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Delocalizzare in Romania è ancora un buon affare.
Negli ultimi anni l’Imprenditoria veneta ha via via spostato l’obiettivo dei processi di delocalizzazione dall’Europa dell’est, Romania in
particolare, alla Cina, trascurando, a nostro parere, le opportunità che continuano a rendere la Romania una nazione in cui è
favorevole e conveniente delocalizzare. Quest’affermazione muove dall’analisi del tipo d’investimento che le aziende italiane hanno
fatto, in Romania, dal 1991 al 2005. In quest’arco di tempo esse vi hanno investito € 521.062.400 che, divisi per le 16.905 società
che vi sono state aperte, dà un capitale investito medio di € 30.823 per società. All’estremo opposto abbiamo l’Olanda, che vi ha
investito € 1.540.516.800 che, divisi per le 2.021 società che vi ha costituito, dà un capitale investito medio di € 762.255. È evidente
che questi numeri delineano un grande insieme di aziende piccole o medio-piccole che sono state costituite in Romania, rispettando
anche nella delocalizzazione quel modello di azienda piccola, quasi familiare, diffusa sul territorio, che è peculiare della maggior
parte dell’imprenditoria veneta. Sappiamo anche che questa tipologia d’azienda ha dei clienti che serve, indipendentemente dalla
distanza geografica, con un flusso di prodotti finiti il cui volume totale è distribuito nell’arco del mese lavorativo, caratteristica questa
di tutti i processi produttivi che sono terzisti di una realtà industriale più grande. Questo accade prevalentemente perché i grandi
gruppi industriali hanno oramai da anni cessato di fare magazzino, trasferendo sui fornitori l’onere di “fare scorta” e di consegnare,
questa scorta, con cadenza quasi giornaliera, presso i loro impianti produttivi. Questo tipo di servizio reso al cliente, molto spesso
carta vincente delle aziende venete, può essere erogato senza molti problemi anche dalla Romania, mentre diventa quasi
impossibile erogarlo dalla Cina. Quanto appena detto non si applica, naturalmente, alle aziende che hanno dovuto seguire fino in
Cina il loro committente principale, ma vale per quelle, e sono la maggioranza, che hanno i loro clienti distribuiti tra il nord Italia e
l’Europa centro-occidentale. Stiamo quindi parlando di un’azienda che ha mediamente da dieci a venti dipendenti, che in Romania
ha trovato la mano d'opera più conveniente dell’Europa dell’est (nel 2004 un’ora di lavoro, in Romania, è costata mediamente $ 0,95
contro i $ 4,37 dell’Ungheria ed i $ 7,71 della Slovenia), che in Romania ha una tassazione sul reddito del 16% (era il 25% nel 2004),
e che in 24-36 ore può consegnare anche un solo pallet di merce nella maggior parte dell’Europa. Quando, tra non molto tempo, i
maggiori processi di delocalizzazione saranno terminati, e quando la maggior parte delle aziende saranno livellate dagli stessi bassi
costi produttivi, ecco che la differenza tornerà a farla la qualità ed il servizio. Ed è nostro fermo convincimento che dalla Romania la
medio-piccola azienda veneta potrà servire bene e con successo i propri clienti italiani ed europei. A questo quadro possiamo
aggiungere ancora due fattori: la futura adesione della Romania all’Unione Europea che, quando avverrà, abbatterà ulteriormente i
costi ed i tempi di trasporto (principalmente doganali), e la crescita del mercato interno rumeno per quei beni, attualmente prodotti in
Romania da aziende italiane e destinati all’esportazione, beni da cui il consumatore rumeno è “affascinato”. Possiamo qui ricordare,
a titolo d’esempio, che la conversione attualmente in atto, in Romania, dei sistemi di riscaldamento domestico, da centralizzati a
livello cittadino (con centrali a carbone obsolete ed inefficienti), ad autonomi con caldaiette a gas, ha fatto crescere in modo
esponenziale la richiesta di questo prodotto, in un primo tempo importato dalla Germania e dall’Italia, ed ora prodotto localmente
dagli stessi marchi industriali tedeschi ed italiani. A mano a mano che il reddito medio sale, il consumatore rumeno ha a disposizione
risorse economiche che investe, in primo luogo, in una casa ristrutturata con componenti italiani (rubinetti, sanitari, infissi, pavimenti)
ed arredata con mobili egualmente italiani; successivamente, appena lo potrà fare, si comprerà poi un’auto tedesca... Non va
dimenticato, infatti, che se è vero che lo stipendio di un operaio si aggira sui 100, 120 euro al mese, è altrettanto vero che vi è una
parte in crescita della popolazione lavorativa che è impiegata presso grandi compagnie europee od americane, ove ha mansioni di
responsabilità, che percepisce stipendi molto vicini a quelli dei colleghi “occidentali”, e che ha risorse economiche da destinare alla
casa, all’abbigliamento, all’auto “occidentale” dei propri sogni.
Gian Luigi Venturin venturin@modum.it
ModuM Consulting www.modum.it

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  • 1. Delocalizzare in Romania è ancora un buon affare. Negli ultimi anni l’Imprenditoria veneta ha via via spostato l’obiettivo dei processi di delocalizzazione dall’Europa dell’est, Romania in particolare, alla Cina, trascurando, a nostro parere, le opportunità che continuano a rendere la Romania una nazione in cui è favorevole e conveniente delocalizzare. Quest’affermazione muove dall’analisi del tipo d’investimento che le aziende italiane hanno fatto, in Romania, dal 1991 al 2005. In quest’arco di tempo esse vi hanno investito € 521.062.400 che, divisi per le 16.905 società che vi sono state aperte, dà un capitale investito medio di € 30.823 per società. All’estremo opposto abbiamo l’Olanda, che vi ha investito € 1.540.516.800 che, divisi per le 2.021 società che vi ha costituito, dà un capitale investito medio di € 762.255. È evidente che questi numeri delineano un grande insieme di aziende piccole o medio-piccole che sono state costituite in Romania, rispettando anche nella delocalizzazione quel modello di azienda piccola, quasi familiare, diffusa sul territorio, che è peculiare della maggior parte dell’imprenditoria veneta. Sappiamo anche che questa tipologia d’azienda ha dei clienti che serve, indipendentemente dalla distanza geografica, con un flusso di prodotti finiti il cui volume totale è distribuito nell’arco del mese lavorativo, caratteristica questa di tutti i processi produttivi che sono terzisti di una realtà industriale più grande. Questo accade prevalentemente perché i grandi gruppi industriali hanno oramai da anni cessato di fare magazzino, trasferendo sui fornitori l’onere di “fare scorta” e di consegnare, questa scorta, con cadenza quasi giornaliera, presso i loro impianti produttivi. Questo tipo di servizio reso al cliente, molto spesso carta vincente delle aziende venete, può essere erogato senza molti problemi anche dalla Romania, mentre diventa quasi impossibile erogarlo dalla Cina. Quanto appena detto non si applica, naturalmente, alle aziende che hanno dovuto seguire fino in Cina il loro committente principale, ma vale per quelle, e sono la maggioranza, che hanno i loro clienti distribuiti tra il nord Italia e l’Europa centro-occidentale. Stiamo quindi parlando di un’azienda che ha mediamente da dieci a venti dipendenti, che in Romania ha trovato la mano d'opera più conveniente dell’Europa dell’est (nel 2004 un’ora di lavoro, in Romania, è costata mediamente $ 0,95 contro i $ 4,37 dell’Ungheria ed i $ 7,71 della Slovenia), che in Romania ha una tassazione sul reddito del 16% (era il 25% nel 2004), e che in 24-36 ore può consegnare anche un solo pallet di merce nella maggior parte dell’Europa. Quando, tra non molto tempo, i maggiori processi di delocalizzazione saranno terminati, e quando la maggior parte delle aziende saranno livellate dagli stessi bassi costi produttivi, ecco che la differenza tornerà a farla la qualità ed il servizio. Ed è nostro fermo convincimento che dalla Romania la medio-piccola azienda veneta potrà servire bene e con successo i propri clienti italiani ed europei. A questo quadro possiamo aggiungere ancora due fattori: la futura adesione della Romania all’Unione Europea che, quando avverrà, abbatterà ulteriormente i costi ed i tempi di trasporto (principalmente doganali), e la crescita del mercato interno rumeno per quei beni, attualmente prodotti in Romania da aziende italiane e destinati all’esportazione, beni da cui il consumatore rumeno è “affascinato”. Possiamo qui ricordare, a titolo d’esempio, che la conversione attualmente in atto, in Romania, dei sistemi di riscaldamento domestico, da centralizzati a livello cittadino (con centrali a carbone obsolete ed inefficienti), ad autonomi con caldaiette a gas, ha fatto crescere in modo esponenziale la richiesta di questo prodotto, in un primo tempo importato dalla Germania e dall’Italia, ed ora prodotto localmente dagli stessi marchi industriali tedeschi ed italiani. A mano a mano che il reddito medio sale, il consumatore rumeno ha a disposizione risorse economiche che investe, in primo luogo, in una casa ristrutturata con componenti italiani (rubinetti, sanitari, infissi, pavimenti) ed arredata con mobili egualmente italiani; successivamente, appena lo potrà fare, si comprerà poi un’auto tedesca... Non va dimenticato, infatti, che se è vero che lo stipendio di un operaio si aggira sui 100, 120 euro al mese, è altrettanto vero che vi è una parte in crescita della popolazione lavorativa che è impiegata presso grandi compagnie europee od americane, ove ha mansioni di responsabilità, che percepisce stipendi molto vicini a quelli dei colleghi “occidentali”, e che ha risorse economiche da destinare alla casa, all’abbigliamento, all’auto “occidentale” dei propri sogni. Gian Luigi Venturin venturin@modum.it ModuM Consulting www.modum.it