2. L’ulivo è silenzioso e possente. Un bosco di ulivi lo è ancor di più.
Accanto a un muretto a secco giace un mazzo di
fi
ori, affaticato da
qualche giornata di sole intenso ma ancora vivido.
È uno dei simboli del dolore e della sofferenza che dopo quattro
anni porta i familiari e gli amici di 23 vittime innocenti sul luogo di
uno degli incidenti ferroviari più gravi, lo scontro frontale fra due
treni nelle campagne fra Andria e Corato, in Puglia.
Nessun cuore è indifferente alla vista di 23 nomi scritti sulle
traverse del binario, un ricordo ancora vivido e sanguinante come
il colore delle scritte, rosa, fresco.
È il segno della sofferenza che ancora occupa quell’uliveto, che
non arretra di un passo. Una sofferenza non accettata e per questo
sempre più viva.
Una sofferenza forse silenziosa, ma non meno straziante.
CORATO
Sofferenza e accettazione
3. …L’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la
loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico…
…Il modello organizzativo deve altresì prevedere un
idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo
modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di
idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale
modi
fi
ca del modello organizzativo devono essere adottati,
quando siano scoperte violazioni signi
fi
cative delle norme
relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul
lavoro, ovvero in occasione di mutamenti
nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso
scienti
fi
co e tecnologico…
Sono l’art.15 comma c e l’art.30 del decreto legislativo
81/2008 riguardante la salute e sicurezza sul lavoro.
Due ulteriori stimoli per ri
fl
ettere su come oggi possiamo
dire che questa è la
fi
ne del paradiso.
La linea ferroviaria fra Andria e Corato era una linea a
semplice binario (binario unico) sprovvista di tecnologie e
sistemi di distanziamento e di protezione della marcia dei
treni.
4. I fattori che ricorrono alla sicurezza ferroviaria sono le
attrezzature tecnologiche, le regole, le procedure da
osservare e il fattore umano.
Non esiste una sicurezza assoluta e anche se può sembrare
sconcertante è fondamentale.
L’uomo si trova al centro del sistema della sicurezza
ferroviaria, sia che gli standard tecnologici siano bassi
(l’uomo li integra con il suo operato), sia che essi siano
elevati (l’uomo li controlla o vi supplisce in caso di guasto o
imprevisti).
Targa commemorativa delle vittime dell’incidente sulla facciata della stazione di Andria. Foto dell’autore, luglio 2020.
5. Sul tratto di linea fra Andria e Corato gli standard
tecnologici erano assenti, la sicurezza dell’esercizio era
completamente affi data al fattore umano, dei due
capistazione, di Andria e Corato, e dei capitreno che
avevano compiti di controllo dell’incrocio dei treni.
Su linee come queste un sistema di distanziamento
tecnologico, come il blocco conta-assi in uso sulle reti di
Rete Ferroviaria Italiana, o anche altri sistemi, avrebbero
abbattuto di molti ordini di grandezza la probabilità di
accadimento di un incidente del genere. Non l’avrebbe
reso impossibile perché la probabilità zero, il rischio zero,
non esiste, ma di certo consistentemente meno probabile.
È questo che fa soffrire oggi. E questo è anche lo spirito
degli stralci del DL81 in principio. Oggi tutto quello che la
tecnologia e la scienza potrebbero prevedere o evitare, se
accadono non vengono accettati, c’è un rimorso latente, ci
sono colpe e omissioni. Si innescano una serie di
considerazioni che rendono la sofferenza in
fi
nita e
inaccettabile, non c’è il volere di un Dio o qualcosa di
soprannaturale, ci sono uomini che decidono per altri
uomini che questa è la
fi
ne del paradiso.
Oggi abbiamo bisogno che comunque l’incidente divenga
accettabile: perché non era statisticamente probabile, non
era scientifi camente prevedibile, non era
tecnologicamente evitabile. Questa è una responsabilità
materiale e culturale importante che dobbiamo prendere
in considerazione per rispetto della sofferenza che ne
deriverebbe.
Non solo solo sicurezza ferroviaria ma sicurezza e vita in
generale.
Una cintura di sicurezza non indossata in auto, un limite di
velocità non rispettato, un dispositivo di protezione non
indossato. Tutto quella che scienza e tecnologia possono
evitare, se accade fa soffrire elevando esponenzialmente il
dolore di chi resta e rendendolo inaccettabile.
6. "Che hai fatto? Non doveva partire! L'altro non è arrivato ancora.
Dio mio si scontreranno!”
Quando ha visto quel treno allontanarsi sul binario della stazione
di Ciampino, il manovale è arrivato di corsa dal bar, urlando, e mi
ha detto così. Allora ho capito che avevo fatto un errore tremendo.
Sudavo freddo dalla tensione. Siamo corsi al telefono. Dovevamo
fermare quel maledetto convoglio o l’ altro. Abbiamo chiamato la
stazione di Cecchina per bloccarlo, ma era già passato. Poi un
casellante, ma non c'era, il numero suonava a vuoto... Ero
terrorizzato. Alla fine ha risposto. Era passato anche lì. Ed è arrivata
la notizia dello scontro, i morti, i feriti...Dio mio.
Nel 1992 a Ciampino, vicino a Roma, una notte d’inverno ci fu uno
dei più gravi incidenti ferroviari della storia.
Due treni si scontrarono nel tratto a binario unico fra Ciampino e
Velletri.
CIAMPINO
Dopo l’errore
7. Sono le due di notte di lunedì. Il capostazione, trent’anni
d’esperienza, studi da ragioniere, dopo il disastro si è
infilato il cappotto, ha lasciato le consegne ed è fuggito,
d'istinto. Ha vagato per ore. Quindi, nella notte ha
telefonato al sindaco del suo paese, Colfelice, duemila
anime, che insieme con altri due ferrovieri in pensione, ha
preso la macchina ed è corso all' appuntamento al
casello. Ancor prima che venisse codificato, cercava
supporto dai pari. Si dirigono poi verso la caserma dei
carabinieri dove dopo una telefonata alla moglie e alle
figlie, si costituisce. L'accusa è disastro ferroviario
aggravato colposo e omicidio colposo plurimo.
Nel 1992 sulla linea la sicurezza è affidata a una telefonata
tra i capistazione e bloccare un convoglio è pressoché
impossibile perché i macchinisti non hanno in dotazione i
radiotelefoni.
Mi raccontarono di questo incidente quando pochi anni
dopo, nel 1997, frequentavo il corso da capostazione e mi
sembrò un errore impossibile, che io non avrei mai potuto
commettere. Poi per diversi anni di carriera quella storia
non mi si ripresentò più. Ma in qualche strano modo, ci
convivevo.
8. Nel 2016, a luglio, ero al mare con mia moglie e mio
fi
glio
piccolo. Mi raggiungono telefonate degli amici che mi
chiedono di Andria, mi dicono che è successo un incidente
gravissimo su una linea che non è delle Ferrovie dello
Stato, due treni si sono scontrati in un tratto a binario unico,
Andria-Corato. Ci sono molti morti.
In quel momento, mi ricordo di Ciampino. Del cappotto.
Di un collega che non trova il coraggio di tornare a casa. Il
mio pensiero va in un’unica direzione, il dolore per le
vittime e le loro famiglie e un pensiero ai colleghi che,
probabilmente, hanno sbagliato.
Il mio rapporto con l’errore da quel giorno è cambiato,
anch’io ho vent’anni di esperienza alle spalle e molti studi,
e oggi penso che l’errore è umano e noi siamo, umani.
L’errore esiste e ogni professionista matura con l’errore un
suo personale rapporto. Ci convive, ogni giorno. E non
solo al lavoro, anche nella vita. Iniziano a crearsi percorsi
dove l’errore entra ed esce dalla vita al lavoro e viceversa.
Commetti un errore a casa e pensi che non sei più
infallibile, nemmeno al lavoro. Gli errori iniziano a creare
delle tracce, a lasciare delle scorie da smaltire.
Andria mi sconvolse e al momento non capii nemmeno il
perché. Lo capii più tardi.
Stavolta si conoscono tecnologie che avrebbero potuto
evitare l’incidente. Nella sua dinamica quasi identico a
Ciampino 24 anni prima. Mi posi una domanda: Oggi forse
tutti gli incidenti potrebbero essere evitati dalla tecnica o
dalla scienza, e questo per l’uomo è una condizione più
leggera o più pesante?
Come cambia la sofferenza e l’accettazione nell’epoca
scienti
fi
ca? Per dirla come Sidney Dekker, è la
fi
ne del
paradiso.
Spesso provo a immaginare di vestire quel cappotto, di
compiere lo stesso errore, e mi chiedo se io, tornerei a
casa.
L’errore allora non è più tuo. Non ha più una proprietario.
Diventa parte comune e origina interrogativi, le persone
che fanno lo stesso mestiere, come me, iniziano a chiedersi
se c’è un senso. Se ha senso abitare una professione dove
l’errore non può esistere, non è ammesso. Se non era
meglio forse, fare qualcos’altro, magari il musicista o il
pittore.
9. Anche questo è fattore umano, un sentimento che
scaturisce dal cercare continuamente delle risposte fra
colleghi, amici, familiari. Cercare delle risposte quando la
domanda non c’è, quando la vivi solo tu. Quando
l’incidente non c’è, ma ci sono stati tutti i prerequisiti
perché avvenisse, ed è stato sventato all’ultimo. Cosa ce
ne facciamo di queste esperienze, di questi segni?
Gli errori si pagano. Anche quando sono degli altri. Ma
nella vita tutto si paga, errori e benedizioni. Forse oggi ci è
chiaro che si paga per gli errori, lo è meno comprendere
che chi più ha ricevuto, più deve dare.
Si chiama responsabilità. Chi occupa ruoli di gestione ha
in mano le leve per cambiare e stabilire la cultura, esercita
un ruolo genitoriale nei confronti delle sue persone. Mi
comprenderà o mi punirà? Questa è la domanda che ogni
fi
glio si pone quando a un errore, a uno sbaglio, deve
decidere se raccontarlo o no ai suoi genitori. Ancor prima
di capire che l’errore è sempre generativo di
apprendimento, regna la paura della punizione.
E questa paura va scon
fi
tta, debellata.
10. Per questo oggi con la Just Culture si deve dichiarare
apertamente la propria disponibilità all’ascolto, alla
comprensione e al perdono. Il perdono è la vita di un
uomo. Il perdono è l’amore di un uomo. Quando
comprensione e perdono sono possibili a livello
organizzativo allora i legami sono forti come quelli di una
famiglia, tutti contano.
I nomi delle vittime dell’incidente fra Andria e Corato, scritte sulle traverse sul luogo dell’incidente.
11. Questo è quello che avviene nel mondo che ci fa comodo
chiamare “human factor”, un contenitore dove mettiamo un
po’ di tutto. Cosa avviene dopo un errore? In chi lo
commette, in chi gli siede accanto, nella sua famiglia che lo
aspetta a casa.
Esisteuna rispostamigliore di un’altra.
Certo, le leggi servono, ma a fare la differenza è una
diversa sensibilità culturale delle persone. In una cultura
chiusa e burocratica le persone muoiono dentro, perché
non hanno il controllo delle porte da cui transitano gli
errori, le aprono e le chiudono senza un senso, manca la
speranza.
La vita dopo un errore cambia, ma deve rimanere vita.
Serve comprensione. Comprensione non dal punto di
vista tecnico ma umano, l’umana comprensione come
l’inizio dell’accettazione e del perdono, solo il perdono,
solo il pensiero di poter essere perdonati può accendere
un percorso di riabilitazione, di ritorno resiliente alla
normalità di una vita che seppur cambiata, rimane vita.
Consapevolezza del fatto che quello che è capito agli altri
può capitare a te, che quello che è capitato a te può
capitare agli altri. Fiducia: lo faccio perché lui l’avrebbe
fatto per me. La la just culture della vita reale, quella dove
per convivere con l’errore se ne ha una chiara visione,
l’errore non giudicato ma possibile..
Vivere oggi in funzione di quello che verrà dopo è un
concetto antico quanto l’uomo. Le religioni, sempli
fi
cando,
adottano lo stesso concetto per regolare i comportamenti.
Nelle religione si pensa e si ri
fl
ette molto sul dopo, su
quello che verrà, su come potremo “salvarci”. Per questo
salvare, la salvezza, è il traguardare cosa avverrà dopo. Per
questo bisogna occuparsi di come cambia la vita “dopo
l’errore”.
Troppo spesso sento dire dai genitori ai
fi
gli “nella vita fai
quello che vuoi, ma non il mio lavoro!”. Sono convinto che
chi parla così non riesce a convivere con l’errore, lo
ingombra, lo opprime. Per loro è la
fi
ne del paradiso.
Se vogliamo costruire un mondo dove i genitori sognano
che un giorno i propri
fi
gli siedano al loro stesso posto,
esprimendo la forma più alta di amore per il proprio
lavoro, dobbiamo mettere sentimento e vita, dopo l’errore.
Dobbiamo comprendere il rapporto che intercorre fra la
tecnologia, la sua presenza e la sua assenza, il dolore e la
speranza perché questo rapporto crei cultura.
12. Sul primo binario della stazione Ancona non ci sono molti diversivi
per aspettare un treno in ritardo.
In fondo al binario però si sente un’armonica, è un uomo sulla
settantina, solo. Suona in piedi, guardando i binari.
L’armonica è dolce, magnetica. Ci avviciniamo con tutta la famiglia
bagagli al seguito per ascoltarlo meglio. E non ascoltiamo solo
l’armonica ma anche la sua storia, di amante della ferrovia, di
fermodellista, di viaggiatore solitario, di superstite della tragedia di
Bolognina Crevalcore.
Per la prima volta parlo di questo episodio senza dettagli tecnici o
ferroviari, mi parla dei suoni delle lamiere che si accartocciano,
della carrozza che si impenna verso il cielo, di quello che si pensa
in un momento del genere, delle notti insonni e di cosa ti rimane
addosso dopo così tanti anni. Il racconto libero di un superstite
che pesa ogni parola per la presenza di un bambino è
un’esperienza toccante, che ancora una volta crea il senso del
cambiamento.
CREVALCORE
Cambiare
13. L’incidente di Crevalcore avviene il 7 gennaio del 2005.
Circa un mese prima del mio matrimonio, alle 13 circa in
una nebbia
fi
tta e densa.
Da wikipedia:
Il treno interregionale IR 2255 proveniente da Verona e
diretto a Bologna, che trasportava circa 200 passeggeri[3],
all'altezza della ex stazione di Bolognina di Crevalcore
(Bologna), si scontrò con il treno merci 59308 proveniente
da Roma che procedeva in senso contrario, in un tratto
allora a semplice binario. A seguito dell'impatto, la
locomotiva del treno merci, la semipilota e la seconda
carrozza passeggeri del treno interregionale furono
completamente sventrate e distrutte. L'incidente provocò
la morte di 17 persone, tra cui i macchinisti dei due treni;
molte altre rimasero ferite nello scontro. Le operazioni di
soccorso durarono
fi
no al mattino seguente.
L’incidente di Crevalcore è, come direbbe il mio amico
Comandante Antonio Chialastri, grande maestro di
Human Factor e non solo, un incidente paradigmatico,
un avvenimento dopo il quale nulla è più lo stesso.
L’incidente accelera un processo di cambiamento già in
atto, l’adozione del sistema SCMT, un sistema di
protezione della marcia treni, su tutta la rete RFI.
14. Non è una reazione ma un accelerazione.
Il sistema già studiato e collaudato ha un piano di
attrezzaggio nazionale e nella fattispecie a Crevalcore, se
fosse stato presente, avrebbe o evitato l’incidente o
comunque abbassato di molto la gravità.
E qui come già detto, entra in gioco la sofferenza delle
persone, l’accettazione che è dif
fi
cile o impossibile, la
scienza e la tecnologia che avrebbero potuto ma non
c’erano, un Dio che non sai se nominare o no anche se
credi.
Molti incidenti sono
fi
gli come ultima azione di un tragico
errore umano, ma è chiaro che errare è umano e che
questo non colpevolizza l’uomo ma lo restituisce per ciò
che è, fallibile eppure insostituibile, elemento cardine di
ogni sicurezza con il suo operato ma anche elemento da
proteggere, da aiutare e sostenere con il progresso
scienti
fi
co e tecnologico.
Crevalcore segna un cambiamento culturale e
organizzativo importante, l’investimento in sicurezza
diventa prioritario e presente, sentito. Si investe su una
cosa che non si vende, che il cliente fa fatica a
comprendere se non nel lutto delle tragedie, si investe su
un valore in cui si crede fermamente.
In una conferenza a cui assistetti qualche anno dopo l’AD
di RFI Maurizio Gentile disse:
“Senza sicurezza, non c’è ferrovia.”
Parole semplici eppur complete di un sentimento che si
impadronisce di ogni ferroviere, che forgia nel DNA ogni
professionista che fa della sicurezza e del servizio pubblico
la sua ragione di vita, che ogni giorno quando si sveglia e
va al lavoro sente su di se una relazione di af
fi
damento,
ogni giorno migliaia di persone af
fi
dano le loro vite alla
professionalità dei ferrovieri e questo è un sentimento
umano e tangibile che se non ti permea, di certo hai
sbagliato mestiere.
15. Il 12 gennaio 1997, il treno Eurostar 9415 Milano-Roma deragliò
prima di entrare nella stazione di Piacenza, provocando 8 morti e
29 feriti. A bordo viaggiava anche il Presidente emerito della
Repubblica Francesco Cossiga, rimasto illeso.
Un incidente paradigmatico, perché ad essere colpito era il treno
denominato Pendolino, un simbolo del progresso tecnologico, già
predisposto per le linee ad alta velocità che andavano
costruendosi.
Le indagini sull’incidente attribuirono la responsabilità del
deragliamento ai due macchinisti che avevano impegnato il ponte
e la curva precedente l’ingresso in stazione ad una velocità
superiore a 160Km/h, laddove i limiti di velocità erano di 105Km/h.
Errore umano quindi, ma errare è umano.
Nei dettagli dell’indagine emerse tuttavia che alcuni anni prima
dell’evento era intervenuta una modi
fi
ca infrastrutturale, in assenza
della quale l’incidente avrebbe avuto molte meno probabilità di
veri
fi
carsi.
PIACENZA
Pensare alle conseguenze
16. Il Pendolino, progenitore delle Frecce, era equipaggiato
con il sistema di sicurezza più avanzato per il tempo,
la Ripetizione Segnali in Macchina, RSM. Questo sistema di
bordo dialoga con un sistema di sicurezza presente sulla
linea denominato Blocco Elettrico Automatico a Correnti
Codi
fi
cate che trasmette al macchinista in cabina delle
informazioni sullo stato della linea e dei segnali sul tratto
che sta percorrendo, intervenendo con degli allarmi in
caso di pericolo e che ha permesso in ferrovia
l’incremento della sicurezza e delle velocità di
percorrenza.
I diversi tipi codici possono indicare per esempio che il
successivo segnale è ‘rosso’ e bisogna prepararsi ad
arrestare la marcia del treno o che il successivo segnale è
‘giallo’ e che bisogna predisporre una riduzione della
velocità. Gli interventi sulla velocità sono af
fi
dati ai due
macchinisti mentre successivamente, con i Sistemi di
Protezione della marcia come l’SCMT o di controllo della
marcia come l’ETCS, gli interventi hanno un livello di
tecnologia maggiormente presente e attivo, tale da
giusti
fi
care la presenza di un solo agente di condotta.
17. Anche con l’RSM comunque, quando gli allarmi indicavano
una condizione restrittiva, ad esempio il passaggio da un
verde ad un giallo o al passaggio da un giallo al rosso, al
macchinista viene richiesto di premere un tasto di
riconoscimento, mostrando così di essere al corrente della
necessità di rallentare o di arrestarsi.
Questa ri
fl
essione tecnica è d’obbligo per dire che a
Piacenza in precedenza della curva si intervenne per
apportare delle modi
fi
che che permettevano un risparmio
di tempo ma che allo stesso imponevano al macchinista
un’operazione di riduzione di velocità non gestita dalla
tecnologia.
https://www.24emilia.com/piacenza-ricorda-le-otto-vittime-del-pendolino/
18. I macchinisti infatti avrebbero dovuto prendere atto delle
segnalazionifi sse sulla linea e sui loro fascicoli dell’orario
di servizio, in questa nuova condizione l’onere di attuare la
giusta riduzione di velocità era interamente demandato ai
due macchinisti in condotta, senza l’ausilio degli allarmi
forniti dalla Ripetizione Segnali in Macchina.
Nella
fi
loso
fi
a progettuale delle Ferrovie, l’intervento non
costituiva un mutamento delle condizioni di sicurezza ed
era compatibile con la normativa esistente, perché i
macchinisti era comunque tenuto a rispettare i limiti di
velocità esistenti sui diversi tratti della linea, che erano stati
studiati per garantire la compatibilità fra le prestazioni del
treno e le caratteristiche strutturali del binario.
Nel tratto si passava da un limite di 200Km/h ad uno di
140Km/h ma per superare un vincolo di sicurezza, i limiti di
velocità previsti del tratto immediatamente precedente
furono abbassati a 195Km/h, ottenendo così uno scarto di
velocità inferiore ai 60Km/h e la possibilità di effettuare la
modi
fi
ca impiantistica, che avrebbe eliminato il codice 180
e portato un risparmio di tempo di circa un minuto e
mezzo.
Tutto nel rispetto delle norme ma si era privato l’uomo di
un supporto tecnologico in un punto speci
fi
co della linea,
laddove lo stesso supporto era presente con continuità in
altre parti della linea. Per ottenere dei bene
fi
ci in termini di
ef
fi
cienza, si erano quindi ancora una volta considerati gli
uomini, e nella fattispecie i macchinisti, infallibili.
La responsabilità dei due macchinisti alla guida è indubbia,
errore umano, ma errare è umano. Questo incidente
cambiò di fatto il modo di percepire il rapporto fra uomo e
tecnologia, considerando che laddove la tecnologia esiste
e copre un tratto signi
fi
cativo del percorso, interromperla o
sospenderla introduce un rischio, dovuto alle
caratteristiche
fi
siologiche e attentive dell’uomo nella
catena della sicurezza.
Dopo Piacenza nulla fu più come prima. Il progresso
tecnologico offre opportunità sia per il miglioramento
delle prestazioni sia per il miglioramento della sicurezza,
ma diventa fondamentale l’analisi dei rischi e la veri
fi
ca dei
margini di sicurezza, valutazione che diventa un’esigenza
quando si interviene con modi
fi
che che possono alterare
questo equilibrio. I dispositivi tecnologici, la loro
con
fi
gurazione, le procedure di esercizio e la formazione
del personale sono tutti fattori che contribuiscono a
mantenerlo. Sono fattori interdipendenti e devono essere
costantemente veri
fi
cati, tenendo conto degli effetti che
possono produrre perché l’uomo crea tecnologia, ma la
tecnologia ha un effetto retroattivo sull’uomo.
20. La notizia dell’incidente di Pioltello è stata travolgente, a
me è arrivata via WhatsApp da una giovane collega che si
trovava a bordo del treno e stava frequentando il corso da
capostazione. Ricordo la giornata con la tristezza e lo
sgomento di una tragedia che stavolta non lasciava spazio
all’errore umano, immediato, violento e scatenante, ma
doveva essere dovuto alla manutenzione, della linea
ferroviaria o dei veicoli si stabilirà, ma di certo una causa
lenta, latente e logorante.
Non è ancora emessa sentenza e non è di questo testo e
per me esprimere valutazioni e giudizi che coinvolgono
colleghi di cui ho grande stima, riporto solo degli aspetti
che mi hanno colpito e cambiato, come una parte della
relazione annuale di ANSF:
Il 2018 è stato segnato dall’incidente di Pioltello sotto vari
pro
fi
li. Innanzi tutto si è trattato, dopo molti anni, di un
incidente sulla rete nazionale non dovuto a fattori esterni al
sistema ferroviario, con morti tra i passeggeri: ciò dimostra
sia che, come più volte ribadito, il rischio zero non esiste,
sia che, per quanto lusinghieri siano i risultati raggiunti in
termini di bassa incidentalità, non si deve mai abbassare la
guardia.
21. Nella nostra coscienza questo incidente rimette in
discussione il nostro concetto di cultura della sicurezza.
La cultura della sicurezza di un'organizzazione non è la
conoscenza e l’applicazione delle norme e delle regole
vigenti o, almeno, non è solo questa.
La cultura della sicurezza è il prodotto dei valori, degli
atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei
modelli di comportamento individuali e di gruppo che
determinano l'impegno nella gestione della sicurezza
integrando tale prodotto nel rapporto tra l’organizzazione
aziendale e gli individui che ne fanno parte.
Immagini di repertorio sul deragliamento di Pioltello
22. Le Ferrovie sono un’organizzazione aziendale che ha una
radicata e diffusa cultura della sicurezza positiva,
caratterizzata da scambi relazionali basati sulla
fi
ducia
reciproca, su percezioni condivise dell'importanza della
sicurezza e sulle garanzie circa l'ef
fi
cacia delle misure
preventive.
La cultura della sicurezza con il sistema aziendale di
gestione della sicurezza è parte della cultura generale
dell’azienda.
Ogni incidente, ma ancor più un incidente
fi
glio di
condizioni di logorio lento, mette in crisi in ognuno di noi
il proprio sentimento di appartenenza a una forte e sana
cultura della sicurezza.
La reazione è di assumersi le proprie responsabilità, non
di attribuire colpe. Ognuno di noi professionisti che fa
della sicurezza e del servizio pubblico la propria ragione
di vita da questo incidente e dal lutto che ne ha
conseguito ha preso un nuovo rinnovato pezzo di
responsabilità. La responsabilità è vedere su di se quello
che si può fare, come si può migliorare, e responsabilità è
agire.
23. La cultura della colpa è vedere le conseguenze come
fi
glie
del comportamento degli altri e porta all’immobilismo:
perché io? Non dipende da me.
La cultura della responsabilità è vedere le conseguenze
come derivanti dal proprio comportamento e quindi porta
ad agire, a cambiare, a ri
fl
ettere.
Questo è certamente quello che la maggior parte di noi si
porta addosso dal giorno dell’incidente di Pioltello.
https://www.agi.it/cronaca/treno_deragliato_incidente_ferroviario_3_donne_morte-3411358/news/2018-01-25/
24. Prima che il 2020, anno bisesto, diventi ancor più funesto per una
dilagante pandemia di coronavirus che in Italia miete migliaia di
vittime, per i ferrovieri funesto lo è già quando due colleghi
perdono la vita in uno dei più impensabili incidenti ferroviari. Un
deragliamento sulla linea ad alta velocità a Posto Movimento
Livraga, nei pressi di Lodi e Casalpusterlengo, luoghi che saranno
poi ancora tristemente famosi pochi giorni dopo per essere la
prima zona rossa del COVID-19.
Televisioni e giornali fanno gara al sensazionalismo. Visto da
dentro, da noi addetti ai lavori, già le cause non si comprendono,
ma a livello mediatico regna il caos e per le persone comuni, per
chi viaggia, c’è un legame di
fi
ducia rimesso in discussione, loro
devono capire per accettare e per tornare a viaggiare.
È veramente un legame di
fi
ducia leso, vediamo sul viso degli
amici e delle persone care lo sgomento e la sorpresa, cercano
risposte e rassicurazioni da noi. Ma noi ci siamo, ci sentiamo
ancora una volta responsabili, qualcosa di nuovo è successo nel
nostro fare sicurezza attraverso le tecnologie, la tecnologia si
dimostra amica e nemica.
LIVRAGA
Tecnologia amica e nemica
25. La mattina del 6 Febbraio 2020, alle 5.34, il Frecciarossa
AV9595 ha deragliato perché sulla tratta che stava
percorrendo a quasi 300Km/h, nei pressi di
Casalpusterlengo, ha incontrato un deviatoio, il deviatoio
5, in posizione “rovescia” invece che in posizione
“normale”, ovvero il deviatoio curvo anziché dritto, per
sempli
fi
care. La velocità ha provocato lo svio del treno, con
il distacco dal resto del treno della carrozza motrice e
quest’ultima che terminato la sua corsa impattando
violentemente un fabbricato tecnologico causando la
morte dei due colleghi macchinisti a bordo.
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/deraglia-treno-dell-alta-velocita-a-lodi-due-morti
26. Anche qui l’incidente è sotto inchiesta e non è questo
testo il luogo dell’analisi. Resta il fatto che esclusa la
possibilità di un’azione dolosa, un sabotaggio per causare
deliberatamente l’incidente, come ha fatto praticamente
da subito il Procuratore della Repubblica di Lodi, l’ipotesi
che ha iniziato a prendere quota è stata quella di un
errore dei tecnici della manutenzione.
Le ipotesi che riporto concordano con Luca Save, di Deep
Blue, persona colta e attenta nel suo lavoro sul fattore
umano e autore de “Un colpevole ci dovrà pur essere”.
La squadra di tecnici presente sul posto quella notte
avrebbe inavvertitamente lasciato il deviatoio in posizione
sbagliata al termine di un intervento di manutenzione
programmata sul deviatoio. Per il momento ci sono solo
speculazioni sul fatto che di errore si tratti e quale possa
essere stato esattamente il tipo di errore commesso, in
attesa di che i Consulenti della Procura di Lodi e gli
investigatori tecniche arrivino a una conclusione.
Alcune testate giornalistiche come il Sole 24 Ore
accreditano la tesi dell’errore umano, i manutentori
terminata l’operazione di ripristino del deviatoio
avrebbero secondo loro omesso di effettuare la
cosiddetta “prova di concordanza”.
27. Questo test prevede che almeno uno dei tecnici rimanga
in prossimità del deviatoio, mentre gli altri effettuano delle
prove in corrispondenza della sua cabina di controllo,
l’Apparato Centrale Computerizzato collocato a qualche
centinaio di metri dal deviatoio stesso.
La prova serve a veri
fi
care se il deviatoio è stato
ricon
fi
gurato correttamente e se c’è perfetta
corrispondenza fra la sua posizione reale sul campo e le
indicazioni fornite elettricamente sull’apparato ACC.
Ma è davvero possibile che questo tipo di controllo sia
stato omesso o effettuato male, considerando che i tecnici
incaricati erano tutti molto esperti di quel tipo di
lavorazione?
A questo si aggiunge che il pezzo sostituito aveva invertite
le polarità della parte elettrica, determinandone la
movimentazione in direzione opposta rispetto a quanto
previsto. Potrebbe quindi non trattarsi di un errore puro ma
in qualche modo indotto da un difetto di fabbricazione del
braccio di movimento dello scambio. Rimane però il fatto
che al termine dell’operazione di manutenzione, il
deviatoio è stato “disalimentato”, privato quindi della
possibilità di manovra elettrica e in posizione riconosciuta
dall’apparato ACC come “normale”, mentre sul campo di
rivelava invece “rovescio” al passaggio del treno. La
tecnologia quindi non funzionava ancora correttamente.
I colleghi hanno effettuato un’operazione di manutenzione
in coscienza e professionalità, hanno certamente
ripristinato localmente i sistemi di controllo del deviatoio,
in modo da farlo risultare in posizione corretta a tutti gli
altri sistemi di controllo. Durante questa operazione,
qualcosa è evidentemente andato storto, ma saranno poi
le indagini interne ed esterne ad appurare la dinamica e la
responsabilità.
Io non sono qui a cercare riposte ma a farmi domande.
Se di errore si tratta, quali elementi possono aver favorito
l’errore? L’interfaccia uomo-macchina della cabina di
controllo del deviatoio o la conformazione della scatola di
controllo, inclusi gli attacchi per il collegamento delle parti
elettriche, possono aver giocato un ruolo nel favorire
l’errore?
Così che la tecnologia che
fi
nora in questo testo ha giocato
un ruolo di amica della sicurezza possa rivelarsi in
quest’ultimo nemica? Indurre un errore altrimenti
evitabile? Certo l’uomo è e sarà sempre al centro della
sicurezza, l’uomo non si slega dalla tecnologia.
28. EPILOGO
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore è per tre giorni
e poi risorge,
in ciò che noi crediamo Dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
nel mondo che faremo Dio è risorto.
29. Il viaggio di questo libro è iniziato a Corato e lì
fi
nisce, nel
silenzio degli ulivi al cippo km 51.
Ho cercato di raccontare a mio
fi
glio cos’è un incidente,
cosa si prova, il dolore, la sofferenza, la tecnologia, il
silenzio. Pensavo alla mia generazione e alla sua, all’ultima
strofa di Guccini e dei Nomadi che mi risuonava nella
testa. A una generazione, quella dei padri e delle madri,
che deve sentire e insegnare la responsabilità, e una
generazione, quella dei
fi
gli, che non deve perdere la
speranza.
Dio è morto. Nel senso che la sicurezza non è un fatto
divino ma umano, profondamente umano.
Regole, procedure, organizzazione, tecnologia. Li
dividiamo per sempli
fi
care, ma sempre umano è.
È l’uomo che scrive regole e procedure, l’uomo che
decide come organizzarsi, l’uomo che crea tecnologia,
l’uomo è tecnologia! Nel suo fantastico TedX a Torino
Massimo Temporelli lo esplicita come meglio non si
potrebbe: l’uomo sente il richiamo della tecnologia, la
tecnologia umanizza, la tecnologia è umanità.
L’uomo progetta tecnologia e la tecnologia progetta
l’uomo. Ogni tecnologia cambia la nostra umanità.
30. Ogni tecnologia cambia la nostra visione del mondo, ogni
tecnologia cambia il nostro modo di soffrire e accettare gli
eventi avversi della sicurezza. È la
fi
ne del paradiso. La
tecnologia che ti fa soffrire quando manca, che ti fa
sbagliare quando c’è, ma sopratutto che ti fa sperare, che
ti fa sperare in un mondo dove puoi sbagliare, perché sei
umano, ma hai creato una tecnologia talmente umana che
ti permette anche di sbagliare. Perché anche la tecnologia
è umana.
Amando la sicurezza e la tecnologia ameremo la parte
più profonda della nostra umanità. (cit. @tempomax)
Corato-Andria, cippo km 51. Padre e figlio a cercare un senso a un incidente
31. Andrea Trespidi
Sono un ferroviere, da sempre faccio della sicurezza e della
formazione le mie passioni e la mia missione.
Sono in Ferrovie dal 1997, assunto capostazione a Milano
Smistamento e poi addetto di Reparto, Istruttore, Ispettore,
Dirigente Movimento in più di 50 impianti, DCO a Cremona,
aggiunto di Reparto, RSPP, Responsabile Sicurezza, Capo Reparto
Territoriale Movimento, Responsabile Unità Circolazione,
Esaminatore Riconosciuto ANSF GC, Safety Academy, RU
Formazione Sicurezza.
Insomma, un po’ ne ho viste e ne ho fatte.
Di qualcuna di queste ne ho scritto.
a.trespidi@gmail.com - 3478417960