina soft, tende a legarsi alla superficie modificando lievemen- te la sua struttura secondaria e terziaria; mentre il CytC, proteina hard, si lega senza subire alterazioni significative della configurazione nativa [22]. Dal punto di vista della funzionalit` biologica di tali molecole, i dati di letteratura a sono in genere di tipo qualitativo e comunque carenti. Per quanto riguarda la Mb, ci sono soltanto studi condotti su materiali silicei di tipo mesoporoso, i quali riportano una ritenzione di attivit` catalitica della pro- a teina immobilizzata. Nel caso del CytC, studi riguardanti l’interazione con derivati silicei mesoporosi riportano un aumento dell’attivit` perossidasica della proteina dovuta a cambia- a menti dello stato di spin del ferro dell’eme [23]. I dati di letteratura riguardanti l’attivit` catalitica del CytC adsorbito su nano- a particelle di silice sono piuttosto controversi [24] [25]. L’interazione della Mb e del CytC con fosfati e fosfonati di zirconio ` stata indagata e utilizzando essenzialmente materiali di tipo lamellare e di dimensioni micrometri- 27
  • 35. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a che. I dati disponibili sulla Mb riportano di solito una diminuzione dell’attivit` catali- a tica della proteina adsorbita su fosfati e fosfonati di zirconio [26]. Studi riguardanti la struttura e l’attivit` perossidasica del CytC adsorbito su a α-ZrP evidenziano un aumento dell’attivit` catalitica della proteina come conse- a guenza di modifiche dello stato di coordinazione del ferro dell’eme [17]. In conclusione, nonostante l’adsorbimento di proteine sia un argomento di ricerca molto indagato, sono ancora pochi i risultati ottenuti in termini di modulazione dell’attivit` catalitica con materiali nanostrutturati. a 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a Le perossidasi sono enzimi che, sulla base della loro sequenza amminoacidica e della struttura ai raggi X, possono essere raggruppati in due grandi famiglie a seconda che siano di origine vegetale o animale. Nelle piante esse svolgono molte funzioni tra le quali quella di difesa da agenti patogeni, contribuendo alla sintesi della parete cellulare grazie alla loro capacit` a di produrre composti polimerici. Negli animali le perossidasi svolgono funzioni di tipo antibatterico (lattoperossi- dasi nel latte, nella saliva e nelle lacrime), biosintetico (tiroide perossidasi nella sintesi di ormoni tiroidei, prostaglandina H sintasi nel metabolismo dei lipidi) e di eliminazione di agenti nocivi per la cellula. Le perossidasi catalizzano reazioni di ossidazione di substrati da parte di perossidi come il perossido di idrogeno: 2SH + H2 O2 → 2S + 2H2 O Il ciclo catalitico prevede la formazione di due intermedi enzimatici, chiamati Composto I e Composto II, con elevato potere ossidativo e l’ossidazione monoe- lettronica dei substrati (Figura 2.5). Gli intermedi sono stati caratterizzati grazie all’utilizzo di diverse tecniche spettrofotometriche quali UV-Vis e RAMAN. 28
  • 36. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a Figura 2.5: Meccanismo di reazione delle perossidasi. Nella prima fase del ciclo catalitico il perossido di idrogeno si coordina al ferro (Fe3+ ) dell’eme nella forma nativa con formazione di un perosso-composto del ferro a basso spin. L’His presente in prossimit` dell’eme nella cavit` distale promuove a a la coordinazione appena descritta. Il perosso-composto ha un tempo di vita estremamente limitato e subisce la rot- tura eterolitica del legame O-O. L’intermedio che si forma, il composto I, ` un e radicale catione porfirinico ed ha il ferro, in stato d’ossidazione IV, legato ad un atomo di ossigeno. 29
  • 37. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a Il Composto I ha un’elevata tendenza ad estrarre un elettrone da substrati che ne sono ricchi trasformandosi nel Composto II, che ha perso la caratteristica di radi- cale catione ma presenta il ferro ancora nello stato IV legato all’ossigeno. Questa specie ha un elevato potere ossidativo, anche se minore del Composto I, ed inte- ragisce con un’altra molecola di substrato trasformandolo in radicale. L’enzima ritorna quindi nella forma nativa (Fe3+ ) e l’ossigeno ferrilico viene rilasciato sotto forma di una molecola di acqua. Lo stadio lento dell’intero ciclo ` solitamente il terzo, ovvero l’ossidazione della se- e conda molecola di substrato. Durante il ciclo catalitico si pu` avere la formazione o di altri intermedi: il pi` importante tra questi ` il Composto III, specie poco attiva u e dal punto di vista dell’attivit` perossidasica, che si forma a partire dal Composto a II per eccesso di H2 O2 . Non essendoci selettivit` per i substrati alcune proteine con attivit` perossidasica a a possono catalizzare reazioni diverse come solfonazioni di solfuri, epossidazioni di stireni, N-dealchilazioni di ammine ed anche ossidazioni di substrati inorganici come I− e SCN− . I substrati tipici per le perossidasi sono i composti fenolici che rappresentano una delle principali famiglie di sostanze inquinanti nel settore agroindustriale. Da qui il crescente interesse riguardo le perossidasi in ambito biotecnologico per il loro utilizzo in processi di decontaminazione ambientale. L’attivit` perossidasica pu` a o anche essere sfruttata per produrre sostanze ad azione antibatterica o antimicro- bica. Il substrato utilizzato in questo lavoro per studiare l’attivit` catalitica della Mb e a del CytC ` il 2-metossifenolo o guaiacolo (Figura 2.6). e Il substrato nel ciclo catalitico delle perossidasi reagisce nel secondo e terzo stadio ` in una sorta di meccanismo tipo ping-pong trimolecolare. E per` possibile ridurlo o a bimolecolare in quanto il Composto I, che ha un potere ossidativo elevato, ` e presente in concentrazioni cosi basse da poter essere trascurato. 30
  • 38. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a Figura 2.6: Reazione di ossidazione del guaiacolo. L’equazione cinetica che descrive il processo ` la seguente: e kcat [E] V = KM 1 KM 2 (2.11) 1+ H2 O2 + [S] dove kcat ` la costante di velocit` della reazione globale, KM 1 e KM 2 sono le e a costanti di Michaelis-Menten dei processi 1 e 3 e [E] ` la concentrazione totale di e enzima. Utilizzando un elevata concentrazione di perossido di idrogeno si pu` trascurare il o secondo termine a denominatore e l’equazione cinetica acquista una forma simile a quella di Michaelis-Menten: kcat [E] kcat [E][S] V = KM 2 = (2.12) 1 + [S] [S] + KM 2 L’equazione 2.12 pu` assumere la forma seguente: o VM AX [S] V = (2.13) [S] + KM 2 dove VM AX = kcat [E]. Durante il turnover la specie enzimatica presente nel sistema in forma maggioritaria ` il Composto II e la velocit` di reazione registrata ` quella e a e relativa allo step 3: 31
  • 39. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a CompostoII + SH → E(F e3+ ) + S· In condizioni di saturazione di perossido di idrogeno il processo enzimatico si pu` o assimilare al seguente: k1 k2 CompostoII + SH −− CompostoII − SH −−E + P −− k−1 k−1 + k2 kcat k1 k2 kcat = k2 KM = = (2.14) k1 KM k−1 + k2 Nel caso in cui k2 k−1 si ha che KM = k−1 /k1 , espressione che rappresenta la costante di dissociazione del complesso CompostoII-S per cui si pu` affermare che o la KM ` una misura dell’affinit` dell’enzima per il substrato. Il valore di questo e a parametro ` legato all’energia del complesso substrato-specie attiva e tanto pi` ` e ue piccolo il suo valore pi` ` favorita la formazione del complesso. Il valore di KM ue per un enzima ` specifico per ogni substrato, in determinate condizioni di pH e e temperatura. Il termine kcat ` legato al trasferimento elettronico dal substrato alla specie atti- e va; un valore elevato di questo parametro ` indice di un pi` facile trasferimento e u elettronico. Il rapporto kcat /KM tiene conto di tutti i fattori prima considerati ed ` utilizzato e come indice della capacit` catalitica dell’enzima in condizioni di basse concentra- a zioni di substrato: un valore elevato di questo rapporto indice di buona efficienza nel processo catalitico. In condizioni di forte eccesso di H2 O2 si pu` avere l’inattivazione della proteina o ` per formazione del Composto III non pi` attivo. E necessario ottimizzare la quan- u tit` di perossido di idrogeno, studiando l’andamento della velocit` di reazione in a a funzione della concentrazione di perossido e scegliendo quella a saturazione, cor- rispondente a un punto sul plateau, prima che la curva inizi la fase discendente, indice di inibizione (formazione del Composto III) o inattivazione dell’enzima. Per seguire l’andamento della velocit` in funzione della concentrazione di perossido a 32
  • 40. 2.3 Attivit` perossidasica e studi cinetici a di idrogeno occorre operare con forte eccesso di substrato, cos` da poter trascu- ı rare il termine KM2 /[S] nella equazione 2.11. Tuttavia, per evitare inibizione da substrato, anche la concentrazione di quest’ultimo deve essere ottimizzata. L’ot- timizzazione delle condizioni di reazione avviene pertanto con processo iterativo. Per gli studi cinetici si seguono gli istanti iniziali della reazione in modo da conside- rare le concentrazioni istantanee pari a quelle iniziali e da mettersi nelle condizioni di pseudo ordine zero. Questa scelta permette anche di trascurare l’eventuale for- mazione di derivati, ottenuti dalla ricombinazione dei prodotti di reazione, che si suppone non si verifichi negli istanti iniziali del processo. Le reazioni vengono seguite per mezzo di uno spettrofotometro UV-Vis osservan- do l’andamento nel tempo dell’assorbanza nella regione delle bande caratteristiche del prodotto. Negli istanti iniziali si osserva un andamento lineare dell’assorbanza in funzio- ne del tempo, la cui pendenza (dA/dt) fornisce la velocit` di reazione secondo a l’equazione: dA d[P ] =l·ε· (2.15) dt dt dove l ` il cammino ottico della cuvetta utilizzata, ε ` il coefficiente di estinzione e e molare del prodotto e d[P ]/dt ` la velocit`. e a I parametri cinetici vengono ricavati riportando i dati relativi alla velocit` in a funzione della concentrazione di substrato e interpolando la curva con l’equazione 2.12 (Figura 2.7). 33
  • 41. 2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina- ligando Figura 2.7: Profilo della velocit` di reazione in funzione della concentrazione di a substrato. 2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina- ligando Le funzioni di molte proteine richiedono il legame con altre molecole dette ligandi. L’interazione proteina-ligando ` reversibile e dipende dalla struttura della protei- e na; inoltre si associa spesso a modificazioni conformazionali che ne influenzano l’attivit` e la specificit`. a a Il legame tra una proteina (E) ed un ligando (L) determina la formazione del complesso EL: E+L EL [EL] KB = = costante di associazione (2.16) [E][L] 1 KD = = costante di dissociazione (2.17) KB La KD esprime l’affinit` dei una proteina per il ligando (pi` basso ` il suo valore, a u e pi` l’interazione proteina-ligando ` forte). u e 34
  • 42. 2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina- ligando Nel caso della Mb, la coordinazione del ferro nel gruppo eme determina la possi- bilit` di legame con molecole quali l’imidazolo e l’azide [27] [28]. a Queste sono infatti in grado di penetrare all’interno del sito attivo e coordinarsi all’atomo di ferro, prendendo il posto della molecola di acqua che si trova debol- mente legata, occupando la sesta posizione di coordinazione. Dato che questi ligandi instaurano un legame forte con il ferro, al contrario del- l’acqua, la proteina passa da uno stato esa-coordinato ad alto spin (6c-HS) ad uno stato esa-coordinato a basso spin (6c-LS). Queste due forme possiedono assorbimenti nella regione Soret differenti tra loro. Durante la formazione del complesso per aggiunte successive di ligando, le specie presenti in soluzione sono due ed in equilibrio fra di loro. Pertanto l’assorbanza della soluzione, per ciascun valore di λ, ` dato dalla somma delle assorbanze delle e due specie: A = AE(6c−HS) + AEL(6c−LS) = εE ∗ cE + εEL ∗ cEL (2.18) Sapendo che [E0 ] = [EL] + [E] e [L0 ] = [EL] + [L], si pu` ricavare, unitamente o alla 2.16, un’espressione matematica per [EL]. Sperimentalmente si misura la variazione di assorbanza di soluzioni a concentra- zione fissa di enzima a cui sono aggiunti volumi fissati di soluzioni di legando a titolo noto; essa dipende direttamente dalla frazione di enzima legata al legando, in accordo con l’equazione 2.19: [EL] ∆A = ∆A∞ (2.19) [E0 ] dove ∆A indica la variazione di assorbanza dopo ogni aggiunta rispetto al valore ottenuto per la proteina non complessata e ∆A∞ ` la variazione di assorbanza e quando tutto l’enzima ` legato. e Sostituendo la [EL] precedentemente trovata nell’equazione 2.19 si ottiene l’equa- 35
  • 43. 2.4 Equilibri di formazione di complessi proteina- ligando zione 2.20: ∆A∞ 2 ∆A = KB ([E0 ] + [L0 ]) + 1 − KB ([L0 ] − [E0 ])2 + 2KB ([L0 ] + [E0 ]) + 1 2[E0 ]KB (2.20) Riportando in grafico ∆A in funzione [L0 ] e fittando la curva ottenuta con l’equa- zione precedente, si possono ottenere i valoti di KB e ∆A∞ . 36
  • 44. Capitolo 3 Scopo del lavoro Lo scopo di questo lavoro di tesi ` studiare il comportamento di sistemi proteici e nel momento in cui vengono a contatto con materiali di dimensioni nanometriche. Le proteine scelte, quali la Mb e il CytC, sono comuni enzimi presenti nel nostro organismo, dove svolgono un ruolo cruciale in processi biologici vitali. I materiali nanostrutturati scelti, la silice e il fosfato di zirconio, appartengono alla classe di materiali inorganici aventi caratteristiche superficiali di tipo idrofi- lico. Entrambi possiedono dimensioni comprese tra 20 e 40 nm e gruppi ossidrile in superficie con carattere acido. Vista l’enorme diffusione delle nanotecnologie in numerosi ambiti pu` risultare o facile per materiali nanostrutturati di tal genere venire a contatto con sistemi di ` natura biologica. E quindi fondamentale capire che tipo di risposta danno sistemi che sovrintendono a processi vitali per l’organismo, quali proteine ed enzimi, in presenza di materiali di questo tipo. Il primo passo da fare per seguire tale obiettivo ` cercare di capire se la presenza e di nanoparticelle modifica la propriet` principale che un enzima possiede, ovvero a l’attivit` catalitica. Se c’` un cambiamento della velocit` del processo preso in a e a esame significa che le nanoparticelle in qualche modo interferiscono con il normale decorso reattivo e quindi si `, molto probabilmente, in presenza di un’interazione e tra la proteina e la superficie del materiale nanometrico. L’assenza di modifiche nell’attivit` catalitica di un enzima non necessariamente esclude l’interazione tra a 37
  • 45. 3. Scopo del lavoro la proteina e il materiale, poich´ potrebbe comunque essere avvenuta senza com- e portare variazioni nella funzionalit` del sistema. a L’instaurarsi di interazioni proteina-materiali si pu` in genere verificare tramite o recupero del biocomposito, ovvero della proteina adsorbita, dal mezzo di reazione tramite centrifugazione. Tale procedura consente inoltre di quantificare la protei- na adsorbita per differenza con quella ritrovata nel surnatante. Il biocomposito cosi ottenuto pu` essere utilizzato in biocatalisi ma si ` visto che molto spesso o e in questo modo si altera in maniera negativa l’attivit` catalitica della proteina in a seguito alla centrifugazione. In questo lavoro, la scelta di utilizzare materiali sotto forma di nanoparticelle ha consentito di testare direttamente l’attivit` catalitica delle proteine, senza bisogno a di recuperare il biocompostito per centrifugazione. Questo perch´ le sospensioni e di nanoparticelle sono otticamente semi-trasparenti e consentono di limitare al minimo il fenomeno dello scattering. Una volta stabilito che si instaura una interazione proteina-nanoparticelle il pas- so successivo ` capire se l’interazione ha portato come conseguenza cambiamenti e conformazionali, i quali a loro volta potrebbero essere la causa della modificazione dell’attivit` catalitica osservata. a Tramite studi di tipo spettroscopico ` possibile stabilire se l’interazione provoca e cambiamenti a livello della struttura secondaria e terziaria della proteina e, in par- ticolare per le emeproteine, se la regione del sito attivo e il gruppo eme subiscono modifiche. Successivamente, sulla base di informazioni strutturali che si hanno a disposizione sia per il materiale che per la proteina, ` possibile fare delle ipotesi sulla natura e dell’interazione e condurre esperimenti mirati a confermare tale ipotesi. Ad esem- pio, in presenza di interazioni elettrostatiche si ha una significativa dipendenza dell’adsorbimento dalla forza ionica. Un aumento di tale parametro comporta il rilascio della proteina dalla superficie, confermando la natura elettrostatica del- l’interazione. 38
  • 46. 3. Scopo del lavoro La possibilit` di derivatizzare superficialmente la silice ha inoltre consentito di a variare le cariche presenti, passando da gruppi ossidrili a gruppi amminici, al fi- ne di vedere l’effetto sull’adsorbimento delle proteine in esame ed eventualmente confermare ulteriormente la natura elettrostatica dell’interazione. Un altro punto molto importante da chiarire ` in quale zona della superficie pro- e teica ` avvenuta l’interazione con il nanomateriale. In questo modo ` possibile e e capire se ci possono essere delle ripercussioni sul sito attivo della proteina stessa. Questo aspetto ` stato affrontato tramite studi riguardanti la complessazione della e Mb con ligandi carichi quali ad esempio l’azide. Una eventuale interazione coinvolgente la zona del sito attivo comporterebbe infat- ti ripercussioni non solo sull’attivit` catalitica ma anche sulle costanti di equilibrio a per la formazione del complesso proteina-ligando. 39
  • 47. Capitolo 4 Risultati e discussione In questo lavoro di tesi si ` voluto indagare il comportamento di due emeproteine, e la Mb e il CytC, in presenza di materiali nanostrutturati. Dati i punti isoelettrici delle proteine, 7.2 per la Mb e 10.2 per il CytC, il ma- teriale che meglio si adatta ad un’interazione di tipo elettrostatico deve possede- re una superficie carica negativamente a pH fisiologico. Per questo motivo si ` e scelta inizialmente la silice colloidale commercialmente nota come Ludox TM-40. La sospensione Ludox TM-40 ha tutte le caratteristiche richieste per il tipo di problematica che si vuole affrontare: • sospensione colloidale in H2 O (40% in peso di silice); • densit` 1,3 g/mL a 25 ◦ C; a • dimensione delle nanoparticelle 20-30 nm; • area superficiale 140 m2 /g; • pH ∼ 9; • pI ∼ 2. La gran parte dei lavori di letteratura riportano l’utilizzo di nanoparticelle di si- lice, o suoi derivati, di dimensioni micrometriche o dell’ordine dei 100 nm. Per questo lavoro si ` utilizzata silice con dimensioni pi` piccole, 20-nm, confrontabili e u 40
  • 48. 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 con quelle degli enzimi di interesse (4-5 nm). Ci` garantisce infatti un’ampia area o superficiale e quindi la possibilit` di interazione per un elevato numero di moleco- a le. Inoltre, un punto isoelettrico di due assicura che, a pH sperimentale (pH 7), la superficie delle nanoparticelle ` carica negativamente e quindi potenzialmente in e grado di interagire con Mb e CytC. I gruppi OH della silice possono essere facilmente sostituiti con funzionalit` di va- a rio tipo: ammine, aldeidi, gruppi carbossilici, tioli, epossidi e gruppi etero-atomici. Esistono vari metodi per ottenere nanoparticelle di silice funzionalizzate. Ad esem- pio, si pu` effettuare la condensazione del TEOS con appropriati silani contenenti o i gruppi funzionali desiderati oppure derivatizzare successivamente la silice con il silano. Nel nostro caso, ` stata utilizzata la seconda procedura per introdurre gruppi am- e minici sulla superficie. La silice Ludox TM-40 ` stata fatta reagire con l’amminopropiltrietossisilano e (APTES) secondo lo schema riportato in Figura 4.1 [29]. Figura 4.1: Sintesi di nanoparticelle di SiO2 -APTES. 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 4.1.1 Attivit` catalitica della mioglobina in presenza di SiO2 a Nella prima fase di questo lavoro si ` studiato il comportamento della Mb in pre- e senza di nanoparticelle di silice Ludox TM-40. Il primo punto affrontato ` stato lo studio dell’attivit` catalitica della Mb al variare e a 41
  • 49. 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 della concentrazione di nanoparticelle di Ludox TM-40: ` stata seguita la reazione e di ossidazione del guaiacolo catalizzata dalla Mb e mediata da H2 O2 in tampone fosfato 10 mM e pH 7, in presenza di concentrazioni variabili di nanoparticelle. La reazione che porta alla formazione di un tetramero colorato ` stata seguita allo e spettrofotometro UV-Vis alla lunghezza d’onda di 470 nm. La velocit` iniziale a rilevata per ogni esperimento ` stata confrontata con quella riscontrata con la Mb e nativa. I dati ottenuti evidenziano che la velocit` della reazione di ossidazione aumen- a ta al crescere della concentrazione di nanoparticelle in soluzione (Figura 4.2 e Figura 4.3). Questo risultato indica che mettendo a contatto nanoparticelle con superficie carica negativamente con la proteina (globalmente neutra nelle condizio- ni sperimentali) si stabilisce un’interazione che ha un effetto positivo sull’attivit` a catalitica della Mb. Per avere la conferma che la Mb interagisce con la superficie del nanomateriale, la proteina ` stata messa a contatto con campioni contenenti concentrazioni cre- e scenti di nanoparticelle (sono state usate le stesse concentrazioni relative di Mb e di nanoparticelle utilizzate per gli esperimenti di attivit` catalitica). Dopo aver a centrifugato i campioni, ` stata misurata la concentrazione residua di Mb nel sur- e natante ed ` stato verificato che oltre il 90 % della proteina totale si adsorbe sulla e superficie della silice. 42
  • 50. 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 Figura 4.2: Variazione di assorbanza (λ = 470 nnm) in funzione del tempo per la reazione di ossidazione del guaiacolo catalizzata dalla mioglobina, in presenza di nanoparticelle di SiO2 . Figura 4.3: Attivit` catalitica della mioglobina nella reazione di ossidazione del a guaiacolo, mediata da H2 O2 , in funzione della concentrazione di Ludox TM-40. Ulteriori informazioni sull’effetto che le nanoparticelle hanno sulla Mb si pos- 43
  • 51. 4.1 Interazione della mioglobina con nanoparticelle di silice Ludox TM-40 sono ottenere determinando i parametri cinetici kcat e KM , per la reazione di ossidazione del guaiacolo in presenza di silice e confrontarli con quelli della Mb nativa. I profili cinetici sono stati ricavati a due diverse concentrazioni di nanoparticelle e sono riportati nella Figura 4.4. Figura 4.4: Profili di Michaelis-Menten della mioglobina per la reazione di ossi- dazione del guaiacolo, mediata da H2 O2 , in presenza di diverse concentrazioni di Ludox TM-40. I parametri cinetici ottenuti sono riportati nella Tabella 4.1 per confrontarli con quelli della Mb nativa. Le nanoparticelle di silice determinano una diminuzione della kcat e una diminuzione della KM che, complessivamente, portano ad un au- mento dell’efficienza catalitica dell’enzima. La diminuzione dei parametri cinetici ` pi` significativa a concentrazioni minori di silice. e u La variazione dei parametri cinetici della Mb in presenza di nanoparticelle di si- lice da un’indicazione del fatto che la proteina interagisce con la superficie delle nanoparticelle. 44