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FORUM DELLA COMUNICAZIONE
Seminario Romano Maggiore
Roma, 8 ottobre 2016
	
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Radiotelevisione, informazione, città metropolitane: alcune asistematiche
considerazioni di inizio d’anno su territori, distretti e diritti
di Andrea Franceschi – Former DG di CONFINDUSTRIA RADIO TELEVISIONI
Il tema della città, del territorio e del suo rapporto con l’informazione è da tempo al centro
del dibattito sociologico, economico, culturale e anche politico (basti pensare alla riflessione
in atto sui sistemi elettorali). La Banca Mondiale stima che nel 2050 il 90% della
popolazione del globo vivrà nelle città, senza ometterne tutte le istanze geopolitiche
sottese.
La radio e la televisione hanno da sempre svolto un ruolo “urbano”. Penso all’unificazione
linguistica operata nell’Italia dei 1000 campanili dalla RAI degli anni ’60, ma anche
all’emittenza regionale della concessionaria pubblica e alle radio (allora si diceva libere) e
alle TV commerciali e locali. Penso anche all’emittenza radiotelevisiva locale di matrice
cattolica che, sulla onda lunga del Concilio, nel tempo ha dato luogo alla categoria delle
emittenti “comunitarie”. Chi scrive nel 1977, a 15 anni, ne ha fondata una. Un vero
patrimonio che ha dato corpo nel tempo quel principio costituzionale del pluralismo che
richiese particolare tempo e attenzione da parte dei padri costituenti e che oggi
comunemente si declina nella duplice accezione di pluralismo interno (libertà di accesso
ad una pluralità di fonti) ed esterno (libertà di impresa in regime di concorrenza). Una
grande responsabilità per l’industria radiotelevisiva.
Parliamo di 180.000 ore di programmazione dedicata dalle prime 100 emittenti locali
che producono il 95% degli ascolti e il 70% dell’occupazione del comparto su un
totale polverizzato di 3200 canali, eppure con ricavi in continua contrazione a causa
non solo della coda lunga della crisi e del passaggio al digitale, ma soprattutto di politiche
industriali non sufficientemente decise, di ampio respiro e tempestive: una situazione di
cui il Governo si è fatto carico e che speriamo si avvii rapidamente a soluzione.
Sul rapporto intimo tra informazione locale e territorio voglio ricordare che la figura
giornalistica dell’addetto all’informazione “Teleradioreporter” (cronista per lo più “di strada”
pronto ad accorrere dove c’è la notizia, che svolge la sua attività in perfetta autonomia o, al
massimo con l’aiuto di un tecnico), fu introdotta in Italia – sulla scorta dell’esperienza
statunitense - nel 1993 nel CCNL per i Dipendenti delle imprese radiotelevisive private
firmato da FRT Federazione Radio Televisioni (ora confluita in CRTV), RNA, ANICA e i
sindacati dei lavoratori, contratto che viene applicato a oltre il 90% delle imprese
radiotelevisive private.
Una situazione che non ha premiato il pluralismo esterno e la concorrenza, anche
nella Capitale, dove lo sviluppo impetuoso a macchia d’olio (il cosiddetto “sprawling”)
presenta di continuo alle cronache un crescente bisogno di coesione e ricomposizione
dell’emarginazione determinata da una città dove il “Centro” rischia di ridursi ad un “fashion
district” per turisti e le nuove dinamiche nascono nelle periferie. Un’informazione
“inclusiva” in cui radio e tv locali e informazione pubblica giocano ruoli
complementari, ma sempre rivolti allo sviluppo di conoscenze, contenuti, valori e quindi di
opportunità per le comunità, soprattutto delle città metropolitane, dove il “gap” informativo
(ed educativo) ha rallentato decisamente l’ascensore sociale.
FORUM DELLA COMUNICAZIONE
Seminario Romano Maggiore
Roma, 8 ottobre 2016
	
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Radio e tv locali (e non penso solo ai “broadcaster” puri , ma anche ai loro siti “streaming” e
“social”) sono state il testimone di questi cambiamenti e devono poter continuare a svolgere
un servizio di prossimità “di interesse pubblico”. Il Premier Renzi in una intervista a
“Primocanale” di Genova ha addirittura parlato di “servizio pubblico” quando
l’informazione locale è di qualità.
Credibilità e vicinanza hanno infatti contenuto la “disintermediazione” informativa
provocata da Internet e dai nuovi operatori OTT non sottoposti alla disciplina vincolistica
che invece regola il settore radiotelevisivo nata nell’era analogica e oggi anacronistica, anzi
deleteria per la costruzione di un “level playing field” un livellato campo di gara in Europa,
anche a livello locale.
La scala quindi oggi per l’informazione è “Globale” (sempre più a buon mercato) e
“Locale” purchè sottoposta al criterio della responsabilità editoriale a tutela del diritto
di cronaca, del diritto d’autore e dei più deboli, anzitutto i minori, sia nei confronti dei
contenuti inappropriati che della pubblicità inadatta. Basti pensare alla partecipazione
storica del settore rappresentato da CRTV al “Comitato Media e Minori”, la promozione dei
diversi standard tecnologici che consentono il “parental control” sui contenuti e
l’atteggiamento responsabile tenuto da questa in occasione dell’adozione della normativa
in tema di pubblicità dei giochi con vincite in denaro.
Papa Francesco del resto è intervenuto sul tema della responsabilità delle imprese in
occasione del “Giubileo dell’industria” durante l’udienza del 27 febbraio 2016 dedicata ai
7000 , tra imprenditori e le loro famiglie, di Confindustria (la prima nella storia dell’istituzione)
richiamando una solidarietà di sostanza, che nelle nostre città richiedono di attivare
urgentemente progetti capaci di coinvolgere la famiglia, i giovani, i lavoratori di domani, e gli
anziani, cioè i più deboli. Incontrando l’Ordine dei Giornalisti italiani in occasione della
presentazione dello statuto della Segreteria per la Comunicazione, il Santo Padre è
tornato specificatamente sull’importanza della responsabilità professionale “… colonna
portante, un elemento fondamentale per la vitalità di una società libera e plurale”.
Dovendo cogliere riflessi e prospettive concludo con uno sguardo all’esperienza straniera
(e in particolare britannica) che ci indica diverse buone pratiche circa il ruolo che i territori
possono giocare nelle nuove dinamiche economiche mondiali e che l’Italia, ricca di
giacimenti culturali e di intere filiere produttive di eccellenza sul panorama dell’industria
creativa mondiale, può giocare. Basti pensare al modello del “distretto produttivo” dove il
prodotto audiovisivo integra verticalmente tutte le diverse fasi produttive, marcando uno
stretto rapporto con la ricerca e le Università, in regime fiscale di favore che spinge la
massima occupazione, favorisce le coproduzioni internazionali. Il tutto con un consistente
indotto derivante dall’uso di “location” uniche (ricordo che secondo l’Unesco il 70% del
patrimonio culturale mondiale è sito in Italia, diviso tra Roma e Firenze ) e che potrebbe
rappresentare il biglietto del “Made in Italy” all’estero.
Un modello virtuoso che potrebbe ben trovare cittadinanza a Roma nell’ambito del
progetto di trasformazione digitale “Industria 4.0” attualmente in fase di
implementazione presso il Mise.
C’è molto spazio per le formazioni sociali intermedie (e le Associazioni in particolare)
affinchè lo rendano possibile.

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  • 1. FORUM DELLA COMUNICAZIONE Seminario Romano Maggiore Roma, 8 ottobre 2016 1 Radiotelevisione, informazione, città metropolitane: alcune asistematiche considerazioni di inizio d’anno su territori, distretti e diritti di Andrea Franceschi – Former DG di CONFINDUSTRIA RADIO TELEVISIONI Il tema della città, del territorio e del suo rapporto con l’informazione è da tempo al centro del dibattito sociologico, economico, culturale e anche politico (basti pensare alla riflessione in atto sui sistemi elettorali). La Banca Mondiale stima che nel 2050 il 90% della popolazione del globo vivrà nelle città, senza ometterne tutte le istanze geopolitiche sottese. La radio e la televisione hanno da sempre svolto un ruolo “urbano”. Penso all’unificazione linguistica operata nell’Italia dei 1000 campanili dalla RAI degli anni ’60, ma anche all’emittenza regionale della concessionaria pubblica e alle radio (allora si diceva libere) e alle TV commerciali e locali. Penso anche all’emittenza radiotelevisiva locale di matrice cattolica che, sulla onda lunga del Concilio, nel tempo ha dato luogo alla categoria delle emittenti “comunitarie”. Chi scrive nel 1977, a 15 anni, ne ha fondata una. Un vero patrimonio che ha dato corpo nel tempo quel principio costituzionale del pluralismo che richiese particolare tempo e attenzione da parte dei padri costituenti e che oggi comunemente si declina nella duplice accezione di pluralismo interno (libertà di accesso ad una pluralità di fonti) ed esterno (libertà di impresa in regime di concorrenza). Una grande responsabilità per l’industria radiotelevisiva. Parliamo di 180.000 ore di programmazione dedicata dalle prime 100 emittenti locali che producono il 95% degli ascolti e il 70% dell’occupazione del comparto su un totale polverizzato di 3200 canali, eppure con ricavi in continua contrazione a causa non solo della coda lunga della crisi e del passaggio al digitale, ma soprattutto di politiche industriali non sufficientemente decise, di ampio respiro e tempestive: una situazione di cui il Governo si è fatto carico e che speriamo si avvii rapidamente a soluzione. Sul rapporto intimo tra informazione locale e territorio voglio ricordare che la figura giornalistica dell’addetto all’informazione “Teleradioreporter” (cronista per lo più “di strada” pronto ad accorrere dove c’è la notizia, che svolge la sua attività in perfetta autonomia o, al massimo con l’aiuto di un tecnico), fu introdotta in Italia – sulla scorta dell’esperienza statunitense - nel 1993 nel CCNL per i Dipendenti delle imprese radiotelevisive private firmato da FRT Federazione Radio Televisioni (ora confluita in CRTV), RNA, ANICA e i sindacati dei lavoratori, contratto che viene applicato a oltre il 90% delle imprese radiotelevisive private. Una situazione che non ha premiato il pluralismo esterno e la concorrenza, anche nella Capitale, dove lo sviluppo impetuoso a macchia d’olio (il cosiddetto “sprawling”) presenta di continuo alle cronache un crescente bisogno di coesione e ricomposizione dell’emarginazione determinata da una città dove il “Centro” rischia di ridursi ad un “fashion district” per turisti e le nuove dinamiche nascono nelle periferie. Un’informazione “inclusiva” in cui radio e tv locali e informazione pubblica giocano ruoli complementari, ma sempre rivolti allo sviluppo di conoscenze, contenuti, valori e quindi di opportunità per le comunità, soprattutto delle città metropolitane, dove il “gap” informativo (ed educativo) ha rallentato decisamente l’ascensore sociale.
  • 2. FORUM DELLA COMUNICAZIONE Seminario Romano Maggiore Roma, 8 ottobre 2016 2 Radio e tv locali (e non penso solo ai “broadcaster” puri , ma anche ai loro siti “streaming” e “social”) sono state il testimone di questi cambiamenti e devono poter continuare a svolgere un servizio di prossimità “di interesse pubblico”. Il Premier Renzi in una intervista a “Primocanale” di Genova ha addirittura parlato di “servizio pubblico” quando l’informazione locale è di qualità. Credibilità e vicinanza hanno infatti contenuto la “disintermediazione” informativa provocata da Internet e dai nuovi operatori OTT non sottoposti alla disciplina vincolistica che invece regola il settore radiotelevisivo nata nell’era analogica e oggi anacronistica, anzi deleteria per la costruzione di un “level playing field” un livellato campo di gara in Europa, anche a livello locale. La scala quindi oggi per l’informazione è “Globale” (sempre più a buon mercato) e “Locale” purchè sottoposta al criterio della responsabilità editoriale a tutela del diritto di cronaca, del diritto d’autore e dei più deboli, anzitutto i minori, sia nei confronti dei contenuti inappropriati che della pubblicità inadatta. Basti pensare alla partecipazione storica del settore rappresentato da CRTV al “Comitato Media e Minori”, la promozione dei diversi standard tecnologici che consentono il “parental control” sui contenuti e l’atteggiamento responsabile tenuto da questa in occasione dell’adozione della normativa in tema di pubblicità dei giochi con vincite in denaro. Papa Francesco del resto è intervenuto sul tema della responsabilità delle imprese in occasione del “Giubileo dell’industria” durante l’udienza del 27 febbraio 2016 dedicata ai 7000 , tra imprenditori e le loro famiglie, di Confindustria (la prima nella storia dell’istituzione) richiamando una solidarietà di sostanza, che nelle nostre città richiedono di attivare urgentemente progetti capaci di coinvolgere la famiglia, i giovani, i lavoratori di domani, e gli anziani, cioè i più deboli. Incontrando l’Ordine dei Giornalisti italiani in occasione della presentazione dello statuto della Segreteria per la Comunicazione, il Santo Padre è tornato specificatamente sull’importanza della responsabilità professionale “… colonna portante, un elemento fondamentale per la vitalità di una società libera e plurale”. Dovendo cogliere riflessi e prospettive concludo con uno sguardo all’esperienza straniera (e in particolare britannica) che ci indica diverse buone pratiche circa il ruolo che i territori possono giocare nelle nuove dinamiche economiche mondiali e che l’Italia, ricca di giacimenti culturali e di intere filiere produttive di eccellenza sul panorama dell’industria creativa mondiale, può giocare. Basti pensare al modello del “distretto produttivo” dove il prodotto audiovisivo integra verticalmente tutte le diverse fasi produttive, marcando uno stretto rapporto con la ricerca e le Università, in regime fiscale di favore che spinge la massima occupazione, favorisce le coproduzioni internazionali. Il tutto con un consistente indotto derivante dall’uso di “location” uniche (ricordo che secondo l’Unesco il 70% del patrimonio culturale mondiale è sito in Italia, diviso tra Roma e Firenze ) e che potrebbe rappresentare il biglietto del “Made in Italy” all’estero. Un modello virtuoso che potrebbe ben trovare cittadinanza a Roma nell’ambito del progetto di trasformazione digitale “Industria 4.0” attualmente in fase di implementazione presso il Mise. C’è molto spazio per le formazioni sociali intermedie (e le Associazioni in particolare) affinchè lo rendano possibile.