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1
Introduzione
La valutazione dei servizi e delle politiche sociali negli ultimi anni è
sempre più richiesta e costituisce un ambito di grande dibattito.
L'Italia, però, si è inserita in questo frame con un notevole ritardo
rispetto agli altri paesi europei e agli Stati Uniti: nel nostro paese,
infatti, si è cominciato a parlare di valutazione solo in anni recenti e
inizialmente si era intesa in un'ottica di tipo programmatorio. Infatti, gli
obblighi normativi, soprattutto dettati da strutture di governo
sovrastatali, in Italia si sono inizialmente concretizzati in valutazioni di
corrispondenza tra l'intervento previsto a livello normativo e la sua
attuazione, dimostrando contestualmente poca attenzione agli aspetti
metodologici e scientifici della ricerca [Altieri, 2009].
La crisi del welfare state, da un lato, e la legislazione europea, dall'altro,
hanno creato le condizioni di indispensabilità della valutazione. Infatti,
se da una parte la crescente complessità sociale ha reso sempre meno
credibile e meritevole di fiducia un approccio razionale e sinottico in
riferimento alle politiche sociali a causa dell'emergente differenziazione
dei bisogni e la scarsezza delle risorse; dall'altro i dettami normativi
esplicitano e obbligano i soggetti coinvolti a sottoporsi e a sottoporre i
propri progetti, i propri programmi e le proprie politiche a controllo di
valutazione [Ciucci, 2008; Rissotto Alvaro e Rebonato, 2006].
Un aspetto non trascurabile, tra le ragioni che hanno permesso alla
valutazione di ottenere maggiore considerazione, è rappresentato dal
fenomeno, squisitamente politico, dell'erosione della legittimazione dei
poteri pubblici a cui corrisponde il crescente rilievo attribuito alla
capacità dei servizi pubblici di rispondere in modo adeguato ai bisogni
dei cittadini. In sostanza, la legittimazione dell'operato dei politici e
degli amministratori è sempre più direttamente collegabile al buon esito
delle loro azioni piuttosto che dal mandato che è stato loro conferito
[Risotto Alvaro Rebonato, 2006]. La diretta conseguenza è che la
2
valutazione, in questo contesto, assume un ruolo cruciale ossia
strumento capace di giustificare l'azione pubblica agli occhi dei cittadini.
Per altro verso, si assiste a una sempre più articolato intrecci di
relazioni che legano i diversi attori sociali coinvolti nella realizzazione
delle politiche sociali e dei servizi, ciascuno portatore della propria
identità e del proprio linguaggio [Donati, 2000]. Questa articolazione
societaria ha provocato l'innestarsi di diversi processi, istituzionali e
non, che hanno realizzato una differente regolazione nel settore. Per
fare solo alcuni esempi: il passaggio dal government alla governance
come logica programmatoria [Kasepov e Carbone, 2007];
l'istituzionalizzazione di forme partecipative all'interno dei processi
decisionali di policy [Paci, 2008]; la crescente e ormai consolidata
esperienza del Terzo Settore nell'erogazione e nella gestione dei servizi
[Colozzi e Prandini, 2008].
Anche all'interno dello stesso ambito disciplinare, oltre allo sviluppo e
crescita di sapere tecnico-scientifico e quindi anche di esperienze sul
campo e documentazione, si è assistito negli anni a una diversificazione
di approcci e allo sviluppo di nuove tecniche1
, oltre che al miglioramento
di quelle già note [Palumbo, 2001; Altieri, 2009]. In letteratura, infatti,
si distinguono tre principali approcci [Palumbo, 2001]:
 nell'approccio positivista-sperimentale (maggiori esponenti
Hyman, Suchman, Campbell, Rossi e Freeman, Chen) la finalità
della valutazione è di constatare la coerenza tra gli obiettivi
prefissati e i risultati raggiunti. I metodi utilizzati prevalentemente
sono gli esperimenti e quasi esperimenti2
e il quadro logico3
. Lo
1
Un esempio tra i tanti possibili è rappresentato dalle interviste via chat.
2
Si tratta di disegni di ricerca la cui finalità è la valutazione. Si articolano nelle
classiche fasi della ricerca positivista: costruzione di ipotesi, esperimento, verifica
delle ipotesi. I primi si avvalgono di campioni randomizzati allo scopo di isolare gli
effetti dell'esperimento da altri fattori, i secondi no. Le tecniche utilizzate in questi
ultimi, per supplire all'assenza di randomizzazione, si avvalgono di una logica
longitudinale, poco praticabile nell'altro caso [Altieri, 2009].
3
strumento principe è il sondaggio. La valutazione è considerata
come strumentale per la decisione politica.
 Nell'approccio pragmatista-qualità (maggiori esponenti Scriven,
Wholey, Donabedian, la tradizione del New Public Management) la
finalità della valutazione è di verificare il livello di qualità
dell'oggetto in analisi. I metodi utilizzati si rifanno alla "logica di
valutare" di Scriven4
e all'analisi multicriteri5
. Le tecniche
utilizzate sono principalmente l'analisi della soddisfazione degli
utenti e il giudizio degli esperti. La valutazione considerata come
strumentale per la gestione e il funzionamento
dell'amministrazione.
 Nell'approccio costruttivista-processo sociale (maggiori esponenti
Stake, Guba e Lincoln, Cronbach, Patton, Feterman, Hirschman,
Tendler) la finalità della valutazione è analizzare e comprendere i
processi e le azioni innescati dalla politica o dal servizio. I metodi
principali di indagine sono l'analisi comparativa, l'esplorazione e
l'analisi partecipata. Gli strumenti utilizzati sono studi di caso,
interviste, focus group, osservazioni. La valutazione è quindi
utilizzata come indagine conoscitiva e come strumento di
empowerment in particolare per progetti pilota o esperienze
innovative.
3
È uno strumento di project management utilizzato anche dall'Unione Europea non
solo nell'ambito della cooperazione internazionale, dei progetti di sviluppo ma anche
per tutte le sfere della progettazione. Il Quadro Logico è una matrice di
progettazione utile per definire i diversi elementi che lo compongono e per
visualizzarli in modo efficace. Per approfondimenti si rimanda a Bussi F., Progettare
in partenariato. Guida alla conduzione di gruppi di lavoro con il metodo GOPP,
FrancoAngeli, Milano, 2001.
4
Secondo l'autore questo modo di procedere somiglia a quello utilizzato dalle
associazioni dei consumatori per valutare la qualità dei prodotti. La "logica del
valutare" si compone delle fasi di: stabilire criteri di merito e standard, misurare la
performance dei singoli programmi, dare un punteggio, ordinare più programmi in
una graduatoria, sintetizzare i risultati di giudizio finale di valore [Palumbo, 2001].
5
Argomento trattato nel capitolo IV.
4
Il presente elaborato si propone di indicare un impianto valutativo di un
servizio in corso di progettazione, cercando di indicare un percorso che
si inspira, fondamentalmente, al terzo approccio ma che introduce
anche alcuni elementi del precedente e in particolare per ciò che
concerne la qualità percepita dal cliente.
Il progetto per la creazione dello sportello per migranti nasce
dall'incontro di due soggetti coinvolti, per motivi diversi, nel fenomeno
migratorio e in particolare di quello della comunità senegalese a
Catania. Infatti, in occasione di alcuni seminari formativi, la Facoltà di
Scienze Politiche di Catania ha invitato il Console Onorario del Senegal a
partecipare in veste di relatore. Il proficuo incontro ha reso possibile,
l'anno successivo, la creazione di un Master di II livello inerente ai diritti
dei migranti, esperienza ancora in corso.
Il continuo dialogo e scambio di idee tra i due soggetti ha fatto sì che
nascesse il progetto dello sportello multifunzionale per migranti a
Catania, con l'individuazione di una specifica popolazione target e cioè
la comunità senegalese presente a Catania, ma con l'ambizione, nel
tempo, di allargare l'accesso anche ad altri cittadini extracomunitari.
La proposta di impianto valutativo qui elaborata non si limita
all'elencazione delle tecniche e delle metodologie più idonee per
accertare la qualità e l'efficacia del servizio.
Infatti, nel primo capitolo si presenta un quadro analitico del contesto in
cui il servizio si inserisce e in particolare il quadro economico,
occupazionale e politico della città di Catania. Si affronta anche il tema
del fenomeno migratorio in Sicilia e a Catania, facendo emergere
caratteristiche peculiari e problematicità. Un vasto approfondimento è
dedicato all'analisi delle caratteristiche della comunità senegalese in
Italia e a Catania, non trascurando alcuni elementi storici, sociali e
politici del Senegal. Tale analisi di contesto è stata elaborata con lo
scopo di fungere da analisi preliminare alla progettazione
dell'intervento.
5
Nel secondo capitolo si affrontano più in profondità le motivazioni che
hanno mosso i soggetti promotori a proporre il progetto, le sue
caratteristiche e finalità, dimostrando la sua coerenza rispetto ai bisogni
della popolazione target e alle caratteristiche del contesto in cui si
inserisce.
Nel terzo capitolo si affrontano le questioni metodologiche relative
all'intervista in profondità, strumento utilizzato nell'indagine condotta al
fine di contestualizzare il progetto e sondare il livello di gradimento
dello stesso.
Nel quarto capitolo, infine, si articola una proposta di ricerca valutativa
adatta al servizio in questione, giustificando ogni scelta con metodo
scientifico ed evidenziando vantaggi e svantaggi di ogni singola tecnica
proposta.
6
Da terra di approdo a città dove vivere. Caratteristiche sociali,
economiche e politiche del territorio
1.1 Il contesto
Una particolare commistione di fattori ha reso Catania, nel tempo, una
méta più appetibile rispetto al passato per uomini e donne provenienti
da paesi a forte pressione migratoria. La sua posizione geografica, le
particolari caratteristiche socio - economiche e altri fattori demografici
sono le principali ragioni per le quali il fenomeno migratorio, seppur in
modo moderato, abbia acquisito carattere stanziale. Infatti, trent’anni
dopo l’arrivo dei primi migranti sul suolo etneo, la composizione e le
caratteristiche del fenomeno hanno assunto dimensione e valore di
rilievo, facendo emergere tutti i vantaggi e le criticità del caso.
A partire dagli anni settanta del secolo scorso, in assoluta coerenza con
le caratteristiche descritte dal modello di immigrazione del sud
dell’Europa, la Sicilia - e in particolare Catania – è diventata terra di
approdo per immigrati provenienti dal continente africano e da quello
asiatico. Inizialmente era deputata a essere esclusivamente luogo di
ingresso e di passaggio, ma in anni più recenti i dati sull’incidenza della
popolazione straniera indicano un aumento lieve ma costante della
popolazione residente.
Al primo gennaio 2010, risultano essere residenti 8619 stranieri nel
Comune di Catania, 23411 in tutta la provincia e 127310 nella regione.
Nel 2003 risultavano essere così distribuiti: 4260 nel Comune, 9527
nella provincia e 50890 nella Regione6
. A distanza di meno di un
decennio, la presenza di immigrati regolari è sostanzialmente
raddoppiata e, come è noto, questi dati non considerano una parte
6
Dati Istat.
7
significativa del fenomeno rappresentata dalle presenze irregolari e
clandestine.
L’incidenza sulla popolazione nella città di Catania è pari al 2,91% e
certamente non eguaglia i dati relativi ad altre grandi metropoli italiane
che si attestano al di sopra del 5% ma risulta essere un dato
interessante se confrontato con quelli relativi al capoluogo di regione
(2,76%) e alla regione stessa (2,52%).
Catania, infatti, ha subito radicali trasformazioni in campo economico e
del mercato del lavoro: la terziarizzazione dell’economia e i mutamenti
della domanda di lavoro hanno fatto sì che la città sia divenuta sede di
erogazione di servizi non solo della Provincia che presiede ma anche di
tutta la Sicilia orientale. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la
città ha vissuto una fase di effervescenza politica, economica e sociale
tale da determinare l’inversione del trend di declino della popolazione, la
ripresa di alcuni settori industriali, il varo di un Patto territoriale
finalizzato a un’operazione di recupero ambientale e di rilancio del
turismo. Contestualmente, la città ha conosciuto una stagione di grande
fermento culturale e di grande espansione dei servizi legati al settore
ricreativo e di intrattenimento, coniugando questo aspetto con
un’espansione parallela nel campo tecnologico attraverso la
localizzazione di imprese multinazionali di lavorazione del silicio e di
aziende specializzate nella produzione di nuovi servizi basati su Internet
e sulle telecomunicazioni. Si creano, quindi, gli spazi per una nuova
forza lavoro giovanile specializzata, poco propensa alla mobilità
territoriale e disposta ad accettare stipendi e condizioni di lavoro
inferiori a quelle dei colleghi del Nord d’Italia, sia per una forza lavoro
despecializzato disposta ad accettare bassi salari e poche tutele nel
settore del commercio e dei servizi.
Il territorio siciliano, considerando la sua storia più recente, è
rappresentativo delle peculiarità dello sviluppo e dei problemi del
Mezzogiorno: seppur il suo processo di modernizzazione sia stato
imponente e abbia investito fattori fondamentali, apportando
8
trasformazioni economiche, sociali, culturali e politiche, la regione non
sembra mostrare significative soluzioni a problemi sistemici che la
caratterizzano storicamente.
Il tasso d’occupazione basso, l’economia sommersa, la scarsa qualità
delle infrastrutture e dei servizi, la criminalità organizzata, la gestione
incauta e spesso al limite delle regole delle risorse pubbliche
rappresentano alcuni elementi persistenti in un quadro di innovazione
tecnologica e culturale.
Nell’ ultimo rapporto SVIMEZ [2010] si descrive un processo di
deterioramento in atto nel Mezzogiorno a causa delle ricadute della crisi
internazionale che è ancora in corso. Si delinea un quadro in cui sembra
crescere il divario tra le aree deboli e le aree forti del paese e una
possibilità di uscita è quella di attuare un processo di ristrutturazione
dell’apparato produttivo meridionale accompagnato da politiche di
sviluppo efficaci per affrontare i nuovi scenari che si profileranno alla
fine della crisi.
In tutti i settori produttivi, il Mezzogiorno ha registrato una flessione
maggiore rispetto al Centro – Nord; unica àncora di salvezza è il settore
dei servizi, che ha un peso strutturale maggiore nell’area, che è stato
meno colpito. Tuttavia, la contrazione dell’occupazione e dei consumi è
percentualmente più elevata rispetto al Centro – Nord.
Un’altra peculiarità emersa è la debolezza di un sistema di Welfare e di
ammortizzatori sociali che al Centro – Nord riescono ad assicurare livelli
discreti di protezione mentre nel Mezzogiorno livelli assai inferiori.
Queste asimmetrie determinano l’aggravamento delle condizioni di
alcune categorie in particolare, i più deboli del sistema. La crisi
occupazionale, secondo lo SVIMEZ, ha colpito prevalentemente i
giovani, contrattualizzati con forme atipiche che prevedono scarsi livelli
di tutela. Dal 2004 al 2009 il dato sugli occupati con meno di 35 anni ha
subito una flessione del 15% a fronte di un incremento delle fasce di età
più elevate.
9
Tuttavia, il mercato del lavoro, a Catania ma più in generale in Sicilia, è
fortemente permeato da un’economia informale che favorisce la
presenza di immigrati irregolari e clandestini, occupati principalmente
nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e nei servizi di assistenza alla
persona, come badanti, baby-sitter e colf. Quest’ultimo dato è coerente
con la femminilizzazione del processo migratorio.
All’interno dell’economia informale, secondo la definizione fornita da
Chiarello [1983], si annoverano tutte le attività economiche - legali e
illegali, di mercato e fuori mercato, monetarie e non monetarie – che in
tutto o in parte sfuggono alle norme istituzionali che regolano le
transazioni economiche e non sono riportate nei dati statistici nazionali.
Introdurre il criterio della legalità per distinguere i metodi di produzione
e distribuzione e le tipologie di prodotti e servizi è utile per distinguere
le diverse componenti ascrivibili all’economia informale: in primis,
l’economia sommersa e sociale dall’economia criminale. In seconda
istanza, la distinzione tra economia monetaria e non monetaria fa
emergere la dimensione dell’economia legata al meccanismo che Polanyi
[1968] chiamava reciprocità, secondo il quale gli scambi avvengono
sulla base di norme sociali condivise che fanno perno sui legami di
affettività. Questa forma di regolazione è tipica, quindi, dell’ambito
familiare ma può estendersi alle relazioni parentali, amicali, di vicinato,
di volontariato e così via. Alla luce di quanto detto, i dati relativi
all’economia sommersa contemplano quelle attività il cui oggetto di
produzione, distribuzione o scambio è lecito ma che violano le modalità
di svolgimento previste per l’attività stessa.
La quota del PIL ascrivibile al sommerso dagli anni novanta a oggi ha
registrato un andamento in decrescita, o per lo meno un trend di
stagnazione, al livello nazionale. Tuttavia, analizzando il fenomeno su
base territoriale, emerge un preoccupante processo di
meridionalizzazione del sommerso. Infatti, dal 1995 al 2004 i tassi di
irregolarità diminuiscono costantemente nelle regioni del Nord – Ovest
(dall’11,3% all’8,4%) e del Nord – Est (dall’11,2% al 9,4%), crescono
10
per poi diminuire considerevolmente nelle regioni del Centro (dal 14,2%
al 12,4%, con un picco di 15,4% nel 2000), mentre aumentano solo per
quelle del mezzogiorno dove già partivano da livelli nettamente
superiori (dal 20,7% al 22,8%, con un picco del 23,1% nel 2002).
In particolare, il fenomeno del lavoro non regolare7
assume una
dimensione di riguardo soprattutto in alcuni settori e nel mezzogiorno.
Unità di lavoro irregolari per regione. Anni 2001-2008 (percentuale
sul totale delle unità di lavoro)
Tabella 1 – Fonte: Istat, conti economici regionali.
7
Sono definite regolari le prestazioni lavorative registrate e osservabili sia dalle
istituzioni fiscali - contributive sia da quelle statistiche e amministrative. Sono
definite non regolari le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della
normativa vigente in materia fiscale - contributiva, quindi non osservabili
direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative. Rientrano in
tale categoria le prestazioni lavorative: 1) continuative svolte non rispettando la
normativa vigente; 2) occasionali svolte da persone che si dichiarano non attive in
quanto studenti, casalinghe o pensionati; 3) svolte dagli stranieri non residenti e
non regolari; 4) plurime, cioè le attività ulteriori rispetto alla principale e non
dichiarate alle istituzioni fiscali.
REGIONI
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Nord-ovest 10,2 8,9 7,7 8,3 8,5 9,0 9,2 9,6
Nord-est 9,8 8,9 8,0 8,2 8,4 8,4 8,6 8,9
Centro 13,1 11,5 10,0 10,5 10,7 10,3 10,3 10,0
Centro-Nord 10,9 9,6 8,4 8,9 9,1 9,2 9,4 9,5
Mezzogiorno 21,1 20,4 19,7 19,2 19,7 19,5 18,6 18,3
Sicilia 23,0 21,9 21,4 19,7 21,5 20,1 19,2 18,4
Italia 13,8 12,7 11,6 11,7 12,0 12,0 11,9 11,9
11
Unità di lavoro irregolari per settore e ripartizione geografica
Anno 2008 (percentuale sul totale delle unità di lavoro)
Agricoltura Industria in senso stretto Costruzioni Servizi
0
5
10
15
20
25
30
Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno Italia
Figura 1 – Fonte: Istat, Conti economici.
La Sicilia, tra le regioni del Mezzogiorno, non ha mai superato il triste
primato della Calabria e ha registrato un significativo
ridimensionamento del fenomeno. Infatti, se nel 2001 il dato relativo
alla regione si attestava al 23%, nel 2008 lo stesso si era ridotto al
18,4% sul totale delle percentuali delle unità di lavoro. Si tratta di dati
evidentemente ancora superiori alla media nazionale – che si attesta
intorno al 12% - che, però, descrivono un timido miglioramento del
trend.
La regione detiene il primato del dato relativo al tasso di disoccupazione
nell’ultimo decennio, anche se ha sperimentato il più consistente
decremento: dal 24,1% del 2000, nel 2009 il tasso si attesta al 13,9%.
12
Tasso di disoccupazione per sesso in Sicilia (serie storica)
0
5
10
15
20
25
30
35
40
2000 (a) 2001 (a) 2002 (a) 2003 (a) 2004 2005 2006 2007 2008 2009
totale
uomini
donne
Figura 2 - Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze lavoro Eurostat. (a) Dati ricostruiti
In decrescita, ma pur sempre rilevante, è il tasso di disoccupazione
femminile che si attesta su percentuali elevate anche nell’ambito
nazionale.
Questi dati, ad ogni modo, non contemplano le conseguenze ancora
perduranti sull’occupazione dell’onda lunga della crisi che ha investito i
paesi occidentali all’inizio del 2008.
Inoltre, non esistono dati certi sui proventi e le attività imprenditoriali
ascrivibili alla criminalità organizzata, molto pervasiva e influente nel
territorio.
1.2 Città accogliente?
E’ storia recente lo sbarco si 131 persone identificate tutte come
egiziane nelle coste ioniche nei pressi di Giarre (CT). Non sono frequenti
gli arrivi su questo versante, anzi, si potrebbe dire che è stato un caso
isolato e ciò ha colto di sorpresa anche le istituzioni preposte a gestire
la situazione. Dopo un rocambolesco inseguimento in mare, le Fiamme
13
Gialle hanno ammarato l’imbarcazione e portato a terra tutti i
passeggeri. Sono scattate le manette per 19 persone, individuate come
scafisti e favoreggiatori dell’immigrazione illegale, mentre gli altri sono
stati trasferiti in una struttura sportiva nella periferia di Catania, il
Palanitta di Librino. Lì, non applicando gli accordi presi con le
organizzazioni internazionali e umanitari nell’ambito del progetto
Praesidium, le autorità non hanno permesso a nessuno di entrate nello
stabile per accertarsi delle condizioni di salute dei migranti e per fornire
prestazioni di accoglienza e informazione. In breve tempo, tutti gli
adulti sono stati rimpatriati con un volo appositamente organizzato,
mentre i minori sono stati trasferiti, presi in carico dai vari servizi
territoriali e inseriti in comunità.
L’episodio ha dimostrato la sostanziale impreparazione all’emergenza, o
meglio, ha dimostrato come le autorità prese alla sprovvista hanno
preferito risolvere la questione in modo frettoloso, non tenendo conto
delle procedure e delle prassi.
In effetti, episodi del genere sono molto rari su questo versante della
costa e la presenza degli immigrati a Catania è determinata soprattutto
dall’esigenza di sostituzione di un’offerta della forza lavoro locale
sovrabbondante ma poco disponibile ad accettare lavori dequalificati e
poco pagati. Infatti, gli immigrati residenti sono prevalentemente
giovani adulti e minori, che insieme rappresentano il 68% delle
presenze [Istat, 2010].
Quindi, si tratta di una popolazione che lavora e produce ma che si vede
restituite poche risorse in termini di servizi e prestazioni assistenziali.
In linea con la tesi appena esposta, i dati relativi a un’indagine di ricerca
svolta a Catania nel 2006, nell’ambito di un progetto internazionale8
,
8
Si tratta del progetto Human Resources and Development Planning on both sides of
Ionian Sea che ha interessato tre regioni che si affacciano sul Mar Ionio e in
particolare Sicilia, Puglia e le isole ioniche della Grecia. Hanno collaborato alla
realizzazione l’Università di Atene, l’Università del Salento e l’Istituto di formazione
e ricerca sui problemi sociali dello sviluppo (ISVI).
14
dimostrano che i servizi maggiormente fruiti sono quelli sanitari, i
servizi di terzo settore e la Questura.
È stata riscontrata una relazione tra il servizio utilizzato e l’area
geografica di provenienza, dato probabilmente in relazione con le
funzioni delle reti etniche che non solo fungono da supporto per i
componenti ma anche da fonte per la circolazione delle informazioni.
Un altro elemento significativo è la differenziazione di genere
nell’utilizzo dei servizi. In generale, le donne usufruiscono di tutti i tipi
di prestazioni di cui necessitano, mentre gli uomini tendono a essere più
restii.
Va sottolineato, tuttavia, che il territorio offre prevalentemente attività
di assistenza e consulenza fornita da soggetti di terzo settore. Fatta
eccezione per la Casa dei Popoli, infatti, il settore pubblico risulta essere
totalmente assente. Gli unici servizi aperti a un’utenza immigrata sono i
servizi sanitari: ambulatoriali e ospedalieri.
Inoltre, l’ente pubblico non ha istituito né una rete né un coordinamento
al livello istituzionale politico e le uniche iniziative rivolte agli stranieri
sono realizzate grazie al lavoro di associazioni, di cooperative, delle
parrocchie e di altri attori del privato sociale.
Inevitabilmente, si realizza un’offerta di servizi frammentata e non
coordinata, con orientamenti spesso in contrasto. Il risultato non può
che essere insoddisfacente per la mancanza di copertura della
popolazione e carente in un’ottica di integrazione dei servizi.
In un contesto del genere, alcune comunità, intese come reti
migratorie9
, in parte o in tutto sostituiscono i servizi di prima
accoglienza, cioè quelli di cui usufruiscono in generale maggiormente gli
stranieri.
9
“Raggruppamenti di individui che mantengono contatti ricorrenti gli uni con gli altri,
attraverso legami occupazionali, familiari, culturali o affettivi. Inoltre, sono
complesse formazioni che incanalano, filtrano e interpretano informazioni,
articolano significati, allocano risorse e controllano i comportamenti”. Fernandez
Kelly P., Social and cultural capital in the urban ghetto: Implications for the
economic sociology of immigration, in Portes A., Economic sociology of immigration,
New York, Russel Sage Foundation, 1995. pp 213 - 247
15
Tuttavia, le reti migratorie non sono sufficienti per sostenere percorsi di
mobilità o di integrazione sociale poiché hanno risorse specifiche e
limitate da mettere in comune. Il ruolo svolto da tali reti garantisce
l’aiuto reciproco e la difesa della buona reputazione del gruppo,
rielaborando l’etichettamento generato dagli stereotipi etnici in termini
di autopromozione. Allo stesso tempo, però, può sedimentare processi
di segregazione occupazionale e abitativa, alimentare la competizione
tra gruppi nazionali diversi o scoraggiare percorsi di mobilità e di
innovazione [Palidda e Consoli, 2006].
La mancanza di stimoli e di offerta di servizi da parte delle istituzioni,
fatta eccezione per i servizi culturali e di mediazione erogati dalla Casa
dei Popoli, determinano un quadro in cui l’inserimento e il benessere
della popolazione straniera stanziata nel territorio sia relegata alla
buona volontà e alle capacità dei singoli e del privato sociale, che pur
dimostrando fermento e abilità, non raggiungono livelli soddisfacenti.
16
Il Senegal
1.3 La storia
Il Senegal occupa una superficie pari a 196.712 km2
e ha una densità
abitativa pari a 61,9 abit./km2
. È situato nella costa Occidentale
dell’Africa e confina a nord con la Mauritania, a est con il Mali, a sud con
la Guinea e la Guinea-Bissau; il clima è tropicale.
Il Senegal è una Repubblica democratica semipresidenziale, laica e
multipartitica. La sua Costituzione sancisce il principio di uguaglianza
dei cittadini davanti alla legge e la separazione dei poteri. Inoltre,
dichiara l’adesione alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino
del 1789, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948,
alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione
nei confronti delle donne del 1979 e alla Carta Africana dei Diritti
dell’Uomo e dei Popoli del 1981.
È suddiviso in quattordici regioni, ognuna delle quali ha un capoluogo di
regione, che a loro volta sono suddivise in dipartimenti, arrondissement
e comuni. L’organizzazione amministrativa è strutturata, quindi, sulla
base del modello francese, popolo colonizzatore che tra tutti ha più
inciso sulla vita moderna e contemporanea della Repubblica senegalese.
Non più tardi della prima metà del XV sec giunsero i primi europei nelle
terre africane: furono i Portoghesi che da principio sfruttarono queste
terre e vendettero i suoi abitanti come schiavi. Altri popoli europei
approfittarono delle ricchezze minerarie e del suolo del Senegal. Ai
portoghesi subentrarono gli olandesi a cui successivamente si
sostituirono i francesi e gli inglesi. Nel 1895, dopo anni di insurrezioni e
guerre, il Senegal divenne ufficialmente una colonia francese.
17
Questi, tra i vari popoli dominatori, si distinguevano per la strategia
dell’assimilazione10
della popolazione autoctona. Infatti, le strutture
organizzative, procedurali e politiche delle popolazioni locali furono
completamente soppiantate da un nuovo schema burocratico rigido e
uniforme. Tutti i possedimenti coloniali dell’Africa occidentale ed
equatoriale erano organizzati in modo da essere controllati da apparati
burocratici con personale francese. I territori erano suddivisi in
federazioni che a loro volta si componevano di diverse unità. I
governatori generali, a cui erano sottoposti i governatori delle singole
colonie, avevano sede a Dakar e a Brazzaville e rispondevano
direttamente al Ministero per le Colonie di Parigi. Vigeva il sistema
normativo dell’indigénat grazie al quale i funzionari coloniali godevano
di ampi margini di discrezionalità nel comminare le pene pecuniarie e
carcerarie senza la necessità di svolgere regolari processi.
La necessità degli Stati europei di accrescere i loro possedimenti era
dettata, secondo molti autori, dalla necessità di ampliare i mercati.
L’aumento di produzione conseguente alle innovazioni tecnologiche
apportate dalle rivoluzioni industriali costringeva i capitalisti a trovare
nuovi spazi di commercializzazione di manufatti. Gli Stati,
contemporaneamente, assistevano a una crescita della popolazione e a
una crescita di domanda di rifornimenti alimentari e di materie prime.
L’annessione politica dei territori che garantivano questo scambio
rappresentava la strategia più proficua allo scopo. In linea con quanto
detto, i francesi introdussero in Senegal colture particolari, come ad
esempio l’arachide, per rispondere alla domanda del loro mercato
interno.
In generale, il colonialismo europeo in Africa introdusse due importanti
nozioni di carattere politico e sociale: il concetto di Stato Nazionale e
l’istituto della proprietà privata. Nel periodo storico precedente all’arrivo
10
L’acquisizione dello status di cittadino della Repubblica per un africano delle colonie
era subordinata all’accettazione e condivisione della cultura francese e al
conseguente abbandono della propria cultura e tradizione.
18
dei dominatori, l’organizzazione sociale delle popolazioni autoctone si
caratterizzava per la suddivisione in tribù, prevalentemente nomadi, e
l’economia si basava sulla produzione agricola e l’allevamento per la
sussistenza. Le migrazioni, la mescolanza culturale e sociale tra le
diverse tribù rappresentavano la strategia organizzativa più diffusa. Con
l’avvento degli europei, non solo si crearono dei confini statali ma
soprattutto si diffusero forme legali di possesso, in primis sulla terra.
In breve tempo, quindi, la struttura sociale, economica e culturale dei
paesi africani fu letteralmente stravolta, senza che questi avessero
attraversato delle fasi transitorie di assestamento. Il processo di
urbanizzazione, ad esempio, non si accompagnò a mutamenti
soggettivi-attitudinali adeguati come modelli di consumo o stili di vita. Il
risultato di questo processo fu la realizzazione di una modernizzazione
“zoppa” in cui i modelli preesistenti di comportamento hanno teso a
fondersi con aspetti strutturali del nuovo assetto [Scidà, 2004].
All’inizio del XX secolo, la dominazione europea sui paesi africani e
asiatici sembrava essere inoppugnabile ma a distanza di pochi decenni
più di quaranta Stati si dichiararono indipendenti dai colonizzatori
stranieri, processo che coinvolse più di ottocento milioni di persone e
che realizzò un rovesciamento rivoluzionario degli equilibri internazioni.
Il nazionalismo arrivò in Asia cento anni dopo che in Europa, e
nell’Africa nera cinquant’anni dopo che in Asia. I prodromi di tali
movimenti, a ben vedere, possono essere ricollegati alla vittoria del
Giappone sulla Russia durante la guerra del 1904-1905 perché
riconosciuta da tutti i popoli coinvolti come un colpo inferto alla
supremazia europea, e in secondo luogo alla rivoluzione russa del 1905,
scarsamente considerata in Europa ma che fu percepita come una lotta
contro il despotismo in tutta l’Asia. Così i movimenti nazionali dei due
continenti sopracitati divennero una rivolta generale contro l’Occidente,
sentimento che trova espressione nella Conferenza afro-asiatica di
Bandung del 1955 dove si sancì la nascita di una nuova solidarietà tra
queste popolazioni. Contestualmente, le potenze europee si ritrovavano
19
a dover fronteggiare le conseguenze del secondo conflitto mondiale.
Oltre a problemi legati alla ricostruzione, i paesi perdenti furono
costretti ad abbandonare i loro possedimenti coloniali, molte delle altre
potenze non riuscirono a far sopire i moti indipendentisti.
Così, nel 1959, il Senegal si federò con il Soudan Francese e insieme
ottennero l’indipendenza il 20 Giugno del 1960. A distanza di soli due
mesi, la federazione si sciolse e il Senegal elesse il suo primo
presidente.
Léopold Sédar Senghor, poeta e politico, primo membro africano
dell’Accademia francese e primo presidente della neonata Repubblica, è
stato un uomo di cultura molto amato: è noto per aver dato vita al
movimento della negritudine11
e aver partecipato attivamente al pan-
africanismo12
.
La sua carriera politica cominciò con l’elezione a membro
dell’Assemblea Nazionale francese negli anni ’40 con l’appoggio del
partito socialista. Nel 1948, insieme Mamadou Dia, fondò il Blocco
Democratico Senegalese, partito che lo accompagnò fino alle cariche
istituzionali più alte.
Durante il ventennio della sua presidenza, Senghor creò le basi per
costruire in Senegal un modello di sviluppo ispirato al socialismo,
conciliando caratteristiche peculiari dello stato africano, come ad
esempio l’assenza di divisione di classe, con i processi di
modernizzazione. La sua leadership fu caratterizzata, come quella della
maggior parte dei politici africani, dall’esercizio personalistico del
11
È un movimento ideologico e letterario basato sul rigetto del razzismo proprio del
colonialismo francese.
12
Il concetto fu utilizzato per la prima volta da Henry Sylvester Williams nel 1900 per
denunciare il furto delle terre delle colonie, le discriminazioni razziali e i problemi in
generale delle popolazioni sotto dominazione. I movimenti politici e culturali che da
esso derivano hanno una duplice matrice: da un lato troviamo i sostenitori della
necessità dell’accordo e dell’unità politica dei paesi africani; dall’altro i movimenti
nazionalisti che professano la primaria identità africana di tutte le persone di colore
cittadini di ogni parte del mondo. Il Presidente Senghor, così come molti altri
presidenti africani, partecipò attivamente alla nascita dell’Organizzazione dell’Unità
dell’Africa (OUA), nata nel 1963 ad Addis Abeba, nella convinzione della necessità di
raggiungere una graduale collaborazione politica tra gli Stati del continente.
20
potere: il leader è posto al di sopra della legge e può governare in modo
arbitrario, legittimato non tanto dal volere popolare quanto dalla rete
clientelare e dai legami di fedeltà.
In quest’ottica, il Presidente intrattenne rapporti molto stretti con i
marabutti13
, in ragione dell’altissima percentuale di musulmani presenti
nel territorio14
, che durante il suo governo hanno incrementato la loro
forza economica grazie alle concessioni di terra ottenute dal governo e
alla loro capacità di mobilitare il lavoro dei seguaci religiosi per coltivarle
[Carbone, 2005].
L’obiettivo era di indirizzare il neonato Stato verso lo sviluppo di una
radicale autonomia e un graduale abbandono delle dinamiche
economiche, sociali e culturali presenti durante il colonialismo,
conservando, però, caratteristiche peculiari del paese. Con questo
intento, in quegli anni, furono implementate politiche economiche utili al
passaggio di testimone dalla borghesia francese a una nuova classe
imprenditoriale senegalese. Tra il 1960 e il 1967, ad esempio, l’Office de
la commercialization agricole consegnò per ogni anno più di mille
licenze per acquistare e rivendere a prezzi definiti i prodotti agricoli dei
contadini, garantendo ai beneficiari ampi margini di profitto [Carbone,
2005]. L’influenza dello Stato nell’economia garantì la stabilità del
regime politico e determinò la nascita di una nuova classe dirigente.
Abdou Diouf, fu eletto nel 1980, dopo le dimissioni del suo predecessore
Senghor, quando era già in vigore la nuova legge elettorale varata sul
finire degli anni settanta che apriva la competizione elettorale a tre
partiti. E fu proprio durante la sua presidenza che si verificò, a metà
degli anni ’80, una crisi fiscale dello Stato. A causa della riduzione degli
incentivi alla produzione, i contadini preferirono vie alternative al
commercio rispetto a quelle prestabilite dall’economia formale e
cominciarono a vendere beni illegalmente oltre confine e a coltivare per
13
Potenti capi islamici.
14
Si stimavano già allora intorno al 90% della popolazione. Oggi la percentuale si è
elevata al 94%.
21
la loro sussistenza. Contemporaneamente, si elevò il tasso di evasione
fiscale, con la complicità degli uffici doganali, e la compravendita illecita
delle licenze pubbliche. Ciò comportò inevitabilmente l’indebolimento
dello stato senegalese.
Solo nel 2000, il Partito socialista fu sconfitto dal Partito democratico
senegalese, di matrice liberista; evento che annovera il Senegal tra i
paesi sub sahariani che hanno vissuto un cambio di governo come
risultato della volontà degli elettori [Carbone, 2005].
La transizione a un sistema democratico e multipartitico, quindi, per il
Senegal è avvenuta senza il ricorso alla violenza.
L’unico conflitto mai sopito è quello relativo al movimento separatista
della Casamance, regione a sud del Gambia che include il fiume
Casamance. L’economia del territorio si basa sulla coltivazione del riso e
sul turismo, incentivato dalle risorse naturalistiche e dalle spiagge sulla
costa. Il gruppo etnico più consistente tra i residenti è quello dei Jola15
,
economicamente svantaggiati in tutto il territorio nazionale. Episodi di
violenza e scontri hanno prodotto numerose vittime tra civili e forze
dell’ordine.
1.4 Dati demografici e dati relativi alla dimensione sociale
del Paese
In generale, il Senegal è caratterizzato da una forte crescita della
popolazione: recenti stime calcolano che la popolazione totale sia
superiore a 12 milioni di individui con un’età media relativamente bassa
(il 50,9% della popolazione ha meno di 20 anni)16
. L’aspettativa di vita,
al 2008, non supera i 56 anni. Il tasso di natalità registra una flessione
in negativo negli ultimi anni (da 5,3 figli per donna del 2002 si è passati
15
Il gruppo etnico più numeroso in Senegal è quello dei Wolof.
16
Dati riportati nel Rapporto annuale sulla situazione economica e sociale del 2009
redatto dall’Agence Nationale de la Statistique et de la Démographie (ANSD) du
Sénégal.
22
a 4,9 figli per donna del 2009) così come anche il tasso di mortalità (dal
12,6% del 2002 si è passati all’11,3% del 2009). Ad ogni modo, il tasso
di mortalità infantile è ancora molto elevato e la probabilità di decesso
dei minori di 5 anni17
è collegata alle condizioni abitative. Così, ad
esempio, su mille bambini nati vivi nella regione di Dakar, si stima che
79 moriranno prima del compimento del quinto anni di vita, mentre
saranno 205 in quella di Kolda e 200 in quella di Tambacounda.
Il tasso di scolarizzazione è in crescita18
ma vi sono ancora differenze
consistenti tra l’alfabetizzazione dei diversi sessi e rispetto alla regione
di provenienza.
Il 42,6% della popolazione totale del Senegal vive in città ma solo il
69% di questa usufruisce della rete fognaria19
.
Nelle città il 92% della popolazione ha accesso all’acqua, mentre nelle
zone rurali solo il 52%20
.
Più di un milione di persone hanno accesso a internet e sono registrate
20,3 macchine ogni 1000 abitanti21
.
1.5 L’economia e il mercato del lavoro
Secondo i dati forniti dalla World Bank, il 33,4% della popolazione totale
è sotto la soglia della linea nazionale della povertà e il PIL è di poco
inferiore a 13 miliardi di dollari.
L’Indice di Sviluppo Umano (HDI) è pari a 0,41122
e ciò qualifica il
Senegal come paese a basso sviluppo umano, secondo la nuova
classificazione proposta nel 2010.
17
Dati della World Bank del 2009 calcolano il tasso di mortalità infantile e giovanile
pari 92,8 per mille.
18
Il tasso di alfabetizzazione della popolazione in età superiore a 15 anni è pari al
42% secondo i dati forniti dalla World Bank. Nel 2002 era pari al 39% e 27% nel
1988.
19
Dati della World Bank relativi rispettivamente al 2009 e al 2008.
20
Dati della World Bank. Si considera come ragionevole accesso alla risorsa idrica la
possibilità di utilizzare 20 litri di acqua a persona al giorno in loco.
21
Dati della World Bank relativi relativamente al 2008 e al 2007.
23
Lo sviluppo economico del paese è fortemente limitato
dall’organizzazione del lavoro, in cui è prevalentemente il settore
informale. Recenti interventi del governo si muovono verso la
marginalizzazione del fenomeno, ma ancora le percentuali sono molto
elevate.
Il mercato del lavoro soffre enormemente della mancanza di
informazioni e di trasparenza. Gli individui coinvolti nel mercato del
lavoro informale sono prevalentemente giovani e adulti, di sesso
maschile e con bassi livelli d’istruzione.
Ripartizione dei lavoratori secondo il settore di appartenenza il
livello di povertà.
Settori
Lavoratori
Contribuzioni
per la povertà
Non
poveri
poveri
Settore formale 68,2% 31,8% 2,2%
Settore
informale
44,5% 55,5% 91,4%
Non si sa 46,7% 53,3% 6,3%
Totale settori 45,5% 54,5% 100%
Individui 49,2% 50,8% 100%
Tabella 2 - Fonte: ANSD.
Ogni regione ha sviluppato settori economici diversi secondo le
specifiche caratteristiche ambientali e delle risorse a disposizione. Nelle
zone rurali, di fondamentale importanza sono l’agricoltura e
l’allevamento. Questi settori, tuttavia, subiscono gli effetti negativi dei
processi di desertificazione del suolo e delle numerose alluvioni causate
22
Dato relativo al rapporto del 2010. Il Senegal si qualifica, così, al 144° posto della
lista di Paesi ordinati per valori dell’Indice.
24
da fattori idrogeomorfologici, dall’urbanizzazione selvaggia e
dall’innalzamento della falda freatica. Inoltre, il perseguire la strategia
della monocultura dell’arachide, introdotta in Senegal dai francesi, per
l’esportazione del prodotto nel mondo, determina delle gravi
conseguenze in termini di perdita significativa di ricchezza del suolo.
Nell’area bagnata dall’oceano, è molto diffusa la pesca, soprattutto di
tonni.
L’industria, che rappresenta il 22% del PIL23
, è presente soprattutto nel
settore tessile e di lavorazione del cuoio e in quello dell’estrazione di
minerali24
. Settori in crescita sono quelli della produzione di materiali da
costruzione, della produzione di energia e della produzione della carta e
cartone.
Il Senegal nel 2009 ha esportato all’estero beni per 1 miliardo e 370
mila euro circa, pari al 15% del PIL, registrando una regressione dello
0,3% rispetto all’anno precedente. L’offerta è limitata a materie prime
non sfruttate: prodotti della pesca, prodotti petroliferi, acido fosforico,
fertilizzanti, cotone, arachide e cemento.
23
Dati della World Bank relativi al 2009.
24
Si tratta prevalentemente di minerali fosfatici, utilizzati in agricoltura per
fertilizzanti e nell’industria alimentare. Sono importanti anche i giacimenti di sale,
pietra, sabbia e argilla.
25
Import/export del Senegal in bilioni di US D (valori espressi in
migliaia).
Figura 3 - Fonte: African Development Bank Group (ADBG)
Anche l’Italia ha rapporti commerciali con il Senegal. Quest’ultimo,
infatti, secondo elaborazioni dell’ICE su dati ISTAT, ha venduto all’Italia
nel 2010 prodotti per 56 milioni di euro circa, prevalentemente prodotti
alimentari, articoli in pelle e prodotti della metallurgia. Per inverso, il
Senegal ha acquistato dall’Italia prodotti per 100 milioni di euro,
prevalentemente macchinari e apparecchiature nca25
, coke e prodotti
25
Definizione ISTAT :“Questa divisione include la fabbricazione di macchinari ed
apparecchiature comprese le rispettive parti meccaniche che intervengono
meccanicamente o termicamente sui materiali o sui processi di lavorazione. Questa
divisione include apparecchi fissi e mobili o portatili a prescindere dal fatto che
siano stati progettati per uso industriale, per l'edilizia e l'ingegneria civile, per uso
agricolo o domestico. Inoltre è inclusa in questa divisione la fabbricazione di alcune
apparecchiature speciali, per trasporto di passeggeri o merci entro strutture
delimitate.
Questa divisione opera una distinzione tra la fabbricazione di macchinari per usi
speciali, ossia macchinari per uso esclusivo in una specifica attività economica o in
piccoli raggruppamenti di attività economiche, e macchinari di impiego generale,
ovvero macchinari utilizzabili in una vasta gamma di attività economiche previste
nella classificazione Nace.
Questa divisione include anche la fabbricazione di macchinari per usi speciali, non
presenti altrove in questa classificazione, utilizzati o meno in un processo di
fabbricazione, come le apparecchiature utilizzate nei parchi di divertimento, nelle
piste automatiche da bowling eccetera. È esclusa la fabbricazione di prodotti in
metallo per usi generali (divisione 25), apparecchi di controllo associati, strumenti
computerizzati, strumenti di misurazione, apparati di distribuzione e controllo
26
derivanti dalla raffinazione del petrolio, apparecchiature elettriche e non
per uso domestico, articoli in gomma e materie plastiche.
Numerosi sono i progetti di co-sviluppo realizzati in Senegal. Tra questi
può essere ricordata la strategia MIDA (Migration for Development in
Africa), promossa dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni
(OIM), a cui partecipa anche l’Italia dal 200326
. Il programma ha
coinvolto attivamente le comunità immigrate nella pianificazione degli
interventi e degli investimenti produttivi nelle loro zone di provenienza,
così da costruire opportunità d’impiego e di costruzione di medie e
piccole imprese nei rispettivi paesi d’origine, attraverso l’identificazione
e il trasferimento di competenze e di risorse finanziarie, sociali e
professionali dei migranti residenti in Italia e la promozione di
partenariati tra le comunità di origine e di accoglienza27
.
Stime dell’ANSD quantificano in 104 posti di lavoro creati in un biennio
dall’inizio del progetto in questione.
Recentemente è stato firmato l’Accordo - quadro di Cooperazione Italia
- Senegal che sancisce l’avvio di una nuova programmazione per il
2010-1011. I rapporti tra i due paesi si sono evoluti e rinsaldati nel
tempo, tanto che nel 2006 la Cooperazione Italiana allo Sviluppo ha
aperto a Dakar un ufficio distaccato che svolge il ruolo di coordinamento
per le iniziative. I settori di aiuto sono prevalentemente: l’agricoltura, la
protezione sociale, le pari opportunità, la qualità della vita, la protezione
dei minori, lo sviluppo locale e il partenariato pubblico/privato.
dell'energia elettrica (divisioni 26 e 27) e veicoli a motore per uso generico
(divisioni 29 e 30)”.
26
Progetto attuato con il sostegno del Governo italiano e implementato insieme al
CeSPI.
27
Per approfondimenti si rimanda al sito internet dello IOM (http://www.italy.iom.int)
27
Migranti del Senegal
1.6 Senegalesi in Italia
Il Senegal rappresentava una delle mete privilegiate della migrazione
interna dell’Africa Occidentale. A partire dagli anni ’80, però, il saldo
migratorio ha cominciato ad avere un trend negativo. Le ragioni che
hanno portato a ciò possono ricondursi al fallimento della Nouvelle
Politique Agricole, alla crisi fiscale e alla scarsa piovosità che mise in
ginocchio gli agricoltori all’epoca.
La presenza dei Senegalesi in Italia è diventata nel tempo sempre più
consistente. Secondo i dati ISTAT, l’incremento della popolazione dal
2002 al 2009 è tale da registrare il raddoppiamento delle presenze,
passando da circa 38 mila unità a quasi 73 mila.
Bilancio demografico dei senegalesi residenti in Italia al 31
dicembre di ogni anno.
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000
0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000
31637
39370
45350
47414
48984
50503
53125
55693
5567
7108
8591
9687
10873
12117
14385
16925
maschi
femmine
Figura 4 - Fonte: Istat.
28
In seguito alla chiusura delle frontiere francesi, nella prima metà degli
anni ’70, l’immigrazione senegalese ha trovato nuove terre di approdo,
tra queste sicuramente menzionabile è l’Italia. Le ragioni di questo
processo risiedono principalmente nel fatto che la penisola, oltre ad
essere situata in modo strategico sul mediterraneo, è anche
caratterizzata da elementi attrattivi concernenti l’economia e il mercato
del lavoro.
È certamente indiscutibile la vocazione al commercio che tale comunità
dimostra, fonte principale di guadagno soprattutto per coloro i quali
decidono si stanziarsi nel Mezzogiorno, ed è altrettanto indiscutibile la
sporadicità dei controlli sia sul lavoro che sullo status giuridico dei
migranti.
1.6.1 Alcune caratteristiche peculiari della comunità
 Religione e organizzazione sociale
Agli inizi degli anni ’80, i primi flussi di migranti provenienti dal Senegal
erano prevalentemente originari da zone rurali e afferenti alla
confraternita murid. Nel tempo, sono sempre più gli abitanti di Dakar e
di altre grandi città del Senegal che intraprendono il viaggio verso
l’Europa.
La dimensione religiosa è molto importante per comprendere le
dinamiche che coinvolgono il fenomeno. L’Islam radicato in Senegal28
,
così come nel resto dell’Africa Occidentale, si caratterizza per la forte
presenza delle correnti sufi e dell’organizzazione in confraternite. Una
28
Il primo contatto dei Regni stanziati nel territorio senegalese con la religione
islamica si ebbe già dall’XI sec. ma la diffusione tra la popolazione fu notevolmente
spinta dalla nascita delle confraternite ispirate al sufismo, strutturate in modo
coerente rispetto alla tradizionale organizzazione sociale delle diverse etnie. Il
modello patriarcale, in cui è il capo-villaggio a esercitare il potere politico, si
combina perfettamente con la figura del marabut, capo spirituale che influenza
notevolmente gli aspetti politici, sociali ed economici della vita dei suoi confratelli.
29
delle più numerose in Senegal è, appunto, la Muridya29
. Fondata alla
fine dell’800 da Cheick Ahmadou Bamba Mbacké, ricoprì fin dalla nascita
un ruolo centrale nell’opposizione al potere coloniale francese. Essa è
prevalentemente formata da talibé (discepoli) wolof, popolazione più
numerosa del Senegal. Nell’organizzazione della confraternita è centrale
il rapporto tra il talibé e il suo marabout (guida spirituale) che
determina un vincolo di obbedienza e di sostegno materiale del
discepolo rispetto alla sua guida. Questo rapporto gerarchico è
riequilibrato, tuttavia, da alcuni fattori: il talibé sceglie il suo marabout,
al di là di vincoli territoriali o di ragioni etniche, ma non si determina un
legame inscindibile, infatti, il discepolo, qualora non soddisfatto, potrà
allontanarsi da quel marabout per seguire un altro. L’ ayyadia (offerta,
dono) deve essere ricambiata con la baraka (preghiere e benedizioni),
oltre al sostegno di natura politica ed economica.
Tra i talibé sussiste un rapporto implicito di sostegno e di mutuo aiuto.
La pratica muride si caratterizza per il ruolo centrale attribuito al valore
formativo, spirituale e sociale del lavoro manuale. Il lavoro, quindi, è
considerato come sostitutivo della preghiera. Per questo, per lo meno in
una prima fase, la diffusione della confraternita si è maggiormente
registrata nelle zone rurali, dove questo elemento risultava coerente
con la pratica e la vita quotidiana dei contadini. Ad ogni modo, si può
ipotizzare che questo stesso elemento possa aver influenzato i talibé
impiegati in altri settori, come una sorta di calvinismo sui generis.
Sono sempre più diffuse in Senegal le scuole islamiche che
rappresentano un’alternativa al sistema istituzionale d’istruzione ma che
non rilasciano un titolo riconosciuto e riconoscibile. Inoltre, come
principale attività educativa, obbligano i bambini e i giovani a chiedere
l’elemosina per la strada facendo leva sull’obbligo morale che i
29
Le altre confraternite presenti sono: la Tigianiyya, la Qadiriyya e i Laynnes.
30
mussulmani hanno a versare la sadaqa30
, un’offerta libera che viene
interamente gestista dai precettori della scuola.
Nel muridismo, la donna assume molteplici ruoli importanti per la vita
sociale della confraternita. Pur non potendo fondare o dirigere una
confraternita, si attribuisce molto prestigio alle madri, alle spose e alle
figlie dei marabout. In particolare, si venera la memoria di Mam Diarra
Bousso, madre di Cheick Amadou Bamba, fondatore della confraternita.
Alcune donne hanno, inoltre, ricoperto ruoli di primo piano
nell’organizzazione delle attività della comunità. Non sorprende, quindi,
che anche nel contesto migratorio, le donne si siano riservate spazi e
che si siano create dahire femminili31
.
Nelle dinamiche migratorie, in generale, la confraternita ha un ruolo
fondamentale sia in termini di funzione di catena migratoria sia come
strumento per mantenere il controllo sociale sui confratelli.
 Una comunità transnazionale
La sociologia delle migrazioni offre degli spunti interessanti di analisi in
merito ad alcuni aspetti puntuali della presenza e dell’organizzazione
della società. Infatti, se da un lato il contributo di Palidda [2001, 2008]
ci invita ad inquadrare il fenomeno in un’ottica di criminalizzazione della
figura del migrante, configurato come nemico e come elemento cruciale
del processo di riassetto dell’organizzazione politica della società
contemporanea inserita in un contesto di globalizzazione del liberismo;
dall’altro il contributo di Ambrosini [2007] ci propone di leggere il
fenomeno attraverso un approccio transnazionale utile, secondo
30
Si tratta di denaro offerto volontariamente oltre alla Zakat che invece è uno dei
cinque pilastri dell’Islam e che obbliga ciascun musulmano a contribuire con il 2.5%
del suo reddito annuale al benessere della comunità. Ha la funzione di purificare la
propria ricchezza ed è considerato come un dovere per ogni buon musulmano.
31
Per un approfondimento, si veda Blanchard [2008].
31
l’autore, ad integrare e superare i precedenti modelli esplicativi delle
migrazioni32
.
Un esempio italiano di transnazionalismo, secondo molti autori
[Marchetti 1994; Riccio 2002; Ceschi e Stocchiero 2006; Ambrosini
2007;], è rappresentato dai migranti senegalesi aderenti alla
confraternita Murid. L’elemento distintivo della comunità non è solo,
evidentemente, la fitta rete di legami che collega ciascun confratello agli
altri, ma soprattutto la diffusa propensione a mantenere rapporti con la
madrepatria, dove normalmente i Modou modou33
lasciano la famiglia e
con cui intrattengono rapporti economici, sociali e religiosi in modo
duraturo nel tempo.
La temporaneità della migrazione senegalese è testimoniata anche da
alcuni dati strutturali: pur essendo una comunità presente sul territorio
da molto tempo, conserva alcune caratteristiche peculiari come la netta
prevalenza di uomini sul totale delle donne della stessa nazionalità e
un’età media della comunità sempre uguale negli anni. Ciò a
testimonianza, evidentemente, di un continuo ricircolo di individui e alla
mancanza della volontà di stabilirsi definitivamente nelle zone di
approdo. Un elemento, però, è in controtendenza negli ultimi anni: i
ricongiungimenti familiari sono in aumento, pur trattandosi di un
numero di casi nettamente inferiore rispetto ad altre comunità, così
come la presenza delle donne. A fronte di una legislazione che complica
enormemente le modalità di regolarizzazione della presenza sul suolo
italiano, ciò potrebbe essere anche il frutto di strategie adattive al
contesto istituzionale ma, non per questo, risulta essere meno rilevante
rispetto a possibili mutamenti delle caratteristiche generali dei progetti
migratori della comunità.
La rete familiare, per i senegalesi, non si limita alla cerchia della
famiglia nucleare, ma comprende anche la parentela allargata. Inoltre,
32
In particolare riferimento al modello del push and pull factors e quello basato sulla
dicotomia centro-periferia.
33
Abbreviazione di momadou momadou, termine con cui vengono chiamati i migranti
in Senegal.
32
la società senegalese è socializzata ad una forma di obbligo di
solidarietà verso il prossimo in difficoltà. Questa idea di reciprocità,
basata sulla solidarietà, l’aiuto e il sostegno senza l’aspettativa di una
ricompensa è sintetizzata nel concetto di teranga.
Non è difficile, a questo punto, comprendere come nel tempo la figura
del migrante sia stata investita del ruolo di portatore di ricchezza, non
solo per i parenti prossimi, ma per tutta la rete familiare e, in alcuni
casi, l’intera comunità. Touba, città santa per i Murid, è diventata la
seconda città del Senegal, dopo Dakar, per popolazione, sviluppo
economico e finanziario grazie alle rimesse e ai pellegrinaggi periodici
degli emigrati [Riccio, 2007].
La scelta del migrante di partire da solo, allora, si può configurare come
una necessità di risparmio, in quanto il costo della vita in Senegal è
nettamente inferiore rispetto a qualunque paese europeo, ma, secondo
alcuni autori, è anche frutto di una scelta consapevole e voluta
[Gasparetti e Hannaford, 2009]. I figli rappresentano il nodo centrale
attorno a cui si strutturano le esperienze migratorie e se per la maggior
parte dei casi, fino ad oggi, si è riscontrata la tendenza dei genitori di
far crescere i propri figli nel contesto d’origine; in tempi recenti si
registrano, al contrario, strategie migrazione basate sulla scelta di paesi
di approdo dove vige lo ius soli, in modo tale da garantire alla prole una
prospettiva più serena e il mantenimento del ruolo di sostegno alla
famiglia in Senegal.
Il carattere transnazionale della comunità senegalese alimenta una serie
di fattori, per lo più l’uno concatenato all’altro: il legame con la cultura e
i valori propri della comunità vengono coltivati dal rapporto reciproco
basato sul mutualismo e dalle visite periodiche dei marabout nelle
regioni di approdo; si realizza quella che da alcuni studiosi è definita la
doppia presenza34
[Riccio, 2009; Riccio e Ceschi, 2010]; la comunità è
una delle più propense alla creazione di reti formali e associazioni
34
In opposizione al concetto di “doppia assenza” di Sayad (1999).
33
basate su criteri di affiliazione come l’appartenenza, i contesti territoriali
in cui operano e le finalità.
Se da un lato ciò realizza una rete di contatti e di sostegno sufficienti a
sopperire la sostanziale inefficienza di strumenti di accoglienza e di
aiuto ai nuovi arrivati, dall’altro alimenta e consolida la segregazione
delle comunità: pur appianando i possibili conflitti iniziali, questa
strategia è fallimentare nel lungo periodo se non è accompagnata da
processi di integrazione socio-economica delle comunità [Reyneri,
1999].
 L’associazionismo religioso e laico
La capillarità e la diffusioni di associazioni in Italia costituite da migranti
senegalesi è confermata da numerose indagini su tutto il territorio
nazionale. Un recente studio promosso dal FIERI [Salis e Navarra,
2010], propone una sistematizzazione delle conoscenze sul fenomeno.
Nel tempo, l’associazionismo senegalese ha subito notevoli
trasformazioni: il primo impulso impartito dalla confraternita murid, con
la diffusione delle dahire, ovvero associazioni a base religiosa ma con
compiti anche di tipo economico e sociale, è stato soppiantato negli anni
’90 da un’ondata di associazionismo laico che, per lo meno nella prima
fase, ebbe anche l’ambizione di strutturarsi al livello nazionale35
.
L’associazionismo laico a livello locale ha avuto invece un notevole
sviluppo durante tutto il decennio. Nel 2001 sono state censite 51
associazioni36
, testimoniando l’assoluta primazia della comunità in
termini di partecipazione alle organizzazioni associative rispetto alle
altre comunità presenti sul territorio.
L’attività prevalente delle diverse tipologie di associazioni sembra essere
la raccolta fonti per la realizzazione di progetti in Senegal, nel caso di
35
Il tentativo di coordinamento nazionale fu quello del CASI (Coordinamento delle
Associazioni Senegalesi in Italia).
36
Fondazione Corrazin, Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, CNEL, Roma,
2001
34
associazioni basate sul cosviluppo, o per finalità di mutua assistenza,
per associazioni locali. Per le associazioni di villaggio, cioè quelle in cui
gli associati provengono dalla stessa località, si verifica la riproposizione
di dinamiche di leadership e il tipo di organizzazione sociale del paese di
provenienza [Mezzetti, 2006; Riccio e Ceschi, 2010]. Si tratta, in
generale, di forme associative che hanno una sede principale e
numerose distaccate e che mantengono un fortissimo rapporto con il
Senegal. Un dato significativo è, appunto, il carattere internazionale e
transnazionale di queste organizzazioni ma questo elemento si scontra
con il suo orientamento tradizionale che non concede spazio decisionale
né ai giovani né, in generale, agli innovatori. Ciò ha delle ripercussioni
sull’attività puntuale delle associazioni stesse in termini di definizione di
priorità degli investimenti e alla tipologia di attività [Riccio, 2006].
Le associazioni transnazionali operano un vera e propria influenza
politica sui poteri locali in Senegal attraverso la promozione e il
finanziamento di attività e progetti da realizzare in patria. I governi
senegalesi, quindi, promuovono attivamente il mantenimento di legami
forti e forme di cittadinanza duplici al fine di continuare a beneficiare di
questi flussi economici di investimento. Ciò consente ai migranti di
avere maggior peso politico nella realtà senegalese rispetto a quello
avuto prima della loro partenza [Ambrosini, 2007].
Le associazioni basate sulla comune destinazione sono quelle che
vengono più facilmente riconosciute dai referenti istituzionali italiani e
hanno un’organizzazione interna più strutturata e complessa. In queste
associazioni sembra delinearsi una leadership basata sull’anzianità
migratoria piuttosto che su quella anagrafica proprio in virtù dell’aspetto
istituzionale. Si sceglie come leader colui il quale è più inserito nel
contesto locale, parla meglio l’italiano, più istruito e che ha rapporti col
contesto associativo locale.
Altra tendenza, invece, è registrata rispetto alla propensione
all’associazionismo delle seconde generazioni [Riccio, 2010]. Anche se
permangono le organizzazioni caratterizzate per appartenenza etnica e
35
religiosa, sembrano essere prevalenti le associazioni aperte con finalità
orientate al superamento culturale e sociale delle forme di
discriminazione e di razzismo che colpiscono gli stranieri nelle varie
dimensioni della vita pubblica e privata.
 Il lavoro
La catena migratoria e, nel caso specifico senegalese, la confraternita
svolgono un ruolo fondamentale nell’attività di ricerca dell’impiego.
Da varie fonti emerge la propensione dei senegalesi ad occuparsi nel
settore del commercio. E ciò è comprensibile alla luce degli elementi
caratteristici della comunità stessa: inizialmente si trattava di merce
proveniente dal Senegal ma, con la diffusione di prodotti industriali a
basso costo e dell’eccessiva esosità delle tasse doganali, si sono sempre
più specializzati nel commercio di prodotti audio e video non originali e
merce contraffatta.
Il sistema di rapporti di compravendita rappresentano il canale di
impiego più agile per i nuovi arrivati e anche il modo per imparare più
velocemente la lingua. Sviluppandosi all’interno dell’economia
informale, non è necessario possedere i documenti di soggiorno ed è
strutturato in maniera tale da permettere un’ampia flessibilità in termini
di tempo, sia giornaliero che relativamente a lunghi periodi. In questo
modo, ciascuno è relativamente libero di tornare in Senegal anche solo
per breve tempo oppure di creare delle vere e proprie imprese
transnazionali, procurandosi le merci in Italia da rivendere in Senegal e
viceversa [Riccio, 2007].
Ad ogni modo, soprattutto dove i mercati del lavoro locale lo
permettono, non è così insolito trovare immigrati senegalesi
regolarmente assunti nell’industria. Se da un lato, in tal modo, si
risolvono i problemi legati alla mancanza di documenti e al rischio di
avere sequestrata la merce, d’altro canto emergono problemi legati alle
istanze di vita proprie dei migranti. Infatti, il lavoro stabile a tempo
36
indeterminato può anche essere considerato poco utile nell’ottica di chi,
almeno una volta ogni due anni, sente l’esigenza di tornare in patria. E,
una volta affrontato il viaggio, è irrealistico pensare di poter rimanere
solo per alcune settimane. Come documentato da alcuni autori [Ceschi,
2005], non è raro che gli operai senegalesi dopo un certo periodo
rassegnino le dimissioni per poi dover ricominciare tutto da capo al
ritorno dal Senegal. La sinergia costruita tra i lavoratori e il sindacato
nella provincia di Bergamo è stata utile a innescare diversi percorsi di
mobilitazione che hanno dato diversi esiti. L’elemento centrale era
rappresentato dall’esigenza di trovare una mediazione tra le istanze
individuali, considerando le diverse esigenze dei lavoratori migranti
rispetto agli autoctoni, e le ragioni dell’impresa. In un caso, gli operai
sono riusciti a far approvare un regolamento interno alla fabbrica che
rendesse più flessibile il tempo di non lavoro per gli operai stranieri,
realizzando una politica di riconoscimento della specificità attraverso un
vero e proprio processo di affirmative action; in un altro caso tutti gli
operai hanno avuto a disposizione un periodo più lungo e opzionale di
ferie, in maniera tale da realizzare una situazione di uguaglianza tra
tutti. La prospettiva di partenza, in quest’ultimo esempio, è di tipo
individualista che tuttavia, grazie alla pressione di alcuni elementi
componenti del gruppo, opera un ampliamento delle previsioni delle
norme in favore dei lavoratori tutti e non solo di alcuni con particolari
caratteristiche.
Le strategie di adattamento della comunità senegalese dimostrano in
modo inconfutabile l’essenziale carattere temporaneo del progetto
migratorio e la circolarità dell’esperienza in occidente, alternando
periodi di assenza con periodi di presenza nella terra natia, e ciò
rappresenta una dinamica da tenere in considerazione nel leggere il
fenomeno e nell’operare scelte e decisioni politiche che comprendano
questa particolare comunità.
37
1.7 Senegalesi a Catania
Secondo i dati forniti dall’Istat, negli ultimi anni si starebbe verificando
una lieve flessione sulle presenze dei senegalesi sul territorio catanese.
Bilancio demografico dei senegalesi residenti nel Comune di
Catania al 31 dicembre di ogni anno.
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180
131
131
153
120
117
51
39
28
28
22
24
31
37
46
maschi
femmine
Figura 5 - Fonte: Istat.
Le indagini campionarie descrivono, però, un fenomeno numericamente
differente.
Una delle prime analisi sociologiche relative alla presenza dei migranti
terzomondiali nel comune di Catania è quella condotta da G. Scidà
[1991, 1991a, 1993, 1993a, 1993b] nei primissimi anni ’90.
Ciò che appare più evidente è la sostanziale descrizione di un quadro
che non si è evoluto e che è rimasto sostanzialmente immodificato.
Dopo più di vent’anni dall’arrivo dei primi avventori, caratteristiche e
bisogni della comunità non sembrano essere cambiati in modo
strutturale: Scidà descrive una comunità prevalentemente maschile e
giovane, impiegata nel commercio ambulante e relativamente chiusa,
38
dove la confraternita religiosa esplica tutte le funzioni di richiamo, di
accoglienza e di sostegno ai nuovi arrivati.
Da studi più recenti, è messo in evidenza il fatto che sempre più spesso
i senegalesi che giungono a Catania provengono da grandi città e
prevalentemente da Dakar [Avola e Giorlando, 2004]. Tuttavia, pur non
essendo affiliati alla confraternita murid, ragione per la quale i boy town
hanno atteggiamenti differenti rispetto all’uso di bevande alcoliche,
all’abituale frequentazione di locali notturni e alle relazioni amicali e
amorose con gli italiani, il carattere comunitario della società di
provenienza agisce facendo resistere quei meccanismi di mutuo aiuto e
operando come sistema di regole implicito nel rapporto tra i “fratelli”
[Avola e Giorlando 2004 ma anche Riccio, 2007 per ciò che concerne il
rapporto tra le diverse confraternite].
Ciò che probabilmente si è sempre più acuito nel tempo è la
propensione dei senegalesi a non emergere dall’irregolarità. In effetti,
per la tipologia di attività lavorativa, per la struttura del mercato del
lavoro locale e per le strategie migratorie proprie della comunità,
potrebbe essere considerato come un elemento poco determinante.
La componente irregolare era già sufficientemente diffusa tanto da
portare Scidà, non solo menzionare il fenomeno, ma anche a stimare la
presenza dei senegalesi come paragonabile a quella dei mauriziani che,
in termini assoluti, significava quasi raddoppiare il dato delle presenze
[Scidà, 1991]. Questo trend si non è mai arrestato ed è realistico
credere che sia un fenomeno in crescita.
Lo dimostrano i dati qui riportati, pur tenendo in considerazione le
metodologie utilizzate dall’Istat, che ci descriverebbero una comunità
inesistente. In realtà, basta andare al centro della città per trovare
venditori ambulanti di origine senegalese, o in alternativa esaminare le
associazioni presenti sul territorio o i dati relativi all’imprenditoria.
È lecito ipotizzare che, a seguito della crisi dell’industria e della
conseguente perdita posti di lavoro nelle imprese del Nord, gli operai
senegalesi licenziati abbiano raggiunto i loro amici e parenti nel Sud
39
della penisola trovando impiego nel commercio, entrando in un circolo
vizioso dal quale è difficile riemergere nella legalità a causa della
struttura economica locale e della legge sul permesso di soggiorno.
Inoltre, il costo della vita nel Meridione è più basso rispetto a quello del
Nord e, da un punto di vista culturale, sembrano esserci meno tensioni
nel rapporto con gli autoctoni.
1.8 Alcune considerazioni
Dagli elementi evidenziati, sia in merito alla terra d’origine che a quella
d’approdo, emerge un quadro ben definito e, almeno su due aspetti,
urge una riflessione suppletiva.
Se da un lato sicuramente è stato vantaggioso il fatto di essere
transitato dallo stato di colonia francese a quello di Repubblica
Democratica, dall’altro ha significato probabilmente l’instaurarsi del
potere di un’élite che nella tradizione francese si era formata e da cui ha
tratto per lo meno ispirazione.
Inoltre, all’interno di un contesto in cui una giovane democrazia tenta di
trovare la sua strada verso il progresso, l’organizzazione religiosa ha
giocato, e gioca tuttora, un ruolo di primo piano. Se, infatti, il ventennio
in cui ha governato Senghor ha dato la possibilità ai vari marabout di
accrescere il proprio potere economico e politico, la situazione non si è
modificata negli anni a venire e ha trovato nuovo slancio con le nuove
migrazioni verso l’Europa. Ciò è motivo di interesse per chi analizza
queste realtà nella misura in cui la dimensione religiosa influisce nella
vita quotidiana degli individui fino al punto da rendere sempre più
preferibile la frequentazione per i minori delle scuole confessionali, in
alternativa al sistema scolastico nazionale, che non rilasciano titoli di
studio riconosciuti e riconoscibili altrove.
40
L’organizzazione delle confraternite sufi, come sopra descritta, rende
plausibile la supposizione teorica di Scidà [1993b] di trovarci di fronte
ad una “famiglia mafiosa sui generis”. In realtà, le conseguenze a cui
alludeva non sembrano essersi verificate anche se, in ragione dei
processi di secolarizzazione che hanno interessato soprattutto i nuovi
giovani giunti in Italia dalle città, l’agire e le scelte dei migranti si sono
modificate nel tempo conservando solo alcuni elementi della tradizione
come la solidarietà e la fratellanza tra i concittadini ma non, ad
esempio, la selezione della merce da trattare nel commercio, sempre
più rispondente a esigenze di mercato e meno a una dimensione etica.
È indubbia, però, la valenza politica esercitata dalle confraternite e dagli
stessi emigrati sia in terra di diaspora che in terra natia. Se da un lato,
infatti, i senegalesi più di tutte le altre comunità rivendicano i loro diritti
come collettivo attraverso l’azione delle associazioni o dei sindacati in
Italia, dall’altro esercitano una forte pressione politica nel loro paese di
origine attraverso la realizzazione di progetti e di opere finanziate grazie
alle loro rimesse [Ambrosini, 2007].
L’altro elemento di riflessione è rappresentato dalle strategie di
adattamento della comunità in Italia. La presenza dei senegalesi è
registrata sin dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso ed è sempre
stata caratterizzata da elementi in contrasto tra loro. Infatti, per
cultura e per orientamento, preferiscono organizzarsi in comunità
relativamente chiuse all’esterno, tendente all’autosufficienza, con
immaginabili conseguenze in termini di integrazione della comunità
nella struttura della società ospitante. Allo stesso tempo, però,
esercitano pressioni come gruppo per ottenere spazi di agibilità politica
e sociale all’interno di quei pochi ambiti previsti nella struttura
istituzionale italiana, pur essendo chiaro il loro orientamento a costruire
dei progetti migratori delimitati nel tempo e orientati al rientro in patria.
Probabilmente, quest’ultimo aspetto è spiegabile in virtù del loro senso
di appartenenza alla comunità, traducibile nel non orientare il loro agire
41
esclusivamente verso un interesse individuale ma piuttosto in vista della
continuità della presenza dei “fratelli” senegalesi in Italia.
Un’ultima riflessione scaturisce dalla lettura congiunta di due fenomeni
in controtendenza rispetto al passato: la provenienza dei migranti
senegalesi e l’aumento del numero della presenza femminile. La
progressiva diminuzione dei confratelli della Muridya e la maggiore
apertura nei confronti della società ospitante, congiuntamente
all’aumento della presenza femminile, potrebbe determinare un
progressivo cambiamento di strategia della comunità in termini di
stabilità nel territorio e, di conseguenza, differenti orientamenti
nell’agire rispetto alla terra d’origine.
Elementi in contrasto a questo tipo di prospettiva risultano essere, però,
le rispettive leggi sulla migrazione del Senegal e dell’Italia, laddove si
registrano, per entrambi i casi, inasprimento delle leggi che regolano da
un lato l’emigrazione e dall’altro l’immigrazione.
42
La comunità e i servizi: bisogni emergenti e risposte locali
2.1 Caratteristiche e funzionamento della comunità
senegalese
Come ampiamente dimostrato precedentemente, la comunità
senegalese è una comunità coesa e politicamente organizzata. Infatti, in
tutti i territori della penisola i cittadini senegalesi si riuniscono in
associazioni, tutte collegate tra loro. La religione in questo senso svolge
un ruolo fondamentale agendo come collante e come risorsa tra gli
aderenti. Le caratteristiche precipue del sufismo – organizzazione in
confraternite, legame tra marabout, talibé e tra confratelli – sono
funzionali alla costruzione di processi di integrazione politica della
comunità nella vita pubblica italiana.
Non di rado, le dahire37
si costituiscono formalmente in vere e proprie
associazioni. Se da un lato la periodicità frequente degli incontri, anche
due volte a settimana, fa sì che la comunità sia sempre in relazione; per
altro verso la formalizzazione dell'organizzazione rende questo luogo
simbolico e fisico di incontro l'interfaccia della comunità con l'esterno.
Alcune esperienze documentate [Blanchard, 2008; Pizzolati, 2008]
dimostrano la vitalità e il funzionamento dell'organizzazione della
comunità. In particolare il contributo di Blanchard, fa emergere degli
elementi poco conosciuti della condizione delle donne all'interno della
cultura e della comunità senegalese. Anche le donne, riunite in una
dahira minore facente parte di quella generale, contribuiscono al bene
della comunità attraverso i propri mezzi e strumenti. Non è infatti una
37
Le dahire muridd in Senegal sono l'espressione dell'organizzazione urbana delle
comunità in seguito all'esodo dalle campagne. Questo stile organizzativo è
riproposto anche nelle terre di migrazione. Le dahire sono fondamentalmente dei
gruppi di preghiera e di incontro tra confratelli.
43
novità per la cultura senegalese una leadership femminile38
, anche se la
condizione generale delle donne non è certamente paritaria rispetto
all'uomo.
L'esperienza migratoria dei senegalesi appare in molti aspetti come un
percorso paradigmatico rispetto a un inserimento parziale ma proficuo
di una comunità all'interno di un contesto territoriale ben specifico.
Le diverse dahire locali in Italia sono le une collegate alle altre,
rispondendo in tal modo alle esigenze precipue dei confratelli e
all'esigenza di mantenere rapporti con tutti gli altri senegalesi presenti
nel paese e con i compatrioti in terra natia. Le frequenti visite dei
marabout39
nelle diverse località alimentano questi flussi comunicativi e
di vicinanza tra le diverse comunità locali. Contestualmente,
l'organizzazione religiosa funge da rappresentanza politica e sociale,
ottemperando in molti casi alla gestione dell'eventuale conflitto o
problematicità rendendolo vertenziale della comunità e non del singolo
individuo grazie anche ai rapporti intessuti e costruiti con soggetti
sindacali o associativi degli autoctoni [Ceschi, 2005].
Inoltre, la comunità interviene attivamente, attraverso forme di
mutualismo, al benessere dei consociati.
In sostanza, la comunità svolge la funzione di rete migratoria40
, essendo
fonte di stimoli imitativi e di sostegno logistico e materiale. La rete
funge da richiamo per i nuovi arrivi i quali possono attingere al così
detto capitale sociale etnico, secondo la definizione di Esser41
. Esso è un
capitale sociale specifico, la cui utilizzabilità dipende dall'esistenza di
una comunità etnica insediata in una comunità ricevente o di un
38
Si tratta di Sokhna Muslimatou e Sokhna Maimouna, figlie di Cheikh Amadou
Bamba e sorelle del khalife generale in carica negli anni '70. Anche Sokhna Magat
Diop ha esercitato un ruolo importante all'interno della comunità muridd.
39
Non di rado diverse dahire in diverse località seguono uno stesso marabout.
40
Definite come "complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti
precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso vincoli
di parentela, amicizia e comunanza di origine" in Massey, Economic development
and international migration in comparative perspective, in Population and
Development Review n. 14, p. 383-413.
41
Esser H., Does the "new" immigration require a "new" theory of intergenerational
integration, in International Migration Review, vol. 8, n. 3 (Fall), pp. 1126-1159
44
network transnazionale. Questo tipo di capitale sociale soffre della
carenza di abilità e conoscenze che possono essere impiegate nel nuovo
ambiente dove è possibile subire, inoltre, pratiche discriminatorie più o
meno esplicite. Allo stesso tempo, però, il capitale sociale etnico
rappresenta sempre più una strategia alternativa alla classica
assimilazione su base individuale, intesa come perdita di riferimenti
identitari e di memoria culturale [Ambrosini, 2006]. Chi appartiene alla
comunità, nel caso specifico dei senegalesi così come anche in altri casi,
usufruisce delle conoscenze e delle esperienze di coloro i quali sono
emigrati precedentemente con delle conseguenze rilevanti sui diversi
aspetti della vita quotidiana.
I senegalesi partono dalla terra natia con una destinazione precisa
perché raggiungono parenti o connazionali già integrati nel tessuto
economico del paese ospitante. Nel caso specifico, si registra una vera e
propria sostituzione dei migranti più giovani con quelli più anziani42
. Le
nuove "leve" sono inserite prevalentemente nell'attività del commercio
ambulante già avviato dai loro predecessori. In questo modo, però, si
va delineando un'altra conseguenza importante: l'insieme delle
caratteristiche della comunità, congiuntamente alla specializzazione
etnica lavorativa, fa sì che sia largamente possibile intraprendere un
percorso migratorio in cui non si ottemperi ai dettami di legge riguardo
la regolarità del soggiorno.
Per queste ragioni, la fruizione dei servizi dedicati agli immigrati da
parte degli aderenti alla comunità sembra essere connotata da
caratteristiche specifiche.
2.2 I servizi dedicati agli immigrati e la comunità senegalese
a Catania
42
A riprova di ciò, i dati Istat descrivono un'età media della comunità più o meno
costante nel tempo pur essendo una nazionalità presente nel territorio già dall'inizio
degli anni '80.
45
La città di Catania offre un insieme di servizi erogati dal pubblico e dal
terzo settore specializzati in prima assistenza e disbrigo pratiche. A
parte gli uffici istituiti per legge, come lo Sportello Unico per
l'Immigrazione43
operante presso le Prefetture, sono attivi numerosi
servizi nel campo dell'assistenza abitativa e alimentare44
, del supporto
legale e dell'alfabetizzazione linguistica45
e dall'orientamento socio-
lavorativo46
. Il Comune di Catania ha, inoltre, attuato un progetto dal
titolo "Progetto per immigrati" grazie al quale si è ampliata l'offerta dei
servizi rivolta al target di utenza allo scopo di aumentare le opportunità
di inserimento sociale, attraverso l'istituzione di sportelli informativi e
consultori medici ad esempio, e di scambi interculturali, attivando corsi
di lingua e di cultura araba, di cultura Tamil e di perfezionamento e
alfabetizzazione di lingua italiana.
Con esperienza quindicennale, infine, opera nel territorio la Casa dei
Popoli, un ufficio comunale che offre svariati servizi nei settori già
menzionati.
Per quanto concerne la salute, diversi soggetti pubblici e di terzo settore
operano nel territorio allo scopo di fornire assistenza medica, tutela
della salute e servizi informativi rivolti alla prevenzione. Tra questi
possiamo citare l'AUSL, presso cui è attivo un servizio che promuove
assistenza psicologica ai migranti con particolare attenzione alle
differenze culturali esistenti attraverso il dipartimento di psichiatria
trans-culturale. Altri soggetti menzionabili sono la Caritas, l'Help Center
e la Croce Rossa Italiana che utilizzano i loro servizi di prima
accoglienza anche per l'accompagnamento presso le strutture
ospedaliere. Infine, l'associazione L.I.L.A., che opera nel campo della
prevenzione dell'AIDS, offre anch'essa dei servizi specifici per migranti.
43
Introdotto dalla legge c.d. Turco-Napolitano (D. Lgs. 25 luglio 1998, n.286) e
modificato della legge c.d. Bossi-Fini (Legge 30 luglio 2002, n. 189)
44
Come i servizi erogati dalla Caritas italiana e dal Centro Astalli.
45
Come i servizi erogati dalla Chiesa Battista, il Centro Astalli e l'Arci.
46
Come i servi erogati dal Centro Astalli, Acli e Arci, i sindacati confederali.
46
Presso la CGIL è operativo uno sportello per migranti che si adopera per
fornire assistenza legale con servizi relativi all'ottenimento del permesso
di soggiorno, alla regolarizzazione della loro posizione lavorativa, alla
messa in rete con associazioni e comunità di migranti.
Specializzata in tema di violenza, prostituzione, affidamento dei figli e
tratta di esseri umani è l'associazione Penelope che più di altre
associazioni presenti nel territorio registra utenti stranieri.
A Catania sono presenti diverse strutture che fanno parte del circuito di
protezione per rifugiati e richiedenti asilo politico. Inoltre, il Cir47
fornisce servizi di assistenza alle persone, assistenza legale, accoglienza
alle frontiere, assistenza e accesso durante la procedura di asilo,
interventi presso le autorità, supporto sociale, accesso ai diritti,
orientamento al territorio, percorsi di integrazione, ricongiungimenti
familiari, cura e riabilitazione dei rifugiati sopravvissuti a tortura.
La città, in buona sostanza, offre principalmente servizi di primissima
assistenza e di assistenza amministrativa e legale.
Per sua struttura, la comunità senegalese in genere non usufruisce dei
servizi di accoglienza poiché produce essa stessa soluzioni per i propri
affiliati. Un'osservatrice privilegiata sintetizza così il funzionamento della
comunità:
“L’associazione che comprende tutta la comunità è nata per
essere al servizio di tutti. Qualora un senegalese avesse
bisogno anche economico questa si muove. Tutti gli associati
partecipano con una quota mensile. Spesso capita che
l'associazione si occupi dei rimpatri delle salme dei concittadini
morti in Italia. Inoltre, l'associazione è portavoce della comunità
con l’istituzione: ha partecipato a incontri con la Questura, con
il Comune, con la Confcommercio. [...]La religione, per i
senegalesi, è l'unico vero filo conduttore e l'unico vero
aggregante. Il fatto che abbiano il loro centro per pregare, il
fatto che si vedano due volte la settimana, il fatto che discutono
47
Consiglio Italiano per Rifugiati.
47
delle esigenze della comunità e dei loro problemi, ciò fa sì che
la comunità sia unita ed io direi geneticamente unita. Nelle altre
comunità, si registrano delle aggregazioni a gruppi, per i
senegalesi ciò non si verifica: sono uniti tutti insieme e non solo
al livello locale ma anche a livello nazionale. Quindi tra di loro
sono sempre in contatto, si scambiano opinioni e prendono le
decisioni insieme e a prescindere dalle varie etnie".
(OssPrivilegiato)
Inoltre, le esperienze documentabili descrivono sempre un approccio
comunitario alla risoluzione dei problemi. La stessa osservatrice
privilegiata racconta così la sua esperienza di aiuto alla comunità
senegalese di Catania:
“È nata per un caso fortuito [...]. All'inizio bisognava
rispondere agli aspetti più elementari per garantirgli la
sopravvivenza: le prescrizioni dei farmaci perché anche un
raffreddore poteva rappresentare un problema. Di lì in poi è
stato un crescendo. I miei interventi andavano dal cercagli le
case perché la gente era molto restia ad affittargliele. Spesso
mi sono offerta come garante della locazione, gli procuravo i
farmaci facendoli prescrivere a nome di altri perché loro non
potevano averli. In sostanza, li aiutavo in tutti quegli aspetti
che riguardano la sopravvivenza. Dopo la prima sanatoria, mi
sono occupata invece dell'espletamento delle pratiche
burocratiche: permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari,
il rilascio del libretto per l'assistenza medica e così via. Anche
perché inizialmente non c'erano altre associazioni e servizi per
loro. Ho iniziato a dare loro assistenza a titolo personale,
successivamente ho collaborato con la CGIL. Lavorare per una
grande organizzazione ha avuto i suoi vantaggi, anche perché i
bisogni della comunità mutavano gradualmente grazie al fatto
di essere sempre più inseriti nel contesto territoriale e di essere
una comunità forte e coesa”. (OssPrivilegiato)
48
La comunità, quindi, manifesta esigenze diverse rispetto ad altre che
non sono così strutturate: i settori a cui non possono dare adeguate
risposte riguardano l'assistenza sanitaria, soprattutto quella
specializzata, e la sfera amministrativa e legale che riguarda i permessi
di soggiorno e l'attività lavorativa.
Alcuni senegalesi, tuttavia, hanno cercato di porre rimedio anche a ciò
fondando una cooperativa che, oltre a progettare e finanziare scambi
commerciali e realizzazioni di opere tra l'Italia e il Senegal, offre servizi
di disbrigo pratiche, assistenza sanitaria, assistenza legale e
orientamento al lavoro. L'amministratore unico racconta così la nascita
della cooperativa:
“Ho fatto un corso di formazione specifico. Insieme ad altri poi
abbiamo pensato di aprire questo posto. Ogni volta che
avevamo bisogno di un servizio ci trovavamo male e non ci
sentivamo aiutati. Allora abbiamo pensato che dovevamo
essere noi stessi a trovare il modo per dare i servizi necessari
alla comunità. Noi aiutiamo i nostri connazionali e tutti gli
immigrati nel disbrigo pratiche per il permesso di soggiorno,
offriamo assistenza sanitaria e legale, servizi di patronato”.
(Coop1)
La cooperativa in questione rappresenta il primo tentativo della
comunità di emanciparsi anche per questo genere di servizi dalla società
ospitante, pur mantenendo, per necessità, dei collegamenti insostituibili
con le strutture più specializzate.
“Dopo l'entrata in vigore della legge per cui i medici possono
segnalare i clandestini, cosa molto grave e razzista, abbiamo
preso contatti con alcuni medici per dare assistenza a tutti”.
(Coop1)
Ancora una volta, il dinamismo della comunità ha attuato delle strategie
per la risoluzione dei problemi generati, nel caso specifico
49
dell'assistenza sanitaria, dall'entrata in vigore del c.d. Pacchetto
sicurezza48
del 2008 che ha introdotto nell'ordinamento il reato di
clandestinità e il conseguente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di
servizio pubblico, come i medici49
, di denunciare i sans papiers che
incontrano nello svolgimento delle loro funzioni.
Le conseguenze logiche delle caratteristiche evidenziate conducono alla
conclusione che data l'alta capacità organizzativa e la forte
rappresentanza politica della comunità, è impensabile programmare un
intervento sociale dedicato loro escludendoli dall'organizzazione del
servizio, in quanto risulta essere in gioco l'efficacia del servizio.
È determinante, ai fini della fattibilità e delle condizioni di facilitazione
per la riuscita del progetto, costruire un percorso comune e di dialogo
tra i soggetti coinvolti nella realizzazione di un servizio dedicato, avendo
la consapevolezza di voler intervenire a favore di una popolazione target
che rivendica con fermezza e determinazione la propria volontà di non
voler rimanere un utente passivo.
2.3 L’ analisi dei bisogni e responsabilità del pubblico e del
privato
La recente riforma che ha investito l'organizzazione dei servizi socio-
assistenziali50
ha operato una trasformazione importante. In prima
istanza, ha riorganizzato la titolarità delle responsabilità relative alle
politiche sociali ridistribuendole tra i vari attori istituzionali e sociali
secondo alcuni principi51
. In particolare, la legge istituisce le zone
48
Legge 24 luglio 2008, n. 125.
49
Dopo l'entrata in vigore della norma, l'ordine dei medici ha replicato esplicitando il
fatto che per ragioni deontologiche non poteva essere chiesto loro di denunciare i
clandestini. Nei fatti, quindi, non sussiste l'obbligo ma ciò non toglie che ciascun
medico possa informare le autorità qualora sia a conoscenza del fatto che un
proprio paziente sia autore di reato.
50
Legge 8 novembre 2000, n. 328.
51
Il principio della sussidiarietà orizzontale e verticale, in particolare, sancisce non
solo il trasferimento delle funzioni di programmazione alle Regioni e le funzioni di
50
sociali, che sostituiscono e integrano le precedenti circoscrizioni
sanitarie, come luogo di programmazione partecipata e di governance
del welfare locale aperto all'integrazione tra attori pubblici e privati. A
partire da ciò, si registrano in tutto il paese una notevole varietà di
esperienze sul campo di progettazione e di gestione dei servizi di tipo
plurale e partecipativo [Paci, 2008].
La moltiplicazione degli attori ha comportato la prolificazione di nuovi
modelli di gestione non sempre conducibili a un unico quadro
omogeneo. L'aspetto centrale del nuovo sistema è il passaggio da una
logica di government a una di governance, cioè il passaggio da una
regolazione monopolistica delle politiche sociali da parte dello Stato a un
sistema integrato e plurale di programmazione, in cui si intrecciano
nuovi legami e scambi tra diversi attori che agiscono per gli interessi
collettivi.
Il ruolo dei diversi attori, così come le differenti relazioni tra loro e gli
obiettivi perseguiti, determinano una serie di modelli di governance
[Kasepov e Carbone, 2007]:
1. il modello clientelare, caratterizzato da relazioni particolaristiche
tra i politici e i diversi stakeholders che, per il raggiungimento di
obiettivi specifici, scambiano risorse e favori in cambio di
supporto politico;
2. il modello concertativo in cui i diversi attori partecipano al
dibattito democratico con pari potere contrattuale per la
costruzione consensuale di obiettivi politici condivisi;
3. il modello manageriale in cui viene accentuata la competizione
tra fornitori di servizi e la libertà di scelta dell'utente secondo i
temi guida del New Public Management;
4. il modello pluralista in cui gli attori chiave sono rappresentati
progettazione e gestione delle politiche sociali agli Enti locali, ma anche il
riconoscimento al Terzo Settore di un ruolo attivo e paritetico al settore pubblico
nell'implementazione e nella progettazione delle stesse [Colozzi e Prandini, 2008]
51
dall'insieme di politici e dei relativi interessi privati che formano
blocchi competitivi e alleanze per la definizione delle politiche,
sancendo contestualmente il ruolo di mediatore al government;
5. il modello partecipativo che si caratterizza per l'inclusione della
società civile nella definizione, gestione e implementazione delle
politiche;
6. il modello democratico-inclusivo che si caratterizza per la
mobilitazione del supporto popolare nella definizione e
implementazione delle politiche, guidato dalla logica di tipo
democratico-inclusiva, così come per il modello partecipativo, ma
finalizzato in questo caso alla creazione di consenso anche
attraverso la mobilitazione collettiva.
Negli ultimi anni, secondo gli autori, si è assistito a una forte apertura al
privato sociale in Italia e, in particolare, alle organizzazioni no profit e
alle associazioni di volontariato. Le relazioni tra questi attori e le
agenzie pubbliche variano fortemente a livello locale, spaziando da
modelli clientelari e populisti a forme più strutturate di governance
corporativa e manageriale [Kasepov e Carbone, 2007].
Una delle poche forme partecipative che coinvolge la popolazione
migrante nel nostro paese è rappresentata dalle Consulte per
l'immigrazione, istituite ai sensi del Testo Unico sull'immigrazione52
presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Essa ha il compito
di promuovere il dialogo tra i diversi attori sociali maggiormente
rappresentativi al fine di monitorare le politiche migratorie ed elaborare
proposte efficaci per l'integrazione dei cittadini stranieri nel nostro
paese. La scelta dei soggetti membri della consulta è operata tramite
cooptazione. Ciò determina non pochi problemi di rappresentatività e di
democrazia soprattutto alla luce del generale principio della maggiore
rappresentatività non meglio specificato.
52
D. Lgs. 286/1998.
52
Sono presenti e operanti nel territorio anche Consulte istituite presso le
regioni e le province attraverso regolamento o legge regionale. I
meccanismi e i principi di funzionamento sono analoghi a quelli che
regolano la Consulta nazionale, così come lo sono i compiti assegnati:
questi organi possono essere consultati in merito a decisioni che
riguardano il fenomeno migratorio e i cittadini stranieri in Italia53
.
In attuazione dell'art.42 dello Statuto, anche la Provincia Regionale di
Catania ha provveduto alla creazione della Consulta Provinciale degli
Immigrati Extracomunitari, riconosciuto come organo propositivo e
consultivo sulle problematiche degli immigrati, nonché come centro di
partecipazione, di analisi e di confronto tra le varie comunità straniere e
le realtà sociali operanti in tale settore nel territorio provinciale.
Le dinamiche partecipative a Catania54
rappresentano ancora un campo
esperienziale poco prolifico in termini quantitativi e ancor più in
riferimento alla popolazione straniera presente nel territorio.
Una recente indagine sull'associazionismo immigrato e quello pro-
immigrato a Catania mette in discussione la tesi di Putnam55
secondo la
quale la presenza di un tessuto associativo denota una crescita
quantitativa e qualitativa della dotazione di capitale sociale56
circolante
in una società e il ponte di passaggio dalla fiducia interpersonale alla
fiducia nelle istituzioni che si traduce in volontà e capacità di confronto
53
Per un approfondimento sul tema si rimanda a Mantovan C., Immigrazione e
cittadinanza: auto-organizzazione e partecipazione dei migranti in Italia,
FrancoAngeli, Milano, 2007.
54
Per una trattazione più approfondita sul tema si rimanda a Dalla Porta D. (a cura
di), Comitati cittadini e democrazia urbana, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ),
2004
55
Putnam R.D., La tradizione civica delle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993
56
Secondo l'approccio collettivista di Putnam, il capitale sociale si crea dallo scambio
reciproco di relazioni non basate essenzialmente sull'utilità individuale. Ogni
soggetto, in sostanza, entra in relazione con altri portando con sé il proprio
"capitale" che mette in comunione con gli altri individui, ricevendo in cambio da
questi il loro "bagaglio sociale". In questo modo, si creeranno le basi per la
realizzazione di scopi non perseguibili a livello individuale grazie allo scambio di
esperienze, conoscenze e di informazioni. Putnam definisce il capitale sociale come
"[...] l'insieme di quegli elementi dell'organizzazione sociale – come la fiducia, le
norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l'efficienza della società nel
suo insieme, nella misura in cui facilitano l'azione coordinata degli individui"
(Putnam R.D., La tradizione civica delle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993, p
169).
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  • 1. 1 Introduzione La valutazione dei servizi e delle politiche sociali negli ultimi anni è sempre più richiesta e costituisce un ambito di grande dibattito. L'Italia, però, si è inserita in questo frame con un notevole ritardo rispetto agli altri paesi europei e agli Stati Uniti: nel nostro paese, infatti, si è cominciato a parlare di valutazione solo in anni recenti e inizialmente si era intesa in un'ottica di tipo programmatorio. Infatti, gli obblighi normativi, soprattutto dettati da strutture di governo sovrastatali, in Italia si sono inizialmente concretizzati in valutazioni di corrispondenza tra l'intervento previsto a livello normativo e la sua attuazione, dimostrando contestualmente poca attenzione agli aspetti metodologici e scientifici della ricerca [Altieri, 2009]. La crisi del welfare state, da un lato, e la legislazione europea, dall'altro, hanno creato le condizioni di indispensabilità della valutazione. Infatti, se da una parte la crescente complessità sociale ha reso sempre meno credibile e meritevole di fiducia un approccio razionale e sinottico in riferimento alle politiche sociali a causa dell'emergente differenziazione dei bisogni e la scarsezza delle risorse; dall'altro i dettami normativi esplicitano e obbligano i soggetti coinvolti a sottoporsi e a sottoporre i propri progetti, i propri programmi e le proprie politiche a controllo di valutazione [Ciucci, 2008; Rissotto Alvaro e Rebonato, 2006]. Un aspetto non trascurabile, tra le ragioni che hanno permesso alla valutazione di ottenere maggiore considerazione, è rappresentato dal fenomeno, squisitamente politico, dell'erosione della legittimazione dei poteri pubblici a cui corrisponde il crescente rilievo attribuito alla capacità dei servizi pubblici di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei cittadini. In sostanza, la legittimazione dell'operato dei politici e degli amministratori è sempre più direttamente collegabile al buon esito delle loro azioni piuttosto che dal mandato che è stato loro conferito [Risotto Alvaro Rebonato, 2006]. La diretta conseguenza è che la
  • 2. 2 valutazione, in questo contesto, assume un ruolo cruciale ossia strumento capace di giustificare l'azione pubblica agli occhi dei cittadini. Per altro verso, si assiste a una sempre più articolato intrecci di relazioni che legano i diversi attori sociali coinvolti nella realizzazione delle politiche sociali e dei servizi, ciascuno portatore della propria identità e del proprio linguaggio [Donati, 2000]. Questa articolazione societaria ha provocato l'innestarsi di diversi processi, istituzionali e non, che hanno realizzato una differente regolazione nel settore. Per fare solo alcuni esempi: il passaggio dal government alla governance come logica programmatoria [Kasepov e Carbone, 2007]; l'istituzionalizzazione di forme partecipative all'interno dei processi decisionali di policy [Paci, 2008]; la crescente e ormai consolidata esperienza del Terzo Settore nell'erogazione e nella gestione dei servizi [Colozzi e Prandini, 2008]. Anche all'interno dello stesso ambito disciplinare, oltre allo sviluppo e crescita di sapere tecnico-scientifico e quindi anche di esperienze sul campo e documentazione, si è assistito negli anni a una diversificazione di approcci e allo sviluppo di nuove tecniche1 , oltre che al miglioramento di quelle già note [Palumbo, 2001; Altieri, 2009]. In letteratura, infatti, si distinguono tre principali approcci [Palumbo, 2001]:  nell'approccio positivista-sperimentale (maggiori esponenti Hyman, Suchman, Campbell, Rossi e Freeman, Chen) la finalità della valutazione è di constatare la coerenza tra gli obiettivi prefissati e i risultati raggiunti. I metodi utilizzati prevalentemente sono gli esperimenti e quasi esperimenti2 e il quadro logico3 . Lo 1 Un esempio tra i tanti possibili è rappresentato dalle interviste via chat. 2 Si tratta di disegni di ricerca la cui finalità è la valutazione. Si articolano nelle classiche fasi della ricerca positivista: costruzione di ipotesi, esperimento, verifica delle ipotesi. I primi si avvalgono di campioni randomizzati allo scopo di isolare gli effetti dell'esperimento da altri fattori, i secondi no. Le tecniche utilizzate in questi ultimi, per supplire all'assenza di randomizzazione, si avvalgono di una logica longitudinale, poco praticabile nell'altro caso [Altieri, 2009].
  • 3. 3 strumento principe è il sondaggio. La valutazione è considerata come strumentale per la decisione politica.  Nell'approccio pragmatista-qualità (maggiori esponenti Scriven, Wholey, Donabedian, la tradizione del New Public Management) la finalità della valutazione è di verificare il livello di qualità dell'oggetto in analisi. I metodi utilizzati si rifanno alla "logica di valutare" di Scriven4 e all'analisi multicriteri5 . Le tecniche utilizzate sono principalmente l'analisi della soddisfazione degli utenti e il giudizio degli esperti. La valutazione considerata come strumentale per la gestione e il funzionamento dell'amministrazione.  Nell'approccio costruttivista-processo sociale (maggiori esponenti Stake, Guba e Lincoln, Cronbach, Patton, Feterman, Hirschman, Tendler) la finalità della valutazione è analizzare e comprendere i processi e le azioni innescati dalla politica o dal servizio. I metodi principali di indagine sono l'analisi comparativa, l'esplorazione e l'analisi partecipata. Gli strumenti utilizzati sono studi di caso, interviste, focus group, osservazioni. La valutazione è quindi utilizzata come indagine conoscitiva e come strumento di empowerment in particolare per progetti pilota o esperienze innovative. 3 È uno strumento di project management utilizzato anche dall'Unione Europea non solo nell'ambito della cooperazione internazionale, dei progetti di sviluppo ma anche per tutte le sfere della progettazione. Il Quadro Logico è una matrice di progettazione utile per definire i diversi elementi che lo compongono e per visualizzarli in modo efficace. Per approfondimenti si rimanda a Bussi F., Progettare in partenariato. Guida alla conduzione di gruppi di lavoro con il metodo GOPP, FrancoAngeli, Milano, 2001. 4 Secondo l'autore questo modo di procedere somiglia a quello utilizzato dalle associazioni dei consumatori per valutare la qualità dei prodotti. La "logica del valutare" si compone delle fasi di: stabilire criteri di merito e standard, misurare la performance dei singoli programmi, dare un punteggio, ordinare più programmi in una graduatoria, sintetizzare i risultati di giudizio finale di valore [Palumbo, 2001]. 5 Argomento trattato nel capitolo IV.
  • 4. 4 Il presente elaborato si propone di indicare un impianto valutativo di un servizio in corso di progettazione, cercando di indicare un percorso che si inspira, fondamentalmente, al terzo approccio ma che introduce anche alcuni elementi del precedente e in particolare per ciò che concerne la qualità percepita dal cliente. Il progetto per la creazione dello sportello per migranti nasce dall'incontro di due soggetti coinvolti, per motivi diversi, nel fenomeno migratorio e in particolare di quello della comunità senegalese a Catania. Infatti, in occasione di alcuni seminari formativi, la Facoltà di Scienze Politiche di Catania ha invitato il Console Onorario del Senegal a partecipare in veste di relatore. Il proficuo incontro ha reso possibile, l'anno successivo, la creazione di un Master di II livello inerente ai diritti dei migranti, esperienza ancora in corso. Il continuo dialogo e scambio di idee tra i due soggetti ha fatto sì che nascesse il progetto dello sportello multifunzionale per migranti a Catania, con l'individuazione di una specifica popolazione target e cioè la comunità senegalese presente a Catania, ma con l'ambizione, nel tempo, di allargare l'accesso anche ad altri cittadini extracomunitari. La proposta di impianto valutativo qui elaborata non si limita all'elencazione delle tecniche e delle metodologie più idonee per accertare la qualità e l'efficacia del servizio. Infatti, nel primo capitolo si presenta un quadro analitico del contesto in cui il servizio si inserisce e in particolare il quadro economico, occupazionale e politico della città di Catania. Si affronta anche il tema del fenomeno migratorio in Sicilia e a Catania, facendo emergere caratteristiche peculiari e problematicità. Un vasto approfondimento è dedicato all'analisi delle caratteristiche della comunità senegalese in Italia e a Catania, non trascurando alcuni elementi storici, sociali e politici del Senegal. Tale analisi di contesto è stata elaborata con lo scopo di fungere da analisi preliminare alla progettazione dell'intervento.
  • 5. 5 Nel secondo capitolo si affrontano più in profondità le motivazioni che hanno mosso i soggetti promotori a proporre il progetto, le sue caratteristiche e finalità, dimostrando la sua coerenza rispetto ai bisogni della popolazione target e alle caratteristiche del contesto in cui si inserisce. Nel terzo capitolo si affrontano le questioni metodologiche relative all'intervista in profondità, strumento utilizzato nell'indagine condotta al fine di contestualizzare il progetto e sondare il livello di gradimento dello stesso. Nel quarto capitolo, infine, si articola una proposta di ricerca valutativa adatta al servizio in questione, giustificando ogni scelta con metodo scientifico ed evidenziando vantaggi e svantaggi di ogni singola tecnica proposta.
  • 6. 6 Da terra di approdo a città dove vivere. Caratteristiche sociali, economiche e politiche del territorio 1.1 Il contesto Una particolare commistione di fattori ha reso Catania, nel tempo, una méta più appetibile rispetto al passato per uomini e donne provenienti da paesi a forte pressione migratoria. La sua posizione geografica, le particolari caratteristiche socio - economiche e altri fattori demografici sono le principali ragioni per le quali il fenomeno migratorio, seppur in modo moderato, abbia acquisito carattere stanziale. Infatti, trent’anni dopo l’arrivo dei primi migranti sul suolo etneo, la composizione e le caratteristiche del fenomeno hanno assunto dimensione e valore di rilievo, facendo emergere tutti i vantaggi e le criticità del caso. A partire dagli anni settanta del secolo scorso, in assoluta coerenza con le caratteristiche descritte dal modello di immigrazione del sud dell’Europa, la Sicilia - e in particolare Catania – è diventata terra di approdo per immigrati provenienti dal continente africano e da quello asiatico. Inizialmente era deputata a essere esclusivamente luogo di ingresso e di passaggio, ma in anni più recenti i dati sull’incidenza della popolazione straniera indicano un aumento lieve ma costante della popolazione residente. Al primo gennaio 2010, risultano essere residenti 8619 stranieri nel Comune di Catania, 23411 in tutta la provincia e 127310 nella regione. Nel 2003 risultavano essere così distribuiti: 4260 nel Comune, 9527 nella provincia e 50890 nella Regione6 . A distanza di meno di un decennio, la presenza di immigrati regolari è sostanzialmente raddoppiata e, come è noto, questi dati non considerano una parte 6 Dati Istat.
  • 7. 7 significativa del fenomeno rappresentata dalle presenze irregolari e clandestine. L’incidenza sulla popolazione nella città di Catania è pari al 2,91% e certamente non eguaglia i dati relativi ad altre grandi metropoli italiane che si attestano al di sopra del 5% ma risulta essere un dato interessante se confrontato con quelli relativi al capoluogo di regione (2,76%) e alla regione stessa (2,52%). Catania, infatti, ha subito radicali trasformazioni in campo economico e del mercato del lavoro: la terziarizzazione dell’economia e i mutamenti della domanda di lavoro hanno fatto sì che la città sia divenuta sede di erogazione di servizi non solo della Provincia che presiede ma anche di tutta la Sicilia orientale. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la città ha vissuto una fase di effervescenza politica, economica e sociale tale da determinare l’inversione del trend di declino della popolazione, la ripresa di alcuni settori industriali, il varo di un Patto territoriale finalizzato a un’operazione di recupero ambientale e di rilancio del turismo. Contestualmente, la città ha conosciuto una stagione di grande fermento culturale e di grande espansione dei servizi legati al settore ricreativo e di intrattenimento, coniugando questo aspetto con un’espansione parallela nel campo tecnologico attraverso la localizzazione di imprese multinazionali di lavorazione del silicio e di aziende specializzate nella produzione di nuovi servizi basati su Internet e sulle telecomunicazioni. Si creano, quindi, gli spazi per una nuova forza lavoro giovanile specializzata, poco propensa alla mobilità territoriale e disposta ad accettare stipendi e condizioni di lavoro inferiori a quelle dei colleghi del Nord d’Italia, sia per una forza lavoro despecializzato disposta ad accettare bassi salari e poche tutele nel settore del commercio e dei servizi. Il territorio siciliano, considerando la sua storia più recente, è rappresentativo delle peculiarità dello sviluppo e dei problemi del Mezzogiorno: seppur il suo processo di modernizzazione sia stato imponente e abbia investito fattori fondamentali, apportando
  • 8. 8 trasformazioni economiche, sociali, culturali e politiche, la regione non sembra mostrare significative soluzioni a problemi sistemici che la caratterizzano storicamente. Il tasso d’occupazione basso, l’economia sommersa, la scarsa qualità delle infrastrutture e dei servizi, la criminalità organizzata, la gestione incauta e spesso al limite delle regole delle risorse pubbliche rappresentano alcuni elementi persistenti in un quadro di innovazione tecnologica e culturale. Nell’ ultimo rapporto SVIMEZ [2010] si descrive un processo di deterioramento in atto nel Mezzogiorno a causa delle ricadute della crisi internazionale che è ancora in corso. Si delinea un quadro in cui sembra crescere il divario tra le aree deboli e le aree forti del paese e una possibilità di uscita è quella di attuare un processo di ristrutturazione dell’apparato produttivo meridionale accompagnato da politiche di sviluppo efficaci per affrontare i nuovi scenari che si profileranno alla fine della crisi. In tutti i settori produttivi, il Mezzogiorno ha registrato una flessione maggiore rispetto al Centro – Nord; unica àncora di salvezza è il settore dei servizi, che ha un peso strutturale maggiore nell’area, che è stato meno colpito. Tuttavia, la contrazione dell’occupazione e dei consumi è percentualmente più elevata rispetto al Centro – Nord. Un’altra peculiarità emersa è la debolezza di un sistema di Welfare e di ammortizzatori sociali che al Centro – Nord riescono ad assicurare livelli discreti di protezione mentre nel Mezzogiorno livelli assai inferiori. Queste asimmetrie determinano l’aggravamento delle condizioni di alcune categorie in particolare, i più deboli del sistema. La crisi occupazionale, secondo lo SVIMEZ, ha colpito prevalentemente i giovani, contrattualizzati con forme atipiche che prevedono scarsi livelli di tutela. Dal 2004 al 2009 il dato sugli occupati con meno di 35 anni ha subito una flessione del 15% a fronte di un incremento delle fasce di età più elevate.
  • 9. 9 Tuttavia, il mercato del lavoro, a Catania ma più in generale in Sicilia, è fortemente permeato da un’economia informale che favorisce la presenza di immigrati irregolari e clandestini, occupati principalmente nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e nei servizi di assistenza alla persona, come badanti, baby-sitter e colf. Quest’ultimo dato è coerente con la femminilizzazione del processo migratorio. All’interno dell’economia informale, secondo la definizione fornita da Chiarello [1983], si annoverano tutte le attività economiche - legali e illegali, di mercato e fuori mercato, monetarie e non monetarie – che in tutto o in parte sfuggono alle norme istituzionali che regolano le transazioni economiche e non sono riportate nei dati statistici nazionali. Introdurre il criterio della legalità per distinguere i metodi di produzione e distribuzione e le tipologie di prodotti e servizi è utile per distinguere le diverse componenti ascrivibili all’economia informale: in primis, l’economia sommersa e sociale dall’economia criminale. In seconda istanza, la distinzione tra economia monetaria e non monetaria fa emergere la dimensione dell’economia legata al meccanismo che Polanyi [1968] chiamava reciprocità, secondo il quale gli scambi avvengono sulla base di norme sociali condivise che fanno perno sui legami di affettività. Questa forma di regolazione è tipica, quindi, dell’ambito familiare ma può estendersi alle relazioni parentali, amicali, di vicinato, di volontariato e così via. Alla luce di quanto detto, i dati relativi all’economia sommersa contemplano quelle attività il cui oggetto di produzione, distribuzione o scambio è lecito ma che violano le modalità di svolgimento previste per l’attività stessa. La quota del PIL ascrivibile al sommerso dagli anni novanta a oggi ha registrato un andamento in decrescita, o per lo meno un trend di stagnazione, al livello nazionale. Tuttavia, analizzando il fenomeno su base territoriale, emerge un preoccupante processo di meridionalizzazione del sommerso. Infatti, dal 1995 al 2004 i tassi di irregolarità diminuiscono costantemente nelle regioni del Nord – Ovest (dall’11,3% all’8,4%) e del Nord – Est (dall’11,2% al 9,4%), crescono
  • 10. 10 per poi diminuire considerevolmente nelle regioni del Centro (dal 14,2% al 12,4%, con un picco di 15,4% nel 2000), mentre aumentano solo per quelle del mezzogiorno dove già partivano da livelli nettamente superiori (dal 20,7% al 22,8%, con un picco del 23,1% nel 2002). In particolare, il fenomeno del lavoro non regolare7 assume una dimensione di riguardo soprattutto in alcuni settori e nel mezzogiorno. Unità di lavoro irregolari per regione. Anni 2001-2008 (percentuale sul totale delle unità di lavoro) Tabella 1 – Fonte: Istat, conti economici regionali. 7 Sono definite regolari le prestazioni lavorative registrate e osservabili sia dalle istituzioni fiscali - contributive sia da quelle statistiche e amministrative. Sono definite non regolari le prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale - contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative. Rientrano in tale categoria le prestazioni lavorative: 1) continuative svolte non rispettando la normativa vigente; 2) occasionali svolte da persone che si dichiarano non attive in quanto studenti, casalinghe o pensionati; 3) svolte dagli stranieri non residenti e non regolari; 4) plurime, cioè le attività ulteriori rispetto alla principale e non dichiarate alle istituzioni fiscali. REGIONI RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Nord-ovest 10,2 8,9 7,7 8,3 8,5 9,0 9,2 9,6 Nord-est 9,8 8,9 8,0 8,2 8,4 8,4 8,6 8,9 Centro 13,1 11,5 10,0 10,5 10,7 10,3 10,3 10,0 Centro-Nord 10,9 9,6 8,4 8,9 9,1 9,2 9,4 9,5 Mezzogiorno 21,1 20,4 19,7 19,2 19,7 19,5 18,6 18,3 Sicilia 23,0 21,9 21,4 19,7 21,5 20,1 19,2 18,4 Italia 13,8 12,7 11,6 11,7 12,0 12,0 11,9 11,9
  • 11. 11 Unità di lavoro irregolari per settore e ripartizione geografica Anno 2008 (percentuale sul totale delle unità di lavoro) Agricoltura Industria in senso stretto Costruzioni Servizi 0 5 10 15 20 25 30 Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno Italia Figura 1 – Fonte: Istat, Conti economici. La Sicilia, tra le regioni del Mezzogiorno, non ha mai superato il triste primato della Calabria e ha registrato un significativo ridimensionamento del fenomeno. Infatti, se nel 2001 il dato relativo alla regione si attestava al 23%, nel 2008 lo stesso si era ridotto al 18,4% sul totale delle percentuali delle unità di lavoro. Si tratta di dati evidentemente ancora superiori alla media nazionale – che si attesta intorno al 12% - che, però, descrivono un timido miglioramento del trend. La regione detiene il primato del dato relativo al tasso di disoccupazione nell’ultimo decennio, anche se ha sperimentato il più consistente decremento: dal 24,1% del 2000, nel 2009 il tasso si attesta al 13,9%.
  • 12. 12 Tasso di disoccupazione per sesso in Sicilia (serie storica) 0 5 10 15 20 25 30 35 40 2000 (a) 2001 (a) 2002 (a) 2003 (a) 2004 2005 2006 2007 2008 2009 totale uomini donne Figura 2 - Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze lavoro Eurostat. (a) Dati ricostruiti In decrescita, ma pur sempre rilevante, è il tasso di disoccupazione femminile che si attesta su percentuali elevate anche nell’ambito nazionale. Questi dati, ad ogni modo, non contemplano le conseguenze ancora perduranti sull’occupazione dell’onda lunga della crisi che ha investito i paesi occidentali all’inizio del 2008. Inoltre, non esistono dati certi sui proventi e le attività imprenditoriali ascrivibili alla criminalità organizzata, molto pervasiva e influente nel territorio. 1.2 Città accogliente? E’ storia recente lo sbarco si 131 persone identificate tutte come egiziane nelle coste ioniche nei pressi di Giarre (CT). Non sono frequenti gli arrivi su questo versante, anzi, si potrebbe dire che è stato un caso isolato e ciò ha colto di sorpresa anche le istituzioni preposte a gestire la situazione. Dopo un rocambolesco inseguimento in mare, le Fiamme
  • 13. 13 Gialle hanno ammarato l’imbarcazione e portato a terra tutti i passeggeri. Sono scattate le manette per 19 persone, individuate come scafisti e favoreggiatori dell’immigrazione illegale, mentre gli altri sono stati trasferiti in una struttura sportiva nella periferia di Catania, il Palanitta di Librino. Lì, non applicando gli accordi presi con le organizzazioni internazionali e umanitari nell’ambito del progetto Praesidium, le autorità non hanno permesso a nessuno di entrate nello stabile per accertarsi delle condizioni di salute dei migranti e per fornire prestazioni di accoglienza e informazione. In breve tempo, tutti gli adulti sono stati rimpatriati con un volo appositamente organizzato, mentre i minori sono stati trasferiti, presi in carico dai vari servizi territoriali e inseriti in comunità. L’episodio ha dimostrato la sostanziale impreparazione all’emergenza, o meglio, ha dimostrato come le autorità prese alla sprovvista hanno preferito risolvere la questione in modo frettoloso, non tenendo conto delle procedure e delle prassi. In effetti, episodi del genere sono molto rari su questo versante della costa e la presenza degli immigrati a Catania è determinata soprattutto dall’esigenza di sostituzione di un’offerta della forza lavoro locale sovrabbondante ma poco disponibile ad accettare lavori dequalificati e poco pagati. Infatti, gli immigrati residenti sono prevalentemente giovani adulti e minori, che insieme rappresentano il 68% delle presenze [Istat, 2010]. Quindi, si tratta di una popolazione che lavora e produce ma che si vede restituite poche risorse in termini di servizi e prestazioni assistenziali. In linea con la tesi appena esposta, i dati relativi a un’indagine di ricerca svolta a Catania nel 2006, nell’ambito di un progetto internazionale8 , 8 Si tratta del progetto Human Resources and Development Planning on both sides of Ionian Sea che ha interessato tre regioni che si affacciano sul Mar Ionio e in particolare Sicilia, Puglia e le isole ioniche della Grecia. Hanno collaborato alla realizzazione l’Università di Atene, l’Università del Salento e l’Istituto di formazione e ricerca sui problemi sociali dello sviluppo (ISVI).
  • 14. 14 dimostrano che i servizi maggiormente fruiti sono quelli sanitari, i servizi di terzo settore e la Questura. È stata riscontrata una relazione tra il servizio utilizzato e l’area geografica di provenienza, dato probabilmente in relazione con le funzioni delle reti etniche che non solo fungono da supporto per i componenti ma anche da fonte per la circolazione delle informazioni. Un altro elemento significativo è la differenziazione di genere nell’utilizzo dei servizi. In generale, le donne usufruiscono di tutti i tipi di prestazioni di cui necessitano, mentre gli uomini tendono a essere più restii. Va sottolineato, tuttavia, che il territorio offre prevalentemente attività di assistenza e consulenza fornita da soggetti di terzo settore. Fatta eccezione per la Casa dei Popoli, infatti, il settore pubblico risulta essere totalmente assente. Gli unici servizi aperti a un’utenza immigrata sono i servizi sanitari: ambulatoriali e ospedalieri. Inoltre, l’ente pubblico non ha istituito né una rete né un coordinamento al livello istituzionale politico e le uniche iniziative rivolte agli stranieri sono realizzate grazie al lavoro di associazioni, di cooperative, delle parrocchie e di altri attori del privato sociale. Inevitabilmente, si realizza un’offerta di servizi frammentata e non coordinata, con orientamenti spesso in contrasto. Il risultato non può che essere insoddisfacente per la mancanza di copertura della popolazione e carente in un’ottica di integrazione dei servizi. In un contesto del genere, alcune comunità, intese come reti migratorie9 , in parte o in tutto sostituiscono i servizi di prima accoglienza, cioè quelli di cui usufruiscono in generale maggiormente gli stranieri. 9 “Raggruppamenti di individui che mantengono contatti ricorrenti gli uni con gli altri, attraverso legami occupazionali, familiari, culturali o affettivi. Inoltre, sono complesse formazioni che incanalano, filtrano e interpretano informazioni, articolano significati, allocano risorse e controllano i comportamenti”. Fernandez Kelly P., Social and cultural capital in the urban ghetto: Implications for the economic sociology of immigration, in Portes A., Economic sociology of immigration, New York, Russel Sage Foundation, 1995. pp 213 - 247
  • 15. 15 Tuttavia, le reti migratorie non sono sufficienti per sostenere percorsi di mobilità o di integrazione sociale poiché hanno risorse specifiche e limitate da mettere in comune. Il ruolo svolto da tali reti garantisce l’aiuto reciproco e la difesa della buona reputazione del gruppo, rielaborando l’etichettamento generato dagli stereotipi etnici in termini di autopromozione. Allo stesso tempo, però, può sedimentare processi di segregazione occupazionale e abitativa, alimentare la competizione tra gruppi nazionali diversi o scoraggiare percorsi di mobilità e di innovazione [Palidda e Consoli, 2006]. La mancanza di stimoli e di offerta di servizi da parte delle istituzioni, fatta eccezione per i servizi culturali e di mediazione erogati dalla Casa dei Popoli, determinano un quadro in cui l’inserimento e il benessere della popolazione straniera stanziata nel territorio sia relegata alla buona volontà e alle capacità dei singoli e del privato sociale, che pur dimostrando fermento e abilità, non raggiungono livelli soddisfacenti.
  • 16. 16 Il Senegal 1.3 La storia Il Senegal occupa una superficie pari a 196.712 km2 e ha una densità abitativa pari a 61,9 abit./km2 . È situato nella costa Occidentale dell’Africa e confina a nord con la Mauritania, a est con il Mali, a sud con la Guinea e la Guinea-Bissau; il clima è tropicale. Il Senegal è una Repubblica democratica semipresidenziale, laica e multipartitica. La sua Costituzione sancisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la separazione dei poteri. Inoltre, dichiara l’adesione alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne del 1979 e alla Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli del 1981. È suddiviso in quattordici regioni, ognuna delle quali ha un capoluogo di regione, che a loro volta sono suddivise in dipartimenti, arrondissement e comuni. L’organizzazione amministrativa è strutturata, quindi, sulla base del modello francese, popolo colonizzatore che tra tutti ha più inciso sulla vita moderna e contemporanea della Repubblica senegalese. Non più tardi della prima metà del XV sec giunsero i primi europei nelle terre africane: furono i Portoghesi che da principio sfruttarono queste terre e vendettero i suoi abitanti come schiavi. Altri popoli europei approfittarono delle ricchezze minerarie e del suolo del Senegal. Ai portoghesi subentrarono gli olandesi a cui successivamente si sostituirono i francesi e gli inglesi. Nel 1895, dopo anni di insurrezioni e guerre, il Senegal divenne ufficialmente una colonia francese.
  • 17. 17 Questi, tra i vari popoli dominatori, si distinguevano per la strategia dell’assimilazione10 della popolazione autoctona. Infatti, le strutture organizzative, procedurali e politiche delle popolazioni locali furono completamente soppiantate da un nuovo schema burocratico rigido e uniforme. Tutti i possedimenti coloniali dell’Africa occidentale ed equatoriale erano organizzati in modo da essere controllati da apparati burocratici con personale francese. I territori erano suddivisi in federazioni che a loro volta si componevano di diverse unità. I governatori generali, a cui erano sottoposti i governatori delle singole colonie, avevano sede a Dakar e a Brazzaville e rispondevano direttamente al Ministero per le Colonie di Parigi. Vigeva il sistema normativo dell’indigénat grazie al quale i funzionari coloniali godevano di ampi margini di discrezionalità nel comminare le pene pecuniarie e carcerarie senza la necessità di svolgere regolari processi. La necessità degli Stati europei di accrescere i loro possedimenti era dettata, secondo molti autori, dalla necessità di ampliare i mercati. L’aumento di produzione conseguente alle innovazioni tecnologiche apportate dalle rivoluzioni industriali costringeva i capitalisti a trovare nuovi spazi di commercializzazione di manufatti. Gli Stati, contemporaneamente, assistevano a una crescita della popolazione e a una crescita di domanda di rifornimenti alimentari e di materie prime. L’annessione politica dei territori che garantivano questo scambio rappresentava la strategia più proficua allo scopo. In linea con quanto detto, i francesi introdussero in Senegal colture particolari, come ad esempio l’arachide, per rispondere alla domanda del loro mercato interno. In generale, il colonialismo europeo in Africa introdusse due importanti nozioni di carattere politico e sociale: il concetto di Stato Nazionale e l’istituto della proprietà privata. Nel periodo storico precedente all’arrivo 10 L’acquisizione dello status di cittadino della Repubblica per un africano delle colonie era subordinata all’accettazione e condivisione della cultura francese e al conseguente abbandono della propria cultura e tradizione.
  • 18. 18 dei dominatori, l’organizzazione sociale delle popolazioni autoctone si caratterizzava per la suddivisione in tribù, prevalentemente nomadi, e l’economia si basava sulla produzione agricola e l’allevamento per la sussistenza. Le migrazioni, la mescolanza culturale e sociale tra le diverse tribù rappresentavano la strategia organizzativa più diffusa. Con l’avvento degli europei, non solo si crearono dei confini statali ma soprattutto si diffusero forme legali di possesso, in primis sulla terra. In breve tempo, quindi, la struttura sociale, economica e culturale dei paesi africani fu letteralmente stravolta, senza che questi avessero attraversato delle fasi transitorie di assestamento. Il processo di urbanizzazione, ad esempio, non si accompagnò a mutamenti soggettivi-attitudinali adeguati come modelli di consumo o stili di vita. Il risultato di questo processo fu la realizzazione di una modernizzazione “zoppa” in cui i modelli preesistenti di comportamento hanno teso a fondersi con aspetti strutturali del nuovo assetto [Scidà, 2004]. All’inizio del XX secolo, la dominazione europea sui paesi africani e asiatici sembrava essere inoppugnabile ma a distanza di pochi decenni più di quaranta Stati si dichiararono indipendenti dai colonizzatori stranieri, processo che coinvolse più di ottocento milioni di persone e che realizzò un rovesciamento rivoluzionario degli equilibri internazioni. Il nazionalismo arrivò in Asia cento anni dopo che in Europa, e nell’Africa nera cinquant’anni dopo che in Asia. I prodromi di tali movimenti, a ben vedere, possono essere ricollegati alla vittoria del Giappone sulla Russia durante la guerra del 1904-1905 perché riconosciuta da tutti i popoli coinvolti come un colpo inferto alla supremazia europea, e in secondo luogo alla rivoluzione russa del 1905, scarsamente considerata in Europa ma che fu percepita come una lotta contro il despotismo in tutta l’Asia. Così i movimenti nazionali dei due continenti sopracitati divennero una rivolta generale contro l’Occidente, sentimento che trova espressione nella Conferenza afro-asiatica di Bandung del 1955 dove si sancì la nascita di una nuova solidarietà tra queste popolazioni. Contestualmente, le potenze europee si ritrovavano
  • 19. 19 a dover fronteggiare le conseguenze del secondo conflitto mondiale. Oltre a problemi legati alla ricostruzione, i paesi perdenti furono costretti ad abbandonare i loro possedimenti coloniali, molte delle altre potenze non riuscirono a far sopire i moti indipendentisti. Così, nel 1959, il Senegal si federò con il Soudan Francese e insieme ottennero l’indipendenza il 20 Giugno del 1960. A distanza di soli due mesi, la federazione si sciolse e il Senegal elesse il suo primo presidente. Léopold Sédar Senghor, poeta e politico, primo membro africano dell’Accademia francese e primo presidente della neonata Repubblica, è stato un uomo di cultura molto amato: è noto per aver dato vita al movimento della negritudine11 e aver partecipato attivamente al pan- africanismo12 . La sua carriera politica cominciò con l’elezione a membro dell’Assemblea Nazionale francese negli anni ’40 con l’appoggio del partito socialista. Nel 1948, insieme Mamadou Dia, fondò il Blocco Democratico Senegalese, partito che lo accompagnò fino alle cariche istituzionali più alte. Durante il ventennio della sua presidenza, Senghor creò le basi per costruire in Senegal un modello di sviluppo ispirato al socialismo, conciliando caratteristiche peculiari dello stato africano, come ad esempio l’assenza di divisione di classe, con i processi di modernizzazione. La sua leadership fu caratterizzata, come quella della maggior parte dei politici africani, dall’esercizio personalistico del 11 È un movimento ideologico e letterario basato sul rigetto del razzismo proprio del colonialismo francese. 12 Il concetto fu utilizzato per la prima volta da Henry Sylvester Williams nel 1900 per denunciare il furto delle terre delle colonie, le discriminazioni razziali e i problemi in generale delle popolazioni sotto dominazione. I movimenti politici e culturali che da esso derivano hanno una duplice matrice: da un lato troviamo i sostenitori della necessità dell’accordo e dell’unità politica dei paesi africani; dall’altro i movimenti nazionalisti che professano la primaria identità africana di tutte le persone di colore cittadini di ogni parte del mondo. Il Presidente Senghor, così come molti altri presidenti africani, partecipò attivamente alla nascita dell’Organizzazione dell’Unità dell’Africa (OUA), nata nel 1963 ad Addis Abeba, nella convinzione della necessità di raggiungere una graduale collaborazione politica tra gli Stati del continente.
  • 20. 20 potere: il leader è posto al di sopra della legge e può governare in modo arbitrario, legittimato non tanto dal volere popolare quanto dalla rete clientelare e dai legami di fedeltà. In quest’ottica, il Presidente intrattenne rapporti molto stretti con i marabutti13 , in ragione dell’altissima percentuale di musulmani presenti nel territorio14 , che durante il suo governo hanno incrementato la loro forza economica grazie alle concessioni di terra ottenute dal governo e alla loro capacità di mobilitare il lavoro dei seguaci religiosi per coltivarle [Carbone, 2005]. L’obiettivo era di indirizzare il neonato Stato verso lo sviluppo di una radicale autonomia e un graduale abbandono delle dinamiche economiche, sociali e culturali presenti durante il colonialismo, conservando, però, caratteristiche peculiari del paese. Con questo intento, in quegli anni, furono implementate politiche economiche utili al passaggio di testimone dalla borghesia francese a una nuova classe imprenditoriale senegalese. Tra il 1960 e il 1967, ad esempio, l’Office de la commercialization agricole consegnò per ogni anno più di mille licenze per acquistare e rivendere a prezzi definiti i prodotti agricoli dei contadini, garantendo ai beneficiari ampi margini di profitto [Carbone, 2005]. L’influenza dello Stato nell’economia garantì la stabilità del regime politico e determinò la nascita di una nuova classe dirigente. Abdou Diouf, fu eletto nel 1980, dopo le dimissioni del suo predecessore Senghor, quando era già in vigore la nuova legge elettorale varata sul finire degli anni settanta che apriva la competizione elettorale a tre partiti. E fu proprio durante la sua presidenza che si verificò, a metà degli anni ’80, una crisi fiscale dello Stato. A causa della riduzione degli incentivi alla produzione, i contadini preferirono vie alternative al commercio rispetto a quelle prestabilite dall’economia formale e cominciarono a vendere beni illegalmente oltre confine e a coltivare per 13 Potenti capi islamici. 14 Si stimavano già allora intorno al 90% della popolazione. Oggi la percentuale si è elevata al 94%.
  • 21. 21 la loro sussistenza. Contemporaneamente, si elevò il tasso di evasione fiscale, con la complicità degli uffici doganali, e la compravendita illecita delle licenze pubbliche. Ciò comportò inevitabilmente l’indebolimento dello stato senegalese. Solo nel 2000, il Partito socialista fu sconfitto dal Partito democratico senegalese, di matrice liberista; evento che annovera il Senegal tra i paesi sub sahariani che hanno vissuto un cambio di governo come risultato della volontà degli elettori [Carbone, 2005]. La transizione a un sistema democratico e multipartitico, quindi, per il Senegal è avvenuta senza il ricorso alla violenza. L’unico conflitto mai sopito è quello relativo al movimento separatista della Casamance, regione a sud del Gambia che include il fiume Casamance. L’economia del territorio si basa sulla coltivazione del riso e sul turismo, incentivato dalle risorse naturalistiche e dalle spiagge sulla costa. Il gruppo etnico più consistente tra i residenti è quello dei Jola15 , economicamente svantaggiati in tutto il territorio nazionale. Episodi di violenza e scontri hanno prodotto numerose vittime tra civili e forze dell’ordine. 1.4 Dati demografici e dati relativi alla dimensione sociale del Paese In generale, il Senegal è caratterizzato da una forte crescita della popolazione: recenti stime calcolano che la popolazione totale sia superiore a 12 milioni di individui con un’età media relativamente bassa (il 50,9% della popolazione ha meno di 20 anni)16 . L’aspettativa di vita, al 2008, non supera i 56 anni. Il tasso di natalità registra una flessione in negativo negli ultimi anni (da 5,3 figli per donna del 2002 si è passati 15 Il gruppo etnico più numeroso in Senegal è quello dei Wolof. 16 Dati riportati nel Rapporto annuale sulla situazione economica e sociale del 2009 redatto dall’Agence Nationale de la Statistique et de la Démographie (ANSD) du Sénégal.
  • 22. 22 a 4,9 figli per donna del 2009) così come anche il tasso di mortalità (dal 12,6% del 2002 si è passati all’11,3% del 2009). Ad ogni modo, il tasso di mortalità infantile è ancora molto elevato e la probabilità di decesso dei minori di 5 anni17 è collegata alle condizioni abitative. Così, ad esempio, su mille bambini nati vivi nella regione di Dakar, si stima che 79 moriranno prima del compimento del quinto anni di vita, mentre saranno 205 in quella di Kolda e 200 in quella di Tambacounda. Il tasso di scolarizzazione è in crescita18 ma vi sono ancora differenze consistenti tra l’alfabetizzazione dei diversi sessi e rispetto alla regione di provenienza. Il 42,6% della popolazione totale del Senegal vive in città ma solo il 69% di questa usufruisce della rete fognaria19 . Nelle città il 92% della popolazione ha accesso all’acqua, mentre nelle zone rurali solo il 52%20 . Più di un milione di persone hanno accesso a internet e sono registrate 20,3 macchine ogni 1000 abitanti21 . 1.5 L’economia e il mercato del lavoro Secondo i dati forniti dalla World Bank, il 33,4% della popolazione totale è sotto la soglia della linea nazionale della povertà e il PIL è di poco inferiore a 13 miliardi di dollari. L’Indice di Sviluppo Umano (HDI) è pari a 0,41122 e ciò qualifica il Senegal come paese a basso sviluppo umano, secondo la nuova classificazione proposta nel 2010. 17 Dati della World Bank del 2009 calcolano il tasso di mortalità infantile e giovanile pari 92,8 per mille. 18 Il tasso di alfabetizzazione della popolazione in età superiore a 15 anni è pari al 42% secondo i dati forniti dalla World Bank. Nel 2002 era pari al 39% e 27% nel 1988. 19 Dati della World Bank relativi rispettivamente al 2009 e al 2008. 20 Dati della World Bank. Si considera come ragionevole accesso alla risorsa idrica la possibilità di utilizzare 20 litri di acqua a persona al giorno in loco. 21 Dati della World Bank relativi relativamente al 2008 e al 2007.
  • 23. 23 Lo sviluppo economico del paese è fortemente limitato dall’organizzazione del lavoro, in cui è prevalentemente il settore informale. Recenti interventi del governo si muovono verso la marginalizzazione del fenomeno, ma ancora le percentuali sono molto elevate. Il mercato del lavoro soffre enormemente della mancanza di informazioni e di trasparenza. Gli individui coinvolti nel mercato del lavoro informale sono prevalentemente giovani e adulti, di sesso maschile e con bassi livelli d’istruzione. Ripartizione dei lavoratori secondo il settore di appartenenza il livello di povertà. Settori Lavoratori Contribuzioni per la povertà Non poveri poveri Settore formale 68,2% 31,8% 2,2% Settore informale 44,5% 55,5% 91,4% Non si sa 46,7% 53,3% 6,3% Totale settori 45,5% 54,5% 100% Individui 49,2% 50,8% 100% Tabella 2 - Fonte: ANSD. Ogni regione ha sviluppato settori economici diversi secondo le specifiche caratteristiche ambientali e delle risorse a disposizione. Nelle zone rurali, di fondamentale importanza sono l’agricoltura e l’allevamento. Questi settori, tuttavia, subiscono gli effetti negativi dei processi di desertificazione del suolo e delle numerose alluvioni causate 22 Dato relativo al rapporto del 2010. Il Senegal si qualifica, così, al 144° posto della lista di Paesi ordinati per valori dell’Indice.
  • 24. 24 da fattori idrogeomorfologici, dall’urbanizzazione selvaggia e dall’innalzamento della falda freatica. Inoltre, il perseguire la strategia della monocultura dell’arachide, introdotta in Senegal dai francesi, per l’esportazione del prodotto nel mondo, determina delle gravi conseguenze in termini di perdita significativa di ricchezza del suolo. Nell’area bagnata dall’oceano, è molto diffusa la pesca, soprattutto di tonni. L’industria, che rappresenta il 22% del PIL23 , è presente soprattutto nel settore tessile e di lavorazione del cuoio e in quello dell’estrazione di minerali24 . Settori in crescita sono quelli della produzione di materiali da costruzione, della produzione di energia e della produzione della carta e cartone. Il Senegal nel 2009 ha esportato all’estero beni per 1 miliardo e 370 mila euro circa, pari al 15% del PIL, registrando una regressione dello 0,3% rispetto all’anno precedente. L’offerta è limitata a materie prime non sfruttate: prodotti della pesca, prodotti petroliferi, acido fosforico, fertilizzanti, cotone, arachide e cemento. 23 Dati della World Bank relativi al 2009. 24 Si tratta prevalentemente di minerali fosfatici, utilizzati in agricoltura per fertilizzanti e nell’industria alimentare. Sono importanti anche i giacimenti di sale, pietra, sabbia e argilla.
  • 25. 25 Import/export del Senegal in bilioni di US D (valori espressi in migliaia). Figura 3 - Fonte: African Development Bank Group (ADBG) Anche l’Italia ha rapporti commerciali con il Senegal. Quest’ultimo, infatti, secondo elaborazioni dell’ICE su dati ISTAT, ha venduto all’Italia nel 2010 prodotti per 56 milioni di euro circa, prevalentemente prodotti alimentari, articoli in pelle e prodotti della metallurgia. Per inverso, il Senegal ha acquistato dall’Italia prodotti per 100 milioni di euro, prevalentemente macchinari e apparecchiature nca25 , coke e prodotti 25 Definizione ISTAT :“Questa divisione include la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature comprese le rispettive parti meccaniche che intervengono meccanicamente o termicamente sui materiali o sui processi di lavorazione. Questa divisione include apparecchi fissi e mobili o portatili a prescindere dal fatto che siano stati progettati per uso industriale, per l'edilizia e l'ingegneria civile, per uso agricolo o domestico. Inoltre è inclusa in questa divisione la fabbricazione di alcune apparecchiature speciali, per trasporto di passeggeri o merci entro strutture delimitate. Questa divisione opera una distinzione tra la fabbricazione di macchinari per usi speciali, ossia macchinari per uso esclusivo in una specifica attività economica o in piccoli raggruppamenti di attività economiche, e macchinari di impiego generale, ovvero macchinari utilizzabili in una vasta gamma di attività economiche previste nella classificazione Nace. Questa divisione include anche la fabbricazione di macchinari per usi speciali, non presenti altrove in questa classificazione, utilizzati o meno in un processo di fabbricazione, come le apparecchiature utilizzate nei parchi di divertimento, nelle piste automatiche da bowling eccetera. È esclusa la fabbricazione di prodotti in metallo per usi generali (divisione 25), apparecchi di controllo associati, strumenti computerizzati, strumenti di misurazione, apparati di distribuzione e controllo
  • 26. 26 derivanti dalla raffinazione del petrolio, apparecchiature elettriche e non per uso domestico, articoli in gomma e materie plastiche. Numerosi sono i progetti di co-sviluppo realizzati in Senegal. Tra questi può essere ricordata la strategia MIDA (Migration for Development in Africa), promossa dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), a cui partecipa anche l’Italia dal 200326 . Il programma ha coinvolto attivamente le comunità immigrate nella pianificazione degli interventi e degli investimenti produttivi nelle loro zone di provenienza, così da costruire opportunità d’impiego e di costruzione di medie e piccole imprese nei rispettivi paesi d’origine, attraverso l’identificazione e il trasferimento di competenze e di risorse finanziarie, sociali e professionali dei migranti residenti in Italia e la promozione di partenariati tra le comunità di origine e di accoglienza27 . Stime dell’ANSD quantificano in 104 posti di lavoro creati in un biennio dall’inizio del progetto in questione. Recentemente è stato firmato l’Accordo - quadro di Cooperazione Italia - Senegal che sancisce l’avvio di una nuova programmazione per il 2010-1011. I rapporti tra i due paesi si sono evoluti e rinsaldati nel tempo, tanto che nel 2006 la Cooperazione Italiana allo Sviluppo ha aperto a Dakar un ufficio distaccato che svolge il ruolo di coordinamento per le iniziative. I settori di aiuto sono prevalentemente: l’agricoltura, la protezione sociale, le pari opportunità, la qualità della vita, la protezione dei minori, lo sviluppo locale e il partenariato pubblico/privato. dell'energia elettrica (divisioni 26 e 27) e veicoli a motore per uso generico (divisioni 29 e 30)”. 26 Progetto attuato con il sostegno del Governo italiano e implementato insieme al CeSPI. 27 Per approfondimenti si rimanda al sito internet dello IOM (http://www.italy.iom.int)
  • 27. 27 Migranti del Senegal 1.6 Senegalesi in Italia Il Senegal rappresentava una delle mete privilegiate della migrazione interna dell’Africa Occidentale. A partire dagli anni ’80, però, il saldo migratorio ha cominciato ad avere un trend negativo. Le ragioni che hanno portato a ciò possono ricondursi al fallimento della Nouvelle Politique Agricole, alla crisi fiscale e alla scarsa piovosità che mise in ginocchio gli agricoltori all’epoca. La presenza dei Senegalesi in Italia è diventata nel tempo sempre più consistente. Secondo i dati ISTAT, l’incremento della popolazione dal 2002 al 2009 è tale da registrare il raddoppiamento delle presenze, passando da circa 38 mila unità a quasi 73 mila. Bilancio demografico dei senegalesi residenti in Italia al 31 dicembre di ogni anno. 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 31637 39370 45350 47414 48984 50503 53125 55693 5567 7108 8591 9687 10873 12117 14385 16925 maschi femmine Figura 4 - Fonte: Istat.
  • 28. 28 In seguito alla chiusura delle frontiere francesi, nella prima metà degli anni ’70, l’immigrazione senegalese ha trovato nuove terre di approdo, tra queste sicuramente menzionabile è l’Italia. Le ragioni di questo processo risiedono principalmente nel fatto che la penisola, oltre ad essere situata in modo strategico sul mediterraneo, è anche caratterizzata da elementi attrattivi concernenti l’economia e il mercato del lavoro. È certamente indiscutibile la vocazione al commercio che tale comunità dimostra, fonte principale di guadagno soprattutto per coloro i quali decidono si stanziarsi nel Mezzogiorno, ed è altrettanto indiscutibile la sporadicità dei controlli sia sul lavoro che sullo status giuridico dei migranti. 1.6.1 Alcune caratteristiche peculiari della comunità  Religione e organizzazione sociale Agli inizi degli anni ’80, i primi flussi di migranti provenienti dal Senegal erano prevalentemente originari da zone rurali e afferenti alla confraternita murid. Nel tempo, sono sempre più gli abitanti di Dakar e di altre grandi città del Senegal che intraprendono il viaggio verso l’Europa. La dimensione religiosa è molto importante per comprendere le dinamiche che coinvolgono il fenomeno. L’Islam radicato in Senegal28 , così come nel resto dell’Africa Occidentale, si caratterizza per la forte presenza delle correnti sufi e dell’organizzazione in confraternite. Una 28 Il primo contatto dei Regni stanziati nel territorio senegalese con la religione islamica si ebbe già dall’XI sec. ma la diffusione tra la popolazione fu notevolmente spinta dalla nascita delle confraternite ispirate al sufismo, strutturate in modo coerente rispetto alla tradizionale organizzazione sociale delle diverse etnie. Il modello patriarcale, in cui è il capo-villaggio a esercitare il potere politico, si combina perfettamente con la figura del marabut, capo spirituale che influenza notevolmente gli aspetti politici, sociali ed economici della vita dei suoi confratelli.
  • 29. 29 delle più numerose in Senegal è, appunto, la Muridya29 . Fondata alla fine dell’800 da Cheick Ahmadou Bamba Mbacké, ricoprì fin dalla nascita un ruolo centrale nell’opposizione al potere coloniale francese. Essa è prevalentemente formata da talibé (discepoli) wolof, popolazione più numerosa del Senegal. Nell’organizzazione della confraternita è centrale il rapporto tra il talibé e il suo marabout (guida spirituale) che determina un vincolo di obbedienza e di sostegno materiale del discepolo rispetto alla sua guida. Questo rapporto gerarchico è riequilibrato, tuttavia, da alcuni fattori: il talibé sceglie il suo marabout, al di là di vincoli territoriali o di ragioni etniche, ma non si determina un legame inscindibile, infatti, il discepolo, qualora non soddisfatto, potrà allontanarsi da quel marabout per seguire un altro. L’ ayyadia (offerta, dono) deve essere ricambiata con la baraka (preghiere e benedizioni), oltre al sostegno di natura politica ed economica. Tra i talibé sussiste un rapporto implicito di sostegno e di mutuo aiuto. La pratica muride si caratterizza per il ruolo centrale attribuito al valore formativo, spirituale e sociale del lavoro manuale. Il lavoro, quindi, è considerato come sostitutivo della preghiera. Per questo, per lo meno in una prima fase, la diffusione della confraternita si è maggiormente registrata nelle zone rurali, dove questo elemento risultava coerente con la pratica e la vita quotidiana dei contadini. Ad ogni modo, si può ipotizzare che questo stesso elemento possa aver influenzato i talibé impiegati in altri settori, come una sorta di calvinismo sui generis. Sono sempre più diffuse in Senegal le scuole islamiche che rappresentano un’alternativa al sistema istituzionale d’istruzione ma che non rilasciano un titolo riconosciuto e riconoscibile. Inoltre, come principale attività educativa, obbligano i bambini e i giovani a chiedere l’elemosina per la strada facendo leva sull’obbligo morale che i 29 Le altre confraternite presenti sono: la Tigianiyya, la Qadiriyya e i Laynnes.
  • 30. 30 mussulmani hanno a versare la sadaqa30 , un’offerta libera che viene interamente gestista dai precettori della scuola. Nel muridismo, la donna assume molteplici ruoli importanti per la vita sociale della confraternita. Pur non potendo fondare o dirigere una confraternita, si attribuisce molto prestigio alle madri, alle spose e alle figlie dei marabout. In particolare, si venera la memoria di Mam Diarra Bousso, madre di Cheick Amadou Bamba, fondatore della confraternita. Alcune donne hanno, inoltre, ricoperto ruoli di primo piano nell’organizzazione delle attività della comunità. Non sorprende, quindi, che anche nel contesto migratorio, le donne si siano riservate spazi e che si siano create dahire femminili31 . Nelle dinamiche migratorie, in generale, la confraternita ha un ruolo fondamentale sia in termini di funzione di catena migratoria sia come strumento per mantenere il controllo sociale sui confratelli.  Una comunità transnazionale La sociologia delle migrazioni offre degli spunti interessanti di analisi in merito ad alcuni aspetti puntuali della presenza e dell’organizzazione della società. Infatti, se da un lato il contributo di Palidda [2001, 2008] ci invita ad inquadrare il fenomeno in un’ottica di criminalizzazione della figura del migrante, configurato come nemico e come elemento cruciale del processo di riassetto dell’organizzazione politica della società contemporanea inserita in un contesto di globalizzazione del liberismo; dall’altro il contributo di Ambrosini [2007] ci propone di leggere il fenomeno attraverso un approccio transnazionale utile, secondo 30 Si tratta di denaro offerto volontariamente oltre alla Zakat che invece è uno dei cinque pilastri dell’Islam e che obbliga ciascun musulmano a contribuire con il 2.5% del suo reddito annuale al benessere della comunità. Ha la funzione di purificare la propria ricchezza ed è considerato come un dovere per ogni buon musulmano. 31 Per un approfondimento, si veda Blanchard [2008].
  • 31. 31 l’autore, ad integrare e superare i precedenti modelli esplicativi delle migrazioni32 . Un esempio italiano di transnazionalismo, secondo molti autori [Marchetti 1994; Riccio 2002; Ceschi e Stocchiero 2006; Ambrosini 2007;], è rappresentato dai migranti senegalesi aderenti alla confraternita Murid. L’elemento distintivo della comunità non è solo, evidentemente, la fitta rete di legami che collega ciascun confratello agli altri, ma soprattutto la diffusa propensione a mantenere rapporti con la madrepatria, dove normalmente i Modou modou33 lasciano la famiglia e con cui intrattengono rapporti economici, sociali e religiosi in modo duraturo nel tempo. La temporaneità della migrazione senegalese è testimoniata anche da alcuni dati strutturali: pur essendo una comunità presente sul territorio da molto tempo, conserva alcune caratteristiche peculiari come la netta prevalenza di uomini sul totale delle donne della stessa nazionalità e un’età media della comunità sempre uguale negli anni. Ciò a testimonianza, evidentemente, di un continuo ricircolo di individui e alla mancanza della volontà di stabilirsi definitivamente nelle zone di approdo. Un elemento, però, è in controtendenza negli ultimi anni: i ricongiungimenti familiari sono in aumento, pur trattandosi di un numero di casi nettamente inferiore rispetto ad altre comunità, così come la presenza delle donne. A fronte di una legislazione che complica enormemente le modalità di regolarizzazione della presenza sul suolo italiano, ciò potrebbe essere anche il frutto di strategie adattive al contesto istituzionale ma, non per questo, risulta essere meno rilevante rispetto a possibili mutamenti delle caratteristiche generali dei progetti migratori della comunità. La rete familiare, per i senegalesi, non si limita alla cerchia della famiglia nucleare, ma comprende anche la parentela allargata. Inoltre, 32 In particolare riferimento al modello del push and pull factors e quello basato sulla dicotomia centro-periferia. 33 Abbreviazione di momadou momadou, termine con cui vengono chiamati i migranti in Senegal.
  • 32. 32 la società senegalese è socializzata ad una forma di obbligo di solidarietà verso il prossimo in difficoltà. Questa idea di reciprocità, basata sulla solidarietà, l’aiuto e il sostegno senza l’aspettativa di una ricompensa è sintetizzata nel concetto di teranga. Non è difficile, a questo punto, comprendere come nel tempo la figura del migrante sia stata investita del ruolo di portatore di ricchezza, non solo per i parenti prossimi, ma per tutta la rete familiare e, in alcuni casi, l’intera comunità. Touba, città santa per i Murid, è diventata la seconda città del Senegal, dopo Dakar, per popolazione, sviluppo economico e finanziario grazie alle rimesse e ai pellegrinaggi periodici degli emigrati [Riccio, 2007]. La scelta del migrante di partire da solo, allora, si può configurare come una necessità di risparmio, in quanto il costo della vita in Senegal è nettamente inferiore rispetto a qualunque paese europeo, ma, secondo alcuni autori, è anche frutto di una scelta consapevole e voluta [Gasparetti e Hannaford, 2009]. I figli rappresentano il nodo centrale attorno a cui si strutturano le esperienze migratorie e se per la maggior parte dei casi, fino ad oggi, si è riscontrata la tendenza dei genitori di far crescere i propri figli nel contesto d’origine; in tempi recenti si registrano, al contrario, strategie migrazione basate sulla scelta di paesi di approdo dove vige lo ius soli, in modo tale da garantire alla prole una prospettiva più serena e il mantenimento del ruolo di sostegno alla famiglia in Senegal. Il carattere transnazionale della comunità senegalese alimenta una serie di fattori, per lo più l’uno concatenato all’altro: il legame con la cultura e i valori propri della comunità vengono coltivati dal rapporto reciproco basato sul mutualismo e dalle visite periodiche dei marabout nelle regioni di approdo; si realizza quella che da alcuni studiosi è definita la doppia presenza34 [Riccio, 2009; Riccio e Ceschi, 2010]; la comunità è una delle più propense alla creazione di reti formali e associazioni 34 In opposizione al concetto di “doppia assenza” di Sayad (1999).
  • 33. 33 basate su criteri di affiliazione come l’appartenenza, i contesti territoriali in cui operano e le finalità. Se da un lato ciò realizza una rete di contatti e di sostegno sufficienti a sopperire la sostanziale inefficienza di strumenti di accoglienza e di aiuto ai nuovi arrivati, dall’altro alimenta e consolida la segregazione delle comunità: pur appianando i possibili conflitti iniziali, questa strategia è fallimentare nel lungo periodo se non è accompagnata da processi di integrazione socio-economica delle comunità [Reyneri, 1999].  L’associazionismo religioso e laico La capillarità e la diffusioni di associazioni in Italia costituite da migranti senegalesi è confermata da numerose indagini su tutto il territorio nazionale. Un recente studio promosso dal FIERI [Salis e Navarra, 2010], propone una sistematizzazione delle conoscenze sul fenomeno. Nel tempo, l’associazionismo senegalese ha subito notevoli trasformazioni: il primo impulso impartito dalla confraternita murid, con la diffusione delle dahire, ovvero associazioni a base religiosa ma con compiti anche di tipo economico e sociale, è stato soppiantato negli anni ’90 da un’ondata di associazionismo laico che, per lo meno nella prima fase, ebbe anche l’ambizione di strutturarsi al livello nazionale35 . L’associazionismo laico a livello locale ha avuto invece un notevole sviluppo durante tutto il decennio. Nel 2001 sono state censite 51 associazioni36 , testimoniando l’assoluta primazia della comunità in termini di partecipazione alle organizzazioni associative rispetto alle altre comunità presenti sul territorio. L’attività prevalente delle diverse tipologie di associazioni sembra essere la raccolta fonti per la realizzazione di progetti in Senegal, nel caso di 35 Il tentativo di coordinamento nazionale fu quello del CASI (Coordinamento delle Associazioni Senegalesi in Italia). 36 Fondazione Corrazin, Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, CNEL, Roma, 2001
  • 34. 34 associazioni basate sul cosviluppo, o per finalità di mutua assistenza, per associazioni locali. Per le associazioni di villaggio, cioè quelle in cui gli associati provengono dalla stessa località, si verifica la riproposizione di dinamiche di leadership e il tipo di organizzazione sociale del paese di provenienza [Mezzetti, 2006; Riccio e Ceschi, 2010]. Si tratta, in generale, di forme associative che hanno una sede principale e numerose distaccate e che mantengono un fortissimo rapporto con il Senegal. Un dato significativo è, appunto, il carattere internazionale e transnazionale di queste organizzazioni ma questo elemento si scontra con il suo orientamento tradizionale che non concede spazio decisionale né ai giovani né, in generale, agli innovatori. Ciò ha delle ripercussioni sull’attività puntuale delle associazioni stesse in termini di definizione di priorità degli investimenti e alla tipologia di attività [Riccio, 2006]. Le associazioni transnazionali operano un vera e propria influenza politica sui poteri locali in Senegal attraverso la promozione e il finanziamento di attività e progetti da realizzare in patria. I governi senegalesi, quindi, promuovono attivamente il mantenimento di legami forti e forme di cittadinanza duplici al fine di continuare a beneficiare di questi flussi economici di investimento. Ciò consente ai migranti di avere maggior peso politico nella realtà senegalese rispetto a quello avuto prima della loro partenza [Ambrosini, 2007]. Le associazioni basate sulla comune destinazione sono quelle che vengono più facilmente riconosciute dai referenti istituzionali italiani e hanno un’organizzazione interna più strutturata e complessa. In queste associazioni sembra delinearsi una leadership basata sull’anzianità migratoria piuttosto che su quella anagrafica proprio in virtù dell’aspetto istituzionale. Si sceglie come leader colui il quale è più inserito nel contesto locale, parla meglio l’italiano, più istruito e che ha rapporti col contesto associativo locale. Altra tendenza, invece, è registrata rispetto alla propensione all’associazionismo delle seconde generazioni [Riccio, 2010]. Anche se permangono le organizzazioni caratterizzate per appartenenza etnica e
  • 35. 35 religiosa, sembrano essere prevalenti le associazioni aperte con finalità orientate al superamento culturale e sociale delle forme di discriminazione e di razzismo che colpiscono gli stranieri nelle varie dimensioni della vita pubblica e privata.  Il lavoro La catena migratoria e, nel caso specifico senegalese, la confraternita svolgono un ruolo fondamentale nell’attività di ricerca dell’impiego. Da varie fonti emerge la propensione dei senegalesi ad occuparsi nel settore del commercio. E ciò è comprensibile alla luce degli elementi caratteristici della comunità stessa: inizialmente si trattava di merce proveniente dal Senegal ma, con la diffusione di prodotti industriali a basso costo e dell’eccessiva esosità delle tasse doganali, si sono sempre più specializzati nel commercio di prodotti audio e video non originali e merce contraffatta. Il sistema di rapporti di compravendita rappresentano il canale di impiego più agile per i nuovi arrivati e anche il modo per imparare più velocemente la lingua. Sviluppandosi all’interno dell’economia informale, non è necessario possedere i documenti di soggiorno ed è strutturato in maniera tale da permettere un’ampia flessibilità in termini di tempo, sia giornaliero che relativamente a lunghi periodi. In questo modo, ciascuno è relativamente libero di tornare in Senegal anche solo per breve tempo oppure di creare delle vere e proprie imprese transnazionali, procurandosi le merci in Italia da rivendere in Senegal e viceversa [Riccio, 2007]. Ad ogni modo, soprattutto dove i mercati del lavoro locale lo permettono, non è così insolito trovare immigrati senegalesi regolarmente assunti nell’industria. Se da un lato, in tal modo, si risolvono i problemi legati alla mancanza di documenti e al rischio di avere sequestrata la merce, d’altro canto emergono problemi legati alle istanze di vita proprie dei migranti. Infatti, il lavoro stabile a tempo
  • 36. 36 indeterminato può anche essere considerato poco utile nell’ottica di chi, almeno una volta ogni due anni, sente l’esigenza di tornare in patria. E, una volta affrontato il viaggio, è irrealistico pensare di poter rimanere solo per alcune settimane. Come documentato da alcuni autori [Ceschi, 2005], non è raro che gli operai senegalesi dopo un certo periodo rassegnino le dimissioni per poi dover ricominciare tutto da capo al ritorno dal Senegal. La sinergia costruita tra i lavoratori e il sindacato nella provincia di Bergamo è stata utile a innescare diversi percorsi di mobilitazione che hanno dato diversi esiti. L’elemento centrale era rappresentato dall’esigenza di trovare una mediazione tra le istanze individuali, considerando le diverse esigenze dei lavoratori migranti rispetto agli autoctoni, e le ragioni dell’impresa. In un caso, gli operai sono riusciti a far approvare un regolamento interno alla fabbrica che rendesse più flessibile il tempo di non lavoro per gli operai stranieri, realizzando una politica di riconoscimento della specificità attraverso un vero e proprio processo di affirmative action; in un altro caso tutti gli operai hanno avuto a disposizione un periodo più lungo e opzionale di ferie, in maniera tale da realizzare una situazione di uguaglianza tra tutti. La prospettiva di partenza, in quest’ultimo esempio, è di tipo individualista che tuttavia, grazie alla pressione di alcuni elementi componenti del gruppo, opera un ampliamento delle previsioni delle norme in favore dei lavoratori tutti e non solo di alcuni con particolari caratteristiche. Le strategie di adattamento della comunità senegalese dimostrano in modo inconfutabile l’essenziale carattere temporaneo del progetto migratorio e la circolarità dell’esperienza in occidente, alternando periodi di assenza con periodi di presenza nella terra natia, e ciò rappresenta una dinamica da tenere in considerazione nel leggere il fenomeno e nell’operare scelte e decisioni politiche che comprendano questa particolare comunità.
  • 37. 37 1.7 Senegalesi a Catania Secondo i dati forniti dall’Istat, negli ultimi anni si starebbe verificando una lieve flessione sulle presenze dei senegalesi sul territorio catanese. Bilancio demografico dei senegalesi residenti nel Comune di Catania al 31 dicembre di ogni anno. 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 131 131 153 120 117 51 39 28 28 22 24 31 37 46 maschi femmine Figura 5 - Fonte: Istat. Le indagini campionarie descrivono, però, un fenomeno numericamente differente. Una delle prime analisi sociologiche relative alla presenza dei migranti terzomondiali nel comune di Catania è quella condotta da G. Scidà [1991, 1991a, 1993, 1993a, 1993b] nei primissimi anni ’90. Ciò che appare più evidente è la sostanziale descrizione di un quadro che non si è evoluto e che è rimasto sostanzialmente immodificato. Dopo più di vent’anni dall’arrivo dei primi avventori, caratteristiche e bisogni della comunità non sembrano essere cambiati in modo strutturale: Scidà descrive una comunità prevalentemente maschile e giovane, impiegata nel commercio ambulante e relativamente chiusa,
  • 38. 38 dove la confraternita religiosa esplica tutte le funzioni di richiamo, di accoglienza e di sostegno ai nuovi arrivati. Da studi più recenti, è messo in evidenza il fatto che sempre più spesso i senegalesi che giungono a Catania provengono da grandi città e prevalentemente da Dakar [Avola e Giorlando, 2004]. Tuttavia, pur non essendo affiliati alla confraternita murid, ragione per la quale i boy town hanno atteggiamenti differenti rispetto all’uso di bevande alcoliche, all’abituale frequentazione di locali notturni e alle relazioni amicali e amorose con gli italiani, il carattere comunitario della società di provenienza agisce facendo resistere quei meccanismi di mutuo aiuto e operando come sistema di regole implicito nel rapporto tra i “fratelli” [Avola e Giorlando 2004 ma anche Riccio, 2007 per ciò che concerne il rapporto tra le diverse confraternite]. Ciò che probabilmente si è sempre più acuito nel tempo è la propensione dei senegalesi a non emergere dall’irregolarità. In effetti, per la tipologia di attività lavorativa, per la struttura del mercato del lavoro locale e per le strategie migratorie proprie della comunità, potrebbe essere considerato come un elemento poco determinante. La componente irregolare era già sufficientemente diffusa tanto da portare Scidà, non solo menzionare il fenomeno, ma anche a stimare la presenza dei senegalesi come paragonabile a quella dei mauriziani che, in termini assoluti, significava quasi raddoppiare il dato delle presenze [Scidà, 1991]. Questo trend si non è mai arrestato ed è realistico credere che sia un fenomeno in crescita. Lo dimostrano i dati qui riportati, pur tenendo in considerazione le metodologie utilizzate dall’Istat, che ci descriverebbero una comunità inesistente. In realtà, basta andare al centro della città per trovare venditori ambulanti di origine senegalese, o in alternativa esaminare le associazioni presenti sul territorio o i dati relativi all’imprenditoria. È lecito ipotizzare che, a seguito della crisi dell’industria e della conseguente perdita posti di lavoro nelle imprese del Nord, gli operai senegalesi licenziati abbiano raggiunto i loro amici e parenti nel Sud
  • 39. 39 della penisola trovando impiego nel commercio, entrando in un circolo vizioso dal quale è difficile riemergere nella legalità a causa della struttura economica locale e della legge sul permesso di soggiorno. Inoltre, il costo della vita nel Meridione è più basso rispetto a quello del Nord e, da un punto di vista culturale, sembrano esserci meno tensioni nel rapporto con gli autoctoni. 1.8 Alcune considerazioni Dagli elementi evidenziati, sia in merito alla terra d’origine che a quella d’approdo, emerge un quadro ben definito e, almeno su due aspetti, urge una riflessione suppletiva. Se da un lato sicuramente è stato vantaggioso il fatto di essere transitato dallo stato di colonia francese a quello di Repubblica Democratica, dall’altro ha significato probabilmente l’instaurarsi del potere di un’élite che nella tradizione francese si era formata e da cui ha tratto per lo meno ispirazione. Inoltre, all’interno di un contesto in cui una giovane democrazia tenta di trovare la sua strada verso il progresso, l’organizzazione religiosa ha giocato, e gioca tuttora, un ruolo di primo piano. Se, infatti, il ventennio in cui ha governato Senghor ha dato la possibilità ai vari marabout di accrescere il proprio potere economico e politico, la situazione non si è modificata negli anni a venire e ha trovato nuovo slancio con le nuove migrazioni verso l’Europa. Ciò è motivo di interesse per chi analizza queste realtà nella misura in cui la dimensione religiosa influisce nella vita quotidiana degli individui fino al punto da rendere sempre più preferibile la frequentazione per i minori delle scuole confessionali, in alternativa al sistema scolastico nazionale, che non rilasciano titoli di studio riconosciuti e riconoscibili altrove.
  • 40. 40 L’organizzazione delle confraternite sufi, come sopra descritta, rende plausibile la supposizione teorica di Scidà [1993b] di trovarci di fronte ad una “famiglia mafiosa sui generis”. In realtà, le conseguenze a cui alludeva non sembrano essersi verificate anche se, in ragione dei processi di secolarizzazione che hanno interessato soprattutto i nuovi giovani giunti in Italia dalle città, l’agire e le scelte dei migranti si sono modificate nel tempo conservando solo alcuni elementi della tradizione come la solidarietà e la fratellanza tra i concittadini ma non, ad esempio, la selezione della merce da trattare nel commercio, sempre più rispondente a esigenze di mercato e meno a una dimensione etica. È indubbia, però, la valenza politica esercitata dalle confraternite e dagli stessi emigrati sia in terra di diaspora che in terra natia. Se da un lato, infatti, i senegalesi più di tutte le altre comunità rivendicano i loro diritti come collettivo attraverso l’azione delle associazioni o dei sindacati in Italia, dall’altro esercitano una forte pressione politica nel loro paese di origine attraverso la realizzazione di progetti e di opere finanziate grazie alle loro rimesse [Ambrosini, 2007]. L’altro elemento di riflessione è rappresentato dalle strategie di adattamento della comunità in Italia. La presenza dei senegalesi è registrata sin dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso ed è sempre stata caratterizzata da elementi in contrasto tra loro. Infatti, per cultura e per orientamento, preferiscono organizzarsi in comunità relativamente chiuse all’esterno, tendente all’autosufficienza, con immaginabili conseguenze in termini di integrazione della comunità nella struttura della società ospitante. Allo stesso tempo, però, esercitano pressioni come gruppo per ottenere spazi di agibilità politica e sociale all’interno di quei pochi ambiti previsti nella struttura istituzionale italiana, pur essendo chiaro il loro orientamento a costruire dei progetti migratori delimitati nel tempo e orientati al rientro in patria. Probabilmente, quest’ultimo aspetto è spiegabile in virtù del loro senso di appartenenza alla comunità, traducibile nel non orientare il loro agire
  • 41. 41 esclusivamente verso un interesse individuale ma piuttosto in vista della continuità della presenza dei “fratelli” senegalesi in Italia. Un’ultima riflessione scaturisce dalla lettura congiunta di due fenomeni in controtendenza rispetto al passato: la provenienza dei migranti senegalesi e l’aumento del numero della presenza femminile. La progressiva diminuzione dei confratelli della Muridya e la maggiore apertura nei confronti della società ospitante, congiuntamente all’aumento della presenza femminile, potrebbe determinare un progressivo cambiamento di strategia della comunità in termini di stabilità nel territorio e, di conseguenza, differenti orientamenti nell’agire rispetto alla terra d’origine. Elementi in contrasto a questo tipo di prospettiva risultano essere, però, le rispettive leggi sulla migrazione del Senegal e dell’Italia, laddove si registrano, per entrambi i casi, inasprimento delle leggi che regolano da un lato l’emigrazione e dall’altro l’immigrazione.
  • 42. 42 La comunità e i servizi: bisogni emergenti e risposte locali 2.1 Caratteristiche e funzionamento della comunità senegalese Come ampiamente dimostrato precedentemente, la comunità senegalese è una comunità coesa e politicamente organizzata. Infatti, in tutti i territori della penisola i cittadini senegalesi si riuniscono in associazioni, tutte collegate tra loro. La religione in questo senso svolge un ruolo fondamentale agendo come collante e come risorsa tra gli aderenti. Le caratteristiche precipue del sufismo – organizzazione in confraternite, legame tra marabout, talibé e tra confratelli – sono funzionali alla costruzione di processi di integrazione politica della comunità nella vita pubblica italiana. Non di rado, le dahire37 si costituiscono formalmente in vere e proprie associazioni. Se da un lato la periodicità frequente degli incontri, anche due volte a settimana, fa sì che la comunità sia sempre in relazione; per altro verso la formalizzazione dell'organizzazione rende questo luogo simbolico e fisico di incontro l'interfaccia della comunità con l'esterno. Alcune esperienze documentate [Blanchard, 2008; Pizzolati, 2008] dimostrano la vitalità e il funzionamento dell'organizzazione della comunità. In particolare il contributo di Blanchard, fa emergere degli elementi poco conosciuti della condizione delle donne all'interno della cultura e della comunità senegalese. Anche le donne, riunite in una dahira minore facente parte di quella generale, contribuiscono al bene della comunità attraverso i propri mezzi e strumenti. Non è infatti una 37 Le dahire muridd in Senegal sono l'espressione dell'organizzazione urbana delle comunità in seguito all'esodo dalle campagne. Questo stile organizzativo è riproposto anche nelle terre di migrazione. Le dahire sono fondamentalmente dei gruppi di preghiera e di incontro tra confratelli.
  • 43. 43 novità per la cultura senegalese una leadership femminile38 , anche se la condizione generale delle donne non è certamente paritaria rispetto all'uomo. L'esperienza migratoria dei senegalesi appare in molti aspetti come un percorso paradigmatico rispetto a un inserimento parziale ma proficuo di una comunità all'interno di un contesto territoriale ben specifico. Le diverse dahire locali in Italia sono le une collegate alle altre, rispondendo in tal modo alle esigenze precipue dei confratelli e all'esigenza di mantenere rapporti con tutti gli altri senegalesi presenti nel paese e con i compatrioti in terra natia. Le frequenti visite dei marabout39 nelle diverse località alimentano questi flussi comunicativi e di vicinanza tra le diverse comunità locali. Contestualmente, l'organizzazione religiosa funge da rappresentanza politica e sociale, ottemperando in molti casi alla gestione dell'eventuale conflitto o problematicità rendendolo vertenziale della comunità e non del singolo individuo grazie anche ai rapporti intessuti e costruiti con soggetti sindacali o associativi degli autoctoni [Ceschi, 2005]. Inoltre, la comunità interviene attivamente, attraverso forme di mutualismo, al benessere dei consociati. In sostanza, la comunità svolge la funzione di rete migratoria40 , essendo fonte di stimoli imitativi e di sostegno logistico e materiale. La rete funge da richiamo per i nuovi arrivi i quali possono attingere al così detto capitale sociale etnico, secondo la definizione di Esser41 . Esso è un capitale sociale specifico, la cui utilizzabilità dipende dall'esistenza di una comunità etnica insediata in una comunità ricevente o di un 38 Si tratta di Sokhna Muslimatou e Sokhna Maimouna, figlie di Cheikh Amadou Bamba e sorelle del khalife generale in carica negli anni '70. Anche Sokhna Magat Diop ha esercitato un ruolo importante all'interno della comunità muridd. 39 Non di rado diverse dahire in diverse località seguono uno stesso marabout. 40 Definite come "complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine" in Massey, Economic development and international migration in comparative perspective, in Population and Development Review n. 14, p. 383-413. 41 Esser H., Does the "new" immigration require a "new" theory of intergenerational integration, in International Migration Review, vol. 8, n. 3 (Fall), pp. 1126-1159
  • 44. 44 network transnazionale. Questo tipo di capitale sociale soffre della carenza di abilità e conoscenze che possono essere impiegate nel nuovo ambiente dove è possibile subire, inoltre, pratiche discriminatorie più o meno esplicite. Allo stesso tempo, però, il capitale sociale etnico rappresenta sempre più una strategia alternativa alla classica assimilazione su base individuale, intesa come perdita di riferimenti identitari e di memoria culturale [Ambrosini, 2006]. Chi appartiene alla comunità, nel caso specifico dei senegalesi così come anche in altri casi, usufruisce delle conoscenze e delle esperienze di coloro i quali sono emigrati precedentemente con delle conseguenze rilevanti sui diversi aspetti della vita quotidiana. I senegalesi partono dalla terra natia con una destinazione precisa perché raggiungono parenti o connazionali già integrati nel tessuto economico del paese ospitante. Nel caso specifico, si registra una vera e propria sostituzione dei migranti più giovani con quelli più anziani42 . Le nuove "leve" sono inserite prevalentemente nell'attività del commercio ambulante già avviato dai loro predecessori. In questo modo, però, si va delineando un'altra conseguenza importante: l'insieme delle caratteristiche della comunità, congiuntamente alla specializzazione etnica lavorativa, fa sì che sia largamente possibile intraprendere un percorso migratorio in cui non si ottemperi ai dettami di legge riguardo la regolarità del soggiorno. Per queste ragioni, la fruizione dei servizi dedicati agli immigrati da parte degli aderenti alla comunità sembra essere connotata da caratteristiche specifiche. 2.2 I servizi dedicati agli immigrati e la comunità senegalese a Catania 42 A riprova di ciò, i dati Istat descrivono un'età media della comunità più o meno costante nel tempo pur essendo una nazionalità presente nel territorio già dall'inizio degli anni '80.
  • 45. 45 La città di Catania offre un insieme di servizi erogati dal pubblico e dal terzo settore specializzati in prima assistenza e disbrigo pratiche. A parte gli uffici istituiti per legge, come lo Sportello Unico per l'Immigrazione43 operante presso le Prefetture, sono attivi numerosi servizi nel campo dell'assistenza abitativa e alimentare44 , del supporto legale e dell'alfabetizzazione linguistica45 e dall'orientamento socio- lavorativo46 . Il Comune di Catania ha, inoltre, attuato un progetto dal titolo "Progetto per immigrati" grazie al quale si è ampliata l'offerta dei servizi rivolta al target di utenza allo scopo di aumentare le opportunità di inserimento sociale, attraverso l'istituzione di sportelli informativi e consultori medici ad esempio, e di scambi interculturali, attivando corsi di lingua e di cultura araba, di cultura Tamil e di perfezionamento e alfabetizzazione di lingua italiana. Con esperienza quindicennale, infine, opera nel territorio la Casa dei Popoli, un ufficio comunale che offre svariati servizi nei settori già menzionati. Per quanto concerne la salute, diversi soggetti pubblici e di terzo settore operano nel territorio allo scopo di fornire assistenza medica, tutela della salute e servizi informativi rivolti alla prevenzione. Tra questi possiamo citare l'AUSL, presso cui è attivo un servizio che promuove assistenza psicologica ai migranti con particolare attenzione alle differenze culturali esistenti attraverso il dipartimento di psichiatria trans-culturale. Altri soggetti menzionabili sono la Caritas, l'Help Center e la Croce Rossa Italiana che utilizzano i loro servizi di prima accoglienza anche per l'accompagnamento presso le strutture ospedaliere. Infine, l'associazione L.I.L.A., che opera nel campo della prevenzione dell'AIDS, offre anch'essa dei servizi specifici per migranti. 43 Introdotto dalla legge c.d. Turco-Napolitano (D. Lgs. 25 luglio 1998, n.286) e modificato della legge c.d. Bossi-Fini (Legge 30 luglio 2002, n. 189) 44 Come i servizi erogati dalla Caritas italiana e dal Centro Astalli. 45 Come i servizi erogati dalla Chiesa Battista, il Centro Astalli e l'Arci. 46 Come i servi erogati dal Centro Astalli, Acli e Arci, i sindacati confederali.
  • 46. 46 Presso la CGIL è operativo uno sportello per migranti che si adopera per fornire assistenza legale con servizi relativi all'ottenimento del permesso di soggiorno, alla regolarizzazione della loro posizione lavorativa, alla messa in rete con associazioni e comunità di migranti. Specializzata in tema di violenza, prostituzione, affidamento dei figli e tratta di esseri umani è l'associazione Penelope che più di altre associazioni presenti nel territorio registra utenti stranieri. A Catania sono presenti diverse strutture che fanno parte del circuito di protezione per rifugiati e richiedenti asilo politico. Inoltre, il Cir47 fornisce servizi di assistenza alle persone, assistenza legale, accoglienza alle frontiere, assistenza e accesso durante la procedura di asilo, interventi presso le autorità, supporto sociale, accesso ai diritti, orientamento al territorio, percorsi di integrazione, ricongiungimenti familiari, cura e riabilitazione dei rifugiati sopravvissuti a tortura. La città, in buona sostanza, offre principalmente servizi di primissima assistenza e di assistenza amministrativa e legale. Per sua struttura, la comunità senegalese in genere non usufruisce dei servizi di accoglienza poiché produce essa stessa soluzioni per i propri affiliati. Un'osservatrice privilegiata sintetizza così il funzionamento della comunità: “L’associazione che comprende tutta la comunità è nata per essere al servizio di tutti. Qualora un senegalese avesse bisogno anche economico questa si muove. Tutti gli associati partecipano con una quota mensile. Spesso capita che l'associazione si occupi dei rimpatri delle salme dei concittadini morti in Italia. Inoltre, l'associazione è portavoce della comunità con l’istituzione: ha partecipato a incontri con la Questura, con il Comune, con la Confcommercio. [...]La religione, per i senegalesi, è l'unico vero filo conduttore e l'unico vero aggregante. Il fatto che abbiano il loro centro per pregare, il fatto che si vedano due volte la settimana, il fatto che discutono 47 Consiglio Italiano per Rifugiati.
  • 47. 47 delle esigenze della comunità e dei loro problemi, ciò fa sì che la comunità sia unita ed io direi geneticamente unita. Nelle altre comunità, si registrano delle aggregazioni a gruppi, per i senegalesi ciò non si verifica: sono uniti tutti insieme e non solo al livello locale ma anche a livello nazionale. Quindi tra di loro sono sempre in contatto, si scambiano opinioni e prendono le decisioni insieme e a prescindere dalle varie etnie". (OssPrivilegiato) Inoltre, le esperienze documentabili descrivono sempre un approccio comunitario alla risoluzione dei problemi. La stessa osservatrice privilegiata racconta così la sua esperienza di aiuto alla comunità senegalese di Catania: “È nata per un caso fortuito [...]. All'inizio bisognava rispondere agli aspetti più elementari per garantirgli la sopravvivenza: le prescrizioni dei farmaci perché anche un raffreddore poteva rappresentare un problema. Di lì in poi è stato un crescendo. I miei interventi andavano dal cercagli le case perché la gente era molto restia ad affittargliele. Spesso mi sono offerta come garante della locazione, gli procuravo i farmaci facendoli prescrivere a nome di altri perché loro non potevano averli. In sostanza, li aiutavo in tutti quegli aspetti che riguardano la sopravvivenza. Dopo la prima sanatoria, mi sono occupata invece dell'espletamento delle pratiche burocratiche: permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari, il rilascio del libretto per l'assistenza medica e così via. Anche perché inizialmente non c'erano altre associazioni e servizi per loro. Ho iniziato a dare loro assistenza a titolo personale, successivamente ho collaborato con la CGIL. Lavorare per una grande organizzazione ha avuto i suoi vantaggi, anche perché i bisogni della comunità mutavano gradualmente grazie al fatto di essere sempre più inseriti nel contesto territoriale e di essere una comunità forte e coesa”. (OssPrivilegiato)
  • 48. 48 La comunità, quindi, manifesta esigenze diverse rispetto ad altre che non sono così strutturate: i settori a cui non possono dare adeguate risposte riguardano l'assistenza sanitaria, soprattutto quella specializzata, e la sfera amministrativa e legale che riguarda i permessi di soggiorno e l'attività lavorativa. Alcuni senegalesi, tuttavia, hanno cercato di porre rimedio anche a ciò fondando una cooperativa che, oltre a progettare e finanziare scambi commerciali e realizzazioni di opere tra l'Italia e il Senegal, offre servizi di disbrigo pratiche, assistenza sanitaria, assistenza legale e orientamento al lavoro. L'amministratore unico racconta così la nascita della cooperativa: “Ho fatto un corso di formazione specifico. Insieme ad altri poi abbiamo pensato di aprire questo posto. Ogni volta che avevamo bisogno di un servizio ci trovavamo male e non ci sentivamo aiutati. Allora abbiamo pensato che dovevamo essere noi stessi a trovare il modo per dare i servizi necessari alla comunità. Noi aiutiamo i nostri connazionali e tutti gli immigrati nel disbrigo pratiche per il permesso di soggiorno, offriamo assistenza sanitaria e legale, servizi di patronato”. (Coop1) La cooperativa in questione rappresenta il primo tentativo della comunità di emanciparsi anche per questo genere di servizi dalla società ospitante, pur mantenendo, per necessità, dei collegamenti insostituibili con le strutture più specializzate. “Dopo l'entrata in vigore della legge per cui i medici possono segnalare i clandestini, cosa molto grave e razzista, abbiamo preso contatti con alcuni medici per dare assistenza a tutti”. (Coop1) Ancora una volta, il dinamismo della comunità ha attuato delle strategie per la risoluzione dei problemi generati, nel caso specifico
  • 49. 49 dell'assistenza sanitaria, dall'entrata in vigore del c.d. Pacchetto sicurezza48 del 2008 che ha introdotto nell'ordinamento il reato di clandestinità e il conseguente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di servizio pubblico, come i medici49 , di denunciare i sans papiers che incontrano nello svolgimento delle loro funzioni. Le conseguenze logiche delle caratteristiche evidenziate conducono alla conclusione che data l'alta capacità organizzativa e la forte rappresentanza politica della comunità, è impensabile programmare un intervento sociale dedicato loro escludendoli dall'organizzazione del servizio, in quanto risulta essere in gioco l'efficacia del servizio. È determinante, ai fini della fattibilità e delle condizioni di facilitazione per la riuscita del progetto, costruire un percorso comune e di dialogo tra i soggetti coinvolti nella realizzazione di un servizio dedicato, avendo la consapevolezza di voler intervenire a favore di una popolazione target che rivendica con fermezza e determinazione la propria volontà di non voler rimanere un utente passivo. 2.3 L’ analisi dei bisogni e responsabilità del pubblico e del privato La recente riforma che ha investito l'organizzazione dei servizi socio- assistenziali50 ha operato una trasformazione importante. In prima istanza, ha riorganizzato la titolarità delle responsabilità relative alle politiche sociali ridistribuendole tra i vari attori istituzionali e sociali secondo alcuni principi51 . In particolare, la legge istituisce le zone 48 Legge 24 luglio 2008, n. 125. 49 Dopo l'entrata in vigore della norma, l'ordine dei medici ha replicato esplicitando il fatto che per ragioni deontologiche non poteva essere chiesto loro di denunciare i clandestini. Nei fatti, quindi, non sussiste l'obbligo ma ciò non toglie che ciascun medico possa informare le autorità qualora sia a conoscenza del fatto che un proprio paziente sia autore di reato. 50 Legge 8 novembre 2000, n. 328. 51 Il principio della sussidiarietà orizzontale e verticale, in particolare, sancisce non solo il trasferimento delle funzioni di programmazione alle Regioni e le funzioni di
  • 50. 50 sociali, che sostituiscono e integrano le precedenti circoscrizioni sanitarie, come luogo di programmazione partecipata e di governance del welfare locale aperto all'integrazione tra attori pubblici e privati. A partire da ciò, si registrano in tutto il paese una notevole varietà di esperienze sul campo di progettazione e di gestione dei servizi di tipo plurale e partecipativo [Paci, 2008]. La moltiplicazione degli attori ha comportato la prolificazione di nuovi modelli di gestione non sempre conducibili a un unico quadro omogeneo. L'aspetto centrale del nuovo sistema è il passaggio da una logica di government a una di governance, cioè il passaggio da una regolazione monopolistica delle politiche sociali da parte dello Stato a un sistema integrato e plurale di programmazione, in cui si intrecciano nuovi legami e scambi tra diversi attori che agiscono per gli interessi collettivi. Il ruolo dei diversi attori, così come le differenti relazioni tra loro e gli obiettivi perseguiti, determinano una serie di modelli di governance [Kasepov e Carbone, 2007]: 1. il modello clientelare, caratterizzato da relazioni particolaristiche tra i politici e i diversi stakeholders che, per il raggiungimento di obiettivi specifici, scambiano risorse e favori in cambio di supporto politico; 2. il modello concertativo in cui i diversi attori partecipano al dibattito democratico con pari potere contrattuale per la costruzione consensuale di obiettivi politici condivisi; 3. il modello manageriale in cui viene accentuata la competizione tra fornitori di servizi e la libertà di scelta dell'utente secondo i temi guida del New Public Management; 4. il modello pluralista in cui gli attori chiave sono rappresentati progettazione e gestione delle politiche sociali agli Enti locali, ma anche il riconoscimento al Terzo Settore di un ruolo attivo e paritetico al settore pubblico nell'implementazione e nella progettazione delle stesse [Colozzi e Prandini, 2008]
  • 51. 51 dall'insieme di politici e dei relativi interessi privati che formano blocchi competitivi e alleanze per la definizione delle politiche, sancendo contestualmente il ruolo di mediatore al government; 5. il modello partecipativo che si caratterizza per l'inclusione della società civile nella definizione, gestione e implementazione delle politiche; 6. il modello democratico-inclusivo che si caratterizza per la mobilitazione del supporto popolare nella definizione e implementazione delle politiche, guidato dalla logica di tipo democratico-inclusiva, così come per il modello partecipativo, ma finalizzato in questo caso alla creazione di consenso anche attraverso la mobilitazione collettiva. Negli ultimi anni, secondo gli autori, si è assistito a una forte apertura al privato sociale in Italia e, in particolare, alle organizzazioni no profit e alle associazioni di volontariato. Le relazioni tra questi attori e le agenzie pubbliche variano fortemente a livello locale, spaziando da modelli clientelari e populisti a forme più strutturate di governance corporativa e manageriale [Kasepov e Carbone, 2007]. Una delle poche forme partecipative che coinvolge la popolazione migrante nel nostro paese è rappresentata dalle Consulte per l'immigrazione, istituite ai sensi del Testo Unico sull'immigrazione52 presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Essa ha il compito di promuovere il dialogo tra i diversi attori sociali maggiormente rappresentativi al fine di monitorare le politiche migratorie ed elaborare proposte efficaci per l'integrazione dei cittadini stranieri nel nostro paese. La scelta dei soggetti membri della consulta è operata tramite cooptazione. Ciò determina non pochi problemi di rappresentatività e di democrazia soprattutto alla luce del generale principio della maggiore rappresentatività non meglio specificato. 52 D. Lgs. 286/1998.
  • 52. 52 Sono presenti e operanti nel territorio anche Consulte istituite presso le regioni e le province attraverso regolamento o legge regionale. I meccanismi e i principi di funzionamento sono analoghi a quelli che regolano la Consulta nazionale, così come lo sono i compiti assegnati: questi organi possono essere consultati in merito a decisioni che riguardano il fenomeno migratorio e i cittadini stranieri in Italia53 . In attuazione dell'art.42 dello Statuto, anche la Provincia Regionale di Catania ha provveduto alla creazione della Consulta Provinciale degli Immigrati Extracomunitari, riconosciuto come organo propositivo e consultivo sulle problematiche degli immigrati, nonché come centro di partecipazione, di analisi e di confronto tra le varie comunità straniere e le realtà sociali operanti in tale settore nel territorio provinciale. Le dinamiche partecipative a Catania54 rappresentano ancora un campo esperienziale poco prolifico in termini quantitativi e ancor più in riferimento alla popolazione straniera presente nel territorio. Una recente indagine sull'associazionismo immigrato e quello pro- immigrato a Catania mette in discussione la tesi di Putnam55 secondo la quale la presenza di un tessuto associativo denota una crescita quantitativa e qualitativa della dotazione di capitale sociale56 circolante in una società e il ponte di passaggio dalla fiducia interpersonale alla fiducia nelle istituzioni che si traduce in volontà e capacità di confronto 53 Per un approfondimento sul tema si rimanda a Mantovan C., Immigrazione e cittadinanza: auto-organizzazione e partecipazione dei migranti in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2007. 54 Per una trattazione più approfondita sul tema si rimanda a Dalla Porta D. (a cura di), Comitati cittadini e democrazia urbana, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2004 55 Putnam R.D., La tradizione civica delle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993 56 Secondo l'approccio collettivista di Putnam, il capitale sociale si crea dallo scambio reciproco di relazioni non basate essenzialmente sull'utilità individuale. Ogni soggetto, in sostanza, entra in relazione con altri portando con sé il proprio "capitale" che mette in comunione con gli altri individui, ricevendo in cambio da questi il loro "bagaglio sociale". In questo modo, si creeranno le basi per la realizzazione di scopi non perseguibili a livello individuale grazie allo scambio di esperienze, conoscenze e di informazioni. Putnam definisce il capitale sociale come "[...] l'insieme di quegli elementi dell'organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l'efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l'azione coordinata degli individui" (Putnam R.D., La tradizione civica delle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993, p 169).