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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA 
SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E 
INTERPRETAZIONE 
Corso di studio in lingue, mercati e culture dell’Asia 
LE TRIBÙ MEDIORIENTALI 
E IL CASO DELLE FATA PACHISTANE 
PROVA FINALE IN CULTURA E LETTERATURA ARABA 
Relatore: Presentata da: 
Prof. GIOVANNI DOMENICO BENENATI DANIELA BACCARANI 
Correlatore: 
Prof. GIULIO SORAVIA 
Sessione: III 
Anno accademico: 2012-2013
2 
Alla mia famiglia, 
al nonno Vincenzo.
3
4 
Sommario 
Introduzione ................................................................................................................................ 6 
Quale Medioriente? .................................................................................................................... 9 
Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente ............................................................ 12 
Antropologia e orientalismo ..................................................................................................... 16 
Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente .......................................................... 17 
L’antropologia mediorientale oggi .................................................................................... 19 
L’Orientalismo ...................................................................................................................... 19 
Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e stereotipi ................................................................ 22 
Il nomadismo pastorale ......................................................................................................... 22 
Il nomadismo pastorale oggi: ............................................................................................ 25 
La tribù .................................................................................................................................. 27 
La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario ............................ 27 
Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi .............................................. 31 
I Pashtun ................................................................................................................................... 36 
Il caso delle FATA pakistane ................................................................................................... 40 
Amministrazione delle FATA .............................................................................................. 42 
FCR, the black law ................................................................................................................ 43 
La giustizia nelle FATA oggi ............................................................................................... 45 
Bibliografia ............................................................................................................................... 48 
Sitografia .................................................................................................................................. 48 
Ringraziamenti ......................................................................................................................... 50
5
6 
Introduzione 
Nello scegliere l’argomento da trattare in queste pagine ho tentennato più volte. 
Se lasciarmi andare e imprimere i miei pensieri tra carta e penna mi è sempre risultato facile 
e gratificante, altrettanto non posso dire dello “scrivere per gli altri”. Un tipo di scrittura-questa- 
che non può dare interamente sfogo al Mio pensiero, al Mio modo di riempire un 
foglio nella maniera e con gli argomenti che desidero. 
Ho cercato quindi di giungere ad un compromesso tra le necessità accademiche e la scrittrice 
viziata che abita dentro di me: ho pensato ai miei amici, a tutte le battute che mi hanno fatto in 
questi anni di studio di lingua araba, cultura mediorientale e islamica. Ho pensato a tutti gli 
stereotipi che io già conoscevo sul Medioriente, e a quanti nuovi ne ho incontrati grazie alle 
battute che mi venivano –e tutt’ora mi vengono- fatte davanti ad una birra. 
Ho pensato agli amici ed ho deciso di schiarirgli un po’ le idee mettendo a frutto quanto ho 
imparato in questi tre anni, quanto ho visto viaggiando qua e là con il corpo ma soprattutto 
con la mente grazie alla curiosità che mi ha spinto a cercare sempre di più tra siti internet e 
libri. 
Inizialmente avevo intenzione di sfatare qualche stereotipo classico sul Medioriente, poi mi 
son accorta che probabilmente sarebbe stato per me un lavoro noioso in cui avrei solo ripetuto 
cose già dette e ridette mille volte. 
Quindi ho cambiato rotta, ho pensato di concentrarmi sul fare chiarezza nel mondo degli 
stereotipi religiosi. Anche qui mi sono dovuta fermare: un po’ perché anche questa strada era 
già stata percorsa in tante conversazioni, un po’ perché parlando dell’islam avrei dovuto 
coinvolgere nel discorso paesi che nulla hanno a che fare con la lingua araba o la cultura 
mediorientale. 
Con cosa riempire allora queste pagine bianche? La terza idea è stata quella giusta… Scriverò 
delle tribù del Medioriente! 
Anzi! Scriverò prima di cos’è il Medioriente poi parlerò delle sue tribù. Accennerò 
brevemente a come lo studio di questa parte di mondo è nato, prima di lasciare spazio alle
protagoniste. Di loro descriverò la forma, l’economia, le famiglie, la loro grandiosità nel 
passato… e quello ne resta oggi. 
Attenzione però! Il Medioriente è un territorio molto vasto, ovviamente le tribù che ospita 
avranno particolarità diverse da zona a zona… perciò quello che scriverò non potrà essere 
troppo dettagliato ma sarà solo una descrizione generale. 
Per quanto che riguarda “il particolare” scelgo invece di concentrarmi su una zona situata al 
limite asiatico del Medioriente: scelgo di parlare delle Aree Tribali pachistane. Scelgo loro 
poiché sono aree in cui le tribù hanno ancora un’importanza fondamentale 
nell’amministrazione della zona in cui sono stanziate. Scelgo loro per curiosità personale, 
perché se dei beduini dell’Egitto ne sento parlare tutti gli anni in vacanza, delle tribù Pashtun 
in Pakistan non so quasi niente. 
Infine scelgo loro anche per comodità: queste zone sono spesso le protagoniste delle pagine di 
politica internazionale o delle denunce di Amnesty International, il materiale su cui fare 
ricerca perciò non manca! 
7 
Buona lettura amici miei!
8
9 
Quale Medioriente? 
Il primo impiego del termine Medioriente risale ai primi anni del XX secolo, quando gli 
strateghi militari inglesi lo utilizzarono per indicare le zone di loro competenza nelle colonie. 
E’ quindi un termine carico di connotazioni etnocentriche, eurocentriche e colonialistiche. 
Oggi tale espressione è conosciuta ed utilizzata nell’area mediorientale ed 
affianca termini indigeni che si rifanno alla religione e alla posizione 
geografica: dal al harb e dar al islam م ب و دار ا
دار ا 
rispettivamente la terra della guerra e la terra in cui regna l’islam (e quindi 
la pace) hanno una connotazione islamico-religiosa mentre i sostantivi 
Maghreb e Marshreq ق
ب و ا
ا indicano le direzioni in cui 
il sole sorge e tramonta e sono perciò di carattere più geografico. 
Il Medioriente, che nel tempo ha subito 
tagli e aggiunte alle terre considerate 
parte di esso, al giorno d’oggi occupa 
territori appartenenti a ben tre continenti 
diversi (Africa, Asia ed Europa) e si 
estende lungo la fascia Rabat - Teheran 
per più di cinquemila chilometri. 
In aggiunta a questo vastissimo 
territorio, molti studiosi considerano 
parte del Medioriente anche 
l’Afghanistan, il Pakistan e porzioni 
dell’Asia centrale ex sovietica e 
dell’India grazie alla loro vicinanza 
storica, linguistica e culturale. 
Figura 1 
Medio Oriente nella sua accezione tradizionale 
“Grande Medio Oriente” come definite dal G8 
Aree a volte associate al Medio Oriente per questioni socio
La scelta di questi confini, che come già detto è variata nel tempo, è dovuta comunque a 
ragioni che spaziano dalla storia, all’economia, alla cultura, e più in particolare possiamo 
identificare due principali motivazioni. 
· La prima di carattere storico-territoriale: l’area medio orientale si sovrappone 
approssimativamente con estensione territoriale raggiunta dai tre grandi imperi della 
storia musulmana, prima l’Umayyade, poi l’Abbaside ed infine l’Ottomano. 
· La seconda di carattere culturale: in questi territori usi, costumi e organizzazione 
10 
sociale hanno un’estesa base comune. 
Nonostante ciò, è possibile -ed è quello che fa l’antropologo Fabietti- individuare quattro 
sotto-zone che meglio definiscono i territori mediorientali: 
· l’area afghano-pakistana → in essa predominano le popolazioni di origine turcomanna 
nella parte afghana, mentre in quella pakistana predominano popolazioni di lingua 
baluch e brahui; 
· l’area turco-iraniana → vi è una massiccia presenza di popolazioni di origine 
turcomanna parlanti dialetti di origine turca o persiana; 
· l’area della Penisola Arabica (con annessa la ragione ad occidente della Mesopotamia, 
confinante con la Penisola del Sinai ad ovest e con i monti Tauro a nord) dove la 
popolazione è prevalentemente semitica, parlante lingua araba. Questa è l’area in cui, 
a partire dal VII sec d.C., nacquero quei modelli culturali, politici ed sociali destinati a 
dare un’impronta caratteristica e decisiva al Medioriente considerato come un’unica 
grande area culturale; 
· l’area nordafricana compresa tra Egitto e Mauritania → islamizzata progressivamente 
fin dai primi tempi dell’espansione araba e nella quale le popolazioni provenienti dalla 
Penisola Araba si sono mescolate con le popolazioni indigene. Quest’area - il 
Maghreb- sfuma a sud verso il Sudan e il Corno d’Africa, dove la cultura dei popoli 
nomadi entra in contatto con quella delle popolazioni nere, talvolta anch’esse 
islamizzate, ma in possesso di forme di organizzazioni sociale nettamente differenti.
Se fin qui ho illustrato in breve cosa il Medioriente è, per completezza ora dirò cosa il medio 
oriente non è: 
· non è la terra dell’Islam. Sebbene la religione islamica sia notoriamente la più diffusa, 
non possiamo ignorare la presenza di numerose comunità ebraiche e cristiane diffuse 
su gran parte del territorio; 
· non è il mondo arabo. La lingua araba (con numerosi dialetti regionali) è la più parlata 
ma non è l’unica. In queste zone si incontrano diverse lingue come ad esempio il 
curdo, l’ebraico, il berbero, il pashtu, il persiano, il turco, il baluchi e altre lingue 
africane… 
Se è formalmente errato definire il Medioriente 
come terra araba e islamica, è comunque 
innegabile l’importanza di queste due caratteristiche che sono state il filo conduttore e 
unificatore di una base culturale e politica comune. 
11 
Figura 2 
Lingue parlate nella zona mediorientale. 
Dati in colonna: 
-totale della popolazione parlante la lingua (espressa in 
migliaia di unità). 
-percentuale di diffusione di tale lingua sul totale dei fedeli 
musulmani.
12 
Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente 
La fede islamica è sicuramente quella che ha plasmato maggiormente la zona mediorientale 
in base ai suoi canoni. 
L’Islam formalmente nasce nel 622 d.C. (corrispondente all’anno 0 del calendario 
musulmano) nel cuore della Penisola Araba. 
L’ambiente in cui il Profeta Mohamed (nome completo د م 	
 و ا 
 ا 
م ن ھ 
 ب ا  ط
 د ا 
 ن 
 ا  د 
 ن 
 ا ) predica i suoi 
insegnamenti è lo stesso in cui il Primo Islam si sviluppa: le caratteristiche politiche 
e linguistiche assieme alle tradizioni religioso-culturali sono inevitabilmente entrate 
a far parte dell’impianto islamico. 
Con l’espandersi del Credo fuori dai confini arabi, alcune di queste caratteristiche, ormai 
intrinseche della fede musulmana, sono state conservate e accettate dalle nuove popolazioni 
convertite. Giunta fino al sud est asiatico, la fede islamica subisce solo occasionalmente delle 
variazioni (adorazione o meno di alcuni santi, riti pagani che si trasformano in riti islamici, 
etc…) ma la dottrina religiosa rimane invariata poiché scritta nel Testo Sacro
آن ا
ا e quindi immutabile. 
Parlare di espansione della fede islamica non significa solamente discutere di preghiere, fede 
e riti, ma significa anche parlare un impianto legislativo che, basandosi sul Corano e sulla 
Sunna  ا (consuetudini e modi di comportarsi del Profeta e delle prime generazioni 
islamiche), va a coesistere -se non addirittura a sostituirsi- con le leggi nazionali. 
È per questo motivo che ancora oggi, a distanza di secoli, in stati molto distanti l’uno 
dall’altro, con etnie, e climi completamente differenti, possiamo riscoprire una base 
legislativa islamica comune.
Se il contenuto del messaggio islamico ha influenzato il metodo di approccio a Dio con la 
religione e il metodo di approccio agli altri uomini tramite la legge islamica Shari’a
, anche il messaggio in sé –ovvero il metodo di comunicare 
utilizzato- ha in qualche modo influenzato la comunità. 
Secondo la religione islamica Dio scelse la lingua araba per manifestarsi perché “la più chiara 
e la più eloquente”. Tramite la religione l’arabo la conoscenza dell’arabo si è espansa fino ai 
confini asiatici poiché ogni musulmano è tutt’oggi tenuto a conoscere, recitare e comprendere 
il Testo Sacro nella sua lingua originale. 
Ibn Taymiyya (1263 –1328) giurista e teologo siriano musulmano così scriveva: 
 Quando prendiamo l'abitudine di parlare in altre lingue a parte l'arabo , il quale è 
simbolo dell'Islam e la lingua del Corano, al punto che diventa uso comune con i membri 
della famiglia, con gli amici del mercato, nel parlare con funzionari governativi o altre 
autorità, o con persone di scienza, e senza dubbio ciò, diventa una cosa detestabile Makruh 
13 
Figura 3 Applicazione della Shari’a 
Stati a maggioranza musulmana e membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica in cui 
la Shari’a non condiziona il sistema giuridico. 
Stati in cui la Shari’a è coinvolta nel diritto di famiglia (matrimonio, divorzio, figli) e diritto 
successorio. Le latre materie osno trattate con leggi secolari. 
stati in cui la Shari’a è applicata ad ogni material giuridica. 
Paesi che hanno approvato variazioni locali alla Legge.
poiché adottiamo le abitudini dei non-arabi che sono detestabili Makruh,… 
Quando i pii predecessori andarono a vivere in Siria e in Egitto, dove la gente parlava greco 
bizantino, o in Iraq e Khorasan (n.d.r. attualmente una regione dell'Iran), dove la gente 
parlava persiano, o nel Nord Africa (al-Maghreb) dove la gente parlava Berbero, essi 
insegnarono ai popoli di questi paesi a parlare l'arabo, in modo che l'arabo diventasse la 
lingua più comune del paese. Cosicchè tutte le persone, musulmane o no, parlavano 
fluentemente l'arabo, senza distinzione. 
e più avanti replicava: 
 Inoltre, la lingua araba è di per sé parte dell'Islam ed è un obbligo religioso. In effetti, è 
un dovere capire il Corano e la Sunna che non possono essere compresi senza conoscere 
l'arabo, quindi i mezzi necessari per adempiere a questo dovere religioso diventano anch' essi 
obbligatori. 
Oggi l’arabo è la lingua nativa di più di 250 milioni di persone residenti negli stati compresi 
tra il Marocco, ad Occidente, e l'Iraq, ad Oriente. È la sesta lingua parlata al mondo ed è una 
delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite. In passato molte lingue non semitiche hanno usato 
la scrittura araba, è il caso del persiano, del turco, del maltese e del wolof in Africa. Alcune 
utilizzano questo alfabeto ancora oggi (persiano e altre lingue indoeuropee minori). 
14
15
16 
Antropologia e orientalismo 
Se del Medio Oriente conosciamo bene la tradizione colta, fatta di grande storia, scienza, 
politica, filosofia, ben poco sappiamo della piccola tradizione, quella che pone le sue basi 
sulla vita più pragmatica delle comunità locali, sulla loro organizzazione sociale e sul loro 
quotidiano fatto di usi, costumi e prassi religiose ben distanti da quelli rappresentati nella 
grande letteratura. 
L’antropologia, che si occupa proprio di scoprire e studiare la piccola tradizione, ha fatto la 
sua comparsa tra questi popoli con un discreto ritardo causato dallo scarso interesse dell’uomo 
europeo verso usi e costumi appartenenti a queste zone così “barbare ed arretrate”. 
Fino a metà del sec. XVIII gli unici europei che si inoltravano per queste terre lontane erano 
mossi solo dal desiderio di conoscere i luoghi in cui il Cristo aveva vissuto e di cui la Bibbia 
narrava. 
A partire dalla metà del XVIII sec. l’Europa comincia finalmente ad interessarsi e scoprire 
queste aree sotto il profilo della moda, dell’antiquariato, dell’archeologia… aree che erano, 
poiché sviluppatesi in contesti storico-culturali differenti da quelli europei, ovviamente 
anch’esse differenti dalle mode e dagli usi europei. 
Tale differenza non venne vista come la naturale conseguenza di un ambiente diverso da 
quello europeo, venne piuttosto interpretata come il risultato e il sunto di una generale 
arretratezza dell’uomo mediorientale. I viaggi nel medio oriente iniziarono così ad essere una 
lente attraverso cui poter vedere “noi europei” in epoche passate: viaggiare nello spazio 
diventò sinonimo di viaggiare nel tempo. L’uomo europeo poteva vedere sé stesso agli albori 
della sua civiltà. 
Il viaggiatore filosofo che naviga verso le estremità della terra ripercorre in effetti il 
cammino dei tempi: viaggia nel passato; ogni passo che compie è un secolo che 
oltrepassa.1 
1 De Gèrando, 1970, p.367
Oltre a conquiste e viaggi “nel tempo”, nel XVIII secolo si assiste ad un crescente interesse 
per l’esotismo. Campagne militari, resoconti di viaggiatori, reperti archeologici giunti da terre 
lontane, accendono nell’uomo europeo la sete di conoscenza dell’altro. Il mondo 
mediorientale inizia quindi a palesarsi agli europei rimasti in patria anche tramite la 
traduzione di romanzi, opere teatrali, opere musicali e, più tardi, cinematografiche. 
Tutto ciò contribuirà in maniera massiccia a definire molti di quelli stereotipi che tutt’oggi 
sono radicati nelle nostre menti. 
Curiosità: L’esempio più conosciuto di viaggio che unisce interessi economici, militari e 
scientifico-antropologici è sicuramente la spedizione che nel 1798 vide come protagonista un 
Napoleone deciso a conquistare l’Egitto sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista 
intellettuale: al seguito del suo esercito viaggiavano infatti geografi, ingegneri, matematici, 
naturalisti, pittori, linguisti, orientalisti. 
17 
Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente 
Come già accennato prima, l’antropologia ha fatto la sua comparsa sulla scena mediorientale 
piuttosto tardi rispetto al continente africano e sud americano. Questo ritardo è dovuto in 
primis alla presenza degli studi orientalistici che, basandosi sulla grande tradizione (scienza, 
storia, filosofia, poesia…) hanno tralasciato le materie prettamente antropologiche della 
“piccola tradizione”. Inoltre, era prassi in quei tempi che gli antropologi si occupassero dello 
studio di società semplici, piccole, con una bassa differenziazione della popolazione in 
termini di economia, lavoro, religione, status etc. per questo motivo la società mediorientale, 
vasta e complessa, non era in grado di suscitare particolare interesse. 
Il Medioriente, mosaico di culture, lingue, economie, politiche etc etc. mal si adattava allo 
studio antropologico classico che mirava alla descrizione di una società tramite il suo 
posizionamento entro schemi ben definiti. Fu solo a partire dagli anni 40 che gli antropologi 
cercarono di compiere in quest’area gli stessi studi che anni prima furono condotti nell’Africa 
nera: se le ricerche sul continente sub-sahariano furono complete e dettagliate, altrettanto non
avvenne nel più complesso e articolato Medioriente dove gli studi furono sì dettagliati, ma 
circostanziali. La complessità dell’ambiente mediorientale fu celata dietro a descrizioni che 
riguardavano solo le piccole comunità, mentre le grandi culture, le grandi società furono 
ignorate: al mosaico mediorientale mancavano molti tasselli. 
La maggior parte degli studi che prendevano in esame le società semplici, divideva il campo 
d’indagine in tre blocchi entro cui operare: le ricerche erano divise tra comunità agricole, 
comunità nomadi e comunità urbane. Così ripartite, queste indagini non potevano di certo 
mettere in luce tutte le caratteristiche della zona poiché la comprensione di un tipo di 
comunità è spesso, se non addirittura sempre, subordinata alla presa in considerazione di tutto 
ciò che la circonda. Va da sé che, nel momento in cui l’ambiente circostante viene tralasciato, 
lo studio e la comprensione delle caratteristiche di una determinata zona vengono 
enormemente impoveriti. 
Solo quando i limiti di questa strategia furono evidenti, gli antropologi riorganizzarono le loro 
indagini basandosi, questa volta, su tre modelli di ricerca. 
· Il primo si interessava della sfera socio-economica: prendendo in esame un gruppo 
specifico, si cercava di analizzare l’interagire del gruppo stesso con l’esterno in 
termini di economia e di politica. 
· Il secondo modello mirava invece ad una prospettiva più regionale: si studiavano 
gruppi, comunità ed istituzioni presenti in un delimitato ambiente geografico, 
cercando di capire in che modo e in che misura questi fattori fossero correlati e 
dipendenti uno dall’altro. 
18 
· Il terzo modello infine consisteva nello studio delle cosiddette “interfacce culturali” 
ovvero i punti in cui le varie componenti di una società e di una cultura entrano in 
contatto, si sovrappongono e si intrecciano con le componenti di altre.2 Questi 
punti potevano essere identificati in diversi contesti: ad esempio potevano riguardare 
sia il piano spaziale (mercati e santuari) sia il piano religioso (presenza di un leader-maestro 
condiviso da più comunità). 
2 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39
19 
L’antropologia mediorientale oggi 
Oggi prevale la tendenza che consiste nell’accostarsi allo studio di società dell’area 
mediorientale attraverso il tentativo di individuare dei “campi d’azione” e delle “aree di 
significato”, come le relazioni interpersonali, il genere, la trasmissione o la riproduzione del 
sapere, i media, tutti campi al cui interno si realizza il processo di scambio sociale e 
simbolico, piuttosto che mediante lo studio di determinati “sotto-settori” socioculturali 
(economia, religione, politica ETC ).3 
Non dobbiamo tralasciare inoltre l’aiuto che la tecnologia ha dato negli ultimi decenni: grazie 
a televisione, internet, telefoni cellulari ecc il numero di comunicazioni è cresciuto in maniera 
esponenziale, favorendo indirettamente lo studio delle culture locali. 
L’Orientalismo 
· Atteggiamento caratterizzato da uno spiccato interesse e da una forte ammirazione 
per ciò che è orientale, per la civiltà e la cultura dell’Oriente. L’interesse formale e 
contenutistico rivolto, dalla letteratura e dalle arti figurative europee, alla cultura e 
agli usi orientali, rientra in senso generico nell’ambito dell’esotismo. In senso stretto 
una forte corrente di gusto iniziò nei primi anni del 18° sec. in Francia con la 
pubblicazione delle Mille e una notte e delle Cent estampes (1715) . 
Enciclopedia Treccani 
· La tendenza artistico - letteraria e la corrente di studi e ricerche nati, nei secc. 18° e 
19°, dal contatto della cultura europea con le culture e le tradizioni dei Paesi orientali, 
ossia con il mondo musulmano e asiatico. Tale contatto, frutto delle conquiste 
coloniali e imperiali e delle esplorazioni geografiche, permise un progresso 
significativo della conoscenza di storia e cultura delle società orientali, nutrendo al 
3 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39
tempo stesso miti esotici e romantici tesi a costruire l’immagine di un Oriente oscuro 
e selvaggio. L’orientalismo rivelò in campo letterario e accademico un atteggiamento 
di superiorità intellettuale e antropologica giustificante un presunto intervento 
civilizzatore europeo, come ha denunziato in un saggio famoso il critico palestinese E. 
20 
Said. 
Dizionario di storia - Treccani 
Con la sua opera, Said volle appunto denunciare l’ideologia di questo movimento che fondava 
i suoi saperi e i suoi assunti su di un confronto tra l’Oriente e il colonialismo occidentale che 
era pilotato a dovere dai vertici coloniali europei. 
L’intento di Said fu quello di dimostrare come il sapere accumulato sotto il termine 
Orientalismo altro non era che una ricostruzione del mondo e delle conoscenze orientali viste 
con gli occhi del colonizzatore occidentale, colonizzatore che in quanto tale aveva scopi e 
interessi ben distanti da quelli della mera e sincera conoscenza dell’altro. Colonizzatore che 
invece intendeva il sapere come fonte di potere e che probabilmente è stato causa di molti di 
quegli stereotipi negativi (anche se non mancarono quelli positivi!) che tutto’ora rimangono 
vivi. 
Curiosità: Il governo francese intraprese una massiccia attività di ricerca in vari stati-colonie 
per raccogliere quante più informazioni possibili sui territori posti sotto il suo dominio. Per 
quanto riguarda il dominio anglosassone –assieme a quello francese il più presente nel mondo 
arabofono- le ricerche furono molto meno intense: i loro studi si rivolsero principalmente al 
subcontinente indiano.
21
Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e 
stereotipi 
Spesso, nell’immaginario occidentale comune, il beduino è un nomade che vive in una tribù 
nel deserto allevando capre o cammelli. Nomadismo, pastorizia, tribù e beduini sono quindi 
associati alle stesse scene di popoli abitanti zone aride e praticanti un’economia di 
sussistenza. 
Seppur quasi sovrapponibili nel nostro immaginario occidentale, i termini nomadismo, 
pastorizia, tribù e beduini abbracciano sfere di significato totalmente diverse l’uno dall’altro. 
Nomadismo si riferisce ad una condizione spazio-geografica dell’uomo, la pastorizia riguarda 
il metodo di sussistenza (e non comporta necessariamente il nomadismo!), la tribù riguarda un 
tipo di organizzazione sociale ed infine l’essere beduino descrive una particolare identità 
culturale. Contrariamente a quanto molti possano pensare, non necessariamente queste quattro 
condizioni devono coesistere: osservando con occhi più attenti la realtà mediorientale, ci 
accorgiamo, infatti, che esistono gruppi pastorali che non sono classificati nè come tribù né 
come beduini (il caso dell’Oman.); nel Marocco occidentale, in Iran e Iraq troviamo invece 
tribù che durante l’anno alternano periodi di nomadismo (per far pascolare pecore a capre) a 
periodi d’insediamento nei villaggi. 
Cercherò in questo capitolo di fare un po’ di chiarezza sulla pastorizia nomade e sulla tribù 
con le sue regolo e i suoi costumi. 
22 
Il nomadismo pastorale 
Se il nomadismo indica un gruppo di persone che si muove da un posto all’altro con scopi e 
mete precise, possiamo descrivere il nomadismo pastorale mediorientale come una pratica che 
permette agli allevatori di cammelli, pecore e capre di sfruttare al meglio le risorse in luoghi 
spesso troppo aridi per praticare un allevamento più sedentario. 
Lo sviluppo della pastorizia nomade, e la sua diffusione in tutta l’area mediorientale, ebbe 
origine con l’addomesticamento del cammello avvenuto verso la fine del terzo millennio a.C.
nella Penisola Araba (svilluppo molto più tardivo rispetto all’allevamento dei primi animali). 
Fu proprio allevamento del cammello, così resistente da poter sopportare i climi desertici e 
così rapido da poter attraversare con facilità lunghe distanze su terreni spesso sabbiosi, che 
permise ai popoli della Penisola di emergere come unità sociali e politiche definite e coese. 
L’allevamento del cammello si espanse successivamente dalla Penisola a tutta la zona 
mediorientale percorrendo la “Via dell’incenso” che metteva in comunicazione l’attuale 
Yemen (L’Arabia Felix) con i centri urbani della regione siriaca: i grandi animali, qui 
impiegati per il trasporto delle merci, arrivarono presto ad essere allevati anche nel Nord - 
Arabia e nell’area della Mezzaluna fertile. 
I gruppi nomadi che nel corso del tempo si sono formati vengono classificati secondo la 
differente tipologia di modello migratorio: da una parte troviamo i nomadi del Nord Africa e 
della Penisola Araba, dall’altra troviamo invece le popolazioni più orientali della Penisola 
Anatolica, la Mesopotamia e i territori fino al Baluchistan. La sostanziale differenza tra questi 
due modelli è dovuta alla morfologia dei territori e di conseguenza ai climi presenti: 
· Il modello verticale, caratteristico dell’area turco-iraniana, descrive spostamenti su 
aree con differenti rilievi. Questo alternarsi di diverse altitudini, assieme 
all’alternanza dei climi e delle piogge, permette ai nomadi di riuscire ad ottenere 
risorse sufficienti al sostentamento dei loro animali durante tutto l’anno. 
· Il modello orizzontale non implica spostamenti entro aree poste ad altezza differente. 
Le risorse disponibili alla pastorizia non sono influenzate da variazioni altimetriche 
ma dipendono piuttosto dall’abbondanza delle piogge. 
La scelta del tipo di nomadismo è determinata in primo luogo dal tipo di conformazione 
geologica presente nella zona abitata, ma anche dal tipo di animali allevati: il cammello per 
esempio, è un animale molto robusto, riesce a sopportare le grandi escursioni termiche 
caratteristiche del deserto, è molto veloce negli spostamenti sul suolo sabbioso e può 
sopravvivere diversi giorni senza mangiare e bere ma, a differenza delle capre e delle pecore, 
è però un animale poco prolifico. Gli ovini invece sono animali meno mobili del cammello ed 
esigono una presenza quasi costante dell’uomo poiché tendono a disperdersi facilmente; la 
pecora è quella meno resistente e ha bisogno di essere abbeverata più frequentemente della 
capra. Capra e cammello, infine, hanno un pascolo meno selettivo e possono quindi accedere 
a più tipi di foraggio senza problemi. 
23
Se queste caratteristiche hanno condizionato le scelte dei pastori per diversi secoli, la recente 
modernizzazione ha permesso una pastorizia meno condizionata: l perforazione di pozzi in 
tutto il Medioriente ha risolto il problema delle risorse idriche mentre la motorizzazione ha 
permesso l’attraversamento del deserto a greggi inadatti a terreni sabbiosi. 
Generalmente le unità di nomadizzazione sono costituite da gruppi di famiglie (spesso 
imparentate tra loro) che volontariamente scelgono di unirsi per gestire al meglio le risorse 
idriche, i pascoli e gli animali che, essendo spesso di specie diverse ed avendo perciò 
necessità diverse, richiedono una manodopera superiore a quella che una sola famiglia 
potrebbe avere a disposizione. 
Le dimensioni di questi gruppi variano a seconda delle stagioni e del tipo di nomadismo 
effettuato: i pastori che seguono il modello orizzontale generalmente si disperdono durante la 
stagione più fresca in cui è più facile accedere alle risorse idriche, per poi concentrarsi attorno 
ai pozzi durante la stagione secca; i pastori che si dedicano ad un modello di nomadismo 
verticale invece tendono a formare gruppi più numerosi durante la stagione fresca e a 
disperdersi sui pascoli d’altura durante l’estate. 
Se la motorizzazione ha garantito una più semplice capacità di spostarsi, la generale 
modernizzazione ha anche ridimensionato l’importanza della tribù in quanto unità sia politica 
ma soprattutto di difesa per cui oggi, indipendentemente dall’ambiente e dalla stagione in cui i 
nomadi operano, oggi è difficile vedere assemblamenti composti da numerose tende. 
Quindi, se il nostro immaginario collettivo occidentale vede ancora un Medioriente popolato 
ovunque da pastori nomadi... dobbiamo ricrederci poiché a partire dal VIIIXX secolo si è 
innescato un processo che -con tempistiche e metodi diversi nella varie zone- ha portato il 
nomadismo pastorale a subire un drastico calo. Tra le cause più importanti possiamo citare: 
· l’estensione delle terre coltivate è andata aumentando, facendo diminuire lo spazio 
24 
riservato al pascolo. 
· nel corso del tempo il bestiame è diventato un investimento sempre meno redditizio e 
ha costretto molti pastori ad impiegarsi in attività alternative. 
· incentivi statali che “invitarono” molte tribù nomadi a sedentalizzarsi allo scopo di 
modernizzare l’economia e il paese. 
· trasformazioni politiche ed economiche a seguito della decolonizzazione 
· ricchezza derivante dalla vendita del petrolio
· forte periodo di siccità e carestia tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni 
25 
Sessanta. 
Il nomadismo pastorale oggi: 
... aspetti del nomadismo tipici del passato sono ormai scomparsi, come ad esempio la 
funzione svolta dai nomadi nel commercio trans-sahariano, per non parlare poi di quello che 
collegava regioni lontane come la Cina e il sud dell'Arabia con le coste del Mediterraneo 
orientale (la via della seta, la via dell'incenso, ecc.). Anche la loro funzione di rifornitori di 
animali sui mercati è largamente in declino. L'allevamento nomade condotto con metodi 
tradizionali si è rivelato non concorrenziale rispetto a quello stanziale condotto con tecniche 
moderne. I gruppi che sono rimasti radicati a questa forma di esistenza hanno però, almeno 
in alcuni casi, saputo sfruttare le nuove opportunità offerte dai governi dei loro paesi (v. 
Fabietti, 1984, 1990 e 1994), o sono riusciti a integrare le attività tradizionali con altre fonti 
di reddito, praticando lavori stagionali nelle città o presso gruppi di agricoltori (v. Salzman, 
1971). 
Il nomadismo pastorale è complessivamente in declino ma non è morto. Non ci si dimentichi 
infatti delle sue origini, che furono non solo di tipo produttivo ma anche politico. Il 
nomadismo pastorale, così come si presenta oggi nelle regioni aride dell'Africa e del Medio 
Oriente, continua a costituire una scelta adattiva sempre praticabile di fronte a determinate 
circostanze di tipo politico. 
Enciclopedia delle scienze sociali 1996: -Nomadismo
26 
Nelle due immagini seguenti è espresso il tasso di urbanizzazione presente nella zona 
mediorientale: è evidente come in pochi anni molte popolazioni nomadi o rurali si siano 
mosse verso i centri urbani. 
Figura 4 
Popolazione urbana nel 2009 
Figura 5 
Popolazione urbana nel 2014
27 
La tribù 
Con il sostantivo tribù la lingua italiana indica un raggruppamento sociale autonomo, con 
proprio ordinamento e proprio capo, formato da più famiglie aventi lingua, etnia e costumi 
uguali. 
Questa definizione, che sembra piuttosto semplicistica, può essere ampliata e modificata 
semplicemente contestualizzandola. Sarà infatti noto a tutti che tribù di vario genere sono 
presenti su tutto il globo, ciò che invece può sfuggire ai meno attenti è il fatto che non vi siano 
limiti precisi per descrivere una tribù in quanto tale: non esistono vincoli riguardo a 
dimensioni, estensione, tipo di ordine sociale, etc. Per fare un semplice esempio basta 
accennare alle diversità presenti tra tribù mediorientali e tribù sub sahariane in merito alla 
percezione dell’autorità regnante: se nell’Africa Nera la maggior parte delle tribù é governata 
da monarchie che man mano assorbono o sottomettono altre monarchie, nel Medioriente 
invece le tribù coesistono o si oppongono all’autorità regale ma -il più delle volte- non fanno 
parte di quest’ultima. 
Nel panorama mediorientale le tribù hanno da sempre avuto una grande importanza sia in 
termini politici sia in termini sociologici, è per questo motivo che molti studi sono stati 
compiuti a riguardo. 
La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario 
Nonostante in Medioriente vi siano diverse ideologie socio-politiche, la maggior parte di 
queste si fonda sulla consapevolezza di un’identità basata sulla discendenza parentale (quasi 
sempre patrilineare) comune. È proprio da questa consapevolezza di appartenenza al gruppo-tribù 
che arrivano una serie di diritti comuni a tutti i membri che riguardano l’utilizzo delle 
risorse, la gestione e la difesa del territorio tribale. 
Figura 4 
Diramazione del lignaggi di una famiglia
Da un punto di vista formale la tribù, con le discendenze parentali sulle quali è basata, può 
essere descritta come un albero rovesciato dove i rami -i gruppi di discendenza o lignaggi-confluiscono 
28 
nel tronco centrale. 
In questa descrizione, l'antenato apicale A indica il punto di partenza per la formazione della 
tribù; nel tempo i figli B, i nipoti C e i pronipoti hanno “allargato” tale tribù formando dei 
sottogruppi di famigliari: i lignaggi. Ogni lignaggio è descritto come il gruppo formato a 
partire dai discendenti di un individuo figlio dell'antenato: questa catena ripercorre tutto 
l'albero genealogico formando -ad ogni generazione- ipotetici nuovi lignaggi fino ad arrivare 
alla generazione oggi in vita (quella alla base dell'albero). 
Come sostiene Sahlins, i lignaggi possono essere descritti come: 
-strutturalmente equivalenti in quanto all'interno di una struttura considerata nel suo 
complesso e a ciascun livello di segmentazione, essi potrebbero essere scambiati di posto 
senza che per questo l'immagine formale della struttura totale venga alterata. 
-funzionalmente equivalenti poiché essi svolgono le stesse funzioni a livello politico, 
economico, rituale, etc... 
-politicamente uguali perché a ciascun livello di segmentazioni essi non sono gerarchizzati 
ma agiscono come entità autonome e indipendenti. 
Tutto ciò ovviamene non vuol significare che i lignaggi siano morfologicamente uguali tra di 
loro: il numero dei loro componenti può variare sensibilmente nel corso del tempo, così come 
può cambiare il loro peso politico in funzione della loro ricchezza o della quantità di risorse 
da essi gestita. 
Il processo di formazione dei lignaggi è detto processo di segmentazione o modello 
segmentario. Con il modello segmentario, descritto per la prima volta dall’antropologo 
Evans-Pritchard durante gli studi compiuti sui Nuer del Sudan, è possibile descrivere dalla 
piccola tribù alla società più complessa in quanto il principio alla base del processo è lo stesso 
in ogni gruppo-società. 
Tale modello ha permesso inoltre di sfatare il mito occidentale che vedeva le società nomadi 
come società “meccaniche” e statiche: se ciascun gruppo si presenta come un'unità autonoma 
ad un certo livello di segmentazione, al livello superiore si presenta come parte integrante di 
un gruppo di esteso.
nella figura quando Z1 
combatte Z2 nessun altro segmento 
resta coinvolto. Quando Z1 
combatte Y1, Z1 e Z2 si uniscono e 
la loro unità è indicata come Y2. 
Quando Y1 combatte X1, Y1 e Y2 si uniscono e così fa X1 con X2. Quando X1 combatte A, X1 
X2 Y1 e Y2 si uniscono nell’unità B. quando A fa una razzia contro i Dinka (vicini dei Nuer) 
A e B si uniscono. 4 
29 
Un antico proverbio in lingua araba recita 
  ! وا # وأ   ! ا % ي () وأ # ي وأ () أ % # ا 
*
ا % 
 io contro mio fratello; io e mio fratello contro nostro cugino; io, mio fratello e nostro 
cugino contro tutti. 
Il proverbio sintetizza bene la dinamica interna della struttura sociale dove gli individui 
appartenenti ai diversi lignaggi devono essere pronti a far fronte a casi mutevoli per cui un 
alleato di oggi può benissimo diventare un nemico di domani e viceversa. 
Va però detto che il funzionamento tribale descritto in questa figura vale esclusivamente a 
livello astratto: a livello empirico capita spesso, infatti, che ogni gruppo si opponga ad altri 
gruppi al fine di mantenere la propria identità, indipendentemente dal “livello” di vicinanza e 
parentela. 
4 Evans-Pritchard, 1995, p.199 
Figura 5 
Rappresentazione del modello 
di Evans-Pritchard
Se il modello segmentario rappresenta la teoria di quanto avviene all’interno dell’albero 
genealogico, ben differente è quanto accade nella realtà: le genealogie sono quasi sempre 
storicamente inesatte poiché manipolate per poter legittimare determinate scelte politiche, 
alleanze o conflitti. 
Vi sono casi in cui la genealogia è modificata senza un’esplicita intenzione. È il caso 
dell’accorciamento delle linee di successione: sappiamo che in Medioriente è d’uso comune la 
prassi di attribuire al primogenito il nome di un parente (spesso padre o nonno) deceduto così 
che la linea di discendenza conservi gli stessi nomi. In una situazione come questa, è facile 
che con il passare del tempo più persone vengano riunite sotto lo stesso nome. Se per esempio 
la linea di discendenza porta i nomi A, B, A, B, A, B… con il trascorrere delle generazioni 
tutti gli A sono riuniti sotto un solo A, così come tutti i B diventino un solo B e la 
rappresentazione dell’albero genealogico verrà accorciata. 
 Egli è mio figlio ma anche mio padre, dal momento che porta il suo nome. Non potrei mai 
colpirlo perché sarebbe come colpire mo padre. Quando egli crescerà e io diventerò vecchio 
si prenderà cura di me come se fossi suo figlio.5 
Vi sono invece situazioni in cui la manipolazione della genealogia avviene coscientemente: 
solitamente è il capo tribù (che ha conoscenze può vaste rispetto ai suoi compagni per su 
quanto riguarda le genealogie e le parentele della zona in cui vive) che si occupa della politica 
e delle relazioni con le altre tribù. È lui che può scegliere di “dimenticare” la relazione di 
parentela che lega la sua famiglia ad un lignaggio vicino o che può inventare nuove parentele 
per affermare e “regolarizzare” rapporti con lignaggi o intere tribù non consanguinee. 
Per quanto riguarda la situazione odierna sul mondo tribale, scelgo di citare ancora una volta 
Fabietti che con chiarezza ci spiega che: il tribalismo, spesso considerato come una 
sopravvivenza di strutture di relazioni e di concezioni della società ti tipo arcaico (atavico) 
nel contesto della modernità, altro non è, almeno nella maggioranza dei casi, che una 
risposta al venir meno di istituzioni e ideologie unificanti che solo apparentemente si 
configura come “ritorno alla tradizione”. Tale tradizione, a cui i tribalismi fanno riferimento 
30 
5 Peters, The proliferation pagg 33-34
nel tentativo di legittimare le differenze, la competizione e il conflitto tra gruppi, è in realtà il 
più delle volte frutto di un’invenzione che, riprendendo simboli culturali avulsi dal loro 
contesto, costruisce attorno ad essi un’identità nuova e tuttavia rappresentata e presentata 
come autentica. Invece di costituire delle insorgenze di tratti arcaici, i tribalismi 
contemporanei sono di fatto manifestazioni della concorrenza tra gruppi che tentano di 
accedere a nuove risorse messe in circolazione dagli stati post-coloniali (Pakistan), dagli 
interventi umanitari (Somalia) e dagli investimenti internazionali; oppure della lotta fra 
gruppi emergenti al fine di occupare posizioni vantaggiose all’interno di un quadro politico 
disgregato (Afghanistan).6 
31 
Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi 
Di norma i popoli nomadi dell’area mediorientale descrivono qualunque tipo di 
raggruppamento concreto in termini di tende e ad ogni tenda corrisponde una famiglia. 
L’unità domestica, base di produzione e consumo, è rappresentata dal capofamiglia che 
solitamente corrisponde al membro più anziano: è il suo nome ad indicare la tenda-famiglia e 
a distinguerla dalle altre. 
La famiglia è proprietaria di tutti i beni mobili di cui dispone inclusi gli animali, la gestione 
dei quali è prerogativa esclusiva del capofamiglia. Contrariamente a quanto la visione 
occidentale può far supporre, anche la donna nomade può possedere capi di bestiame (che 
verranno gestiti assieme agli altri della famiglia). 
Nelle società patrilineari come quelle mediorientali, è fortemente radicata l’usanza di 
anteporre la figura maschile a quella femminile: agli uomini spettano i ruoli ritenuti più 
importanti -come l’esercizio dell’autorità- e tutti i compiti che richiedono maggiori capacità 
intellettuali. In linea di massima quindi sono indirizzati a mansioni che li inseriscono nella 
sfera pubblica (attività connesse in modo diretto con la pastorizia e l’agricoltura laddove 
questa sia praticata, commercializzazione di animali e dei prodotti da essi ricavati) mentre alle 
donne è riservato un ruolo domestico, circoscritto alla sfera privata della tenda (preparazione 
6 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 92
degli alimenti, tessitura, confezione di abiti, tosatura degli animali, trasformazione dei 
prodotti della pastorizia). 
La possibilità che ha un individuo di creare un’unità famigliare indipendente è legata 
essenzialmente alla capacità di disporre dei beni necessari al versamento della 
“compensazione matrimoniale”. Quest’ultima solitamente varia in base alla distanza 
genealogica tra i due coniugi: più elevata è la distanza di parentela, più sostanziosa sarà la 
“dote” che generalmente è composta da animali, oggetti di uso corrente, gioielli e –al giorno 
d’oggi- soprattutto denaro. Tale denaro, assieme agli altri beni, viene utilizzato nel quadro 
dell’economia famigliare della futura sposa per acquistare beni di uso corrente e animali 
oppure può essere tenuto in serbo per costituire un fondo di prelievo in vista del futuro 
matrimonio di figli maschi i quali, a loro volta, dovranno pagare una dote alla famiglia delle 
loro spose. 
Nelle famiglie nomadi mediorientali, è radicato l'ideale culturale che auspica l'unione tra 
individui facenti parte dello stesso gruppo di discendenza. I matrimoni endogamici 
consentono infatti di evitare problemi riguardo alla gestione delle proprietà e soprattutto dei 
figli (la cui potestà è riservata esclusivamente al padre) e della moglie (che a seconda dei casi 
è tenuta ad obbedire o al marito, o al padre o ad entrambi). 
La cultura nomade designa il matrimonio tra cugini paralleli (figli di due fratelli) come 
miglior caso ma, sebbene il matrimonio endogamico sia il più auspicato a livello teorico, in 
realtà questo tipo di unione rappresenta ormai una piccola percentuale tra tutti i matrimoni: la 
diffusione generale della modernità e delle sue implicazioni hanno innescato un lento ma 
costante processo di trasformazione nella concezione dei rapporti tra sessi diversi per cui oggi 
si assiste sempre più facilmente a matrimoni tra individui non consanguinei. 
32
33
La situazione di sostanziale indipendenza politica e amministrativa che caratterizzava le tribù 
mediorientali è andata affievolendosi negli ultimi decenni. Le sedentarizzazione delle genti 
tribali ha permesso agli stati nazionali di esercitare un maggiore controllo su queste 
popolazioni che, se sul piano sociale si identificano ancora come appartenenti a determinati 
lignaggi, su un piano più pragmatico sono membri di una comunità cittadina sottoposta a 
leggi statali. 
Ma cosa accade quando il processo di sedenzarizzazione –e quindi di nazionalizzazione- non 
avviene su base volontaria? Cosa accade quando lo stato nazionale non è riconosciuto come 
sovrano? E di conseguenza, chi o cosa è ad essere riconosciuto come autorità legittima? Ed 
in che modo viene esercitato il Potere e mantenuto l’ordine? 
Nelle pagine successive tratterò il caso specifico delle tribù Pashtun residenti al confine tra 
Pakistan e Afghanistan, di come le loro leggi tribali sono state incluse nella Legge della zona 
e dei problemi che questa “convivenza legislativa” suscita nell’intera area. 
34
35
36 
I Pashtun 
I Pashtun sono il gruppo etnico di lignaggio patriarcale più numeroso del mondo: esistono in 
tutto 60 tribù principali, le quali contano complessivamente oltre 400 clan e sotto-clan; 
sono circa 42 milioni di persone che abitano i territori di Afghanistan e Pakistan. Nello stato 
pachistano arrivano a coprire addirittura il 15% della popolazione e sono stanziati soprattutto 
intorno ai centri di Mingora, Peshawar, Quetta e Karachi. 
Tra tutte le etnie afghane solamente i Pashtun e i Baluchi (2%) hanno un’organizzazione 
tribale, fattore che determina una minore urbanizzazione e una forte tendenza al 
conservatorismo. 
Tabella 1 i nomi delle principali tribù divise per zona 
REGIONE TRIBU’ 
BAJAUR 
SALARZAI 
MAMUND 
MASHWANI 
CHARMANG 
KHYBER 
SHINWAR 
TURI 
KURRAM PAKTIA 
MOHMAND MOHMAND 
WAZIRISTAN DEL NORD WAZIRI 
WAZIRISTAN DEL SUD WAZIRI 
ORAKZAI ORAKZAI 
Come tutti i sistemi tribali, 
anche le tribù Pashtun sono fondate sul concetto di solidarietà che si estende dal legame 
familiare diretto alla famiglia allargata, alla tribù e infine all’intera comunità. 
I matrimoni possono avvenire tra diverse tribù ma, come consueto nelle tribù a discendenza 
patrilineare, sono diffuse anche unioni tra cugini.
La distribuzione dei Pashtun sul territorio non è omogenea ma comprende numerose enclavi 
nel nord e nel nordovest pachistano che atro non sono se non il risultato di politiche di 
“pashtunizzazione” praticate nel XVIII e XIX secolo dai sovrani Durrani, fondatori dello stato 
unitario afghano. 
Le dinastie Pashtun hanno dominato la scena politica afghana sin dalla caduta dell’impero 
Mogol in India (1707) e della Casata Safavide in Persia(1722), sono stati loro a dar vita 
all’identità nazionale afghana e soprattutto sono stati loro a contaminarla con tratti della 
propria tradizione culturale. 
Se i Pashtun non furono mai politicamente uniti fino al sorgere dell’impero Durrani nel 1747, 
a partire da quella data e per ben due secoli e mezzo, riuscirono a dominare incontrastati la 
scena politica afghana, (lo stato pachistano non è menzionato perché ancora non esisteva!) 
svolgendo un ruolo determinante nel “Grande Gioco” tra Russia zarista e Impero britannico. 
L’etnia Pashtun è stata sfruttata per secoli, in primis dall’Impero Britannico che con le sue 
mire coloniali ha tentato invano l’invasione per due volte nel 1839 e nel 1878 per poi 
“accontentarsi” nel 1893 di considerare queste zone come un cuscinetto tra i loro 
possedimenti indiani e la Russia. Per conto di Londra, Mortimer Durand cercò di tracciare i 
confini di quest’area e così facendo divise i Pashtun nella speranza di assorbire almeno parte 
della popolazione nell'Impero Coloniale. Anche questo tentativo di mascherata conquista fu 
vano: non rimase altra scelta se non quella di consentire una sorta di auto-governo Pashtun su 
una larga fetta di territorio. Qui le leggi coloniali sono state integrate e modificate con il 
Pashtunwali, il codice tradizionale dei Pashtun: si è quindi formata una grande area tribale 
autogovernata. 
La Legge (Frontier Crimes Regulation) inizialmente prevedeva che l’organizzazione 
amministrativa della zona fosse affidata a rappresentanti del governo coloniale mentre le tribù 
fossero libere di autoregolarsi nelle dispute interne secondo i loro codici. 
Nonostante le successive conquiste da parte dei sovietici e le pressioni da parte del neonato 
stato pachistano, le regioni autogovernate esistono tutt’oggi ma continuano a vivere in un 
generale malcontento generato dalla divisione imposta dalla linea Durand (linea che tutt’oggi 
37
per la comunità internazionale rappresenta il confine ufficiale tra Afghanistan e Pakistan, ma 
per i Pashtun è il simbolo concreto di secoli di ingiustizie e ha la stessa legittimità del confine 
che una volta separava tedeschi occidentali e orientali) e dalle tensioni di politica interna ed 
estera sempre più forti. 
38
39
40 
Il caso delle FATA pakistane 
Ricoprendo una striscia di terreno di 27mila chilometri quadrati situati in territorio pachistano 
tra il confine con l’Afghanistan e la Provincia di Khyber Pakhtunkhwa (KPK), le Aree Tribali 
di Amministrazione Federale (Federally Administered Tribal Areas da cui l’acronimo FATA) 
sono un esempio di coesistenza (non necessariamente pacifica!) tra uno stato sovrano (il 
Pakistan) e le tribù locali Pashtun in regime di semi-autonomia. 
Le FATA comprendo sette distretti tribali : 
· Bajaur 
· Mohmand 
· Khyber 
· Orakzai 
· Kurram 
· North Waziristan 
· South Waziristan 
e sei territori di frontiera 
· Peshawar 
· Kohat 
· Bannu 
· Lakki Marwat 
· Tank 
· Dera Ismail Khan 
Figura 6 
L’area FATA sul confine Pakistan - Afghanistan 
I territori di frontiera sono delle piccole aree di transizione che separano i distretti tribali e il 
KPK. La sostanziale differenza tra distretti tribali e territori di frontiera sta, oltre nelle 
dimensioni delle aree, nella diversa amministrazione di questi ultimi. Se l’amministrazione 
dei distretti tribali avviene, come vedremo di seguito, tramite Agenti Politici per procura del 
presidente dello stato, i territori di frontiera sono amministrati direttamente dal FATA 
Secretariat.
41 
Figura 7 
1 The Republic and its territories 
1. Pakistan shall be a Federal Republic to be known as the Islamic Republic 
of Pakistan, hereinafter referred to as Pakistan. 
2. The territories of Pakistan shall comprise: 
· the Provinces of Balochistan, the Khyber Pakthunkhwa, the Punjab 
and Sindh ; 
· the Islamabad Capital Territory, hereinafter referred to as the Federal 
Capital; 
· Federally Administered Tribal Areas; and 
· such States and territories as are or may be included in Pakistan, 
whether by accession or otherwise. 
Costituzione del Pakistan art.1 
Secondo l’articolo 1 della costituzione pakistana, le FATA sono a tutti gli affetti parte dello stato 
pachistano. 
Pur essendo rappresentate con 12 membri nell’Assemblea Nazionale e con 8 membri nel Senato, le 
leggi in vigore su tutto il territorio nazionale non sono applicate nelle Aree Tribali di 
Amministrazione Federale senza una specifica approvazione del Presidente dello Stato, che ha il 
compito di regolare tutte le direttive per mantenere la pace ed il buon governo nelle zone tribali. 
L’intera area FATA è controllata a livello amministrativo dal Governatore di KPK, che esercita 
il suo potere per conto del Presedente dello Stato. 
Se fino al 2002 gli affari riguardanti le Aree ad Amministrazione Tribale venivano condotti dagli 
uffici del Dipartimento dello Sviluppo di KPK, a partire da quell’anno tali funzioni vennero 
integrate nel FATA Secretariat e furono divise nei seguenti dipartimenti: 
· Dip. della Legge e dell’Ordine: (in collaborazione con gli Agenti Politici, esercito,forze 
paramilitari e rappresentanti delle tribù) emana decreti legge, provvedere alla sicurezza degli 
abitanti delle tribù, prende in carico le lamentele dei cittadini, amministra la giustizia tramite 
i tribunali, si occupa di emergenze e calamità naturali. 
· Dip. di Amministrazione e Coordinazione: si occupa della generale amministrazione delle 
FATA, della sicurezza dell’apparato decentralizzato e di tutto il suo staff.
· Dip. della Finanza, delle Pianificazione e dello Sviluppo: questo dipartimento fu unito al 
42 
FATA Secretariat solo nel 2006. 
Amministrazione delle FATA 
Di fatto, a seguito di accordi firmati tra i rappresentati delle tribù 
(Malik) e l’appena nato Pakistan tra il 47 e il 51, alle regioni tribali 
fu confermato lo speciale status di cui già godevano sotto il 
Figura 8 
dominio coloniale inglese. 
Emblema delle FATA 
Oggi l’amministrazione delle FATA è ancora retta su tre 
pilastri fondamentali (gli stessi su cui si basava l’amministrazione di quest’area sotto dominio 
coloniale): l’agente politico, i capi tribù e il Frontir Crimes Regulation (FCR). 
Ogni area è amministrata da un agente politico, ovvero un ufficiale federale scelto dal governatore 
del KPK, alle dipendenze di quest’ultimo e del presidente dello stato. 
In base alla grandezza della zona da amministrare, l’agente politico può essere coadiuvato da più 
assistenti facenti parte delle tribù e delle forze dell’ordine locali. 
Giudice supremo nella sua zona di competenza, ha il compito di mantenere i contatti tra l’area 
tribale, il FATA Secretariat e il Ministero degli Affari Tribali; sovraintendere il lavoro svolto nei 
vari dipartimenti amministrativi locali; risolvere le dispute che si creano tra le varie tribù in merito 
alla distribuzione e all’impiego delle risorse naturali disponibili; sorvegliare gli scambi tra le varie 
tribù e con le altre regioni. È inoltre il supervisione di tutti i progetti di sviluppo attuati in zona. In 
sostanza nelle sue mani sono racchiusi poteri esecutivi, legislativi e giudiziari. 
L’intermediario tra l’agente politico e le tribù è il malik. In ogni tribù o sotto tribù è presente un 
malik che si occupa di avvisare l’agente politico quando la sua figura si rende necessaria. Il malik è 
responsabile in prima persona del rispetto delle leggi e dell’ordine nella zona a cui appartiene, è lui 
che si occupa della nomina dei khasaadar: uomini presenti in ogni tribù che, sebbene non 
necessariamente organizzati, addestrati o pagati (ma spesso armati di kalashnikov), fungono da 
polizia nell’area.
Rispettati e stimati in quanto uomini di valore ma soprattutto in quanto dotati di molte armi e 
“amici” disposti ad utilizzarle al bisogno, i malik sono oggi come un tempo remunerati dagli agenti 
politici: questa pratica comune spesso è causa di corruzione all’interno della pubblica 
amministrazione. 
Il Frontier Crime Regulation (FCR) è un insieme di leggi che furono emanate dal regime coloniale 
inglese a fine ‘800 nelle terre dell’India del NordOvest abitate dai Pashtun. Come già accennato, il 
FCR è tutt’ora è in vigore nelle aree FATA e si basa sui costumi tradizionali locali e tribali7 e su 
procedure atte a risolvere i conflitti in corso ed assicurare la legge e l’ordine. 
La prima stesura del FCR risale al 1848, seguirono importanti modifiche nel 1873 e ancora nel 1876 
fino ad arrivare alla forma del 1901, stesura attualmente valida e applicata (negli ultimi anni sono 
state approvate varie modifiche, le ultime risalgono al 2011). 
43 
FCR, the black law 
Il Frontier Crimes Regulation è oggi definita “black law” a causa del disinteresse che dimostra 
verso la protezione e la sicurezza dei cittadini a cui è indirizzato. Il rispetto dei diritti umani 
internazionali –anche i più basilari- è spesso tralasciato da questo codice di leggi che prescrive pene 
severe a uomini condannati senza giusto processo e senza diritto di appello. 
Il FCR rispecchia ancora l’intento coloniale britannico di mantenere le zone intorno alla Linea 
Dourand sicure: sebbene la costituzione pachistana dichiari nulle tutte le leggi che non assicurano il 
rispetto dei diritti umani, nella black law sono ancora prescritte e attuate pratiche che violano la 
sicurezza personale, la sicurezza dei detenuti durante il periodo di detenzione, le proprietà private 
dei cittadini e il rispetto della loro dignità. Di seguito sono elencati alcuni dei punti più critici del 
FCR. 
7 . Un importante codice da cui attinge il FCR è il Pukhtoonwali, insieme di norme basate su onore, ospitalità e 
vendetta che regolano e determinano l’ordine sociale e le responsabilità degli appartenenti alle tribù Pashtun. Spesso i 
comportamenti previsti da questo codice sono in contrasto con le norme sharaitiche ma, essendo di più antica 
applicazione, difficilmente vengono messi in discussione.

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Le tribù mediorientali e il caso delle FATA Pachistane

  • 1. ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA SCUOLA DI LINGUE E LETTERATURE, TRADUZIONE E INTERPRETAZIONE Corso di studio in lingue, mercati e culture dell’Asia LE TRIBÙ MEDIORIENTALI E IL CASO DELLE FATA PACHISTANE PROVA FINALE IN CULTURA E LETTERATURA ARABA Relatore: Presentata da: Prof. GIOVANNI DOMENICO BENENATI DANIELA BACCARANI Correlatore: Prof. GIULIO SORAVIA Sessione: III Anno accademico: 2012-2013
  • 2. 2 Alla mia famiglia, al nonno Vincenzo.
  • 3. 3
  • 4. 4 Sommario Introduzione ................................................................................................................................ 6 Quale Medioriente? .................................................................................................................... 9 Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente ............................................................ 12 Antropologia e orientalismo ..................................................................................................... 16 Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente .......................................................... 17 L’antropologia mediorientale oggi .................................................................................... 19 L’Orientalismo ...................................................................................................................... 19 Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e stereotipi ................................................................ 22 Il nomadismo pastorale ......................................................................................................... 22 Il nomadismo pastorale oggi: ............................................................................................ 25 La tribù .................................................................................................................................. 27 La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario ............................ 27 Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi .............................................. 31 I Pashtun ................................................................................................................................... 36 Il caso delle FATA pakistane ................................................................................................... 40 Amministrazione delle FATA .............................................................................................. 42 FCR, the black law ................................................................................................................ 43 La giustizia nelle FATA oggi ............................................................................................... 45 Bibliografia ............................................................................................................................... 48 Sitografia .................................................................................................................................. 48 Ringraziamenti ......................................................................................................................... 50
  • 5. 5
  • 6. 6 Introduzione Nello scegliere l’argomento da trattare in queste pagine ho tentennato più volte. Se lasciarmi andare e imprimere i miei pensieri tra carta e penna mi è sempre risultato facile e gratificante, altrettanto non posso dire dello “scrivere per gli altri”. Un tipo di scrittura-questa- che non può dare interamente sfogo al Mio pensiero, al Mio modo di riempire un foglio nella maniera e con gli argomenti che desidero. Ho cercato quindi di giungere ad un compromesso tra le necessità accademiche e la scrittrice viziata che abita dentro di me: ho pensato ai miei amici, a tutte le battute che mi hanno fatto in questi anni di studio di lingua araba, cultura mediorientale e islamica. Ho pensato a tutti gli stereotipi che io già conoscevo sul Medioriente, e a quanti nuovi ne ho incontrati grazie alle battute che mi venivano –e tutt’ora mi vengono- fatte davanti ad una birra. Ho pensato agli amici ed ho deciso di schiarirgli un po’ le idee mettendo a frutto quanto ho imparato in questi tre anni, quanto ho visto viaggiando qua e là con il corpo ma soprattutto con la mente grazie alla curiosità che mi ha spinto a cercare sempre di più tra siti internet e libri. Inizialmente avevo intenzione di sfatare qualche stereotipo classico sul Medioriente, poi mi son accorta che probabilmente sarebbe stato per me un lavoro noioso in cui avrei solo ripetuto cose già dette e ridette mille volte. Quindi ho cambiato rotta, ho pensato di concentrarmi sul fare chiarezza nel mondo degli stereotipi religiosi. Anche qui mi sono dovuta fermare: un po’ perché anche questa strada era già stata percorsa in tante conversazioni, un po’ perché parlando dell’islam avrei dovuto coinvolgere nel discorso paesi che nulla hanno a che fare con la lingua araba o la cultura mediorientale. Con cosa riempire allora queste pagine bianche? La terza idea è stata quella giusta… Scriverò delle tribù del Medioriente! Anzi! Scriverò prima di cos’è il Medioriente poi parlerò delle sue tribù. Accennerò brevemente a come lo studio di questa parte di mondo è nato, prima di lasciare spazio alle
  • 7. protagoniste. Di loro descriverò la forma, l’economia, le famiglie, la loro grandiosità nel passato… e quello ne resta oggi. Attenzione però! Il Medioriente è un territorio molto vasto, ovviamente le tribù che ospita avranno particolarità diverse da zona a zona… perciò quello che scriverò non potrà essere troppo dettagliato ma sarà solo una descrizione generale. Per quanto che riguarda “il particolare” scelgo invece di concentrarmi su una zona situata al limite asiatico del Medioriente: scelgo di parlare delle Aree Tribali pachistane. Scelgo loro poiché sono aree in cui le tribù hanno ancora un’importanza fondamentale nell’amministrazione della zona in cui sono stanziate. Scelgo loro per curiosità personale, perché se dei beduini dell’Egitto ne sento parlare tutti gli anni in vacanza, delle tribù Pashtun in Pakistan non so quasi niente. Infine scelgo loro anche per comodità: queste zone sono spesso le protagoniste delle pagine di politica internazionale o delle denunce di Amnesty International, il materiale su cui fare ricerca perciò non manca! 7 Buona lettura amici miei!
  • 8. 8
  • 9. 9 Quale Medioriente? Il primo impiego del termine Medioriente risale ai primi anni del XX secolo, quando gli strateghi militari inglesi lo utilizzarono per indicare le zone di loro competenza nelle colonie. E’ quindi un termine carico di connotazioni etnocentriche, eurocentriche e colonialistiche. Oggi tale espressione è conosciuta ed utilizzata nell’area mediorientale ed affianca termini indigeni che si rifanno alla religione e alla posizione geografica: dal al harb e dar al islam م ب و دار ا
  • 10. دار ا rispettivamente la terra della guerra e la terra in cui regna l’islam (e quindi la pace) hanno una connotazione islamico-religiosa mentre i sostantivi Maghreb e Marshreq ق
  • 12. ا indicano le direzioni in cui il sole sorge e tramonta e sono perciò di carattere più geografico. Il Medioriente, che nel tempo ha subito tagli e aggiunte alle terre considerate parte di esso, al giorno d’oggi occupa territori appartenenti a ben tre continenti diversi (Africa, Asia ed Europa) e si estende lungo la fascia Rabat - Teheran per più di cinquemila chilometri. In aggiunta a questo vastissimo territorio, molti studiosi considerano parte del Medioriente anche l’Afghanistan, il Pakistan e porzioni dell’Asia centrale ex sovietica e dell’India grazie alla loro vicinanza storica, linguistica e culturale. Figura 1 Medio Oriente nella sua accezione tradizionale “Grande Medio Oriente” come definite dal G8 Aree a volte associate al Medio Oriente per questioni socio
  • 13. La scelta di questi confini, che come già detto è variata nel tempo, è dovuta comunque a ragioni che spaziano dalla storia, all’economia, alla cultura, e più in particolare possiamo identificare due principali motivazioni. · La prima di carattere storico-territoriale: l’area medio orientale si sovrappone approssimativamente con estensione territoriale raggiunta dai tre grandi imperi della storia musulmana, prima l’Umayyade, poi l’Abbaside ed infine l’Ottomano. · La seconda di carattere culturale: in questi territori usi, costumi e organizzazione 10 sociale hanno un’estesa base comune. Nonostante ciò, è possibile -ed è quello che fa l’antropologo Fabietti- individuare quattro sotto-zone che meglio definiscono i territori mediorientali: · l’area afghano-pakistana → in essa predominano le popolazioni di origine turcomanna nella parte afghana, mentre in quella pakistana predominano popolazioni di lingua baluch e brahui; · l’area turco-iraniana → vi è una massiccia presenza di popolazioni di origine turcomanna parlanti dialetti di origine turca o persiana; · l’area della Penisola Arabica (con annessa la ragione ad occidente della Mesopotamia, confinante con la Penisola del Sinai ad ovest e con i monti Tauro a nord) dove la popolazione è prevalentemente semitica, parlante lingua araba. Questa è l’area in cui, a partire dal VII sec d.C., nacquero quei modelli culturali, politici ed sociali destinati a dare un’impronta caratteristica e decisiva al Medioriente considerato come un’unica grande area culturale; · l’area nordafricana compresa tra Egitto e Mauritania → islamizzata progressivamente fin dai primi tempi dell’espansione araba e nella quale le popolazioni provenienti dalla Penisola Araba si sono mescolate con le popolazioni indigene. Quest’area - il Maghreb- sfuma a sud verso il Sudan e il Corno d’Africa, dove la cultura dei popoli nomadi entra in contatto con quella delle popolazioni nere, talvolta anch’esse islamizzate, ma in possesso di forme di organizzazioni sociale nettamente differenti.
  • 14. Se fin qui ho illustrato in breve cosa il Medioriente è, per completezza ora dirò cosa il medio oriente non è: · non è la terra dell’Islam. Sebbene la religione islamica sia notoriamente la più diffusa, non possiamo ignorare la presenza di numerose comunità ebraiche e cristiane diffuse su gran parte del territorio; · non è il mondo arabo. La lingua araba (con numerosi dialetti regionali) è la più parlata ma non è l’unica. In queste zone si incontrano diverse lingue come ad esempio il curdo, l’ebraico, il berbero, il pashtu, il persiano, il turco, il baluchi e altre lingue africane… Se è formalmente errato definire il Medioriente come terra araba e islamica, è comunque innegabile l’importanza di queste due caratteristiche che sono state il filo conduttore e unificatore di una base culturale e politica comune. 11 Figura 2 Lingue parlate nella zona mediorientale. Dati in colonna: -totale della popolazione parlante la lingua (espressa in migliaia di unità). -percentuale di diffusione di tale lingua sul totale dei fedeli musulmani.
  • 15. 12 Le influenze islamiche e arabofone nel Medioriente La fede islamica è sicuramente quella che ha plasmato maggiormente la zona mediorientale in base ai suoi canoni. L’Islam formalmente nasce nel 622 d.C. (corrispondente all’anno 0 del calendario musulmano) nel cuore della Penisola Araba. L’ambiente in cui il Profeta Mohamed (nome completo د م و ا ا م ن ھ ب ا ط د ا ن ا د ن ا ) predica i suoi insegnamenti è lo stesso in cui il Primo Islam si sviluppa: le caratteristiche politiche e linguistiche assieme alle tradizioni religioso-culturali sono inevitabilmente entrate a far parte dell’impianto islamico. Con l’espandersi del Credo fuori dai confini arabi, alcune di queste caratteristiche, ormai intrinseche della fede musulmana, sono state conservate e accettate dalle nuove popolazioni convertite. Giunta fino al sud est asiatico, la fede islamica subisce solo occasionalmente delle variazioni (adorazione o meno di alcuni santi, riti pagani che si trasformano in riti islamici, etc…) ma la dottrina religiosa rimane invariata poiché scritta nel Testo Sacro
  • 17. ا e quindi immutabile. Parlare di espansione della fede islamica non significa solamente discutere di preghiere, fede e riti, ma significa anche parlare un impianto legislativo che, basandosi sul Corano e sulla Sunna ا (consuetudini e modi di comportarsi del Profeta e delle prime generazioni islamiche), va a coesistere -se non addirittura a sostituirsi- con le leggi nazionali. È per questo motivo che ancora oggi, a distanza di secoli, in stati molto distanti l’uno dall’altro, con etnie, e climi completamente differenti, possiamo riscoprire una base legislativa islamica comune.
  • 18. Se il contenuto del messaggio islamico ha influenzato il metodo di approccio a Dio con la religione e il metodo di approccio agli altri uomini tramite la legge islamica Shari’a
  • 19. , anche il messaggio in sé –ovvero il metodo di comunicare utilizzato- ha in qualche modo influenzato la comunità. Secondo la religione islamica Dio scelse la lingua araba per manifestarsi perché “la più chiara e la più eloquente”. Tramite la religione l’arabo la conoscenza dell’arabo si è espansa fino ai confini asiatici poiché ogni musulmano è tutt’oggi tenuto a conoscere, recitare e comprendere il Testo Sacro nella sua lingua originale. Ibn Taymiyya (1263 –1328) giurista e teologo siriano musulmano così scriveva: Quando prendiamo l'abitudine di parlare in altre lingue a parte l'arabo , il quale è simbolo dell'Islam e la lingua del Corano, al punto che diventa uso comune con i membri della famiglia, con gli amici del mercato, nel parlare con funzionari governativi o altre autorità, o con persone di scienza, e senza dubbio ciò, diventa una cosa detestabile Makruh 13 Figura 3 Applicazione della Shari’a Stati a maggioranza musulmana e membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica in cui la Shari’a non condiziona il sistema giuridico. Stati in cui la Shari’a è coinvolta nel diritto di famiglia (matrimonio, divorzio, figli) e diritto successorio. Le latre materie osno trattate con leggi secolari. stati in cui la Shari’a è applicata ad ogni material giuridica. Paesi che hanno approvato variazioni locali alla Legge.
  • 20. poiché adottiamo le abitudini dei non-arabi che sono detestabili Makruh,… Quando i pii predecessori andarono a vivere in Siria e in Egitto, dove la gente parlava greco bizantino, o in Iraq e Khorasan (n.d.r. attualmente una regione dell'Iran), dove la gente parlava persiano, o nel Nord Africa (al-Maghreb) dove la gente parlava Berbero, essi insegnarono ai popoli di questi paesi a parlare l'arabo, in modo che l'arabo diventasse la lingua più comune del paese. Cosicchè tutte le persone, musulmane o no, parlavano fluentemente l'arabo, senza distinzione. e più avanti replicava: Inoltre, la lingua araba è di per sé parte dell'Islam ed è un obbligo religioso. In effetti, è un dovere capire il Corano e la Sunna che non possono essere compresi senza conoscere l'arabo, quindi i mezzi necessari per adempiere a questo dovere religioso diventano anch' essi obbligatori. Oggi l’arabo è la lingua nativa di più di 250 milioni di persone residenti negli stati compresi tra il Marocco, ad Occidente, e l'Iraq, ad Oriente. È la sesta lingua parlata al mondo ed è una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite. In passato molte lingue non semitiche hanno usato la scrittura araba, è il caso del persiano, del turco, del maltese e del wolof in Africa. Alcune utilizzano questo alfabeto ancora oggi (persiano e altre lingue indoeuropee minori). 14
  • 21. 15
  • 22. 16 Antropologia e orientalismo Se del Medio Oriente conosciamo bene la tradizione colta, fatta di grande storia, scienza, politica, filosofia, ben poco sappiamo della piccola tradizione, quella che pone le sue basi sulla vita più pragmatica delle comunità locali, sulla loro organizzazione sociale e sul loro quotidiano fatto di usi, costumi e prassi religiose ben distanti da quelli rappresentati nella grande letteratura. L’antropologia, che si occupa proprio di scoprire e studiare la piccola tradizione, ha fatto la sua comparsa tra questi popoli con un discreto ritardo causato dallo scarso interesse dell’uomo europeo verso usi e costumi appartenenti a queste zone così “barbare ed arretrate”. Fino a metà del sec. XVIII gli unici europei che si inoltravano per queste terre lontane erano mossi solo dal desiderio di conoscere i luoghi in cui il Cristo aveva vissuto e di cui la Bibbia narrava. A partire dalla metà del XVIII sec. l’Europa comincia finalmente ad interessarsi e scoprire queste aree sotto il profilo della moda, dell’antiquariato, dell’archeologia… aree che erano, poiché sviluppatesi in contesti storico-culturali differenti da quelli europei, ovviamente anch’esse differenti dalle mode e dagli usi europei. Tale differenza non venne vista come la naturale conseguenza di un ambiente diverso da quello europeo, venne piuttosto interpretata come il risultato e il sunto di una generale arretratezza dell’uomo mediorientale. I viaggi nel medio oriente iniziarono così ad essere una lente attraverso cui poter vedere “noi europei” in epoche passate: viaggiare nello spazio diventò sinonimo di viaggiare nel tempo. L’uomo europeo poteva vedere sé stesso agli albori della sua civiltà. Il viaggiatore filosofo che naviga verso le estremità della terra ripercorre in effetti il cammino dei tempi: viaggia nel passato; ogni passo che compie è un secolo che oltrepassa.1 1 De Gèrando, 1970, p.367
  • 23. Oltre a conquiste e viaggi “nel tempo”, nel XVIII secolo si assiste ad un crescente interesse per l’esotismo. Campagne militari, resoconti di viaggiatori, reperti archeologici giunti da terre lontane, accendono nell’uomo europeo la sete di conoscenza dell’altro. Il mondo mediorientale inizia quindi a palesarsi agli europei rimasti in patria anche tramite la traduzione di romanzi, opere teatrali, opere musicali e, più tardi, cinematografiche. Tutto ciò contribuirà in maniera massiccia a definire molti di quelli stereotipi che tutt’oggi sono radicati nelle nostre menti. Curiosità: L’esempio più conosciuto di viaggio che unisce interessi economici, militari e scientifico-antropologici è sicuramente la spedizione che nel 1798 vide come protagonista un Napoleone deciso a conquistare l’Egitto sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista intellettuale: al seguito del suo esercito viaggiavano infatti geografi, ingegneri, matematici, naturalisti, pittori, linguisti, orientalisti. 17 Nascita e sviluppo dell’antropologia nel Medioriente Come già accennato prima, l’antropologia ha fatto la sua comparsa sulla scena mediorientale piuttosto tardi rispetto al continente africano e sud americano. Questo ritardo è dovuto in primis alla presenza degli studi orientalistici che, basandosi sulla grande tradizione (scienza, storia, filosofia, poesia…) hanno tralasciato le materie prettamente antropologiche della “piccola tradizione”. Inoltre, era prassi in quei tempi che gli antropologi si occupassero dello studio di società semplici, piccole, con una bassa differenziazione della popolazione in termini di economia, lavoro, religione, status etc. per questo motivo la società mediorientale, vasta e complessa, non era in grado di suscitare particolare interesse. Il Medioriente, mosaico di culture, lingue, economie, politiche etc etc. mal si adattava allo studio antropologico classico che mirava alla descrizione di una società tramite il suo posizionamento entro schemi ben definiti. Fu solo a partire dagli anni 40 che gli antropologi cercarono di compiere in quest’area gli stessi studi che anni prima furono condotti nell’Africa nera: se le ricerche sul continente sub-sahariano furono complete e dettagliate, altrettanto non
  • 24. avvenne nel più complesso e articolato Medioriente dove gli studi furono sì dettagliati, ma circostanziali. La complessità dell’ambiente mediorientale fu celata dietro a descrizioni che riguardavano solo le piccole comunità, mentre le grandi culture, le grandi società furono ignorate: al mosaico mediorientale mancavano molti tasselli. La maggior parte degli studi che prendevano in esame le società semplici, divideva il campo d’indagine in tre blocchi entro cui operare: le ricerche erano divise tra comunità agricole, comunità nomadi e comunità urbane. Così ripartite, queste indagini non potevano di certo mettere in luce tutte le caratteristiche della zona poiché la comprensione di un tipo di comunità è spesso, se non addirittura sempre, subordinata alla presa in considerazione di tutto ciò che la circonda. Va da sé che, nel momento in cui l’ambiente circostante viene tralasciato, lo studio e la comprensione delle caratteristiche di una determinata zona vengono enormemente impoveriti. Solo quando i limiti di questa strategia furono evidenti, gli antropologi riorganizzarono le loro indagini basandosi, questa volta, su tre modelli di ricerca. · Il primo si interessava della sfera socio-economica: prendendo in esame un gruppo specifico, si cercava di analizzare l’interagire del gruppo stesso con l’esterno in termini di economia e di politica. · Il secondo modello mirava invece ad una prospettiva più regionale: si studiavano gruppi, comunità ed istituzioni presenti in un delimitato ambiente geografico, cercando di capire in che modo e in che misura questi fattori fossero correlati e dipendenti uno dall’altro. 18 · Il terzo modello infine consisteva nello studio delle cosiddette “interfacce culturali” ovvero i punti in cui le varie componenti di una società e di una cultura entrano in contatto, si sovrappongono e si intrecciano con le componenti di altre.2 Questi punti potevano essere identificati in diversi contesti: ad esempio potevano riguardare sia il piano spaziale (mercati e santuari) sia il piano religioso (presenza di un leader-maestro condiviso da più comunità). 2 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39
  • 25. 19 L’antropologia mediorientale oggi Oggi prevale la tendenza che consiste nell’accostarsi allo studio di società dell’area mediorientale attraverso il tentativo di individuare dei “campi d’azione” e delle “aree di significato”, come le relazioni interpersonali, il genere, la trasmissione o la riproduzione del sapere, i media, tutti campi al cui interno si realizza il processo di scambio sociale e simbolico, piuttosto che mediante lo studio di determinati “sotto-settori” socioculturali (economia, religione, politica ETC ).3 Non dobbiamo tralasciare inoltre l’aiuto che la tecnologia ha dato negli ultimi decenni: grazie a televisione, internet, telefoni cellulari ecc il numero di comunicazioni è cresciuto in maniera esponenziale, favorendo indirettamente lo studio delle culture locali. L’Orientalismo · Atteggiamento caratterizzato da uno spiccato interesse e da una forte ammirazione per ciò che è orientale, per la civiltà e la cultura dell’Oriente. L’interesse formale e contenutistico rivolto, dalla letteratura e dalle arti figurative europee, alla cultura e agli usi orientali, rientra in senso generico nell’ambito dell’esotismo. In senso stretto una forte corrente di gusto iniziò nei primi anni del 18° sec. in Francia con la pubblicazione delle Mille e una notte e delle Cent estampes (1715) . Enciclopedia Treccani · La tendenza artistico - letteraria e la corrente di studi e ricerche nati, nei secc. 18° e 19°, dal contatto della cultura europea con le culture e le tradizioni dei Paesi orientali, ossia con il mondo musulmano e asiatico. Tale contatto, frutto delle conquiste coloniali e imperiali e delle esplorazioni geografiche, permise un progresso significativo della conoscenza di storia e cultura delle società orientali, nutrendo al 3 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 39
  • 26. tempo stesso miti esotici e romantici tesi a costruire l’immagine di un Oriente oscuro e selvaggio. L’orientalismo rivelò in campo letterario e accademico un atteggiamento di superiorità intellettuale e antropologica giustificante un presunto intervento civilizzatore europeo, come ha denunziato in un saggio famoso il critico palestinese E. 20 Said. Dizionario di storia - Treccani Con la sua opera, Said volle appunto denunciare l’ideologia di questo movimento che fondava i suoi saperi e i suoi assunti su di un confronto tra l’Oriente e il colonialismo occidentale che era pilotato a dovere dai vertici coloniali europei. L’intento di Said fu quello di dimostrare come il sapere accumulato sotto il termine Orientalismo altro non era che una ricostruzione del mondo e delle conoscenze orientali viste con gli occhi del colonizzatore occidentale, colonizzatore che in quanto tale aveva scopi e interessi ben distanti da quelli della mera e sincera conoscenza dell’altro. Colonizzatore che invece intendeva il sapere come fonte di potere e che probabilmente è stato causa di molti di quegli stereotipi negativi (anche se non mancarono quelli positivi!) che tutto’ora rimangono vivi. Curiosità: Il governo francese intraprese una massiccia attività di ricerca in vari stati-colonie per raccogliere quante più informazioni possibili sui territori posti sotto il suo dominio. Per quanto riguarda il dominio anglosassone –assieme a quello francese il più presente nel mondo arabofono- le ricerche furono molto meno intense: i loro studi si rivolsero principalmente al subcontinente indiano.
  • 27. 21
  • 28. Nomadismo, pastorizia e tribù tra realtà e stereotipi Spesso, nell’immaginario occidentale comune, il beduino è un nomade che vive in una tribù nel deserto allevando capre o cammelli. Nomadismo, pastorizia, tribù e beduini sono quindi associati alle stesse scene di popoli abitanti zone aride e praticanti un’economia di sussistenza. Seppur quasi sovrapponibili nel nostro immaginario occidentale, i termini nomadismo, pastorizia, tribù e beduini abbracciano sfere di significato totalmente diverse l’uno dall’altro. Nomadismo si riferisce ad una condizione spazio-geografica dell’uomo, la pastorizia riguarda il metodo di sussistenza (e non comporta necessariamente il nomadismo!), la tribù riguarda un tipo di organizzazione sociale ed infine l’essere beduino descrive una particolare identità culturale. Contrariamente a quanto molti possano pensare, non necessariamente queste quattro condizioni devono coesistere: osservando con occhi più attenti la realtà mediorientale, ci accorgiamo, infatti, che esistono gruppi pastorali che non sono classificati nè come tribù né come beduini (il caso dell’Oman.); nel Marocco occidentale, in Iran e Iraq troviamo invece tribù che durante l’anno alternano periodi di nomadismo (per far pascolare pecore a capre) a periodi d’insediamento nei villaggi. Cercherò in questo capitolo di fare un po’ di chiarezza sulla pastorizia nomade e sulla tribù con le sue regolo e i suoi costumi. 22 Il nomadismo pastorale Se il nomadismo indica un gruppo di persone che si muove da un posto all’altro con scopi e mete precise, possiamo descrivere il nomadismo pastorale mediorientale come una pratica che permette agli allevatori di cammelli, pecore e capre di sfruttare al meglio le risorse in luoghi spesso troppo aridi per praticare un allevamento più sedentario. Lo sviluppo della pastorizia nomade, e la sua diffusione in tutta l’area mediorientale, ebbe origine con l’addomesticamento del cammello avvenuto verso la fine del terzo millennio a.C.
  • 29. nella Penisola Araba (svilluppo molto più tardivo rispetto all’allevamento dei primi animali). Fu proprio allevamento del cammello, così resistente da poter sopportare i climi desertici e così rapido da poter attraversare con facilità lunghe distanze su terreni spesso sabbiosi, che permise ai popoli della Penisola di emergere come unità sociali e politiche definite e coese. L’allevamento del cammello si espanse successivamente dalla Penisola a tutta la zona mediorientale percorrendo la “Via dell’incenso” che metteva in comunicazione l’attuale Yemen (L’Arabia Felix) con i centri urbani della regione siriaca: i grandi animali, qui impiegati per il trasporto delle merci, arrivarono presto ad essere allevati anche nel Nord - Arabia e nell’area della Mezzaluna fertile. I gruppi nomadi che nel corso del tempo si sono formati vengono classificati secondo la differente tipologia di modello migratorio: da una parte troviamo i nomadi del Nord Africa e della Penisola Araba, dall’altra troviamo invece le popolazioni più orientali della Penisola Anatolica, la Mesopotamia e i territori fino al Baluchistan. La sostanziale differenza tra questi due modelli è dovuta alla morfologia dei territori e di conseguenza ai climi presenti: · Il modello verticale, caratteristico dell’area turco-iraniana, descrive spostamenti su aree con differenti rilievi. Questo alternarsi di diverse altitudini, assieme all’alternanza dei climi e delle piogge, permette ai nomadi di riuscire ad ottenere risorse sufficienti al sostentamento dei loro animali durante tutto l’anno. · Il modello orizzontale non implica spostamenti entro aree poste ad altezza differente. Le risorse disponibili alla pastorizia non sono influenzate da variazioni altimetriche ma dipendono piuttosto dall’abbondanza delle piogge. La scelta del tipo di nomadismo è determinata in primo luogo dal tipo di conformazione geologica presente nella zona abitata, ma anche dal tipo di animali allevati: il cammello per esempio, è un animale molto robusto, riesce a sopportare le grandi escursioni termiche caratteristiche del deserto, è molto veloce negli spostamenti sul suolo sabbioso e può sopravvivere diversi giorni senza mangiare e bere ma, a differenza delle capre e delle pecore, è però un animale poco prolifico. Gli ovini invece sono animali meno mobili del cammello ed esigono una presenza quasi costante dell’uomo poiché tendono a disperdersi facilmente; la pecora è quella meno resistente e ha bisogno di essere abbeverata più frequentemente della capra. Capra e cammello, infine, hanno un pascolo meno selettivo e possono quindi accedere a più tipi di foraggio senza problemi. 23
  • 30. Se queste caratteristiche hanno condizionato le scelte dei pastori per diversi secoli, la recente modernizzazione ha permesso una pastorizia meno condizionata: l perforazione di pozzi in tutto il Medioriente ha risolto il problema delle risorse idriche mentre la motorizzazione ha permesso l’attraversamento del deserto a greggi inadatti a terreni sabbiosi. Generalmente le unità di nomadizzazione sono costituite da gruppi di famiglie (spesso imparentate tra loro) che volontariamente scelgono di unirsi per gestire al meglio le risorse idriche, i pascoli e gli animali che, essendo spesso di specie diverse ed avendo perciò necessità diverse, richiedono una manodopera superiore a quella che una sola famiglia potrebbe avere a disposizione. Le dimensioni di questi gruppi variano a seconda delle stagioni e del tipo di nomadismo effettuato: i pastori che seguono il modello orizzontale generalmente si disperdono durante la stagione più fresca in cui è più facile accedere alle risorse idriche, per poi concentrarsi attorno ai pozzi durante la stagione secca; i pastori che si dedicano ad un modello di nomadismo verticale invece tendono a formare gruppi più numerosi durante la stagione fresca e a disperdersi sui pascoli d’altura durante l’estate. Se la motorizzazione ha garantito una più semplice capacità di spostarsi, la generale modernizzazione ha anche ridimensionato l’importanza della tribù in quanto unità sia politica ma soprattutto di difesa per cui oggi, indipendentemente dall’ambiente e dalla stagione in cui i nomadi operano, oggi è difficile vedere assemblamenti composti da numerose tende. Quindi, se il nostro immaginario collettivo occidentale vede ancora un Medioriente popolato ovunque da pastori nomadi... dobbiamo ricrederci poiché a partire dal VIIIXX secolo si è innescato un processo che -con tempistiche e metodi diversi nella varie zone- ha portato il nomadismo pastorale a subire un drastico calo. Tra le cause più importanti possiamo citare: · l’estensione delle terre coltivate è andata aumentando, facendo diminuire lo spazio 24 riservato al pascolo. · nel corso del tempo il bestiame è diventato un investimento sempre meno redditizio e ha costretto molti pastori ad impiegarsi in attività alternative. · incentivi statali che “invitarono” molte tribù nomadi a sedentalizzarsi allo scopo di modernizzare l’economia e il paese. · trasformazioni politiche ed economiche a seguito della decolonizzazione · ricchezza derivante dalla vendita del petrolio
  • 31. · forte periodo di siccità e carestia tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni 25 Sessanta. Il nomadismo pastorale oggi: ... aspetti del nomadismo tipici del passato sono ormai scomparsi, come ad esempio la funzione svolta dai nomadi nel commercio trans-sahariano, per non parlare poi di quello che collegava regioni lontane come la Cina e il sud dell'Arabia con le coste del Mediterraneo orientale (la via della seta, la via dell'incenso, ecc.). Anche la loro funzione di rifornitori di animali sui mercati è largamente in declino. L'allevamento nomade condotto con metodi tradizionali si è rivelato non concorrenziale rispetto a quello stanziale condotto con tecniche moderne. I gruppi che sono rimasti radicati a questa forma di esistenza hanno però, almeno in alcuni casi, saputo sfruttare le nuove opportunità offerte dai governi dei loro paesi (v. Fabietti, 1984, 1990 e 1994), o sono riusciti a integrare le attività tradizionali con altre fonti di reddito, praticando lavori stagionali nelle città o presso gruppi di agricoltori (v. Salzman, 1971). Il nomadismo pastorale è complessivamente in declino ma non è morto. Non ci si dimentichi infatti delle sue origini, che furono non solo di tipo produttivo ma anche politico. Il nomadismo pastorale, così come si presenta oggi nelle regioni aride dell'Africa e del Medio Oriente, continua a costituire una scelta adattiva sempre praticabile di fronte a determinate circostanze di tipo politico. Enciclopedia delle scienze sociali 1996: -Nomadismo
  • 32. 26 Nelle due immagini seguenti è espresso il tasso di urbanizzazione presente nella zona mediorientale: è evidente come in pochi anni molte popolazioni nomadi o rurali si siano mosse verso i centri urbani. Figura 4 Popolazione urbana nel 2009 Figura 5 Popolazione urbana nel 2014
  • 33. 27 La tribù Con il sostantivo tribù la lingua italiana indica un raggruppamento sociale autonomo, con proprio ordinamento e proprio capo, formato da più famiglie aventi lingua, etnia e costumi uguali. Questa definizione, che sembra piuttosto semplicistica, può essere ampliata e modificata semplicemente contestualizzandola. Sarà infatti noto a tutti che tribù di vario genere sono presenti su tutto il globo, ciò che invece può sfuggire ai meno attenti è il fatto che non vi siano limiti precisi per descrivere una tribù in quanto tale: non esistono vincoli riguardo a dimensioni, estensione, tipo di ordine sociale, etc. Per fare un semplice esempio basta accennare alle diversità presenti tra tribù mediorientali e tribù sub sahariane in merito alla percezione dell’autorità regnante: se nell’Africa Nera la maggior parte delle tribù é governata da monarchie che man mano assorbono o sottomettono altre monarchie, nel Medioriente invece le tribù coesistono o si oppongono all’autorità regale ma -il più delle volte- non fanno parte di quest’ultima. Nel panorama mediorientale le tribù hanno da sempre avuto una grande importanza sia in termini politici sia in termini sociologici, è per questo motivo che molti studi sono stati compiuti a riguardo. La tribù come organizzazione socio-politica e il modello segmentario Nonostante in Medioriente vi siano diverse ideologie socio-politiche, la maggior parte di queste si fonda sulla consapevolezza di un’identità basata sulla discendenza parentale (quasi sempre patrilineare) comune. È proprio da questa consapevolezza di appartenenza al gruppo-tribù che arrivano una serie di diritti comuni a tutti i membri che riguardano l’utilizzo delle risorse, la gestione e la difesa del territorio tribale. Figura 4 Diramazione del lignaggi di una famiglia
  • 34. Da un punto di vista formale la tribù, con le discendenze parentali sulle quali è basata, può essere descritta come un albero rovesciato dove i rami -i gruppi di discendenza o lignaggi-confluiscono 28 nel tronco centrale. In questa descrizione, l'antenato apicale A indica il punto di partenza per la formazione della tribù; nel tempo i figli B, i nipoti C e i pronipoti hanno “allargato” tale tribù formando dei sottogruppi di famigliari: i lignaggi. Ogni lignaggio è descritto come il gruppo formato a partire dai discendenti di un individuo figlio dell'antenato: questa catena ripercorre tutto l'albero genealogico formando -ad ogni generazione- ipotetici nuovi lignaggi fino ad arrivare alla generazione oggi in vita (quella alla base dell'albero). Come sostiene Sahlins, i lignaggi possono essere descritti come: -strutturalmente equivalenti in quanto all'interno di una struttura considerata nel suo complesso e a ciascun livello di segmentazione, essi potrebbero essere scambiati di posto senza che per questo l'immagine formale della struttura totale venga alterata. -funzionalmente equivalenti poiché essi svolgono le stesse funzioni a livello politico, economico, rituale, etc... -politicamente uguali perché a ciascun livello di segmentazioni essi non sono gerarchizzati ma agiscono come entità autonome e indipendenti. Tutto ciò ovviamene non vuol significare che i lignaggi siano morfologicamente uguali tra di loro: il numero dei loro componenti può variare sensibilmente nel corso del tempo, così come può cambiare il loro peso politico in funzione della loro ricchezza o della quantità di risorse da essi gestita. Il processo di formazione dei lignaggi è detto processo di segmentazione o modello segmentario. Con il modello segmentario, descritto per la prima volta dall’antropologo Evans-Pritchard durante gli studi compiuti sui Nuer del Sudan, è possibile descrivere dalla piccola tribù alla società più complessa in quanto il principio alla base del processo è lo stesso in ogni gruppo-società. Tale modello ha permesso inoltre di sfatare il mito occidentale che vedeva le società nomadi come società “meccaniche” e statiche: se ciascun gruppo si presenta come un'unità autonoma ad un certo livello di segmentazione, al livello superiore si presenta come parte integrante di un gruppo di esteso.
  • 35. nella figura quando Z1 combatte Z2 nessun altro segmento resta coinvolto. Quando Z1 combatte Y1, Z1 e Z2 si uniscono e la loro unità è indicata come Y2. Quando Y1 combatte X1, Y1 e Y2 si uniscono e così fa X1 con X2. Quando X1 combatte A, X1 X2 Y1 e Y2 si uniscono nell’unità B. quando A fa una razzia contro i Dinka (vicini dei Nuer) A e B si uniscono. 4 29 Un antico proverbio in lingua araba recita ! وا # وأ ! ا % ي () وأ # ي وأ () أ % # ا *
  • 36. ا % io contro mio fratello; io e mio fratello contro nostro cugino; io, mio fratello e nostro cugino contro tutti. Il proverbio sintetizza bene la dinamica interna della struttura sociale dove gli individui appartenenti ai diversi lignaggi devono essere pronti a far fronte a casi mutevoli per cui un alleato di oggi può benissimo diventare un nemico di domani e viceversa. Va però detto che il funzionamento tribale descritto in questa figura vale esclusivamente a livello astratto: a livello empirico capita spesso, infatti, che ogni gruppo si opponga ad altri gruppi al fine di mantenere la propria identità, indipendentemente dal “livello” di vicinanza e parentela. 4 Evans-Pritchard, 1995, p.199 Figura 5 Rappresentazione del modello di Evans-Pritchard
  • 37. Se il modello segmentario rappresenta la teoria di quanto avviene all’interno dell’albero genealogico, ben differente è quanto accade nella realtà: le genealogie sono quasi sempre storicamente inesatte poiché manipolate per poter legittimare determinate scelte politiche, alleanze o conflitti. Vi sono casi in cui la genealogia è modificata senza un’esplicita intenzione. È il caso dell’accorciamento delle linee di successione: sappiamo che in Medioriente è d’uso comune la prassi di attribuire al primogenito il nome di un parente (spesso padre o nonno) deceduto così che la linea di discendenza conservi gli stessi nomi. In una situazione come questa, è facile che con il passare del tempo più persone vengano riunite sotto lo stesso nome. Se per esempio la linea di discendenza porta i nomi A, B, A, B, A, B… con il trascorrere delle generazioni tutti gli A sono riuniti sotto un solo A, così come tutti i B diventino un solo B e la rappresentazione dell’albero genealogico verrà accorciata. Egli è mio figlio ma anche mio padre, dal momento che porta il suo nome. Non potrei mai colpirlo perché sarebbe come colpire mo padre. Quando egli crescerà e io diventerò vecchio si prenderà cura di me come se fossi suo figlio.5 Vi sono invece situazioni in cui la manipolazione della genealogia avviene coscientemente: solitamente è il capo tribù (che ha conoscenze può vaste rispetto ai suoi compagni per su quanto riguarda le genealogie e le parentele della zona in cui vive) che si occupa della politica e delle relazioni con le altre tribù. È lui che può scegliere di “dimenticare” la relazione di parentela che lega la sua famiglia ad un lignaggio vicino o che può inventare nuove parentele per affermare e “regolarizzare” rapporti con lignaggi o intere tribù non consanguinee. Per quanto riguarda la situazione odierna sul mondo tribale, scelgo di citare ancora una volta Fabietti che con chiarezza ci spiega che: il tribalismo, spesso considerato come una sopravvivenza di strutture di relazioni e di concezioni della società ti tipo arcaico (atavico) nel contesto della modernità, altro non è, almeno nella maggioranza dei casi, che una risposta al venir meno di istituzioni e ideologie unificanti che solo apparentemente si configura come “ritorno alla tradizione”. Tale tradizione, a cui i tribalismi fanno riferimento 30 5 Peters, The proliferation pagg 33-34
  • 38. nel tentativo di legittimare le differenze, la competizione e il conflitto tra gruppi, è in realtà il più delle volte frutto di un’invenzione che, riprendendo simboli culturali avulsi dal loro contesto, costruisce attorno ad essi un’identità nuova e tuttavia rappresentata e presentata come autentica. Invece di costituire delle insorgenze di tratti arcaici, i tribalismi contemporanei sono di fatto manifestazioni della concorrenza tra gruppi che tentano di accedere a nuove risorse messe in circolazione dagli stati post-coloniali (Pakistan), dagli interventi umanitari (Somalia) e dagli investimenti internazionali; oppure della lotta fra gruppi emergenti al fine di occupare posizioni vantaggiose all’interno di un quadro politico disgregato (Afghanistan).6 31 Famiglia, matrimonio e rapporti sociali nelle tribù nomadi Di norma i popoli nomadi dell’area mediorientale descrivono qualunque tipo di raggruppamento concreto in termini di tende e ad ogni tenda corrisponde una famiglia. L’unità domestica, base di produzione e consumo, è rappresentata dal capofamiglia che solitamente corrisponde al membro più anziano: è il suo nome ad indicare la tenda-famiglia e a distinguerla dalle altre. La famiglia è proprietaria di tutti i beni mobili di cui dispone inclusi gli animali, la gestione dei quali è prerogativa esclusiva del capofamiglia. Contrariamente a quanto la visione occidentale può far supporre, anche la donna nomade può possedere capi di bestiame (che verranno gestiti assieme agli altri della famiglia). Nelle società patrilineari come quelle mediorientali, è fortemente radicata l’usanza di anteporre la figura maschile a quella femminile: agli uomini spettano i ruoli ritenuti più importanti -come l’esercizio dell’autorità- e tutti i compiti che richiedono maggiori capacità intellettuali. In linea di massima quindi sono indirizzati a mansioni che li inseriscono nella sfera pubblica (attività connesse in modo diretto con la pastorizia e l’agricoltura laddove questa sia praticata, commercializzazione di animali e dei prodotti da essi ricavati) mentre alle donne è riservato un ruolo domestico, circoscritto alla sfera privata della tenda (preparazione 6 U. Fabietti. Culture in bilico. Antropologia del Medioriente. pag 92
  • 39. degli alimenti, tessitura, confezione di abiti, tosatura degli animali, trasformazione dei prodotti della pastorizia). La possibilità che ha un individuo di creare un’unità famigliare indipendente è legata essenzialmente alla capacità di disporre dei beni necessari al versamento della “compensazione matrimoniale”. Quest’ultima solitamente varia in base alla distanza genealogica tra i due coniugi: più elevata è la distanza di parentela, più sostanziosa sarà la “dote” che generalmente è composta da animali, oggetti di uso corrente, gioielli e –al giorno d’oggi- soprattutto denaro. Tale denaro, assieme agli altri beni, viene utilizzato nel quadro dell’economia famigliare della futura sposa per acquistare beni di uso corrente e animali oppure può essere tenuto in serbo per costituire un fondo di prelievo in vista del futuro matrimonio di figli maschi i quali, a loro volta, dovranno pagare una dote alla famiglia delle loro spose. Nelle famiglie nomadi mediorientali, è radicato l'ideale culturale che auspica l'unione tra individui facenti parte dello stesso gruppo di discendenza. I matrimoni endogamici consentono infatti di evitare problemi riguardo alla gestione delle proprietà e soprattutto dei figli (la cui potestà è riservata esclusivamente al padre) e della moglie (che a seconda dei casi è tenuta ad obbedire o al marito, o al padre o ad entrambi). La cultura nomade designa il matrimonio tra cugini paralleli (figli di due fratelli) come miglior caso ma, sebbene il matrimonio endogamico sia il più auspicato a livello teorico, in realtà questo tipo di unione rappresenta ormai una piccola percentuale tra tutti i matrimoni: la diffusione generale della modernità e delle sue implicazioni hanno innescato un lento ma costante processo di trasformazione nella concezione dei rapporti tra sessi diversi per cui oggi si assiste sempre più facilmente a matrimoni tra individui non consanguinei. 32
  • 40. 33
  • 41. La situazione di sostanziale indipendenza politica e amministrativa che caratterizzava le tribù mediorientali è andata affievolendosi negli ultimi decenni. Le sedentarizzazione delle genti tribali ha permesso agli stati nazionali di esercitare un maggiore controllo su queste popolazioni che, se sul piano sociale si identificano ancora come appartenenti a determinati lignaggi, su un piano più pragmatico sono membri di una comunità cittadina sottoposta a leggi statali. Ma cosa accade quando il processo di sedenzarizzazione –e quindi di nazionalizzazione- non avviene su base volontaria? Cosa accade quando lo stato nazionale non è riconosciuto come sovrano? E di conseguenza, chi o cosa è ad essere riconosciuto come autorità legittima? Ed in che modo viene esercitato il Potere e mantenuto l’ordine? Nelle pagine successive tratterò il caso specifico delle tribù Pashtun residenti al confine tra Pakistan e Afghanistan, di come le loro leggi tribali sono state incluse nella Legge della zona e dei problemi che questa “convivenza legislativa” suscita nell’intera area. 34
  • 42. 35
  • 43. 36 I Pashtun I Pashtun sono il gruppo etnico di lignaggio patriarcale più numeroso del mondo: esistono in tutto 60 tribù principali, le quali contano complessivamente oltre 400 clan e sotto-clan; sono circa 42 milioni di persone che abitano i territori di Afghanistan e Pakistan. Nello stato pachistano arrivano a coprire addirittura il 15% della popolazione e sono stanziati soprattutto intorno ai centri di Mingora, Peshawar, Quetta e Karachi. Tra tutte le etnie afghane solamente i Pashtun e i Baluchi (2%) hanno un’organizzazione tribale, fattore che determina una minore urbanizzazione e una forte tendenza al conservatorismo. Tabella 1 i nomi delle principali tribù divise per zona REGIONE TRIBU’ BAJAUR SALARZAI MAMUND MASHWANI CHARMANG KHYBER SHINWAR TURI KURRAM PAKTIA MOHMAND MOHMAND WAZIRISTAN DEL NORD WAZIRI WAZIRISTAN DEL SUD WAZIRI ORAKZAI ORAKZAI Come tutti i sistemi tribali, anche le tribù Pashtun sono fondate sul concetto di solidarietà che si estende dal legame familiare diretto alla famiglia allargata, alla tribù e infine all’intera comunità. I matrimoni possono avvenire tra diverse tribù ma, come consueto nelle tribù a discendenza patrilineare, sono diffuse anche unioni tra cugini.
  • 44. La distribuzione dei Pashtun sul territorio non è omogenea ma comprende numerose enclavi nel nord e nel nordovest pachistano che atro non sono se non il risultato di politiche di “pashtunizzazione” praticate nel XVIII e XIX secolo dai sovrani Durrani, fondatori dello stato unitario afghano. Le dinastie Pashtun hanno dominato la scena politica afghana sin dalla caduta dell’impero Mogol in India (1707) e della Casata Safavide in Persia(1722), sono stati loro a dar vita all’identità nazionale afghana e soprattutto sono stati loro a contaminarla con tratti della propria tradizione culturale. Se i Pashtun non furono mai politicamente uniti fino al sorgere dell’impero Durrani nel 1747, a partire da quella data e per ben due secoli e mezzo, riuscirono a dominare incontrastati la scena politica afghana, (lo stato pachistano non è menzionato perché ancora non esisteva!) svolgendo un ruolo determinante nel “Grande Gioco” tra Russia zarista e Impero britannico. L’etnia Pashtun è stata sfruttata per secoli, in primis dall’Impero Britannico che con le sue mire coloniali ha tentato invano l’invasione per due volte nel 1839 e nel 1878 per poi “accontentarsi” nel 1893 di considerare queste zone come un cuscinetto tra i loro possedimenti indiani e la Russia. Per conto di Londra, Mortimer Durand cercò di tracciare i confini di quest’area e così facendo divise i Pashtun nella speranza di assorbire almeno parte della popolazione nell'Impero Coloniale. Anche questo tentativo di mascherata conquista fu vano: non rimase altra scelta se non quella di consentire una sorta di auto-governo Pashtun su una larga fetta di territorio. Qui le leggi coloniali sono state integrate e modificate con il Pashtunwali, il codice tradizionale dei Pashtun: si è quindi formata una grande area tribale autogovernata. La Legge (Frontier Crimes Regulation) inizialmente prevedeva che l’organizzazione amministrativa della zona fosse affidata a rappresentanti del governo coloniale mentre le tribù fossero libere di autoregolarsi nelle dispute interne secondo i loro codici. Nonostante le successive conquiste da parte dei sovietici e le pressioni da parte del neonato stato pachistano, le regioni autogovernate esistono tutt’oggi ma continuano a vivere in un generale malcontento generato dalla divisione imposta dalla linea Durand (linea che tutt’oggi 37
  • 45. per la comunità internazionale rappresenta il confine ufficiale tra Afghanistan e Pakistan, ma per i Pashtun è il simbolo concreto di secoli di ingiustizie e ha la stessa legittimità del confine che una volta separava tedeschi occidentali e orientali) e dalle tensioni di politica interna ed estera sempre più forti. 38
  • 46. 39
  • 47. 40 Il caso delle FATA pakistane Ricoprendo una striscia di terreno di 27mila chilometri quadrati situati in territorio pachistano tra il confine con l’Afghanistan e la Provincia di Khyber Pakhtunkhwa (KPK), le Aree Tribali di Amministrazione Federale (Federally Administered Tribal Areas da cui l’acronimo FATA) sono un esempio di coesistenza (non necessariamente pacifica!) tra uno stato sovrano (il Pakistan) e le tribù locali Pashtun in regime di semi-autonomia. Le FATA comprendo sette distretti tribali : · Bajaur · Mohmand · Khyber · Orakzai · Kurram · North Waziristan · South Waziristan e sei territori di frontiera · Peshawar · Kohat · Bannu · Lakki Marwat · Tank · Dera Ismail Khan Figura 6 L’area FATA sul confine Pakistan - Afghanistan I territori di frontiera sono delle piccole aree di transizione che separano i distretti tribali e il KPK. La sostanziale differenza tra distretti tribali e territori di frontiera sta, oltre nelle dimensioni delle aree, nella diversa amministrazione di questi ultimi. Se l’amministrazione dei distretti tribali avviene, come vedremo di seguito, tramite Agenti Politici per procura del presidente dello stato, i territori di frontiera sono amministrati direttamente dal FATA Secretariat.
  • 48. 41 Figura 7 1 The Republic and its territories 1. Pakistan shall be a Federal Republic to be known as the Islamic Republic of Pakistan, hereinafter referred to as Pakistan. 2. The territories of Pakistan shall comprise: · the Provinces of Balochistan, the Khyber Pakthunkhwa, the Punjab and Sindh ; · the Islamabad Capital Territory, hereinafter referred to as the Federal Capital; · Federally Administered Tribal Areas; and · such States and territories as are or may be included in Pakistan, whether by accession or otherwise. Costituzione del Pakistan art.1 Secondo l’articolo 1 della costituzione pakistana, le FATA sono a tutti gli affetti parte dello stato pachistano. Pur essendo rappresentate con 12 membri nell’Assemblea Nazionale e con 8 membri nel Senato, le leggi in vigore su tutto il territorio nazionale non sono applicate nelle Aree Tribali di Amministrazione Federale senza una specifica approvazione del Presidente dello Stato, che ha il compito di regolare tutte le direttive per mantenere la pace ed il buon governo nelle zone tribali. L’intera area FATA è controllata a livello amministrativo dal Governatore di KPK, che esercita il suo potere per conto del Presedente dello Stato. Se fino al 2002 gli affari riguardanti le Aree ad Amministrazione Tribale venivano condotti dagli uffici del Dipartimento dello Sviluppo di KPK, a partire da quell’anno tali funzioni vennero integrate nel FATA Secretariat e furono divise nei seguenti dipartimenti: · Dip. della Legge e dell’Ordine: (in collaborazione con gli Agenti Politici, esercito,forze paramilitari e rappresentanti delle tribù) emana decreti legge, provvedere alla sicurezza degli abitanti delle tribù, prende in carico le lamentele dei cittadini, amministra la giustizia tramite i tribunali, si occupa di emergenze e calamità naturali. · Dip. di Amministrazione e Coordinazione: si occupa della generale amministrazione delle FATA, della sicurezza dell’apparato decentralizzato e di tutto il suo staff.
  • 49. · Dip. della Finanza, delle Pianificazione e dello Sviluppo: questo dipartimento fu unito al 42 FATA Secretariat solo nel 2006. Amministrazione delle FATA Di fatto, a seguito di accordi firmati tra i rappresentati delle tribù (Malik) e l’appena nato Pakistan tra il 47 e il 51, alle regioni tribali fu confermato lo speciale status di cui già godevano sotto il Figura 8 dominio coloniale inglese. Emblema delle FATA Oggi l’amministrazione delle FATA è ancora retta su tre pilastri fondamentali (gli stessi su cui si basava l’amministrazione di quest’area sotto dominio coloniale): l’agente politico, i capi tribù e il Frontir Crimes Regulation (FCR). Ogni area è amministrata da un agente politico, ovvero un ufficiale federale scelto dal governatore del KPK, alle dipendenze di quest’ultimo e del presidente dello stato. In base alla grandezza della zona da amministrare, l’agente politico può essere coadiuvato da più assistenti facenti parte delle tribù e delle forze dell’ordine locali. Giudice supremo nella sua zona di competenza, ha il compito di mantenere i contatti tra l’area tribale, il FATA Secretariat e il Ministero degli Affari Tribali; sovraintendere il lavoro svolto nei vari dipartimenti amministrativi locali; risolvere le dispute che si creano tra le varie tribù in merito alla distribuzione e all’impiego delle risorse naturali disponibili; sorvegliare gli scambi tra le varie tribù e con le altre regioni. È inoltre il supervisione di tutti i progetti di sviluppo attuati in zona. In sostanza nelle sue mani sono racchiusi poteri esecutivi, legislativi e giudiziari. L’intermediario tra l’agente politico e le tribù è il malik. In ogni tribù o sotto tribù è presente un malik che si occupa di avvisare l’agente politico quando la sua figura si rende necessaria. Il malik è responsabile in prima persona del rispetto delle leggi e dell’ordine nella zona a cui appartiene, è lui che si occupa della nomina dei khasaadar: uomini presenti in ogni tribù che, sebbene non necessariamente organizzati, addestrati o pagati (ma spesso armati di kalashnikov), fungono da polizia nell’area.
  • 50. Rispettati e stimati in quanto uomini di valore ma soprattutto in quanto dotati di molte armi e “amici” disposti ad utilizzarle al bisogno, i malik sono oggi come un tempo remunerati dagli agenti politici: questa pratica comune spesso è causa di corruzione all’interno della pubblica amministrazione. Il Frontier Crime Regulation (FCR) è un insieme di leggi che furono emanate dal regime coloniale inglese a fine ‘800 nelle terre dell’India del NordOvest abitate dai Pashtun. Come già accennato, il FCR è tutt’ora è in vigore nelle aree FATA e si basa sui costumi tradizionali locali e tribali7 e su procedure atte a risolvere i conflitti in corso ed assicurare la legge e l’ordine. La prima stesura del FCR risale al 1848, seguirono importanti modifiche nel 1873 e ancora nel 1876 fino ad arrivare alla forma del 1901, stesura attualmente valida e applicata (negli ultimi anni sono state approvate varie modifiche, le ultime risalgono al 2011). 43 FCR, the black law Il Frontier Crimes Regulation è oggi definita “black law” a causa del disinteresse che dimostra verso la protezione e la sicurezza dei cittadini a cui è indirizzato. Il rispetto dei diritti umani internazionali –anche i più basilari- è spesso tralasciato da questo codice di leggi che prescrive pene severe a uomini condannati senza giusto processo e senza diritto di appello. Il FCR rispecchia ancora l’intento coloniale britannico di mantenere le zone intorno alla Linea Dourand sicure: sebbene la costituzione pachistana dichiari nulle tutte le leggi che non assicurano il rispetto dei diritti umani, nella black law sono ancora prescritte e attuate pratiche che violano la sicurezza personale, la sicurezza dei detenuti durante il periodo di detenzione, le proprietà private dei cittadini e il rispetto della loro dignità. Di seguito sono elencati alcuni dei punti più critici del FCR. 7 . Un importante codice da cui attinge il FCR è il Pukhtoonwali, insieme di norme basate su onore, ospitalità e vendetta che regolano e determinano l’ordine sociale e le responsabilità degli appartenenti alle tribù Pashtun. Spesso i comportamenti previsti da questo codice sono in contrasto con le norme sharaitiche ma, essendo di più antica applicazione, difficilmente vengono messi in discussione.
  • 51. · Ai cittadini non è concesso il diritto di appello alle sentenze, è negata la possibilità di avere 44 un rappresentante legale e di fornire prove a loro favore. · la clausola della punizione collettiva (n.21), che consiste nell’estensione della pena ai parenti (consanguinei e non) e a qualsiasi altra persona appartenente alla tribù del condannato. · la stessa clausola prevede inoltre la confisca delle proprietà e l’arresto di un individuo senza regolare processo e ne proibisce l’ingresso e la permanenza ai distretti abitati nelle aree tribali. · Nelle sezioni 22 e 23 del FCR l’intero villaggio è ritenuto responsabile di omicidio nel caso un cadavere venga ritrovato nella zona. Tutti i suoi membri sono sottoposto alle sanzioni per i crimini commessi da un solo abitante. Nel caso di mancato pagamento di una sanzione i beni del responsabile o della sua famiglia potranno essere venduti per compensare l’ammontare della somma. · le proposte di sentenza emanate dai tribunali locali (Jirga) non vincolano in alcun modo la decisione finale dell’agente politico, eliminando di fatto qualsiasi distinzione tra potere esecutivo e potere giuridico nelle FATA. · l’agente politico e i suoi assistenti godono di poteri illimitati sia esecutivi che giuridici. Non è presente nessun organo di controllo sugli abusi di potere che spesso sfociano in gravi violazioni dei diritti umani. Sebbene la FATA dipendano formalmente dal Presidente del Pakistan, l’agente politico ha sempre governato la regione con potere assoluto grazie al FCR. Egli è quindi oltre la portata della legge, ne è al di sopra. Le ultime riforme apportate al FCR sono state approvate nel 2011. Tra i più importanti fanno sicuramente parte i seguenti: · clausola della responsabilità collettiva: esclusione delle donne, dei ragazzi sotto i 16 anni e degli uomini sopra i 65 anni dalle condanne. Divieto di estendere l’arresto ad un’intera tribù. · Per quanto riguarda i processi: ammessa la possibilità di ridiscutere un processo e di rivederne le pene assegnate, fissato un tempo limite entro cui un processo deve concludersi.
  • 52. · Introduzione di ispettori per sorvegliare il rispetto delle (poche) norme carcerarie; 45 risarcimenti per chi è stato perseguitato ingiustamente. In realtà queste riforme hanno portato a ben pochi cambiamenti: se effettivamente si può notare un piccolo miglioramento nelle condizioni di giusti processi, arresti e detenzioni, va anche detto che il potere delle autorità di trattenere gli individui in detenzione preventiva e il regime di punizione collettiva continuano ad essere applicati a discapito del rispetto di diritti umani. La giustizia nelle FATA oggi Tutte le persone intervistate da Amnesty (vittime di violazioni da parte dello stato o abusi inflitti da talebani o altri gruppi armati, avvocati e semplici membri delle comunità) hanno espresso poca fiducia nella capacità dello stato di protegge i loro diritti. La pratica di detenzione arbitraria, molti casi di tortura e maltrattamenti, sparizioni forzate e morti in custodia, sommati alla mancanza di efficace giustizia stanno mandando il messaggio che lo stato continuerà ad agire con la stessa impunità dei talebani invece che cercare di porre fine a questa escalation di violenze. “On the one side is the army they enter houses without any warnings and arrest people without any reason. They are behaving very harsh with the people. On the hand everyone in terrified on the Taliban, at any time they might kidnap you or kill you. Everyone was saying that the army will come and improve the situation in Bajaur (tribal agency), but instead people are as frightened of the army (as they ware of) the Taliban.” Rostum Khan, abitante dell’Area Bajaur Il sistema delle Jirga (tribunali locali) in cui il giudizio è affidato ai membri anziani delle tribù e al malik, è spesso corrotto e di parte. Alcune interviste rivelano come sia semplice per i cittadini conoscere l’esito di un processo ancora prima che questo avvenga, semplicemente conoscendo i membri che giudicheranno l’imputato.
  • 53. Come accennato prima, il forte potere discrezionale lasciato ai membri della Jirga è comunque sottomesso alla volontà dell’agente politico. Nel caso questo ritenesse che la sentenza e la pena non fossero appropriate, potrebbe esercitare una sorta di veto mediante il quale il consiglio della Jirga verrebbe sciolto. Successivamente sarebbe costituito un nuovo consiglio con compito di riesaminare il caso, proporre una nuova sentenza e una nuova pena. A causa di questa procedura l’agente politico può condizionare l’esito del processo e allungarne notevolmente i tempi. Negli ultimi anni la corruzione e i tempi di processo molto lunghi hanno portato sempre più cittadini ad abbandonare le Jirga per rivolgersi ai tribunali sharaitici dei Talebani in forza nelle aree FATA. Il FCR non fornisce nessuna salvaguardia riguardo le condizioni dei detenuti . La Black Law stabilisce solamente che il governatore ha il compito di decidere le procedure e le modalità di detenzione. Per quanto noto ad Amnesty le autorità non hanno ancora prescritto nessuna procedura di internamento, pertanto non esistono salvaguardie rispettose degli standard internazionali sui diritti umani. Va inoltre ricordato che le leggi internazionali sui diritti umani richiedono che i detenuti abbiano il diritto di informare famiglia ed amici riguardo i loro stato e abbiano accesso ad un avvocato e a cure mediche. I detenuti hanno anche il diritto di essere visitati e corrispondere con membri della propria famiglia e di comunicare col mondo esterno in generale, anche in situazioni di conflitti armati. Il FCR non contiene alcuna garanzia di questa natura e ci sono diverse prove che questi diritti siano sistematicamente ignorati. 46
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  • 55. 48 Bibliografia · A. Bausani, Islam, Milano, Garzanti, 1999 · D. F. Eickelman, Popoli e culture del medio oriente. Torino, Rosenberg Sellier, 2003 · G. Ragazzini, Il Ragazzini 2007, Dizionario inglese-italiano italiano-inglese, Bologna, Zanichelli, 2006 · G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano. Torino, Einaudi, 2002 · R. Traini, Vocabolario arabo-italiano, Roma, Istituto per l’Oriente, 2004 · U. E.M. Fabietti, Culture in bilico. Antropologia del Medio Oriente. Milano, Mondadori Bruno, 2011 · U. E.M. Fabietti, Nomadi nel Medio Oriente. Una analisi dell'organizzazione sociale. S.l., Loescher, 1983 Sitografia · http://fata.gov.pk/ · http://gulf2000.columbia.edu/maps.shtml · http://pakistansurvey.org/ · http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/ISLAMISMO.html · http://www.amnesty.org/ · http://www.deagostinigeografia.it/ · http://www.fatareforms.org/ · http://www.tolearnarabic.com/ · http://www.treccani.it · http://www.understandingfata.org · https://www.yu.edu.jo
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  • 57. 50 Ringraziamenti Un ringraziamento particolare va al Prof. Benenati che non solo mi ha seguito, ma che soprattutto mi ha interessato ed appassionato in questi anni di università con i suoi aneddoti e racconti in prima persona; un secondo ringraziamento va al Prof. Soravia, per la sua disponibilità e la sua gentilezza. Un enorme grazie va ai miei genitori. Per avermi dato l’opportunità di scegliere di studiare, e dopo tre anni per avermi lasciato scegliere di studiare qualcos’altro. Per l’aiuto che mi hanno dato durante tutto questo tempo, per l’avermi supportato e sopportato durante i momenti di incertezza. Per la vacanze in Egitto da cui è nato tutto il mio interesse. Grazie mille! Infine grazie a tutti quelli che in un modo o nell’altro mi sono stati vicini in questi anni… In particolare ai tanti che, dandomi della matta per quello che ho scelto di studiare, mi ha motivato ad andare avanti; ad Ale per tutte le volte che mi ha accompagnato a Bologna e per il panino al prosciutto al ritorno dal Libano; a chi mi ha ospitata in Libano e a chi mi ha detto di non andarci perché mi avrebbero rapita ☺; a Riky a Bubba e a tutti quelli che non hanno perso occasione per farmi battute sulle stranezze del mondo arabo, a chi mi ha promesso che prima o poi mi regalerà un burqa. A chi con la pallavolo mi ha regalato un buon motivo per distrarmi (probabilmente anche troppo!) dallo studio, alla Cri e alla Fede diventate soprattutto compagne di serate e bevute oltre che di lavoro; a B. che mi ha tradotto un sacco di cose con la lente d’ingrandimento e che mi ha sopportato in questo ultimo periodo; a tutti gli amici che per un motivo o per l’altro ho un po’ perso di vista ma che, lo so, ci sono ancora e ovviamente alla sister vera e a quella acquisita che mi sceglieranno un vestito adatto per il giorno della laurea che finalmente vedo arrivare… Grazie! ق!
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