1. LA STORIA DELLA RAM
storia e funzioni
Tutti le conoscono più o meno per sentito dire, ma pochi sanno quale sia la storia della
RAM e quale la sua reale funzione. Scopriamolo assieme
È tra le componenti fondamentali del computer, anche se molto spesso viene sottovalutata a
favore di altri pezzi più famosi e celebrati. Eppure non bisogna mai dimenticare che una
delle parti fondamentali della cosiddetta Macchina di Von Neumann, sulla quale si fondano
teoricamente anche gli attuali computer domestici, è proprio la RAM, ovvero la memoria ad
accesso casuale (Random Access Memory). Naturalmente, dagli anni ’50 ad oggi, la RAM
ha subito moltissime modifiche sia sotto il punto di vista fisico che teorico, riuscendo a
raggiungere livelli di prestazioni e di carichi di lavoro sicuramente inimmaginabili anche
per lo stesso Von Neumann. Oggi le memorie RAM più avanzate (le SDRAM DDR4, che da
poco hanno rimpiazzato le ormai “anziane” DDR3) sono capaci di immagazzinare fino a 16
GB di dati per modulo con velocità di trasferimento dati che variano tra gli 800 Mbit al
secondo fino agli 1,5 Gbit al secondo. La stessa tecnologia è oggi adottata, anche se su scale
dimensionali differenti, nei laptop. Con la riduzione delle dimensioni della stessa scheda
madre, anche i moduli di memoria RAM hanno subito un’azione di ridimensionamento che
ha portato allo sviluppo dei moduli SO-DIMM ovvero small outline dual in-line memory
module.
La memoria RAM è, quindi, uno spazio in cui il computer è in grado di immagazzinare e
recuperare, in tempi brevissimi, i dati di cui ha bisogno per espletare le sue funzioni .
L’unica pecca di questa tecnologia è però quella di conservare le informazioni
immagazzinate soltanto se e fino a quando la memoria stessa viene alimentata e pertanto,
nel momento in cui il computer viene spento, la memoria stessa perde tutte le informazioni,
svuotandosi completamente.
Qual è quindi la funzione a cui assolvono queste memorie all’interno di un PC? Come
abbiamo detto la RAM ha il compito di immagazzinare velocemente i dati che poi devono
essere lavorati dall’unità centrale del computer, ovvero dal processore, detto anche CPU
(Central Processing Unit). Ma, penserà qualcuno, i dati vengono salvati all’interno dell’hard
disk, non nella RAM, dato che altrimenti si perderebbero non appena si spegne il computer.
E ha perfettamente ragione, se non fosse che gli hard disk magnetici più comunemente
diffusi hanno tempi di accesso, lettura e scrittura dati, maggiori di diversi ordini di
grandezza rispetto a quelli dei processori. Se non ci fosse un “cuscinetto” intermedio a
equilibrare le tempistiche tra queste due componenti informatiche, i tempi di lavoro dei
2. nostri computer sarebbero molto maggiori. Ad esempio, anche soltanto per aprire un file di
testo salvato in precedenza, il nostro PC impiegherebbe un discreto numero di secondi,
anche decine, in base alle dimensioni del file stesso ed alla qualità dell’hard disk
disponibile.
Per ridurre il gap di prestazioni esistente tra CPU, RAM e hard disk, a partire dagli anni ’60
del secolo scorso si è dato il là allo sviluppo di dischi rigidi basati sullo stesso
funzionamento delle RAM. Ma, data la necessità di dover mantenere i dati anche senza che
l’hard disk fosse costantemente alimentato e l’eccessivo costo che avrebbe avuto produrre
memorie di massa con le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di una RAM, si è optato per
altre tecnologie produttive (in particolare la NAND flash), ottenendo comunque ottimi
risultati, con gli hard disk a stato solido (SSD, Solid State Disk). Con prestazioni molto
simili, se non identiche, alle RAM, questi hard disk riducono il tempo di accesso, lettura e
scrittura dei dati, incrementando in maniera sensibile la velocità e le prestazioni del personal
computer.
Tornando alle origini, le memorie RAM affondano le loro radici nella “preistoria”
dell’informatica. Come modulo organico di un computer vengono teorizzate da Von
Neumann nella seconda metà degli anni ’40 e la prima realizzazione pratica di questo
principio è rappresentata dal Tubo di Williams.
Si tratta di un tubo catodico che, sfruttando il fenomeno della persistenza luminosa,
permetteva di conservare elettricamente dati in formato binario (se, in un determinato punto
del tubo, il puntino luminoso era acceso il valore assunto era 1, altrimenti 0). Rispetto ai
predecessori, il tubo di Williams garantiva un netto miglioramento in fatto di velocità di
scrittura e lettura dati. Ogni tubo permetteva di archiviare tra i 512 e i 1024 bit di dati che,
con l’evolversi dell’informatica, divennero ben presto insufficienti per qualsiasi tipo di
operazione. Ben presto vennero rimpiazzati dalle memorie a nucleo magnetico che, a loro
volta, cedettero il passo alle memorie stampate su circuiti integrati a partire dalla metà degli
anni ’70. Nel 1968 Robert H. Dennard inventò le Dynamic Random Access Memory
(DRAM), che ben presto divennero lo standard a livello globale.
Le tipologie di RAM attualmente più diffuse sono due: le SRAM (Static Random Access
Memory), le DRAM. Le prime consentono teoricamente di mantenere il dato in memoria
per tempo infinito (o almeno per tutto il tempo in cui vengono alimentate elettricamente),
hanno bassi tempi di lettura e consumano di meno. Ma costano molto di più. Per questo
sono molto meno diffuse delle memorie DRAM, che hanno sì prestazioni inferiori ma costi
di produzione molto più bassi.
Ma anche queste ultime sono ormai sorpassate. Da anni, lo standard di riferimento è
rappresentato dalle memorie SDRAM (Synchronous Dynamic Random Access Memory),
che permettono di ridurre i tempi di lettura e scrittura dei dati richiesti dai normali moduli
3. DRAM. Questo perché le SDRAM lavorano sincronicamente con il processore del
computer. Cosa vuol dire? Che esiste un clock, una specie di metronomo interno, capace di
armonizzare i tempi di lettura e scrittura delle RAM rispetto al processore, rendendole fino a
tre volte più veloci rispetto alle normali DRAM. Le SDRAM hanno subito un’ulteriore
evoluzione nel corso degli anni, la cui ultima tappa è rappresentata dalle recentissime
memorie SDRAM DDR4 (dove DDR sta per double date rate), lanciate nel 2011 da
Samsung.