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Bruno Mondadori
Riscritture
La traduzione nelle arti e nelle lettere
a cura di Gilberto Marconi
Estratto
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Il volume, curato da Gilberto Marconi per l’Associazione culturale Peitho, è stato
pubblicato con il contributo di: Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sociali e
della Formazione dell’Università degli Studi del Molise, Fondazione Cassa di
Risparmio di Jesi, Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana,
Rotary Club Jesi, Korg Italia Strumenti musicali, Trillini s.r.l. Centro Assistenza
Autorizzato Toyota, STEP Informatica, Concessionaria Automobili Marco Liera.
ISBN: 9788861598691
Il fotogramma tradotto
Leopoldo Santovincenzo
Il fotogramma è l’area di pellicola contenente le informazioni visive che
saranno trasmesse, in proiezione, allo spettatore. Questa area, la cui esten-
sione e forma si diversifica nei vari formati cinematografici, viene riqua-
drata, all’atto della proiezione, attraverso il ricorso ai mascherini, lamine
metalliche poste nel proiettore che schermano le parti di fotogramma che
non dovranno essere visibili sullo schermo ricostituendo l’inquadratura
così come è concepita e realizzata dal regista, con il direttore della foto-
grafia, in fase di ripresa. Il campo, ovvero tutto quello che risulta visibile
all’interno dell’inquadratura, è lo spazio di cui gli autori del film dispon-
gono per la composizione appunto dell’inquadratura selezionando cosa vi
entrerà e cosa non vi entrerà, come lo si vedrà, per quanto tempo lo si
vedrà. L’evoluzione dei formati cinematografici, ovvero delle dimensioni
del fotogramma, è cominciata insieme all’invenzione del cinematografo e,
sebbene nel corso del tempo si siano sedimentati alcuni parametri, conti-
nua ancora oggi. La disponibilità e la scelta di un formato piuttosto che
un altro determinano le scelte espressive del regista costituendone, sul
piano figurativo, il primo strumento a disposizione ovvero, per ricorrere
a una abusata metafora romantica, la tela su cui scrivere con la luce.
L’inquadratura non si limita tuttavia a contenere mimeticamente il campo
visibile ovvero a rendere visibile un oggetto, un corpo, un luogo ma con-
tiene anche lo sguardo che rappresenta l’oggetto, il corpo, il luogo ovve-
ro l’immagine di un’immagine o, più compiutamente, in maniera analoga
all’ideografia, l’idea di un’immagine. È questa idea che si dovrebbe trasfe-
rire, insieme all’immagine, all’atto di tradurre il fotogramma cinematogra-
fico per lo schermo televisivo.
La traduzione del fotogramma
Il cinema entra dentro la televisione con il piede sbagliato. «Il 31 maggio
1938 la stazione W2XBS della NBC mette in onda da New York il film Il
163
ritorno della primula rossa (...) ma un’inversione dei rulli di pellicola da
parte dei protezionisti fa terminare il film venti minuti prima. Per molti
anni la NBC non riceverà dai produttori le ultime novità cinematografi-
che».1
Il 3 novembre 1956 la CBS programma in prima serata il film
MGM Il mago di Oz (V. Fleming, 1939). È convenzionalmente identifica-
ta come la prima volta che un film a colori di una major viene trasmesso
integralmente su un network. Le major, come è noto, in prima battuta si
erano dimostrate restie a concedere i diritti per la trasmissione. Nel 1955
la RKO cede a varie stazioni televisive, attraverso la sua rete di distributo-
ri, 740 film dalla sua library. L’operazione produce effetti sulle altre major:
l’anno seguente è la volta della Warner Bros, a novembre la Twentieth
Century Fox e nel 1957 tocca alla Paramount. Seguiranno La Columbia e
la Universal.2
In precedenza, fin dagli anni ’30, alcune stazioni sperimen-
tali avevano già trasmesso film rieditati per la televisione; nell’aprile 1931
la stazione W2XCD Passaic, New Jersey, trasmette Police Patrol (B. L.
King, 1925 ) diviso in sei episodi trasmessi uno al giorno e dunque adat-
tato per le esigenze del passaggio televisivo. In Gran Bretagna la situazio-
ne è già calda: «Tempo fa, inoltre, la B.B.C. ha trasmesso per la prima
volta un film a lungometraggio, e precisamente Lo studente di Praga la cui
proiezione è durata novanta minuti. L’interesse che il pubblico ha rivolto
a questo avvenimento, e la conseguente ansiosa richiesta di ulteriori tra-
smissioni del genere, ha finito con preoccupare seriamente gli ambienti
cinematografici inglesi».3
I distributori e gli esercenti inglesi si riuniscono
a Glasgow studiando un «patto di mutua assistenza» con la BBC «inteso
a far sì che la ricezione avvenga unicamente nei cinematografi»4
a discapi-
to delle utenze private. In Italia, il primo film è Le miserie del signor Travet
(M. Soldati, 1945) programmato sul canale nazionale alle ore 17:30 del 3
gennaio 1954.
Qualunque in termini simbolici sia la prima data, per la prima volta
un’opera pensata e prodotta per la proiezione in sala viene diffusa attra-
verso un altro medium adattandosi a un’estetica diversa (bassa definizio-
ne, dimensioni ridotte, bianco e nero, ecc.) e a una altrettanto diversa
modalità di consumo. I modi di fruizione slittano: da una sala dedicata in
cui l’esperienza del film viene condivisa con centinaia di estranei al peri-
metro domestico, in cui viene vissuta in solitudine o in gruppi ristretti. Il
film viene così esposto all’attività ordinaria di una casa abitata, inserito in
un continuum come quello dei palinsesti, sezionato per ricavare gli spazi
pubblicitari da vendere, accelerato,5
letteralmente manipolato e persona-
lizzato modificando a gusto dell’utente, tramite i relativi comandi, lumi-
nosità, contrasto, croma. La sacralità della proiezione in sala si riconfigu-
ra dunque nei termini di un’infinità di variabili che non è possibile sotto-
Riscritture
164
porre a controllo. Non a caso, nella nuova terminologia adottata dal
marketing, l’enfasi si trasferisce dal formato (home video vs. proiezione su
pellicola) al luogo (home theatre vs. sala cinematografica pubblica) rilan-
ciando la centralità dell’esperienza casalinga, ormai concreta alternativa
alla sala cinematografica, come nuovo scenario. Queste condizioni, che
già alterano intimamente la qualità della visione, si incrociano con un pra-
tica più concreta che è l’opera di riduzione e manipolazione dell’inqua-
dratura nel corso della quale il campo visibile si modifica incessantemen-
te riadattandosi alle dimensioni e ai formati dello schermo televisivo.
Questo processo è assimilabile al processo di trasferimento di un testo in
una lingua diversa dall’originale: per essere consumato da un pubblico
diverso che dispone di strumenti diversi e in continua evoluzione tecno-
logica, il testo “visivo” deve essere sottoposto ad alcune modifiche che
corrispondono a una più o meno significativa revisione del campo visibi-
le del fotogramma originale. Il risultato è, come in ogni opera di traduzio-
ne, un nuovo testo che assomiglia molto all’originale ma non è più l’origi-
nale. La selezione di quello che sarà visibile operata è quasi sempre deter-
minata da ragioni tecnologiche e/o di mercato in deliberata assenza di
strumenti critici che proteggano la creazione artistica originale o stabili-
scano una metodologia che garantisca un punto di vista attraverso il quale
valutare il nuovo testo che ne è scaturito.
Per una storia in breve dei formati in cinema e televisione
Nei primi anni di vita del cinematografo i brevetti si moltiplicano alla
ricerca da una parte del perfezionamento tecnico, dall’altra di un’autono-
mia degli operatori rispetto alle registrazioni dei concorrenti e al rischio
della costituzione di un cartello intorno a un singolo brevetto. La progres-
siva ma rapida organizzazione industriale, imbrigliando gli inventori più
visionari, impone l’adozione di standard che prestissimo convergono su
una pellicola larga 35 mm derivata all’origine «dalla divisione in due delle
pellicole 70 mm prodotte dalla Eastman per le macchine fotografiche».6
All’interno del 35mm sia Edison che i Lumiere, nel tentativo di sfruttare
al massimo la superficie, adottano un rapporto tra base altezza di ogni sin-
golo fotogramma 4/3 tradotti, all’inverso, in 1:1, 33. Quando, con l’inven-
zione del cinema sonoro, sulla pellicola viene ritagliato uno spazio per la
banda audio, le proporzioni vengono ritoccate in 1:1, 37, standard che
resiste praticamente invariato fino ai nostri giorni istituzionalizzato con la
definizione Academy. La fisiologia della visione binoculare ha contribui-
to a determinare questa scelta: il formato adottato consente infatti di esse-
Il fotogramma tradotto
165
re coperto da un angolo di «visione agevole all’interno di una zona in cui
gli spostamenti dell’occhio si effettuano di riflesso senza notevole fatica
muscolare; quest’angolo è di 80° orizzontalmente e di 45° verticalmen-
te».7
Contemporaneamente, si comincia a lavorare in funzione dell’allar-
gamento di questo angolo visuale “naturale” con l’individuazione di for-
mati “panoramici” dove lo schermo panoramico è quello in cui il rappor-
to tra altezza e larghezza è superiore a quello classico 4/3.8
L’autentica
svolta data tuttavia ai primi anni ’50 quando l’industria cinematografica
americana risponde all’emorragia di pubblico prodotta dal successo della
neonata televisione rilanciando, contro i limiti dello schermo televisivo, i
grandi e grandissimi schermi. Il Cinerama, il Cinemascope e il Vistavision
sono i tre brevetti più significativi. Il Cinerama, inaugurato nel settembre
1952 a New York su brevetto di Fred Waller, triplica la larghezza dello
schermo proponendo una vertiginosa esperienza sensoriale di “avvolgi-
mento” dello spettatore nell’azione che anticipa, per certi versi, l’IMAX9
ma si rivela in definitiva impraticabile a causa dei costi vertiginosi: 3 cine-
prese affiancate e sincronizzate riprendono la stessa scena; le tre pellicole
risultanti vengono a loro volta proiettate su 3 proiettori sincronizzati su 3
schermi affiancati.10
Il primo Cinerama europeo viene inaugurato a Mi-
lano in occasione della Fiera Campionaria del 1955; l’allestimento degli
schermi al Cinema Manzoni di Milano occupa i seguenti volumi: «Esso
presenta una altezza di 7 metri, uno sviluppo lungo l’arco di 19 metri ed
è montato con un raggio di curvatura di 9, 70 metri».11
Negli Stati Uniti,
al tempo, esistono appena una decina di sale pubbliche attrezzate. I costi
del Cinerama, per la produzione e l’esercizio cinematografico, risultano
molto alti; basti pensare che ogni proiezione richiede l’attivazione di un
team di 7 persone: n. 4 operatori di cabina, n. 1 operatore di regia, n. 1
revisore di pellicola, n. 1 capo servizio responsabile. Il Cinemascope ori-
ginale, nato su brevetto della Twentieth Century Fox, è introdotto nel
novembre 1953 e consente di allargare il campo visivo ricorrendo in fase
di ripresa a lenti anamorfiche che comprimono lateralmente l’immagine
sulla pellicola che viene poi “decompressa”, in fase di proiezione, con il
ricorso a un obiettivo analogo. Le proporzioni sono in origine 1:2, 55 poi
riadattate sul più diffuso 1:2, 35. Il VistaVision, presentato nel 1954 dalla
Paramount, è un sistema a scorrimento orizzontale della pellicola che in
pratica raddoppia la superficie dell’immagine e alza la qualità della defi-
nizione. La necessità di attrezzare le sale con proiettori speciali ha indot-
to a stampare e far circolare copie con riduzione ottica il cui aspetto fina-
le non differiva troppo dal Cinemascope fino a far cadere presto in disu-
so lo stesso VistaVision.12
Il formato dello schermo televisivo è solo appa-
rentemente più stabile e la sua evoluzione più lenta ma in realtà quello che
Riscritture
166
i telespettatori degli anni ’60 non osavano immaginare – la dilatazione del
piccolo schermo con l’accorciarsi della distanza che lo separa dal grande
schermo – lo aveva già immaginato e in parte realizzato proprio la gene-
razione degli anni ’30 che aveva visto nascere la tecnologia televisiva.
«Londra possiede circa venti sale di attualità che rendono ottimamente
(…) Una grande novità si è aggiunta in questi giorni: la super-attualità,
cioè la televisione. Il Tatler Theatre di Charing Cross Road ha installato
uno schermo di televisione (Baird) di 1, 50 x 2 metri, ricevente attraverso
l’antenna dell’Alexandra Palace. Il risultato è stato buono, apprezzato dai
giocatori che vedevano i loro cavalli correre portatori delle loro speranze,
e l’incasso eccellente. Il tentativo sarà perfezionato, ma per quanto riguar-
da le attualità è difficile andare oltre».13
Solo pochi anni prima, le dimen-
sioni dello schermo televisivo erano decisamente più ridotte: «Nel 1929 si
aspettava ogni notte, l’una del mattino per vedere le piccole immagini tra-
ballanti e incerte di Baird trasmesse in onda media da Radio Londra, for-
matesi dietro un sistema ottico a lenti. Era un’immagine rossastra, del for-
mato di una foto 6x9 centimetri, che andava osservata nell’oscurità».14
Il
tradizionale rapporto 4/3 che la televisione ha mutuato dal cinema delle
origini comincia ad evolvere verso un nuovo formato panoramico nei
primi anni ’80, ideato per le televisioni ad alta definizione: è il 16:9 corri-
spondente al rapporto 1:1, 78, disegnato quale ideale “contenitore” di
tutti i formati cinematografici più diffusi.15
Formato che viene immediata-
mente recepito quale standard di ripresa per i prodotti concepiti e realiz-
zati direttamente per il consumo televisivo. I nuovi televisori consentono,
agendo su un tasto del telecomando, di adattare automaticamente qualsia-
si formato zoomando elettronicamente sull’inquadratura fino a copertura
integrale del campo. Il superamento del tubo catodico e l’introduzione
delle tecnologie del plasma, dei cristalli liquidi e dell’illuminazione a led
rilanciano ulteriormente lo schermo domestico in una frenetica escalation.
La taglia dei “piccoli schermi” domestici comincia a espandersi verso il
“grande schermo”. Il nuovo Tv 3D 4K Ultra Definition LG conta 84 pol-
lici, alcuni recenti modelli Philips propongono in alternativa al 16:9 il
21:9, più vicino al formato cinemascope della sala, il film viene riadattato
alle nuove proporzioni lunghezza/altezza progettate per la televisione e la
porzione di campo visibile si dilata e si contrae incessantemente nel pas-
saggio da un formato all’altro. La qualità media dei nuovi schermi e il
nuovo formato impone alle reti televisive di rivedere i protocolli di acqui-
sto e di trasmissione. Così, in una sintomatica inversione di rotta, le copie
richieste ai fornitori all’atto dell’acquisto devono rigorosamente rispetta-
re il formato 16/9. Il 4/3 (rapporto 1:1, 33) e il 16/9 (rapporto 1:1, 78)
sono dunque i formati con cui ogni film cinematografico, qualunque sia la
Il fotogramma tradotto
167
sua aspect ratio16
originaria, deve rapportarsi al suo passaggio televisivo. In
sintesi, si può in un certo senso sostenere che nel cinema è lo schermo che
viene determinato dal formato, nella televisione è il formato dell’inqua-
dratura che viene determinato dalle dimensioni dello schermo.
Dalla seconda metà degli anni ’70, stimolato dai segni tangibili della
crisi dell’esercizio (si passa dalle 12.975 sale in attività sul territorio nazio-
ne nel 1967 alle 4885 del 1985),17
si apre in Italia un fitto dibattito sui rap-
porti tra cinema e televisione. L’oggetto è da una parte la necessità di indi-
viduare uno specifico del linguaggio televisivo, provvisoriamente identifi-
cato nella diretta ovvero nell’adozione del tempo reale nel racconto dell’e-
vento (ma con il tempo si comprenderà che in realtà è il flusso continuo
dei palinsesti ad avere rilevanza assoluta nel dominio estetico televisivo),
dall’altro la relazione cannibalica tra piccolo e grande schermo in termini
di distribuzione, di costruzione del racconto e di estetica (primo piano e
campo medio vs. campo lungo, ecc). Quella parte di televisione chiamata
cinema è il titolo di un convegno del Partito Socialista Italiano dei primi
anni ’80, titolo su cui negli anni che seguirono, si sarebbe ripetutamente
tornati con parafrasi varie nel tentativo di definire i complessi dispositivi
su cui si fondano gli scambi tra i due media. Gli interventi, che coinvol-
gono critici cinematografici, programmatori televisivi e massmediologi, si
attestano, in genere, su due posizioni antinomiche, quelle dei “conserva-
tori” e dei “postmodernisti”. I primi sostengono il primato della chimica
dell’immagine fotografica contro il virus dell’immagine elettronica di cui
la televisione è evidentemente l’untore difendendo, al contempo, la cen-
tralità dell’esperienza del cinema in sala, i secondi si sintonizzano sugli
scenari che le nuove tecnologie possono schiudere profetizzando una
commistione del cinema con l’elettronica che darà vita a un nuovo lin-
guaggio audiovisivo e al superamento della sala cinematografica. Per que-
sti ultimi in realtà non c’è tradimento in quanto il passaggio del film in
televisione segna una inevitabile trasformazione che ne fa un’esperienza
comunque diversa rispetto alla proiezione tradizionale che va dunque
valutata con diversi parametri affiancandosi e non sovrapponendosi alle
pratiche del passato.
Rivisitare gli atti dei convegni e delle tavole rotonde di quegli anni con-
sente oggi di osservare che entrambi gli schieramenti avevano una parte
di ragione e una parte di torto. I “conservatori” sottovalutavano l’impat-
to delle nuove tecnologie il cui esito estetico si è concretizzato solo nell’ul-
timo decennio con l’immagine digitale, la CGA (computer graphic anima-
tion) e il motion capture. Entro il 2014, dopo oltre 100 anni, la pellicola è
destinata a scomparire anche dalle sale con la riconversione a impianti di
proiezione digitali. I “postmodernisti” intuivano che, dietro la facciata
Riscritture
168
delle spettacolari e costosissime operazioni sperimentali sull’alta defini-
zione (HDTV)18
che i funzionari Rai, di formazione umanistica, sbandie-
ravano con l’entusiasmo irrefrenabile dei neofiti, si approssimava un
punto di non ritorno. Tuttavia, al tempo, nessun regista italiano ha dimo-
strato di comprendere fino in fondo in che direzione portasse, sul piano
estetico, la rivoluzione tecnologica che si preparava.19
Ma soprattutto i
“postmodernisti” sottovalutavano che, destinati all’estinzione i cineclub e
accorciatasi la vita in sala del film, la televisione si sarebbe definitivamen-
te impossessata, anche attraverso l’home video, della memoria storica del
cinema e che dunque abbassare la soglia del rigore filologico rispetto
all’immagine, avrebbe segnato, nel giro di poche generazioni, una revisio-
ne dei valori estetici del cinema in favore di una disordinata “traduzione”
dell’immagine cinematografica a uso del teleschermo. Questa delega in
bianco che in altri tempi ha rappresentato un baluardo contro l’oblio e la
censura di mercato, segna l’inizio di un monopolio dell’immaginario che
forse non ha ritorno.
La stagione selvaggia: il caso italiano
La proliferazione delle antenne private e l’home entertainment segnano,
in Italia, gli anni ’80 televisivi. Nel febbraio 1977 la RAI ha finalmente
inaugurato le trasmissioni a colori, già adottate da oltre un decennio negli
altri paesi. Le ragioni di questo ritardo, in parte dovute alla scelta tra gli
standard PAL e SECAM, sono forse da rintracciare, in una eccezione
squisitamente italiana, ai conflitti politici interni e alle posizioni della chie-
sa cattolica. Il prodotto cinematografico fino ad allora è confinato, in virtù
di un accordo limitativo stipulato tra televisione nazionale e ANICA, a
pochi spazi fissi di programmazione sulle due reti nazionali. La tipologia
di film trasmessi è per larga maggioranza selezionata tra la produzione
classica a hollywoodiana e più di rado quella nazionale, rappresentata
soprattutto da film di autori come Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica e
Roberto Rossellini. Il cinema popolare italiano ha uno spazio molto limi-
tato. A colmare questo vuoto provvede il famoso pacchetto Titanus di 350
film, acquisito nel 1979 per due miliardi di lire dalle televisioni del grup-
po Fininvest. Il racconto dell’operazione, nelle parole di Carlo Freccero,
assunto per riordinare appunto quel pacchetto: «In questa battaglia per la
conquista del prime time nella primavera del ’82 si sperimentò un’altra
intuizione teorica che sarebbe servita alla controprogrammazione. Per
scalfire l’egemonia di Raiuno al lunedì, costruita su film di target univer-
sale, le tv private iniziarono a utilizzare i film italiani. I network intuirono
Il fotogramma tradotto
169
la forza dello specifico nazionalpopolare nel pieno della via americana,
praticare, vampirizzare il prodotto cinematografico italiano garantiva una
audience costante e sicura».20
E ancora: «Lavoravamo su materiali con-
sueti, addirittura su scarti Rai: Si trattava di valorizzarli e di adattarli alla
realtà del nuovo medium».21
Dietro questa intuizione ci sarà la costruzio-
ne a tavolino dell’immaginario televisivo Fininvest e poi del “nazionalpo-
polare” televisivo tout court con le parziali, circoscritte eccezioni del do-
minio cattolico su Rai1 e di quello di sinistra su Rai 3 che per motivi diver-
si e con strumenti opposti tentavano, conservando o sperimentando, di
fare barriera al mercato puro. La moltiplicazione dei film nei palinsesti
televisivi in una totale deregulation estetica segna, insieme alla produzio-
ne di videocassette, la stagione più selvaggia nell’opera di traduzione del
film in tv. «Va detto subito che in Italia girano per le televisioni private
circa 3600-4000 film già riversati su nastro, in genere ¾ di pollice, di cui
soltanto 900 o 1000 hanno i diritti televisivi. Quindi tutti gli altri sono film
rubati, che non hanno alcun diritto di essere trasmessi in televisione».22
In
presenza di questo Moloch che ha bisogno di essere continuamente ali-
mentato con nuovi materiali è evidentemente impossibile pretendere un
metodo nella pratica di riversamento delle pellicole su nastro. Nel 1982 il
rapporto tra film e telefilm trasmessi dalla Rai e dalle televisioni private è
di 1 a 7.23
Questo quadro non può perdurare e la necessità di inseguire la
concorrenza e riconquistare il mercato impone alla televisione pubblica
un’apertura che non può più tollerare le limitazioni richieste dall’ANICA
o le riserve di tipo pedagogico. Intanto la Rai passa da 5110 ore di tv tra-
smesse nel 1975 alle 9225 ore del 1980, anno in cui arriva a trasmettere 10
ore al giorno (dal 1992: 24 ore su 24).24
La conquista della library Cecchi
Gori segna il nuovo corso per quanto riguarda la programmazione di film.
Si innesca così un corto circuito che ha una ricaduta anche sulla produ-
zione cinematografica: i film di Celentano, Pozzetto, i Vanzina, De Sica &
Boldi attingono, per le storie e i meccanismi narrativi, proprio al cinema
popolare italiano (dalle commedie dei telefoni bianchi alla commedia all’i-
taliana ai film con Totò) ma li rivisitano adattandoli al pubblico televisivo
che affolla le sale solo per i film-evento delle festività natalizie. La televi-
sione passa puntuale all’incasso trovandosi preconfezionati film cinema-
tografici pensati e realizzati per il pubblico televisivo. Il gioco è fatto, i
generi popolari cinematografici stanno trasmigrando in televisione, i co-
mici televisivi, divenuti star, conquistano le sale con film fai-da-te a basso
costo, l’industria del cinema italiano, piegata dal panico e attratta dai pro-
fitti, perde sempre più la sua identità, la fiction raccoglierà presto il testi-
mone ridimensionando ancora di più il mercato delle sale. Oggi i film ita-
liani, schiacciati sul piano della popolarità e deprivati di identità “cinema-
Riscritture
170
tografica” tanto da apparire quasi sempre indistinguibili dalla fiction, non
costituiscono più, tranne rare eccezioni, merce pregiata per i palinsesti
televisivi.25
Il delitto imperfetto
Intanto la fortuna dei film in televisione pone quotidianamente problemi
di adattamento che sono rapidamente rimossi a vantaggio del consumo
frenetico. Film concepiti e realizzati in formato panoramico sono forzosa-
mente ricondotti dentro la gabbia del formato 4/3. Secondo la vulgata una
circolare interna alla Rai istituzionalizzava la traduzione di ogni formato
cinematografico nel 4/3 con l’effetto di eliminare le tanto temute “bande
nere” (o interlinea) nella parte inferiore e superiore del quadro che garan-
tiscono, nei limiti del possibile, la salvaguardia dell’inquadratura origina-
le ma che, secondo le non meglio identificate analisi di qualche dirigente,
scoraggiano il pubblico dalla visione dei film in tv almeno quanto il bian-
co e nero. È frequente rilevare, durante la messa in onda, il passaggio dal
formato panoramico originale di un film, conservato per rendere leggibi-
li i titoli di testa, a un formato panoramico diverso o, addirittura, al full
screen non appena i cartelli con i titoli sono finiti. Per realizzare questa
rimozione e dunque tradurre – in senso anche carcerario – il film nella sua
nuova veste, si ricorre in sede di telecinema alla pratica dello scanning o,
peggio, del panning & scanninng (pan&scan) con il quale un pennello elet-
tronico traccia, muovendosi lungo un’inquadratura fissa, movimenti di
camera fittizi privilegiando di volta in volta il campo dell’inquadratura
che resterebbe altrimenti invisibile nella costrizione del 4/3. L’attività di
riduzione dei formati cinematografici verso un ideale formato televisivo
ha intanto ricevuto a metà anni ’80 un impulso decisivo dalla diffusione
dei sistemi domestici di riproduzione e registrazione.26
Questo mercato
conosce una velocissima espansione inducendo le major, etichette indi-
pendenti e una massa di avventurieri a inondare il mercato di titoli dai
classici alla produzione di serie di infimo livello in copie molto spesso di
fortuna rapidamente acquisite e riversate su nastro magnetico in una
miriade di laboratori privati. Il referente di questo fenomeno è ancora il
telespettatore in quanto è attraverso lo schermo televisivo che si consuma-
no i film in videocassetta e dunque le abitudini contratte guardando i film
trasmessi dalle emittenti traslocano anche nell’home video. Così su alcu-
ne cassette comincia ad apparire un logo con un piccolo schermo stilizza-
to in cui campeggia la dizione “A schermo pieno” come garanzia del trat-
tamento di cui sopra. Il problema è che spesso si perviene allo “schermo
Il fotogramma tradotto
171
pieno” convertendo film immaginati con formato panoramico mediante la
rimozione del mascherino in sede di telecinema (open matte). Così lo spet-
tatore vedrà anche alcune porzioni dell’inquadratura che nella concezio-
ne originale del regista non dovevano essere visibili in quanto schermate
dal corretto mascherino. È il motivo per cui sovente, soprattutto in passa-
to, capitava di vedere nell’inquadratura finale le aste dei microfoni sul set
che avrebbero dovuto essere coperte dal mascherino.
L’analisi di alcuni specifici casi può contribuire a illuminare la sistema-
tica e articolata manipolazione del patrimonio cinematografico operata
negli anni. Esemplare, nei suoi radicali effetti, è il telecinema27
del film
Warner Bros Gioventù bruciata (N. Ray, 1956) girato nel formato origina-
le Cinemascope 1:2, 55 e sottoposto a pan&scan per adattarlo al formato
televisivo 1:1, 33. L’esito è un’opera totalmente irriconoscibile: ogni sin-
gola inquadratura nel formato panoramico originale risulta sezionata in
più inquadrature per consentire la visione dei soggetti posti alle estremità
del campo visivo. In altri momenti movimenti di macchina ottici scansio-
nano l’inquadratura originariamente fissa selezionando la porzione di
campo che si ritiene essere fondamentale per la comprensione dell’azione.
Ne emerge un decoupage totalmente arbitrario che snatura la composizio-
ne e il ritmo del film producendo di fatto una nuova opera che non intrat-
tiene, sul piano della sintassi cinematografica, nessuna relazione con l’ori-
ginale. Quasi un exploit dadaista, una paradossale rilettura sperimentale
dell’opera di Ray con lo stile iconoclasta del Godard di Fino all’ultimo
respiro (J.-L. Godard, 1959).
I western di Sergio Leone, girati in un formato panoramico autarchico
noto come Techniscope,28
risultano tra i più penalizzati al passaggio tele-
visivo. Il regista costruisce le sue personalissime inquadrature esasperan-
do la composizione e sfruttando tutte le potenzialità spettacolari del for-
mato panoramico: primissimi piani, campi lunghissimi, i pistoleri che si
stagliano immobili come rocce ai bordi del campo. In alcuni casi i perso-
naggi che si fronteggiano in duello dai margini estremi dell’inquadratura,
svaniscono in televisione tagliati fuori in seguito alla riduzione del campo
visibile nel quale resta soltanto la parte centrale dell’inquadratura origina-
le, uno sfondo desertico sul quale si ascoltano le battute degli ormai invi-
sibili antieroi. L’effetto, surreale, è di guardare una inquadratura di
Michelangelo Antonioni finita per sbaglio in un western di Sergio Leone.
Nel 1991 il regista Sidney Pollack intenta causa al network pubblico
Danmark Radio per la messa in onda una copia del film I tre giorni del con-
dor (S. Pollack, 1975) sottoposta a pan&scan dall’originario formato 1:2, 35
a 1:1, 33 con conseguente e visibile alterazione dell’espressione artistica del
regista e distruzione della composizione dell’immagine e del ritmo del film.
Riscritture
172
Con sentenza del 4 aprile 1997 La Corte accoglie il ricorso per violazione
dei diritti morali del regista ma non gli riconosce i danni richiesti in quan-
to il contratto prevedeva il diritto di intervento del produttore sull’opera
in caso di cessione dei diritti per la trasmissione televisiva.29
Un’altra pagina scabrosa riguarda il procedimento detto colorizing con
il quale negli anni ’80 le major americane tentarono di produrre un rinno-
vato profitto dalle loro library. All’origine c’è ancora un’analisi di marke-
ting che informa come l’85% dei telespettatori americani cambi canale
ogni volta che incappa in un film in bianco e nero. Gli inserzionisti pub-
blicitari non comprano più gli spazi disponibili durante la trasmissione
dei film in bianco e nero e dunque le vecchie produzioni cessano di pro-
durre utili. Ricorrendo alle nuove tecnologie digitali, i detentori dei dirit-
ti cominciano a colorizzare alcuni classici attribuendo arbitrariamente
colori artificiali a ogni singolo elemento dell’inquadratura a un costo com-
preso tra i 2000 e i 3000 dollari al minuto.30
In Italia il primo film coloriz-
zato ad andare in onda, nel dicembre 1987, è Il miracolo della 34° strada
(G. Seaton, 1947). Nel 1994, in seguito alle proteste della comunità arti-
stica presso il Senato, Ted Turner annuncia che i 4000 titoli MGM sele-
zionati per la colorizzazione resteranno in bianco e nero. Tuttavia, resisten-
ze a parte, il caso si sgonfia rapidamente anche perché il risultato tecnico
è decisamente scadente e nessuno ha veramente il desiderio di vedere dei
classici colorizzati. Restano sul mercato alcune edizioni dvd contenenti la
doppia versione utili a futura memoria per ricordare l’avventura commer-
ciale del colorizing.31
Infine è doveroso ricordare, come pars pro toto, il caso dell’edizione del
film La leggenda di Robin Hood (M. Curtiz e W. Keighley, 1938) appron-
tata dalla Rai a metà anni ’80. per il film è stato realizzato un nuovo e
mediocre doppiaggio, con i dialoghi originali stravolti e aggiornati al
gusto becero degli anni ’80. Ecco un esempio. Dialogo doppiaggio 1946
(traduzione dall’originale americano):
Much: Ecco, io non sono mai andato a spasso con un donzella, prima…
Bess: Che donzella?
Much: Voi
Bess: Oh che sfacciataggine! Penso che diciate così a tutte le donne che vi ecci-
tano la fantasia!
Much: Non ho mai eccitato la fantasia di una donna!
Dialogo doppiaggio 1985:
Much: Mi stavo domandando se avete anche “quelle” di seta…
Il fotogramma tradotto
173
Bess: Cosa “quelle”?
Much: Le mutande
Bess: Oh che screanzato! Ma pensate forse che ve le mostrerei per convincervi?
Much: Io preferirei vedere quello che c’è sotto!
Probabilmente a causa dell’impossibilità di reperire la colonna internazio-
nale originale, tutti gli effetti sonori sono stati rinnovati apparendo ecces-
sivamente presenti nel mixaggio finale.
Per le stesse ragioni la partitura musicale di Erich Wolfgang Korngold,
premiata con l’Oscar, viene sostituita per l’80% con una musica generica
che non ha nessuna relazione con l’originale. Quando occasionalmente la
musica di Korngold riaffiora, viene bruscamente interrotta dalla colonna
con il nuovo doppiaggio.32
The Wide Age
Sul fronte dell’home video la produzione dei dvd e dei blu ray si rimetto-
no spesso alle ragioni del mercato degli apparecchi televisivi. Per rendere
più facile e gradita la visione ai nuovi utenti “superdotati” di schermi
panoramici, procedono a un adattamento del formato originale del film
verso il solito 1:1, 78, ovvero il 16/9 televisivo. L’edizione italiana in dvd
del film Cane randagio (A. Kurosawa, 1949) reca sulla confezione la dici-
tura: “16:9 – 1.78:1 – Adatto ad ogni tipo di televisore”. Questa rassicu-
razione denuncia il timore, da parte del distributore home video, che i
possessori di nuovi schermi widescreen possano mostrarsi disinteressati a
dvd che non esaltino le virtù del formato 16/9. A questo scopo occorre
trasformare il film in oggetto producendo un inesistente e illusorio forma-
to panoramico. Il film, girato nel formato 1:1, 37, viene rimasterizzato tra-
sformando l’inquadratura in un fittizio 1.78:1. Per rendere possibile la
“traduzione” in formato panoramico senza perdere porzioni importanti
dell’inquadratura l’immagine viene schiacciata e in alto e in basso appaio-
no inutili bande nere. Il risultato è che visionando il dvd su un 16/9 non
solo la visione del regista è tradita ma i corpi degli attori appaiono comun-
que deformati senza che le varie opzioni del televisore possano ripristina-
re la corretta immagine.
Il caso più clamoroso è quello di Barry Lyndon (S. Kubrick, 1975), diret-
to dal più perfezionista dei registi, Stanley Kubrick. Il film aveva già avuto
una sua edizione home video nei formati vhs, laserdisc e dvd nel rispetto
della aspect ratio originale di 1:1, 66. La recente edizione Warner Bros, in
blu ray modifica invece il formato in 1:1, 85. Leon Vitali, collaboratore di
Riscritture
174
Kubrick e attore nel film, ha sostenuto, in occasione dell’uscita del blu ray,
la scelta della Warner Bros. dichiarando che il regista aveva concepito e
girato il film in 1:1, 77. La dichiarazione, che dovrebbe rappresentare una
autorevole legittimazione all’operazione della Warner, è tuttavia sconfes-
sata da più fonti. La prima delle quali risale al 1980.
Julian Senior, direttore della pubblicità per Stanley Kubrick, racconta
nel volume che Michel Ciment ha dedicato al regista: «Per Barry Lyndon
era molto importante che, proprio per la ricercatezza della fotografia, che
gli apparecchi di proiezione fossero i migliori esistenti. Pur non avendo,
beninteso, né l’autorità né i mezzi per sostituirli, facemmo una verifica in
tutte le sale importanti in Francia e in Germania e scoprimmo che i due
terzi non possedevano un mascherino 1.66, che costa solo poche migliaia
di lire. I protezionisti ci fecero sapere che l’immagine sarebbe uscita dallo
schermo. Gli assistenti di Kubrick fecero quindi equipaggiare tutti i proiet-
tori per ottenere una corretta presentazione del film – e conseguentemen-
te di tutti i film!».33
Se non bastasse il sito Some come running ha pubbli-
cato di recente un documento di estremo interesse, la lettera, datata 8
dicembre 1975, che Kubrick ha inviato in occasione dell’uscita di Barry
Lyndon ai proiezionisti delle sale in cui sarebbe stato proiettato il film. Al
punto 2 si legge: «Barry Lyndon was photographed in 1-1.66 aspect ratio.
Please, be sure you project it at this ratio, and in no event less than 1-
1.75».34
Questa legittima opera di tutela del proprio film viene vanificata
dopo la scomparsa di Kubrick quando il suo patrimonio artistico passa ad
essere gestito da vari soggetti. Il risultato è che l’edizione home video più
recente è, in ossequio alle esigenze dei produttori di televisori, la meno cor-
retta sul piano filologico avendo sacrificato una parte di campo pur di ade-
rire perfettamente ai nuovi parametri del piccolo schermo.
Un ultimo caso su cui è utile soffermarsi è quello di alcuni film di Alfred
Hitchcock. In questo caso già i vhs e i dvd pongono importanti questioni
relative all’original aspect ratio. I negativi dei film Gli Uccelli (A.
Hitchcock, 1963), Marnie (A. Hitchcock, 1964), Il Sipario Strappato (A.
Hitchcock, 1966), Topaz (A. Hitchcock, 1969) risultano avere una aspect
ratio di 1:1, 37. Tuttavia dalle indicazioni del regista gli stessi film doveva-
no essere proiettati in sala con un mascherino 1:1, 85.35
Le edizioni in dvd
avrebbero dovuto rispettare la corretta aspect ratio 1:1, 85 e invece ripro-
pongono l’immagine a schermo pieno snaturando la composizione delle
inquadrature ricercate dal regista.
Di seguito un riepilogo degli effetti dei vari procedimenti di adattamen-
to a cui può essere sottoposto un film prodotto per il cinema in funzione
del passaggio televisivo:
Il fotogramma tradotto
175
1. Ingrandimento della grana della pellicola con grave alterazione di definizio-
ne, valori cromatici, luminosità originali.
2. Esclusione di una porzione del campo visibile dell’inquadratura, di entità
variabile in base alle proporzioni originali del fotogramma.
3. Adattamento in un formato differente da quello originale con apertura (open
matte) o chiusura del fotogramma (mascherini non corretti o zoom sul foto-
gramma).
4. Introduzione movimenti di camera ottici assenti nell’opera originale.
5. Suddivisione di una singola inquadratura panoramica in più inquadrature
con l’effetto di produrre un decoupage totalmente arbitrario e diverso da quel-
lo concepito in origine per l’opera.
6. Colorazione di film in bianco e nero.
7. Interventi sulla durata di film particolarmente lunghi, corredati di spot pub-
blicitari e poi tagliati per far quadrare il palinsesto.
8. Nuovo doppiaggio con rinnovata traduzione dei dialoghi, rifacimento della
colonna internazionale, sostituzione della colonna sonora musicale originale.
9. Interventi censori.
L’esito finale sembra essere, al momento, il ridimensionamento dei valori
espressivi iconici nell’opera cinematografica in favore di una funzionalità
narrativa di derivazione televisiva in cui l’area del campo diventa flessibile
e la costruzione del racconto si affida nuovamente, in una palese regressio-
ne rispetto alla vocazione figurativa del cinematografo, alla parola scritta e
recitata. La dilatazione dell’ex-piccolo schermo casalingo ristruttura, in un
paradosso, la composizione del quadro che viene incessantemente riadat-
tato in funzione del mercato degli schermi televisivi. Più splendente è l’im-
magine che perviene dai megaschermi, meno rilevanza ha sul piano seman-
tico. È un processo di assimilazione del linguaggio cinematografico da
parte del linguaggio televisivo, teso a ricondurre il complesso lavoro di
costruzione dell’inquadratura cinematografica, nella sua sofisticazione o
nel suo disadorno rigore, all’opacità necessaria alla televisione per intercet-
tare le più ampie fasce di pubblico possibili nell’auspicio che queste inclu-
dano il campione privilegiato utile al marketing in funzione della vendita
di spazi agli inserzionisti pubblicitari. Una sorta di pesca a strascico nel-
l’immaginario del pubblico. Il fotogramma deve essere a questo punto
ridotto, semplificato, immediatamente leggibile a tutti, funzionale esclusi-
vamente all’incedere della fabula sacrificando la sua aura di “contenitore
del mondo”, di membrana sensibile e stratificata tra creatore e spettatore,
di sfida permanente ai problemi posti dalla pratica della rappresentazione,
di dialettica con il “fuori campo”, per attingere a una nuova identità ano-
nima e predigerita che si armonizzi con l’ininterrotto flusso di immagini di
Riscritture
176
cui è composto il palinsesto. Un trattamento non distante dall’editing a cui
i redattori del Reader’s Digest36
sottoponevano i best seller del tempo
approntandone per i lettori della rivista versioni condensate in cui, con
pragmatismo molto americano, tessuti narrativi popolari dotati di struttu-
re articolate o anche complesse venivano abilmente semplificati nello stile
e sfrondati di tutto quello che non appariva indispensabile allo sviluppo
dell’azione fino alla misura ideale di 25-30 pagine, integrabile con agio nel-
l’impaginazione del magazine. Se la domanda è, come sempre, cosa va
“perduto nella traduzione” la risposta non è solo la “poesia” ma una por-
zione dell’inquadratura che può arrivare fino al 43% dell’immagine origi-
nale. Una visione letteralmente parziale del cinema.
Note
1
D. Verdegiglio, La tv di Mussolini, Cooper Castelvecchi, Roma 2003, p. 424.
2
E. Barnouw, Il canale dell’opulenza. Storia della televisione americana, Eri,
Torino 1981
3
G. Mozzi, Cinema e Telecinema, in “Cinema: quindicinale di divulgazione
cinematografica”, 10 novembre 1938, n. 57, p. 291. È interessante notare che già
negli anni ’30, in una rivista di cinema italiana, esistesse una rubrica, “Cinema e
telecinema”, basata sui rapporti, soprattutto tecnici, tra i due mezzi. Va tuttavia
ricordato che le sperimentazioni televisive, in Italia, sono state intraprese già dalla
fine degli anni ’20.
4
G. Mozzi, art. cit.
5
La velocità di scorrimento della pellicola in sala è di 24 fotogrammi per secon-
do, in televisione è di 25 quadri per secondo; la durata di un film al passaggio tele-
visivo risulta dunque sempre più breve di una manciata di minuti calcolabili
secondo una proporzione matematica.
6
C. Montanaro, Dall’argento al pixel. Storia della tecnica del cinema, Le Mani,
Genova 2005, p. 55.
7
J. Viviè, Il VistaVision, in A. Petrucci (a c. di) Cinemascope, vistavision, cinera-
ma, Ateneo - Quaderni della mostra internazionale d’arte cinematografica di
Venezia, Roma 1955, p. 187.
8
Filoteo Alberini, primo titolare di un brevetto italiano, il Kinetografo, registra-
to il 21 dicembre 1895, sperimenta tra il 1897 e gli anni ’20 il formato Cine-
panoramica Alberini su pellicola 70 mm. Ovviamente non è il solo: il Bioscope 60
mm di Demeny, il Cinéorama di Grimoin-Sanson 70 mm, il 75 mm dei fratelli
Lumiere che per l’esposizione Universale di Parigi del 1900 allestiscono nei pres-
si della Tour Eiffel uno schermo di 25x15 metri su cui proiettare, per 25.000 spet-
tatori, vedute della città in 75mm, il 65 mm sperimentato nel 1927 dalla
Il fotogramma tradotto
177
Paramount e molti altri. Già dagli anni ’30, inoltre, i Lumiere da una parte e il
prof. Chrétien con le immagini anamorfiche proiettate all’Esposizione Universale
di Parigi del 1937 dall’altra, lavorano alla possibilità di realizzare formati panora-
mici sulla tradizionale pellicola 35 mm. Si veda in proposito: C. Montanaro, op.
cit.
9
Brevetto canadese di proiezione su schermo panoramico con pellicola 70 mm,
prima proiezione pubblica alla Fiera di Osaka del 1970.
10
Nel 1927 Abel Gance prefigura il Cinerama nel suo Napoleon (A. Gance,
1927): lo schermo centrale dovrebbe rappresentare la prosa, i due laterali la poe-
sia e tutte e tre insieme il Cinema. Delle tre sequenze girate in trittico il regista con-
serva al montaggio una sola. Il rapporto altezza/base dell’inquadratura composta
dai 3 schermi è di 1:3, 99. Il professor Henri Chrétien, presente alla prima di
Napoleon all’Opèra il 7 aprile 1927, è folgorato dall’invenzione di Gance e ne trae
ispirazione per il brevetto dell’obiettivo Hypergonar, un audace sistema di lenti
anamorfiche costruito nello stesso anno ma che conoscerà la sua fortuna solo nel
1953, quando la Twentieth Century Fox acquista il suo brevetto ribattezzandolo
CinemaScope. Quell’anno a Chrétien, come a Waller per il Cinerama, viene asse-
gnato un oscar. Si veda in proposito K. Brownlow, Come Gance ha realizzato
Napoleon, Editrice il Castoro, Milano 2002, p. 163.
11
G. Bozzi, Il Cinerama, in A. Petrucci (a c. di), Cinemascope, Vistavision,
Cinerama, Edizioni dell’Ateneo (Quaderni della mostra internazionale d’arte cine-
matografica di Venezia), Roma 1955, p. 123-1244 [controllare].
12
M. Calzini, Storia tecnica del film e del disco, Cappelli Editore, Bologna 1991.
13
G.M. Lo Duca, Cinema gira. In Inghilterra, in “Cinema: quindicinale di divul-
gazione cinematografica”, 10 giugno 1938, n. 47.
14
M. Miceli, La radio: dalla prima scintilla al XXI secolo, a c. di F. Falanga, M.
Surace, Laterza, Bari-Roma 1995, p. 245.
15
Il 16/9 è progettato da Kerns H. Powers della Society of Motion Picture and
Television Engineers: La SMPTE, costituita nel 1916 come Society of Motion
Picture Engineers, è un’associazione professionale internazionale che riunisce tec-
nici dell’industria televisiva e cinematografica. La SMPTE, con sede negli Stati
Uniti, è l’organismo che stabilisce gli standard internazionali per il cinema, la tele-
visione, ecc. Attualmente i soci SMPTE sono oltre 10.000 in 85 nazioni con 25
sezioni locali. La sezione italiana, costituita nel 1990, è stata la prima in Europa.
16
Per aspect ratio si intende il rapporto fra la base e l’altezza di un’immagine
bidimensionale.
17
C. Tagliabue, Fuga dal cinema, in V. Zagarrio (a c. di), Storia del cinema italia-
no, vol. XIII, Marsilio-Edizioni di Bianco & Nero, Venezia 2005, p. 348.
18
Le prime ricerche sulla High Defininition TV risalgono alla fine degli anni
’70. L’immagine in alta definizione, su cui lavorano la Sony e l’ente televisivo giap-
ponese NHK, è costituita da una risoluzione di 1125 righe contro le 525 e le 625
degli standard del tempo. Il miglioramento della definizione consente anche di
sostituire lentamente il tradizionale rapporto di 4/3 dello schermo televisivo con
il nuovo 16/9. Il Giappone è il primo a trasmettere, a partire dal 1990, program-
Riscritture
178
mi in HD mentre in Occidente si apre un lungo confronto sugli standard da adot-
tare che produrrà, come di consueto, un grave ritardo.
19
Michelangelo Antonioni, da sempre il più interessato ad appropriarsi delle
novità messe a disposizione dalla tecnica per un impiego espressivo, ha realizzato
Il mistero di Oberwald (M. Antonioni, 1981) che fu accolto, durante la proiezione
alla Mostra di Venezia, da un imbarazzante applauso a scena aperta durante la
scena in cui Monica Vitti cavalca in un prato che cambia colore. Il film era stato
girato in elettronica con la possibilità di intervenire sui valori cromatici dell’imma-
gine e poi riversato in pellicola per la destinazione finale della sala ma il risultato
era modesto e deludente e soprattutto, paradossalmente, già senile sul piano este-
tico. Fotoromanza, videoclip per l’omonima canzone di Gianna Nannini, confer-
ma tre anni anni dopo, un uso piuttosto goffo dell’elettronica da parte del mae-
stro ferrarese. Giulia e Giulia (P. Dal Monte, 1987), finanziato ancora dalla Rai
nell’ambito della ricerca sull’Alta Definizione, giocava nuovamente la carte del
passaggio dall’elettronica alla pellicola con al prestigiosa firma di Giuseppe
Rotunno alla direzione della fotografia senza l’ambizione di attingere a una visio-
ne rinnovata del linguaggio cinematografico ma limitandosi a sperimentare, pre-
maturamente, un sistema produttivo volto ad abbattere i costi.
20
A. Grasso (a c. di), Enciclopedia della televisione italiana, Garzanti, Milano
1996, p. 146.
21
C. Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 48-49.
22
Relazione di P. Ronchetti in SNCCI (a c. di), I Film in Tv: cinema tradito?
Atti, Saint-Vincent 16 giugno 1978, p. 46.
23
G. Carminati, La “guerra” degli indici di ascolto. I parte in R. Zaccaria (a c. di),
Rai: la televisione che cambia, SEI, Torino 1984, p. 68.
24
E. Menduni, La rivoluzione del tv libere, in V. Zagarrio (a c. di), Storia del cine-
ma italiano, Vol. XIII, 1977-1985, Masilio-Edizioni di Bianco & Nero, Venezia,
2005, p. 86.
25
Per una fotografia della programmazione cinematografica delle televisioni ita-
liane nel 2004 si veda: “Cinema & Tv -Link Idee per la televisione”, n. 3/2004,
Mediaset-RTI, Milano 2004.
26
Il ¾ di pollice, attraverso i differenti brevetti Betamax, Video 2000 e VHS che
poi risulterà dominare il mercato per ragioni commerciali a scapito dei primi due,
entra nelle case a costi sempre più bassi consentendo da una parte la registrazio-
ne dei programmi televisivi, dall’altra producendo il nuovo mercato delle video-
cassette preregistrate, una cineteca a disposizione del telespettatore sia per la ven-
dita che, per quanto riguarda soprattutto le novità, per il noleggio.
27
Procedimento attraverso il quale si convertono le immagini in pellicola in
segnali video.
28
Ideato nel 1962 dalla Technicolor di Roma, il formato panoramico 1:2, 35
Techniscope utilizzava solo due perforazioni del negativo, ovvero metà del foto-
gramma (per questo detto anche 2P), con sensibile risparmio di pellicola. L’ana-
morfizzazione dell’immagine avveniva solo in fase di sviluppo e non di ripresa.
29
S. Pollack, soddisfatto per l’esito simbolico della sua battaglia, ritorna sull’ar-
Il fotogramma tradotto
179
gomento in una featurette inclusa nei contenuti speciali del dvd del suo ultimo
film, The interpreter (S. Pollack, 2005), Interpreting Pan & Scan vs. Widescreen, in
cui il regista illustra in prima persona gli effetti del pan&scan sulla costruzione
dell’inquadratura e sulla sua corretta lettura da parte dello spettatore. Interpreting
Pan & Scan vs. Widescreen è reperibile integralmente su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=U13BPXf1Cek.
30
Nel 1989 i film trattati sono già una cinquantina (tra cui Il mistero del falco,
Il grande sonno e King Kong). I network riaprono i loro palinsesti ai film con la
loro nuova veste cromatica ma l’operazione incontra una fiera resistenza da parte
degli autori ma anche degli stessi attori che non vogliono ritrovarsi colorati come
“uova di Pasqua” o “torte di compleanno”. In Francia La Cinq, con Carlo
Freccero direttore dei programmi, trasmette la versione colorizzata di Giungla d’a-
sfalto (J. Huston, 1950) con il conforto della Corte d’Appello di Parigi che sostie-
ne la tesi di Ted Turner secondo il quale gli eredi di John Huston non sono gli
autori del film e non possono bloccarne la manipolazione. Freccero racconta oggi
che la circostanza aprì un ampio dibattito e che la scelta ebbe anche il sostegno di
Jean-Luc Godard.
31
J.-L. Douin Dizionario della censura nel cinema Tutti i film tagliati dalle forbi-
ci del censore nella storia mondiale del grande schermo, Mimesis Cinema, Milano-
Udine 2010, pp. 139-141.
32
Per una analisi più completa del “massacro di Robin Hood” si veda l’esausti-
vo articolo di M. Guidorizzi Farenheit 451, in “La cosa vista”, n. 14/15, Trieste
1990, pp. 36-45. Negli anni Mario Guidorizzi, Carlo Montanaro e Aldo Di Dio
hanno sistematicamente segnalato e denunciato con passione e competenza le
manipolazioni dei film in televisione.
33
M. Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano 2000, p. 231.
34
Fonte Internet: http://somecamerunning.typepad.com/some_came_runni-
ng/2011/06/test.html.
35
È probabile che Hitchcock, molto attento al percorso commerciale delle sue
opere, abbia preferito girare con un formato Academy in previsione della vendita
dei diritti alla televisione che ovviamente, all’epoca, poteva disporre unicamente
del tradizionale 4/3.
36
Mensile popolare fondato nel 1922 a New York da Roy DeWitt Wallace e Lila
Bell Fallace, ha raggiunto nel corso degli anni una vastissima diffusione fino a rag-
giungere la tiratura di 12,5 milioni di copie. L’edizione italiana, Selezione dal
Reader’s Digest, è nata a Milano nel 1948 e ha cessato le pubblicazioni nel 2007.
Riscritture
180
ISBN: 9788861598591

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  • 1. Bruno Mondadori Riscritture La traduzione nelle arti e nelle lettere a cura di Gilberto Marconi Estratto
  • 2. Tutti i diritti riservati © 2013, Pearson Italia, Milano-Torino Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografi- che appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o erro- ri di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di cia- scun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di spe- cifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e- mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org Realizzazione editoriale: Gottardo Marcoli www.brunomondadori.com Il volume, curato da Gilberto Marconi per l’Associazione culturale Peitho, è stato pubblicato con il contributo di: Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione dell’Università degli Studi del Molise, Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, Rotary Club Jesi, Korg Italia Strumenti musicali, Trillini s.r.l. Centro Assistenza Autorizzato Toyota, STEP Informatica, Concessionaria Automobili Marco Liera. ISBN: 9788861598691
  • 3. Il fotogramma tradotto Leopoldo Santovincenzo Il fotogramma è l’area di pellicola contenente le informazioni visive che saranno trasmesse, in proiezione, allo spettatore. Questa area, la cui esten- sione e forma si diversifica nei vari formati cinematografici, viene riqua- drata, all’atto della proiezione, attraverso il ricorso ai mascherini, lamine metalliche poste nel proiettore che schermano le parti di fotogramma che non dovranno essere visibili sullo schermo ricostituendo l’inquadratura così come è concepita e realizzata dal regista, con il direttore della foto- grafia, in fase di ripresa. Il campo, ovvero tutto quello che risulta visibile all’interno dell’inquadratura, è lo spazio di cui gli autori del film dispon- gono per la composizione appunto dell’inquadratura selezionando cosa vi entrerà e cosa non vi entrerà, come lo si vedrà, per quanto tempo lo si vedrà. L’evoluzione dei formati cinematografici, ovvero delle dimensioni del fotogramma, è cominciata insieme all’invenzione del cinematografo e, sebbene nel corso del tempo si siano sedimentati alcuni parametri, conti- nua ancora oggi. La disponibilità e la scelta di un formato piuttosto che un altro determinano le scelte espressive del regista costituendone, sul piano figurativo, il primo strumento a disposizione ovvero, per ricorrere a una abusata metafora romantica, la tela su cui scrivere con la luce. L’inquadratura non si limita tuttavia a contenere mimeticamente il campo visibile ovvero a rendere visibile un oggetto, un corpo, un luogo ma con- tiene anche lo sguardo che rappresenta l’oggetto, il corpo, il luogo ovve- ro l’immagine di un’immagine o, più compiutamente, in maniera analoga all’ideografia, l’idea di un’immagine. È questa idea che si dovrebbe trasfe- rire, insieme all’immagine, all’atto di tradurre il fotogramma cinematogra- fico per lo schermo televisivo. La traduzione del fotogramma Il cinema entra dentro la televisione con il piede sbagliato. «Il 31 maggio 1938 la stazione W2XBS della NBC mette in onda da New York il film Il 163
  • 4. ritorno della primula rossa (...) ma un’inversione dei rulli di pellicola da parte dei protezionisti fa terminare il film venti minuti prima. Per molti anni la NBC non riceverà dai produttori le ultime novità cinematografi- che».1 Il 3 novembre 1956 la CBS programma in prima serata il film MGM Il mago di Oz (V. Fleming, 1939). È convenzionalmente identifica- ta come la prima volta che un film a colori di una major viene trasmesso integralmente su un network. Le major, come è noto, in prima battuta si erano dimostrate restie a concedere i diritti per la trasmissione. Nel 1955 la RKO cede a varie stazioni televisive, attraverso la sua rete di distributo- ri, 740 film dalla sua library. L’operazione produce effetti sulle altre major: l’anno seguente è la volta della Warner Bros, a novembre la Twentieth Century Fox e nel 1957 tocca alla Paramount. Seguiranno La Columbia e la Universal.2 In precedenza, fin dagli anni ’30, alcune stazioni sperimen- tali avevano già trasmesso film rieditati per la televisione; nell’aprile 1931 la stazione W2XCD Passaic, New Jersey, trasmette Police Patrol (B. L. King, 1925 ) diviso in sei episodi trasmessi uno al giorno e dunque adat- tato per le esigenze del passaggio televisivo. In Gran Bretagna la situazio- ne è già calda: «Tempo fa, inoltre, la B.B.C. ha trasmesso per la prima volta un film a lungometraggio, e precisamente Lo studente di Praga la cui proiezione è durata novanta minuti. L’interesse che il pubblico ha rivolto a questo avvenimento, e la conseguente ansiosa richiesta di ulteriori tra- smissioni del genere, ha finito con preoccupare seriamente gli ambienti cinematografici inglesi».3 I distributori e gli esercenti inglesi si riuniscono a Glasgow studiando un «patto di mutua assistenza» con la BBC «inteso a far sì che la ricezione avvenga unicamente nei cinematografi»4 a discapi- to delle utenze private. In Italia, il primo film è Le miserie del signor Travet (M. Soldati, 1945) programmato sul canale nazionale alle ore 17:30 del 3 gennaio 1954. Qualunque in termini simbolici sia la prima data, per la prima volta un’opera pensata e prodotta per la proiezione in sala viene diffusa attra- verso un altro medium adattandosi a un’estetica diversa (bassa definizio- ne, dimensioni ridotte, bianco e nero, ecc.) e a una altrettanto diversa modalità di consumo. I modi di fruizione slittano: da una sala dedicata in cui l’esperienza del film viene condivisa con centinaia di estranei al peri- metro domestico, in cui viene vissuta in solitudine o in gruppi ristretti. Il film viene così esposto all’attività ordinaria di una casa abitata, inserito in un continuum come quello dei palinsesti, sezionato per ricavare gli spazi pubblicitari da vendere, accelerato,5 letteralmente manipolato e persona- lizzato modificando a gusto dell’utente, tramite i relativi comandi, lumi- nosità, contrasto, croma. La sacralità della proiezione in sala si riconfigu- ra dunque nei termini di un’infinità di variabili che non è possibile sotto- Riscritture 164
  • 5. porre a controllo. Non a caso, nella nuova terminologia adottata dal marketing, l’enfasi si trasferisce dal formato (home video vs. proiezione su pellicola) al luogo (home theatre vs. sala cinematografica pubblica) rilan- ciando la centralità dell’esperienza casalinga, ormai concreta alternativa alla sala cinematografica, come nuovo scenario. Queste condizioni, che già alterano intimamente la qualità della visione, si incrociano con un pra- tica più concreta che è l’opera di riduzione e manipolazione dell’inqua- dratura nel corso della quale il campo visibile si modifica incessantemen- te riadattandosi alle dimensioni e ai formati dello schermo televisivo. Questo processo è assimilabile al processo di trasferimento di un testo in una lingua diversa dall’originale: per essere consumato da un pubblico diverso che dispone di strumenti diversi e in continua evoluzione tecno- logica, il testo “visivo” deve essere sottoposto ad alcune modifiche che corrispondono a una più o meno significativa revisione del campo visibi- le del fotogramma originale. Il risultato è, come in ogni opera di traduzio- ne, un nuovo testo che assomiglia molto all’originale ma non è più l’origi- nale. La selezione di quello che sarà visibile operata è quasi sempre deter- minata da ragioni tecnologiche e/o di mercato in deliberata assenza di strumenti critici che proteggano la creazione artistica originale o stabili- scano una metodologia che garantisca un punto di vista attraverso il quale valutare il nuovo testo che ne è scaturito. Per una storia in breve dei formati in cinema e televisione Nei primi anni di vita del cinematografo i brevetti si moltiplicano alla ricerca da una parte del perfezionamento tecnico, dall’altra di un’autono- mia degli operatori rispetto alle registrazioni dei concorrenti e al rischio della costituzione di un cartello intorno a un singolo brevetto. La progres- siva ma rapida organizzazione industriale, imbrigliando gli inventori più visionari, impone l’adozione di standard che prestissimo convergono su una pellicola larga 35 mm derivata all’origine «dalla divisione in due delle pellicole 70 mm prodotte dalla Eastman per le macchine fotografiche».6 All’interno del 35mm sia Edison che i Lumiere, nel tentativo di sfruttare al massimo la superficie, adottano un rapporto tra base altezza di ogni sin- golo fotogramma 4/3 tradotti, all’inverso, in 1:1, 33. Quando, con l’inven- zione del cinema sonoro, sulla pellicola viene ritagliato uno spazio per la banda audio, le proporzioni vengono ritoccate in 1:1, 37, standard che resiste praticamente invariato fino ai nostri giorni istituzionalizzato con la definizione Academy. La fisiologia della visione binoculare ha contribui- to a determinare questa scelta: il formato adottato consente infatti di esse- Il fotogramma tradotto 165
  • 6. re coperto da un angolo di «visione agevole all’interno di una zona in cui gli spostamenti dell’occhio si effettuano di riflesso senza notevole fatica muscolare; quest’angolo è di 80° orizzontalmente e di 45° verticalmen- te».7 Contemporaneamente, si comincia a lavorare in funzione dell’allar- gamento di questo angolo visuale “naturale” con l’individuazione di for- mati “panoramici” dove lo schermo panoramico è quello in cui il rappor- to tra altezza e larghezza è superiore a quello classico 4/3.8 L’autentica svolta data tuttavia ai primi anni ’50 quando l’industria cinematografica americana risponde all’emorragia di pubblico prodotta dal successo della neonata televisione rilanciando, contro i limiti dello schermo televisivo, i grandi e grandissimi schermi. Il Cinerama, il Cinemascope e il Vistavision sono i tre brevetti più significativi. Il Cinerama, inaugurato nel settembre 1952 a New York su brevetto di Fred Waller, triplica la larghezza dello schermo proponendo una vertiginosa esperienza sensoriale di “avvolgi- mento” dello spettatore nell’azione che anticipa, per certi versi, l’IMAX9 ma si rivela in definitiva impraticabile a causa dei costi vertiginosi: 3 cine- prese affiancate e sincronizzate riprendono la stessa scena; le tre pellicole risultanti vengono a loro volta proiettate su 3 proiettori sincronizzati su 3 schermi affiancati.10 Il primo Cinerama europeo viene inaugurato a Mi- lano in occasione della Fiera Campionaria del 1955; l’allestimento degli schermi al Cinema Manzoni di Milano occupa i seguenti volumi: «Esso presenta una altezza di 7 metri, uno sviluppo lungo l’arco di 19 metri ed è montato con un raggio di curvatura di 9, 70 metri».11 Negli Stati Uniti, al tempo, esistono appena una decina di sale pubbliche attrezzate. I costi del Cinerama, per la produzione e l’esercizio cinematografico, risultano molto alti; basti pensare che ogni proiezione richiede l’attivazione di un team di 7 persone: n. 4 operatori di cabina, n. 1 operatore di regia, n. 1 revisore di pellicola, n. 1 capo servizio responsabile. Il Cinemascope ori- ginale, nato su brevetto della Twentieth Century Fox, è introdotto nel novembre 1953 e consente di allargare il campo visivo ricorrendo in fase di ripresa a lenti anamorfiche che comprimono lateralmente l’immagine sulla pellicola che viene poi “decompressa”, in fase di proiezione, con il ricorso a un obiettivo analogo. Le proporzioni sono in origine 1:2, 55 poi riadattate sul più diffuso 1:2, 35. Il VistaVision, presentato nel 1954 dalla Paramount, è un sistema a scorrimento orizzontale della pellicola che in pratica raddoppia la superficie dell’immagine e alza la qualità della defi- nizione. La necessità di attrezzare le sale con proiettori speciali ha indot- to a stampare e far circolare copie con riduzione ottica il cui aspetto fina- le non differiva troppo dal Cinemascope fino a far cadere presto in disu- so lo stesso VistaVision.12 Il formato dello schermo televisivo è solo appa- rentemente più stabile e la sua evoluzione più lenta ma in realtà quello che Riscritture 166
  • 7. i telespettatori degli anni ’60 non osavano immaginare – la dilatazione del piccolo schermo con l’accorciarsi della distanza che lo separa dal grande schermo – lo aveva già immaginato e in parte realizzato proprio la gene- razione degli anni ’30 che aveva visto nascere la tecnologia televisiva. «Londra possiede circa venti sale di attualità che rendono ottimamente (…) Una grande novità si è aggiunta in questi giorni: la super-attualità, cioè la televisione. Il Tatler Theatre di Charing Cross Road ha installato uno schermo di televisione (Baird) di 1, 50 x 2 metri, ricevente attraverso l’antenna dell’Alexandra Palace. Il risultato è stato buono, apprezzato dai giocatori che vedevano i loro cavalli correre portatori delle loro speranze, e l’incasso eccellente. Il tentativo sarà perfezionato, ma per quanto riguar- da le attualità è difficile andare oltre».13 Solo pochi anni prima, le dimen- sioni dello schermo televisivo erano decisamente più ridotte: «Nel 1929 si aspettava ogni notte, l’una del mattino per vedere le piccole immagini tra- ballanti e incerte di Baird trasmesse in onda media da Radio Londra, for- matesi dietro un sistema ottico a lenti. Era un’immagine rossastra, del for- mato di una foto 6x9 centimetri, che andava osservata nell’oscurità».14 Il tradizionale rapporto 4/3 che la televisione ha mutuato dal cinema delle origini comincia ad evolvere verso un nuovo formato panoramico nei primi anni ’80, ideato per le televisioni ad alta definizione: è il 16:9 corri- spondente al rapporto 1:1, 78, disegnato quale ideale “contenitore” di tutti i formati cinematografici più diffusi.15 Formato che viene immediata- mente recepito quale standard di ripresa per i prodotti concepiti e realiz- zati direttamente per il consumo televisivo. I nuovi televisori consentono, agendo su un tasto del telecomando, di adattare automaticamente qualsia- si formato zoomando elettronicamente sull’inquadratura fino a copertura integrale del campo. Il superamento del tubo catodico e l’introduzione delle tecnologie del plasma, dei cristalli liquidi e dell’illuminazione a led rilanciano ulteriormente lo schermo domestico in una frenetica escalation. La taglia dei “piccoli schermi” domestici comincia a espandersi verso il “grande schermo”. Il nuovo Tv 3D 4K Ultra Definition LG conta 84 pol- lici, alcuni recenti modelli Philips propongono in alternativa al 16:9 il 21:9, più vicino al formato cinemascope della sala, il film viene riadattato alle nuove proporzioni lunghezza/altezza progettate per la televisione e la porzione di campo visibile si dilata e si contrae incessantemente nel pas- saggio da un formato all’altro. La qualità media dei nuovi schermi e il nuovo formato impone alle reti televisive di rivedere i protocolli di acqui- sto e di trasmissione. Così, in una sintomatica inversione di rotta, le copie richieste ai fornitori all’atto dell’acquisto devono rigorosamente rispetta- re il formato 16/9. Il 4/3 (rapporto 1:1, 33) e il 16/9 (rapporto 1:1, 78) sono dunque i formati con cui ogni film cinematografico, qualunque sia la Il fotogramma tradotto 167
  • 8. sua aspect ratio16 originaria, deve rapportarsi al suo passaggio televisivo. In sintesi, si può in un certo senso sostenere che nel cinema è lo schermo che viene determinato dal formato, nella televisione è il formato dell’inqua- dratura che viene determinato dalle dimensioni dello schermo. Dalla seconda metà degli anni ’70, stimolato dai segni tangibili della crisi dell’esercizio (si passa dalle 12.975 sale in attività sul territorio nazio- ne nel 1967 alle 4885 del 1985),17 si apre in Italia un fitto dibattito sui rap- porti tra cinema e televisione. L’oggetto è da una parte la necessità di indi- viduare uno specifico del linguaggio televisivo, provvisoriamente identifi- cato nella diretta ovvero nell’adozione del tempo reale nel racconto dell’e- vento (ma con il tempo si comprenderà che in realtà è il flusso continuo dei palinsesti ad avere rilevanza assoluta nel dominio estetico televisivo), dall’altro la relazione cannibalica tra piccolo e grande schermo in termini di distribuzione, di costruzione del racconto e di estetica (primo piano e campo medio vs. campo lungo, ecc). Quella parte di televisione chiamata cinema è il titolo di un convegno del Partito Socialista Italiano dei primi anni ’80, titolo su cui negli anni che seguirono, si sarebbe ripetutamente tornati con parafrasi varie nel tentativo di definire i complessi dispositivi su cui si fondano gli scambi tra i due media. Gli interventi, che coinvol- gono critici cinematografici, programmatori televisivi e massmediologi, si attestano, in genere, su due posizioni antinomiche, quelle dei “conserva- tori” e dei “postmodernisti”. I primi sostengono il primato della chimica dell’immagine fotografica contro il virus dell’immagine elettronica di cui la televisione è evidentemente l’untore difendendo, al contempo, la cen- tralità dell’esperienza del cinema in sala, i secondi si sintonizzano sugli scenari che le nuove tecnologie possono schiudere profetizzando una commistione del cinema con l’elettronica che darà vita a un nuovo lin- guaggio audiovisivo e al superamento della sala cinematografica. Per que- sti ultimi in realtà non c’è tradimento in quanto il passaggio del film in televisione segna una inevitabile trasformazione che ne fa un’esperienza comunque diversa rispetto alla proiezione tradizionale che va dunque valutata con diversi parametri affiancandosi e non sovrapponendosi alle pratiche del passato. Rivisitare gli atti dei convegni e delle tavole rotonde di quegli anni con- sente oggi di osservare che entrambi gli schieramenti avevano una parte di ragione e una parte di torto. I “conservatori” sottovalutavano l’impat- to delle nuove tecnologie il cui esito estetico si è concretizzato solo nell’ul- timo decennio con l’immagine digitale, la CGA (computer graphic anima- tion) e il motion capture. Entro il 2014, dopo oltre 100 anni, la pellicola è destinata a scomparire anche dalle sale con la riconversione a impianti di proiezione digitali. I “postmodernisti” intuivano che, dietro la facciata Riscritture 168
  • 9. delle spettacolari e costosissime operazioni sperimentali sull’alta defini- zione (HDTV)18 che i funzionari Rai, di formazione umanistica, sbandie- ravano con l’entusiasmo irrefrenabile dei neofiti, si approssimava un punto di non ritorno. Tuttavia, al tempo, nessun regista italiano ha dimo- strato di comprendere fino in fondo in che direzione portasse, sul piano estetico, la rivoluzione tecnologica che si preparava.19 Ma soprattutto i “postmodernisti” sottovalutavano che, destinati all’estinzione i cineclub e accorciatasi la vita in sala del film, la televisione si sarebbe definitivamen- te impossessata, anche attraverso l’home video, della memoria storica del cinema e che dunque abbassare la soglia del rigore filologico rispetto all’immagine, avrebbe segnato, nel giro di poche generazioni, una revisio- ne dei valori estetici del cinema in favore di una disordinata “traduzione” dell’immagine cinematografica a uso del teleschermo. Questa delega in bianco che in altri tempi ha rappresentato un baluardo contro l’oblio e la censura di mercato, segna l’inizio di un monopolio dell’immaginario che forse non ha ritorno. La stagione selvaggia: il caso italiano La proliferazione delle antenne private e l’home entertainment segnano, in Italia, gli anni ’80 televisivi. Nel febbraio 1977 la RAI ha finalmente inaugurato le trasmissioni a colori, già adottate da oltre un decennio negli altri paesi. Le ragioni di questo ritardo, in parte dovute alla scelta tra gli standard PAL e SECAM, sono forse da rintracciare, in una eccezione squisitamente italiana, ai conflitti politici interni e alle posizioni della chie- sa cattolica. Il prodotto cinematografico fino ad allora è confinato, in virtù di un accordo limitativo stipulato tra televisione nazionale e ANICA, a pochi spazi fissi di programmazione sulle due reti nazionali. La tipologia di film trasmessi è per larga maggioranza selezionata tra la produzione classica a hollywoodiana e più di rado quella nazionale, rappresentata soprattutto da film di autori come Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica e Roberto Rossellini. Il cinema popolare italiano ha uno spazio molto limi- tato. A colmare questo vuoto provvede il famoso pacchetto Titanus di 350 film, acquisito nel 1979 per due miliardi di lire dalle televisioni del grup- po Fininvest. Il racconto dell’operazione, nelle parole di Carlo Freccero, assunto per riordinare appunto quel pacchetto: «In questa battaglia per la conquista del prime time nella primavera del ’82 si sperimentò un’altra intuizione teorica che sarebbe servita alla controprogrammazione. Per scalfire l’egemonia di Raiuno al lunedì, costruita su film di target univer- sale, le tv private iniziarono a utilizzare i film italiani. I network intuirono Il fotogramma tradotto 169
  • 10. la forza dello specifico nazionalpopolare nel pieno della via americana, praticare, vampirizzare il prodotto cinematografico italiano garantiva una audience costante e sicura».20 E ancora: «Lavoravamo su materiali con- sueti, addirittura su scarti Rai: Si trattava di valorizzarli e di adattarli alla realtà del nuovo medium».21 Dietro questa intuizione ci sarà la costruzio- ne a tavolino dell’immaginario televisivo Fininvest e poi del “nazionalpo- polare” televisivo tout court con le parziali, circoscritte eccezioni del do- minio cattolico su Rai1 e di quello di sinistra su Rai 3 che per motivi diver- si e con strumenti opposti tentavano, conservando o sperimentando, di fare barriera al mercato puro. La moltiplicazione dei film nei palinsesti televisivi in una totale deregulation estetica segna, insieme alla produzio- ne di videocassette, la stagione più selvaggia nell’opera di traduzione del film in tv. «Va detto subito che in Italia girano per le televisioni private circa 3600-4000 film già riversati su nastro, in genere ¾ di pollice, di cui soltanto 900 o 1000 hanno i diritti televisivi. Quindi tutti gli altri sono film rubati, che non hanno alcun diritto di essere trasmessi in televisione».22 In presenza di questo Moloch che ha bisogno di essere continuamente ali- mentato con nuovi materiali è evidentemente impossibile pretendere un metodo nella pratica di riversamento delle pellicole su nastro. Nel 1982 il rapporto tra film e telefilm trasmessi dalla Rai e dalle televisioni private è di 1 a 7.23 Questo quadro non può perdurare e la necessità di inseguire la concorrenza e riconquistare il mercato impone alla televisione pubblica un’apertura che non può più tollerare le limitazioni richieste dall’ANICA o le riserve di tipo pedagogico. Intanto la Rai passa da 5110 ore di tv tra- smesse nel 1975 alle 9225 ore del 1980, anno in cui arriva a trasmettere 10 ore al giorno (dal 1992: 24 ore su 24).24 La conquista della library Cecchi Gori segna il nuovo corso per quanto riguarda la programmazione di film. Si innesca così un corto circuito che ha una ricaduta anche sulla produ- zione cinematografica: i film di Celentano, Pozzetto, i Vanzina, De Sica & Boldi attingono, per le storie e i meccanismi narrativi, proprio al cinema popolare italiano (dalle commedie dei telefoni bianchi alla commedia all’i- taliana ai film con Totò) ma li rivisitano adattandoli al pubblico televisivo che affolla le sale solo per i film-evento delle festività natalizie. La televi- sione passa puntuale all’incasso trovandosi preconfezionati film cinema- tografici pensati e realizzati per il pubblico televisivo. Il gioco è fatto, i generi popolari cinematografici stanno trasmigrando in televisione, i co- mici televisivi, divenuti star, conquistano le sale con film fai-da-te a basso costo, l’industria del cinema italiano, piegata dal panico e attratta dai pro- fitti, perde sempre più la sua identità, la fiction raccoglierà presto il testi- mone ridimensionando ancora di più il mercato delle sale. Oggi i film ita- liani, schiacciati sul piano della popolarità e deprivati di identità “cinema- Riscritture 170
  • 11. tografica” tanto da apparire quasi sempre indistinguibili dalla fiction, non costituiscono più, tranne rare eccezioni, merce pregiata per i palinsesti televisivi.25 Il delitto imperfetto Intanto la fortuna dei film in televisione pone quotidianamente problemi di adattamento che sono rapidamente rimossi a vantaggio del consumo frenetico. Film concepiti e realizzati in formato panoramico sono forzosa- mente ricondotti dentro la gabbia del formato 4/3. Secondo la vulgata una circolare interna alla Rai istituzionalizzava la traduzione di ogni formato cinematografico nel 4/3 con l’effetto di eliminare le tanto temute “bande nere” (o interlinea) nella parte inferiore e superiore del quadro che garan- tiscono, nei limiti del possibile, la salvaguardia dell’inquadratura origina- le ma che, secondo le non meglio identificate analisi di qualche dirigente, scoraggiano il pubblico dalla visione dei film in tv almeno quanto il bian- co e nero. È frequente rilevare, durante la messa in onda, il passaggio dal formato panoramico originale di un film, conservato per rendere leggibi- li i titoli di testa, a un formato panoramico diverso o, addirittura, al full screen non appena i cartelli con i titoli sono finiti. Per realizzare questa rimozione e dunque tradurre – in senso anche carcerario – il film nella sua nuova veste, si ricorre in sede di telecinema alla pratica dello scanning o, peggio, del panning & scanninng (pan&scan) con il quale un pennello elet- tronico traccia, muovendosi lungo un’inquadratura fissa, movimenti di camera fittizi privilegiando di volta in volta il campo dell’inquadratura che resterebbe altrimenti invisibile nella costrizione del 4/3. L’attività di riduzione dei formati cinematografici verso un ideale formato televisivo ha intanto ricevuto a metà anni ’80 un impulso decisivo dalla diffusione dei sistemi domestici di riproduzione e registrazione.26 Questo mercato conosce una velocissima espansione inducendo le major, etichette indi- pendenti e una massa di avventurieri a inondare il mercato di titoli dai classici alla produzione di serie di infimo livello in copie molto spesso di fortuna rapidamente acquisite e riversate su nastro magnetico in una miriade di laboratori privati. Il referente di questo fenomeno è ancora il telespettatore in quanto è attraverso lo schermo televisivo che si consuma- no i film in videocassetta e dunque le abitudini contratte guardando i film trasmessi dalle emittenti traslocano anche nell’home video. Così su alcu- ne cassette comincia ad apparire un logo con un piccolo schermo stilizza- to in cui campeggia la dizione “A schermo pieno” come garanzia del trat- tamento di cui sopra. Il problema è che spesso si perviene allo “schermo Il fotogramma tradotto 171
  • 12. pieno” convertendo film immaginati con formato panoramico mediante la rimozione del mascherino in sede di telecinema (open matte). Così lo spet- tatore vedrà anche alcune porzioni dell’inquadratura che nella concezio- ne originale del regista non dovevano essere visibili in quanto schermate dal corretto mascherino. È il motivo per cui sovente, soprattutto in passa- to, capitava di vedere nell’inquadratura finale le aste dei microfoni sul set che avrebbero dovuto essere coperte dal mascherino. L’analisi di alcuni specifici casi può contribuire a illuminare la sistema- tica e articolata manipolazione del patrimonio cinematografico operata negli anni. Esemplare, nei suoi radicali effetti, è il telecinema27 del film Warner Bros Gioventù bruciata (N. Ray, 1956) girato nel formato origina- le Cinemascope 1:2, 55 e sottoposto a pan&scan per adattarlo al formato televisivo 1:1, 33. L’esito è un’opera totalmente irriconoscibile: ogni sin- gola inquadratura nel formato panoramico originale risulta sezionata in più inquadrature per consentire la visione dei soggetti posti alle estremità del campo visivo. In altri momenti movimenti di macchina ottici scansio- nano l’inquadratura originariamente fissa selezionando la porzione di campo che si ritiene essere fondamentale per la comprensione dell’azione. Ne emerge un decoupage totalmente arbitrario che snatura la composizio- ne e il ritmo del film producendo di fatto una nuova opera che non intrat- tiene, sul piano della sintassi cinematografica, nessuna relazione con l’ori- ginale. Quasi un exploit dadaista, una paradossale rilettura sperimentale dell’opera di Ray con lo stile iconoclasta del Godard di Fino all’ultimo respiro (J.-L. Godard, 1959). I western di Sergio Leone, girati in un formato panoramico autarchico noto come Techniscope,28 risultano tra i più penalizzati al passaggio tele- visivo. Il regista costruisce le sue personalissime inquadrature esasperan- do la composizione e sfruttando tutte le potenzialità spettacolari del for- mato panoramico: primissimi piani, campi lunghissimi, i pistoleri che si stagliano immobili come rocce ai bordi del campo. In alcuni casi i perso- naggi che si fronteggiano in duello dai margini estremi dell’inquadratura, svaniscono in televisione tagliati fuori in seguito alla riduzione del campo visibile nel quale resta soltanto la parte centrale dell’inquadratura origina- le, uno sfondo desertico sul quale si ascoltano le battute degli ormai invi- sibili antieroi. L’effetto, surreale, è di guardare una inquadratura di Michelangelo Antonioni finita per sbaglio in un western di Sergio Leone. Nel 1991 il regista Sidney Pollack intenta causa al network pubblico Danmark Radio per la messa in onda una copia del film I tre giorni del con- dor (S. Pollack, 1975) sottoposta a pan&scan dall’originario formato 1:2, 35 a 1:1, 33 con conseguente e visibile alterazione dell’espressione artistica del regista e distruzione della composizione dell’immagine e del ritmo del film. Riscritture 172
  • 13. Con sentenza del 4 aprile 1997 La Corte accoglie il ricorso per violazione dei diritti morali del regista ma non gli riconosce i danni richiesti in quan- to il contratto prevedeva il diritto di intervento del produttore sull’opera in caso di cessione dei diritti per la trasmissione televisiva.29 Un’altra pagina scabrosa riguarda il procedimento detto colorizing con il quale negli anni ’80 le major americane tentarono di produrre un rinno- vato profitto dalle loro library. All’origine c’è ancora un’analisi di marke- ting che informa come l’85% dei telespettatori americani cambi canale ogni volta che incappa in un film in bianco e nero. Gli inserzionisti pub- blicitari non comprano più gli spazi disponibili durante la trasmissione dei film in bianco e nero e dunque le vecchie produzioni cessano di pro- durre utili. Ricorrendo alle nuove tecnologie digitali, i detentori dei dirit- ti cominciano a colorizzare alcuni classici attribuendo arbitrariamente colori artificiali a ogni singolo elemento dell’inquadratura a un costo com- preso tra i 2000 e i 3000 dollari al minuto.30 In Italia il primo film coloriz- zato ad andare in onda, nel dicembre 1987, è Il miracolo della 34° strada (G. Seaton, 1947). Nel 1994, in seguito alle proteste della comunità arti- stica presso il Senato, Ted Turner annuncia che i 4000 titoli MGM sele- zionati per la colorizzazione resteranno in bianco e nero. Tuttavia, resisten- ze a parte, il caso si sgonfia rapidamente anche perché il risultato tecnico è decisamente scadente e nessuno ha veramente il desiderio di vedere dei classici colorizzati. Restano sul mercato alcune edizioni dvd contenenti la doppia versione utili a futura memoria per ricordare l’avventura commer- ciale del colorizing.31 Infine è doveroso ricordare, come pars pro toto, il caso dell’edizione del film La leggenda di Robin Hood (M. Curtiz e W. Keighley, 1938) appron- tata dalla Rai a metà anni ’80. per il film è stato realizzato un nuovo e mediocre doppiaggio, con i dialoghi originali stravolti e aggiornati al gusto becero degli anni ’80. Ecco un esempio. Dialogo doppiaggio 1946 (traduzione dall’originale americano): Much: Ecco, io non sono mai andato a spasso con un donzella, prima… Bess: Che donzella? Much: Voi Bess: Oh che sfacciataggine! Penso che diciate così a tutte le donne che vi ecci- tano la fantasia! Much: Non ho mai eccitato la fantasia di una donna! Dialogo doppiaggio 1985: Much: Mi stavo domandando se avete anche “quelle” di seta… Il fotogramma tradotto 173
  • 14. Bess: Cosa “quelle”? Much: Le mutande Bess: Oh che screanzato! Ma pensate forse che ve le mostrerei per convincervi? Much: Io preferirei vedere quello che c’è sotto! Probabilmente a causa dell’impossibilità di reperire la colonna internazio- nale originale, tutti gli effetti sonori sono stati rinnovati apparendo ecces- sivamente presenti nel mixaggio finale. Per le stesse ragioni la partitura musicale di Erich Wolfgang Korngold, premiata con l’Oscar, viene sostituita per l’80% con una musica generica che non ha nessuna relazione con l’originale. Quando occasionalmente la musica di Korngold riaffiora, viene bruscamente interrotta dalla colonna con il nuovo doppiaggio.32 The Wide Age Sul fronte dell’home video la produzione dei dvd e dei blu ray si rimetto- no spesso alle ragioni del mercato degli apparecchi televisivi. Per rendere più facile e gradita la visione ai nuovi utenti “superdotati” di schermi panoramici, procedono a un adattamento del formato originale del film verso il solito 1:1, 78, ovvero il 16/9 televisivo. L’edizione italiana in dvd del film Cane randagio (A. Kurosawa, 1949) reca sulla confezione la dici- tura: “16:9 – 1.78:1 – Adatto ad ogni tipo di televisore”. Questa rassicu- razione denuncia il timore, da parte del distributore home video, che i possessori di nuovi schermi widescreen possano mostrarsi disinteressati a dvd che non esaltino le virtù del formato 16/9. A questo scopo occorre trasformare il film in oggetto producendo un inesistente e illusorio forma- to panoramico. Il film, girato nel formato 1:1, 37, viene rimasterizzato tra- sformando l’inquadratura in un fittizio 1.78:1. Per rendere possibile la “traduzione” in formato panoramico senza perdere porzioni importanti dell’inquadratura l’immagine viene schiacciata e in alto e in basso appaio- no inutili bande nere. Il risultato è che visionando il dvd su un 16/9 non solo la visione del regista è tradita ma i corpi degli attori appaiono comun- que deformati senza che le varie opzioni del televisore possano ripristina- re la corretta immagine. Il caso più clamoroso è quello di Barry Lyndon (S. Kubrick, 1975), diret- to dal più perfezionista dei registi, Stanley Kubrick. Il film aveva già avuto una sua edizione home video nei formati vhs, laserdisc e dvd nel rispetto della aspect ratio originale di 1:1, 66. La recente edizione Warner Bros, in blu ray modifica invece il formato in 1:1, 85. Leon Vitali, collaboratore di Riscritture 174
  • 15. Kubrick e attore nel film, ha sostenuto, in occasione dell’uscita del blu ray, la scelta della Warner Bros. dichiarando che il regista aveva concepito e girato il film in 1:1, 77. La dichiarazione, che dovrebbe rappresentare una autorevole legittimazione all’operazione della Warner, è tuttavia sconfes- sata da più fonti. La prima delle quali risale al 1980. Julian Senior, direttore della pubblicità per Stanley Kubrick, racconta nel volume che Michel Ciment ha dedicato al regista: «Per Barry Lyndon era molto importante che, proprio per la ricercatezza della fotografia, che gli apparecchi di proiezione fossero i migliori esistenti. Pur non avendo, beninteso, né l’autorità né i mezzi per sostituirli, facemmo una verifica in tutte le sale importanti in Francia e in Germania e scoprimmo che i due terzi non possedevano un mascherino 1.66, che costa solo poche migliaia di lire. I protezionisti ci fecero sapere che l’immagine sarebbe uscita dallo schermo. Gli assistenti di Kubrick fecero quindi equipaggiare tutti i proiet- tori per ottenere una corretta presentazione del film – e conseguentemen- te di tutti i film!».33 Se non bastasse il sito Some come running ha pubbli- cato di recente un documento di estremo interesse, la lettera, datata 8 dicembre 1975, che Kubrick ha inviato in occasione dell’uscita di Barry Lyndon ai proiezionisti delle sale in cui sarebbe stato proiettato il film. Al punto 2 si legge: «Barry Lyndon was photographed in 1-1.66 aspect ratio. Please, be sure you project it at this ratio, and in no event less than 1- 1.75».34 Questa legittima opera di tutela del proprio film viene vanificata dopo la scomparsa di Kubrick quando il suo patrimonio artistico passa ad essere gestito da vari soggetti. Il risultato è che l’edizione home video più recente è, in ossequio alle esigenze dei produttori di televisori, la meno cor- retta sul piano filologico avendo sacrificato una parte di campo pur di ade- rire perfettamente ai nuovi parametri del piccolo schermo. Un ultimo caso su cui è utile soffermarsi è quello di alcuni film di Alfred Hitchcock. In questo caso già i vhs e i dvd pongono importanti questioni relative all’original aspect ratio. I negativi dei film Gli Uccelli (A. Hitchcock, 1963), Marnie (A. Hitchcock, 1964), Il Sipario Strappato (A. Hitchcock, 1966), Topaz (A. Hitchcock, 1969) risultano avere una aspect ratio di 1:1, 37. Tuttavia dalle indicazioni del regista gli stessi film doveva- no essere proiettati in sala con un mascherino 1:1, 85.35 Le edizioni in dvd avrebbero dovuto rispettare la corretta aspect ratio 1:1, 85 e invece ripro- pongono l’immagine a schermo pieno snaturando la composizione delle inquadrature ricercate dal regista. Di seguito un riepilogo degli effetti dei vari procedimenti di adattamen- to a cui può essere sottoposto un film prodotto per il cinema in funzione del passaggio televisivo: Il fotogramma tradotto 175
  • 16. 1. Ingrandimento della grana della pellicola con grave alterazione di definizio- ne, valori cromatici, luminosità originali. 2. Esclusione di una porzione del campo visibile dell’inquadratura, di entità variabile in base alle proporzioni originali del fotogramma. 3. Adattamento in un formato differente da quello originale con apertura (open matte) o chiusura del fotogramma (mascherini non corretti o zoom sul foto- gramma). 4. Introduzione movimenti di camera ottici assenti nell’opera originale. 5. Suddivisione di una singola inquadratura panoramica in più inquadrature con l’effetto di produrre un decoupage totalmente arbitrario e diverso da quel- lo concepito in origine per l’opera. 6. Colorazione di film in bianco e nero. 7. Interventi sulla durata di film particolarmente lunghi, corredati di spot pub- blicitari e poi tagliati per far quadrare il palinsesto. 8. Nuovo doppiaggio con rinnovata traduzione dei dialoghi, rifacimento della colonna internazionale, sostituzione della colonna sonora musicale originale. 9. Interventi censori. L’esito finale sembra essere, al momento, il ridimensionamento dei valori espressivi iconici nell’opera cinematografica in favore di una funzionalità narrativa di derivazione televisiva in cui l’area del campo diventa flessibile e la costruzione del racconto si affida nuovamente, in una palese regressio- ne rispetto alla vocazione figurativa del cinematografo, alla parola scritta e recitata. La dilatazione dell’ex-piccolo schermo casalingo ristruttura, in un paradosso, la composizione del quadro che viene incessantemente riadat- tato in funzione del mercato degli schermi televisivi. Più splendente è l’im- magine che perviene dai megaschermi, meno rilevanza ha sul piano seman- tico. È un processo di assimilazione del linguaggio cinematografico da parte del linguaggio televisivo, teso a ricondurre il complesso lavoro di costruzione dell’inquadratura cinematografica, nella sua sofisticazione o nel suo disadorno rigore, all’opacità necessaria alla televisione per intercet- tare le più ampie fasce di pubblico possibili nell’auspicio che queste inclu- dano il campione privilegiato utile al marketing in funzione della vendita di spazi agli inserzionisti pubblicitari. Una sorta di pesca a strascico nel- l’immaginario del pubblico. Il fotogramma deve essere a questo punto ridotto, semplificato, immediatamente leggibile a tutti, funzionale esclusi- vamente all’incedere della fabula sacrificando la sua aura di “contenitore del mondo”, di membrana sensibile e stratificata tra creatore e spettatore, di sfida permanente ai problemi posti dalla pratica della rappresentazione, di dialettica con il “fuori campo”, per attingere a una nuova identità ano- nima e predigerita che si armonizzi con l’ininterrotto flusso di immagini di Riscritture 176
  • 17. cui è composto il palinsesto. Un trattamento non distante dall’editing a cui i redattori del Reader’s Digest36 sottoponevano i best seller del tempo approntandone per i lettori della rivista versioni condensate in cui, con pragmatismo molto americano, tessuti narrativi popolari dotati di struttu- re articolate o anche complesse venivano abilmente semplificati nello stile e sfrondati di tutto quello che non appariva indispensabile allo sviluppo dell’azione fino alla misura ideale di 25-30 pagine, integrabile con agio nel- l’impaginazione del magazine. Se la domanda è, come sempre, cosa va “perduto nella traduzione” la risposta non è solo la “poesia” ma una por- zione dell’inquadratura che può arrivare fino al 43% dell’immagine origi- nale. Una visione letteralmente parziale del cinema. Note 1 D. Verdegiglio, La tv di Mussolini, Cooper Castelvecchi, Roma 2003, p. 424. 2 E. Barnouw, Il canale dell’opulenza. Storia della televisione americana, Eri, Torino 1981 3 G. Mozzi, Cinema e Telecinema, in “Cinema: quindicinale di divulgazione cinematografica”, 10 novembre 1938, n. 57, p. 291. È interessante notare che già negli anni ’30, in una rivista di cinema italiana, esistesse una rubrica, “Cinema e telecinema”, basata sui rapporti, soprattutto tecnici, tra i due mezzi. Va tuttavia ricordato che le sperimentazioni televisive, in Italia, sono state intraprese già dalla fine degli anni ’20. 4 G. Mozzi, art. cit. 5 La velocità di scorrimento della pellicola in sala è di 24 fotogrammi per secon- do, in televisione è di 25 quadri per secondo; la durata di un film al passaggio tele- visivo risulta dunque sempre più breve di una manciata di minuti calcolabili secondo una proporzione matematica. 6 C. Montanaro, Dall’argento al pixel. Storia della tecnica del cinema, Le Mani, Genova 2005, p. 55. 7 J. Viviè, Il VistaVision, in A. Petrucci (a c. di) Cinemascope, vistavision, cinera- ma, Ateneo - Quaderni della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Roma 1955, p. 187. 8 Filoteo Alberini, primo titolare di un brevetto italiano, il Kinetografo, registra- to il 21 dicembre 1895, sperimenta tra il 1897 e gli anni ’20 il formato Cine- panoramica Alberini su pellicola 70 mm. Ovviamente non è il solo: il Bioscope 60 mm di Demeny, il Cinéorama di Grimoin-Sanson 70 mm, il 75 mm dei fratelli Lumiere che per l’esposizione Universale di Parigi del 1900 allestiscono nei pres- si della Tour Eiffel uno schermo di 25x15 metri su cui proiettare, per 25.000 spet- tatori, vedute della città in 75mm, il 65 mm sperimentato nel 1927 dalla Il fotogramma tradotto 177
  • 18. Paramount e molti altri. Già dagli anni ’30, inoltre, i Lumiere da una parte e il prof. Chrétien con le immagini anamorfiche proiettate all’Esposizione Universale di Parigi del 1937 dall’altra, lavorano alla possibilità di realizzare formati panora- mici sulla tradizionale pellicola 35 mm. Si veda in proposito: C. Montanaro, op. cit. 9 Brevetto canadese di proiezione su schermo panoramico con pellicola 70 mm, prima proiezione pubblica alla Fiera di Osaka del 1970. 10 Nel 1927 Abel Gance prefigura il Cinerama nel suo Napoleon (A. Gance, 1927): lo schermo centrale dovrebbe rappresentare la prosa, i due laterali la poe- sia e tutte e tre insieme il Cinema. Delle tre sequenze girate in trittico il regista con- serva al montaggio una sola. Il rapporto altezza/base dell’inquadratura composta dai 3 schermi è di 1:3, 99. Il professor Henri Chrétien, presente alla prima di Napoleon all’Opèra il 7 aprile 1927, è folgorato dall’invenzione di Gance e ne trae ispirazione per il brevetto dell’obiettivo Hypergonar, un audace sistema di lenti anamorfiche costruito nello stesso anno ma che conoscerà la sua fortuna solo nel 1953, quando la Twentieth Century Fox acquista il suo brevetto ribattezzandolo CinemaScope. Quell’anno a Chrétien, come a Waller per il Cinerama, viene asse- gnato un oscar. Si veda in proposito K. Brownlow, Come Gance ha realizzato Napoleon, Editrice il Castoro, Milano 2002, p. 163. 11 G. Bozzi, Il Cinerama, in A. Petrucci (a c. di), Cinemascope, Vistavision, Cinerama, Edizioni dell’Ateneo (Quaderni della mostra internazionale d’arte cine- matografica di Venezia), Roma 1955, p. 123-1244 [controllare]. 12 M. Calzini, Storia tecnica del film e del disco, Cappelli Editore, Bologna 1991. 13 G.M. Lo Duca, Cinema gira. In Inghilterra, in “Cinema: quindicinale di divul- gazione cinematografica”, 10 giugno 1938, n. 47. 14 M. Miceli, La radio: dalla prima scintilla al XXI secolo, a c. di F. Falanga, M. Surace, Laterza, Bari-Roma 1995, p. 245. 15 Il 16/9 è progettato da Kerns H. Powers della Society of Motion Picture and Television Engineers: La SMPTE, costituita nel 1916 come Society of Motion Picture Engineers, è un’associazione professionale internazionale che riunisce tec- nici dell’industria televisiva e cinematografica. La SMPTE, con sede negli Stati Uniti, è l’organismo che stabilisce gli standard internazionali per il cinema, la tele- visione, ecc. Attualmente i soci SMPTE sono oltre 10.000 in 85 nazioni con 25 sezioni locali. La sezione italiana, costituita nel 1990, è stata la prima in Europa. 16 Per aspect ratio si intende il rapporto fra la base e l’altezza di un’immagine bidimensionale. 17 C. Tagliabue, Fuga dal cinema, in V. Zagarrio (a c. di), Storia del cinema italia- no, vol. XIII, Marsilio-Edizioni di Bianco & Nero, Venezia 2005, p. 348. 18 Le prime ricerche sulla High Defininition TV risalgono alla fine degli anni ’70. L’immagine in alta definizione, su cui lavorano la Sony e l’ente televisivo giap- ponese NHK, è costituita da una risoluzione di 1125 righe contro le 525 e le 625 degli standard del tempo. Il miglioramento della definizione consente anche di sostituire lentamente il tradizionale rapporto di 4/3 dello schermo televisivo con il nuovo 16/9. Il Giappone è il primo a trasmettere, a partire dal 1990, program- Riscritture 178
  • 19. mi in HD mentre in Occidente si apre un lungo confronto sugli standard da adot- tare che produrrà, come di consueto, un grave ritardo. 19 Michelangelo Antonioni, da sempre il più interessato ad appropriarsi delle novità messe a disposizione dalla tecnica per un impiego espressivo, ha realizzato Il mistero di Oberwald (M. Antonioni, 1981) che fu accolto, durante la proiezione alla Mostra di Venezia, da un imbarazzante applauso a scena aperta durante la scena in cui Monica Vitti cavalca in un prato che cambia colore. Il film era stato girato in elettronica con la possibilità di intervenire sui valori cromatici dell’imma- gine e poi riversato in pellicola per la destinazione finale della sala ma il risultato era modesto e deludente e soprattutto, paradossalmente, già senile sul piano este- tico. Fotoromanza, videoclip per l’omonima canzone di Gianna Nannini, confer- ma tre anni anni dopo, un uso piuttosto goffo dell’elettronica da parte del mae- stro ferrarese. Giulia e Giulia (P. Dal Monte, 1987), finanziato ancora dalla Rai nell’ambito della ricerca sull’Alta Definizione, giocava nuovamente la carte del passaggio dall’elettronica alla pellicola con al prestigiosa firma di Giuseppe Rotunno alla direzione della fotografia senza l’ambizione di attingere a una visio- ne rinnovata del linguaggio cinematografico ma limitandosi a sperimentare, pre- maturamente, un sistema produttivo volto ad abbattere i costi. 20 A. Grasso (a c. di), Enciclopedia della televisione italiana, Garzanti, Milano 1996, p. 146. 21 C. Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 48-49. 22 Relazione di P. Ronchetti in SNCCI (a c. di), I Film in Tv: cinema tradito? Atti, Saint-Vincent 16 giugno 1978, p. 46. 23 G. Carminati, La “guerra” degli indici di ascolto. I parte in R. Zaccaria (a c. di), Rai: la televisione che cambia, SEI, Torino 1984, p. 68. 24 E. Menduni, La rivoluzione del tv libere, in V. Zagarrio (a c. di), Storia del cine- ma italiano, Vol. XIII, 1977-1985, Masilio-Edizioni di Bianco & Nero, Venezia, 2005, p. 86. 25 Per una fotografia della programmazione cinematografica delle televisioni ita- liane nel 2004 si veda: “Cinema & Tv -Link Idee per la televisione”, n. 3/2004, Mediaset-RTI, Milano 2004. 26 Il ¾ di pollice, attraverso i differenti brevetti Betamax, Video 2000 e VHS che poi risulterà dominare il mercato per ragioni commerciali a scapito dei primi due, entra nelle case a costi sempre più bassi consentendo da una parte la registrazio- ne dei programmi televisivi, dall’altra producendo il nuovo mercato delle video- cassette preregistrate, una cineteca a disposizione del telespettatore sia per la ven- dita che, per quanto riguarda soprattutto le novità, per il noleggio. 27 Procedimento attraverso il quale si convertono le immagini in pellicola in segnali video. 28 Ideato nel 1962 dalla Technicolor di Roma, il formato panoramico 1:2, 35 Techniscope utilizzava solo due perforazioni del negativo, ovvero metà del foto- gramma (per questo detto anche 2P), con sensibile risparmio di pellicola. L’ana- morfizzazione dell’immagine avveniva solo in fase di sviluppo e non di ripresa. 29 S. Pollack, soddisfatto per l’esito simbolico della sua battaglia, ritorna sull’ar- Il fotogramma tradotto 179
  • 20. gomento in una featurette inclusa nei contenuti speciali del dvd del suo ultimo film, The interpreter (S. Pollack, 2005), Interpreting Pan & Scan vs. Widescreen, in cui il regista illustra in prima persona gli effetti del pan&scan sulla costruzione dell’inquadratura e sulla sua corretta lettura da parte dello spettatore. Interpreting Pan & Scan vs. Widescreen è reperibile integralmente su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=U13BPXf1Cek. 30 Nel 1989 i film trattati sono già una cinquantina (tra cui Il mistero del falco, Il grande sonno e King Kong). I network riaprono i loro palinsesti ai film con la loro nuova veste cromatica ma l’operazione incontra una fiera resistenza da parte degli autori ma anche degli stessi attori che non vogliono ritrovarsi colorati come “uova di Pasqua” o “torte di compleanno”. In Francia La Cinq, con Carlo Freccero direttore dei programmi, trasmette la versione colorizzata di Giungla d’a- sfalto (J. Huston, 1950) con il conforto della Corte d’Appello di Parigi che sostie- ne la tesi di Ted Turner secondo il quale gli eredi di John Huston non sono gli autori del film e non possono bloccarne la manipolazione. Freccero racconta oggi che la circostanza aprì un ampio dibattito e che la scelta ebbe anche il sostegno di Jean-Luc Godard. 31 J.-L. Douin Dizionario della censura nel cinema Tutti i film tagliati dalle forbi- ci del censore nella storia mondiale del grande schermo, Mimesis Cinema, Milano- Udine 2010, pp. 139-141. 32 Per una analisi più completa del “massacro di Robin Hood” si veda l’esausti- vo articolo di M. Guidorizzi Farenheit 451, in “La cosa vista”, n. 14/15, Trieste 1990, pp. 36-45. Negli anni Mario Guidorizzi, Carlo Montanaro e Aldo Di Dio hanno sistematicamente segnalato e denunciato con passione e competenza le manipolazioni dei film in televisione. 33 M. Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano 2000, p. 231. 34 Fonte Internet: http://somecamerunning.typepad.com/some_came_runni- ng/2011/06/test.html. 35 È probabile che Hitchcock, molto attento al percorso commerciale delle sue opere, abbia preferito girare con un formato Academy in previsione della vendita dei diritti alla televisione che ovviamente, all’epoca, poteva disporre unicamente del tradizionale 4/3. 36 Mensile popolare fondato nel 1922 a New York da Roy DeWitt Wallace e Lila Bell Fallace, ha raggiunto nel corso degli anni una vastissima diffusione fino a rag- giungere la tiratura di 12,5 milioni di copie. L’edizione italiana, Selezione dal Reader’s Digest, è nata a Milano nel 1948 e ha cessato le pubblicazioni nel 2007. Riscritture 180
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