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GIOVEDÌ 6 AGOSTO 2015 il manifesto pagina
Gli Stati uniti cercano di trarre il massi-
mo vantaggio dal fatto che, in quel mo-
mento, sono gli unici a possedere l’ar-
ma atomica. Appena un mese dopo il bombar-
damento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, al
Pentagono già calcolanoche occorrerebbero ol-
tre 200 bombe nucleari contro un nemico co-
me l’Urss. Gli Usa hanno già 11 bombe quan-
do, il 5 marzo 1946, il discorso di Winston Chur-
chill sulla «cortina di ferro» apre ufficialmente
la guerra fredda. Nel 1949 gli Stati uniti hanno
abbastanza atomiche (oltre 200) da attaccare
l’Unione sovietica che però, nello stesso anno,
effettua la sua prima esplosione sperimentale.
Comincia la corsa agli armamenti nucleari.
Il vantaggio a favore dell’ ccidente cresce
quando, nel 1952, la Gran Bretagna effettua la
sua prima esplosione nucleare. Nel 1960 la
Francia fa esplodere la sua prima bomba al plu-
tonio. Inizia in questo periodo lo schieramento
dei più micidiali vettori nucleari: i missili bali-
sticiintercontinentali. Negli anni Sessanta, i pa-
esi dotati di armi nucleari passano da quattro a
sei: la Cina fa esplodere la sua prima bomba
nel 1964 Israele comincia a produrre segreta-
mente armi nucleari probabilmente nel 1966.
Negli anni Settanta, i paesi in possesso di armi
nucleari aumentano da sei a otto: l’India effet-
tua il suo primo test nel 1974 il Sudafrica effet-
tua segretamente un test congiunto con Israele
nel 1979. Inoltre, nel 1998, il Pakistan ammette-
rà di possedere armi nucleari, precedentemen-
te costruite.
Dal 1945 al 1991, l’anno in cui la disgregazio-
ne dell’Urss segna la fine della guerra fredda,
vengono fabbricate circa 130mila testate nucle-
ari: 70mila dagli Stati uniti, 55mila dall’Unione
sovietica. Altre 5mila vengono fabbricate da
Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India,
Pakistan e Sudafrica. Successivamente, dal
«club nucleare» esce il Sudafrica, ma vi entra la
Corea del Nord.
Mentre il clima della guerra fredda comincia
a cambiare, Usa e Urss firmano nel 1987 il Trat-
tato sulle forze nucleari intermedie, che elimi-
na i Pershing 2 e i Cruise statunitensi schierati
in Europa occidentale, anche a Comiso, e gli
SS-20 schierati sul territorio sovietico. Questo
importante risultato è dovuto principalmente
all’«offensiva del disarmo» lanciata dall’Unio-
ne sovietica di Gorbaciov: il 15 gennaio 1986,
essa propone di attuare un programma com-
plessivo per la messa al bando delle armi nucle-
ari entro il 2000. Se gli Stati uniti accettassero
tale proposta, si avvierebbe un reale processo
di disarmo. A Washington approfittano invece
della disgregazione dell’Urss edella conseguen-
te crisi russa per acquisire nei confronti di Mo-
sca un crescente vantaggio anche nel campo
delle forze nucleari. Trattati come lo Start I, fir-
mato nel 1991, stabiliscono delle riduzioni
quantitative degli arsenali nucleari, ma rendo-
no possibile il loro ammodernamento. Campo
in cui gli Usa pensano di poter prevalere, men-
tre a un certo punto si trovano di fronte una
Russiache hadi nuovola capacità diammoder-
nare il proprio arsenale. Washinngton rilancia
così il programma nucleare militare, investen-
dovi miliardi di dollari.
Si arriva così alla situazione odierna. Secon-
do la Federazione degli scienziati americani,
gli Usa mantengono 1.920 testate nucleari stra-
tegiche pronte al lancio (su un totale di 7.300),
in confronto alle 1.600 russe (su 8.000). Com-
prese quelle francesi e britanniche, le forze nu-
cleari Nato dispongono di circa 8.000 testate
nucleari, di cui 2.370 pronte al lancio. Aggiun-
gendo quelle cinesi, pachistane, indiane, israe-
liane e nordcoreane, il numero totale delle te-
state nucleari viene stimato in 16300, di cui
4.350 pronte al lancio. Sono stime approssima-
tive per difetto, in quanto nessuno sa esatta-
mente quante testate nucleari vi siano in cia-
scun arsenale. E la corsa agli armamenti nucle-
ari prosegue con la continua modernizzazione
degli arsenali e la possibilità che altri paesi, an-
che firmatari del Tnp, li costruiscano. Per que-
sto la lancetta dell’« rologio dell’apocalisse», il
segnatempo simbolico che sul Bulletin of the
Atomic Scientists indica a quanti minuti siamo
dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata
spostata da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mez-
zanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in
piena guerra fredda. Quello che scientificamen-
te si sa è che, se la lancetta arrivasse a mezza-
notte, suonerebbe l’ora della fine dell’umanità.
Marco appa
TO O
U
n’ombra, impressa per
sempre sulla pietra degli
scalini d’ingresso della filia-
le locale della banca Sumitomo. È
questo uno degli oggetti più rap-
presentativi dell’esposizione per-
manente del Museo del memoria-
le della Pace di Hiroshima, Giappo-
ne sudoccidentale, prima città su
cui venne sganciata una bomba
atomica nella storia dell’umanità,
la memoria visibile di quanto acca-
duto negli ultimi giorni della guer-
ra del Pacifico.
Settant’anni. Tanti ne sono pas-
sati dal 6 agosto 1945. Il Little Boy,
questo il soprannome dell’ordi-
gno che distrusse gran parte della
città facendo oltre 150 mila vitti-
me, in maggioranza civili. Circa
80mila di loro furono uccisi sul col-
po. Scomparvero in un attimo, pri-
ma di poter rendersi conto di
quanto stava succedendo. Di quel
giorno, Hiroshima non porta mol-
te tracce. La Gembaku Dome è pe-
rò ancora lì, esattamente come al-
le 8:15 del 6 agosto di settant’anni
fa, non lontano dal vero obiettivo
dell’Enola Gay, il ponte di Aioi,
con la sua riconoscibile forma a T.
Il suono basso di una campana ac-
compagna l’avvicinarsi dei mezzi
pubblici a questo luogo, oggi patri-
monio dell’umanità dell’Unesco.
Gran parte della struttura origina-
le dell’edificio è ancora intatta. Le
finestre vuote e la cupola di cui ri-
mane solo la struttura portante di
metallo danno all’edificio, prima
della bomba un centro di esposi-
zione industriale del governo della
provincia di Hiroshima, un aspet-
to spettrale. Secondo il sito di viag-
gi Tripadvisor, è una delle mete tu-
ristiche più popolari del paese arci-
pelago. Qualcuno lo inserisce poi
tra le principali mete mondiali del
turismo nero, o turismo del lutto:
dai campi di sterminio tra Germa-
nia e Polonia fino a Ground ero a
New York.
a s essa ora i i le o
gni 6 agosto a pochi metri dal-
la cupola, decine di migliaia di per-
sone si riuniscono a partire dalla
prima mattina. Alle 8:15, lo stesso
orario in cui Little Boy venne sgan-
ciato su Hiroshima, si tiene un mi-
nuto di silenzio per le vittime di
quella bomba. Intanto, in un bra-
ciere al centro del parco del memo-
riale, una fiammella continua a
bruciare. Sarà spenta solo quando
l’ultima arma nucleare sarà di-
smessa.
Il settantesimo anniversario del-
lo sgancio della bomba atomica su
Hiroshima seguito a distanza di
una decina di giorni da quello del-
la fine della guerra del Pacifico arri-
vano in un momento delicato per
il futuro del paese arcipelago. Da
pochi giorni, la proposta di legge
che amplia le capacità di interven-
to delle forze di autodifesa giappo-
nesi all’estero è entrata nella Ca-
mera alta della Dieta nazionale,
per un’ultima tornata di discussio-
ni prima del voto parlamentare. Il
governo guidato da Shinzo Abe
vuole trasformare le proposte in
legge entro fine settembre. Tali
modifiche andrebbero a modifica-
re il Trattato di sicurezza e mutua
cooperazione con gli Stati Uniti,
firmato in prima istanza nel 1960 e
permetterebbero al governo di ag-
girare l’articolo 9 della costituzio-
ne - che sancisce la rinuncia eter-
na del Giappone alla guerra - in ca-
so di richieste di aiuto militare da
parte di paesi alleati e amici.
«I giapponesi sono tra i popoli
che più al mondo amano combat-
tere» spiega con una provoca-
zione Tatsuoki Hosono, regista e
docente del Japan Institute of the
Moving Image al manifesto. Hoso-
no cita il periodo Sengoku
(1467-1603), un’epoca caratterizza-
ta da continue guerre intestine tra
signori della guerra locali. «Ridare
loro la possibilità di prendere le ar-
mi è una cosa irresponsabile».
Dalle associazioni pacifiste, alle
associazioni di madri dagli studen-
ti di liceo a quelli delle università,
la società civile giapponese vive
un momento di intensa mobilita-
zione. Manifestazioni e proteste si
tengono a cadenza costante arri-
vando in alcuni dei luoghi più vita-
li e frequentati della metropoli, co-
me le stazioni di Shinjuku, Shibu-
ya e Yurakucho. In qualche caso
contenute, in altri piuttosto am-
pie. Il giorno dell’approvazione
delle nuove leggi di sicurezza in
parlamento, lo scorso 15 luglio, ol-
tre 20mila persone si sono raduna-
te nelle strade intorno al parlamen-
to per chiedere le dimissioni del
primo ministro Abe, accusato di
ignorare la costituzione e di mette-
re a rischio le vite dei suoi concitta-
dini.
a pace conce o supera o
La pace sembra - almeno a livel-
lo della leadership nazionale - un
concetto superato. «I giapponesi
non concepiscono più sovranità
popolare, diritti umani e pacifi-
smo come propri della loro menta-
lità», ha scritto Takaya Muto, 33en-
ne parlamentare del partito attual-
mente al governo sul proprio blog.
Ma non a livello della società civile
le cose sembrano non stare pro-
prio così. Qualche giorno prima,
Muto aveva attaccato gli studenti
che sono scesi in piazza per prote-
stare contro le «leggi di guerra» del
governo Abe.
Eppure non tutti la pensano co-
sì. «È positivo - spiega Hosono -
che anche gli studenti siano scesi
in piazza». I più giovani, in partico-
lare, sono cresciuti con le manife-
stazioni, in particolare quelle con-
tro il nucleare partite all’indomani
dell’incidente nucleare di Fukushi-
ma nel 2011.
Alle celebrazioni di Hiroshima
ci sarà anche una rappresentanza
dei SEALDs, il gruppo studentesco
animatore nelle ultime settimane
delle proteste contro le cosiddette
«leggi di guerra» di Abe davanti al
parlamento di Tokyo. « ggi è un
giorno particolare per i giappone-
si. - spiega al mani esto uno dei
rappresentanti del gruppo - Men-
tre in questi giorni in parlamento
si discute delle nuove leggi di sicu-
rezza, cerchiamo di far diventare
settant’anni di pace un’eternità.
Non vogliamo una nuova guerra».
Lo scorso anno, il sindaco di Hiro-
shima Kazumi Matsui aveva usato
parole simili per invitare i leader
delle principali potenze mondiali
a visitare la sua città.
i en icare u ushi a
Matsui non si era rivolto diretta-
mente al premier giapponese, pre-
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ci aveva letto un sottile ammoni-
mento. «Se lo faceste, capireste
che le armi nucleari sono il male
assoluto la cui esistenza dovrebbe
non essere più permessa».
Ironicamen-
te, un giorno
dopo l’anniver-
sario della se-
conda bomba
atomica ameri-
cana su Naga-
saki, uno dei
duereattori del-
la centrale nu-
cleare di Satsu-
ma Sendai,
n e l l ’ i s o l a
sudoccidentale
del Kyushu, tor-
nerà in servizio
dopo più di
due anni di nu-
cleare zero.
Come nel caso degli hi a usha,
le persone esposte alle radiazioni
emesse dall’esplosione della bom-
be nucleari di Hiroshima e Naga-
saki, ogni anno sempre di meno
nel 2014 erano in circa 190mila
anche la memoria di quanto
successo più di quattro anni fa a
Fukushima rischia oggi di essere
dimenticata. Il tentativo di rilancia-
re l’economia, l’assegnazione del-
le limpiadi 2020 e le leggi di sicu-
rezza hanno gradualmente sposta-
to l’attenzione dell’opinione pub-
blica giapponese verso temi diver-
si dalla situazione alla centrale nu-
cleare numero uno di Fukushima.
«La memoria va costruita, non è
qualcosa che esiste a priori», spie-
ga al mani esto Eiji guma, storico
e sociologo dell’Università Keio di
Tokyo. «Anche nel caso di Hiroshi-
ma ci vollero quasi dieci anni pri-
ma che le immagini dell’esplosio-
ne nucleare potessero essere diffu-
se sulla stampa. Prima la censura
dell’occupazione americana lo
aveva proibito». Il 5 agosto, gu-
ma ha presentato al club dei corri-
spondenti esteri di Tokyo il suo pri-
mo film « ell the rime inister»
dedicato alle proteste no nuke par-
tite nel 2011 in seguito all’inciden-
te nucleare di Fukushima. La pelli-
cola narra gli eventi seguiti all’inci-
dente nucleare vengono racconta-
ti attraverso la voce di otto perso-
naggi, di estrazione e credo politi-
co diversi, dagli attivisti del colletti-
vo antinuclearista Metropolitan
Coalition Against Nukes, all’ex pri-
mo ministro Naoto Kan. Anche
nell’opera di guma, uno degli in-
tellettuali più attivi della sua gene-
razione, i temi di nucleare e guerra
si intrecciano. Da poco è stato pub-
blicato un libro che ricorda la vi-
cenda del padre, Kenji, inviato a
combattere in Siberia e tornato vi-
vo in patria. «In particolare in un
periodo in cui la società giappone-
se rimane frammentata, la mia
idea è costruire un consenso sul fu-
turo del paese, una visione di lun-
go periodo».
Per questo, bisogna evitare che
la memoria storica di fatti lontani
e recenti si assottigli. Proprio co-
me l’ombra dell’uomo sugli scali-
ni della banca Sumitomo di Hiro-
shima.
iroshima
aperte
OTO GRANDE E SOTTO, AM INI AL MEMORIALE DI IROS IMA A DESTRA, PA ICISTI IERI SEMPRE A IROS IMA LAPRESSE

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Inizia in questo periodo lo schieramento dei più micidiali vettori nucleari: i missili bali- sticiintercontinentali. Negli anni Sessanta, i pa- esi dotati di armi nucleari passano da quattro a sei: la Cina fa esplodere la sua prima bomba nel 1964 Israele comincia a produrre segreta- mente armi nucleari probabilmente nel 1966. Negli anni Settanta, i paesi in possesso di armi nucleari aumentano da sei a otto: l’India effet- tua il suo primo test nel 1974 il Sudafrica effet- tua segretamente un test congiunto con Israele nel 1979. Inoltre, nel 1998, il Pakistan ammette- rà di possedere armi nucleari, precedentemen- te costruite. Dal 1945 al 1991, l’anno in cui la disgregazio- ne dell’Urss segna la fine della guerra fredda, vengono fabbricate circa 130mila testate nucle- ari: 70mila dagli Stati uniti, 55mila dall’Unione sovietica. Altre 5mila vengono fabbricate da Gran Bretagna, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Sudafrica. Successivamente, dal «club nucleare» esce il Sudafrica, ma vi entra la Corea del Nord. Mentre il clima della guerra fredda comincia a cambiare, Usa e Urss firmano nel 1987 il Trat- tato sulle forze nucleari intermedie, che elimi- na i Pershing 2 e i Cruise statunitensi schierati in Europa occidentale, anche a Comiso, e gli SS-20 schierati sul territorio sovietico. Questo importante risultato è dovuto principalmente all’«offensiva del disarmo» lanciata dall’Unio- ne sovietica di Gorbaciov: il 15 gennaio 1986, essa propone di attuare un programma com- plessivo per la messa al bando delle armi nucle- ari entro il 2000. Se gli Stati uniti accettassero tale proposta, si avvierebbe un reale processo di disarmo. A Washington approfittano invece della disgregazione dell’Urss edella conseguen- te crisi russa per acquisire nei confronti di Mo- sca un crescente vantaggio anche nel campo delle forze nucleari. Trattati come lo Start I, fir- mato nel 1991, stabiliscono delle riduzioni quantitative degli arsenali nucleari, ma rendo- no possibile il loro ammodernamento. Campo in cui gli Usa pensano di poter prevalere, men- tre a un certo punto si trovano di fronte una Russiache hadi nuovola capacità diammoder- nare il proprio arsenale. Washinngton rilancia così il programma nucleare militare, investen- dovi miliardi di dollari. Si arriva così alla situazione odierna. Secon- do la Federazione degli scienziati americani, gli Usa mantengono 1.920 testate nucleari stra- tegiche pronte al lancio (su un totale di 7.300), in confronto alle 1.600 russe (su 8.000). Com- prese quelle francesi e britanniche, le forze nu- cleari Nato dispongono di circa 8.000 testate nucleari, di cui 2.370 pronte al lancio. Aggiun- gendo quelle cinesi, pachistane, indiane, israe- liane e nordcoreane, il numero totale delle te- state nucleari viene stimato in 16300, di cui 4.350 pronte al lancio. Sono stime approssima- tive per difetto, in quanto nessuno sa esatta- mente quante testate nucleari vi siano in cia- scun arsenale. E la corsa agli armamenti nucle- ari prosegue con la continua modernizzazione degli arsenali e la possibilità che altri paesi, an- che firmatari del Tnp, li costruiscano. Per que- sto la lancetta dell’« rologio dell’apocalisse», il segnatempo simbolico che sul Bulletin of the Atomic Scientists indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mez- zanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Quello che scientificamen- te si sa è che, se la lancetta arrivasse a mezza- notte, suonerebbe l’ora della fine dell’umanità. Marco appa TO O U n’ombra, impressa per sempre sulla pietra degli scalini d’ingresso della filia- le locale della banca Sumitomo. È questo uno degli oggetti più rap- presentativi dell’esposizione per- manente del Museo del memoria- le della Pace di Hiroshima, Giappo- ne sudoccidentale, prima città su cui venne sganciata una bomba atomica nella storia dell’umanità, la memoria visibile di quanto acca- duto negli ultimi giorni della guer- ra del Pacifico. Settant’anni. Tanti ne sono pas- sati dal 6 agosto 1945. Il Little Boy, questo il soprannome dell’ordi- gno che distrusse gran parte della città facendo oltre 150 mila vitti- me, in maggioranza civili. Circa 80mila di loro furono uccisi sul col- po. Scomparvero in un attimo, pri- ma di poter rendersi conto di quanto stava succedendo. Di quel giorno, Hiroshima non porta mol- te tracce. La Gembaku Dome è pe- rò ancora lì, esattamente come al- le 8:15 del 6 agosto di settant’anni fa, non lontano dal vero obiettivo dell’Enola Gay, il ponte di Aioi, con la sua riconoscibile forma a T. Il suono basso di una campana ac- compagna l’avvicinarsi dei mezzi pubblici a questo luogo, oggi patri- monio dell’umanità dell’Unesco. Gran parte della struttura origina- le dell’edificio è ancora intatta. Le finestre vuote e la cupola di cui ri- mane solo la struttura portante di metallo danno all’edificio, prima della bomba un centro di esposi- zione industriale del governo della provincia di Hiroshima, un aspet- to spettrale. Secondo il sito di viag- gi Tripadvisor, è una delle mete tu- ristiche più popolari del paese arci- pelago. Qualcuno lo inserisce poi tra le principali mete mondiali del turismo nero, o turismo del lutto: dai campi di sterminio tra Germa- nia e Polonia fino a Ground ero a New York. a s essa ora i i le o gni 6 agosto a pochi metri dal- la cupola, decine di migliaia di per- sone si riuniscono a partire dalla prima mattina. Alle 8:15, lo stesso orario in cui Little Boy venne sgan- ciato su Hiroshima, si tiene un mi- nuto di silenzio per le vittime di quella bomba. Intanto, in un bra- ciere al centro del parco del memo- riale, una fiammella continua a bruciare. Sarà spenta solo quando l’ultima arma nucleare sarà di- smessa. Il settantesimo anniversario del- lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima seguito a distanza di una decina di giorni da quello del- la fine della guerra del Pacifico arri- vano in un momento delicato per il futuro del paese arcipelago. Da pochi giorni, la proposta di legge che amplia le capacità di interven- to delle forze di autodifesa giappo- nesi all’estero è entrata nella Ca- mera alta della Dieta nazionale, per un’ultima tornata di discussio- ni prima del voto parlamentare. Il governo guidato da Shinzo Abe vuole trasformare le proposte in legge entro fine settembre. Tali modifiche andrebbero a modifica- re il Trattato di sicurezza e mutua cooperazione con gli Stati Uniti, firmato in prima istanza nel 1960 e permetterebbero al governo di ag- girare l’articolo 9 della costituzio- ne - che sancisce la rinuncia eter- na del Giappone alla guerra - in ca- so di richieste di aiuto militare da parte di paesi alleati e amici. «I giapponesi sono tra i popoli che più al mondo amano combat- tere» spiega con una provoca- zione Tatsuoki Hosono, regista e docente del Japan Institute of the Moving Image al manifesto. Hoso- no cita il periodo Sengoku (1467-1603), un’epoca caratterizza- ta da continue guerre intestine tra signori della guerra locali. «Ridare loro la possibilità di prendere le ar- mi è una cosa irresponsabile». Dalle associazioni pacifiste, alle associazioni di madri dagli studen- ti di liceo a quelli delle università, la società civile giapponese vive un momento di intensa mobilita- zione. Manifestazioni e proteste si tengono a cadenza costante arri- vando in alcuni dei luoghi più vita- li e frequentati della metropoli, co- me le stazioni di Shinjuku, Shibu- ya e Yurakucho. In qualche caso contenute, in altri piuttosto am- pie. Il giorno dell’approvazione delle nuove leggi di sicurezza in parlamento, lo scorso 15 luglio, ol- tre 20mila persone si sono raduna- te nelle strade intorno al parlamen- to per chiedere le dimissioni del primo ministro Abe, accusato di ignorare la costituzione e di mette- re a rischio le vite dei suoi concitta- dini. a pace conce o supera o La pace sembra - almeno a livel- lo della leadership nazionale - un concetto superato. «I giapponesi non concepiscono più sovranità popolare, diritti umani e pacifi- smo come propri della loro menta- lità», ha scritto Takaya Muto, 33en- ne parlamentare del partito attual- mente al governo sul proprio blog. Ma non a livello della società civile le cose sembrano non stare pro- prio così. Qualche giorno prima, Muto aveva attaccato gli studenti che sono scesi in piazza per prote- stare contro le «leggi di guerra» del governo Abe. Eppure non tutti la pensano co- sì. «È positivo - spiega Hosono - che anche gli studenti siano scesi in piazza». I più giovani, in partico- lare, sono cresciuti con le manife- stazioni, in particolare quelle con- tro il nucleare partite all’indomani dell’incidente nucleare di Fukushi- ma nel 2011. Alle celebrazioni di Hiroshima ci sarà anche una rappresentanza dei SEALDs, il gruppo studentesco animatore nelle ultime settimane delle proteste contro le cosiddette «leggi di guerra» di Abe davanti al parlamento di Tokyo. « ggi è un giorno particolare per i giappone- si. - spiega al mani esto uno dei rappresentanti del gruppo - Men- tre in questi giorni in parlamento si discute delle nuove leggi di sicu- rezza, cerchiamo di far diventare settant’anni di pace un’eternità. Non vogliamo una nuova guerra». Lo scorso anno, il sindaco di Hiro- shima Kazumi Matsui aveva usato parole simili per invitare i leader delle principali potenze mondiali a visitare la sua città. i en icare u ushi a Matsui non si era rivolto diretta- mente al premier giapponese, pre- sente alla cerimonia. Ma qualcuno ci aveva letto un sottile ammoni- mento. «Se lo faceste, capireste che le armi nucleari sono il male assoluto la cui esistenza dovrebbe non essere più permessa». Ironicamen- te, un giorno dopo l’anniver- sario della se- conda bomba atomica ameri- cana su Naga- saki, uno dei duereattori del- la centrale nu- cleare di Satsu- ma Sendai, n e l l ’ i s o l a sudoccidentale del Kyushu, tor- nerà in servizio dopo più di due anni di nu- cleare zero. Come nel caso degli hi a usha, le persone esposte alle radiazioni emesse dall’esplosione della bom- be nucleari di Hiroshima e Naga- saki, ogni anno sempre di meno nel 2014 erano in circa 190mila anche la memoria di quanto successo più di quattro anni fa a Fukushima rischia oggi di essere dimenticata. Il tentativo di rilancia- re l’economia, l’assegnazione del- le limpiadi 2020 e le leggi di sicu- rezza hanno gradualmente sposta- to l’attenzione dell’opinione pub- blica giapponese verso temi diver- si dalla situazione alla centrale nu- cleare numero uno di Fukushima. «La memoria va costruita, non è qualcosa che esiste a priori», spie- ga al mani esto Eiji guma, storico e sociologo dell’Università Keio di Tokyo. «Anche nel caso di Hiroshi- ma ci vollero quasi dieci anni pri- ma che le immagini dell’esplosio- ne nucleare potessero essere diffu- se sulla stampa. Prima la censura dell’occupazione americana lo aveva proibito». Il 5 agosto, gu- ma ha presentato al club dei corri- spondenti esteri di Tokyo il suo pri- mo film « ell the rime inister» dedicato alle proteste no nuke par- tite nel 2011 in seguito all’inciden- te nucleare di Fukushima. La pelli- cola narra gli eventi seguiti all’inci- dente nucleare vengono racconta- ti attraverso la voce di otto perso- naggi, di estrazione e credo politi- co diversi, dagli attivisti del colletti- vo antinuclearista Metropolitan Coalition Against Nukes, all’ex pri- mo ministro Naoto Kan. Anche nell’opera di guma, uno degli in- tellettuali più attivi della sua gene- razione, i temi di nucleare e guerra si intrecciano. Da poco è stato pub- blicato un libro che ricorda la vi- cenda del padre, Kenji, inviato a combattere in Siberia e tornato vi- vo in patria. «In particolare in un periodo in cui la società giappone- se rimane frammentata, la mia idea è costruire un consenso sul fu- turo del paese, una visione di lun- go periodo». Per questo, bisogna evitare che la memoria storica di fatti lontani e recenti si assottigli. Proprio co- me l’ombra dell’uomo sugli scali- ni della banca Sumitomo di Hiro- shima. iroshima aperte OTO GRANDE E SOTTO, AM INI AL MEMORIALE DI IROS IMA A DESTRA, PA ICISTI IERI SEMPRE A IROS IMA LAPRESSE