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  5|2013 ∙ 97
STRUMENTI
[SPECIALE – LE FORME DI GESTIONE
DEI SERVIZI]
Le aziende sociali a cui ci si riferi-
sce nel presente lavoro sono azien-
de di proprietà pubblica (Aziende
speciali anche consortili, Aziende
di servizi alla persona, consorzi in-
tercomunali, ecc.) che gestiscono
servizi sociali soprattutto in forma
associata intercomunale.
Il nuovo quadro normativo ed in
particolare il d.l. 95/2012 (Spen-
ding review) ha modificato le pro-
spettive delle aziende sociali obbli-
gandole alla soppressione e all’ac-
corpamento?
Qual è l’impatto della nuova nor-
mativa sulle forme gestionali dei
servizi sociali?
Queste note cercano di dare le ri-
sposte essenziali ai precedenti in-
terrogativi.
COSA PREVEDE
IL D.L. 95/2012
(SPENDING REVIEW)?
Il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95,
come modificato a seguito dell’ap-
provazione della legge di conver-
sione 7 agosto 2012, n. 135, all’art.
9 prevede che:
• Le Province e i Comuni soppri-
mono o accorpano o, in ogni ca-
so, assicurano la riduzione dei
relativi oneri finanziari in misu-
ra non inferiore al 20 per cen-
to, enti, agenzie e organismi co-
munque denominati e di qualsi-
asi natura giuridica che, alla da-
ta di entrata in vigore del pre-
sente decreto, esercitano, an-
che in via strumentale, funzio-
ni fondamentali di cui all’artico-
lo 117, comma secondo, lett.
p), della Costituzione o funzioni
amministrative spettanti a Co-
muni, Province, e città metropo-
litane ai sensi dell’art. 118, della
Costituzione;
• Le disposizioni di cui al punto
precedente non si applicano alle
aziende speciali, agli enti ed al-
le istituzioni che gestiscono ser-
vizi socio‐assistenziali, educati-
vi e culturali;
Sommario
u
97
Il futuro delle aziende sociali
dopo la Spending Review
Franco Pesaresi
u
105
La dimensione comunitaria
dei servizi sociali di interesse
generale
Alceste Santuari
u
113
Modelli di welfare: come
rilevarne la convenienza?
Elena Gamberini
IL FUTURO DELLE
AZIENDE SOCIALI DOPO
LA SPENDING REVIEW
Franco Pesaresi *
La gestione associata è in grado
di migliorare l’organizzazione e la qualità
dei servizi, ma la normativa più recente
non la sostiene adeguatamente
1] Direttore Azienda servizi alla persona “Ambito 9” di Jesi (AN); Presidente Anoss.
98 ∙ 5|2013   STRUMENTI
• In sede di Conferenza unifica-
ta si provvede mediante inte-
sa all’individuazione dei criteri e
della tempistica per l’attuazione
delle disposizioni. È fatto divie-
to agli enti locali di istituire enti,
agenzie e organismi comunque
denominati e di qualsiasi natu-
ra giuridica, che esercitino una o
più funzioni fondamentali e fun-
zioni amministrative loro confe-
rite ai sensi dell’art. 118, della
Costituzione.
Inoltre l’art. 19 del d.l. 95/2012 pre-
vede che i Comuni con popolazio-
ne fino a 5.000 abitanti esercitano
obbligatoriamente in forma asso-
ciata, mediante unione di Comu-
ni o convenzione, le funzioni fon-
damentali dei Comuni fra le qua-
li quella relativa alla progettazione
e gestione del sistema locale dei
servizi sociali ed erogazione delle
relative prestazioni ai cittadini.
Queste norme pongono una serie
di interrogativi che investono il pre-
sente e il futuro delle aziende so-
ciali e comunque di tutti quegli en-
ti che gestiscono in modo associa-
to i servizi sociali a livello interco-
munale. Vediamoli singolarmente.
LE AZIENDE SOCIALI
DEVONO ESSERE
SOPPRESSE O ACCORPATE?
Le aziende sociali (aziende servizi
alla persona (ASP), consorzi socio-
assistenziali, aziende speciali an-
che consortili ed altri enti ed azien-
de che gestiscono i servizi socio-
assistenziali) non sono sottoposte
all’obbligo di soppressione o ac-
corpamento previsto per gli altri
enti, agenzie e organismi comun-
que denominati e di qualsiasi na-
tura giuridica. Infatti, dopo il com-
ma 1 dell’art. 9 del d.l. 95/2012,
che stabilisce appunto tali obbli-
ghi la norma aggiunge al comma
1-bis, (inserito in sede di conver-
sione in legge del decreto) che “Le
disposizioni di cui al comma 1 non
si applicano alle aziende speciali,
agli enti ed alle istituzioni che ge-
stiscono servizi socio‐assistenzia-
li, educativi e culturali”.
Detta deroga rende esplicito il fa-
vore del legislatore verso enti, isti-
tuzioni e simili operanti in tali set-
tori di particolare impatto sociale.
Alla luce della normativa sopravve-
nuta, come ha precisato la Corte
dei conti del Piemonte con il pare-
re n. 10/2013, può sostenersi che
l’obbligo di soppressione dei con-
sorzi di funzione, sancito dall’art.
2, comma 186, l. n. 191/2009, non
sia più operante con riferimento ai
consorzi socio-assistenziali.
SI POSSONO ISTITUIRE
NUOVE AZIENDE SOCIALI?
Secondo il comma 6 dell’art. 9 del
d.l. 95/2012 è fatto divieto agli en-
ti locali di istituire enti, agenzie e
organismi comunque denominati
e di qualsiasi natura giuridica, che
esercitino una o più funzioni fon-
damentali. Tra le funzioni fonda-
mentali troviamo, ovviamente, an-
che la gestione dei servizi socia-
li. Sembrerebbe che non si possa-
no costituire nuove aziende socia-
li. Ma è davvero così?
Anche le stesse sezioni regionali
della Corte dei conti, nell’esprime-
re i loro pareri hanno opinioni non
sempre coincidenti.
La sezione Lombarda della Corte
dei conti (parere n. 514/2012) ri-
spondendo al Comune di Legna-
no che aveva richiesto un parere
avente ad oggetto l’istituzione di
un’azienda speciale consortile per
lo svolgimento di funzioni sociali,
assistenziali, educative e socio-sa-
nitarie per i Comuni di tutto l’Ambi-
to sociale ha precisato che il divie-
to “non può che comprendere an-
che le fondazioni ed in genere tut-
ti gli organismi strumentali1
creati
dall’ente locale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il
successivo parere n. 48/2013 del-
la Corte dei conti Sardegna che
fornendo un parere al Sindaco del
Comune di Settimo San Pietro in
merito alla possibilità di costituire
una azienda speciale per l’eserci-
zio delle funzioni sociali, assisten-
ziali, educative, ritiene che il divie-
to di cui all’art. 9, comma 6, del
d.l. 5 luglio 2012, n. 95, costitui-
sca preclusione assoluta alla co-
stituzione di un’azienda speciale
con oneri a carico del bilancio co-
munale, quand’anche per finalità
di assistenza sociale e più in ge-
nerale per servizi di assistenza al-
la persona.
Di parere diverso invece la Corte
dei conti del Lazio che con deli-
berazione n. 2/2013 rispondendo
al Comune di Frosinone ritiene di
evidenziare che l’azienda specia-
le, quale ente strumentale dell’en-
te locale, di cui all’art. 114 del Tuel,
non rientra, per espressa previsio-
ne normativa, al pari delle istituzio-
ni, tra “gli enti, agenzie e organismi
comunque denominati e di qualsi-
asi natura giuridica che eserciti-
no una o più funzioni fondamen-
tali e funzioni amministrative loro
conferite, ai sensi dell’art. 118 del-
la Costituzione”, di cui al richiama-
to art. 9, comma 6, del d.l. n. 95 del
2012. La Corte dei conti, sez. La-
zio, in sostanza ritiene che l’art. 9,
comma 6, del d.l. 5 luglio 2012, n.
95 non sia applicabile alle azien-
de speciali.
In realtà i vari pareri forniti dalle se-
zioni regionali della Corte dei con-
ti hanno omesso di sviluppare la
riflessione più importante relati-
va alla competenza legislativa de-
  5|2013 ∙ 99
STRUMENTI
finita dalla Costituzione sui servizi
socio-assistenziali e sulle relative
modalità di gestione. Decisiva da
questo punto di vista è la distin-
zione di legge fra i servizi pubbli-
ci di rilevanza economica e quelli
privi di rilevanza economica. L’opi-
nione di chi scrive è che per questi
ultimi, la competenza relativa alla
loro organizzazione e alle modalità
di gestione sia esclusivamente re-
gionale per cui non si applichereb-
bero le norme di cui all’art. 9 del
d.l. 95/2012.
Le aziende sociali gestiscono
servizi pubblici privi di rilevanza
economica?
Il d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
(convertito nella legge 24 dicem-
bre 2003, n. 350), ha distinto i ser-
vizi pubblici “a rilevanza economi-
ca” dai servizi pubblici “privi di ri-
levanza economica”.
Le due tipologie di servizi pubblici,
però, non sono state definite dal-
la legge. In assenza di una dispo-
sizione legislativa che ne fornisca
la definizione, al fine di delineare i
tratti distintivi delle due diverse ti-
pologie di servizi, occorre rifarsi al-
la giurisprudenza nazionale e co-
munitaria.
In particolare, la costante giuri-
sprudenza comunitaria, ha indica-
to che spetta al legislatore nazio-
nale valutare circostanze e con-
dizioni in cui il servizio viene pre-
stato, tenendo conto, in particola-
re, per i servizi pubblici privi di ri-
levanza economica, dell’assenza
di uno scopo precipuamente lu-
crativo, della mancata assunzione
dei rischi connessi a tale attività ed
anche all’eventuale finanziamen-
to pubblico dell’attività in questio-
ne (Corte di giustizia Ce, sentenza
22 maggio 2003, causa 18/2001;
Corte Cost. n. 272/2004) (Carosel-
li, 2005).
Pertanto, l’attività produttiva può
dirsi condotta con metodo econo-
mico quando le entrate percepite
per l’attività sono tese a remunera-
re i fattori produttivi utilizzati, con-
sentendo nel lungo periodo la co-
pertura dei costi con i ricavi. “Non
può invece” – afferma la Corte dei
conti in un parere reso nel 2009 –
“qualificarsi come “attività econo-
mica” la produzione, sia da parte
di un soggetto pubblico che di un
soggetto privato, di beni o servi-
zi erogati gratuitamente o a prezzo
politico, ciò che fa oggettivamente
escludere la possibilità di coprire i
costi con i ricavi” (Parere Corte dei
conti n. 195/2009).
Il discrimine tra il carattere della
rilevanza economica o meno del
servizio pubblico, dunque, non è
dato né dalla natura dell’attività né
dal suo oggetto né dall’essere un
servizio pubblico. Infatti il servizio
pubblico che ha carattere com-
merciale deve assicurare, ex art.
2082 del c.c., almeno l’equilibrio
fra costi e ricavi del servizio mentre
il servizio pubblico privo del requi-
sito dell’economicità, invece, de-
ve essere essenzialmente garanti-
to dalla fiscalità generale dell’en-
te e comunque dagli ordinari mez-
zi di bilancio.
“Gli effetti si dislocano in una du-
plice prospettiva: il primo è che ri-
solvendosi il servizio pubblico a
carattere commerciale in una atti-
vità economicamente rilevante per
il mercato della produzione e distri-
buzione di beni e servizi va assicu-
rato il rispetto dei principi comu-
nitari della concorrenza (al di fuori
delle ipotesi di autoproduzione del
servizio da parte dell’ente), men-
tre a dette regole non è assogget-
tato, rispondendo ad altre esigen-
ze, il servizio pubblico non econo-
mico” (Parere Corte dei conti n.
195/2009).
Le due discipline sono sempre sta-
te ispirate a due differenti fili con-
duttori; mentre per i servizi aven-
ti rilevanza economica l’elemen-
to ispiratore è costituito dalla tute-
la della concorrenza nell’erogazio-
ne, nel caso dei servizi privi di rile-
vanza economica le esigenze del-
la concorrenza appaiono sensibil-
mente temperate dall’esigenza di
dare massima espressione alla di-
mensione sociale, che in questi
servizi assume grande rilievo.
Pertanto, deve ritenersi di rilevan-
za economica il servizio che si in-
nesta in un settore per il quale esi-
ste, quantomeno in potenza, una
redditività, e quindi una competi-
zione sul mercato e ciò ancorché
siano previste forme di interven-
to finanziario pubblico dell’attivi-
tà in questione; può invece con-
siderarsi privo di rilevanza quello
che, per sua natura o per le mo-
dalità con cui viene svolta la rela-
tiva gestione, non dà luogo ad al-
cuna competizione e quindi appa-
re irrilevante ai fini della concor-
renza (cfr., in tal senso, T.A.R. Pu-
glia n. 1318/2006; T.A.R. Sarde-
gna 2 agosto 2005, n. 1729; T.A.R.
Liguria, sez. II, 28 aprile 2005, n.
527; T.A.R. Campania 7 novembre
2003, n. 13382; T.A.R. Umbria 24
ottobre 2003, n. 821).
Da quanto precede ne consegue
che le aziende sociali (e cioè le
aziende e gli enti di proprietà pub-
blica che gestiscono servizi so-
ciali), non avendo uno scopo lu-
crativo, erogando servizi gratuita-
mente o a prezzo politico, e con
ciò escludendo oggettivamente la
possibilità di coprire i costi con i ri-
cavi degli utenti, non assumendo il
rischio d’impresa in quanto il finan-
ziamento delle attività deriva dalla
contribuzione pubblica, gestisco-
no servizi pubblici privi di rilevan-
za economica.
100 ∙ 5|2013   STRUMENTI
La normativa applicabile ai ser-
vizi privi di rilevanza economica
Prima di essere abrogato dal-
la Corte Costituzionale, l’art. 113-
bis del d.lgs. n. 267/2000 preve-
deva la gestione dei servizi pubbli-
ci locali privi di rilevanza economi-
ca mediante affidamento diretto a
istituzioni, aziende speciali, anche
consortili, società a capitale inte-
ramente pubblico controllate dagli
enti locali, ovvero, in caso di mo-
deste dimensioni del servizio o ca-
ratteristiche che lo rendessero op-
portuno, in economia. L’art. 113-
bis costituiva, infatti, norma dero-
gatoria e di carattere eccezionale
consentendo di affidare in conces-
sione i servizi pubblici ad uno spe-
cifico soggetto economico (la so-
cietà a capitale interamente pub-
blico) senza dover ricorrere al-
le procedure di evidenza pubbli-
ca che, altrimenti, dovrebbero ne-
cessariamente connotare l’affida-
mento in concessione di un pub-
blico servizio, indipendentemen-
te anche dall’operatività o meno,
nel settore specifico di cui si tratta,
delle norme o dei principi di fonte
comunitaria.
Mentre nel caso dei servizi locali di
rilevanza economica l’art. 113 pre-
vede procedure diverse, l’art. 113-
bis, per l’appunto, per i servizi privi
di rilevanza economica disponeva
la gestione mediante affidamento
diretto senza gara.
La Corte Costituzionale, con sen-
tenza n. 272/2004, ha dichiarato
l’incostituzionalità del citato art.
113-bis del Tuel in materia di ser-
vizi privi di rilevanza economica,
in quanto, nella valutazione del-
la Corte, questi servizi non atten-
gono alla tutela della concorren-
za (come invece i servizi di rilevan-
za economica) e perciò la relativa
disciplina non spetta alla compe-
tenza statale ex art. 117 della Co-
stituzione ma alle regioni (Carosel-
li, 2005).
A tale proposito la Corte ha oppor-
tunamente richiamato il “Libro Ver-
de sui servizi di interesse genera-
le” del 21 maggio 2003, in cui la
Commissione Europea ha affer-
mato che le norme sulla concor-
renza si applicano soltanto alle at-
tività economiche, dopo aver pre-
cisato che la distinzione tra attivi-
tà economiche e non economiche
ha carattere dinamico ed evoluti-
vo, cosicché non sarebbe possibi-
le fissare a priori un elenco definiti-
vo dei servizi di interesse generale
di natura “non economica”.
Il d.l. 95/2012, dunque, non può in-
tervenire sulle modalità di gestione
dei servizi pubblici privi di rilevan-
za economica in quanto la compe-
tenza legislativa esclusiva è delle
Regioni.
A seguito dell’intervento della
Consulta sopra esposto, si è di
fatto determinato un “vuoto di di-
sciplina dei servizi privi di rilevan-
za economica, che non è stato col-
mato neppure dall’art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008, il quale si riferi-
sce espressamente ai servizi a ri-
levanza economica” (Parere Corte
dei conti 195/2009).
Adesso, quali sono le forme or-
ganizzative che gli enti locali pos-
sono utilizzare per gestire i ser-
vizi che non assumono rilevanza
economica? Il problema si pone,
in particolare, per quei servizi che
non sono disciplinati da leggi sta-
tali o regionali di settore. È chiaro,
infatti, che, in tal caso, continue-
ranno a trovare applicazione le di-
sposizioni di carattere speciale re-
golanti il servizio.
Qualora, invece, il servizio non ri-
sulti disciplinato da alcuna disci-
plina di settore, statale o regio-
nale, né la Regione abbia adotta-
to una disciplina generale in mate-
ria, “… ci sarà dunque spazio per
una specifica ed adeguata discipli-
na di fonte regionale ed anche lo-
cale” (Corte Costituzionale sent. n.
272/2004).
Quest’ultima precisazione indu-
ce a ritenere che, con l’abrogazio-
ne della norma statale di previsio-
ne delle forme tipiche di gestione
dei servizi pubblici non economi-
ci, in assenza di previsioni statali di
settore, ovvero generali o settoria-
li regionali, gli enti locali, nell’eser-
cizio del proprio potere organizza-
tivo, vedano ampliato il ventaglio
della scelta delle forme organiz-
zative. Eliminato, cioè, l’art. 113-
bis, con il quale il legislatore, indi-
cando le singole forme organizza-
tive consentite per la gestione dei
servizi non economici, precludeva
agli enti locali l’utilizzo di altri mo-
delli, si ritiene sia venuto meno ta-
le limite al potere organizzativo lo-
cale. Nel nuovo quadro normativo,
gli enti locali risultano quindi legit-
timati a ricorrere a più forme orga-
nizzative per la gestione dei servizi
privi di rilevanza economica, anche
se non previste direttamente dal
D.Lgs. 267/2000 (Caroselli, 2005).
In queste situazioni si evidenzia
dunque la possibilità per le singo-
le amministrazioni di individuare o
continuare a gestire i servizi privi
di rilievo economico, che il consi-
glio comunale intendesse assume-
re, a mezzo di società di capitali, di
aziende di servizi alla persona, di
aziende consortili, di consorzi, di
fondazioni o altro.
Il quadro può mutare qualora la
Regione – avendone facoltà per
espressa affermazione della Corte
Costituzionale – approvi, nell’am-
bito della competenza legislativa
residuale generale riconosciutale
dall’art. 117 Cost., una legge di ri-
ordino dell’intera materia dei ser-
vizi pubblici locali privi di rilevan-
  5|2013 ∙ 101
STRUMENTI
za economica (o anche una legge
settoriale per singoli servizi), defi-
nendo in tal modo gli strumenti a
disposizione dei Comuni, singoli o
associati, per la relativa gestione.
In definitiva, quindi, la dottrina e la
giurisprudenza sono concordi nel
riconoscere che, a seguito dell’in-
tervento della Corte Costituziona-
le, la disciplina dei servizi privi di
rilevanza economica e le forme di
gestione degli stessi non possa
essere contenuta in una legge del-
lo Stato ma essere lasciata all’au-
tonomia regionale (potestà legi-
slativa esclusiva regionale) e, per il
principio costituzionale del decen-
tramento amministrativo, a quella
degli enti territoriali minori.
Deve, dunque, ritenersi che, nel si-
lenzio della legge regionale, la ba-
se normativa di riferimento possa
oggi essere rinvenuta negli statuti
degli Enti locali, in virtù sia dell’e-
spresso riconoscimento, da parte
della sentenza della Corte Costitu-
zionale n. 272/2004 del ruolo del-
l’“autonomia locale” nella discipli-
na di tali servizi, sia, a maggior ra-
gione, della dignità conferita a ta-
li atti nel sistema delle fonti dalla
riforma del titolo V della Costitu-
zione.
Le Regioni si sono dotate di una
disciplina dei servizi pubblici pri-
vi di rilevanza economica?
È facoltà delle Regioni – prevista
esplicitamente dalla Corte Co-
stituzionale nella citata sentenza
272/2004 – approvare, nell’ambi-
to della competenza legislativa re-
siduale riconosciutale dall’art. 117
Cost., una normativa sulla modali-
tà di gestione associata dei servizi
sociali, definendo in tal modo tut-
ti gli strumenti a disposizione dei
Comuni per la relativa gestione,
anche alla luce della recente nor-
mativa che obbliga i Comuni con
meno di 5.000 abitanti alla gestio-
ne associata dei loro servizi.
In genere, le Regioni italiane non
hanno approvato una disciplina or-
ganica sui servizi pubblici privi di
rilevanza economica ma hanno,
spesso, una normativa settoriale
ed incompleta relativa alla materia.
Frequentemente si riscontrano, per
esempio, leggi settoriali sui servi-
zi sociali che (quasi incidentalmen-
te) prevedono la possibilità di usa-
re l’una o l’altra forma gestionale
associata. Prima dell’approvazio-
ne del d.l. 95/2012 (Spending re-
view) le Regioni Abruzzo, Basili-
cata, Calabria, Campania, Emilia-
Romagna, Friuli-V.G., Lazio, Ligu-
ria, Lombardia, Molise, Piemonte,
Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana,
Umbria hanno previsto generica-
mente una gestione associata a li-
vello di Ambito lasciando ai Comu-
ni la possibilità di scegliere quella
più adatta secondo il Tuel (d.lgs.
267/2000). Dopo l’approvazione
del d.l. 95/2012 due Regioni (Pie-
monte e Puglia) hanno già appro-
vato leggi sulla gestione associa-
ta con la stessa impostazione. Si
segnala che la Regione Piemonte
ha appena approvato la l.r. n.11 del
28 settembre 2012 “Disposizioni
organiche in materia di enti loca-
li” per recepire il d.l. 95/2012 con
particolare riferimento alle norme
sulla gestione associata dei pic-
coli Comuni. Ebbene, tale legge
prevede che la gestione associa-
ta dei piccoli Comuni si possa fare
con le convenzioni, con le unioni e
per i servizi socio-assistenziali con
i consorzi, che non sono previsti
esplicitamente dal d.l. 95/2012. In
Piemonte, infatti, c’è questa gran-
de tradizione dei consorzi e qua-
si tutti i Comuni hanno affidato la
gestione dei servizi sociali di Am-
bito ai consorzi. Ancor più recen-
temente la Regione Puglia con la
l.r. 7/2013 ha lasciato ampia liber-
tà di scelta circa la tipologia dello
strumento da utilizzare per la ge-
stione associata dei servizi sociali.
Il Governo non ha ovviamente im-
pugnato le leggi perché la compe-
tenza è della Regione.
Questi, allo stato attuale, rappre-
sentano gli unici punti di riferimen-
to normativo a cui guardare. Rima-
ne l’auspicio che le Regioni si do-
tino di un quadro normativo orga-
nico e completo sulle modalità e le
forme di gestione dei servizi pub-
blici privi di rilevanza economica
soprattutto nei casi di gestione as-
sociata intercomunale.
Le riflessioni logiche sviluppate,
l’interpretazione della normativa
nazionale e della sentenza della
Corte Costituzionale n. 272/2004,
le prime esperienze applicative
delle Regioni ci portano dunque ad
affermare che c’è ancora la pos-
sibilità di costituire nuove azien-
de sociali a condizione che venga
esplicitamente previsto con legge
dalle singole regioni e che le nuo-
ve aziende sociali si occupino del-
la gestione dei servizi privi di rile-
vanza economica (a cui si posso-
no aggiungere le farmacie).
LE AZIENDE SOCIALI
POSSONO SODDISFARE
L’OBBLIGO DI GESTIONE
ASSOCIATA PREVISTA
DAL D.L. 95/2012?
L’art. 19 del d.l. 95/2012 preve-
de che i Comuni con popolazio-
ne fino a 5.000 abitanti esercitano
obbligatoriamente in forma asso-
ciata, mediante unione di Comu-
ni o convenzione, le funzioni fon-
damentali dei Comuni fra le qua-
li quella relativa alla progettazione
e gestione del sistema locale dei
servizi sociali ed erogazione delle
relative prestazioni ai cittadini.
102 ∙ 5|2013   STRUMENTI
Le varie aziende sociali, ovviamen-
te attraverso la convenzione, pos-
sono soddisfare l’obbligo di ge-
stione associata prevista dal d.l.
95/2012 nel caso i Comuni affidi-
no loro la gestione della funzione
relativa ai servizi sociali?
Pietro Barrera nella “Guida norma-
tiva 2013 per l’amministrazione lo-
cale” (Maggioli editore) sottolinea
che negli ultimi due anni, relativa-
mente al ricorso alle convenzioni,
si sono chiariti tre aspetti:
a) che il legislatore non ha posto al-
cun vincolo per il numero delle
convenzioni che possono esse-
re stipulate dal singolo Comune;
b) che il legislatore non ha posto
alcun vincolo per la soglia de-
mografica da raggiungere in cia-
scuna convenzione;
c) che una convenzione può ri-
guardare l’esercizio associato
di più funzioni, ma anche di una
sola funzione, o di parti di essa:
uno o più servizi o specifiche at-
tività.
La convenzione – secondo Pietro
Barrera – che può essere stipula-
ta tanto dai Comuni quanto dalle
Unioni dei Comuni può essere pre-
ziosa per salvaguardare esperien-
ze associative che già esistono e
funzionano – su scala territoriale
maggiore delle Unioni di Comuni –
e che sarebbe sciocco distrugge-
re in nome di una nuova modellisti-
ca associativa: si pensi, per fare un
esempio, ai consorzi per la gestio-
ne dei servizi sociali o ad altro en-
te di gestione nell’ambito di un co-
mune Piano sociale di zona.
In base a questo autorevole pare-
re, le convenzioni per l’affidamen-
to della gestione della funzione dei
servizi sociali ad una azienda so-
ciale che opera a livello interco-
munale adempie all’obbligo di ge-
stione associata delle funzioni fon-
damentali richiesto ai Comuni con
popolazione fino a 5.000 abitan-
ti. Un punto di vista più restrittivo
sembra invece avere la Corte dei
conti della Lombardia.
Infatti, su un quesito simile si è
recentemente espressa la sezio-
ne Lombarda della Corte dei con-
ti con il parere n. 15/2013 e pre-
cisamente in ordine al quesito se
“Comuni con popolazione inferio-
re a 5.000 abitanti già associati tra-
mite convenzione o Unione possa-
no mantenere la loro partecipazio-
ne diretta in una azienda consortile
nominando un rappresentante co-
mune della forma associativa”. La
Corte dei conti della Lombardia ha
rilevato che i divieti derivanti dal-
le previsioni di legge sono com-
minati con esclusivo riferimento ai
Comuni, laddove a mente dell’art.
32 Tuel “Le unioni di Comuni so-
no enti locali costituiti da due o
più Comuni di norma contermini,
allo scopo di esercitare congiun-
tamente una pluralità di funzioni di
loro competenza”. “Ne consegue
che, una volta insorta per gem-
mazione l’unione dagli enti ade-
renti, la stessa rappresenta un en-
te novello e distinto e non la me-
ra sommatoria degli enti rappre-
sentati, con la conseguenza che
in mancanza di diversa previsione
di legge non potranno essere sic
et simpliciter estese le disposizio-
ni per le stesse vigenti. In secon-
do luogo, soccorre una considera-
zione derivante dall’interpretazio-
ne teleologica delle norme proibi-
tive, che hanno inteso precludere
la creazione di artificiose superfe-
tazioni (come le forme associati-
ve “gemelle” e le stabili organizza-
zioni di Comuni di minimali dimen-
sioni) e non già la ricerca dell’ot-
timale dimensione organizzativa.
Nel caso prospettato quest’ultimo
obiettivo, come quello di riduzio-
ne dei centri di spesa, risulta ef-
fettivamente conseguito in quanto
la partecipazione all’azienda con-
sortile è realizzata non già dal Co-
mune di limitate dimensioni, quan-
to dall’Unione autonomamente
partecipata, evidentemente dopo
aver ponderato l’insufficienza del-
la propria organizzazione a svol-
gere i servizi assunti. Resta ferma,
ovviamente, l’esigenza di valutare
l’effettiva razionalità della gestione
attuata in forma consortile” (Cor-
te dei conti Lombardia, parere n.
15/2013).
In sostanza la Corte dei conti lom-
barda afferma che non i singoli Co-
muni con meno di 5.000 abitanti ma
l’Unione dei Comuni, a cui gli stes-
si partecipano, può legittimamente
decidere di partecipare (o di man-
tenere la partecipazione) ad una
azienda consortile od altro ente in-
tercomunale per la gestione asso-
ciata dei servizi comunali.
Anche in questo caso le interpre-
tazioni normative si devono anco-
ra sedimentare e trovare una sin-
tesi ma si sta andando in una dire-
zione inequivoca che in un modo o
in un altro permette ai Comuni più
piccoli di gestire in modo associa-
to la funzione socio-assistenziale
anche con l’uso di aziende sociali.
SI POSSONO FARE
TRASFORMAZIONI DI ENTI/
AZIENDE PARTECIPATE
IN AZIENDE SPECIALI?
Dopo l’approvazione del d.l.
95/2012 si possono fare trasfor-
mazioni di enti/aziende partecipa-
te in aziende speciali o aziende so-
ciali di altro tipo?
Un parere su un quesito simile è
stato richiesto dal Sindaco di Fro-
sinone alla Sezione del Lazio del-
la Corte dei conti. In particolare, il
Sindaco ha chiesto un parere circa
la trasformazione della neo istituita
  5|2013 ∙ 103
STRUMENTI
“Servizi Strumentali s.r.l.” in azien-
da speciale per la gestione dei
servizi sociali, educativi e cultura-
li, ai sensi dell’art. 114 del d.lgs. n.
267/2000, visto il divieto di istituire
nuove aziende. In questo caso la
Corte dei conti del Lazio afferma
che la procedura è ammissibile ma
con alcune avvertenze. “È eviden-
te che una scelta di questo gene-
re necessita di una previa valuta-
zione sulla convenienza economi-
ca dell’operazione nonché una va-
lutazione prospettica”, sulla tenuta
e sulla salvaguardia degli equilibri
finanziari complessivi della gestio-
ne e dei vincoli di finanza pubbli-
ca. “La costituzione di una azien-
da speciale potrebbe, dunque, es-
sere ammessa nei limiti in cui il Co-
mune affidi a detta azienda la sola
gestione dei servizi sociali, educa-
tivi e culturali, quali appunto quel-
li relativi alla gestione degli asili ni-
do, all’assistenza sugli scuolabus
o quelli posti a supporto di servi-
zi culturali, quali le biblioteche ed
il museo comunale”.
Anche la Corte dei conti Veneto
(parere n. 124/2013) ammette la
trasformazione di una società in
una fondazione per la gestione di
una casa di riposo ma a condizio-
ne che l’operazione sia economi-
camente efficiente.
Non sembrano quindi esserci dub-
bi sulla possibilità di trasformare
un ente/azienda comunale in una
azienda sociale (la tipologia può
essere liberamente scelta dal Co-
mune) per la gestione dei servizi
sociali, educativi e culturali.
LA RAPPRESENTATIVITÀ
GEOPOLITICA NEGLI ENTI
GESTORI
C’è poi un altro recente problema,
largamente sottovalutato, che mi-
naccia lo sviluppo della gestione
associata dei servizi negli ambi-
ti territoriali sociali che è costituito
dalla rappresentatività geopolitica
degli organi di direzione politico-
amministrativa degli enti gestori.
L’art. 4 del d.l. 95/2012 prevede
consigli di amministrazione di en-
ti pubblici di 3 o 5 membri di cui 2
o almeno 3 dipendenti dei Comu-
ni associati.
A questo si aggiunge il recente
d.lgs. 39/2013 (contro la corruzio-
ne) che all’art. 11 recita: gli incari-
chi amministrativi di vertice di una
forma associativa tra comuni sono
incompatibili con la carica di com-
ponente della giunta o del consi-
glio del Comune o della forma as-
sociativa tra Comuni che ha con-
ferito l’incarico.
Queste due norme significano che
negli organi di direzione politico-
amministrativa come i Consigli di
Amministrazione degli enti prepo-
sti alla gestione associata:
1. non ci sarà più una rappresen-
tanza politica diretta negli orga-
ni di gestione perché non vi po-
tranno far parte i Sindaci, gli as-
sessori e i consiglieri comunali
dei Comuni associati;
2. non ci sarà più una rappresen-
tanza geopolitica adeguata per-
ché i rappresentanti “politici”
(esclusi i dipendenti comunali)
non potranno essere più di due
e questo rappresenta oggettiva-
mente un limite di rappresentati-
vità per degli organismi che do-
vrebbero gestire i servizi socio-
assistenziali dell’intero ambito
sociale che in genere è compo-
sto da 10-20 Comuni.
Queste norme mettono in forte di-
Bibliografia
Barrera P., Ai blocchi di partenza: con le funzioni associate, finalmente si fa
sul serio, in Pizzetti F., Rughetti A. (a cura di), Il nuovo sistema degli enti ter-
ritoriali dopo le recenti riforme, facente parte della Guida normativa 2013 per
l’amministrazione locale, 2013, Maggioli Editore.
Caroselli A., Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio
2004, n. 272 sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubbli-
ci locali, pubblicato nel sito web http://www.dirittodeiservizipubblici.it/articoli/
articolo.asp?sezione=dettarticolo&id=86, 17 febbraio 2005.
Corte Costituzionale, sentenza 27 luglio 2004, n. 272.
Corte Costituzionale, sentenza 17 luglio 2013, n. 236.
Corte dei conti – sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere n.
195/2009 in merito all’ambito di applicazione dell’art. 23-bis del d.l. 25 giu-
gno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
Corte dei conti – sezione regionale di controllo per il Piemonte, delibera n.
10/2013/SRCPIE/PAR del 22 gennaio 2013 sui consorzi socio-assisten-
ziali.
Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, come modificato a seguito dell’appro-
vazione della legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135 “Disposizioni ur-
genti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cit-
tadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del setto-
re bancario”.
Regione Piemonte, l.r. 28 settembre 2012, n. 11 “Disposizioni organiche in
materia di enti locali”.
Regione Puglia, l.r. 6 febbraio 2013, n. 7 “Norme urgenti in materia socio-as-
sistenziale”.
Unione Europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 maggio
2003, n. COM (2003) 270, 2.3.
104 ∙ 5|2013   STRUMENTI
scussione lo sviluppo delle gestio-
ni associate con enti o aziende.
La conseguenza potrebbe esse-
re il venir meno dell’interesse dei
Comuni verso la gestione associa-
ta se questa viene percepita come
espropriante del potere dei Comu-
ni che non trovano una adeguata
rappresentanza all’interno degli or-
gani decisori. Quale interesse do-
vrebbero avere i Comuni verso la
gestione associata dei servizi se gli
stessi Comuni sentissero che que-
sti servizi non sono più gestiti dai
loro rappresentanti.
Queste norme vanno cambiate.
Le Regioni devono verificare, con
grande attenzione ed impegno, se
la potestà legislativa esclusiva in
materia di assistenza e dei relati-
vi strumenti di gestione, permet-
te loro di regolare in maniera di-
versa questi aspetti. In caso posi-
tivo, come peraltro sembrerebbe,
le Regioni dovrebbero prevede-
re con legge regionale la possibili-
tà che gli stessi amministratori dei
Comuni possano auspicabilmente
far parte degli organi decisori de-
gli enti preposti alla gestione asso-
ciata dei servizi socio-assistenziali
in numero adeguato (5) in modo da
rappresentare in modo congruo il
territorio. Anche su questo si gioca
il futuro della gestione associata.
PER CONCLUDERE
La gestione associata dei servizi
socio-assistenziali, soprattutto nei
territori composti da Comuni pic-
coli e medi, è in grado di migliorare
significativamente l’organizzazione
e la qualità dei servizi. La gestio-
ne associata, infatti, è in grado di:
• garantire una distribuzione uni-
forme dei servizi in tutto il terri-
torio;
• garantire un’unica gestione del
piano sociale di zona;
• sviluppare economie di scala;
• innalzare la qualità organizzativa
dei servizi.
Sebbene la gestione associata dei
servizi socio-assistenziali anche a
livello di Ambito sociale, oltre che
un obbligo per i Comuni con me-
no di 5.000 abitanti, rappresenti un
valore in sé per le potenzialità che
esprime, non viene adeguatamen-
te sostenuta dalla più recente nor-
mativa. Anzi, i dubbi, gli interroga-
tivi e i vincoli della recente norma-
tiva rischiano di mettere a serio ri-
schio un processo che si è avvia-
to in tutta Italia con buoni risultati.
La responsabilità è di una legisla-
zione incompleta e convulsa che
diventa facile terreno di interpreta-
zioni anche contrastanti che met-
tono in difficoltà gli amministrato-
ri pubblici. Spetta al legislatore re-
gionale, utilizzando la competen-
za legislativa esclusiva in materia
di organizzazione sociale e di ge-
stione dei servizi privi di rilevanza
economica, provvedere a risolvere
i dubbi e a promuovere senza in-
certezze la gestione associata.
1] E le Aziende di servizi alla persona (ASP) che
non sono enti strumentali degli enti locali ma En-
ti pubblici non economici rientrano all’interno del
divieto?
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IL FUTURO DELLE AZIENDE SOCIALI PUBBLICHE DOPO LA SPENDING REVIEW

  • 1.   5|2013 ∙ 97 STRUMENTI [SPECIALE – LE FORME DI GESTIONE DEI SERVIZI] Le aziende sociali a cui ci si riferi- sce nel presente lavoro sono azien- de di proprietà pubblica (Aziende speciali anche consortili, Aziende di servizi alla persona, consorzi in- tercomunali, ecc.) che gestiscono servizi sociali soprattutto in forma associata intercomunale. Il nuovo quadro normativo ed in particolare il d.l. 95/2012 (Spen- ding review) ha modificato le pro- spettive delle aziende sociali obbli- gandole alla soppressione e all’ac- corpamento? Qual è l’impatto della nuova nor- mativa sulle forme gestionali dei servizi sociali? Queste note cercano di dare le ri- sposte essenziali ai precedenti in- terrogativi. COSA PREVEDE IL D.L. 95/2012 (SPENDING REVIEW)? Il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, come modificato a seguito dell’ap- provazione della legge di conver- sione 7 agosto 2012, n. 135, all’art. 9 prevede che: • Le Province e i Comuni soppri- mono o accorpano o, in ogni ca- so, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misu- ra non inferiore al 20 per cen- to, enti, agenzie e organismi co- munque denominati e di qualsi- asi natura giuridica che, alla da- ta di entrata in vigore del pre- sente decreto, esercitano, an- che in via strumentale, funzio- ni fondamentali di cui all’artico- lo 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a Co- muni, Province, e città metropo- litane ai sensi dell’art. 118, della Costituzione; • Le disposizioni di cui al punto precedente non si applicano alle aziende speciali, agli enti ed al- le istituzioni che gestiscono ser- vizi socio‐assistenziali, educati- vi e culturali; Sommario u 97 Il futuro delle aziende sociali dopo la Spending Review Franco Pesaresi u 105 La dimensione comunitaria dei servizi sociali di interesse generale Alceste Santuari u 113 Modelli di welfare: come rilevarne la convenienza? Elena Gamberini IL FUTURO DELLE AZIENDE SOCIALI DOPO LA SPENDING REVIEW Franco Pesaresi * La gestione associata è in grado di migliorare l’organizzazione e la qualità dei servizi, ma la normativa più recente non la sostiene adeguatamente 1] Direttore Azienda servizi alla persona “Ambito 9” di Jesi (AN); Presidente Anoss.
  • 2. 98 ∙ 5|2013   STRUMENTI • In sede di Conferenza unifica- ta si provvede mediante inte- sa all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione delle disposizioni. È fatto divie- to agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natu- ra giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e fun- zioni amministrative loro confe- rite ai sensi dell’art. 118, della Costituzione. Inoltre l’art. 19 del d.l. 95/2012 pre- vede che i Comuni con popolazio- ne fino a 5.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma asso- ciata, mediante unione di Comu- ni o convenzione, le funzioni fon- damentali dei Comuni fra le qua- li quella relativa alla progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini. Queste norme pongono una serie di interrogativi che investono il pre- sente e il futuro delle aziende so- ciali e comunque di tutti quegli en- ti che gestiscono in modo associa- to i servizi sociali a livello interco- munale. Vediamoli singolarmente. LE AZIENDE SOCIALI DEVONO ESSERE SOPPRESSE O ACCORPATE? Le aziende sociali (aziende servizi alla persona (ASP), consorzi socio- assistenziali, aziende speciali an- che consortili ed altri enti ed azien- de che gestiscono i servizi socio- assistenziali) non sono sottoposte all’obbligo di soppressione o ac- corpamento previsto per gli altri enti, agenzie e organismi comun- que denominati e di qualsiasi na- tura giuridica. Infatti, dopo il com- ma 1 dell’art. 9 del d.l. 95/2012, che stabilisce appunto tali obbli- ghi la norma aggiunge al comma 1-bis, (inserito in sede di conver- sione in legge del decreto) che “Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che ge- stiscono servizi socio‐assistenzia- li, educativi e culturali”. Detta deroga rende esplicito il fa- vore del legislatore verso enti, isti- tuzioni e simili operanti in tali set- tori di particolare impatto sociale. Alla luce della normativa sopravve- nuta, come ha precisato la Corte dei conti del Piemonte con il pare- re n. 10/2013, può sostenersi che l’obbligo di soppressione dei con- sorzi di funzione, sancito dall’art. 2, comma 186, l. n. 191/2009, non sia più operante con riferimento ai consorzi socio-assistenziali. SI POSSONO ISTITUIRE NUOVE AZIENDE SOCIALI? Secondo il comma 6 dell’art. 9 del d.l. 95/2012 è fatto divieto agli en- ti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fon- damentali. Tra le funzioni fonda- mentali troviamo, ovviamente, an- che la gestione dei servizi socia- li. Sembrerebbe che non si possa- no costituire nuove aziende socia- li. Ma è davvero così? Anche le stesse sezioni regionali della Corte dei conti, nell’esprime- re i loro pareri hanno opinioni non sempre coincidenti. La sezione Lombarda della Corte dei conti (parere n. 514/2012) ri- spondendo al Comune di Legna- no che aveva richiesto un parere avente ad oggetto l’istituzione di un’azienda speciale consortile per lo svolgimento di funzioni sociali, assistenziali, educative e socio-sa- nitarie per i Comuni di tutto l’Ambi- to sociale ha precisato che il divie- to “non può che comprendere an- che le fondazioni ed in genere tut- ti gli organismi strumentali1 creati dall’ente locale”. Sulla stessa lunghezza d’onda il successivo parere n. 48/2013 del- la Corte dei conti Sardegna che fornendo un parere al Sindaco del Comune di Settimo San Pietro in merito alla possibilità di costituire una azienda speciale per l’eserci- zio delle funzioni sociali, assisten- ziali, educative, ritiene che il divie- to di cui all’art. 9, comma 6, del d.l. 5 luglio 2012, n. 95, costitui- sca preclusione assoluta alla co- stituzione di un’azienda speciale con oneri a carico del bilancio co- munale, quand’anche per finalità di assistenza sociale e più in ge- nerale per servizi di assistenza al- la persona. Di parere diverso invece la Corte dei conti del Lazio che con deli- berazione n. 2/2013 rispondendo al Comune di Frosinone ritiene di evidenziare che l’azienda specia- le, quale ente strumentale dell’en- te locale, di cui all’art. 114 del Tuel, non rientra, per espressa previsio- ne normativa, al pari delle istituzio- ni, tra “gli enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsi- asi natura giuridica che eserciti- no una o più funzioni fondamen- tali e funzioni amministrative loro conferite, ai sensi dell’art. 118 del- la Costituzione”, di cui al richiama- to art. 9, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012. La Corte dei conti, sez. La- zio, in sostanza ritiene che l’art. 9, comma 6, del d.l. 5 luglio 2012, n. 95 non sia applicabile alle azien- de speciali. In realtà i vari pareri forniti dalle se- zioni regionali della Corte dei con- ti hanno omesso di sviluppare la riflessione più importante relati- va alla competenza legislativa de-
  • 3.   5|2013 ∙ 99 STRUMENTI finita dalla Costituzione sui servizi socio-assistenziali e sulle relative modalità di gestione. Decisiva da questo punto di vista è la distin- zione di legge fra i servizi pubbli- ci di rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica. L’opi- nione di chi scrive è che per questi ultimi, la competenza relativa alla loro organizzazione e alle modalità di gestione sia esclusivamente re- gionale per cui non si applichereb- bero le norme di cui all’art. 9 del d.l. 95/2012. Le aziende sociali gestiscono servizi pubblici privi di rilevanza economica? Il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, (convertito nella legge 24 dicem- bre 2003, n. 350), ha distinto i ser- vizi pubblici “a rilevanza economi- ca” dai servizi pubblici “privi di ri- levanza economica”. Le due tipologie di servizi pubblici, però, non sono state definite dal- la legge. In assenza di una dispo- sizione legislativa che ne fornisca la definizione, al fine di delineare i tratti distintivi delle due diverse ti- pologie di servizi, occorre rifarsi al- la giurisprudenza nazionale e co- munitaria. In particolare, la costante giuri- sprudenza comunitaria, ha indica- to che spetta al legislatore nazio- nale valutare circostanze e con- dizioni in cui il servizio viene pre- stato, tenendo conto, in particola- re, per i servizi pubblici privi di ri- levanza economica, dell’assenza di uno scopo precipuamente lu- crativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche all’eventuale finanziamen- to pubblico dell’attività in questio- ne (Corte di giustizia Ce, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001; Corte Cost. n. 272/2004) (Carosel- li, 2005). Pertanto, l’attività produttiva può dirsi condotta con metodo econo- mico quando le entrate percepite per l’attività sono tese a remunera- re i fattori produttivi utilizzati, con- sentendo nel lungo periodo la co- pertura dei costi con i ricavi. “Non può invece” – afferma la Corte dei conti in un parere reso nel 2009 – “qualificarsi come “attività econo- mica” la produzione, sia da parte di un soggetto pubblico che di un soggetto privato, di beni o servi- zi erogati gratuitamente o a prezzo politico, ciò che fa oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi” (Parere Corte dei conti n. 195/2009). Il discrimine tra il carattere della rilevanza economica o meno del servizio pubblico, dunque, non è dato né dalla natura dell’attività né dal suo oggetto né dall’essere un servizio pubblico. Infatti il servizio pubblico che ha carattere com- merciale deve assicurare, ex art. 2082 del c.c., almeno l’equilibrio fra costi e ricavi del servizio mentre il servizio pubblico privo del requi- sito dell’economicità, invece, de- ve essere essenzialmente garanti- to dalla fiscalità generale dell’en- te e comunque dagli ordinari mez- zi di bilancio. “Gli effetti si dislocano in una du- plice prospettiva: il primo è che ri- solvendosi il servizio pubblico a carattere commerciale in una atti- vità economicamente rilevante per il mercato della produzione e distri- buzione di beni e servizi va assicu- rato il rispetto dei principi comu- nitari della concorrenza (al di fuori delle ipotesi di autoproduzione del servizio da parte dell’ente), men- tre a dette regole non è assogget- tato, rispondendo ad altre esigen- ze, il servizio pubblico non econo- mico” (Parere Corte dei conti n. 195/2009). Le due discipline sono sempre sta- te ispirate a due differenti fili con- duttori; mentre per i servizi aven- ti rilevanza economica l’elemen- to ispiratore è costituito dalla tute- la della concorrenza nell’erogazio- ne, nel caso dei servizi privi di rile- vanza economica le esigenze del- la concorrenza appaiono sensibil- mente temperate dall’esigenza di dare massima espressione alla di- mensione sociale, che in questi servizi assume grande rilievo. Pertanto, deve ritenersi di rilevan- za economica il servizio che si in- nesta in un settore per il quale esi- ste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competi- zione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di interven- to finanziario pubblico dell’attivi- tà in questione; può invece con- siderarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per le mo- dalità con cui viene svolta la rela- tiva gestione, non dà luogo ad al- cuna competizione e quindi appa- re irrilevante ai fini della concor- renza (cfr., in tal senso, T.A.R. Pu- glia n. 1318/2006; T.A.R. Sarde- gna 2 agosto 2005, n. 1729; T.A.R. Liguria, sez. II, 28 aprile 2005, n. 527; T.A.R. Campania 7 novembre 2003, n. 13382; T.A.R. Umbria 24 ottobre 2003, n. 821). Da quanto precede ne consegue che le aziende sociali (e cioè le aziende e gli enti di proprietà pub- blica che gestiscono servizi so- ciali), non avendo uno scopo lu- crativo, erogando servizi gratuita- mente o a prezzo politico, e con ciò escludendo oggettivamente la possibilità di coprire i costi con i ri- cavi degli utenti, non assumendo il rischio d’impresa in quanto il finan- ziamento delle attività deriva dalla contribuzione pubblica, gestisco- no servizi pubblici privi di rilevan- za economica.
  • 4. 100 ∙ 5|2013   STRUMENTI La normativa applicabile ai ser- vizi privi di rilevanza economica Prima di essere abrogato dal- la Corte Costituzionale, l’art. 113- bis del d.lgs. n. 267/2000 preve- deva la gestione dei servizi pubbli- ci locali privi di rilevanza economi- ca mediante affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali, anche consortili, società a capitale inte- ramente pubblico controllate dagli enti locali, ovvero, in caso di mo- deste dimensioni del servizio o ca- ratteristiche che lo rendessero op- portuno, in economia. L’art. 113- bis costituiva, infatti, norma dero- gatoria e di carattere eccezionale consentendo di affidare in conces- sione i servizi pubblici ad uno spe- cifico soggetto economico (la so- cietà a capitale interamente pub- blico) senza dover ricorrere al- le procedure di evidenza pubbli- ca che, altrimenti, dovrebbero ne- cessariamente connotare l’affida- mento in concessione di un pub- blico servizio, indipendentemen- te anche dall’operatività o meno, nel settore specifico di cui si tratta, delle norme o dei principi di fonte comunitaria. Mentre nel caso dei servizi locali di rilevanza economica l’art. 113 pre- vede procedure diverse, l’art. 113- bis, per l’appunto, per i servizi privi di rilevanza economica disponeva la gestione mediante affidamento diretto senza gara. La Corte Costituzionale, con sen- tenza n. 272/2004, ha dichiarato l’incostituzionalità del citato art. 113-bis del Tuel in materia di ser- vizi privi di rilevanza economica, in quanto, nella valutazione del- la Corte, questi servizi non atten- gono alla tutela della concorren- za (come invece i servizi di rilevan- za economica) e perciò la relativa disciplina non spetta alla compe- tenza statale ex art. 117 della Co- stituzione ma alle regioni (Carosel- li, 2005). A tale proposito la Corte ha oppor- tunamente richiamato il “Libro Ver- de sui servizi di interesse genera- le” del 21 maggio 2003, in cui la Commissione Europea ha affer- mato che le norme sulla concor- renza si applicano soltanto alle at- tività economiche, dopo aver pre- cisato che la distinzione tra attivi- tà economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evoluti- vo, cosicché non sarebbe possibi- le fissare a priori un elenco definiti- vo dei servizi di interesse generale di natura “non economica”. Il d.l. 95/2012, dunque, non può in- tervenire sulle modalità di gestione dei servizi pubblici privi di rilevan- za economica in quanto la compe- tenza legislativa esclusiva è delle Regioni. A seguito dell’intervento della Consulta sopra esposto, si è di fatto determinato un “vuoto di di- sciplina dei servizi privi di rilevan- za economica, che non è stato col- mato neppure dall’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, il quale si riferi- sce espressamente ai servizi a ri- levanza economica” (Parere Corte dei conti 195/2009). Adesso, quali sono le forme or- ganizzative che gli enti locali pos- sono utilizzare per gestire i ser- vizi che non assumono rilevanza economica? Il problema si pone, in particolare, per quei servizi che non sono disciplinati da leggi sta- tali o regionali di settore. È chiaro, infatti, che, in tal caso, continue- ranno a trovare applicazione le di- sposizioni di carattere speciale re- golanti il servizio. Qualora, invece, il servizio non ri- sulti disciplinato da alcuna disci- plina di settore, statale o regio- nale, né la Regione abbia adotta- to una disciplina generale in mate- ria, “… ci sarà dunque spazio per una specifica ed adeguata discipli- na di fonte regionale ed anche lo- cale” (Corte Costituzionale sent. n. 272/2004). Quest’ultima precisazione indu- ce a ritenere che, con l’abrogazio- ne della norma statale di previsio- ne delle forme tipiche di gestione dei servizi pubblici non economi- ci, in assenza di previsioni statali di settore, ovvero generali o settoria- li regionali, gli enti locali, nell’eser- cizio del proprio potere organizza- tivo, vedano ampliato il ventaglio della scelta delle forme organiz- zative. Eliminato, cioè, l’art. 113- bis, con il quale il legislatore, indi- cando le singole forme organizza- tive consentite per la gestione dei servizi non economici, precludeva agli enti locali l’utilizzo di altri mo- delli, si ritiene sia venuto meno ta- le limite al potere organizzativo lo- cale. Nel nuovo quadro normativo, gli enti locali risultano quindi legit- timati a ricorrere a più forme orga- nizzative per la gestione dei servizi privi di rilevanza economica, anche se non previste direttamente dal D.Lgs. 267/2000 (Caroselli, 2005). In queste situazioni si evidenzia dunque la possibilità per le singo- le amministrazioni di individuare o continuare a gestire i servizi privi di rilievo economico, che il consi- glio comunale intendesse assume- re, a mezzo di società di capitali, di aziende di servizi alla persona, di aziende consortili, di consorzi, di fondazioni o altro. Il quadro può mutare qualora la Regione – avendone facoltà per espressa affermazione della Corte Costituzionale – approvi, nell’am- bito della competenza legislativa residuale generale riconosciutale dall’art. 117 Cost., una legge di ri- ordino dell’intera materia dei ser- vizi pubblici locali privi di rilevan-
  • 5.   5|2013 ∙ 101 STRUMENTI za economica (o anche una legge settoriale per singoli servizi), defi- nendo in tal modo gli strumenti a disposizione dei Comuni, singoli o associati, per la relativa gestione. In definitiva, quindi, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel riconoscere che, a seguito dell’in- tervento della Corte Costituziona- le, la disciplina dei servizi privi di rilevanza economica e le forme di gestione degli stessi non possa essere contenuta in una legge del- lo Stato ma essere lasciata all’au- tonomia regionale (potestà legi- slativa esclusiva regionale) e, per il principio costituzionale del decen- tramento amministrativo, a quella degli enti territoriali minori. Deve, dunque, ritenersi che, nel si- lenzio della legge regionale, la ba- se normativa di riferimento possa oggi essere rinvenuta negli statuti degli Enti locali, in virtù sia dell’e- spresso riconoscimento, da parte della sentenza della Corte Costitu- zionale n. 272/2004 del ruolo del- l’“autonomia locale” nella discipli- na di tali servizi, sia, a maggior ra- gione, della dignità conferita a ta- li atti nel sistema delle fonti dalla riforma del titolo V della Costitu- zione. Le Regioni si sono dotate di una disciplina dei servizi pubblici pri- vi di rilevanza economica? È facoltà delle Regioni – prevista esplicitamente dalla Corte Co- stituzionale nella citata sentenza 272/2004 – approvare, nell’ambi- to della competenza legislativa re- siduale riconosciutale dall’art. 117 Cost., una normativa sulla modali- tà di gestione associata dei servizi sociali, definendo in tal modo tut- ti gli strumenti a disposizione dei Comuni per la relativa gestione, anche alla luce della recente nor- mativa che obbliga i Comuni con meno di 5.000 abitanti alla gestio- ne associata dei loro servizi. In genere, le Regioni italiane non hanno approvato una disciplina or- ganica sui servizi pubblici privi di rilevanza economica ma hanno, spesso, una normativa settoriale ed incompleta relativa alla materia. Frequentemente si riscontrano, per esempio, leggi settoriali sui servi- zi sociali che (quasi incidentalmen- te) prevedono la possibilità di usa- re l’una o l’altra forma gestionale associata. Prima dell’approvazio- ne del d.l. 95/2012 (Spending re- view) le Regioni Abruzzo, Basili- cata, Calabria, Campania, Emilia- Romagna, Friuli-V.G., Lazio, Ligu- ria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria hanno previsto generica- mente una gestione associata a li- vello di Ambito lasciando ai Comu- ni la possibilità di scegliere quella più adatta secondo il Tuel (d.lgs. 267/2000). Dopo l’approvazione del d.l. 95/2012 due Regioni (Pie- monte e Puglia) hanno già appro- vato leggi sulla gestione associa- ta con la stessa impostazione. Si segnala che la Regione Piemonte ha appena approvato la l.r. n.11 del 28 settembre 2012 “Disposizioni organiche in materia di enti loca- li” per recepire il d.l. 95/2012 con particolare riferimento alle norme sulla gestione associata dei pic- coli Comuni. Ebbene, tale legge prevede che la gestione associa- ta dei piccoli Comuni si possa fare con le convenzioni, con le unioni e per i servizi socio-assistenziali con i consorzi, che non sono previsti esplicitamente dal d.l. 95/2012. In Piemonte, infatti, c’è questa gran- de tradizione dei consorzi e qua- si tutti i Comuni hanno affidato la gestione dei servizi sociali di Am- bito ai consorzi. Ancor più recen- temente la Regione Puglia con la l.r. 7/2013 ha lasciato ampia liber- tà di scelta circa la tipologia dello strumento da utilizzare per la ge- stione associata dei servizi sociali. Il Governo non ha ovviamente im- pugnato le leggi perché la compe- tenza è della Regione. Questi, allo stato attuale, rappre- sentano gli unici punti di riferimen- to normativo a cui guardare. Rima- ne l’auspicio che le Regioni si do- tino di un quadro normativo orga- nico e completo sulle modalità e le forme di gestione dei servizi pub- blici privi di rilevanza economica soprattutto nei casi di gestione as- sociata intercomunale. Le riflessioni logiche sviluppate, l’interpretazione della normativa nazionale e della sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2004, le prime esperienze applicative delle Regioni ci portano dunque ad affermare che c’è ancora la pos- sibilità di costituire nuove azien- de sociali a condizione che venga esplicitamente previsto con legge dalle singole regioni e che le nuo- ve aziende sociali si occupino del- la gestione dei servizi privi di rile- vanza economica (a cui si posso- no aggiungere le farmacie). LE AZIENDE SOCIALI POSSONO SODDISFARE L’OBBLIGO DI GESTIONE ASSOCIATA PREVISTA DAL D.L. 95/2012? L’art. 19 del d.l. 95/2012 preve- de che i Comuni con popolazio- ne fino a 5.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma asso- ciata, mediante unione di Comu- ni o convenzione, le funzioni fon- damentali dei Comuni fra le qua- li quella relativa alla progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini.
  • 6. 102 ∙ 5|2013   STRUMENTI Le varie aziende sociali, ovviamen- te attraverso la convenzione, pos- sono soddisfare l’obbligo di ge- stione associata prevista dal d.l. 95/2012 nel caso i Comuni affidi- no loro la gestione della funzione relativa ai servizi sociali? Pietro Barrera nella “Guida norma- tiva 2013 per l’amministrazione lo- cale” (Maggioli editore) sottolinea che negli ultimi due anni, relativa- mente al ricorso alle convenzioni, si sono chiariti tre aspetti: a) che il legislatore non ha posto al- cun vincolo per il numero delle convenzioni che possono esse- re stipulate dal singolo Comune; b) che il legislatore non ha posto alcun vincolo per la soglia de- mografica da raggiungere in cia- scuna convenzione; c) che una convenzione può ri- guardare l’esercizio associato di più funzioni, ma anche di una sola funzione, o di parti di essa: uno o più servizi o specifiche at- tività. La convenzione – secondo Pietro Barrera – che può essere stipula- ta tanto dai Comuni quanto dalle Unioni dei Comuni può essere pre- ziosa per salvaguardare esperien- ze associative che già esistono e funzionano – su scala territoriale maggiore delle Unioni di Comuni – e che sarebbe sciocco distrugge- re in nome di una nuova modellisti- ca associativa: si pensi, per fare un esempio, ai consorzi per la gestio- ne dei servizi sociali o ad altro en- te di gestione nell’ambito di un co- mune Piano sociale di zona. In base a questo autorevole pare- re, le convenzioni per l’affidamen- to della gestione della funzione dei servizi sociali ad una azienda so- ciale che opera a livello interco- munale adempie all’obbligo di ge- stione associata delle funzioni fon- damentali richiesto ai Comuni con popolazione fino a 5.000 abitan- ti. Un punto di vista più restrittivo sembra invece avere la Corte dei conti della Lombardia. Infatti, su un quesito simile si è recentemente espressa la sezio- ne Lombarda della Corte dei con- ti con il parere n. 15/2013 e pre- cisamente in ordine al quesito se “Comuni con popolazione inferio- re a 5.000 abitanti già associati tra- mite convenzione o Unione possa- no mantenere la loro partecipazio- ne diretta in una azienda consortile nominando un rappresentante co- mune della forma associativa”. La Corte dei conti della Lombardia ha rilevato che i divieti derivanti dal- le previsioni di legge sono com- minati con esclusivo riferimento ai Comuni, laddove a mente dell’art. 32 Tuel “Le unioni di Comuni so- no enti locali costituiti da due o più Comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiun- tamente una pluralità di funzioni di loro competenza”. “Ne consegue che, una volta insorta per gem- mazione l’unione dagli enti ade- renti, la stessa rappresenta un en- te novello e distinto e non la me- ra sommatoria degli enti rappre- sentati, con la conseguenza che in mancanza di diversa previsione di legge non potranno essere sic et simpliciter estese le disposizio- ni per le stesse vigenti. In secon- do luogo, soccorre una considera- zione derivante dall’interpretazio- ne teleologica delle norme proibi- tive, che hanno inteso precludere la creazione di artificiose superfe- tazioni (come le forme associati- ve “gemelle” e le stabili organizza- zioni di Comuni di minimali dimen- sioni) e non già la ricerca dell’ot- timale dimensione organizzativa. Nel caso prospettato quest’ultimo obiettivo, come quello di riduzio- ne dei centri di spesa, risulta ef- fettivamente conseguito in quanto la partecipazione all’azienda con- sortile è realizzata non già dal Co- mune di limitate dimensioni, quan- to dall’Unione autonomamente partecipata, evidentemente dopo aver ponderato l’insufficienza del- la propria organizzazione a svol- gere i servizi assunti. Resta ferma, ovviamente, l’esigenza di valutare l’effettiva razionalità della gestione attuata in forma consortile” (Cor- te dei conti Lombardia, parere n. 15/2013). In sostanza la Corte dei conti lom- barda afferma che non i singoli Co- muni con meno di 5.000 abitanti ma l’Unione dei Comuni, a cui gli stes- si partecipano, può legittimamente decidere di partecipare (o di man- tenere la partecipazione) ad una azienda consortile od altro ente in- tercomunale per la gestione asso- ciata dei servizi comunali. Anche in questo caso le interpre- tazioni normative si devono anco- ra sedimentare e trovare una sin- tesi ma si sta andando in una dire- zione inequivoca che in un modo o in un altro permette ai Comuni più piccoli di gestire in modo associa- to la funzione socio-assistenziale anche con l’uso di aziende sociali. SI POSSONO FARE TRASFORMAZIONI DI ENTI/ AZIENDE PARTECIPATE IN AZIENDE SPECIALI? Dopo l’approvazione del d.l. 95/2012 si possono fare trasfor- mazioni di enti/aziende partecipa- te in aziende speciali o aziende so- ciali di altro tipo? Un parere su un quesito simile è stato richiesto dal Sindaco di Fro- sinone alla Sezione del Lazio del- la Corte dei conti. In particolare, il Sindaco ha chiesto un parere circa la trasformazione della neo istituita
  • 7.   5|2013 ∙ 103 STRUMENTI “Servizi Strumentali s.r.l.” in azien- da speciale per la gestione dei servizi sociali, educativi e cultura- li, ai sensi dell’art. 114 del d.lgs. n. 267/2000, visto il divieto di istituire nuove aziende. In questo caso la Corte dei conti del Lazio afferma che la procedura è ammissibile ma con alcune avvertenze. “È eviden- te che una scelta di questo gene- re necessita di una previa valuta- zione sulla convenienza economi- ca dell’operazione nonché una va- lutazione prospettica”, sulla tenuta e sulla salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi della gestio- ne e dei vincoli di finanza pubbli- ca. “La costituzione di una azien- da speciale potrebbe, dunque, es- sere ammessa nei limiti in cui il Co- mune affidi a detta azienda la sola gestione dei servizi sociali, educa- tivi e culturali, quali appunto quel- li relativi alla gestione degli asili ni- do, all’assistenza sugli scuolabus o quelli posti a supporto di servi- zi culturali, quali le biblioteche ed il museo comunale”. Anche la Corte dei conti Veneto (parere n. 124/2013) ammette la trasformazione di una società in una fondazione per la gestione di una casa di riposo ma a condizio- ne che l’operazione sia economi- camente efficiente. Non sembrano quindi esserci dub- bi sulla possibilità di trasformare un ente/azienda comunale in una azienda sociale (la tipologia può essere liberamente scelta dal Co- mune) per la gestione dei servizi sociali, educativi e culturali. LA RAPPRESENTATIVITÀ GEOPOLITICA NEGLI ENTI GESTORI C’è poi un altro recente problema, largamente sottovalutato, che mi- naccia lo sviluppo della gestione associata dei servizi negli ambi- ti territoriali sociali che è costituito dalla rappresentatività geopolitica degli organi di direzione politico- amministrativa degli enti gestori. L’art. 4 del d.l. 95/2012 prevede consigli di amministrazione di en- ti pubblici di 3 o 5 membri di cui 2 o almeno 3 dipendenti dei Comu- ni associati. A questo si aggiunge il recente d.lgs. 39/2013 (contro la corruzio- ne) che all’art. 11 recita: gli incari- chi amministrativi di vertice di una forma associativa tra comuni sono incompatibili con la carica di com- ponente della giunta o del consi- glio del Comune o della forma as- sociativa tra Comuni che ha con- ferito l’incarico. Queste due norme significano che negli organi di direzione politico- amministrativa come i Consigli di Amministrazione degli enti prepo- sti alla gestione associata: 1. non ci sarà più una rappresen- tanza politica diretta negli orga- ni di gestione perché non vi po- tranno far parte i Sindaci, gli as- sessori e i consiglieri comunali dei Comuni associati; 2. non ci sarà più una rappresen- tanza geopolitica adeguata per- ché i rappresentanti “politici” (esclusi i dipendenti comunali) non potranno essere più di due e questo rappresenta oggettiva- mente un limite di rappresentati- vità per degli organismi che do- vrebbero gestire i servizi socio- assistenziali dell’intero ambito sociale che in genere è compo- sto da 10-20 Comuni. Queste norme mettono in forte di- Bibliografia Barrera P., Ai blocchi di partenza: con le funzioni associate, finalmente si fa sul serio, in Pizzetti F., Rughetti A. (a cura di), Il nuovo sistema degli enti ter- ritoriali dopo le recenti riforme, facente parte della Guida normativa 2013 per l’amministrazione locale, 2013, Maggioli Editore. Caroselli A., Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 2004, n. 272 sul sistema normativo in materia di gestione di servizi pubbli- ci locali, pubblicato nel sito web http://www.dirittodeiservizipubblici.it/articoli/ articolo.asp?sezione=dettarticolo&id=86, 17 febbraio 2005. Corte Costituzionale, sentenza 27 luglio 2004, n. 272. Corte Costituzionale, sentenza 17 luglio 2013, n. 236. Corte dei conti – sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere n. 195/2009 in merito all’ambito di applicazione dell’art. 23-bis del d.l. 25 giu- gno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133. Corte dei conti – sezione regionale di controllo per il Piemonte, delibera n. 10/2013/SRCPIE/PAR del 22 gennaio 2013 sui consorzi socio-assisten- ziali. Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, come modificato a seguito dell’appro- vazione della legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135 “Disposizioni ur- genti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cit- tadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del setto- re bancario”. Regione Piemonte, l.r. 28 settembre 2012, n. 11 “Disposizioni organiche in materia di enti locali”. Regione Puglia, l.r. 6 febbraio 2013, n. 7 “Norme urgenti in materia socio-as- sistenziale”. Unione Europea, Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 maggio 2003, n. COM (2003) 270, 2.3.
  • 8. 104 ∙ 5|2013   STRUMENTI scussione lo sviluppo delle gestio- ni associate con enti o aziende. La conseguenza potrebbe esse- re il venir meno dell’interesse dei Comuni verso la gestione associa- ta se questa viene percepita come espropriante del potere dei Comu- ni che non trovano una adeguata rappresentanza all’interno degli or- gani decisori. Quale interesse do- vrebbero avere i Comuni verso la gestione associata dei servizi se gli stessi Comuni sentissero che que- sti servizi non sono più gestiti dai loro rappresentanti. Queste norme vanno cambiate. Le Regioni devono verificare, con grande attenzione ed impegno, se la potestà legislativa esclusiva in materia di assistenza e dei relati- vi strumenti di gestione, permet- te loro di regolare in maniera di- versa questi aspetti. In caso posi- tivo, come peraltro sembrerebbe, le Regioni dovrebbero prevede- re con legge regionale la possibili- tà che gli stessi amministratori dei Comuni possano auspicabilmente far parte degli organi decisori de- gli enti preposti alla gestione asso- ciata dei servizi socio-assistenziali in numero adeguato (5) in modo da rappresentare in modo congruo il territorio. Anche su questo si gioca il futuro della gestione associata. PER CONCLUDERE La gestione associata dei servizi socio-assistenziali, soprattutto nei territori composti da Comuni pic- coli e medi, è in grado di migliorare significativamente l’organizzazione e la qualità dei servizi. La gestio- ne associata, infatti, è in grado di: • garantire una distribuzione uni- forme dei servizi in tutto il terri- torio; • garantire un’unica gestione del piano sociale di zona; • sviluppare economie di scala; • innalzare la qualità organizzativa dei servizi. Sebbene la gestione associata dei servizi socio-assistenziali anche a livello di Ambito sociale, oltre che un obbligo per i Comuni con me- no di 5.000 abitanti, rappresenti un valore in sé per le potenzialità che esprime, non viene adeguatamen- te sostenuta dalla più recente nor- mativa. Anzi, i dubbi, gli interroga- tivi e i vincoli della recente norma- tiva rischiano di mettere a serio ri- schio un processo che si è avvia- to in tutta Italia con buoni risultati. La responsabilità è di una legisla- zione incompleta e convulsa che diventa facile terreno di interpreta- zioni anche contrastanti che met- tono in difficoltà gli amministrato- ri pubblici. Spetta al legislatore re- gionale, utilizzando la competen- za legislativa esclusiva in materia di organizzazione sociale e di ge- stione dei servizi privi di rilevanza economica, provvedere a risolvere i dubbi e a promuovere senza in- certezze la gestione associata. 1] E le Aziende di servizi alla persona (ASP) che non sono enti strumentali degli enti locali ma En- ti pubblici non economici rientrano all’interno del divieto? LETTURE...