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Denis Kulandaisamy


                          MARIA, LA DONNA DEL DISTACCO1


        La Bibbia, in quanto storia di salvezza, rivelazione del mistero di Cristo, porta un
inconfondibile sigillo mariano. Per cui dobbiamo ricorrere alla Parola di Dio, se
vogliamo conoscere meglio Maria. Maria, fin dal momento dell’Annunciazione, fino
alla sua partecipazione alla passione di Cristo, è rimasta fedele alla volontà di Dio.
Rinunciando alla mentalità del mondo e al desiderio del peccato, si rende donna del
distacco, «abbandonando» ogni attaccamento terreno. In questo articolo, ci
soffermeremo su alcuni brani del Nuovo Testamento che possono aiutarci a
comprendere questa caratteristica importante della persona di Maria.


«La povera» del Signore


        L’assoluta povertà di Maria è un fatto innegabile che viene descritto in modo
esplicito nella Bibbia. Maria è la «ānāw» di Yahweh. La sua fede le permette di essere
definita come la povera del Signore (cfr. Lc 2, 22-24.27.39.41). Questa sua scelta si
vede nel suo servizio alla causa del regno, per cui ella si offre «totalmente come la
Serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo».2 Maria sceglie di vivere la
sua povertà per obbedienza alla volontà di Dio per co-operare al suo piano salvifico.
Lumen Gentium n. 55 dice: «Essa primeggia tra gli umili e poveri del Signore, i quali
con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza». Maria faceva parte degli
«anāwîm» di Dio, i veri «poveri di Yahweh». Diversi salmi descrivono la realtà degli
“«anāwîm» di Dio. (Cfr. Salmi 9, 10, 11, 12, 34, 37). Nel Magnificat, Maria stessa si
colloca fra gli umili, oggetto della compiacenza di Dio, che «ha guardato l’umiltà della
sua serva» e che «ha innalzato gli umili» (Lc 1,48).
        Nel dialogo con l’Angelo, nell’Annunciazione, nel momento stesso in cui accetta
la sublime missione della Maternità divina, la Vergine Maria dice il suo Fiat come una
povera «ancella del Signore» ( Lc 1,38). Maria fu povera dal punto di vista sociale ed
1
 E’ stato pubblicato in: Santa Maria “Regina Martyrum” XIV (2011), No. 1, pp. 3-6.
2
 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 56, in Enchridion Vaticanum (=EV), vol. 1, Dehoniane, Bologna 1989,
pp. 241-242.
economico, vivendo in un paesello minuscolo e di nessun conto «da Nazaret può mai
venire qualcosa di buono?» (Gv 1, 46), nascosta e ignorata da tutti.
        Lo stesso Concilio Vaticano II rileva che, per la sua povertà, Maria dovette fare
al Tempio l’offerta dei poveri.3 Ma questa povertà esteriore era segno e figura della
grande povertà interiore che fece di lei, per antonomasia, «l’umile vergine», modello e
maestra della povertà di spirito beatificata dal Signore Gesù nel discorso della
montagna: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 11,29).


La «nullità» (ταπεíνωσις) della serva
        Sappiamo bene che lo scopo del Magnificat è quello di far conoscere le opere di
Dio e il suo modo di agire. Maria canta «Dio ha guardato la nullità (ταπεíνωσις) della
sua serva» (Lc 1,48). Alcuni biblisti traducono la parola ταπεíνωσις come «umiltà».
Invece Lutero la traduce «nullità», perché il prototipo si trova nella creazione: Dio crea
dal nulla. Lutero scrive nel suo commento: «Poiché, come al principio della creazione,
egli creò il mondo dal nulla, per cui è detto creatore e onnipotente, così continua a
lavorare in tal modo, immutabilmente e compie ancora tutte le sue opere fino alla fine
del mondo cosicché trae da ciò che è nulla, piccolo, disprezzato, misero, morte, qualche
cosa di prezioso, onorevole, beato e vivente».4
        Come Dio ha creato all’origine dal nulla, così continua ad operare. La nullità
della serva del Signore è da mettere in rilievo quando si parla del Magnificat.
Dobbiamo capire questa «nullità» (nichtickeit) in Maria come l’unico atteggiamento
conveniente davanti a Dio. Maria diventa esempio consapevole e consenziente del
distacco da ogni tipo di potere umano per affidarsi con una fede totale a Dio, senza
alcuna nascosta finalità egoistica. Maria ci insegna a vivere come credenti umili, poveri
e fiduciosi.


Maria, Madre dei dolori
        Maria è una donna che ha conosciuto la povertà e la sofferenza, la fuga e l’esilio.
Questa sua scelta di accettare le sofferenze per uno scopo preciso e nobile, cioè quello

3
  Cfr. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 57, in EV, vol. 1, cit., p. 243.
4
  Si trova il testo originale del Commento al Magnificat in D. Martin Luthers Werke, Weimar 1897, vol. 7,
547,30-31. Valdo Vinay ha curato una traduzione italiana in: Martin Lutero, Scritti religiosi (Classici delle
religioni, sezione V), Torino 1967, 431-512.
di servire Dio nella sua opera di salvezza, è l’indizio chiarissimo della sua rinuncia a
una mentalità di comodo ed egoistica. Ora vediamo in breve cosa dicono i Vangeli.
        Secondo i Vangeli, Maria inizia la sua passione già al momento della maternità.
Matteo, nel suo vangelo dell’infanzia, descrive come Maria e Giuseppe siano stati
costretti perfino a fuggire in un paese straniero. Il bambino viene dovunque respinto.
Gesù è il Messia rifiutato e perseguitato fin dalla nascita. Maria, insieme a Giuseppe,
condivide questa passione.
        Luca descrivendo la presentazione del Signore nel tempio di Gerusalemme,
riporta la profezia di Simeone: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in
Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a
te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). Questa spada è il simbolo del cammino
doloroso di Maria.5 Questo cammino di fede di Maria è ben presto segnata dalla fuga in
Egitto (cfr. Mt 2,13-14). Maria affronta un’altra grande sofferenza quando il suo figlio è
presentato nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,43-45). Un altro successivo grande dolore
Maria lo sperimenta quando si dice di Gesù «È fuori di sé» (Mc 3,20). La passione di
Maria ha il suo compimento con la passione di Gesù sul Calvario. Ci soffermiamo sul
dolore di Maria ai piedi della Croce, perché è in questa scena che l’evangelista
Giovanni descrive in modo drammatico la sofferenza che Gesù e la sua madre
subiscono con piena volontà del cuore.


Maria ai piedi della Croce (Gv 19, 25-27)
        Sul Calvario con la partecipazione al sacrificio redentore del Figlio, Salvatore
universale, l’inserimento salvifico di Maria nella comunità umana raggiunge il culmine.
«…la Beata Vergine… serbò la sua unione col Figlio sino alla Croce, dove, non senza
un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25) soffrendo profondamente col suo
Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente
consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso
Gesù morente in Croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco
il tuo Figlio (cfr. Gv 19, 26-27)».6


5
  Per un ulteriore approfondimento su questo tema, cfr. A. SERRA, «Una spada trafiggerà la tua vita». Quale
spada? Bibbia e tradizione giudaica-cristiana a confronto, Servitium-Marianum, Palazzago-Roma 2003.
6
  CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 58, in EV, vol. 1, cit., 243-245.
Maria «per disegno di Dio» soffre profondamente col Figlio, è associata con
animo materno al sacrificio di Lui ed è amorosamente consenziente all’immolazione
della vittima. Quindi anch’ella coopera, in piena dipendenza da Gesù Cristo, unico
mediatore principale e indipendente (cfr. 1 Tim 2,5 ss) alla salvezza della comunità
umana.7 La Vergine ai piedi della croce racconta all’umanità l’accoglienza del Silenzio
di Dio nella totale e assoluta povertà, nel adesione da qualunque sicurezza umana, nella
«kenosi» piena e totale accanto al Cristo.


L’obbedienza di Cristo (Fil 2,5-11) e di Maria (Lc 2,34-35)
        «Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza        con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6-7). Leggendo questo brano
alla luce di Lc 2,34-35, possiamo notare un nesso strettissimo tra l’obbedienza di Cristo
e quella di Maria. Come Maria si fa la serva del Signore nel momento
dell’Annunciazione (Lc 2,34-35), così anche Cristo Gesù, dallo splendore della divinità
che gli appartiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della «morte di
croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena
partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte.
        F. Manzi scrive, «… conformità della dimensione obbedienziale del “servizio” di
Maria rispetto a quella di Gesù Cristo si dà quattro livelli: la decisione di fare la volontà
divina; l’eccedente esaudimento divino delle attese del servo; l’itinerario di
apprendimento della virtù della obbedienza; e, infine, l’esito glorioso a cui conduce
l’obbedienza di Dio».8
        Questo spogliarsi di Gesù Cristo è l’espressione della sua obbedienza al Dio
Padre. R. Penna scrive, « Il verbo greco che sta all’origine della traduzione «spogliò»,
ekénosen, dovrebbe essere tradotto letteralmente «svuotò» se stesso, a indicare almeno




7
 Ibid.
8
 F. MANZI, La “Forma” obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di Maria. Confronto esegetico-Teologico di
Fil 2,7 con Lc 1,48, Estratto della Tesi di Laurea in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia, Marianum,
Roma 1999, p. 92.
apparentemente una rinuncia di ciò che era prima, tanto che alcune versioni esagerando
lo rendono addirittura con «annientò» ».9
           Lo stesso avviene anche nella vita di Maria nel momento dell’annunciazione.
Con l’espressione «Ecco la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto» (Lc
1,38), Maria si riferisce al compito che Dio le ha assegnato. La Sacra Scrittura definisce
«servo del Signore» un uomo al quale il Signore ha rivolto una chiamata particolare e a
cui ha affidato un servizio decisivo per il suo popolo. Solo Maria si chiama «la serva
del Signore». Maria è chiamata a un servizio del tutto singolare: quello di essere la
madre di colui che è il Figlio di Dio. Maria si fa la serva del Signore, obbedendo alla
sua volontà. Maria diventa una donna di grande esemplarità per sottomettersi a Dio e
per co-operare al suo piano di salvezza.
           Maria è al «centro della Chiesa in cammino». Ella racconta a tutti noi
l’accoglienza del Silenzio di Dio nella totale e assoluta povertà. Distaccandosi da
qualsiasi tipo di sicurezza umana, si rimette pienamente nelle mani del Signore con una
grande fiducia. Come Gesù Cristo, anche Maria è chiamata ad “abbandonare” ogni
legame terreno, assumendo la povertà assoluta e il distacco dal mondo per diventare
partecipe del progetto di salvezza-redenzione. Guardando a Maria, anche noi possiamo
imparare a rinunciare a tutto per vivere in umiltà e semplicità.


                                                                                   DENIS KULANDAISAMY
                                                                             Facoltà Teologica Marianum,
                                                                                     Viale Trenta Aprile, 6
                                                                                       00153 Roma, Italia
                                                                                    denisosm@yahoo.com


Questo articolo è stato pubblicato in:             Santa Maria “Regina Martyrum” XIV (2011), No. 1, pp. 3-6.




9
    R. PENNA, Lettera ai Filippesi. Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, p. 49.

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Maria, la donna del distacco

  • 1. Denis Kulandaisamy MARIA, LA DONNA DEL DISTACCO1 La Bibbia, in quanto storia di salvezza, rivelazione del mistero di Cristo, porta un inconfondibile sigillo mariano. Per cui dobbiamo ricorrere alla Parola di Dio, se vogliamo conoscere meglio Maria. Maria, fin dal momento dell’Annunciazione, fino alla sua partecipazione alla passione di Cristo, è rimasta fedele alla volontà di Dio. Rinunciando alla mentalità del mondo e al desiderio del peccato, si rende donna del distacco, «abbandonando» ogni attaccamento terreno. In questo articolo, ci soffermeremo su alcuni brani del Nuovo Testamento che possono aiutarci a comprendere questa caratteristica importante della persona di Maria. «La povera» del Signore L’assoluta povertà di Maria è un fatto innegabile che viene descritto in modo esplicito nella Bibbia. Maria è la «ānāw» di Yahweh. La sua fede le permette di essere definita come la povera del Signore (cfr. Lc 2, 22-24.27.39.41). Questa sua scelta si vede nel suo servizio alla causa del regno, per cui ella si offre «totalmente come la Serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo».2 Maria sceglie di vivere la sua povertà per obbedienza alla volontà di Dio per co-operare al suo piano salvifico. Lumen Gentium n. 55 dice: «Essa primeggia tra gli umili e poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza». Maria faceva parte degli «anāwîm» di Dio, i veri «poveri di Yahweh». Diversi salmi descrivono la realtà degli “«anāwîm» di Dio. (Cfr. Salmi 9, 10, 11, 12, 34, 37). Nel Magnificat, Maria stessa si colloca fra gli umili, oggetto della compiacenza di Dio, che «ha guardato l’umiltà della sua serva» e che «ha innalzato gli umili» (Lc 1,48). Nel dialogo con l’Angelo, nell’Annunciazione, nel momento stesso in cui accetta la sublime missione della Maternità divina, la Vergine Maria dice il suo Fiat come una povera «ancella del Signore» ( Lc 1,38). Maria fu povera dal punto di vista sociale ed 1 E’ stato pubblicato in: Santa Maria “Regina Martyrum” XIV (2011), No. 1, pp. 3-6. 2 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 56, in Enchridion Vaticanum (=EV), vol. 1, Dehoniane, Bologna 1989, pp. 241-242.
  • 2. economico, vivendo in un paesello minuscolo e di nessun conto «da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1, 46), nascosta e ignorata da tutti. Lo stesso Concilio Vaticano II rileva che, per la sua povertà, Maria dovette fare al Tempio l’offerta dei poveri.3 Ma questa povertà esteriore era segno e figura della grande povertà interiore che fece di lei, per antonomasia, «l’umile vergine», modello e maestra della povertà di spirito beatificata dal Signore Gesù nel discorso della montagna: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (Mt 11,29). La «nullità» (ταπεíνωσις) della serva Sappiamo bene che lo scopo del Magnificat è quello di far conoscere le opere di Dio e il suo modo di agire. Maria canta «Dio ha guardato la nullità (ταπεíνωσις) della sua serva» (Lc 1,48). Alcuni biblisti traducono la parola ταπεíνωσις come «umiltà». Invece Lutero la traduce «nullità», perché il prototipo si trova nella creazione: Dio crea dal nulla. Lutero scrive nel suo commento: «Poiché, come al principio della creazione, egli creò il mondo dal nulla, per cui è detto creatore e onnipotente, così continua a lavorare in tal modo, immutabilmente e compie ancora tutte le sue opere fino alla fine del mondo cosicché trae da ciò che è nulla, piccolo, disprezzato, misero, morte, qualche cosa di prezioso, onorevole, beato e vivente».4 Come Dio ha creato all’origine dal nulla, così continua ad operare. La nullità della serva del Signore è da mettere in rilievo quando si parla del Magnificat. Dobbiamo capire questa «nullità» (nichtickeit) in Maria come l’unico atteggiamento conveniente davanti a Dio. Maria diventa esempio consapevole e consenziente del distacco da ogni tipo di potere umano per affidarsi con una fede totale a Dio, senza alcuna nascosta finalità egoistica. Maria ci insegna a vivere come credenti umili, poveri e fiduciosi. Maria, Madre dei dolori Maria è una donna che ha conosciuto la povertà e la sofferenza, la fuga e l’esilio. Questa sua scelta di accettare le sofferenze per uno scopo preciso e nobile, cioè quello 3 Cfr. CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 57, in EV, vol. 1, cit., p. 243. 4 Si trova il testo originale del Commento al Magnificat in D. Martin Luthers Werke, Weimar 1897, vol. 7, 547,30-31. Valdo Vinay ha curato una traduzione italiana in: Martin Lutero, Scritti religiosi (Classici delle religioni, sezione V), Torino 1967, 431-512.
  • 3. di servire Dio nella sua opera di salvezza, è l’indizio chiarissimo della sua rinuncia a una mentalità di comodo ed egoistica. Ora vediamo in breve cosa dicono i Vangeli. Secondo i Vangeli, Maria inizia la sua passione già al momento della maternità. Matteo, nel suo vangelo dell’infanzia, descrive come Maria e Giuseppe siano stati costretti perfino a fuggire in un paese straniero. Il bambino viene dovunque respinto. Gesù è il Messia rifiutato e perseguitato fin dalla nascita. Maria, insieme a Giuseppe, condivide questa passione. Luca descrivendo la presentazione del Signore nel tempio di Gerusalemme, riporta la profezia di Simeone: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). Questa spada è il simbolo del cammino doloroso di Maria.5 Questo cammino di fede di Maria è ben presto segnata dalla fuga in Egitto (cfr. Mt 2,13-14). Maria affronta un’altra grande sofferenza quando il suo figlio è presentato nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,43-45). Un altro successivo grande dolore Maria lo sperimenta quando si dice di Gesù «È fuori di sé» (Mc 3,20). La passione di Maria ha il suo compimento con la passione di Gesù sul Calvario. Ci soffermiamo sul dolore di Maria ai piedi della Croce, perché è in questa scena che l’evangelista Giovanni descrive in modo drammatico la sofferenza che Gesù e la sua madre subiscono con piena volontà del cuore. Maria ai piedi della Croce (Gv 19, 25-27) Sul Calvario con la partecipazione al sacrificio redentore del Figlio, Salvatore universale, l’inserimento salvifico di Maria nella comunità umana raggiunge il culmine. «…la Beata Vergine… serbò la sua unione col Figlio sino alla Croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso Gesù morente in Croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il tuo Figlio (cfr. Gv 19, 26-27)».6 5 Per un ulteriore approfondimento su questo tema, cfr. A. SERRA, «Una spada trafiggerà la tua vita». Quale spada? Bibbia e tradizione giudaica-cristiana a confronto, Servitium-Marianum, Palazzago-Roma 2003. 6 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium 58, in EV, vol. 1, cit., 243-245.
  • 4. Maria «per disegno di Dio» soffre profondamente col Figlio, è associata con animo materno al sacrificio di Lui ed è amorosamente consenziente all’immolazione della vittima. Quindi anch’ella coopera, in piena dipendenza da Gesù Cristo, unico mediatore principale e indipendente (cfr. 1 Tim 2,5 ss) alla salvezza della comunità umana.7 La Vergine ai piedi della croce racconta all’umanità l’accoglienza del Silenzio di Dio nella totale e assoluta povertà, nel adesione da qualunque sicurezza umana, nella «kenosi» piena e totale accanto al Cristo. L’obbedienza di Cristo (Fil 2,5-11) e di Maria (Lc 2,34-35) «Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6-7). Leggendo questo brano alla luce di Lc 2,34-35, possiamo notare un nesso strettissimo tra l’obbedienza di Cristo e quella di Maria. Come Maria si fa la serva del Signore nel momento dell’Annunciazione (Lc 2,34-35), così anche Cristo Gesù, dallo splendore della divinità che gli appartiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della «morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte. F. Manzi scrive, «… conformità della dimensione obbedienziale del “servizio” di Maria rispetto a quella di Gesù Cristo si dà quattro livelli: la decisione di fare la volontà divina; l’eccedente esaudimento divino delle attese del servo; l’itinerario di apprendimento della virtù della obbedienza; e, infine, l’esito glorioso a cui conduce l’obbedienza di Dio».8 Questo spogliarsi di Gesù Cristo è l’espressione della sua obbedienza al Dio Padre. R. Penna scrive, « Il verbo greco che sta all’origine della traduzione «spogliò», ekénosen, dovrebbe essere tradotto letteralmente «svuotò» se stesso, a indicare almeno 7 Ibid. 8 F. MANZI, La “Forma” obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di Maria. Confronto esegetico-Teologico di Fil 2,7 con Lc 1,48, Estratto della Tesi di Laurea in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia, Marianum, Roma 1999, p. 92.
  • 5. apparentemente una rinuncia di ciò che era prima, tanto che alcune versioni esagerando lo rendono addirittura con «annientò» ».9 Lo stesso avviene anche nella vita di Maria nel momento dell’annunciazione. Con l’espressione «Ecco la serva del Signore, avvenga di me ciò che tu hai detto» (Lc 1,38), Maria si riferisce al compito che Dio le ha assegnato. La Sacra Scrittura definisce «servo del Signore» un uomo al quale il Signore ha rivolto una chiamata particolare e a cui ha affidato un servizio decisivo per il suo popolo. Solo Maria si chiama «la serva del Signore». Maria è chiamata a un servizio del tutto singolare: quello di essere la madre di colui che è il Figlio di Dio. Maria si fa la serva del Signore, obbedendo alla sua volontà. Maria diventa una donna di grande esemplarità per sottomettersi a Dio e per co-operare al suo piano di salvezza. Maria è al «centro della Chiesa in cammino». Ella racconta a tutti noi l’accoglienza del Silenzio di Dio nella totale e assoluta povertà. Distaccandosi da qualsiasi tipo di sicurezza umana, si rimette pienamente nelle mani del Signore con una grande fiducia. Come Gesù Cristo, anche Maria è chiamata ad “abbandonare” ogni legame terreno, assumendo la povertà assoluta e il distacco dal mondo per diventare partecipe del progetto di salvezza-redenzione. Guardando a Maria, anche noi possiamo imparare a rinunciare a tutto per vivere in umiltà e semplicità. DENIS KULANDAISAMY Facoltà Teologica Marianum, Viale Trenta Aprile, 6 00153 Roma, Italia denisosm@yahoo.com Questo articolo è stato pubblicato in: Santa Maria “Regina Martyrum” XIV (2011), No. 1, pp. 3-6. 9 R. PENNA, Lettera ai Filippesi. Lettera a Filemone, Città Nuova, Roma 2002, p. 49.