Il Fisco può rivalersi nei confronti dei soci per i debiti
della società estinta nei limiti di quanto riscosso
dagli stessi a seguito della liquidazione oppure illimitatamente,
a seconda che questi siano limitatamente o illimitatamente responsabili.
per i debiti sociali.
1. 17 verona sette attualità 8 aprile 2016
Non si è mai finito di impa-
rare in fatto di economia, la
quale segue leggi non scritte,
ma, severe, imperiture e capa-
ci di adattarsi, con massima
immediatezza, nel bene o nel
male, agli eventi del tempo. In
tale quadro, che non cambierà
mai, importante ruolo gioca
il risparmio, sia come compi-
to dello Stato, per il bene dei
cittadini, sia come compito dei
cittadini, a tutela delle proprie
finanze, e sia come elemento-
base, in generale, di ricchez-
za e di stabilità economica. A
condurci a tali considerazioni,
dai contenuti oltremodo noti,
è stata la casuale lettura del
saggio, molto dettagliato, La
moneta piemontese, ai tempi
di Vittorio Amedeo I e di Car-
lo Emanuele II (1630-1675), a
cura di Guido Praj, nel “Bol-
lettino storico-bibliografico
subalpino, organo della De-
putazione Subalpina di Sto-
ria Patria”, anno XL, N° 3-4,
luglio-dicembre 1938-XVIII,
nuova serie - Anno IV, Tipo-
grafia Collegio Artigianelli,
via Juvara, 14, Torino, 1938,
pp. 221-327. Erano tempi,
quelli cui ci riferiamo, nei
quali gli Stati, com’era il caso
in esame, riferito al Ducato
di Piemonte, si procuravano
entrate fiscali – assolutamen-
te necessarie, soprattutto, per
fare fronte a spese di frequenti
guerre – non solo attraverso
le note imposizioni, ma anche
facendo ricorso al cosiddetto
‘signoraggio’, inteso come ri-
cavo dal diritto di battere mo-
neta. Tale profitto, che, tutta-
via, causava forte inflazione e
che colpiva fortemente, ovvia-
mente, la popolazione, deriva-
va dal fatto che, basandosi il
valore della moneta del tempo
sul peso del metallo prezioso
(argento o oro), in essa con-
tenuto, lo Stato emetteva, per
fare un banale esempio, una
moneta avente il valore libe-
ratorio, fissato dal governo, di
100 euro, mentre il suo conte-
nuto reale, in metallo prezio-
so, ammontava a soli 25 euro.
Lo Stato ricavava, quindi,
sempre per esempio, 75 euro
per pezzo, posto in circolazio-
ne. Tale politica finanziaria – il
cui lucro variava da emissione
in emissione, eseguita a secon-
da del fabbisogno di liquidità,
sempre a seconda dei conte-
nuti di fino – era aggravata
nei risultati, dall’immissione,
nella massa monetaria del-
lo Stato stesso coniante, non
solo di quantità eccessive di
suo monetato rispetto al pro-
dotto disponibile sul mercato,
ma anche, dall’ovvia introdu-
zione, nello Stato, di monete
estere, pure di scarso valore,
quale corrispettivo di esporta-
zione o di coniazioni falsifica-
te e d’infimo contento. Queste
ultime considerazioni a parte,
Vittorio Amedeo I, allo sco-
po di evitare soprattutto, fra
le altre misure monetarie, il
ricorso al signoraggio, già al-
lora considerato causa, come
ricordavamo in precedenza,
di perdita di valore del circo-
lante, inaugurò una politica
finanziaria risanatrice, con il
suo editto de 26 novembre
1632, che prevedeva, scrive il
Praj, a p. 237, del suo saggio,
il ritiro di monete basse, di
zecche sabaude e forestiere,
emesse precedentemente... e
l’emissione di nuove monete
tipiche, legate tra di loro da
un rapporto legale e costan-
te, nella quantità strettamente
necessaria, per i bisogni del
commercio. Chiarisce, ancora,
il Praj che tale brillante risulta-
to è reso possibile solo da una
rigida politica finanziaria, che
permetta all’erario di rinun-
ciare alle cospicue entrate dei
signoraggi di zecca. Si segue,
infatti, un regime di grande
economia, limitando le spese
a quelle strettamente indi-
spensabili per la difesa dello
Stato, si riducono pressoché a
zero quelle destinate alla co-
struzione di palazzi e di ville,
nonché le spese di corte, nelle
quali tanto aveva largheggiato
il grande Carlo Emanuele I e
si incide notevolmente persi-
no sulle rendite speciali di cui
fruiscono i membri della Fa-
miglia Reale. Così ad esempio,
i fratelli naturali del Duca: don
Felice e don Emanuele si ve-
dono ridotte le rendite annua-
li da 50 a 6 scudi d’oro; lo stes-
so fratello di Vittorio Amedeo,
il Principe Tommaso, vede
diminuite di molto le entrate
dei suoi appannaggi. Si riduce
perfino il numero degli impie-
gati del Senato ed ai senatori
si sospendono gli stipendi,
giungendo, in questo modo,
ad ottenere quello che noi
chiameremmo il pareggio di
bilancio. Questa ultima parte
ci ha colpito abbastanza, per-
ché, come all’attento Lettore
apparirà evidente, il contenu-
to della stessa, pur certamen-
te da considerarsi nel quadro
del tempo, in cui le misure
descritte furono poste in atto,
esse molto assomigliano a
quanto sia oggi necessario re-
alizzare, nel nostro Paese. Già
383 anni orsono, Torino, nel
suo piccolo, capì l’esigenza di
risparmi nella spesa pubbli-
ca, per il pubblico bene. Per
un radicale risanamento del-
la pubblica finanza, così deve
fare anche Roma.
Pierantonio Braggio
Una curiosità economico
finanziaria, risalente al 1632
Vittorio Amedeo I (1587-1637), duca di Savoia, mise in atto severe misure di risparmio, sia da parte della propria amministrazione privata
Il Fisco può rivalersi nei
confronti dei soci per i de-
biti della società estinta nei
limiti di quanto riscosso
dagli stessi a seguito della
liquidazione oppure illimi-
tatamente, a seconda che
questi siano limitatamente
o illimitatamente responsa-
bili per i debiti sociali.
E’ questo il principio san-
cito dalla Commissione
Tributaria Regionale di Mi-
lano che, con recente sen-
tenza, ha accolto il ricorso
proposto dall’Agenzia delle
Entrate avverso una senten-
za pronunciata dalla Com-
missione Tributaria Provin-
ciale di Pavia, con la quale
veniva annullato un avviso
di accertamento poiché re-
lativo ad una S.a.s. estin-
ta (sentenza n.40/6/2016,
Presidente Dott. SILOCCHI
Sergio, depositata in segre-
teria il 12 gennaio 2016 e li-
beramente visibile su www.
studiolegalesances.it - se-
zione Documenti).
Secondo i giudici meneghi-
ni “è ben vero, infatti, che ai
sensi e per gli effetti di cui
all’art.2495 c.c. (norma rife-
rita espressamente alle so-
cietà di capitali ma ritenuta
applicabile anche a quelle di
persone…), la cancellazione
di una società dal registro
delle imprese ne determi-
na l’estinzione; ma è anche
vero che dei debiti origina-
riamente facenti capo alla
stessa e non estinti con la
liquidazione … devono ri-
spondere i soci, sia pure nei
limiti di quanto riscosso a
seguito della liquidazione o
illimitatamente, a seconda
che … fossero limitatamen-
te o illimitatamente respon-
sabili per i debiti sociali”
Nel caso specifico, era sta-
to notificato ai soci di una
S.a.s. cancellata dal Registro
delle Imprese, un avviso di
accertamento con il quale
veniva richiesto il paga-
mento di alcuni debiti della
società estinta.
Alla luce di quanto sopra,
dunque, ne deriva che i
soci di una società di per-
sone sono responsabili dei
debiti sociali anche dopo
l’estinzione della società
e, in particolare, essi ri-
spondono solo nei limiti di
quanto riscosso a seguito
della liquidazione oppure
illimitatamente a seconda
che gli stessi siano stati soci
limitatamente (cd. “soci Ac-
comandanti”) o illimitata-
mente (cd. “soci Accoman-
datari”) responsabili.
Avv. Matteo Sances
Dott. Hiroshi Pisanello
www.centrostudisances.it
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Dalla parte dei consumatori
RISPONDONO AL FISCO I SOCI DELLA S.A.S ESTINTA