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geopolitica
perture logistiche al terrorismo».
Meno noto è, invece, che il leader di
Lashkar e Tayyabe, tale Zaki-Ur-Reh-
man Lakhvi, arrestato perché ritenuto
essere il regista degli attentati di Mum-
bai, addestrasse guerriglieri islamici
durante e dopo la guerra di Bosnia
negli anni Novanta. Combatterono in
Bosnia anche cinque dei kamikaze re-
sponsabili degli attacchi dell’11 set-
tembre. Così come l’imam Khalil Jar-
raya, arrestato lo scorso agosto a Fa-
enza dalla Digos di Bologna con l’ac-
cusa di “associazione a delinquere fi-
nalizzata al terrorismo internazionale”.
Jarraya, tunisino, era il capo di una
cellula jihadista attiva tra Bologna e
Como. Si era guadagnato l’appellativo
di “colonnello” proprio durante i com-
battimenti con le milizie islamiche in
Bosnia.
Nei Balcani la capillare infiltrazione
dei movimenti islamici più radicali −
finanziata con disinvoltura dalle Ngo
(Non governmental organization) dei
paesi del Golfo Arabico − risale agli
anni Novanta. La guerra tra Bosnia e
Serbia, tra il 1992 e il 1995, e successi-
vamente il conflitto in Kosovo, nel ’99,
hanno costituito di fatto l’occasione
per coagulare e mobilitare cellule di
mujaheddin provenienti da Afghani-
stan, Iraq, Cecenia, Libano, pronti a
combattere per i “fratelli musulmani”.
Personaggi come Osama Bin Laden
hanno ricevuto dall’allora presidente
della Bosnia, Alija Izetbegovic, passa-
porto bosniaco come ringraziamento
per la collaborazione fornita nel crea-
re una repubblica fondamentalista nei
Balcani. La presenza di Bin Laden fu
Intervista ad Antonio Evangelista
di Stefania Bizzarri
Il 26 novembre scorso, il mondo ha
assistito all’attacco terroristico
nella città indiana di Mumbai, som-
mersa repentinamente da un’ondata
di violenza fanatica senza preceden-
ti. Per ore si sono susseguite spara-
torie e deflagrazioni: un commando
con esplosivi e armi ha attaccato
obiettivi turistici e alberghi di lusso.
Oltre cento morti, quasi duecento
feriti nella città simbolo della mo-
dernità cosmopolita asiatica. La
stampa ha seguito faticosamente la
cronaca degli attacchi. Solo in un
secondo momento è riuscita a divul-
gare con precisione l’identità dell’or-
ganizzazione terroristica responsa-
bile dell’accaduto. Oggi sappiamo
che alcuni soggetti del commando
erano membri di “Lashkar e Tayya-
be” (Esercito del Puro), braccio ar-
mato di Al Qaeda in India, compo-
nente della galassia del terrore isla-
mico che trova in Pakistan sicuri
appoggi anche grazie alla complicità
dei servizi segreti di quel paese.
Balcani, avamposto europeo della
guerra santa? È anche noto, almeno
tra gli addetti ai lavori, come i puristi
del fondamentalismo islamico si affidi-
no alla mafia indiana per operare: «I
boss della mafia islamica di Mumbai
– scrive Federico Rampini, inviato di
«Repubblica» – gestiscono il narco-
traffico via satellite dai loro super-
yacht al largo di Dubai, allacciano alle-
anze con i Taliban afgani, offrono co-
registrata ancora, nel ‘95, in Albania;
evento che indusse gli Stati Uniti a
denunciare i collegamenti tra l’Uck
(esercito di liberazione del Kosovo) e
le cellule di mujaheddin, entrambi co-
piosamente foraggiati dal traffico in-
ternazionale di armi e droga.
Terminata la guerra nella ex Iugosla-
via, decine di mujaheddin hanno otte-
nuto la cittadinanza delle nuove realtà
nazionali sorte in quel contesto geo-
grafico, procurandosi falsi passaporti,
assumendo nuove identità. Alcuni
combattenti, deposto il kalashnikov,
hanno indossato le vesti di “imam”,
professando all’interno delle madras-
se fondamentalismo agli orfani della
guerra, addestrandoli a divenire “ordi-
gni umani” per la causa jihadista. Un
fenomeno pressoché taciuto dai prin-
cipali circuiti dell’informazione italia-
na, probabilmente più concentrati a
seguire il processo politico che lo
scorso 18 febbraio ha sancito il ricono-
scimento dell’indipendenza del Koso-
vo. Una realtà, quella delle madrasse-
“orfanotrofi”, mai rimossa, bensì ripro-
posta e analizzata con perizia dall’at-
tuale vice questore aggiunto e capo
della squadra mobile di Asti, Antonio
Evangelista, già comandante del con-
tingente italiano Unmik in Kosovo ne-
gli anni 2000-2004. Evangelista ha ap-
pena pubblicato per Editori Riuniti
University Press Madrasse. Piccoli
martiri crescono tra Balcani ed Eu-
ropa, opera che ha il pregio di denun-
ciare con oggettività una realtà che
prolifera al di là dell’Adriatico, a un’ora
di volo da Roma. Di cui, purtroppo,
giungono alla ribalta mediatica solo le
conseguenze più tragiche. Sono pagi-
ne di attualità, la cui rilevanza non sta
solo nella chiarezza con cui l’autore
tratta e ricostruisce il complesso con-
testo storico balcanico, ma anche nel-
la capacità di mettere in evidenza la
“contiguità” tra terrorismo e crimine
organizzato.
Due territori − Bosnia e Kosovo − che
nell’ottica di una “rivoluzione islami-
La fabbrica dei kamikaze
In Bosnia ex miliziani musulmani preparano cellule di terrori-
sti pronte a lottare per la jihad. Antonio Evangelista, funziona-
rio della Polizia italiana, ha raccolto in un libro storie, intrecci
e retroscena di un fenomeno pressoché ignorato dall’informa-
zione italiana
Balcani, i campi di addestramento di Al Qaeda
K.Brooks/G.Neri
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ca”, come riportato dall’autore «sono
reciprocamente complementari, rap-
presentando rispettivamente la “fede”
e il “braccio armato”, in un quadro di
traffici criminali, strumentali al reperi-
mento di armi e esplosivi». Bosnia e
Kosovo: è qui che inizia il percorso di
addestramento per diventare “martiri
di Allah”.
Dott. Evangelista, Madrasse rie-
sce a fotografare in modo nitido
squilibri e instabilità sedimenta-
te nel tempo nei Balcani, in par-
ticolare laddove il proselitismo
islamico è più radicato. Qual è il
rapporto tra questo fenomeno e
la criminalità organizzata?
Innanzitutto è importante precisare
che quando parlo di Madrasse mi ri-
ferisco esclusivamente a quella di-
storsione della religione che ha crea-
to un fenomeno criminale, che cerca
di autolegittimarsi vestendo i panni
del predicatore. I fatti riportati nel li-
bro offrono il riscontro a questa valu-
tazione. Se con-
sideriamo la fi-
gura di Senad
Ramovic, terro-
rista ricercato a
livello interna-
zionale,scopria-
mo che nasce
come traffican-
te internaziona-
le di ragazze dall’Est e minori, di cui
lui per primo era violentatore e sfrut-
tatore. Verrà poi arrestato dieci anni
dopo in un campo di addestramento
“al terrore” nella zona del Sangiacca-
to (regione tra Serbia e Montenegro,
nda.), dopo aver trascorso lunghi
periodi anche in Italia. Un altro esem-
pio è Niam Behljulji, detto Hulji,
combattente nell’Uck: dopo la guerra
compra e vende armi, tanto da poter
fornire 15 chili di semtex (esplosivo,
nda.) a due uomini che al momento
delle trattative si presentano come
terroristi dell’Ira. In realtà erano due
giornalisti in incognito del «Sunday
Mirror». Rimane il fatto che Hulji era
al corrente che i 15 chili non sarebbe-
ro stati utilizzati in un cantiere per la
lavorazione dei marmi di Carrara.
Addirittura dichiara ai sedicenti
esponenti dell’Ira di poter armare un
esercito di 30/40 persone, offre loro
razzi terra-aria,
mitragliatrici,
divise… Dispo-
neva di un ar-
senale che,
probabilmente,
era fuoriuscito
dalle caserme
e dai depositi
militari dell’Al-
bania durante il collasso delle pirami-
di finanziarie (1996). In seguito furo-
no recuperati solo “rottami”: le armi
vere, quelle importanti, non sono mai
state ritrovate.
Qual è il ruolo operato dalle Ngo
islamiche? Molte sono una co-
pertura di Al Qaeda per infiltrar-
si nei Balcani?
È un ruolo determinante. Nel libro
riporto la vicenda di un pentito com-
Terminata la guerra nella ex
Iugoslavia, decine di
mujaheddin hanno ottenuto
la cittadinanza bosniaca,
procurandosi falsi passaporti,
assumendo nuove identità
K.Brooks/G.Neri
Libano 2007, combattimento in corso
tra Hezbollah e l’esercito regolare
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to in un’inchiesta sul Gruppo islami-
co armato (Gia), e condannato a 5
anni e mezzo per terrorismo. È con-
siderato un personaggio di spicco
nell’indagine denominata “Vento di
Guerra” del 1997, condotta contro
una organizzazione operante in Ita-
lia collegata direttamente con il
gruppo Gia, e come tale è anche in-
serito nell’elenco del ministero
dell’Economia come «presunto fi-
nanziatore del terrorismo interna-
zionale legato ad Osama Bin Laden e
Al Qaeda», come riportato da «Il
Giornale» del 11/8/2008. Il punto è
droga, ma nella cui inchiesta emerge
che proventi guadagnati con il nar-
cotraffico erano utilizzati per com-
prare armi destinate ai combattenti
kosovari. Autorevoli quotidiani nor-
vegesi e della Repubblia Ceca hanno
denunciano il collegamento tra Do-
broshi e il pakistano Arfan Aqdeer
Bhatti, ideatore, insieme con altri
connazionali, di un progetto per at-
taccare le ambasciate di Usa e Israe-
le a Oslo.
Dal suo libro emerge in modo
organico che alcuni ex combat-
tenti sono transitati in Italia,
alcuni per sfuggire a catture, al-
tri ancora autoproclamandosi
“imam”, inneggiando apertamen-
te al radicalismo islamico; prati-
ca che ha fatto sì che si stigma-
tizzasse l’intera comunità mu-
sulmana pre-
sente in Ita-
lia...
P e n s i a m o
all’imam tunisi-
no Khalil Jarra-
ya. In Bosnia
era diventato
mujaheddin. Catturato a Faenza, lo
scorso agosto, Jarraya è una vecchia
conoscenza dell’Antiterrorismo. Nel
2002 era stato arrestato – dopo una
latitanza di 4 anni – perché coinvol-
battente, Ali Ahmed Alì Ahmad. Egli
stesso afferma: «Ho operato e mi
sono infiltrato tramite l’Ngo». Anche
Zahid Sadik Sheikh Mohammed, fra-
tello di Khaled Sheikh Mohammed,
l’ideatore dell’11 settembre, è passa-
to tramite Ngo. Il cognato di Khaled,
Ramzi Youssef, responsabile del pri-
mo attentato alle Torri (26 febbraio
del ’93), era dentro una Ngo. Mo-
hammed Al Zawahiri, fratello di Ay-
man Al Zawahiri, ideatore di Al Qae-
da e coordinatore delle attività fi-
nanziarie e operative nei Balcani,
operava in una Ngo. Dobbiamo cre-
dere a una serie di coincidenze esa-
gerate o, forse, qualche ruolo, lonta-
no da quelli ufficialmente dichiarati,
lo hanno queste organizzazioni?
Chi finanzia queste organizza-
zioni fondamentaliste?
Soggetti presen-
ti in vari paesi:
Arabia Saudita,
Kuwait, Yemen.
Questo è un ca-
nale di finanzia-
mento; è agli at-
ti. Sicuramente
ci sono altri finanziamenti che ven-
gono dal crimine organizzato. Un
caso esemplare emerge dalla vicen-
da di Prince Dobroshi, un criminale
condannato a 15 anni per traffico di
P.Meunier/G.Neri
Le basi logistiche italiane
«Nella prima fase sei un civile, nella seconda un guerriero.
Guarda il gruppo della Bosnia: hanno fatto la jihad e ora fanno
altro, ma c’è chi aspetta un nuovo momento». A pronunciare
queste parole è l’egiziano Abu Saleh Es Sayed, ex imam della
moschea di via Quaranta a Milano. Proseliti per incitare alla
Guerra Santa, parole che suonano ancora più sinistre se consi-
deriamo che sono state intercettate circa un anno prima dell’at-
tacco dell’11 settembre 2001 al World Trade Center. Per gli
inquirenti, l’ex imam si è inoltre reso «responsabile della falsi-
ficazione di documenti per Al Qaeda», attivandosi, nel genna-
io 2001, nel fornire passaporti da inviare in America ad aspi-
ranti combattenti. Il 17 novembre 2003 (pochi giorni dopo i
tragici eventi di Nassirya) le autorità italiane espellono Abdel
Mamour, noto come “l’imam di Carmagnola”, accusandolo di
propaganda jihadista e di proselitismo. Aveva fatto delle rivela-
zioni inquietanti alla stampa, dicendosi sicuro che nel mirino
di Al Qaeda ci fossero i militari italiani. L’“imam” nel nostro
paese svolgeva un lavoro di consulente finanziario di una ban-
ca legata alla famiglia di Osama Bin Laden. Qualche mese
prima, la polizia arresta a Milano due seguaci dell’imam Abu
Imad al Masri, il marocchino Jousni Jamal e il tunisino Bouha-
ya Maher Abdelaziz. Entrambi erano accusati di avere legami
con l’organizzazione qaedista irachena “Ansar al Islam” e di
avere reclutato martiri da fare esplodere in Iraq.
Nell’estate del 2005 vengono espulsi anche l’imam di Como e
il tesoriere della moschea, perché ritenuti pericolosi. A Torino,
nel settembre seguente, è espulso Bouriqi Bouchta, imam del-
la moschea di Porta Palazzo, accusato di “propaganda e pro-
selitismo”. Secondo i rapporti della Digos, nel 2000 aveva
promosso una riunione per reclutare volontari da inviare in
Cecenia; nella sua moschea era stato ospitato più volte Ben
Said Faycal, un estremista tunisino. Bouriqi Bouchta è conside-
rato il reclutatore di Salah Sassi, un mujaheddin catturato in
Afghanistan dagli americani, ma, soprattutto, la sua moschea
era stata il punto di ritrovo dei cinque islamisti espulsi alla fine
del 2003 insieme all’imam di Carmagnola, accusati − tra le
altre cose − di aver organizzato una colletta per gli autori degli
attentati suicidi del 2003 a Casablanca.
Lo scorso gennaio 2008 anche a Mohamed Kohaila, 45 anni,
marocchino, imam subentrato a Bouriqi Bouchta, è stato noti-
ficato il decreto di espulsione “per motivi di ordine pubblico”.
La primavera dell’anno prima era stato accusato nella trasmis-
sione televisiva Annozero di diffondere sermoni fondamentali-
Il terrorismo religioso può
colpire ovunque. L’Italia
l’attentato lo ha subito
all’estero, il 12 novembre
del 2003 a Nassirya
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Balcani, i campi di addestramento di Al Qaeda
memoria. Credo sia importante re-
golamentare il fenomeno. Nel luglio
del 2007, in parlamento fu presenta-
ta una proposta di legge bipartisan,
sollecitata dalla stessa Unione mu-
sulmani italiani (Umi), fondata
sull’istituzione di un registro nazio-
nale degli imam, tenuto dal ministe-
ro dell’Interno. Il testo si rivolge agli
imam in possesso di residenza in
Italia e privi di condanne penali. Ri-
tengo sia questa la prospettiva verso
cui si dovrebbe guardare. È proprio
in questa circostanza che il miglior
consigliere in grado di indicarci chi
ha i titoli per proporsi come imam è
la parte sana dell’Islam.
A livello investigativo, inoltre, il
lavoro si complica perché molti
mujaheddin all’indomani della
distruzione dell’ex Iugoslavia
hanno ottenuto nuove identità,
quindi nuove cittadinanze...
Si tratta di questione oggetto di di-
battito a livello internazionale, tant’è
che in Bosnia è stata nominata una
commissione per rivedere tutte que-
ste cittadinanze. Il problema nasce
quando a un pronunciamento della
Commissione favorevole a revocare
la cittadinanza non segue l’esecuzio-
ne del provvedimento.
Ma ci sono anche segnali sicuramen-
te positivi. Sul versante italiano è
che soggetti come Jarraya non do-
vrebbero essere messi in condizione
di operare come imam. Un esponen-
te di quel calibro non dovrebbe ave-
re lo spazio per “predicare”, perché
il danno maggiore lo fa, prima che a
noi, alla comunità musulmana sana
che vive pacificamente in Italia.
Come regolamentare la situazio-
ne?
Questi “imam”, in realtà, nulla han-
no a che fare con i veri imam che
devono studiare e interpretare il
Corano, non limitarsi a conoscerlo a
giusto riconoscere la volontà di co-
stituire squadre investigative miste
insieme ai paesi dell’area balcanica
per contrastare la criminalità orga-
nizzata, il traffico di esseri umani e,
in Bosnia, il terrorismo. Si tratta di
un’attività preventiva importante.
Che cosa intende dire quando nel
libro scrive che Al Qaeda rappre-
senta una rivolta islamica globa-
le, non solo una tradizionale or-
ganizzazione terroristica?
Al Qaeda non è un’organizzazione
terroristica nel senso in cui siamo
abituati a pensare, mi riferisco al
terrorismo interno di estrema sini-
stra e destra. Consideriamo il feno-
meno della mafia, ne conosciamo
mandamenti, capi-zona, padrini, sol-
dati: c’è una struttura organizzata. In
questo caso se catturo un gruppo,
una cellula o un esponente, posso
arrivare a ricostruire l’intero organi-
gramma. Al Qaeda non ha una strut-
tura nel senso tradizionale. La diffi-
coltà dell’indagine sta nel fatto che i
suoi membri non seguono schemi
fissi perché riflettono culture e me-
todi differenti tra loro. Siamo di
fronte a un “franchising del terrore”.
Il terrorismo religioso può colpire
ovunque. L’Italia l’attentato lo ha su-
bito all’estero, il 12 novembre del
2003, a Nassirya. n
sti in una moschea in via Cottolengo, vicino a Porta Palazzo.
L’imam Kohaila era stato filmato da telecamere nascoste: il vi-
deo trasmesso il 29 marzo dal programma condotto da Miche-
le Santoro mostrava fondamentalisti impegnati in propaganda
all’interno della moschea e l’incitazione dell’imam ai musul-
mani a non integrarsi con cristiani ed ebrei, considerati infede-
li. Inoltre, nella moschea erano state mostrate fotocopie di un
giornale vicino al gruppo di Al Qaeda. Il discorso pronunciato
dall’imam in quell’occasione è tra gli elementi che costituisco-
no il fascicolo raccolto dalla Digos in mesi d’istruttoria.
Per ultimo Venezia. La Digos della Questura di Venezia ha
eseguito, lo scorso 20 aprile, 26 perquisizioni domiciliari nei
confronti di stranieri, in maggior parte algerini, residenti nelle
province di Vicenza, Venezia, Padova, Brescia, Firenze, Caser-
ta, Como, Cuneo e Trento, indagati dalla Procura della Repub-
blica di Venezia nell’ambito di un procedimento penale per
l’ipotesi di reato di associazione con finalità di terrorismo in-
ternazionale nonché per favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina e ricettazione. L’operazione giunge al termine di
un’indagine avviata dalla Digos di Venezia a partire dal marzo
del 2007 in direzione di ambienti integralisti islamici gravitan-
ti intorno alla moschea di via dei Mille a Vicenza, guidata da
un imam yemenita anch’egli indagato. Il particolare interesse
investigativo dell’inchiesta deriva, tra l’altro, dal fatto che nel
luogo di culto vicentino erano approdati tre estremisti algerini,
tutti provenienti da Napoli, dove erano stati già coinvolti, a
diverso titolo, in attività di falsificazione documentale a soste-
gno di gruppi jihadisti. Le indagini della Questura di Venezia,
sviluppate capillarmente anche in ambito internazionale, han-
no documentato il fanatismo ideologico-religioso di alcuni
degli indagati. Uno di essi, in particolare, celebrando il “mar-
tirio” come modello di lotta e indicandolo come la strada da
seguire nel conflitto islam-occidente, è giunto a giudicare gli
attentati dell’11 settembre 2001 una “prova” della grandezza
dell’Islam. L’attività investigativa condotta ha evidenziato, inol-
tre, come gli stranieri indagati auspicassero la caduta dell’at-
tuale Governo algerino e fossero animati da profondo rancore
nei confronti degli italiani, degli ebrei nonché da aperto di-
sprezzo della cultura occidentale. Dalle indagini svolte dalla
Digos della Questura diVenezia è inoltre emersa l’esistenza di
una rete – gravitante attorno a un imam di una moschea del
casertano – di supporto logistico in favore di clandestini prove-
nienti dall’area magrebina, ai quali venivano offerti ospitalità,
assistenza economica e documenti contraffatti per restare sul
territorio nazionale.
s.b.
Kenya, scuola coranica