risparmio e ricchezza famiglie italianeidealistait
il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane negli ultimi vent'anni e in particolar modo nel periodo successivo alla crisi economica e finanziaria
scopri chi deve presentare la dichiarazione imu: http://www.idealista.it/news/archivio/2012/09/12/059995-dichiarazione-imu-chi-deve-presentare-scarica-bozza
risparmio e ricchezza famiglie italianeidealistait
il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane negli ultimi vent'anni e in particolar modo nel periodo successivo alla crisi economica e finanziaria
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sulla base delle aliquote approvate dal 76,2% dei comuni italiani, la uil ha fatto i conti in tasca agli italiani per scoprire quanto pagheranno per il saldo imu
la classifica mondale delle parole più cercate su google nel 2012. maggiori info su: http://www.idealista.it/news/archivio/2012/12/12/067716-parole-piu-cercate-google-nel-2012-classifiche
previsioni sul mercato immobiliare. per maggiori info: http://www.idealista.it/news/archivio/2012/11/21/066078-nomisma-previsioni-limmobiliare-sono-pessime-fino-2014-grafici
l'agenzia delle entrate ha aggiornato a dicembre 2014 la nuova guida sul fisco e casa, acquisto e vendita, con le novità introdotte dal decreto sulle semplificazioni fiscali
Banche aderenti fondo garanzia prima casaidealistait
è stato pubblicato sui siti di abi e consap, l'elenco delle prime 68 banche aderenti al fondo di garanzia per l'acquisto e la ristrutturazione della prima casa. diventa così pienamente operativo uno strumento istituito con la legge di stabilità del 2014 e che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe aiutare a rimettere in moto il mercato del credito e il mercato immobiliare in concreto
Guida aggiornata sulle ristrutturazioni edilizie dell'Agenzia delle Entrateidealistait
L'agenzia delle Entrate ha aggiornato la Guida sulle ristrutturazioni edilizie che contiene tutte le informazioni per poter usufruire del bonus del 50%
credito alle micro e piccole imprese, confidi e politiche pubblicheSalvatore Vescina
Intervento di Salvatore Vescina
I Confidi in Italia
Presentazione del rapporto 2017 dell’Osservatorio permanente sui Confidi del Comitato Torino Finanza
Giovedì 6 aprile 2017
Senato della Repubblica - Sala Di Santa Maria in Aquiro
La rilevazione, realizzata tramite metodologia C.A.T.I. (Computer Assisted Telephone Interview), ha previsto la somministrazione di un questionario ad un campione di 420 aziende siciliane, ripartite per Provincia e Macro-settore di attività.
L’indagine ha evidenziato come il tema della Crisi economica sia particolarmente sentito dalle Aziende, interesse tradottosi praticamente in un tasso di rifiuto all’intervista significativamente più contenuto rispetto ad altre indagini B2B.
Nel rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia si analizza anche la situazione attuale e le prospettive future del mercato immobiliare in Italia
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
sulla base delle aliquote approvate dal 76,2% dei comuni italiani, la uil ha fatto i conti in tasca agli italiani per scoprire quanto pagheranno per il saldo imu
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I Confidi in Italia
Presentazione del rapporto 2017 dell’Osservatorio permanente sui Confidi del Comitato Torino Finanza
Giovedì 6 aprile 2017
Senato della Repubblica - Sala Di Santa Maria in Aquiro
La rilevazione, realizzata tramite metodologia C.A.T.I. (Computer Assisted Telephone Interview), ha previsto la somministrazione di un questionario ad un campione di 420 aziende siciliane, ripartite per Provincia e Macro-settore di attività.
L’indagine ha evidenziato come il tema della Crisi economica sia particolarmente sentito dalle Aziende, interesse tradottosi praticamente in un tasso di rifiuto all’intervista significativamente più contenuto rispetto ad altre indagini B2B.
Nel rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia si analizza anche la situazione attuale e le prospettive future del mercato immobiliare in Italia
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Queste sono le slide del nostro corso di financial fitness. Imparare i principi della finanza personale e di una gestione efficace dei propri risparmi non è per esperti o iniziati. In questo modo, non darai più deleghe in bianco !
Nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, Bankitalia ha previsto che la ripresa del mercato immobiliare continuerà anche nei prossimi mesi grazie al rialzo dei prezzi delle case, un aumento delle compravendite e una diminuzione dei costi di acquisto di una casa.
4. Responsabili scientifici:
Marcello Calabrò, Massimo Costantino Macchitella, Zeno Rotondi
Coordinatori:
Angela Botticini, Laura Marzorati
Hanno contribuito alla stesura della presente edizione
Territorial Research and Strategies, UniCredit
Angela Botticini
Roberto Larotonda
Marketing Individual Clients Italy, UniCredit
Matteo Fabbi
Ilaria Marchioni
Economic and Market research, Pioneer Investments
Laura Marzorati
Giovanni Russillo
La nota metodologica è a cura di Prometeia
Andrea Berardis
Federica Coroneo
Massimo Guagnini
Cristiana Moriconi
Livia Simongini
Un ringraziamento particolare va a Daniele Fano
2
5. Presentazione
E’ un vero piacere per me introdurre questa prima edizione del Rapporto sul Risparmio, realizzato da UniCredit in collaborazione
con Pioneer Investments e intitolato significativamente “Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi modelli di
risparmio”.
Nonostante gli ultimi cinque anni siano stati caratterizzati da una crisi finanziaria senza precedenti, siamo ancora oggi un
Paese ricco, ma che risparmia sempre meno e con una ricchezza molto immobilizzata.
La ragione per cui si risparmia meno è legata principalmente al restringimento della “torta” dei redditi. Sebbene negli ultimi
dieci anni il reddito disponibile aggregato sia comunque rimasto pressoché stabile, l’aumento della popolazione - grazie
soprattutto all’incremento del numero di stranieri residenti - e una maggiore incidenza degli ultra sessantacinquenni hanno
comportato che il reddito netto disponibile a livello pro capite si riducesse in termini reali (prezzi 2011) dai circa 18.000
euro del 2001 ai circa 16.600 euro del 2011. Questa dinamica di contrazione del reddito ha riflesso l’andamento della
composizione per provenienza delle risorse che affluiscono alle famiglie. Mentre negli anni ‘80 oltre il 70% del reddito
disponibile proveniva dal lavoro dipendente o autonomo, nel 2010 tale quota è scesa al 52%.
Un Paese con una crescita debole lavora meno, produce meno reddito e quindi risparmia meno. In un contesto di debolezza
della domanda interna e di stringenti vincoli sul fronte della spesa pubblica, comune a molte economie avanzate, la soluzione
per tornare a risparmiare di più è quindi legata al riavvio di un ciclo di crescita, a suo volta legato alla capacità di competere
meglio ed esportare di più, soprattutto nei paesi più dinamici.
Inoltre, le incertezze sulle prospettive occupazionali dei giovani pongono oggi la sfida di gestire il risparmio pensando anche
al futuro dei figli. L’esigenza sempre più pressante di pianificare il trasferimento intergenerazionale della ricchezza coincide
con la prima inversione del trend di espansione del benessere da una generazione alla successiva registrata a partire dal
dopoguerra.
Un’ulteriore preoccupazione per le famiglie, accentuata dalle recenti riforme del sistema pensionistico e dal trend demografico,
è quella relativa all’integrazione dei propri redditi da pensione, onde evitare di ridurre fortemente le abitudini di consumo, con
tutte le ovvie conseguenze sul benessere e la qualità della vita.
Le scelte di risparmio oggi sono quindi sicuramente più complesse per le famiglie. Accrescere il livello delle conoscenze dei
cittadini in materia finanziaria è necessario per consentire decisioni più consapevoli e informate su temi che hanno un grande
rilievo per determinare la futura prosperità. Bisognerebbe inoltre agire sui comportamenti, per accrescere la cultura del
risparmio, rendendolo più facile, diffuso e automatico.
Come possono contribuire gli intermediari finanziari e i gestori del patrimonio per cambiare la situazione?
Il nostro Gruppo può fornire alcuni esempi concreti in merito. Accanto al miglioramento del modello di consulenza finalizzato
a una offerta di servizi più flessibile e taylor-made in funzione delle mutate esigenze di risparmio delle famiglie, nel 2011
UniCredit ha lanciato in Italia In-formati, il primo programma nazionale di educazione bancaria e finanziaria.
In-formati rappresenta la nostra risposta concreta alla necessità di avvicinare maggiormente i cittadini e le imprese ai temi di
banca e finanza. Abbiamo sentito il dovere di sostenere una maggiore conoscenza di questi argomenti per aiutare le famiglie
a orientarsi con più consapevolezza nelle proprie scelte.
3
6. I corsi di In-formati, tenuti da nostri colleghi, con un linguaggio semplice e trasparente hanno coinvolto circa 25 mila persone
con un servizio gratuito di informazione portato nelle scuole, nelle università, nelle sedi delle associazioni di categoria, nelle
imprese, nei punti di aggregazione di anziani, casalinghe, famiglie e nelle sedi del non profit locali.
Un altro esempio, che ambisce a una platea ancor più vasta di potenziali fruitori, è rappresentato dall’Osservatorio del
Risparmio UniCredit - Pioneer Investments.
L’analisi del Rapporto si articola lungo tre filoni. Il primo studia gli aspetti legati al risparmio delle famiglie italiane e alla sua
allocazione, anche a confronto con i principali paesi industrializzati. Il secondo si occupa della composizione, l’andamento nel
tempo e la distribuzione della ricchezza tra le diverse generazioni, anche sulla base delle informazioni rilevate da un campione
di clienti UniCredit. E si conclude con un’analisi del risparmio e della ricchezza delle famiglie secondo una declinazione
territoriale, per aree geografiche e regioni.
In quest’ultima parte del Rapporto emergono alcuni segnali originali rispetto al quadro nazionale di progressivo impoverimento
delle famiglie.
Durante la crisi, per esempio, il maggiore peso del terziario e della pubblica amministrazione sull’economia del Centro ha
determinato una flessione meno intensa della propensione al risparmio. Anche il Mezzogiorno registra una tenuta della
propensione al risparmio, con un trend in crescita fino allo scoppio della crisi e poi una inversione comunque contenuta
rispetto alla media Italiana. Un altro dato interessante - specialmente nell’ottica di come far tornare a crescere il risparmio -
è quello del Nord-Est dove, dopo un decennio di trend discendente, la propensione al risparmio è tornata a salire grazie al
modello di sviluppo territoriale basato sulla competitività e sull’orientamento alle esportazioni. Da quest’ultimo dato deriva
chiaramente che per generare risorse interne per il risparmio è necessario tornare a crescere, soprattutto migliorando le
condizioni di efficienza produttiva del sistema.
Stiamo vivendo tutti, famiglie, imprese e banche, una fase difficile in cui, pur a fronte di un recupero graduale di credibilità
come Paese all’estero, abbiamo ancora bisogno del risparmio italiano, che anche per tale ragione rappresenta una risorsa
strategica da preservare, a supporto della ripresa dell’attività produttiva,.
Mi auguro che la nostra nuova iniziativa si riveli una “bussola” utile per orientarsi in questa delicata fase di evoluzione del
Paese.
Roberto Nicastro
Direttore Generale UniCredit
4
7. Indice
SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI 8
PARTE PRIMA 11
IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE E LA SUA ALLOCAZIONE 12
1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA 12
1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA 16
1.3 DA FORMICHE A CICALE? 20
1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO 25
1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE? 27
1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO? 29
PARTE SECONDA 37
DAI FLUSSI AGLI STOCK: LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE IN ITALIA 38
2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA 38
2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA 41
2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI 46
PARTE TERZA 51
RISPARMIO E RICCHEZZA: UN’ANALISI TERRITORIALE 52
3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE 52
3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE 58
Appendice metodologica all’analisi territoriale 63
1. La stima del risparmio a livello territoriale 64
1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione 64
1.2 I consumi turistici: le principali criticità 65
1.3 La stima della spesa di consumo delle famiglie residenti nelle regioni italiane 65
1.3.1 I consumi turistici 65
1.3.2 Una prima stima della spesa per consumi delle famiglie residenti 66
1.3.3 La correzione della prima stima 66
1.4 La formazione del risparmio a livello regionale 67
2. La stima della ricchezza a livello territoriale 68
5
10. Sintesi dei principali risultati
Il quadro dell’Italia che sembra emergere da questo primo rapporto dell’Osservatorio del Risparmio UniCredit - Pioneer
Investments è quello di un paese che è ancora sostanzialmente ricco ma che sta vivendo un periodo storico particolarmente
critico.
Le famiglie italiane risparmiano sempre meno e, nella maggior parte dei casi, non per una loro specifica e volontaria scelta
ma perchè stanno vedendo una graduale erosione dei redditi.
Emerge un sostanziale divario tra bisogno percepito di risparmiare e risparmio effettivo. Cresce, infatti, il numero di individui
che ritiene importante risparmiare, ma al tempo stesso scende il risparmio complessivo delle famiglie.
La crisi si sta rivelando duratura e con conseguenze rilevanti.
Unica tra le maggiori nazioni sviluppate che ha visto il reddito pro capite1 scendere in termini reali a livelli comparabili a
quelli di più di quindici anni fa, l’Italia è stata anche la nazione che ha mostrato il peggior tasso di crescita del PIL dal 2008
in poi. Se il reddito disponibile diminuisce, i consumi delle famiglie non calano altrettanto rapidamente: il risparmio latita
perchè le risorse si riducono e le spese ineludibili aumentano (o per lo meno non scendono).
Tra l’altro, la riduzione del risparmio nazionale è stata accompagnata dal 2002 in poi da un deficit della parte corrente della
bilancia dei pagamenti e dalla crescente necessità di attrarre capitali esteri per finanziare gli investimenti interni. Se un
perdurante deficit delle partite correnti può essere sostenibile in un contesto di crescita, molto meno lo è per un’economia
in una fase di stallo o in recessione.
Non tutto è perduto però, la strada per un ritorno al riequilibrio passa necessariamente per una riduzione dei gap in produttività
e competitività delle imprese nazionali e una prima scossa potrebbe proprio venire dall’export, che potrebbe fungere da
volano e primo motore per una ripresa. Se è vero, infatti, che un alto livello di risparmio non genera necessariamente maggior
crescita economica, sembra che in assenza di crescita difficilmente si riescono a mantenere elevati tassi di risparmio.
Gli ultimi dati diffusi da Banca d’Italia riguardanti il mese di Luglio 2012 mostrano segnali incoraggianti sulle esportazioni, in
netto miglioramento rispetto al 2011, anche se ancora è presto per parlare di una vera e propria inversione di tendenza della
parte corrente della bilancia dei pagamenti.
Se del lato imprese si può e bisogna fare ancora molto per rimettere in moto il paese, anche dal lato famiglie si deve fare di
più, in particolare riguardo ad alcune criticità che sono emerse distintamente in questi ultimi anni.
Una prima criticità riguarda la quantità di risparmio che per molte famiglie potrebbe essere insufficiente, tenendo conto delle
future esigenze di spesa e soprattutto alla luce delle recenti riforme della previdenza. I lavoratori italiani sembrano essere
coscienti del fatto che dovranno provvedere da sé ai propri bisogni previdenziali, ma non riescono a far corrispondere a queste
intenzioni delle misure concrete. L’adesione a fondi pensione integrativi appare ancora troppo bassa e nettamente inferiore
rispetto alla media dei paesi sviluppati (non solo anglosassoni, ma anche dell’Europa continentale) e arrivare impreparati
non appare certamente una prospettiva molto allettante. Per portare un maggior numero di persone a risparmiare per
la pensione, innanzitutto, si potrebbe cominciare ad incentivare e sviluppare una cultura del risparmio, anche attraverso
iniziative specifiche volte a rendere il piccolo risparmio più semplice, conveniente e magari automatico.
1
Il riferimento è al reddito netto disponibile valutato a prezzi costanti del 2011.
8
11. Individui più coscienti riguardo alle conseguenze delle proprie scelte in ambito finanziario e di pianificazione potrebbero
gestire meglio le risorse a loro disposizione. Per questo, sarebbero auspicabili interventi finalizzati a migliorare la cultura
finanziaria generale, intervenendo non solo su individui già avvezzi al mondo della finanza, ma anche sulle persone più
svantaggiate, i giovani, e anche gli studenti. L’introduzione dei concetti di finanza e pianificazione già sui banchi di scuola
avrebbe numerosi vantaggi: i giovani innanzitutto apprendono più facilmente e velocemente, inoltre sarebbe meno costoso
raggiungere un numero più elevato di individui e sarebbe un sistema più egualitario. Un vero e proprio investimento per il
futuro.
Un ulteriore tema importante riguarda l’allocazione del risparmio.
Dal confronto internazionale, emerge che in termini di ricchezza accumulata (e anche di livello di indebitamento) le famiglie
italiane risultano ancora ben posizionate rispetto ai maggiori paesi europei e agli Stati Uniti. In particolare, lo stock di ricchezza
al netto delle passività finanziarie appare ancora ragguardevole: 8.500 miliardi di euro, pari a oltre 7,8 volte il reddito lordo
disponibile e 5,4 volte il PIL, che corrisponde a circa 140 mila euro pro capite. E’ importante assicurarsi che questa ricchezza
venga preservata, non perda valore nel tempo ma anzi che possa diventare un volano di crescita per l’economia, nonché
un’integrazione al reddito delle famiglie in tempi di crisi.
Guardando alla composizione degli stock di ricchezza finanziaria, si evidenzia una penetrazione molto bassa del gestito (20%
del portafoglio), meno della metà delle quote rilevate in Francia e Germania. Gli italiani hanno, tra l’altro, reagito alla crisi del
2008 incrementando ulteriormente la propria posizione in attività liquide, in linea anche con quanto accaduto nel resto dei
paesi, tuttavia, non necessariamente questo spostamento verso strumenti liquidi garantisce un sostanziale miglioramento
della qualità dei portafogli.
Le recenti e attuali turbolenze dei mercati finanziari possono quantomeno servire a rendere i risparmiatori più consapevoli
e preparati. Anche gli investimenti considerati poco rischiosi a volte possono invece rivelarsi molto volatili e l’unico modo
per gestire in modo efficace il rischio è quello di diversificare, combinando attività che diano stabilità con quelle che
possano offrire crescita nel tempo, attività che siano liquide con altre che offrano flussi cedolari nel tempo. Guardando la
composizione media dei portafogli italiani il percorso da compiere appare ancora lungo, ma può essere supportato da esperti
e professionisti. Da questo punto di vista le banche e i gestori di patrimoni dovranno essere pronti a raccogliere la sfida e a
rilanciare un patto con i risparmiatori che deve essere basato sulla trasparenza e fiducia.
Non da ultimo, un tema che merita maggiore approfondimento è quello relativo ai giovani.
Il mercato del lavoro non sembra essere particolarmente recettivo e risparmiare per molti di loro sta diventando un miraggio.
Inoltre, gli stock di ricchezza risultano fortemente concentrati nelle mani delle generazioni più anziane. Uno sforzo per
liberare maggiori risorse da dedicare al capitale umano e alla nuove iniziative imprenditoriali dei giovani appare quantomeno
doveroso, sia come antidoto per uscire dalla crisi attuale che come investimento per il futuro. Un nuovo patto tra generazioni
che se da un lato potrebbe dare maggiori opportunità di sviluppo per i giovani, dall’altro potrebbe anche rappresentare quella
nuova benzina per la crescita economica di cui il nostro Paese ha oggi come non mai un’impellente necessità.
Passando dall’analisi a livello nazionale a quella territoriale, si conferma una generale contrazione del risparmio nel triennio
2010-2012, caratterizzato da un ridimensionamento esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il Nord Est, dove un modello
di sviluppo economico, fortemente basato sull’export ha contribuito a sostenere il reddito.
9
12. Tuttavia, guardando agli ultimi cinque anni, le regioni del Nord hanno subito una contrazione del risparmio condizionata da
un pronunciato rallentamento del ciclo economico, mentre le regioni del Sud hanno registrato una crescita del risparmio
tra il 2000 e il 2009. Tuttavia, un’analisi più approfondita delle principali componenti dalle quali il risparmio si origina,
reddito e consumo, sembra mostrare che tale incremento al Sud, più che indicativo di un miglioramento della condizione
economica, sia in realtà segnale di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. In realtà le famiglie meridionali
hanno fortemente contratto le voci di spesa rinviabili mentre hanno destinato una quota sempre maggiore della spesa a
consumi incomprimibili. La propensione al consumo delle famiglie del Sud potrebbe essere stata influenzata inoltre da
diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato forme di
accumulo a scopo precauzionale.
Relativamente agli stock, la ricchezza finanziaria in Italia rimane concentrata nelle regioni del Nord, che detengono una quota
stabilmente superiore al sessanta per cento del totale. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda
anche i comportamenti di consumo; difatti, il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali rappresenta
una forma di integrazione di altre forme di reddito e contribuisce a mantenere più stabile il livello di spesa anche in momenti
meno favorevoli del ciclo economico.
La composizione della ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato alle modalità in cui
le diverse aree del nostro paese decidono di impiegare il risparmio. Infatti i dati aperti su base territoriale mostrano in
maniera evidente che le oscillazioni della ricchezza risultano molto più marcate nelle regioni del Nord rispetto a quanto
invece avvenga in quelle del Sud. Ed è proprio l’effetto performance quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un
ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza. L’aspetto più interessante che emerge dall’analisi
è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla liquidità. Ne risulta un’esposizione di portafoglio
complessiva orientata verso strumenti finanziari semplici con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche
poco remunerativi. Se infatti una strategia di questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza soprattutto nelle
turbolenze dei mercati finanziari non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso degli
strumenti professionali di gestione del risparmio, presenti principalmente nei portafogli dei risparmiatori del Nord Ovest,
dovrebbe garantire un rendimento del capitale più adeguato su un orizzonte di tempo di medio lungo periodo. Infine la
possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare può contribuire ad ampliare
il livello di partecipazione al mercato delle attività rischiose; da qui sembra emergere la necessità di approfondire la cultura
finanziaria soprattutto in aree dove gli investimenti in attività liquide sembrano pesare in maniera eccessiva.
Il documento è composto da tre sezioni.
La prima parte si occupa dell’analisi dei flussi di risparmio delle famiglie, guardando al tema della generazione nonché a
quello dell’allocazione.
La seconda parte è relativa all’analisi degli stock di ricchezza accumulati dalle famiglie e alla sua composizione, con uno
sguardo anche sulle differenze per età.
La terza parte è relativa all’analisi a livello regionale.
10
14. 1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA
L’Italia è un paese che risparmia sempre meno. Dal 1995 ad oggi il risparmio nazionale ha subito un continuo ed inesorabile
declino. Il trend è evidente e già noto ai più. Numerose sono infatti le volte nelle quali questi messaggi (o simili) sono
comparsi sulle pagine dei giornali o hanno fatto parte di qualche servizio televisivo dai toni più o meno pessimistici. Nel giro
di quasi vent’anni il tasso di risparmio lordo delle famiglie italiane è passato dal 21,9% nel 1995 ad un minimo del 12% nel
2011 e le previsioni per il 2012 non sembrano indicare un’inversione di tendenza.
A cosa è dovuto questo calo del risparmio e come bisogna interpretarlo?
Possibile che gli italiani si siano dimenticati di essere diligenti formichine? E’ forse possibile che l’Italia abbia vissuto al di
sopra dei propri mezzi per troppo tempo ed ora la realtà sia venuta a presentare il conto?
Per poter fornire una risposta adeguata a questi interrogativi senza lasciarsi andare in giudizi tanto facili quanto scontati
cerchiamo di analizzare i dati in maniera oggettiva e in dettaglio.
Iniziamo col considerare il tasso di risparmio nazionale lordo, ovvero il rapporto tra il risparmio complessivo nazionale al
lordo degli ammortamenti da una parte e il reddito nazionale disponibile, dall’altra. E’ una misura di quanto del reddito
disponibile una nazione in aggregato ha accantonato nel corso dell’anno e destinato, di conseguenza, agli investimenti. Il
risparmio nazionale italiano è calato notevolmente con il passare degli anni e il trend si è rivelato abbastanza costante nel
tempo senza peraltro registrare significative inversioni di tendenza (Figura 1).
Figura 1:
Risparmio nazionale 25%
lordo in Italia in % al
reddito nazionale lordo 23%
disponibile
21%
19%
17%
15%
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer
Investments su dati Istat
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
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19
19
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20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
12
15. Entriamo ora maggiormente nel dettaglio e proviamo a verificare quale particolare settore ha visto ridursi in maniera più
consistente il proprio risparmio.
La Figura 2 scompone il risparmio nazionale lordo in percentuale al PIL tra i diversi settori istituzionali, il periodo considerato
è dal 1995 al 2011. Le categorie analizzate sono: amministrazioni pubbliche, famiglie produttrici2, famiglie consumatrici,
imprese finanziarie3, imprese non finanziarie.
Figura 2:
Risparmio nazionale 15%
lordo in Italia in % al 13%
11%
PIL: scomposizione per 9%
settori 7%
5%
3%
1%
-1%
-3%
-5%
1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011
Società non finanziarie Società finanziarie
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Amministrazioni pubbliche Famiglie produttrici
Investments su dati Istat Famiglie consumatrici
Questa semplice scomposizione ci permette di fare alcune interessanti considerazioni:
1) Il settore pubblico, dopo periodi più o meno lunghi di risparmi positivi (prima dal 1998 al 2002 e poi dal 2006 al 2008),
negli ultimi quattro anni è tornato a registrare risparmi costantemente negativi e, in generale, nei due decenni considerati il
suo contributo al risparmio nazionale è stato pari al massimo al 1-2% del PIL, quando non si è rivelato negativo;
2) Il risparmio del settore delle imprese (finanziarie e non) si è sempre aggirato intorno al 9-10% del PIL, con le imprese non
finanziarie che hanno realizzato i risparmi maggiori (47% del risparmio nazionale nel 2011);
3) Le famiglie produttrici hanno contribuito anch’esse con risparmi positivi e negli ultimi 6 anni in leggera crescita rispetto al
PIL, fino ad arrivare nel 2011 a rappresentare il 15% del risparmio nazionale;
4) Le famiglie consumatrici sono il settore che nel tempo ha diminuito in maniera più significativa il proprio risparmio:
con valori (in percentuale al PIL) nel 2011 più che dimezzati rispetto a quelli registrati a metà degli anni ’90. Se nel 1995
contribuivano per poco più del 60% del risparmio nazionale, negli anni successivi questa quota è scesa progressivamente
sino al 36% del 2011.
Le valutazioni non cambiano anche rapportando il risparmio lordo al reddito disponibile.
Infatti, il saggio di risparmio delle famiglie consumatrici è passato dal 19,3% del 1995 all’8,8% del 2011. Va tuttavia precisato
che se consideriamo le famiglie italiane nella loro interezza (cioè sia produttrici che consumatrici) questo dato migliora
leggermente portandosi per il 2011 al, già citato, 12%.
2
Secondo l’Istat le Famiglie Produttrici comprendono le società semplici e le imprese individuali che operano nel settore non finanziario ed occupano fino a 5 dipendenti e le unità,
prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari dell’intermediazione finanziaria.
3
Sempre secondo l’Istat le Imprese Finanziarie comprendono la Banca Centrale, le banche che effettuano raccolta a breve e a lungo e le unità impegnate nelle attività regolamen-
tate dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (1/1/1994). Le Imprese Non Finanziarie comprendono, invece, le società di capitali, le società cooperative, le società
di persone, le società semplici e le imprese individuali con oltre 5 dipendenti. Sono infine comprese anche le istituzioni non profit che producono beni e servizi destinabili alla
vendita che possono essere oggetto di scambio sul mercato oppure esclusivamente destinati ad altre società non finanziarie.
13
16. Sembrano quindi essere le famiglie consumatrici il vero problema del risparmio in Italia.
Nel corso degli ultimi 17 anni esse sono state infatti le uniche ad aver ridotto in maniera consistente la quota di reddito
destinata al risparmio, determinando quindi una sostanziale riduzione del loro risparmio e di conseguenza del risparmio
nazionale.
Proviamo ora a vedere se questo trend viene confermato da altre importanti economie avanzate oppure se è peculiare
dell’Italia.
La Figura 3 considera il tasso di risparmio lordo delle famiglie (consumatrici e produttrici)4 per i più importanti paesi Europei
e gli Stati Uniti.
Figura 3:
25%
Risparmio lordo delle
famiglie in % al reddito
in % al reddito lordo disponibile
20%
lordo disponibile
15%
10%
5%
0%
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
20 1
E
1
12
20
19
19
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
Elaborazione UniCredit/Pioneer Austria 20
Francia Germania Italia
Investments su dati Eurostat, Istituti di Spagna Regno Unito Stati Uniti
statistica nazionali
Dal confronto internazionale sembra filtrare qualche spiraglio di luce: il saggio di risparmio lordo delle famiglie italiane,
pur essendosi ridotto nel tempo, risulta infatti ancora in media con le principali economie sviluppate. Tra l’altro, sebbene
le nostre stime ci portino a pensare ad un’ulteriore riduzione nel 2012 (dal 12% di fine 2011 all’11,3%), l’Italia rimane
relativamente nella media.
Uno sguardo al quadro generale (Figura 3) permette di notare che negli ultimi 5 anni sembrano essersi formati tre gruppi di
nazioni ben distinti:
a) paesi dal risparmio stabile, dove troviamo Francia e Germania, caratterizzati da un tasso di risparmio delle famiglie che
non ha subito significative variazioni nel tempo e che si mantiene ben al di sopra del 15%;
b) paesi con il risparmio in visibile calo, dove troviamo Italia e Austria, accomunati dal 2007 in poi da una propensione al
risparmio in progressiva discesa e ora attorno al 12-13% del reddito disponibile;
c) paesi storicamente poco risparmiatori che però sono tornati a risparmiare di recente, in questo gruppo si collocano le
economie anglosassoni. A partire dal 2008 le famiglie, di colpo meno ricche e con aspettative di reddito meno rosee, hanno
invertito la tendenza riportandosi a livelli di risparmio comparabili a quelli della seconda metà degli anni ’90. Questa tendenza
è stata probabilmente rafforzata dal vistoso restringimento dell’offerta di credito che ha reso più difficoltoso accendere nuovi
prestiti.
4
Non essendo disponibili per tutti i paesi dati disaggregati relativi alle sole famiglie consumatrici, il confronto viene effettuato sul totale famiglie (consumatrici e produttrici),
includendo anche gli enti senza scopo di lucro. Per il resto della pubblicazione, ove non specificato, il dato relativo alle famiglie si intende comprensivo di questi tre aggregati.
14
17. Figura 4:
Risparmio netto delle
in % al reddito netto disponibile
20%
famiglie in % al reddito
15%
netto disponibile
10%
5%
0%
-5%
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
11
E
12
20
19
19
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
Elaborazione UniCredit/Pioneer
Investments su dati Eurostat, Istituti di Austria Francia Germania Italia
statistica nazionali Spagna Regno Unito USA
Le dinamiche sopra evidenziate vengono sostanzialmente confermate anche se si considerano i saggi di risparmio netti,
ottenuti sottraendo al risparmio lordo e al reddito disponibile gli ammortamenti relativi al capitale fisico5 (Figura 4).
Va precisato che osservando l’andamento dei tassi netti emerge con ancor maggiore chiarezza la singolarità del caso italiano:
l’Italia è infatti l’unica tra le nazioni considerate caratterizzata da un calo così marcato e duraturo del risparmio. Il saggio netto
del risparmio è sceso dal 16,8% nel 1995 al 4,3% nel 2011 e per il 2012 prevediamo un misero 3,2%, molto vicino alle due
economie anglosassoni che, pur mostrando negli ultimi anni una sostanziale inversione di tendenza, restano le più cicale tra
i maggiori paesi sviluppati.
In sostanza, il calo del risparmio in Italia c’è stato ed è stato maggiore rispetto ad altri paesi sviluppati. Questo trend è stato
causato quasi esclusivamente da una diminuzione dei risparmi delle famiglie consumatrici, che sono passate dai €192
miliardi di risparmi lordi del 1995 (rivalutati ai prezzi del 2011) a solo poco più di €93 miliardi del 2011, sorpassate in ordine
di grandezza negli ultimi due anni delle imprese non finanziarie quali principali contributori al risparmio nazionale.
Ma cosa implica per una nazione un saggio di risparmio sempre più basso?
Alcune teorie economiche possono venirci in aiuto.
5
L’ammortamento rappresenta la perdita di valore subita dai capitali fissi nel corso dell’anno a causa dell’usura fisica, dell’obsolescenza e dei danni accidentali.
15
18. 1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA
Innanzitutto, quello che ci dicono le teorie è che un basso tasso di risparmio delle famiglie a livello aggregato non
necessariamente deve essere interpretato di per sé in chiave negativa.
Esso va, infatti, valutato in funzione della struttura demografica e delle caratteristiche della popolazione residente nel paese.
Ciò che può sembrare un male per una nazione in un determinato periodo può benissimo non esserlo per un’altra nazione o,
addirittura, per la stessa nazione ma in contesti differenti.
Una delle dottrine economiche che è assurta come punto di riferimento quando si considerano le scelte di risparmio delle
famiglie è la “teoria del ciclo vitale” formulata da Franco Modigliani, insieme a Richard Brumgerg e Albert Ando, intorno a
primi anni ‘50 del novecento.
L’ipotesi di base di questa teoria è il cosiddetto “consumption smoothing”, ovvero l’idea che gli individui puntino ad avere un
livello di consumi sostanzialmente stabile durante il corso di tutta la loro vita.
Nella sua formulazione più semplice (ipotizzando che gli individui si aspettino un reddito progressivamente crescente nel
tempo) la teoria del ciclo vitale prevede un andamento del risparmio “a gobba”: negativo o comunque molto basso in
giovane età, positivo e crescente nella fase di maturità e, infine, decrescente e nuovamente negativo durante gli anni della
pensione (Figura 5). Come conseguenza, la ricchezza accumulata dagli individui raggiunge un punto di massimo prima del
pensionamento per poi decrescere gradualmente col passare degli anni.
Il risparmio di ogni famiglia dipende quindi dalla fase di vita attraversata da ciascun componente e, in particolar modo,
dall’età e dall’occupazione dei singoli. Per cui una famiglia non sarà caratterizzata da un tasso di risparmio sempre costante
nel tempo, in quanto questo tenderà a variare in funzione delle esigenze della famiglia stessa e del ciclo di vita dei suoi
componenti.
Figura 5:
Risparmio
Andamento del rispar-
mio individuale secondo
la teoria del ciclo di vita
Età
Giovane Adulto Anziano
16
19. L’implicazione a livello aggregato è che il tasso di risparmio di una nazione è implicitamente legato alla struttura demografica
e alla speranza di vita degli individui che la compongono. Economie con strutture demografiche diverse possono (e,
anzi, dovrebbero) mostrare un tasso di risparmio aggregato diverso, anche nel caso in cui fossero popolate da individui
perfettamente identici (però con età medie diverse).
Sebbene la versione originale del modello di Modigliani sia stata successivamente modificata ed arricchita6 restano valide le
sue principali implicazioni così come resta valido il suo approccio di base, secondo il quale per capire le scelte di risparmio di
una nazione non basta guardare al reddito e alla ricchezza considerandoli come elementi a sé stanti ma è necessario tener
conto della complessità delle dinamiche individuali nel tempo.
Veniamo ora ad un tema forse più rilevante per la nostra analisi: è davvero così importante il risparmio nazionale per la
crescita di un’economia?
Sebbene da più parti venga avocata la rilevanza e la necessità del risparmio, da un lato prettamente teorico elevati livelli
di risparmio non necessariamente generano crescita e prosperità. Anzi, in alcuni casi e sotto determinate condizioni, una
riduzione del saggio di risparmio nazionale potrebbe portare l’economia di un paese verso un sentiero di crescita più elevato
nel lungo periodo. Tra l’altro, l’impatto positivo del risparmio è funzione anche della presenza (o meno) di un insieme di
politiche atte a favorirne la canalizzazione verso gli investimenti più produttivi7.
Se poi passiamo alle evidenze empiriche, ad oggi, non è stato univocamente dimostrato un effettivo impatto del risparmio
nazionale sulla crescita economica di un paese. E’ vero che paesi ad elevata crescita tendono a mostrare ex-post elevati saggi
di risparmio nazionale, tuttavia sembra essere la crescita a determinare un maggior risparmio e non viceversa.
Inoltre, nel caso di economie aperte con libertà di movimento nel mercato dei capitali, la crescita può anche essere finanziata
dal risparmio estero, il quale, contribuendo a finanziare gli investimenti nazionali, rende meno importante il ruolo del
risparmio delle famiglie.
Su questo punto vanno chiariti però un paio di aspetti. Il primo riguarda le condizioni necessarie per attrarre investimenti
esteri, mentre il secondo riguarda le condizioni per le quali risulta effettivamente conveniente indebitarsi con l’estero.
La disponibilità di capitale da parte di investitori esteri dipende da numerosi fattori. Per prima cosa bisogna valutare la
convenienza/redditività attesa degli specifici impieghi nazionali rispetto al resto del mondo e, in secondo luogo, vanno
considerate le condizioni generali in cui versa il paese. Il livello di corruzione, il peso della burocrazia, l’efficienza ed efficacia del
sistema giudiziario, oltre alle variabili più propriamente economiche (facilità di accesso ai mercati, presenza di infrastrutture,
stabilità macroeconomica, ecc…) risultano fondamentali nell’attrarre investimenti esteri. In mancanza di queste condizioni è
difficile convogliare verso il paese una quantità adeguata di risorse estere.
Inoltre, gli investimenti esteri possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Nel lungo periodo, infatti, l’efficienza con la quale il
risparmio estero viene convertito in investimenti interni diventa cruciale per la sostenibilità del deficit delle partite correnti
della bilancia dei pagamenti.
La convenienza di un aumento del debito con l’estero è legata quindi alla possibilità di accrescere l’export futuro o di generare
elevati futuri rendimenti reali del capitale domestico.
6
Ulteriori elementi spesso aggiunti nei modelli di ciclo vitale sono: il desiderio di lasciare un’eredità, la struttura demografica della famiglia e le sue dinamiche, l’incertezza
sull’andamento dei redditi futuri e l’offerta di lavoro, l’acquisto di beni durevoli e in particolar modo della casa, gli obiettivi precauzionali e, non da ultimo, la presenza di un sistema
di previdenza pubblica e il suo livello di generosità. Tutti questi fattori possono influire in maniera più o meno importante sull’andamento del tasso di risparmio aggregato delle
famiglie.
7
L’allocazione efficiente delle risorse non è un processo totalmente spontaneo (come potrebbero sostenere alcuni), ma dipende anche da quanto è recettivo un sistema economico.
Fattori quali l’investimento in educazione, la presenza di un mercato finanziario sviluppato e, non da ultimo, la presenza di politiche fiscali prudenti da parte dei governi non sono
del tutto irrilevanti.
17
20. Figura 6: 4% 24%
Risparmio nazionale, in- 3%
22%
vestimenti e saldo netto 2%
con l’estero in % al PIL 20%
1%
in Italia
0% 18%
-1%
16%
-2%
14%
-3%
-4% 12%
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011
Investments su dati Istat Saldo netto con l'estero (Sx)
Investimenti fissi (Dx)
Risparmio nazionale lordo (Dx)
Tornando al caso italiano, a partire dalla fine degli anni ’90, contemporaneamente al calo del risparmio nazionale, si è
assistito infatti ad una sostanziale divaricazione tra risparmio e investimenti, con il conseguente peggioramento del saldo
netto con l’estero, passato in territorio negativo dal 2002 e da quel momento in poi caratterizzato da deficit progressivamente
crescenti, (pari nel 2011 al 3% del PIL) come rilevato in Figura 6.
Questa situazione, tra l’altro, trova un riscontro diretto nel graduale incremento del disavanzo delle partite correnti della
bilancia commerciale (Figura 7), e nel sostanziale deterioramento della posizione patrimoniale netta sull’estero che, secondo
i dati recentemente rilasciati da Banca d’Italia, risultava in passivo alla fine del primo trimestre 2012 per 378,3 miliardi di
euro, ovvero il 23,9% del PIL.
Figura 7:
40
Bilancia dei Pagamenti,
30
Conto delle Partite 20
Correnti in Italia 10
(miliardi di euro)
Miliardi €
0
-10
-20
-30
-40
-50
-60
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
11
2
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer
'1
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
g
Investments su dati Banca d’Italia
Lu
18
21. Gli ultimi dati del 2012 sembrano comunque rivelare qualche segnale di miglioramento, anche se è presto per sperare in
una vera e propria inversione di tendenza. Secondo l’Istat a luglio 2012 le esportazioni sono infatti cresciute su base annua
in maniera significativa (+ 4,3%) coinvolgendo tutti i principali comparti (tutti con saldi positivi, tranne il settore energia). Il
saldo dei beni appare in attivo per il secondo mese consecutivo dopo oltre un biennio di deficit, con riflessi positivi sul conto
delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che, come rilevato dalla Banca d’Italia, a luglio 2012 era ancora in rosso,
ma in deciso miglioramento rispetto agli anni precedenti8.
In conclusione, se dunque il saggio di risparmio attuale delle famiglie italiane (ricordiamo pari a fine 2011 al 12% e 4,3%
rispettivamente al lordo e al netto degli ammortamenti) non dovrebbe rappresentare in sé un problema, più preoccupante è
invece il suo persistente trend discendente e soprattutto il contesto in cui questo calo è avvenuto, in condizioni economiche
interne sempre più deteriorate e con un crescente deficit nel saldo con l’estero.
Un ritorno alla crescita (inutile dirlo) sembra essere fondamentale e potrebbe partire proprio da una ripresa dell’export.
Come riuscire in questo obiettivo? Spesso le imprese italiane non riescono a raggiungere mercati di sbocco esteri non per
mancanza di prodotti e servizi di qualità (che avrebbero presa sicuramente anche su mercati esteri), ma sostanzialmente
per le difficoltà che i processi di internazionalizzazione comportano. Ostacoli normativi, culturali, di natura logistica o anche
la stessa mancanza di riferimenti e supporti operativi in loco, portano le imprese italiane, soprattutto se di piccole e medie
dimensioni, a mantenere un profilo basso, limitandosi a navigare in acque note. In questo contesto si inquadra l’impegno di
UniCredit a supportare le piccole e medie imprese nel loro percorso di apertura verso i mercati internazionali.
8
Il Conto delle Partite Correnti comprende tutte le transazioni tra residenti e non residenti che riguardano sia le merci e servizi che i redditi (sia da lavoro che da capitale) e
trasferimenti in conto corrente.
19
22. 1.3 DA FORMICHE A CICALE?
Tornando al risparmio delle nostre famiglie, proviamo ora a capire le possibili cause per una sua così drastica riduzione nel
tempo.
Iniziamo con un breve excursus dagli anni del Miracolo Italiano ai giorni nostri.
Dalla fine degli anni ’50 sino agli anni ’80 del novecento l’Italia è stata caratterizzata da tassi di risparmio decisamente
superiori alla media, il che portava a chiedersi se effettivamente non si risparmiasse troppo! Secondo molti economisti il
fattore determinante dell’elevato tasso di risparmio di quel periodo è stata la produttività, cresciuta a ritmi decisamente
sostenuti durante quegli anni9.
Questo ”effetto crescita” è stato poi con ogni probabilità ampliato da due altri fattori.
Il primo è quello relativo alle cosiddette consumption habits degli italiani; ossia, la “lentezza” che gli individui dimostrano
nell’adeguare i consumi ad un cambiamento permanente delle loro aspettative di reddito. In quel periodo, infatti, alla
crescita sostanziale dei redditi non è seguito un’altrettanto sostanziale modifica delle decisioni di spesa degli italiani, che
hanno mantenuto uno stile di vita abbastanza morigerato, memori forse degli anni di guerra appena superati. A questo
si deve aggiungere il secondo fattore: la presenza di un mercato dei capitali non particolarmente sviluppato che rendeva
molto difficoltoso prendere a prestito (anche volendo); per cui le famiglie per acquistare la casa o beni durevoli erano
necessariamente costrette a risparmiare.
Dagli anni ’90 in poi si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con tassi di risparmio che cominciano a scendere.
Anche in questo caso la crescita economica, e in particolare un suo rallentamento, sembra aver fortemente influito su questo
risultato.
Tuttavia, anche l’allentamento dei vincoli di liquidità sembra abbia giocato un ruolo fondamentale. A partire dalla fine degli anni
’80, infatti, in Italia è stata attuata una progressiva deregolamentazione del mercato creditizio e delle assicurazioni, con una
maggiore apertura alla concorrenza. Questi fattori uniti al calo graduale dei tassi di interesse, a seguito dell’implementazione
del progetto di moneta unica, hanno permesso ad un numero sempre maggiore di famiglie un più agevole accesso al credito,
contribuendo in tal modo al calo del risparmio aggregato10.
9
Si veda per un approfondimento sul tema Jappelli e Pagano (1998) “The determinants of saving: lessons from Italy”.
10
Gli studiosi hanno rilevato anche come la maggiore generosità dello Stato in materia pensionistica di quegli anni potrebbe aver influito sul calo del risparmio, tuttavia l’effetto
complessivo non sembra essere di grande entità. Tanto meno sembrano essere stati determinanti le modifiche alla struttura demografica e il sostanziale invecchiamento del
paese. Sappiamo dal modello del ciclo vitale che ad una popolazione in media più anziana dovrebbero corrispondere tassi di risparmio aggregato inferiori. Tuttavia, nel caso
dell’Italia, non sembra ci siano forti evidenze di decumulo da parte degli anziani, se non in tarda età. Si veda in particolare Rossi e Visco (1995), “National saving and social security
in Italy” e Baldini, Mazzaferro e Onofri (2012) “The reform of the Italian pension system, and its effect on saving behaviour”.
20
23. Figura 8: 1.150
Reddito disponibile, ri- 1.100
200
sparmio e consumi delle 1.050 180
Miliardi €
famiglie consumatrici 1.000 160
in Italia (prezzi costanti 950 140
2011, miliardi di euro) 900
120
850
800 100
750 80
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
20 1
E
1
12
20
19
19
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Consumo (Sx) Reddito lordo disponibile (Sx)
Investments su dati Istat e Prometeia
Risparmio lordo (Dx)
Veniamo ora ai cambiamenti che interessano maggiormente, ossia quelli che hanno caratterizzato più o meno gli ultimi 15
anni. La Figura 8 mostra i redditi, i consumi ed i risparmi delle famiglie consumatrici (a prezzi costanti) tra il 1995 e il 2012
in Italia.
Dal 1995 al 2000 il drastico calo del risparmio è stato trainato dai consumi: i redditi reali seppur in crescita (+0,5% medio
annuo11), non hanno tenuto il passo con l’aumento sostenuto dei consumi (+2,5% medio annuo al netto dell’inflazione). Dal
2001 sino al 2007 si assiste ad un periodo di stabilizzazione del risparmio, con consumi che crescono moderatamente in
termini reali di pari passo con il reddito (+0,8% e 1,1% medio annuo rispettivamente). Dal 2008 in poi, si rileva invece un calo
evidente dei redditi (-1,05% medio annuo) con consumi che, dopo una temporanea riduzione nel 2009, tornano stabilmente
intorno i livelli medi registrati nel 2006-07, immediatamente prima della crisi globale legata ai sub-prime (-0,03% medio
annuo).
Cosa è accaduto dal 2007 in poi, dunque?
Possiamo innanzitutto considerare con maggior attenzione il dettaglio delle voci che compongono il reddito disponibile, e
in particolare ai redditi da lavoro dipendente, quelli da lavoro autonomo, i redditi da capitale (che includono interessi, utili
distribuiti dalle società ecc.), le prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti, il tutto al netto delle imposte e dei contributi.
Analizzando questi aggregati si evince come tra il 2007 e il 2011:
- sia cresciuto il reddito da lavoro autonomo, anche se in misura minore rispetto al passato, (+2,2% medio annuo);
- sia salito il reddito relativo alle prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti sociali (+1,9% medio annuo);
- si siano ridotti i redditi da lavoro dipendente, di un ammontare pari al -0,2% medio annuo, tuttavia l’effetto è sicuramente
importante trattandosi di una quota particolarmente rilevante del reddito disponibile caratterizzata negli anni precedenti da
tassi di crescita comunque buoni (+0,8% e +1,7% medio annuo rispettivamente nei periodi 1995-2000 e 2001-07);
- sia soprattutto avvenuta una marcata contrazione dei redditi da capitale, ridottisi del 4,7% medio annuo;
- e, non da ultimo, sia calata in parte l’imposizione fiscale (-0,2%), tuttavia in maniera inferiore rispetto a redditi e prestazioni,
determinando un ulteriore effetto depressivo sul reddito disponibile, calato complessivamente dell’1,1% medio annuo.
Tasso di crescita medio annuo composto (CAGR).
11
21
24. Negli ultimi 5 anni la riduzione sensibile del reddito disponibile sembra quindi derivare principalmente da una compressione
dei redditi da capitale e da lavoro dipendente, con un livello di imposizione fiscale che non ha di certo aiutato. Questi fattori,
uniti a famiglie restie a modificare il proprio stile di vita o comunque caratterizzate da una quota elevata di spese di consumo
“incomprimibili”, spiegano il calo del risparmio.
Eppure non sembra che gli italiani abbiano deciso che non valga più la pena risparmiare, anzi, dalle informazioni che si
possono trarre dall’indagine sulla fiducia dei consumatori dell’Istat, negli ultimi anni è persino cresciuta la quota di persone
che ritiene sia opportuno accantonare risorse per il futuro. Dal 2007 in poi tale affermazione è condivisa dal 90% circa degli
intervistati, contro una media del 70-75% nel decennio precedente. Quindi, se un mutamento vi è stato, esso è andato nella
direzione opposta, cioè verso una maggiore esigenza percepita di risparmiare.
Figura 9: 95%
Percentuale di individui
90%
che, in considerazione
della situazione econo- 85%
mica generale dell’Ita-
lia, ritengono opportuno 80%
risparmiare
75%
70%
65%
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer
T 2 95
T 2 96
T 2 97
T 2 98
T 2 99
T 2 00
T 2 01
T 2 02
T 2 03
T 2 04
T 2 05
T 2 06
T 2 07
T 2 08
T 2 09
T 2 10
T 2 11
12
Investments su dati Istat
19
19
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
T2
Sempre dalla stessa indagine emerge, però in maniera netta la difficoltà a generare nuovo risparmio: nel II trimestre del 2012
il 25,9% delle famiglie ha dichiarato di non riuscire ad arrivare a fine mese con i propri redditi, trovandosi costretto a contrarre
debiti o prelevare dai propri risparmi passati. Al tempo stesso, la quota di persone che ha dichiarato di riuscire a risparmiare
si è dimezzata rispetto al passato, andando da oltre il 30% registrato a fine anni ’90 e primi anni 2000 all’attuale 14,8% nel
II trimestre del 2012.
22
25. Figura 10: 33,1
Situazione finanziaria 27,8
della famiglia (% di 25,9
famiglie che risparmia o 21,5
contrae debiti)12 18,1 18,6
% 15,6 16,7
15,3 15,2 14,8
10,7
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer T4 1995 T4 2000 T4 2005 T4 2010 T4 2011 T2 2012
Investments su dati Istat
Risparmia qualcosa/molto Usa i risparmi accumulati/contrae debiti
In breve, il messaggio che sembra trasparire è che gli italiani non hanno modificato le loro attitudini verso il risparmio ma
che sono stati soggetti ad un sostanziale impoverimento. Si risparmia di meno non perché si vuole risparmiare di meno ma
perché non si riesce a risparmiare più di quanto si stia già facendo. A fronte di un’erosione dei redditi disponibili, infatti, non
vi è stata alcuna diminuzione dei consumi, con l’ovvia conseguenza di una riduzione del risparmio.
Ancora, come in passato, la crescita (o meglio la sua assenza) appare come principale imputata per il calo del reddito
disponibile e del risparmio dal 2007 in poi in Italia. Da un confronto internazionale si evidenzia, infatti, come, sebbene
mediamente i redditi restino abbastanza stabili nel tempo, le famiglie italiane sono state le uniche a registrare un calo del
reddito disponibile pro capite nel 2008-2011 rispetto al periodo 2001-07.
Figura 11:
Reddito netto disponi- 27,6
28,6
bile medio pro capite 24,6
(prezzi costanti 2011,
20,1 21,0 20,0 20,8
18,9 19,4 19,6
Migliaia €
migliaia di euro) 18,8 18,1
17,2
18,1
17,1 18,1 18,9
14,5 15,0 15,1
12,2
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito USA
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer
Investments su dati Eurostat, Istituti di 1995-2000 2001-07 2008-11
statistica nazionali
12
Il complemento a 100 dei rispondenti ha dichiarato di quadrare il bilancio.
23
26. Se si considera che dal 1995 al 2011 l’economia italiana è cresciuta in termini reali ad un tasso medio annuo dello 0,8%,
contro l’1,4% e 1,6% rispettivamente di Francia e Germania, che comunque sono cresciute mediamente meno rispetto a Stati
Uniti, Regno Unito o anche la Spagna, divengono più chiare anche le ragioni di questo calo dei redditi.
Tra l’altro, il divario di crescita, come evidenziato in Figura 12, si è allargato soprattutto nel corso degli ultimi 5 anni:
sebbene tutti i paesi siano stati caratterizzati da un rallentamento o anche da un calo del PIL, l’Italia sembra infatti il paese
maggiormente colpito, registrando tra il 2008 e il 2011 una variazione media annua del PIL del -0,9%.
Figura 12: 4,3%
4,1%
Tasso di variazione me- 3,6%
3,4%
dio annuo del PIL 3,2% 3,0%
2,7%
2,2% 2,4%
1,8% 1,9% 1,9%
1,4% 1,2%
0,6% 0,5%
0,2%
0,0%
-0,5% -0,5%
-0,9%
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti
Investments su dati Istituti di statistica
nazionali 1995-2000 2001-07 2008-11
In un contesto complesso come quello attuale, con consumi stagnanti e esigenze di rientro del debito pubblico, un elemento
fondamentale per portare il paese verso un nuovo sentiero di sviluppo deve passare attraverso le imprese e l’export. In questo
modo si creerebbero nuove opportunità di lavoro, aumentando le capacità di reddito e di risparmio, soprattutto per le nuove
generazioni. Tuttavia, anche dal lato famiglie si può e si deve fare di più, agendo in particolare sui comportamenti al fine di
far seguire alla già elevata consapevolezza della necessità di risparmio delle azioni concrete. La priorità è portare, soprattutto
le giovani generazioni, a risparmiare di nuovo, rendendo il piccolo risparmio più semplice e automatico.
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27. 1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO
Sebbene la semplice valutazione del risparmio a livello aggregato non possa di per sé permettere di trarre conclusioni
definitive sui comportamenti individuali, la preoccupazione è che molti italiani stiano risparmiando meno di quanto
dovrebbero (o meglio, di quanto sarebbe ottimale facessero) viste le loro esigenze di consumo e aspettative di reddito future.
Diversi sono infatti i problemi che potrebbero nascere da un inadeguato livello di risparmi.
Innanzitutto, un basso tasso di risparmio a livello nazionale potrebbe essere il campanello d’allarme per un crescente numero
di famiglie altamente indebitate e con la crisi economica che continua a mordere alti tassi di indebitamento potrebbero
diventare un problema anche a livello di sistema.
Per il momento, comunque, il livello di indebitamento delle famiglie Italiane, sebbene cresciuto ad un tasso medio annuo
dell’8% circa negli ultimi 17 anni, sembra attestarsi ancora su livelli sostenibili, soprattutto se confrontato con il PIL nazionale
o il reddito disponibile delle famiglie.
La Figura 13 mostra il debito delle famiglie come quota del reddito disponibile.
Lo stock di debito italiano, pur essendo passato dal 37% del 1995 all’85% nel 2011 con le nostre stime interne che indicano
un ulteriore incremento all’88% per il 2012, resta comunque ancora al di sotto della soglia psicologica del 100%. Questo
significa che il reddito complessivo disponibile di un solo anno è più che in grado di ripagare tutto lo stock di debito contratto
fino a quel momento dalle famiglie. Tra l’altro, l’Italia risulta essere il paese con il più basso livello di indebitamento in
percentuale al reddito disponibile (insieme alla Germania), mentre paesi come Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, pur avendo
intrapreso un cammino verso il risanamento dopo la crisi del 2008, mostrano ancora un coefficiente ben al di sopra del 100%
(per il Regno Unito siamo a oltre il 150%).
Figura 13: 200%
Stock di debito delle 180%
famiglie in % al reddito
in % al reddito lordo disponibile
160%
disponibile 140%
120%
100%
80%
60%
40%
20%
0%
95
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
20 1
E
1
12
20
19
19
19
19
19
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
20
Fonte: Elaborazione UniCredit/Pioneer In- Francia Germania Italia
vestments su dati Eurostat, OECD, Banche Spagna Regno Unito USA
Centrali ed Istituti di statistica nazionali
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28. Un’altra preoccupazione fondata è quella legata alle pensioni.
Con uno Stato sempre meno generoso verso i futuri pensionati, i lavoratori sono ora chiamati a pensare a come integrare
i propri redditi futuri da pensione e, se non avranno accumulato adeguate risorse a scopi previdenziali, una volta usciti dal
mercato del lavoro saranno costretti a ridurre fortemente le loro abitudini di consumo, con tutte le ovvie conseguenze sul
benessere e la qualità delle loro vite.
La consapevolezza che si debba fare qualcosa sembra esserci. Gli italiani lo sanno. Sanno che dovrebbero accantonare nuove
risorse per la pensione, eppure poco o nulla sembra essere stato fatto. Tutto sembra venir procrastinato ad un indefinito
tempo futuro.
Secondo un’indagine condotta da UniCredit/Pioneer Investments sulla propria clientela già nel 2006 circa il 63% degli
intervistati con meno di 35 anni dichiarava di essere preoccupato per il benessere economico una volta raggiunta l’età della
pensione e più o meno la stessa percentuale di persone includeva tra le motivazioni del risparmio quella di integrare la
pensione pubblica.
Ma quando si guarda ai fatti le cose appaiono ben diverse.
I dati rilasciati di recente dalla COVIP indicano come a fine giugno 2012 il numero di iscritti ai fondi pensione fosse pari a
circa 5,7 milioni di individui (di cui 4,1 milioni circa appartenenti al settore privato), equivalenti solo al 24% degli occupati.
Tra l’altro, il tasso di partecipazione risulta essere molto basso soprattutto tra i giovani, che invece dovrebbero essere quelli
maggiormente sensibili al problema. A fine 2011 solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni era, infatti, iscritto ad una
forma di previdenza complementare, mentre la quota saliva al 26,8% per i lavoratori tra i 35 e 44 anni e al 35% per quelli
tra i 45 e 64 anni13.
Relazione annuale 2011 COVIP.
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