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Roberta Pinotti
Per Roberta Pinotti, prima donna ministro della
Difesa della Repubblica italiana, il momento delle
scelte è arrivato quando già lavorava come insegnante.
“La passione politica esisteva da sempre, al liceo
ero in un gruppo scout di sinistra, ma non facevo vita
di partito. Le organizzazioni giovanili, anche quelle
dell’allora Pci, mi sembravano eterodirette, rigide, e io
sono sempre stata molto indipendente. Poi, all’università,
mi sono occupata di politica sempre meno. L’interesse
si è riaffacciato più tardi. Era il 1989, il Pci si
preparava alla svolta della Bolognina e ci chiesero di
candidare qualcuno tra i capi scout. I nomi proposti
furono tre, quello di mio marito, già impegnato in altre
attività, quello di un sindacalista e poi il mio. È
successo così, mi hanno candidato senza che io avessi
pianificato un cursus honorum. La politica mi piace
ma non penso mai al passo successivo. Mi butto nel
progetto e ci lavoro, non è che prima organizzo il consenso.”
Ministro per caso? Non sono d’accordo con Roberta
Pinotti. Anche nella sua vicenda, la casualità è solo
apparente. Se non ci fossero stati anni di “doppio lavoro”,
la scuola e gli scout, nessuno avrebbe probabilmente
pensato a lei quando si trattò di mettere un
nome su una lista elettorale.
La sconfitta fa male. Sempre e comunque. Roberta
Pinotti lo ammette: “Mi ero candidata a sindaco di
Genova. Me lo avevano chiesto. E nel 2012 mi sono
presentata alle primarie. Sono arrivata terza, dopo
Marco Doria e Marta Vincenzi. Non lo nego, ho sofferto
molto. Non tanto e non solo per non avercela fatta,
ma perché il mio era stato davvero un gesto disinteressato,
non era quello che in fondo avrei voluto fare. Invece,
a sentire certi commenti, sembrava avessi corso
per tentare di strappare una poltrona a fine carriera.
La sofferenza era soprattutto frustrazione per non essere
stata capita: a spingermi, prima di tutto, era stato
il senso del dovere. Un’esperienza, ripeto, molto dolorosa”.
Sentirsi a pezzi. E provare la necessità di ricostruirsi.
Roberta Pinotti ha adottato una tecnica che
somiglia molto all’elaborazione di un lutto. Concesse
le debite proporzioni, anche il mancato raggiungi
mento di un obiettivo professionale può scatenare,
più in piccolo si spera, le reazioni che si provano dopo
un abbandono. “Ho capito di aver bisogno di una fase
sottotraccia. Non volevo essere ferita dalle frecciate,
dentro e fuori il mio partito. Ho scelto un comportamento
low profile. Ero in Parlamento e ho continuato
la mia vita politica a Roma, cercando di passare molto
pi. tempo l. che a Genova. Ho cancellato le occasioni
pubbliche, le interviste, le conferenze stampa. Quanto
. durata? Nove mesi.” Il tempo di una gravidanza:
“Per un bel po’ sono stata molto per conto mio. Poi,
era novembre, . stato come rinascere”.
Cosa l’ha aiutata a riprendere la marcia di Robo-
Cop senza scoprirsi robotica? Come continuare a lottare
diventando pi. attenta, pi. consapevole e – anche
– protetta da una corazza? Quando si incassa un
colpo, di solito si dice “. stata la famiglia che mi ha
aiutato a superarlo. Sono stati gli amici”. Certo, tutto
questo conta, ma Roberta Pinotti riconosce di aver
superato la sconfitta perché, semplicemente, non ha
avuto paura. “Quando si sono rifatte le primarie, tutti
mi hanno sconsigliato di partecipare: ‘Se ti bocciano
di nuovo, sei morta’. Molti Soloni del partito, infatti,
si son ben guardati dal correre il rischio. Io ho risposto
no, non ci sto: non si può fare politica senza consenso.
Se perdo vado a casa, mi sono detta. Ma se
vinco continuo.”
Il non aver paura rende senz’altro più libere. E leggere.
Roberta Pinotti rievoca i difficili giorni in cui,
praticamente sola contro tutti, faceva campagna elettorale
per le primarie: “Avevano messo in lista otto
donne, candidature piazzate là dove avevo i miei sostenitori,
minuziosamente studiate per togliermi cinquecento,
seicento voti. Non ero sorpresa. Con me il Pd, a
Genova, si comportava cos.. Gli attacchi sono cominciati
quando, correndo per il consiglio comunale, ho
preso pi. voti di quanto si aspettassero. L’allora sindaco
Marta Vincenzi confermò tutta la giunta tranne un
assessore: io”. Ha sempre incontrato gli stessi ostacoli.
Nella sua città, almeno. “Ho dovuto faticare, arrivare
prima senza avere né il consenso né il sostegno del partito.
Quando mi proposero di fare il sindaco, forse sapevano
gi. come sarebbe andata. La politica nazionale
mi attraeva di pi.. Ma se la città mi chiama, mi sono
detta... E invece la città non mi ha chiamato.”
Da quella esperienza, prima la caduta, poi la ripresa
e la vittoria contro tutti, ha tratto pi. forza. Con un
pizzico di fortuna, la sua carriera . decollata. Rieletta
al Senato nel febbraio del 2013, a maggio . diventata
sottosegretario alla Difesa e nel febbraio del 2014,
due anni dopo la Grande Sconfitta, ha assaporato il
gusto di essere nominata dal presidente della Repubblica
prima donna ministro della Difesa.
Adesso, se le chiedete che cosa fare dopo una batosta
professionale, offre un consiglio e un racconto. Il
primo: “Rimargina le ferite. Ricostruisci la fiducia
con l’aiuto di qualche gratificazione pi. piccola, anche
in ambiti diversi. Serve a sentirsi meglio”. Il secondo
riguarda una storia che risale a pi. di trent’anni
fa: ha a che fare con una notte passata sul Monte
Pennello, Appennino ligure. “Sono con il mio gruppo
scout quando mi accorgo di aver lasciato da qualche
parte lo zaino. Grande errore, mai perderlo di vista.
Vado a cercarlo, invano, e quando torno non trovo
pi. i miei compagni. Sono sola, al freddo, senza sacco
a pelo, cala l’oscurità e si alza pure un vento da
tregenda. La paura sta per paralizzarmi, l. intorno .
tutto un burrone, un passo falso e rischio di precipitare chissà dove.
Mi metto a urlare, ma poi mi dico: ‘.
inutile, nessuno ti sente. Smettila. Pensa a una strategia’.”
A diciannove anni, sola sull’Appennino, elaborarne
una non dev’essere stato semplicissimo. Ma lei
era una girl scout, giusto? “Mi dico che devo calmarmi
e cercare l’acqua, l’acqua va al mare e se la trovo
arrivo a un centro abitato. Comincio a tastare il terreno,
carponi sui rovi. Passo passo, con grande cautela,
mi metto in movimento. Intanto sta arrivando l’alba.
Verso le cinque intravedo finalmente una casa di contadini.
Sono intirizzita, vorrei un caffè ma loro saggiamente
mi offrono un cognac. Da lì proseguo per il
paese, entro in un bar, chiedo un gettone e chiamo
casa. Quella notte ho capito che la paura si può gestire.”
Sì, si può. In montagna. E in carriera. Dove a volte
mantenere la calma non basta e capita di combattere
timori irrazionali: “La paura di non essere pi.
amata, per esempio. Dalla gente, dagli elettori. Dentro
di me, l’ho capito dopo, si agitava pi. lo spettro
del rifiuto che il timore di non essere eletta”.
Nelle coppie a doppia carriera si inserisce, a volte,
un disagio difficile da gestire. Affiora quando lei porta
a casa pi. soldi di lui. Parchè certi stereotipi sono duri
a morire. Il ministro Roberta Pinotti, per esempio,
guadagna pi. di suo marito? “No, la cifra . circa la
stessa, ma poi io lascio 3500 euro al mese nelle casse
del partito. Dunque guadagna di pi. lui. Ma, soldi a
parte, . abituato da tempo a essere considerato ‘il marito
di’ e convive tranquillamente con questo status. .
un bravo medico, primario all’ospedale San Martino
di Genova, ma non . un barone, non gli . mai interessato
diventare famoso n. vivere di luce riflessa. Per
questo una volta, una sola, mi sono arrabbiata quando
sul ‘Secolo XIX’ lo definirono ‘il signor Pinotti’.
Scrissi al direttore: cos. come rispettate le mogli di,
potreste anche rispettare i mariti.”
Le donne del Pd? Le mie peggiori nemiche
Se i sensi di colpa verso i figli non sono abbastanza
forti da fermarti, c’è sempre qualcuno pronto ad alimentarli.
Donne comprese. Fino allo sgambetto “a fin
di bene”. “Gli uomini ti sabotano in modo scientifico.
Le donne no, si muovono emotivamente,” racconta il
ministro della Difesa. E ripesca un episodio che non
ha mai dimenticato: “Anni fa, a Genova, bisognava
decidere le candidature per il Parlamento. Gli uomini
del partito vengono a sapere che corre anche il mio
nome. Cos. organizzano una bella riunione con ben
quaranta donne. Mai vista prima una tale mobilitazione.
Aspettavo la mia seconda figlia. Lo scopo, l’ho
capito dopo, era far pronunciare a loro la sentenza.
‘La Pinotti non può candidarsi.’ Se l’avesse detto un
maschio, sarebbero nate chissà quali polemiche. La
riunione comincia, e l’allora responsabile femminile
dei Ds prende la parola: ‘Lei . incinta. Se si candida,
dimostra di non avere il senso del limite’. ”. Roberta
Pinotti quell’imboscata la ricorda fotogramma per fotogramma.
“Vuole la verità? Nei partiti i gruppi femminili
sono il pi. grande freno all’avanzata delle donne.
Io, figlia di un operaio che mi aveva cresciuta dicendomi
‘le donne sono come gli uomini, non permettere
a nessuno di metterti un limite’, non potevo
accettarlo. Hanno usato la mia gravidanza per ostacolarmi.”
A casa, a scaldare il biberon. Questo fanno
le madri. “E non eravamo a una riunione di Forza
Italia. Quelli erano i Ds degli anni novanta.”
Abilissime nel costruirli per se stesse, le donne sono
altrettanto brave nel far leva sui sensi di colpa delle
altre. Ricorda ancora il ministro della Difesa: “Per
quanto abbia cercato di rimuovere quelle parole, inevitabilmente
un dubbio, dentro di me, ce l’avevo. Faccio
bene a lasciare le bambine? Faccio bene ad andare
a Roma per fare il deputato? Mi ponevo mille interrogativi.
Immaginavo le conseguenze della mia assenza.
Non ci sarà quando mia figlia torna da scuola,
non ci sarà se vorrà parlarmi. Cosa mi perdo? Sono
arrivata a una conclusione. Il senso di colpa . sbagliato,
. sbagliato averlo. Ma il senso della privazione,
be’, quello ce l’hai e te lo tieni”.

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Tiziano terzani
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  • 1. Roberta Pinotti Per Roberta Pinotti, prima donna ministro della Difesa della Repubblica italiana, il momento delle scelte è arrivato quando già lavorava come insegnante. “La passione politica esisteva da sempre, al liceo ero in un gruppo scout di sinistra, ma non facevo vita di partito. Le organizzazioni giovanili, anche quelle dell’allora Pci, mi sembravano eterodirette, rigide, e io sono sempre stata molto indipendente. Poi, all’università, mi sono occupata di politica sempre meno. L’interesse si è riaffacciato più tardi. Era il 1989, il Pci si preparava alla svolta della Bolognina e ci chiesero di candidare qualcuno tra i capi scout. I nomi proposti furono tre, quello di mio marito, già impegnato in altre attività, quello di un sindacalista e poi il mio. È successo così, mi hanno candidato senza che io avessi pianificato un cursus honorum. La politica mi piace ma non penso mai al passo successivo. Mi butto nel progetto e ci lavoro, non è che prima organizzo il consenso.” Ministro per caso? Non sono d’accordo con Roberta Pinotti. Anche nella sua vicenda, la casualità è solo apparente. Se non ci fossero stati anni di “doppio lavoro”, la scuola e gli scout, nessuno avrebbe probabilmente pensato a lei quando si trattò di mettere un nome su una lista elettorale. La sconfitta fa male. Sempre e comunque. Roberta Pinotti lo ammette: “Mi ero candidata a sindaco di Genova. Me lo avevano chiesto. E nel 2012 mi sono presentata alle primarie. Sono arrivata terza, dopo Marco Doria e Marta Vincenzi. Non lo nego, ho sofferto molto. Non tanto e non solo per non avercela fatta, ma perché il mio era stato davvero un gesto disinteressato, non era quello che in fondo avrei voluto fare. Invece, a sentire certi commenti, sembrava avessi corso per tentare di strappare una poltrona a fine carriera. La sofferenza era soprattutto frustrazione per non essere stata capita: a spingermi, prima di tutto, era stato il senso del dovere. Un’esperienza, ripeto, molto dolorosa”. Sentirsi a pezzi. E provare la necessità di ricostruirsi. Roberta Pinotti ha adottato una tecnica che somiglia molto all’elaborazione di un lutto. Concesse le debite proporzioni, anche il mancato raggiungi mento di un obiettivo professionale può scatenare, più in piccolo si spera, le reazioni che si provano dopo un abbandono. “Ho capito di aver bisogno di una fase sottotraccia. Non volevo essere ferita dalle frecciate, dentro e fuori il mio partito. Ho scelto un comportamento
  • 2. low profile. Ero in Parlamento e ho continuato la mia vita politica a Roma, cercando di passare molto pi. tempo l. che a Genova. Ho cancellato le occasioni pubbliche, le interviste, le conferenze stampa. Quanto . durata? Nove mesi.” Il tempo di una gravidanza: “Per un bel po’ sono stata molto per conto mio. Poi, era novembre, . stato come rinascere”. Cosa l’ha aiutata a riprendere la marcia di Robo- Cop senza scoprirsi robotica? Come continuare a lottare diventando pi. attenta, pi. consapevole e – anche – protetta da una corazza? Quando si incassa un colpo, di solito si dice “. stata la famiglia che mi ha aiutato a superarlo. Sono stati gli amici”. Certo, tutto questo conta, ma Roberta Pinotti riconosce di aver superato la sconfitta perché, semplicemente, non ha avuto paura. “Quando si sono rifatte le primarie, tutti mi hanno sconsigliato di partecipare: ‘Se ti bocciano di nuovo, sei morta’. Molti Soloni del partito, infatti, si son ben guardati dal correre il rischio. Io ho risposto no, non ci sto: non si può fare politica senza consenso. Se perdo vado a casa, mi sono detta. Ma se vinco continuo.” Il non aver paura rende senz’altro più libere. E leggere. Roberta Pinotti rievoca i difficili giorni in cui, praticamente sola contro tutti, faceva campagna elettorale per le primarie: “Avevano messo in lista otto donne, candidature piazzate là dove avevo i miei sostenitori, minuziosamente studiate per togliermi cinquecento, seicento voti. Non ero sorpresa. Con me il Pd, a Genova, si comportava cos.. Gli attacchi sono cominciati quando, correndo per il consiglio comunale, ho preso pi. voti di quanto si aspettassero. L’allora sindaco Marta Vincenzi confermò tutta la giunta tranne un assessore: io”. Ha sempre incontrato gli stessi ostacoli. Nella sua città, almeno. “Ho dovuto faticare, arrivare prima senza avere né il consenso né il sostegno del partito. Quando mi proposero di fare il sindaco, forse sapevano gi. come sarebbe andata. La politica nazionale mi attraeva di pi.. Ma se la città mi chiama, mi sono detta... E invece la città non mi ha chiamato.” Da quella esperienza, prima la caduta, poi la ripresa e la vittoria contro tutti, ha tratto pi. forza. Con un pizzico di fortuna, la sua carriera . decollata. Rieletta al Senato nel febbraio del 2013, a maggio . diventata sottosegretario alla Difesa e nel febbraio del 2014, due anni dopo la Grande Sconfitta, ha assaporato il gusto di essere nominata dal presidente della Repubblica prima donna ministro della Difesa. Adesso, se le chiedete che cosa fare dopo una batosta professionale, offre un consiglio e un racconto. Il primo: “Rimargina le ferite. Ricostruisci la fiducia
  • 3. con l’aiuto di qualche gratificazione pi. piccola, anche in ambiti diversi. Serve a sentirsi meglio”. Il secondo riguarda una storia che risale a pi. di trent’anni fa: ha a che fare con una notte passata sul Monte Pennello, Appennino ligure. “Sono con il mio gruppo scout quando mi accorgo di aver lasciato da qualche parte lo zaino. Grande errore, mai perderlo di vista. Vado a cercarlo, invano, e quando torno non trovo pi. i miei compagni. Sono sola, al freddo, senza sacco a pelo, cala l’oscurità e si alza pure un vento da tregenda. La paura sta per paralizzarmi, l. intorno . tutto un burrone, un passo falso e rischio di precipitare chissà dove. Mi metto a urlare, ma poi mi dico: ‘. inutile, nessuno ti sente. Smettila. Pensa a una strategia’.” A diciannove anni, sola sull’Appennino, elaborarne una non dev’essere stato semplicissimo. Ma lei era una girl scout, giusto? “Mi dico che devo calmarmi e cercare l’acqua, l’acqua va al mare e se la trovo arrivo a un centro abitato. Comincio a tastare il terreno, carponi sui rovi. Passo passo, con grande cautela, mi metto in movimento. Intanto sta arrivando l’alba. Verso le cinque intravedo finalmente una casa di contadini. Sono intirizzita, vorrei un caffè ma loro saggiamente mi offrono un cognac. Da lì proseguo per il paese, entro in un bar, chiedo un gettone e chiamo casa. Quella notte ho capito che la paura si può gestire.” Sì, si può. In montagna. E in carriera. Dove a volte mantenere la calma non basta e capita di combattere timori irrazionali: “La paura di non essere pi. amata, per esempio. Dalla gente, dagli elettori. Dentro di me, l’ho capito dopo, si agitava pi. lo spettro del rifiuto che il timore di non essere eletta”. Nelle coppie a doppia carriera si inserisce, a volte, un disagio difficile da gestire. Affiora quando lei porta a casa pi. soldi di lui. Parchè certi stereotipi sono duri a morire. Il ministro Roberta Pinotti, per esempio, guadagna pi. di suo marito? “No, la cifra . circa la stessa, ma poi io lascio 3500 euro al mese nelle casse del partito. Dunque guadagna di pi. lui. Ma, soldi a parte, . abituato da tempo a essere considerato ‘il marito di’ e convive tranquillamente con questo status. . un bravo medico, primario all’ospedale San Martino di Genova, ma non . un barone, non gli . mai interessato diventare famoso n. vivere di luce riflessa. Per questo una volta, una sola, mi sono arrabbiata quando sul ‘Secolo XIX’ lo definirono ‘il signor Pinotti’. Scrissi al direttore: cos. come rispettate le mogli di, potreste anche rispettare i mariti.” Le donne del Pd? Le mie peggiori nemiche Se i sensi di colpa verso i figli non sono abbastanza forti da fermarti, c’è sempre qualcuno pronto ad alimentarli.
  • 4. Donne comprese. Fino allo sgambetto “a fin di bene”. “Gli uomini ti sabotano in modo scientifico. Le donne no, si muovono emotivamente,” racconta il ministro della Difesa. E ripesca un episodio che non ha mai dimenticato: “Anni fa, a Genova, bisognava decidere le candidature per il Parlamento. Gli uomini del partito vengono a sapere che corre anche il mio nome. Cos. organizzano una bella riunione con ben quaranta donne. Mai vista prima una tale mobilitazione. Aspettavo la mia seconda figlia. Lo scopo, l’ho capito dopo, era far pronunciare a loro la sentenza. ‘La Pinotti non può candidarsi.’ Se l’avesse detto un maschio, sarebbero nate chissà quali polemiche. La riunione comincia, e l’allora responsabile femminile dei Ds prende la parola: ‘Lei . incinta. Se si candida, dimostra di non avere il senso del limite’. ”. Roberta Pinotti quell’imboscata la ricorda fotogramma per fotogramma. “Vuole la verità? Nei partiti i gruppi femminili sono il pi. grande freno all’avanzata delle donne. Io, figlia di un operaio che mi aveva cresciuta dicendomi ‘le donne sono come gli uomini, non permettere a nessuno di metterti un limite’, non potevo accettarlo. Hanno usato la mia gravidanza per ostacolarmi.” A casa, a scaldare il biberon. Questo fanno le madri. “E non eravamo a una riunione di Forza Italia. Quelli erano i Ds degli anni novanta.” Abilissime nel costruirli per se stesse, le donne sono altrettanto brave nel far leva sui sensi di colpa delle altre. Ricorda ancora il ministro della Difesa: “Per quanto abbia cercato di rimuovere quelle parole, inevitabilmente un dubbio, dentro di me, ce l’avevo. Faccio bene a lasciare le bambine? Faccio bene ad andare a Roma per fare il deputato? Mi ponevo mille interrogativi. Immaginavo le conseguenze della mia assenza. Non ci sarà quando mia figlia torna da scuola, non ci sarà se vorrà parlarmi. Cosa mi perdo? Sono arrivata a una conclusione. Il senso di colpa . sbagliato, . sbagliato averlo. Ma il senso della privazione, be’, quello ce l’hai e te lo tieni”.