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Rivista di Studi Economici Giuridici Sociali
ANNOXXII-n.2Lug.-Dic.2013-Semestrale-Sped.inabb.postale-filialediForlì-70%-periodico
In questo numero:
Atti del convegno
tenuto a Rimini il 21 giugno 2013
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
Paure per la privacy, speranze per la trasparenza.
Dentro e oltre le banche dati: le isole dei tesori.
Rivista di Studi Economici Giuridici Sociali
La rivista Orientamenti è espressione
dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti - sezione di Rimini - (AIDC)
e dell’Associazione Dottori Commerialisti di Rimini (ADC)
con il patrocinio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili di Rimini e dell’Ordine degli Avvocati di Rimini
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
2
Comitato scientifico:
Befera Attilio, Direttore Agenzia delle Entrate, Brighi Paola, Prof. Ass. Economia Intermediari
Finanziari, Università di Bologna, Castaldi Giovanni, ex Direttore Unità d’Informazio-
ne Finanziaria (UIF), Donadio Gianfranco, Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia,
Giovagnoli Paolo, Procuratore della Repubblica di Rimini, Maestri Adriano, Direttore
Regionale Banca Intesa San Paolo, Magistro Luigi, Vicedirettore dell’Agenzia delle Dogane e
dei Monopoli, Sforza Flavia, Avvocato presso l’Avvocatura delle Banca d’Italia; Sottani Sergio,
Procuratore della Repubblica di Forlì, Tasini Massimiliano, Prof. a contratto Diritto Tributario,
Università di Urbino, Trovato Angelo, Prefetto - Presidente Commissione Nazionale per il
diritto di asilo.
Comitato organizzativo:
Barone Fabio, Avvocato in Rimini, Campodonico Francesco, Dottore Commercialista in
Senigallia, Cappellini Monica, Avvocato in Rimini, Gasperoni Paolo, Avvocato in Rimini,
Loato Paolo, Dottore Commercialista in Rovigo, Mascilongo Marta, Dottore Commercialista in
Cattolica, Paganini Pier Paolo, Dottore Commercialista in Rimini, Pironi Miranda, Ragioniera
Commercialista in Rimini, Ricci Piero, Dottore Commercialista in Cesena, Rosetti Massimo,
Dottore Commercialista in Rimini, Santandrea Paola, Avvocato in Lugo, Siccardi Silvia,
Avvocato in Rimini.
Direttore Responsabile:
Giancarlo Ferrucini
I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerarsi opinioni degli autori e non impegnano pertanto il Direttore e la Redazione.
Note, articoli e altro materiale da pubblicarsi nella Rivista vanno spediti al Direttore Dott. Giancarlo Ferrucini,
via Garibaldi, 69 - 47921 Rimini - Telefax 0541/635070 - Telefono 0541/786574
I manoscritti anche se non pubblicati non si restituiscono.
Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 6/92 del 22.04.1992
Pubblicazione con pubblicità inferiore al 70%.
PROPRIETÀ EDITORIALE:
Associazione Culturale Orientamenti - via Garibaldi, 69 - Rimini
STAMPA:
Arti Grafiche Ramberti - Viserba di Rimini
Chiuso in redazione il 31 Maggio 2013.
Testata associata all’Unione Stampa
Periodica Italiana
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
4
SOMMARIO
Atti del convegno tenuto a Rimini il 21/06/2013 “ Tracce, impronte & archivi
finanziari - Paure per la privacy, speranze per la trasparenza. Dentro e oltre le
banche dati: le isole dei tesori.”
  
Introduzione al convegno, di Giancarlo Ferrucini	 Pag.	 9
  
Interventi:
Gianfranco Donadio
Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia
Disciplina penale e prevenzione del riciclaggio:
le prospettive della riforma	 Pag.	 11
Francesco Greco
Procuratore Aggiunto Procura della Repubblica di Milano
Prospettive di riforma nella lotta al crimine economico	 Pag.	 19
Attilio Befera
Direttore Agenzia delle Entrate
Le novità dell’Archivio dei rapporti finanziari
e la tutela della privacy	 Pag.	 30
Fabio Di Vizio
Sostituto Procuratore delle Repubblica di Pistoia
La scomparsa dei paradisi fiscali ed altre favole belle.
Le responsabilità non separate, contro le comode pretese
di neutralità, indipendenza e semplificazione, per
l’efficiente contrasto del crimine economico	 Pag.	 38
Laura Zaccaria
Responsabile Direzione Norme e Tributi ABI
La valorizzazione del patrimonio informativo dello Stato:
quando l’interesse collettivo supera quello individuale	 Pag.	 70
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
5
Vincenzo Gunnella
Notaio in Firenze, Membro Commissione Antiriciclaggio
del Consiglio Nazionale del Notariato
Il notariato gatekeeper per l’antiriciclaggio
e l’utilizzazione del suo patrimonio informativo	 Pag.	 75
Claudio Clemente
Direttore Unità d’Informazione Finanziaria (UIF)
Anomalie operative, sospetti e spunti investigativi:
il contributo dell’Unità d’Informazione Finanziaria	 Pag.	 84
1^ Tavola Rotonda - Corruzione, concussione e reati della P.A.
Presieduta da Paolo Giovagnoli
Paolo Giovagnoli
Procuratore della Repubblica di Rimini	 Pag.	 96
Davide Ercolani
Sostituto Procuratore della Repubblica di Rimini	 Pag.	 100
Luigi Stortoni
Ordinario di Diritto Penale,
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna	 Pag.	 106
Bruno Piccioni
Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti
ed Esperti Contabili di Rimini	 Pag.	 109
Aldo Scola
Consigliere di Stato -
Presidente Commissione tributaria regionale Emilia-Romagna	 Pag.	 113
Massimiliano Tasini
Dottore Commercialista - Vice Presidente ANTI - Regione Marche	 Pag.	 117
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
6
2^ Tavola Rotonda - Falso in bilancio
Presieduta da Orazio Pescatore
Orazio Pescatore
Presidente del Tribunale di Forlì	 Pag.	 120
Domenico Truppa
GIP presso il Tribunale di Modena	 Pag.	 126
Filippo Sgubbi	
Ordinario di Diritto Penale - Facoltà di Giurisprudenza -
Università di Bologna	 Pag.	 131
3^ Tavola Rotonda - Riciclaggio e Autoriciclaggio
Presieduta da Sergio Sottani
Sergio Sottani
Procuratore della Repubblica di Forlì	 Pag.	 136
Maria Gabriella Di Pentima
Avvocato in Forlì	 Pag.	 139
Rodolfo Zani
Delegato Privacy Intesa Sanpaolo	 Pag.	 143
Emmanuele Di Fenza
Responsabile Ufficio Operazioni Sospette Antiriciclaggio
Intesa San Paolo	 Pag.	 146
Paola Brighi
Professore di Economia degli Intermediari Finanziari
Università di Bologna	 Pag.	 150
Michela Guidi
Sostituto Procuratore della Repubblica di Forlì 	 Pag.	 154
Marco Martines
Presidente Camera Penale della Romagna	 Pag.	 158
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
7
4^ Tavola Rotonda - Reati Fiscali
Presieduta da Rossella Talia
Rossella Talia
Presidente del Tribunale di Rimini	 Pag.	 162
Giovanni Trerè
Presidente della Sezione Penale del Tribunale di Forlì	 Pag.	 167
Rosa Menale	
Presidente del Consiglio Notarile di Rimini - Forlì	 Pag.	 171
Antonio Marco Antonucci
Maggiore Comandante Nucleo GdF di Rimini	 Pag.	 174
Fiorella Casadei
Coordinatore GIP del Tribunale di Rimini	 Pag.	 178
Silvia Siccardi
Avvocato tributarista in Rimini	 		
	 Pag.	 181
Stefano Celli
Sostituto Procuratore della Repubblica di Rimini 	 Pag.	 185
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
8
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
99
INTRODUZIONE
Tracce, impronte & archivi finanziari -
Paure per la privacy, speranze per la trasparenza.
Dentro e oltre le banche dati: le isole dei tesori.
di Giancarlo Ferrucini
Dottore Commercialista in Rimini
* * *
Questo convegno, oltre ad esser un incontro di persone, mi auguro sia un
Laboratorio che, attraverso lo scambio di idee e di esperienze, suggerisca
gli indirizzi più consoni per neutralizzare il crimine economico e sradicare le
radici di quella che può considerarsi un malapianta.
La personalità dei relatori, di livello nazionale e internazionale, sono
garanzia assoluta di questo risultato (Donadio, Greco, Befera, Di Vizio,
Clemente, Zaccaria e Gunnella).
Il tema di questo, che vuole essere un laboratorio, riguarda gli archivi
finanziari, cioè le Banche Dati.
Vuole evidenziare come vengono formate, da chi possono essere utilizzate,
chi le detiene, quale il perimetro dei loro contenuti.
Qualche giorno fa un giornale riportava il titolo: un ladro scoperto dalle
sue impronte.
Ecco dentro le banche dati ci sono le impronte che possono mettere in luce
i reati economici e le tracce di chi li ha commessi.
C’è una stretta connessione tra le tracce, le impronte e gli archivi finanziari,
connessione suffragata da quella “e commerciale” che viene sempre utilizzata
per indicare i rapporti più stretti.
Mi auguro che da questo “LABORATORIO” scaturisca la consapevolezza
di quanto sia importante la formazione di una cultura della legalità prendendo
atto che la legalità è sempre conveniente, l’importanza che le banche diano
denaro alle imprese che hanno lo scopo di costruire un’economia sana, che non
insegua solo l’odore dei soldi nelle proprie scelte.
Solo così si può comprendere il dialogo sul dimensionamento della privacy e
della trasparenza per comprendere “quando l’interesse collettivo supera quello
individuale”.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
10
Questo il tema sul quale i relatori avranno molto da dire e da confrontarsi,
analizzando gli argomenti che stanno dentro e oltre le banche dati, considerando
ad esempio le isole del tesoro cioè i paradisi fiscali, la scomparsa di alcuni di
essi, il riciclaggio e l’autoriciclaggio, le prospettive di riforma nella lotta al
crimine economico.
In particolare si farà riferimento alla novità dell’Archivio dei rapporti
finanziari.
Ci sarà il contributo dell’UIF, dell’ABI e del notariato.
Nel pomeriggio l’argomento sarà approfondito attraverso lo svolgimento
di quattro tavole rotonde dirette da coloro che occupano posizioni apicali
nella magistratura di Rimini e Forlì, che hanno qui modo di confrontarsi
per individuare le linee di comportamento nella lotta alla, purtroppo, diffusa
criminalità economica.
I Procuratori Giovagnoli e Sottani, i Presidenti del Tribunale, Talia e
Pescatore, i magistrati Ercolani, Guidi, Casadei, Celli e Trerè, accompagnati
dalle forze dell’ordine: Carabinieri e Guardia di Finanza, rappresentate al
tavolo dal Maggiore Antonucci e in sala dal Generale D’Alonzo dai Colonnelli
Venceslai, Mazzotti, Veneziano.
Ci onorano della loro presenza i questori, Verna di Forlì, Germanà di
Piacenza, e il Dott. Gallo in rappresentanza del questore di Ravenna.
Ringrazio in particolare per la collaborazione ed il sostegno accordatoci,
il Gruppo Bancario San Paolo che qui è presente nella figura del Direttore
Dott. Adriano Maestri. E’ in sala anche il Dott. Alunno Magrini, Direttore di
Bankitalia di Forlì, che ringrazio.
Tutto ciò, è prova di un impegno straordinario e di altissimo livello.
Penso di poter affermare che la magistratura di Rimini e Forlì stia dando un
fortissimo segnale che invita tutti noi ad un comportamento che si pone “contro
le comode pretese di neutralità, indipendenza e semplificazione, per l’efficiente
contrasto del crimine economico”, così come afferma il titolo della relazione del
Dott. Fabio Di Vizio che costituisce un punto di riferimento per tutti coloro
che lottano contro la criminalità economica.
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
1111
Disciplina penale e prevenzione del riciclaggio:
le prospettive della riforma.
di Gianfranco Donadio
Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia
* * *
Grazie molte. Sono contento di essere tornato. E’ un appuntamento che si
conserva in agenda, perché per tutti noi è un appuntamento importante.
Esattamente è un laboratorio e quindi un’occasione di confronto per fare
tutti insieme il punto sulla situazione.
Non è che dall’anno scorso ad oggi la situazione sia molto cambiata. Per
certi versi i cambiamenti che sono avvenuti non sono incoraggianti.
La mia relazione è un po’ asimmetrica rispetto alla tematica del convegno,
in verità molto suggestiva. Quando il nostro Presidente mi ha invitato a questo
convegno, io ho avuto un attimo di viva preoccupazione. Mi sembrava il titolo
di un convegno di letteratura noir. Poi abbiamo capito cosa vuole dire.
Io mi porrò in una situazione leggermente asimmetrica rispetto al tema delle
banche dati, perché vorrei presentarvi ad oggi lo stato dell’arte della questione
dell’autoriciclaggio che, come è noto a tutti, è stata ampiamente dibattuta negli
ultimi mesi.
Con una premessa, però, che anche la materia dell’antiriciclaggio considerata
in sé non è una materia che può essere approfondita in maniera avulsa dal
contesto in cui si cala.
Io direi che la questione criminale nella materia dei rapporti economici ruota
su tre figure, su tre situazioni, su tre criticità estremamente interconnesse:
riciclaggio ed autoriciclaggio - vedremo in che modo recuperare questa
dicotomia -, evasione fiscale e corruzione.
Sono tre questioni che vanno lette, affrontate ed interpretate in strettissima
connessione. Altrimenti non vi è salvezza, cioè non vi è soluzione adeguata.
L’adeguatezza e la razionalità delle soluzioni va appunto ricercata nei
fortissimi legami che esistono fra queste questioni che caratterizzano, ahimè,
profondamente la criminalità economica del nostro Paese.
Un altro elemento caratterizzante della criminalità economica come si
dispiega nel nostro Paese lo accennammo appunto nel convegno dello scorso
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
12
anno ed è questa tendenza dei briganti a farsi galantuomini, e cioè una presenza
sempre più insistente, sempre più penetrante, più forte di mondi e di universi,
generalmente lontani dai rapporti economici e finanziari.
La criminalità organizzata depone la coppola e gli strumenti tradizionali
ed intraprende con sempre crescente interesse il percorso dell’avvicinamento
al mondo della finanza, al mondo dell’intermediazione e, perché no, al mondo
dei rapporti di produzione. Questo è il punto, lo scenario dal quale partire. Le
suggestioni e i percorsi sono numerosi.
Voglio autodisciplinarmi e parlarvi subito di quello che è all’orizzonte nel
mondo dell’autoriciclaggio, questione, sapete, dibattutissima.
Oggi ci troviamo di fronte ad uno statuto penale del riciclaggio molto
articolato. Vi sono ben tre norme che hanno sede nel Codice Penale.
La materia del riciclaggio, addirittura, è disciplinata da due figure delittuose,
l’una dopo l’altra sistemate immediatamente dopo la più tradizionale e nota
fattispecie di ricettazione. Questa collocazione, sulla quale torneremo da qui
a pochissimo, denunzia il forte influsso che la sistematica dei diritti contro il
patrimonio ha avuto di fronte a queste fattispecie di nuovo conio.
Beh, di nuovo conio fino ad un certo punto perché, come ben sapete, si
discute di riciclaggio come elemento del diritto positivo vigente in Italia dal
1978, neppure nella legislazione emergenziale, la materia è stata riformata nel
’90 e riformata ancora nel ‘93.
Abbiamo detto - ce lo siamo detti proprio l’anno scorso - che il legislatore
ha dato il meglio della sua miopia nella materia del riciclaggio, costruendo
fattispecie sostanzialmente avulse dalla realtà.
Immaginate che il motore del riciclaggio in tutte le società capitalistiche
avanzate va ricercato nel ciclo del traffico degli stupefacenti.
Ebbene, nel nostro Ordinamento per dodici anni non si è parlato di
riciclaggio in riferimento al traffico degli stupefacenti e per questo, vi dicevo,
la miopia portata a risultati di eccellenza. Vi è poi una fattispecie che è fuori dal
Codice Penale al momento che è l’articolo 12 quinquies di questo DL del 1992,
che è una materia che come sapete tutti nasce nell’ambito della disciplina delle
norme antimafia e che noi dovremo tenere d’occhio perché in qualche modo
diventa attualissima nei progetti di riforma.
A fronte della disciplina penale del riciclaggio esiste nel nostro Ordinamento
un’altra disciplina del riciclaggio. Non voglio essere provocatorio, ma vorrei
dire che è un altro riciclaggio, cioè un’altra nozione di riciclaggio, un’altra
definizione di riciclaggio, un altro mondo del riciclaggio che è quello della
disciplina preventiva, ed è veramente strano che, anziché convergere ed
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
13
armonizzarsi, i due universi normativi in questi ultimi tempi hanno preso
direzioni diverse. Tendono ad allontanarsi, sicché dal punto di vista preventivo
esiste l’autoriciclaggio, dal punto di vista penalistico non esiste e questo,
ovviamente, non può che creare confusione e difficoltà applicative.
Per quanto riguarda l’autoriciclaggio possiamo finalmente confrontarci con
due testi. Da un lato presenterò le proposte che ha elaborato il gruppo di studio
del Ministero della Giustizia coordinato da Francesco Greco, che è il collega
che è qui vicino a me e che, ovviamente, affronterà tutte le questioni che sono
state affrontate da questo gruppo di studio. Da un altro vi è già in Parlamento
in disegno di legge che sostanzialmente non diverge dalle conclusioni alle quali
era arrivato il gruppo di studio.
Che cosa dice? Ci sono le conclusioni del gruppo degli esperti del Ministero
della Giustizia e sono delle conclusioni estremamente interessanti, secondo
me, perché affrontano in maniera chiara e manifesta un duplice concetto
di riciclaggio che ormai può essere ritenuto l’elemento caratterizzante della
questione del riciclaggio nel nostro Paese.
Da un lato vi è un ciclo di accumulazione e di trasmigrazione di denaro, di
beni e di altre utilità che vengono prodotte nell’ambito delle economie criminali
e che si spostano lentamente, ma inesorabilmente, verso l’economia legale.
Questo movimento dal crimine all’economia legale è caratterizzato da un
dato vorrei dire assolutamente ineludibile. Anche nei mercati criminali esiste
e vige quella norma, vorrei dire quella legge universale della definizione di
rapporto fra domanda e offerta, sicché la domanda di beni e servizi criminali
fortunatamente non segue l’ampiezza dell’offerta. Si crea così una sorta di
disavanzo globale dell’economia criminale positivo che comporta il movimento
di questo denaro verso l’economia legale.
Accanto a questa forma di ingresso continuo di risorse anche molto
significative, e non mi avventuro sulla tematica della quantificazione, perché
credo che gli strumenti di rilevamento non siano adeguatamente sperimentati,
a fronte di questo flusso, dicevo, vi è poi un’altra faccia, un altro aspetto della
questione del riciclaggio e cioè il tema della clandestinizzazione di ricchezza
legale, cioè di ricchezza generata da rapporti di produzione legali, cioè da
scambi di beni e servizi che avvengono nei mercati, nei mercati regolamentati,
nei mercati disciplinati dalla normativa, e che scompaiono ad un certo punto,
si inabissano e in questo cammino di inabissamento prendono la via a volte
dell’esterovestizione, a volte del nascondimento, perché sono finalizzati a
sostenere e finanziare mercati che io definirei “protetti e secondari”, che sono
il mercato della corruzione, l’accumulazione di fondi neri.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
14
Quindi questo fenomeno di clandestinizzazione di ricchezza che viene
sottratta innanzitutto al Fisco, per intenderci, comporta progressivamente ed
in maniera sempre più netta l’adozione di modalità di schermatura e di modalità
di nascondimento in tutto uguali a quelle di cui abbiamo parlato un attimo fa,
e cioè a quelle proprie della clandestinizzazione dei beni e della ricchezza del
denaro delle utilità che sono state prodotte dai mercati criminali.
Quindi abbiamo un duplice aspetto della questione del riciclaggio.
Di questo prende atto, dopo una riflessione molto intensa e vorrei dire
importante, il gruppo che si è occupato della predisposizione della nuova
disciplina e coglie il dato centrale della ridefinizione della fattispecie del
riciclaggio in questo percorso che ha come finalità quella di giungere al
collocamento di ricchezza in attività produttive e finanziarie, o attraverso
la trasmigrazione delle ricchezze prodotte negli universi criminali, oppure
attraverso il reimpiego di una ricchezza che apparentemente non ha origine,
ma l’origine ce l’ha ed è semplicemente un’origine che è diventata incerta ed
illegale, perché vi è stata una soluzione di continuità, vi è stata una sottrazione,
per esempio, alla pretesa fiscale.
Abbiamo detto prima che la fattispecie di riciclaggio storicamente si
inserisce nell’ambito dei delitti contro il patrimonio.
Tutto questo non può che avere una serie di conseguenze sulla struttura e
anche, naturalmente, sul piano dell’applicazione. La prima e più importante
questione a tutti nota è data dal principio della non punibilità dell’autore del
reato presupposto, che è perfettamente coerente con l’inserimento tradizionale
del delitto di riciclaggio, dei delitti contro il patrimonio, ma che ha dimostrato
tutti i suoi limiti e deve essere assolutamente superata.
Il superamento di questa collocazione deriva dalla consapevolezza che i
fenomeni del riciclaggio, qualunque sia la tipologia del riciclaggio, qualunque
sia l’origine di queste ricchezze, comportano una minaccia per il corretto e
ordinato svolgimento delle attività economiche.
Tuttoquestohadelleconseguenzeehadelleconseguenzeperchéinnanzitutto
muta lo scenario, il sistema, la collocazione possibile del delitto di riciclaggio
riformato, che assume sempre più la fisionomia di un delitto che offende
l’ordine economico e finanziario, o per certi versi l’amministrazione della
Giustizia, e quindi si allontana anche dal punto di vista della collocazione
sistematica dal vecchio inserimento.
Questo discorso noi lo troviamo sostanzialmente recepito anche nell’atto 19
del Senato, che a sua volta richiama l’importanza di parlare oggi di riforma del
riciclaggio con un obiettivo ed una finalità di tutela dell’integrità del sistema
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
15
finanziario.
Quindi comporta, questa scelta di collocazione sistematica, il superamento
di quel principio di non punibilità dell’autore del reato presupposto e ancora
una volta la consapevolezza che la centralità della condotta illecita consiste
nell’impiego di proventi illeciti in attività economiche e finanziarie.
Proviamo rapidissimamente a dare uno sguardo a quello che potrebbe
essere il nuovo testo, così come ci è stato presentato tanto dall’elaborazione
ministeriale, tanto dal disegno di legge di cui vi ho parlato un attimo fa.
Come vedete, non esiste più la differenziazione tra la fattispecie di riciclaggio
e quella di reimpiego, cioè quella dicotomia di cui si era parlato caratterizzata
dalla presenza di ben due delitti uno dopo l’altro, il 648 bis e il 648 ter.
Le condotte tipiche e i profili modali dell’azione di riciclaggio sono stati
tutti quanti riuniti in un unico delitto. Quello che vorrei sottolineare è che
si è inteso inserire nell’ambito del delitto di riciclaggio anche una condotta
che ha carattere assolutamente innovativo, che vorrei definire finalizzata alla
clandestinizzazione, o al contrasto dell’intestazione fittizia.
Infatti l’attribuzione fittizia ad altri di titolarità, o di disponibilità di denaro
è una delle condotte di riciclaggio.
Perché? Veramente questo vorrei dire che è il limite estremo della fattispecie
di nuovo conio con la quale gli studiosi dovranno d’ora in poi confrontarsi e
che, molto verosimilmente, conoscerà anche un iter parlamentare.
Si parte in questa definizione delle modalità della condotta di cui al punto
2 da un principio: che nel nostro Ordinamento non può esistere una proprietà
oscura, clandestina, o intermediata, perché i modi di acquisto delle proprietà
devono essere coerenti ad una genesi legale, cioè conforme ai meccanismi di
nascita e trasferimento dei titoli di. proprietà.
Questo è molto interessante - e lo vediamo -, perché l’equiparazione
nell’ambito della nuova fattispecie della clandestinizzazione, cioè dei
trasferimenti fraudolenti di titolarità, preleva dall’esperienza del Diritto
Penale del contrasto alle mafie questo strumento e lo riporta a tutela generale
dell’integrità dei rapporti economici e finanziari.
Entrambe le ipotesi definitorie di questa fattispecie di nuovo conio si
presentano con delle caratteristiche strutturali molto moderne e molto duttili.
Come vedete, si parte da una pena che viene peraltro ridotta quando
i reati a monte non sono di eccezionale gravità e questa pena subisce una
serie di aumenti, quindi di incrementi edittali, che sono collegati alla figura
e al ruolo funzionale dell’autore. Si evidenziano in particolare gli esercizi di
attività professionali e bancarie, che costituiscono titolo per un aumento, come
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
16
vedete, da un terzo alla metà. I penalisti riconoscono in questa modalità di
trattamento, cioè in questo tipo di aumento i connotati tipici dell’aggravante
ad effetto speciale, che comporta, come tale, una serie di conseguenze in tema
di bilanciamento.
Si introducono poi sotto il profilo soggettivo dei profili assolutamente
innovatori e si parla di un ruolo specifico di colui il quale esercita funzioni di
amministrazione, funzioni di sindaco o di liquidatore, o in qualunque altro
ufficio con potere di rappresentanza.
Finalmente nella materia del riciclaggio si delinea quell’ auspicata disciplina
premiale che è una conditio sine qua non per gli investigatori e per chi governa
questo tipo di procedimento, in quanto bisogna dare un corridoio di uscita
a quanti, con vari livelli diciamo di corresponsabilità, non hanno un ruolo
strategico nell’ambito della consumazione di queste azioni.
Purtroppo, il nostro Ordinamento, come ben sapete, è caratterizzato da un
principio che i penalisti definiscono “il principio di equivalenza”, che è quanto
di peggio possa immaginarsi nell’ambito della teoria generale del Diritto
Penale.
Il legislatore con l’articolo 110 del Codice Penale considera sotto il profilo
delle pene tutti i rapporti causali equivalenti.
Fu il massimo del rigore introdotto dalla codificazione ispirata dai
principi autoritari dello Stato fascista che ci allontanò in maniera drammatica
dalla cultura e dalla tradizione penalistica continentale, perché in tutti gli
Ordinamenti del nostro continente le condotte di correità vengono distinte
dalle condotte di complicità, o di reità secondaria.
Quindi il Diritto Penale conosce strumenti ben più duttili e ben più adeguati
alla realtà.
Il condizionalismo, cioè il considerare tutte uguali sotto il profilo del
trattamento sanzionatorio le condotte concorsuali, ha comportato una serie di
guasti notevoli.
Nel nostro caso, nella nostra nuova ipotizzata fattispecie di riciclaggio vedete
che questa inedita disciplina premiale comporta una drastica riduzione di pene
nei confronti di chi ha assunto un atteggiamento, lato sensu, collaborativo.
Vi avevo fatto un cenno, ma affido solamente al testo scritto questa
questione che peccherebbe di tecnicismo. Una volta che si aumentano le pene
nei confronti di certi ceti, di certi tipi di autore, una prima conseguenza
importante determinata dalla scelta di un aumento ad effetto speciale è che le
circostanze attenuanti non possono essere ritenute equivalenti, o prevalenti,
come sanno bene i colleghi che poi applicano concretamente la legge penale, se
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
17
non a certe limitate condizioni.
Entrambi i nuovi progetti presentano una vasta gamma di pene accessorie.
L’elemento più nuovo di tutti è quello che comporta l’estinzione
automatica del rapporto di lavoro e di impiego nei confronti del dipendente
di Amministrazioni o di Enti pubblici, ed è forse lo strumento più forte per
contrastare l’infedeltà dei pubblici dipendenti.
Vi ho già detto dell’inserimento della disciplina che lascia il titolo e il
libro destinato a tutelare il patrimonio per inserirsi, viceversa, nell’ambito
della tutela dell’economia. Vi ricordo che in entrambe le nuove proposte
si ritrovano strumenti di confisca obbligatoria per equivalente allargata
assolutamente moderni e vorrei dire tipici della tradizione del contrasto alla
grande criminalità.
In particolare, i soggetti coinvolti da procedimenti per riciclaggio (la nuova
nozione comprende quindi riciclaggio e autoriciclaggio) saranno esposti a tutte
le conseguenze che derivano dalla confisca dei patrimoni ingiustificati.
Anche la responsabilità degli Enti è oggetto di rivisitazione da parte di
entrambe le proposte di riforma e finalmente si prende in considerazione la
responsabilità dell’istituzione finanziaria in quanto tale. Prima questa rilevanza
era affidata esclusivamente all’ambito delle sanzioni amministrative.
Coniugare sanzioni penali e sanzioni amministrative in un unico, organico
e coerente sistema di risposta sanzionatoria è un obiettivo assolutamente
irrinunciabile. Non è possibile una vita propria e autonoma del Diritto
Penale del riciclaggio, del contrasto in sede penalistica del riciclaggio, se non
strettamente ancorata e armonizzata con i principi della prevenzione e quindi
con gli strumenti tipici delle sanzioni amministrative che caratterizzano i
sistemi preventivi.
L’esercizio applicativo che è stato fatto nel nostro Ordinamento della
materia delle sanzioni amministrative è a dir poco desolante.
La Commissione coordinata dal mio collega ed amico Francesco Greco
ha messo tutti in condizioni di conoscere un arcano, diciamo, nella vita del
dispositivo antiriciclaggio e cioè che nel nostro sistema preventivo, quando ha
contrastato o tentato di contrastare con sanzioni amministrative i fenomeni
di riciclaggio, nei confronti degli Enti e degli intermediari, è riuscito a
raggranellare ben poco.
E’ quasi indicibile, nel 2009, la massa delle sanzioni amministrative. La
massa critica delle sanzioni amministrative in materia di riciclaggio ha appena
sfiorato la somma di 5.000 euro.
Questa cifra infinitesimale, che corrisponde a quanto una piccola impresa
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
18
spende forse per contravvenzioni per divieto di sosta, se distribuisce in una
città fuori orario qualsiasi prodotto, e che rappresenta quello che il sistema
dell’Antiriciclaggio in sede preventiva è riuscito a realizzare, ci fa capire che
così non andremo da nessuna parte.
Io mi fermo qui. Ringrazio per questo invito e spero di avere rappresentato
adeguatamente le novità normative.
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
1919
Prospettive di riforma nella lotta al crimine economico.
di Francesco Greco
Procuratore Aggiunto Procura della Repubblica di Milano
* * *
Buon giorno. Io ho sempre paura a parlare di norme, di strategie di contrasto,
perché tutte le volte che le proponiamo il Parlamento le adotta per non
contrastare, ma addirittura favorire, come è successo recentemente con la
concussione che è stata smembrata in due figure e ha già dato luogo ad una
prima assoluzione per estinzione del reato per prescrizione.
Però è indubbio che noi ci troviamo in un momento nel quale persino
l’Europa, nell’autorizzare l’Italia ad uscire dalla procedura di deficit, ha chiesto
al nostro Paese di intervenire sulle norme relative alla prescrizione e sulle norme
relative proprio al contrasto della criminalità economica e della corruzione.
Come sempre avviene in Italia, si è organizzata un’ennesima Commissione
di studio, dopo che esattamente due mesi fa un’altra Commissione di studio,
che io ho appunto ho presieduto, aveva già elaborato le stesse cose. Non
solo io, perché c’era un’altra Commissione che aveva fatto la Severino sulla
depenalizzazione ed una terza Commissione sulla riforma della prescrizione.
Si va avanti a Commissioni.
Per fortuna che, almeno nel mio caso, la Commissione è gratuita e quindi,
quanto meno, non siamo costati allo Stato.
Sono molto interessato anche al problema delle banche dati. Non a caso,
esattamente quindici giorni fa, un mese fa, non ricordo, abbiamo organizzato
presso la sede milanese della Banca d’Italia un incontro al quale hanno
partecipato la UIF, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, perché ci
hanno rappresentato lo stato delle loro banche dati, che sicuramente agevolano
le investigazioni nel contrasto alla criminalità economica.
Anche lì, con sorpresa, abbiamo notato che con molta fantasia alcune banche
dati avevano lo stesso nome, però erano completamente diverse.
Il problema vero delle banche dati nel contrasto a questi fenomeni è la loro
interconnessione, perché sembra quasi che ogni organismo sia un po’ geloso
della propria banca dati.
Comunque, insomma, anche questo sarà un problema da affrontare in seguito.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
20
Tutte le convenzioni internazionali in tema di lotta alla criminalità
organizzata, alla corruzione e al riciclaggio, tutte pongono quattro principi
fondamentali: la necessità di trasparenza contabile, la necessità di trasparenza
dei flussi finanziari, una lunga prescrizione che permetta ai processi di arrivare
alla fine ed un adeguato enforcement.
Se voi li mettete tutti in fila, le due dell’Unione Europea sulla corruzione,
le convenzioni ONU sulla corruzione e sulla criminalità economica, la
convenzione fondamentale dell’OCSE del 1997 sulla lotta alla corruzione
internazionale, vedete che ci sono ampi capitoli dedicati non allo specifico
oggetto della convenzione, ma a questi quattro punti, perché il legislatore
internazionale,adifferenzadellegislatoredomestico,ritienechesiafondamentale
in un’economia di mercato caratterizzata dalla presenza di soggetti societari (la
persona fisica non c’è più sui mercati internazionali) contrastare i fenomeni di
criminalità organizzata ed economica puntando su questi fatti fondamentali che
sono, appunto, la trasparenza contabile e la trasparenza dei flussi finanziari.
Cosa significa trasparenza contabile? Prima di tutto adeguate normative
di contabilizzazione delle operazioni, perché sapete meglio di me che i flussi
finanziari clandestini, entrando ed uscendo dalle società di capitali, devono
essere contabilizzati, ma queste operazioni di contabilizzazione devono
necessariamente rappresentare dei movimenti fittizi.
Se entra nella mia società un capitale di provenienza mafiosa, io devo dare
atto dell’ingresso di questo capitale, perché altrimenti non potrei farlo circolare
in questa società e nell’economia. Tra l’altro, tenete presente che i soldi hanno
un senso se possono circolare. Se stanno in un cassetto, è come non averli,
cioè può tranquillizzare la propria ansia di povertà e di ricchezza, ma non
servono.
E’ fondamentale da questo punto di vista che la rappresentazione contabile
corrisponda ad un movimento reale. Se il movimento è clandestino, la
rappresentazione è fittizia. Quindi norme adeguate sulla contabilizzazione e
in particolare sul falso in bilancio.
A Milano nel 2012 abbiamo avuto 26 iscrizioni per falso in bilancio e 684
notizie di reato per violazione degli articoli 2 e 3 della Legge 74 del 2000 sul
Fisco, sui reati fiscali.
Questo cosa significa? Significa sostanzialmente che il falso in bilancio
è sparito e devo dire, francamente, in questo momento in cui si dice che il
legislatore italiano è incapace di fare riforme, che la riforma del 2002 sul
falso in bilancio è l’esempio di una riforma ben riuscita e cioè quella di avere
- caso unico nei Paesi avanzati, e non solo - completamente eliminato questa
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
21
figura, che in realtà, invece, è una figura fondamentale per la trasparenza delle
transazioni commerciali. E’ la carta di identità delle società.
Noi ce la prendiamo con i clandestini che non hanno, o falsificano la propria
carta di identità e li mettiamo in carcere, ma consentiamo alle società di potere
tranquillamente falsificare il bilancio. Tranquillamente non tanto, perché
comunque bene o male si interviene. Ecco, questa è la situazione.
Ci sarebbe anche la necessità, parlando di esperienza contabile, di rivedere
un po’ le norme fiscali, ma penso che di questo ne parlerà Attilio Befera.
Nella Commissione citata da Donadio, tuttavia, la vera grande novità che
è stata introdotta, nata dalla discussione, è quella della necessità di introdurre
nel nostro Ordinamento una norma di abuso fraudolento dei beni sociali. E
mi spiego. Noi abbiamo una strana situazione in Italia favorita anche da una
singolare giurisprudenza nata ai tempi del processo Cusani, che è quella che,
sostanzialmente, i fondi neri delle società finché non vengono utilizzati entrano
in una sorta di area grigia che, sì, determina la sussistenza del reato di falso in
bilancio, ma abbiamo visto che il falso in bilancio non è più un reato credibile,
è una contravvenzione.
C’era la battuta a Milano che avremmo dovuto delegare non più la Guardia
di Finanza ad indagare sul falso in bilancio, ma i Vigili Urbani, quando è stata
introdotta questa contravvenzione. Va beh, lasciamo perdere, sono polemiche
vecchie queste.
L’idea è che tutto il denaro che gli amministratori sottraggono alla società e
al controllo degli organi societari è necessario penalizzarlo seriamente.
Oggi si applicano tendenzialmente le norme sulla truffa, o l’appropriazione
indebita, procedibili anche queste a querela, salvo l’aggravante dell’abuso di
relazioni sociali. Sono norme punite fino a tre anni. Tenete presente che le
norme punite fino a tre anni sono norme che il Pubblico Ministero ormai non
tiene più in considerazione, perché non permettono alcuna attività investigativa
dinamica. Si prescrivono velocissimamente.
Quando racconto agli stranieri che la nostra prescrizione decorre dal fatto
e non dalla scoperta del fatto, tutti si fanno una grande risata e quando spiego
che poi continua a decorrere dopo l’esercizio dell’azione penale rimangono
tutti stupiti.
Noi con i reati a tre anni di pena non ci facciamo assolutamente nulla.
Io non ho mai pensato ad una norma in astratto, ma solamente nella concreta
applicazione e nella concreta applicazione è fondamentale la potenzialità che il
Codice di Procedura Penale attribuisce alla norma e alla sua pena edittale.
Dico questo, perché una delle grandi occasioni che si è persa nell’elaborare
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
22
la normativa anticorruzione è stata la timidezza con cui si sono affrontati i due
temi: il traffico di influenza, ma soprattutto direi la corruzione privata.
Ora, è esperienza degli investigatori italiani, e non solo, ma anche degli
operatori, la stessa Confindustria ha lanciato degli allarmi, che uno dei grossi
problemi che abbiamo in Italia è la corruzione privata. Non è tanto, badate
bene, il problema del manager che ruba, o che si fa corrompere, perché questo,
sì, c’è ed è molto esteso. Tenete presente che a Milano negli ultimi tre grandi
processi nei confronti di Amministratori Delegati di banche abbiamo trovato
che tutti e tre rubavano. Addirittura uno rubava direttamente dalla cassa,
mandava il suo segretario e diceva “Vai a vedere in cassa nella banca se ci sono
un po’ di soldi che mi servono”.
Il problema è che nella moderna economia, se vogliamo parlare di corruzione
privata, esistono delle ormai joint venture pubblico/privato sia come società
di capitali nell’organizzazione sociale dei Paesi, e non è solo un problema
italiano, sia a livello di grandi appalti internazionali, dove poi la qualificazione
di Pubblico Ufficiale dell’amministratore di quelle società è difficilissima da
fare.
E’ per questo che molti di noi hanno chiesto di intervenire parificando
sostanzialmente la corruzione pubblica alla corruzione privata.
Non si ha il coraggio di farlo, nonostante che questo ci venga chiesto
dall’Europa.
Autoriciclaggio, trasparenza dei flussi finanziari. Ovviamente ne ha
parlato molto bene Gianfranco, io volevo solamente puntualizzare due punti
che secondo me sono importanti. Il primo punto è questo: negli anni ‘80 c’è
stato un grande dibattito a livello internazionale sul riciclaggio. Ha portato
alle convenzioni di fine anni ‘80 e gli Stati nei primi anni ‘90 si sono dotati di
norme antiriciclaggio.
Cosa si diceva negli anni ‘80? I capitali della mafia, se vengono reimmessi
nell’economia legale, sono devastanti, creano problemi alla concorrenza e
quindi devono essere efficacemente combattuti.
Poiché è difficile, tuttavia, combatterli, gli americani soprattutto imposero
- perché loro, peraltro, da questo punto di vista erano molto seri - l’idea che
fossero gli stessi intermediari a denunciare operazioni di riciclaggio. Il famoso
principio, tant’è che le polizze interne delle banche americane si chiamano
proprio così: “Conosci il tuo cliente”.
Tuttavia questa idea del riciclaggio degli anni ’80, e mi ricordo perché ho
partecipato a tanti dibattiti dell’ONU e quant’altro, era già vecchia allora.
Negli anni ‘90, negli anni 2000 qual è stato il riciclaggio che noi abbiamo
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
23
avuto davanti? Questo dei capitali mafiosi un po’ ci è sfuggito di mano, non
abbiamo avuto grandi processi di soldi del capo mafia, del capo mandamento
dei messi.
Sì, abbiamo avuto investimenti in immobili, in queste cose qui, però diciamo
che rispetto ai grandi flussi finanziari sono cose ridicole. Forse non abbiamo
ancora bene sviluppato una capacità di penetrazione di questi flussi finanziari,
ma quello che sicuramente abbiamo avuto davanti è stato un enorme flusso
finanziario che dalle società italiane è andato verso l’estero.
Come ha detto Donadio, là è stata la trasformazione costante del denaro
pulito in denaro sporco.
Non a caso tutti gli Stati del mondo, o molti Stati del mondo, scusate, non
tutti, hanno adottato politiche di scudo fiscale cercando di allettare questi
evasori fiscali a fare rientrare i capitali, perché noi abbiamo consentito negli
ultimi vent’anni il trasferimento di enormi risorse presso i paradisi fiscali e
abbiamo favorito, in maniera direi anche quasi masochista, l’investimento in
Edge Found di tutti questi soldi che poi hanno speculato su noi stessi.
Cioè noi siamo di fronte ad una situazione di questo tipo: abbiamo bisogno
di soldi e sappiamo che ci sono (secondo calcoli della Banca d’Italia 250
miliardi, secondo i miei calcoli personali un po’ di più) soldi in tanti paradisi
fiscali, soldi di italiani.
Avete visto che ultimamente un solo italiano ha scudato 1 miliardo 200
milioni. Come l’ha fatto questo miliardo e 200 milioni? Ce lo vogliamo
chiedere? E va beh!
Le norme approvate nella prima parte degli anni ‘90 sul riciclaggio, che
sono quelle che noi abbiamo, il 648 bis e ter, avevano in mente questa idea del
riciclaggio un po’ romantica direi, cioè il mafioso che si è fatto il patrimonio e
che decide di reinvestirlo per creare il secondo e il terzo livello di investimento
per i propri figli, cioè quelle cose che abbiamo visto nel film del Padrino.
C’è stato anche questo e io questo devo dire che l’abbiamo visto in alcuni
casi, come ad esempio forse nel settore degli investimenti dell’eolico, delle
energie alternative, però nella sostanza questi soldi non li abbiamo visti;
almeno io non li ho visti. Peraltro, io ammetto di non occuparmi di mafia.
Non so se Gianfranco mi può smentire, ma qui non mi interessano i 5
milioni di euro, i 10 milioni di euro, ma mi interessano i miliardi di euro e sui
miliardi di euro io so quanti sono i fondi neri di questo gruppo, di quest’altro
gruppo, so quanti soldi stanno lì, ma non ho ancora trovato.
Detto questo, quindi oggi è assolutamente necessario, direi non più
rinviabile, la necessità di contrastare questo esodo biblico di capitali, anche
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
24
perché con le incertezze politiche che ci sono in Italia e con le paure da
Patrimoniale e quant’altro è ripreso secondo me il flusso verso l’estero.
Nellostessotempoc’èancheun’esigenzafortedimoltiitalianidiregolarizzare
la propria posizione.
Ecco, io penso che bisogna intervenire su due livelli. Il primo livello è:
contrastiamo i flussi clandestini, la clandestinizzazione di denaro pulito, perché
sono soldi sottratti all’Erario e in alcuni casi anche ai soci di minoranza, perché
sono i due grandi sport nazionali che hanno contraddistinto gli imprenditori
italiani nel Nord, diciamo così.
E lo dico a ragion veduta, perché tutte le volte che indaghiamo un fiduciario
svizzero troviamo enormi liste. Oppure tutte le volte che un bancario svizzero
sogna la Polinesia alle cinque del pomeriggio di un giorno tristissimo e piovoso
a Coira, per dire, o in Liechtenstein, uno di questi meno amati, alle cinque del
pomeriggio succhia il server della propria banca, fugge e lo vende ai tedeschi,
perché questo è quello che è successo con la lista del Liechtenstein, è successo
con la lista Falciani e cose di questo genere.
Uno va a vedere queste liste e ci sono centinaia, se non migliaia di imprenditori
e facoltosi professionisti italiani che hanno portato i soldi all’estero.
Allora bisogna assolutamente fare in modo di contrastare questi flussi,
perché, se io vado a vedere in quindici anni, in vent’anni quante notizie di reato
mi sono arrivate su trasferimenti di denaro all’estero e vado a vedere tutte le
volte che prendiamo una lista quanti sono gli italiani che hanno portato i soldi
all’estero, c’è una differenza da uno a mille.
Allora questo punto devo dire che le strutture dello Stato si devono mettere
presenti, ma ci vogliono anche le norme, perché senza le norme non si va da
nessuna parte.
Tra l’altro, voglio dire, in un periodo in cui andiamo sempre a cercare soldi
ai soliti noti, andare un attimo a convincere questi italiani che o riportano i
soldi indietro, oppure saranno sottoposti ad una normativa anche penale un
po’ più rigida, secondo me è una cosa positiva.
Tra l’altro, e chiudo su questo punto, noi assistiamo ad uno strano fenomeno
dovuto alle normative italiane e anche dalla nostra un po’ strana giurisprudenza,
secondo me, cioè la crisi di identità del riciclatore svizzero. Perché questi qui
sono iscritti all’albo dei riciclatori, a Lugano, cioè “al numero 1 sono io”,
vengono in Italia incriminati come riciclatori e vengono poi condannati come
concorrenti nel reato di appropriazione indebita.
Allora dice “Ma io sono un riciclatore, non sono un concorrente”. Anzi,
purtroppo, devo dire che tutti questi riciclatori fanno a gara per essere
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
25
concorrenti dei nostri imprenditori. “Ma come? Io ho fatto la fattura falsa”, “Io
ho messo il conto a Madeira, perché mi date del riciclatore?”.
Ecco, c’è una situazione paradossale in Italia per cui il riciclaggio da anni,
da quando è stata approvata la norma, cioè ’91-’92, si applica solamente ai
rottamatori di auto degli hinterland delle grandi città. Se voi andate a prendere
la giurisprudenza sul riciclaggio, è tutta là. E io non penso che il legislatore
degli anni ‘80 avesse in mente il meccanico che cambia il numero di matricola,
il motore, la targa, o il colore di un’auto, quando ha lanciato nel mondo il
problema del riciclaggio di capitali. No?
Sulla prescrizione non ho nulla da dire, che era il terzo punto. Come dire
che tutte le legislazioni internazionali, che noi sottoscriviamo regolarmente,
per la verità, impongono ai Paesi.
Devo dire che abbiamo avuto un caso unico in Italia e cioè una legge sulla
prescrizione il cui autore ha rifiutato di mantenere il suo nome sulle legge,
tant’è che ci chiama Ex Cirielli. Questo per dare l’idea di cosa abbiamo davanti.
Sanno tutti come la penso e che cos’è poi realmente.
Mentre invece mi voglio un attimo soffermare velocissimamente, non so
se ho ancora cinque minuti, Dottore… Prima di parlare di enforcement, direi
anche un’altra cosa. Tutte queste convenzioni - mi ero dimenticato - hanno un
altro principio fondamentale, introducono un altro principio fondamentale che
è la responsabilità delle persone giuridiche.
Devo dire che, come anche per le organizzazioni delle Procure e quello che
succede, noi abbiamo in Italia una situazione piuttosto frastagliata, a macchia
di leopardo, per cui c’è in alcuni uffici che certe norme vengono applicate e in
altri che vengono completamente dimenticate.
A Milano nei primi dieci anni di applicazione della norma abbiamo avuto più
di 440 iscrizioni di società. In altri posti siamo vicino allo zero. Personalmente
ritengo che l’iscrizione della società sia un atto dovuto ed obbligatorio quando
si indaga su un reato presupposto previsto dalla legge. Altre Procure non lo
ritengono invece e, del resto, anche la nostra Procura in alcuni casi non ha
iscritto, per un anno e mezzo non abbiamo iscritto le società dove si erano
realizzati gli infortuni sul lavoro, perché qualcuno riteneva che la norma non
fosse adeguata.
Questa situazione deve finire, deve finire in tutta Italia.
La responsabilità degli Enti è un nuovo Diritto Penale e una nuova
procedura penale che si affianca alla procedura penale e al Diritto Penale
per la persona fisica. E’ fondamentale, è una norma moderna e devo dire
che i risultati che si ottengono sono notevoli, ma direi che sono soprattutto
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
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importanti i risultati preventivi.
Noi attraverso questa norma abbiamo costretto il sistema delle imprese
a modernizzarsi, ad accettare standard di organizzazione, di corporate e di
quant’altro tipici dei grandi Paesi avanzati.
Noi venivamo, veniamo e siamo tuttora in un’economia familiare di relazioni
e così via. Le norme sulla 231 hanno costretto quanto meno i gruppi grandi
e i gruppi medi a modernizzarsi e quindi a diventare anche più contendibili,
perché è da tempo che gli stranieri quando vengono in Italia, fra le cose che
chiedono, è anche se la società ha adottato i modelli organizzativi della 231.
Enforcement. Con i numeri che abbiamo e con le risorse che hanno le
Procure della Repubblica non si può contrastare la criminalità economica,
per cui bisogna organizzarsi, perché altrimenti non riusciamo a realizzare un
intervento efficace.
Milano, ad esempio, ha un sotto organico di amministrativi del 40% e un
sotto organico di Magistrati di oltre il 10%. Questo è un problema serio.
Vi do dei dati per farvi capire quello che sto dicendo. Parlo solo di reati
fiscali. Nel 2011 abbiamo avuto 3279 sopravvenienze di reati fiscali, nel 2012,
2735, cioè in un anno sono aumentate di 500 fascicoli.
I Magistrati sono sempre gli stessi, il personale amministrativo è sempre di
meno e, tuttavia, siamo riusciti a definire più processi di quelli che sono arrivati.
Infatti ne abbiamo definiti, a fronte di 2735, ben 2786; fiscali sto parlando.
Io considero questo un risultato fondamentale, ma anche che dovrebbe essere
normale nel nei nostri uffici. Purtroppo ho fatto un giro di diverse Procure e ho
visto che anche qui come per la 231 la situazione è un po’ variabile. E devo dire
anche che è vero che ci sono dei problemi seri. Con Befera ne abbiamo discusso
tante volte e la loro organizzazione a volte incompatibile con l’organizzazione
della Procura, ma soprattutto con la Ex Cirielli.
Quindi questo crea dei grossissimi problemi perché, se l’Agenzia delle
Entrate oggi elabora il 2008, se non sbaglio, e mi manda il 2008, mi manda una
cosa in cui già cinque anni sui sette e mezzo me li sono giocati.
Che senso ha fare le indagini, che a volte ci vogliono, quanto meno per capire
il dolo, se quel processo è destinato a morire? Tant’è che nel nostro mondo c’è il
problema del cerino. A chi lascio il cerino della prescrizione dei reati fiscali?
Ecco, questo è un problema serio che pregiudica per certi versi un’attività
di contrasto alla criminalità economica. Tenete presente che, per quanto mi
riguarda, la criminalità economica gira attorno all’evasione fiscale e tutto il
resto sono corollari, sia il riciclaggio, che la corruzione.
Io penso che la madre della criminalità economica sia l’evasione fiscale. Mi
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
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sbaglierò, però non credo di andare lontano dal vero.
Ora, noi ci siamo dati un’organizzazione multidisciplinare, nel senso che
per contrastare fenomeni di criminalità organizzata sempre complessi abbiamo
realizzato un intervento integrato al quale partecipano Guardia di Finanza e
l’Agenzia delle Entrate, che hanno dedicato uomini, un po’ di persone - sempre
poche - ad aiutarci. Anche la Banca d’Italia ha istituito un gruppo di consulenti
che lavora alla Procura di Milano e questo perché finalmente si è incominciato
a capire che l’intervento di contrasto alla criminalità economica deve essere un
intervento globale e multidisciplinare.
L’OCSE già nel 2009 ha mandato ai verificatori fiscali dei manuali per la
lotta al riciclaggio e alla corruzione. Cosa significa questo? Perché l’OCSE si
rivolge ai verificatori fiscali e dice “Guardate, quando andate in verifica date
un’occhiata anche alle provviste per la corruzione o ai flussi di riciclaggio”?
Perché, in realtà, i verificatori fiscali della Guardia di Finanza e dell’Agenzia
delle Entrate sono le sonde che entrano nelle società di capitali e possono in un
certo senso verificare la sussistenza di fatti di corruzione o di riciclaggio.
Ebbene, questo significa avere una cultura multidisciplinare, dove si
coniugano diversi saperi e diverse conoscenze.
Quindi da un lato organizzare e cercare di smaltire tutti questi numeri in
maniera rapida. Ad esempio, nei primi sei mesi di quest’anno il mio ufficio
ha mandato 1600 Decreti Penali di articoli 10 e spero che questo sforzo su
una norma che andrebbe modificata, perché la soglia di 50.000 euro è troppo
bassa, o forse addirittura anche la previsione penale si può discutere, tuttavia
ha prodotto un risultato consistente perché, nel momento in cui si muovono
i Decreti Penali, c’è un oggettivo ingresso di denaro all’Agenzia delle Entrate
che è stato verificato.
Nello stesso tempo, però, questa possibilità di vedere tutto e discutere con
saperi e professionalità diverse, cioè i Magistrati, uomini della Guardia di
Finanza, l’Agenzia delle Entrate e della Banca d’Italia, permette anche degli
approcci innovativi. Per esempio, io sono un societarista come formazione
e non avevo mai amato tanto il fiscale. Adesso sta diventando una passione
senile, ma lasciamo perdere. Però con la mia ottica certe cose che mi sono state
rappresentate le ho trovate un po’ singolari. Ad esempio, tutto questo dibattito,
dicevo prima al Dottor Befera, sull’abuso del diritto, io non ho mai visto diritti
abusati nelle operazioni che abbiamo avuto davanti, ho visto diritti violati.
Io in ufficio sono arrivato un giorno e ho detto “Ragazzi, non voglio più
sentire parlare di abuso del diritto, ma solo di violazione del diritto”.
Vi faccio un esempio molto banale. Tutti sanno cos’è una fattura falsa. Se
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
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io annoto una fattura falsa, commetto l’articolo 2 e forse anche un falso in
bilancio. Nessun dubbio che quella è una fattura falsa e che quindi è una cosa
deprecabile, non è un abuso del Diritto, è una violazione del Diritto la fattura
falsa. Siamo d’accordo, no?
Se io vado in Banca e dico “Ho bisogno di un contratto derivato, però non
vero, un contratto derivato che mi permette una perdita di 100 milioni. Me
lo costruite?”, dice “Non c’è problema”. “Questi soldi poi me li ribaltate a
Madeira?”, “Non c’è problema”. “Ma poi questi soldi posso farli rientrare?”,
“Dottore, che problema c’è? Costituiamo una società in Germania, la
ricapitalizziamo con quei soldi e quei soldi possono rientrare a costi fiscali
bassissimi”.
In questo modo cosa ottengo? Un costo di 100 milioni di euro che mi abbatte
gli utili. I soldi mi rientrano sotto altra forma, non ci pago le tasse, ho fatto una
bella operazione in un minuto di soldi che hanno fatto apparentemente il giro
del mondo.
Ma quella che cos’è, scusate, diciamocelo francamente, se non una fattura
falsa? Se io mi metto d’accordo per annotare un derivato, ma sto abusando del
Diritto perché il derivato c’è, o non c’è? Ma quello è stato costruito a tavolino,
ma non è un derivato vero, perché un derivato vero ha un’alea, ha un rischio. Se
non c’è alea, se non c’è rischio, se so che perdo 100 milioni...
Tra l’altro, badate bene, la cosa fantastica di queste operazioni (ho viste
decine anche di stock lending, ci riempiamo di nomi) è che si va proprio
all’euro, o al centesimo. Cioè 107 milioni virgola 32 centesimi, perché quella è
la somma che mi serve.
Allora io capisco l’esigenza dell’Agenzia delle Entrate che con il 37 bis devono
dichiarare inopponibili a loro e ben venga l’inopponibilità e poi, se deve essere
cambiata perché lo chiede Confindustria, cambiatela, non mi interessa, ma dal
mio punto di vista io non ho nel Diritto Penale la categoria della inopponibilità.
Io ho la categoria del falso e del vero, che è una cosa diversa.
Se è falsa una cosa, allora rientra nell’articolo 2, nell’articolo 3, o nel 2621
e 2622? E non è un abuso, è una violazione di Diritto, che è una cosa ben
diversa.
Ecco, queste sono le cose in cui ci dilettiamo ogni tanto nel mio ufficio.
Adesso stiamo parlando anche di altre cose, tipo questa cosa un po’ strana delle
black list, dove sostanzialmente l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza
entra, vede le operazioni con le black list e dice “Perché le hai fatte?”, la parte
non sa come giustificarle e le riprende la tassazione.
Quella è una sorta di amnistia dei fondi neri, perché, se io ho portato i soldi
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
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in Liechtenstein con un’operazione di black list, non do una giustificazione,
mi precipito a pagare la sanzione e nessuno più indaga, perché poi non c’è più
tempo né per noi, né per la Guardia di Finanza.
Io ho preteso due anni fa, tre anni fa, di avere l’elenco di tutte le riprese
black list, perché mi arrivano, come dire, “Vi portiamo a conoscenza”. Avevo
l’ambizione quanto meno di indagare su queste fatture annotate che in molti
casi potrebbero essere anche false, ma chi ha il tempo di farlo? Perché lì poi
bisogna entrare in una logica di rogatorie, di tempi biblici e così via.
Ecco, questa è un po’ la storia e, tuttavia, l’invito è che questi processi devono
essere fatti. Devono essere fatti perché è importante fare capire che l’evasione
fiscale deve essere adeguatamente contrastata, nei fatti più seri ovviamente,
perché per la verità l’Agenzia delle Entrate ci riempie di una massa di carte per
allungare i loro termini di prescrizione. Diciamocelo francamente.
Basterebbe fare una norma in cui la prescrizione all’Agenzia delle Entrate è
tucur più lunga e probabilmente ne beneficeremmo anche noi di qualcosa.
Questo è un po’ lo stato, ma tuttavia penso questo, e concludo: in attesa
delle norme, che non arriveranno mai, l’unica risposta efficace che si può dare
è rimboccarsi le maniche ed organizzarsi insomma. Grazie.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
3030
Le novità dell’Archivio dei rapporti finanziari
e la tutela della privacy.
di Attilio Befera
Direttore Agenzia delle Entrate
* * *
L’Amministrazione finanziaria è chiamata a gestire il delicato rapporto fra le
esigenze di tutela della privacy dei cittadini e quelle connaturate all’applicazione
delle misure di assistenza al contribuente e di contrasto all’evasione fiscale, che
rientrano nei propri compiti istituzionali.
In particolare, l’Agenzia esplica questi suoi compiti attraverso l’acquisizione,
l’organizzazione e la gestione di un rilevante patrimonio informativo che
costituisce l’Anagrafe Tributaria.
Secondo alcuni giornali basterebbe spingere un bottone e tutti gli evasori
verrebbero scoperti attraverso l’incrocio di queste banche dati. Secondo altri
questo incrocio non sarebbe possibile, perché le nostre banche dati sono fasulle,
sono disorganizzate e non funzionano bene.
La verità sta nel mezzo. L’incrocio delle banche dati è essenziale per
contrastare l’evasione, ma questo non significa che sia possibile ottenere tout
court l’elenco di coloro che hanno evaso in modo inopponibile. L’incrocio
delle banche dati serve, invece, per effettuare un’efficace selezione dei soggetti
a rischio di evasione. Ricopre, inoltre, un ruolo importante anche - e su questo
ci muoveremo nei prossimi tempi e speriamo che nella legge delega ci sia anche
lo spazio per questo - in termini di assistenza ai contribuenti, per esercitare
quell’azione preventiva che è sempre più importante ai fini della corretta
esecuzione dell’obbligo impositivo.
L’accento sulla rilevanza strategica delle informazioni a disposizione delle
Amministrazioni finanziarie è stato posto proprio in questi giorni dal G8. Il
piano di azione internazionale, basato sulle tre T - Tax, Trade e Transparency
- riconosce, nello scambio automatico di informazioni fiscali, finalizzato al
contrasto dell’evasione internazionale, una delle leve fondamentali per “dare
linfa” all’economia, alla crescita e al lavoro.
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
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Specifiche disposizioni normative e conseguenti provvedimenti attuativi
dell’Agenzia hanno nel tempo definito un intenso flusso di informazioni
governato esclusivamente in via telematica, garantendo i più alti livelli di
sicurezza e automatismo nell’osservanza dei principi della privacy.
I risultati ottenuti dall’Agenzia delle Entrate negli ultimi anni dimostrano
che queste informazioni sono state utilizzate con profitto.
Devo dire che fino a qualche anno fa si faceva collezionismo di informazioni,
cioè si richiedevano sempre più dati ai contribuenti, con la convinzione
che ciò fosse un deterrente all’evasione. Ma non c’era un utilizzo reale delle
informazioni raccolte.
Da qualche anno, invece, l’incrocio avviene in modo molto più serrato.
Pensiamo, per esempio, all’avvento della fatturazione elettronica, che a oggi
è obbligatoria nei confronti della Pubblica amministrazione e che mi auguro
prima o poi diventi obbligatoria anche nel rapporto fra privati.
In merito, invece, ai nuovi strumenti di pagamento sostitutivi del contante,
come riportato in una elaborazione del 2011 dell’ABI, effettuata su dati
della Banca d’Italia, nel nostro Paese, le operazioni pro-capite effettuate con
strumenti diversi dal contante sono 66, contro una media europea di 176. In
Spagna sono 121, in Portogallo 152, in Francia 255.
Quindi in Italia, nonostante tutte le norme introdotte per contrastare l’uso
del contante, si continuano a usare le carte per lo più per prelevare contanti
presso i bancomat.
Anche nel solco tracciato di recente dall’Ocse, l’incremento dell’acquisizione
dei dati di fonte terza e una maggiore tracciabilità dei pagamenti possono
consentire all’Amministrazione finanziaria di sfruttare maggiormente la leva
della deterrenza accanto a quella della repressione dei fenomeni evasivi. A noi
interessa molto di più quella della deterrenza.
Uno degli strumenti più forti che sono stati messi a disposizione dell’Agenzia
delle Entrate da parte del Legislatore è l’Archivio dei rapporti finanziari, su cui
si è recentemente concentrato anche il dibattito pubblico.
L’Archivio dei rapporti finanziari completa le previsioni della Finanziaria
del 2005 che consentiva di effettuare le indagini finanziarie in modalità
telematica.
A partire dal 2007 - ci sono voluti due anni - le banche e gli altri intermediari
finanziari sono tenuti a comunicare i dati identificativi dei propri clienti,
specificando il numero e la tipologia dei rapporti.
In questo modo l’Amministrazione conosce preventivamente con quali
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operatori finanziari il contribuente sottoposto a controllo intrattiene rapporti
e, quindi, può inviare richieste mirate in via telematica.
Ciò ha consentito di ridurre sia i costi a carico dell’Amministrazione, sia
quelli del sistema bancario, oltre che di operare molto più velocemente.
L’accesso alle indagini finanziarie prevede una procedura interna di
autorizzazione molto rigida. Inoltre, la privacy dei contribuenti viene tutelata
al meglio, poiché vengono coinvolti soltanto gli intermediari con i quali il
soggetto ha già dei rapporti.
Questo Archivio è stato poi ampliato nel corso degli anni e oggi include
anche le operazioni extraconto. Pur essendo una banca dati di origine fiscale,
il Legislatore ne ha previsto l’utilizzo anche per finalità differenti da quelle
di controllo fiscale e, quindi, le informazioni contenute nell’Archivio sono a
disposizione anche dell’Autorità Giudiziaria, delle Questure, della Direzione
Investigativa Antimafia, sulla base di Convenzioni che vengono stipulate con
l’Agenzia.
Da ultimo, nel 2011 entrano a far parte dell’Archivio anche le informazioni
riguardanti il codice identificativo unico del rapporto, il saldo a inizio e fine
anno, l’importo totale dei movimenti attivi e passivi dell’anno di riferimento.
Per espressa previsione di legge, questi dati vengono utilizzati soltanto per
effettuare la selezione dei contribuenti a maggior rischio di evasione e per
constatare la veridicità dei dati indicati dai cittadini nella dichiarazione Isee.
L’Agenzia ha definito le modalità e i termini di comunicazione dei nuovi
dati sulla base delle osservazioni formulate dal Garante per la protezione
dei dati personali e dopo aver consultato le Associazioni di categoria degli
operatori finanziari.
In linea con le indicazioni del Garante, abbiamo realizzato una nuova
infrastruttura denominata “Sid” - Sistema di interscambio dati - volta a
favorire lo scambio completamente automatizzato dei flussi di dati fra sistemi.
Il sistema di interscambio dati, operativo dal 24 giugno, assicura un elevato
livello di sicurezza, tale da garantire la verifica sull’identità degli invianti,
l’immodificabilità e illeggibilità dei dati in fase di trasmissione, l’accesso ai
contenuti dell’invio al solo destinatario. È un’infrastruttura che applica il
concetto di “application to application”, che prevede un colloquio fra sistemi
senza interventi umani. Vengono così ridotti i passaggi manuali e, quindi,
ridotte, se non eliminate, le possibilità di accessi non autorizzati.
Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che, se da un lato è imprescindibile il
corretto trattamento dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate, è altrettanto
fondamentale, per tutelare al meglio la privacy dei contribuenti, che tutti i
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soggetti coinvolti adottino elevati standard di sicurezza. Sempre nel rispetto
delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali, l’Agenzia ha
fornito agli operatori finanziari delle raccomandazioni al fine di minimizzare
i rischi di accessi abusivi e trattamenti non consentiti.
In particolare, i dati da trasmettere devono essere crittografati dagli
operatori in maniera automatica al momento della loro estrazione e, nel caso
in cui decidano di affidare la comunicazione a soggetti esterni, designati
responsabili o incaricati del trattamento, il file da inviare deve essere fornito
già cifrato.
Inoltre, le informazioni che arriveranno all’Agenzia saranno custodite
in una specifica sezione isolata dell’Anagrafe tributaria e potranno essere
esclusivamente utilizzate a livello centrale per la sola formazione delle liste
selettive di contribuenti a più alto rischio di evasione. Mi preme sottolineare che
ai funzionari addetti ai controlli forniremo soltanto una lista di contribuenti
a più elevato rischio di evasione, che riporterà esclusivamente il punteggio di
rischio di evasione e sarà ordinata in sua funzione. In questo modo i funzionari
non vedranno mai l’elaborazione che c’è a monte.
Noi, quindi, continuiamo a operare cercando di garantire un equilibrio
tra trasparenza dell’azione amministrativa e privacy dei contribuenti. Ma,
nel rispetto di questi principi, è sempre più intenso lo sforzo dell’Agenzia di
utilizzare questo enorme patrimonio informativo.
A questo punto, consentitemi, però, di fare alcune riflessioni, cui tengo
molto: sull’evasione da un lato e sul contesto sociologico-tributario dall’altro.
Noi possiamo parlare di banche dati, di utilizzo sempre più raffinato di
questi strumenti, ma a monte c’è un problema di complessità normativa che è
particolarmente rilevante per la parte fiscale.
In una congiuntura economica così difficile, contrastare l’evasione significa
anche tutelare la competitività delle imprese sane che, pur strette dalle difficoltà
della crisi, adempiono invece regolarmente ai propri obblighi impositivi.
Senza la tutela di queste imprese, sarà ancora più difficile risalire la china che
ci ha condotto alla recessione. In quest’azione di tutela, l’Agenzia è sempre
più impegnata ed è un’azione a tutela di tutti quelli, e sono la maggioranza
degli italiani, che pagano le imposte anche per coloro che non le pagano, pur
continuando questi ultimi a beneficiare ugualmente dei servizi finanziati dalla
raccolta fiscale.
Il cammino nel quale siamo impegnati - e questo lo ripeto da anni, ormai - è
un cammino lungo, perché richiede un profondo cambiamento culturale.
A questo proposito mi è capitato più volte di dire che l’evasione fiscale è
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un problema complesso e, come ogni problema complesso, ha certamente una
soluzione semplice, che sfortunatamente, però, è sempre sbagliata. Questo
significa che è del tutto illusorio inseguire una ricetta unica e risolutiva, come
se esistesse l’arma finale per sconfiggere l’evasione.
Essendo un problema multidimensionale, occorre un insieme di iniziative
diverse e ben coordinate fra loro ed è necessario il concorso di tutti gli attori
interessati. È necessario, soprattutto, l’apporto delle Istituzioni nel problema
chiave della normativa tributaria, che è estremamente complicata, piena di
incoerenze, creando ai contribuenti e agli operatori difficoltà enormi di
interpretazione e di applicazione. Quando parlo di operatori, mi riferisco
anche ai nostri funzionari.
L’incertezza che ne deriva contribuisce molto a frustrare il nostro impegno
a costruire un clima di fiducia fra Fisco e contribuenti. È indubbio che molti
di loro, senza avere la deliberata intenzione di evadere le imposte, incorrono
spesso in errori, o in omissioni, proprio perché trovano molto difficile assolvere
correttamente ai propri obblighi fiscali. Non è certo un problema di oggi, né di
ieri, né dell’altro ieri.
Vorrei citare un intervento del Professor Uckmar a un convegno del Cnel
del 1992, nel quale diceva che dal giugno del 1984 al dicembre del 1991 si
erano avuti in materia tributaria 81 Decreti del Presidente della Repubblica
(stiamo parlando di trent’anni fa), 185 Leggi ordinarie, 32 Decreti legislativi,
228 Decreti legge. Di questi, 80 erano stati convertiti con modifiche, 14 senza
modifiche e 134 non convertiti; ma dei Decreti non convertiti, 109 erano
stati poi ripresentati e approvati, mentre 23 Decreti legge erano stati respinti
definitivamente.
Per fare un raffronto, il Professor Uckmar ricordava che negli Stati
Uniti, nel periodo 1948-1986, ben più ampio di quello che lui aveva preso
in considerazione, erano state emanate in tutto e per tutto 24 leggi fiscali,
compresa quelle per attuare la riforma tributaria di enorme portata, comunque
la si giudichi, del Presidente Ronald Reagan.
Questo eccesso di produzione di norme tributarie venne definito allora
da alcuni “nevrosi”, da altri e Uckmar in particolare “alluvione legislativa”.
C’è chi sostenne, autorevolmente, che non solo i contribuenti, ma neppure la
stessa Amministrazione finanziaria avrebbero potuto resistere a una pressione
legislativa così profonda, così estesa e così prolungata nel tempo.
Poiché poi si insisteva, come oggi, di continuo, sull’utilità chiarificatrice
che poteva avere a riguardo l’approntamento dei Testi unici, ricordo che nel
1987 - anno di vacatio fra la sua approvazione e l’entrata in vigore - il Testo
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unico delle imposte sui redditi era stato già più volte ritoccato e a pochi anni di
distanza era irriconoscibile rispetto al testo originario. Non credo che le cose
siano migliorate.
Ma perché sembra essere così difficile conseguire in questo ambito cruciale
autentici miglioramenti? Sarebbe velleitario da parte mia tentare un’analisi di
questo complicato fenomeno che ha verosimilmente cause diverse e di diversa
natura.
Tuttavia, affinché la prudenza e la cautela non vengano scambiate per
reticenza, azzardo almeno una congettura che, naturalmente, non ha alcuna
pretesa di spiegare il tutto. La congettura è che questa ipertrofia normativa
possa essere almeno in parte spiegata dalla combinazione, si direbbe dal
“combinato disposto”, di due fattori.
Da un lato, è ipotizzabile che vi sia in Italia, rispetto agli altri Paesi avanzati
con cui noi ci confrontiamo, un forte surplus di domanda di equità verticale,
per usare una nozione tipica degli economisti. In estrema sintesi, il principio di
equità orizzontale è quello che obbliga a trattare fiscalmente situazioni uguali
in modo uguale, mentre il principio di equità verticale è, viceversa, quello che
obbliga a trattare fiscalmente situazioni diverse in modo diverso.
Se la distinzione concettuale è semplice, un po’ meno semplice e chiaro è
stabilire quando, e con quali criteri, due o più situazioni debbano definirsi
uguali, o diverse fra loro.
È evidente che qui non ci sono algoritmi che possono fornire la risposta
desiderata. La risposta è invece fortemente influenzata, oltre che da variabili
economiche, da dinamiche socioculturali, ove non è escluso possa avere ampio
gioco qualche peculiare “carattere nazionale”.
L’ipotesi che andrebbe perciò vagliata è se da noi la tendenza dominante non
sia quella di andare a cercare - nelle situazioni da disciplinare - le differenze
piuttosto che le somiglianze, le diversità piuttosto che le affinità, o le analogie.
Ed è proprio l’individuazione di differenze che vale a giustificare diversità
di trattamento, sotto forma, per esempio, di regimi speciali, di deroghe, di
agevolazioni e quant’altro la sensibilità, appunto, al “particulare”, come la
definiva il Guicciardini, possa suggerire.
Questa accentuata sensibilità, in un ordinamento in cui giustamente vige il
principio della riserva di Legge in materia tributaria, determina un surplus di
produzione di norme fiscali che poi richiede di riflesso sempre nuovi interventi,
che non possono che essere normativi.
Com’è ovvio, per il ruolo esclusivamente tecnico che rivesto, non sta a me
indicare fino a dove possa spingersi il principio di equità verticale della disciplina
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delle fattispecie fiscali. Si può anche considerare altamente desiderabile
un’applicazione, la più estesa possibile, del principio appena menzionato,
ma occorre essere consapevoli che una siffatta applicazione ha un’esternalità
negativa e tale esternalità è il costo che si paga in termini di semplicità del
sistema tributario. Semplicità che, per altro verso, tutti dichiarano di porre
come ideale della normativa fiscale.
Il primo fattore che ho appena prospettato - cioè un elevato surplus di
domanda di equità verticale, cui punta a dare risposta una sovrapproduzione
di norme fiscali - si combina con un secondo fattore che scatta di rimbalzo al
primo. Questo secondo fattore è, per così dire, la sindrome di tipo burocratico
che, vedendo ovunque, in un tessuto normativo fortemente sfilacciato, possibili
scappatoie, aspirerebbe a chiuderle tutte. Ma anche qui, necessariamente,
sempre tramite nuove norme, nell’assunto più o meno consapevole che, in un
Paese dominato dalla cultura del “particulare”, tutti siano, chi più, chi meno,
evasori.
Chi rifletta sul complicato ordito del nostro sistema tributario, potrebbe
forse trarne a volte l’impressione che uno dei più grandi studiosi di politiche
pubbliche, Aaron Wildavsky, ricavava dall’esame dei sistemi di contabilità
pubblica. L’impressione era quella di reti a maglie fittissime, ma con una
singolare proprietà magica: quella di filtrare i moscerini e lasciar passare gli
elefanti.
Se la logica dell’intricatissima matassa in cui siamo impigliati ha qualcosa a
che fare con le dinamiche a cui ho appena accennato, è abbastanza evidente che
non sono solo semplici soluzioni tecniche che possano realmente sbrogliarla.
Occorrono scelte di livello istituzionale assai più alto, anche se la strada delle
semplificazioni degli adempimenti procedurali che stiamo attuando non può
che apportare indubbi benefici.
Ognuno deve fare la sua parte, come certamente deve farla l’Agenzia.
L’azione di deterrenza è irrinunciabile per qualsiasi Amministrazione
fiscale che voglia fare seriamente il proprio lavoro. Questa azione rischia,
però, di essere deformata da un grave errore di prospettiva se, più o meno
inconsapevolmente, muovesse dall’assunto, cui prima ho accennato, che nella
loro generalità i contribuenti sarebbero, in quanto tali, “evasori incalliti”,
persone, insomma, che - laddove ne abbiano la minima possibilità - non hanno
alcun ritegno a violare le norme fiscali.
Nei casi poi in cui va data loro ragione, avrebbero comunque poco da
osservare, perché chissà quante infrazioni hanno commesso senza mai essere
scoperti.
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Atteggiamenti del genere rischiano di alimentare un clima di acredine e
di sfiducia nei nostri confronti, che è esattamente il clima nel quale possono
prosperare poi i veri “evasori incalliti”.
Confortato da evidenze del senso comune e da importanti studi e ricerche,
vado perciò insistendo da tempo, all’interno dell’Agenzia, sulla necessità di
portare avanti l’attività di dissuasione con comportamenti ispirati a equilibrio,
misura e ragionevolezza. Comportamenti di questo tipo accrescono la
fiducia nella correttezza dell’operato dell’Agenzia e favoriscono l’adempimento
spontaneo sul quale è basato il nostro sistema fiscale.
In conclusione, se l’obiettivo di contrasto all’evasione è prendere i “cattivi”
e salvaguardare i “buoni”, è fondamentale che la selezione dei contribuenti da
sottoporre a controllo avvenga con strumenti informatici, quali l’Anagrafe
tributaria, che, nel rispetto della privacy, consentono operazioni mirate e
sempre più efficaci. Ma se non risolveremo a monte il problema delle norme
tributarie non andremo comunque da nessuna parte.
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La scomparsa dei paradisi fiscali ed altre favole belle.
Le responsabilità non separate,
contro le comode pretese di neutralità,
indipendenza e semplificazione,
per l’efficiente contrasto del crimine economico.
di Fabio Di Vizio
S. Procuratore della Repubblica di Pistoia
* * *
§ 1. Chi avesse scorso, alla data del 3 aprile 2009, la lista dei paesi non
collaborativi nella lotta all’evasione fiscale internazionale, quella redatta
dall’OCSE solo il giorno prima, avrebbe tratto un’impressione fallace.
Avrebbe pensato, ingenuamente, che, dopo la riunione del G20 di Londra, in
terra, oramai, di paradisi fiscali non ce ne erano. E, forse, anche che non se ne
volevano davvero più.
Luoghi di beata irresponsabilità fiscale, spazi dimenticati di anarchica
autonomia finanziaria, per lungo tempo inspiegabilmente tollerati (e forse
qualcosa di più…) dai vicini per la benevola accoglienza offerta ad evasori
di ogni risma, ove era stato deciso, per stretto calcolo di convenienza e di
attrattiva “differenziale”, che l’illecito tributario non esisteva, se commesso
in danno degli altri Stati. Territori dalla moralità rovesciata, dove chiudere
gli occhi davanti al crimine economico ed alla corruzione era considerata
un’ottima prassi degli affari, mentre denunciare e rivelare tali misfatti alle forze
dell’ordine diventava un reato. Un individualismo senza freni, un’esaltazione
di ogni forma di elusione fiscale, la trasformazione della segretezza in bene
da vendere, al pari di una merce. Pratica realizzata con il più completo
disinteresse, se non disprezzo, per la tassazione, per la progressività della stessa
rispetto alla reale capacità contributiva, per la democrazia e per le esigenze delle
altre società.
L’immagine tipica di questi paesi è sempre stata pittoresca, quasi esotica.
Le isole dei tesori. Da sempre protette dal complice silenzio di coloro che
possiedono la mappa per giungere sulle loro spiagge ma anche dagli altri che
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
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aspirano ad impossessarsene. Nazioni che si vuol considerare lontane e diverse,
anche quando distano solo qualche chilometro. Sulla diversità, poi, si dirà. Che
molti, silenziosamente, accreditano come pronte a difendere i diritti inviolabili
di libertà e proprietà, quali esempi di efficienza dei mercati finanziari, contro
il male ed i vincoli innaturali della tassazione, spazi immuni dalle pretese
fagocitanti dei disastrosi amministratori degli Stati assistenziali.
E poi, d’improvviso, tutto finito, ricomposto. I paradisi …..perduti.
In quel mese di aprile 2009, nel quale i governi delle maggiori democrazie
occidentali preparavano drastiche manovre di finanza pubblica, la lotta agli
odiosi misfatti che impoverivano le stremate casse pubbliche s’era fatta senza
fatica. Una battaglia a tavolino, combattuta senza sudore e senza sporcarsi,
anche con qualche proclama in diretta televisiva da parte dei governanti
dell’epoca, ricorrendo alla “temibile” (si sa quanto…) arma convenzionale
della classificazione. Si erano individuati pochi e, alla prova dei fatti, del tutto
inutili parametri espressivi di collaborazione e si era chiesto ad alcuni Stati,
che sulla neghittosità a offrire informazioni avevano fatto la loro fortuna, di
promettersi lo scambio dei dati di rilievo fiscale, previe intese, a richiesta.
Dunque, pure su base non automatica.
Lo scambio di informazioni in materia fiscale, infatti, trovava all’epoca
principale regolamentazione internazionale nell’articolo 26 del Modello di
Convenzionedell’OCSE(ModelloOCSE).Inbaseadesso,inaugefinoaqualche
mese fa nella prassi della collaborazione, il sistema ordinario è rappresentato
da intese bilaterali attraverso le quali lo scambio avviene su richiesta dettagliata
e circostanziata, per casi e contribuenti determinati. Ma prima di avanzare la
richiesta, occorre che lo Stato interessato a ricevere la collaborazione abbia fatto
ricorso pieno alle normali fonti interne di informazione disponibili, secondo la
rispettiva procedura fiscale. In altre parole, occorre che prima se la veda con i
suoi evasori da solo e con i suoi mezzi. A quattr’occhi. Non è escluso, poi, che
lo Stato richiesto decida di non dar corso allo scambio in presenza di segreti
commerciali (fatti e circostanze di considerevole importanza economica,
sfruttabili nella pratica ed il cui utilizzo non autorizzato potrebbe condurre a
gravi danni per l’ente giuridico che svolge attività di impresa) o professionali.
In base al paragrafo 5 dell’articolo 26 uno Stato contraente, dopo l’intesa,
non potrebbe rifiutare lo scambio dell’informazione sol perché custodita da
una banca o da un intermediario finanziario o da soggetti che agiscono quali
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agenti o fiduciari, ovvero perché relativa alla titolarità di diritti proprietari.
Nondimeno, è certo che la collaborazione a richiesta è la forma che più di ogni
altra garantisce la persistenza del segreto bancario nell’ordinamento degli Stati
contraenti.
Ed in ogni caso, esiste una regola fondamentale, che vale anche per lo scambio
automatico, ossia sistematico, di informazioni relative ad una o più categorie
di redditi originati nel territorio di uno degli Stati contraenti e percepiti in
quello di un altro Stato. E’ il principio della prevedibile rilevanza (standard
di “foreseeable relevance”). In base ad esso, le autorità competenti degli Stati
contraenti devono scambiare solo le informazioni prevedibilmente rilevanti
per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni convenzionali ovvero
delle legislazioni interne degli Stati contraenti in materia di imposte. E qui, la
diversa sensibilità selettiva degli Stati può tornare decisiva nel vanificare, o meno,
aspettative di ricerca e di contrasto di vasti fenomeni di criminalità fiscale. In
sostanza, gli Stati contraenti non sono liberi di intraprendere nello sterminato
mare dell’evasione vaste spedizioni di pesca (fishing expedition). Alla luce
dei criteri dell’OCSE, non possono inoltrare, cioè, richieste di informazioni,
specie bancarie, generiche e non circostanziate; esse possono essere avanzate
solo in relazione alla posizione di un singolo contribuente o di interi gruppi o
categorie di contribuenti nei confronti dei quali vi siano già fondati sospetti. In
una espressione, si deve già sapere il contenuto e la rilevanza dei dati richiesti.
Battute di pesca, dunque, con prede solo selezionate, nei confronti delle quali
già si dispone di consistenti elementi per ipotizzarne l’infedeltà fiscale. Senza
porre a rischio di estinzione la specie…. Sennonché, in tal modo, non si può
dimostrare che sia stato commesso un illecito (e tantomeno un crimine) finché
non si ottengono le informazioni e non si possono ottenere le informazioni,
finché non si dimostra che è stato commesso un illecito. Scambi automatici, si,
ma a certe condizioni ed entro dati limiti. Circostanza che riduce, e non poco,
l’efficacia della collaborazione1
.
1	 Il 18 luglio 2012, l’OCSE ha pubblicato il documento “Update to the Article 26 of the OECD Model Tax
Convention and its Commentary” (approvato dal Consiglio in data 17 luglio 2012), che modifica l’art. 26
del Modello OCSE e il relativo Commentario. Obiettivo delle recenti modifiche è quello di attribuire
maggiore effettività alle disposizioni convenzionali sullo scambio di informazioni. In particolare, la
seguente disposizione viene aggiunta al paragrafo 2 dell’art. 26: “[…] Notwithstanding the foregoing, in-
formation received by a Contracting State may be used for other purposes when such information may be
used for such other purposes under the laws of both States and the competent authority of the supplying
State authorizes such use”. La suddetta modifica consente, pertanto, alle autorità competenti degli Stati
Contraenti di utilizzare le informazioni ricevute anche per scopi diversi da quelli indicati nel paragrafo
2, a condizione che tale utilizzo: • sia consentito dalle legislazioni di entrambi gli Stati Contraenti; • sia
autorizzato dallo Stato richiesto. Il paragrafo 12.3 del Commentario all’art. 26 già prevedeva, sebbene
soltanto in via opzionale, un’analoga disposizione. Le modifiche al Commentario all’art. 26 riguardano,
in particolare, l’interpretazione dello standard di “foreseeable relevance” e dell’espressione “fishing expe-
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Né si può escludere che lo Stato richiesto possa trovarsi o porsi nella
condizione di non avere dati da trasferire o possa avere una legislazione
interna, anche societaria o finanziaria, in base alla quale i dati comunicati
non sono omogenei e decifrabili per lo Stato richiedente, non consentendo di
rivelare l’identità del titolare effettivo del rapporto o della società. Ovvero che
tali dati siano gestiti da raro personale, impegnato in numerose e diversificate
altre incombenze, privo di reale coordinamento, obiettivamente impedito nel
trasferire le informazioni ai richiedenti nei tempi e nelle forme occorrenti per
una loro adeguata valorizzazione.
Insomma, convenzioni che funzionano, per lo più, come foglie di fico e
che permettono ai paradisi fiscali di dichiararsi trasparenti, continuando ad
operare, né più né meno, come prima.
E bene, con le liste dell’OCSE della primavera 2009, bastava la sola promessa
di voler procedere ad intese bilaterali di scambio di informazioni, a richiesta,
per passare dalla condizione di Stato ostile a quella di Stato possibilista, ovvero
dagli Stati inseriti nella cd. lista nera a quelli della lista grigia. E solo un dato
quantitativo era chiesto per assumere la nuova veste di Stato trasparente: la
stipula di almeno dodici convenzioni bilaterali di scambio di informazioni
fiscali e finanziarie, secondo il modello OCSE della richiesta circostanziata, con
qualsiasi altro Stato, anche quelli già ostili e possibilisti, cioè non collaborativi
con i paesi sin dall’origine trasparenti.
Miracoli della catalogazione. Dopo solo un giorno dalla pubblicazione della
lista, tutti (o quasi) gli Stati ostili erano diventati possibilisti, promettendo
di darsi da fare per stipulare intese bilaterali. Nel volgere di qualche mese,
dition”. Con riferimento alla cd. “fishing expedition”, il nuovo paragrafo 5.1 del Commentario all’art.
26 prevede che una richiesta non costituisce “fishing expedition” per il semplice motivo che il nome o
l’indirizzo della persona sotto indagine o verifica non sia stato indicato ovvero sia stato indicato in ma-
niera non corretta o in un formato diverso da quello standard. Tuttavia, lo Stato richiedente deve fornire
informazioni sufficienti a consentire l’identificazione del contribuente. Con riferimento allo standard di
“foreseeable relevance”, il nuovo paragrafo 5.2 del Commentario all’art. 26 prevede che tale requisito può
ritenersi soddisfatto sia se la richiesta di informazioni riguarda un singolo contribuente, sia se concerne un
gruppo di contribuenti. Nel caso in cui la richiesta di informazioni riguardi un gruppo di contribuenti non
identificati individualmente, al fine di evitare che essa sia considerata “fishing expedition”, è necessario che
lo Stato richiedente fornisca: • una dettagliata descrizione di tale gruppo di contribuenti; • una descrizione
degli specifici fatti e delle circostanze che supportano la richiesta di informazioni; • un’illustrazione della
disciplina legislativa applicabile; • le ragioni per le quali si ritiene che il gruppo di contribuenti per cui si è
proceduto alla richiesta di informazioni non è compliant alla legge; • la dimostrazione che le informazioni
richieste “would assist in determining compliance by the taxpayers in the group”. Inoltre, il Commentario
all’art. 26 (paragrafi 10.4 - 10.6) prevede la possibilità per gli Stati Contraenti di stabilire limiti temporali
entro i quali fornire le informazioni richieste, al fine di migliorare gli aspetti procedurali dello scambio
di informazioni.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
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poi, i possibilisti si erano anche accordati, per lo più tra loro, per diventare
trasparenti, ma solo tra di essi, a richieste e condizioni specifiche, per i casi di
infedeltà fiscale già noti. E così non avevano faticato molto tempo a raggiungere
la fatidica quota dodici. In genere, come prevedibile, si erano guardati bene
dall’accordarsi con gli Stati loro prossimi geograficamente, trasparenti e
collaborativi già in origine, le cui risorse finanziarie nel tempo avevano
festosamente accolto e delle quali probabilmente sarebbero seriamente stati
chiamati a render conto. In quel periodo, le isole Far Oer, note per la pesca dei
cetacei, e la Groenlandia, la cui economia molto deve alla pesca del gambero,
sono divenute contraenti immancabili di intese di scambio di informazioni
fiscali e finanziarie con Paesi enclave, come San Marino ed Andorra, privi
anche solo di spiagge e tantomeno, a quanto risulta, di un’economia ittica. Ma
il tema della pesca selettiva non era fatto estraneo alla sensibilità dell’OCSE.
Forse adesso in cuor vostro starete sorridendo, sforzandovi di immaginare
quando mai Andorra, Stato situato nella regione dei Pirenei orientali, avrà
bisogno di conoscere dati fiscali relativi a supposti suoi contribuenti infedeli
impegnati nelle battute di pesca dei mari del Nord. Ma così fu pensata la lotta
ai paradisi fiscali in quel non lontano 2009. E ragioni per sorridere, a ben
vedere, non ci sarebbero, se si considera l’incolmabile voragine che separa
la pomposità dei (non rari) pubblici annunci di contrasto ai paradisi fiscali
(accompagnati dall’immancabile sottolineatura dei danni che essi recano
all’economia mondiale) ed il goffo strumento individuato per ricondurli
forzosamente sulla via della trasparenza e della collaborazione internazionale.
Dopo aver sentito i proclami di quell’inizio 2009 sulla fine del segreto
bancario, sul nuovo modello di trasparenza e di cooperazione, vedendo i
risultati qualcuno ha parlato, non a sproposito, di “scherzo di cattivo gusto”.
Ma come poteva essere diversamente?
Possibile che nessuno dei governanti e dei tecnici degli Stati trasparenti
che avevano chiesto la stretta contro l’evasione fiscale internazionale avesse
previsto il pratico escamotage, valso a vanificare una parte essenziale delle
politiche di rigore e risanamento delle finanze pubbliche varate in quegli stessi
anni? No, non è possibile.
E nelle ragioni di questa risposta riposa uno dei motivi dell’esistenza del
paradisi fiscali. L’essere, a ben vedere, figli naturali prediletti, anche se non
“Tracce, impronte & archivi finanziari”
43
riconosciuti, dei paesi “trasparenti”, in particolare delle esigenze di alcune delle
loro più ascoltate élite, anche imprenditoriali.
Al Consiglio europeo del 22 maggio 2013, il Presidente della Commissione
Europea, tornando a parlare di frode ed evasione fiscale quale “grande
problema”, ha mostrato un grafico molto efficace. Ritraeva il valore del mancato
gettito fiscale annuo, pari ad oltre 800 miliardi di euro, e segnalava come fosse
superiore alla spesa sanitaria totale degli Stati UE nel 2008, quasi doppio
rispetto all’importo totale dei disavanzi di bilancio del complesso dei singoli
Stati UE e più che quintuplo rispetto alla spesa per il bilancio della UE. Il
presidente Barroso ha quindi proposto tre livelli di intervento urgente. A livello
nazionale, il miglioramento del rispetto della normativa fiscale, la promozione
di una maggiore efficienza delle amministrazioni fiscali e la lotta contro i
paradisi fiscali e la cd. pianificazione fiscale aggressiva. A livello comunitario,
il potenziamento dello scambio automatico di informazioni esteso a tutte le
tipologie di reddito, anche quelli non da risparmio, e l’intensificazione della
cooperazione tra le amministrazioni fiscali. A livello mondiale (in sede di G8,
G20 e OCSE), la promozione dei principi di trasparenza, buongoverno fiscale
e leale concorrenza fiscale e l’introduzione anche a questo livello dello scambio
automatico multilaterale d’informazioni, quale nuova norma internazionale
basata sull’approccio seguito nell’UE. Norma che dovrebbe costituire la base
per la rinegoziazione da parte della Commissione, su mandato dei Ministri
delle Finanze dei 27 Stati membri dell’UE (ECOFIN), delle intese fiscali
in materia di tassazione dei risparmi con Svizzera, Liechtestein, Monaco,
Andorra e San Marino.
Già alla riunione di Washington del 19 aprile 2013 i ministri delle Finanze
del G20 avevano chiesto di adottare misure per eliminare il segreto bancario
ed incoraggiare fortemente tutti i Paesi a prendere misure per soddisfare gli
standard per lo scambio automatico delle informazioni bancarie. Ed in effetti
di coraggio si deve parlare, se si considera l’inglorioso insuccesso recente ed il
rapporto di nascosta filiazione diretta di cui si è detto. Il G8 di metà giugno
2013 ha confermato queste linee di azione.
Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013
44
Come andrà a finire?
In una recente intervista2
, ad inizio di maggio 2013, la consigliera federale
Eveline Widmer-Sclumpf ha dichiarato di dubitare che i 34 Paesi dell’OCSE
(del quale è membro anche la Svizzera) riusciranno a mettersi d’accordo in
breve tempo sull’introduzione dello scambio automatico di informazioni per
combattere l’evasione fiscale. “È possibile - ha spiegato Widmer-Schlumpf
- che venga presa una decisione di principio oppure si arrivi a definire quali
informazioni dovranno essere effettivamente scambiate”. Ma su questo aspetto
non vi è consenso unanime tra i 34 Paesi dell’OCSE, ha sostenuto il ministro
grigionese, che si attende accese discussioni su questi punti e quindi ritardi
nell’applicazione concreta. “La questione decisiva su come debbano essere
scambiate le informazioni fiscali e su come si possa giungere ad uno standard
internazionale rientrano nell’area di competenza dell’OCSE”, organizzazione
in seno alla quale la Svizzera ha diritto di parola. La consigliera federale, da
ultimo, ha commentato: “Noi non ci accorderemo con tutti i Paesi sullo scambio
automatico di informazioni, ma soltanto con una cerchia di Stati definiti e nel
rispetto di determinate condizioni”. Viene da pensare che il recente insuccesso
rischi seriamente di ripetersi e che il ministro svizzero abbia espresso previsioni
realistiche.
Il rapporto di filiazione tra paesi trasparenti e giurisdizioni non cooperative
spiega anche l’incredibile forza delle seconde, pure quando in apparenza
corrispondono a piccoli territori, abitati da coesa e orgogliosa popolazione
ma privi di risorse naturali ed economiche interne. E chiarisce le dimensioni
e la centralità nell’economia moderna del sistema offshore. Alcuni dati, la cui
considerazione può forse sfuggire.
Più della metà del commercio mondiale passa, almeno sulla carta, attraverso
i paradisi fiscali, tali considerati anche secondo le (non sempre severe) categorie
convenzionali degli organismi internazionali. Oltre la metà di tutti gli attivi
bancari ed un terzo dell’investimento diretto estero effettuato dalla imprese
multinazionali vengono dirottati offshore. Nel 2010 il FMI ha stimato che i soli
bilanci dei piccoli centri finanziari insulari ammontavano complessivamente a
18.000 miliardi di dollari, circa un terzo del PIL mondiale. Secondo altre fonti
(Tax Justice Network), sin dal 2005 i capitali detenuti offshore da individui
facoltosi dovrebbero ammontare ad 11.500 miliardi di dollari, un quarto
di tutta la ricchezza mondiale, l’intero prodotto nazionale lordo degli Stati
2 	 Si tratta di dichiarazioni rilasciate in data 11.5.2013 ai quotidiani “Tages-Anzeiger” e “Bund” e riportate
sul sito www.ticinonews.ch
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  • 1. Rivista di Studi Economici Giuridici Sociali ANNOXXII-n.2Lug.-Dic.2013-Semestrale-Sped.inabb.postale-filialediForlì-70%-periodico In questo numero: Atti del convegno tenuto a Rimini il 21 giugno 2013 “Tracce, impronte & archivi finanziari” Paure per la privacy, speranze per la trasparenza. Dentro e oltre le banche dati: le isole dei tesori.
  • 2.
  • 3. Rivista di Studi Economici Giuridici Sociali La rivista Orientamenti è espressione dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti - sezione di Rimini - (AIDC) e dell’Associazione Dottori Commerialisti di Rimini (ADC) con il patrocinio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rimini e dell’Ordine degli Avvocati di Rimini
  • 4. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 2 Comitato scientifico: Befera Attilio, Direttore Agenzia delle Entrate, Brighi Paola, Prof. Ass. Economia Intermediari Finanziari, Università di Bologna, Castaldi Giovanni, ex Direttore Unità d’Informazio- ne Finanziaria (UIF), Donadio Gianfranco, Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia, Giovagnoli Paolo, Procuratore della Repubblica di Rimini, Maestri Adriano, Direttore Regionale Banca Intesa San Paolo, Magistro Luigi, Vicedirettore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Sforza Flavia, Avvocato presso l’Avvocatura delle Banca d’Italia; Sottani Sergio, Procuratore della Repubblica di Forlì, Tasini Massimiliano, Prof. a contratto Diritto Tributario, Università di Urbino, Trovato Angelo, Prefetto - Presidente Commissione Nazionale per il diritto di asilo. Comitato organizzativo: Barone Fabio, Avvocato in Rimini, Campodonico Francesco, Dottore Commercialista in Senigallia, Cappellini Monica, Avvocato in Rimini, Gasperoni Paolo, Avvocato in Rimini, Loato Paolo, Dottore Commercialista in Rovigo, Mascilongo Marta, Dottore Commercialista in Cattolica, Paganini Pier Paolo, Dottore Commercialista in Rimini, Pironi Miranda, Ragioniera Commercialista in Rimini, Ricci Piero, Dottore Commercialista in Cesena, Rosetti Massimo, Dottore Commercialista in Rimini, Santandrea Paola, Avvocato in Lugo, Siccardi Silvia, Avvocato in Rimini. Direttore Responsabile: Giancarlo Ferrucini I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerarsi opinioni degli autori e non impegnano pertanto il Direttore e la Redazione. Note, articoli e altro materiale da pubblicarsi nella Rivista vanno spediti al Direttore Dott. Giancarlo Ferrucini, via Garibaldi, 69 - 47921 Rimini - Telefax 0541/635070 - Telefono 0541/786574 I manoscritti anche se non pubblicati non si restituiscono. Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 6/92 del 22.04.1992 Pubblicazione con pubblicità inferiore al 70%. PROPRIETÀ EDITORIALE: Associazione Culturale Orientamenti - via Garibaldi, 69 - Rimini STAMPA: Arti Grafiche Ramberti - Viserba di Rimini Chiuso in redazione il 31 Maggio 2013. Testata associata all’Unione Stampa Periodica Italiana
  • 5.
  • 6. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 4 SOMMARIO Atti del convegno tenuto a Rimini il 21/06/2013 “ Tracce, impronte & archivi finanziari - Paure per la privacy, speranze per la trasparenza. Dentro e oltre le banche dati: le isole dei tesori.”    Introduzione al convegno, di Giancarlo Ferrucini Pag. 9    Interventi: Gianfranco Donadio Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia Disciplina penale e prevenzione del riciclaggio: le prospettive della riforma Pag. 11 Francesco Greco Procuratore Aggiunto Procura della Repubblica di Milano Prospettive di riforma nella lotta al crimine economico Pag. 19 Attilio Befera Direttore Agenzia delle Entrate Le novità dell’Archivio dei rapporti finanziari e la tutela della privacy Pag. 30 Fabio Di Vizio Sostituto Procuratore delle Repubblica di Pistoia La scomparsa dei paradisi fiscali ed altre favole belle. Le responsabilità non separate, contro le comode pretese di neutralità, indipendenza e semplificazione, per l’efficiente contrasto del crimine economico Pag. 38 Laura Zaccaria Responsabile Direzione Norme e Tributi ABI La valorizzazione del patrimonio informativo dello Stato: quando l’interesse collettivo supera quello individuale Pag. 70
  • 7. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 5 Vincenzo Gunnella Notaio in Firenze, Membro Commissione Antiriciclaggio del Consiglio Nazionale del Notariato Il notariato gatekeeper per l’antiriciclaggio e l’utilizzazione del suo patrimonio informativo Pag. 75 Claudio Clemente Direttore Unità d’Informazione Finanziaria (UIF) Anomalie operative, sospetti e spunti investigativi: il contributo dell’Unità d’Informazione Finanziaria Pag. 84 1^ Tavola Rotonda - Corruzione, concussione e reati della P.A. Presieduta da Paolo Giovagnoli Paolo Giovagnoli Procuratore della Repubblica di Rimini Pag. 96 Davide Ercolani Sostituto Procuratore della Repubblica di Rimini Pag. 100 Luigi Stortoni Ordinario di Diritto Penale, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna Pag. 106 Bruno Piccioni Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Rimini Pag. 109 Aldo Scola Consigliere di Stato - Presidente Commissione tributaria regionale Emilia-Romagna Pag. 113 Massimiliano Tasini Dottore Commercialista - Vice Presidente ANTI - Regione Marche Pag. 117
  • 8. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 6 2^ Tavola Rotonda - Falso in bilancio Presieduta da Orazio Pescatore Orazio Pescatore Presidente del Tribunale di Forlì Pag. 120 Domenico Truppa GIP presso il Tribunale di Modena Pag. 126 Filippo Sgubbi Ordinario di Diritto Penale - Facoltà di Giurisprudenza - Università di Bologna Pag. 131 3^ Tavola Rotonda - Riciclaggio e Autoriciclaggio Presieduta da Sergio Sottani Sergio Sottani Procuratore della Repubblica di Forlì Pag. 136 Maria Gabriella Di Pentima Avvocato in Forlì Pag. 139 Rodolfo Zani Delegato Privacy Intesa Sanpaolo Pag. 143 Emmanuele Di Fenza Responsabile Ufficio Operazioni Sospette Antiriciclaggio Intesa San Paolo Pag. 146 Paola Brighi Professore di Economia degli Intermediari Finanziari Università di Bologna Pag. 150 Michela Guidi Sostituto Procuratore della Repubblica di Forlì Pag. 154 Marco Martines Presidente Camera Penale della Romagna Pag. 158
  • 9. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 7 4^ Tavola Rotonda - Reati Fiscali Presieduta da Rossella Talia Rossella Talia Presidente del Tribunale di Rimini Pag. 162 Giovanni Trerè Presidente della Sezione Penale del Tribunale di Forlì Pag. 167 Rosa Menale Presidente del Consiglio Notarile di Rimini - Forlì Pag. 171 Antonio Marco Antonucci Maggiore Comandante Nucleo GdF di Rimini Pag. 174 Fiorella Casadei Coordinatore GIP del Tribunale di Rimini Pag. 178 Silvia Siccardi Avvocato tributarista in Rimini Pag. 181 Stefano Celli Sostituto Procuratore della Repubblica di Rimini Pag. 185
  • 10. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 8
  • 11. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 99 INTRODUZIONE Tracce, impronte & archivi finanziari - Paure per la privacy, speranze per la trasparenza. Dentro e oltre le banche dati: le isole dei tesori. di Giancarlo Ferrucini Dottore Commercialista in Rimini * * * Questo convegno, oltre ad esser un incontro di persone, mi auguro sia un Laboratorio che, attraverso lo scambio di idee e di esperienze, suggerisca gli indirizzi più consoni per neutralizzare il crimine economico e sradicare le radici di quella che può considerarsi un malapianta. La personalità dei relatori, di livello nazionale e internazionale, sono garanzia assoluta di questo risultato (Donadio, Greco, Befera, Di Vizio, Clemente, Zaccaria e Gunnella). Il tema di questo, che vuole essere un laboratorio, riguarda gli archivi finanziari, cioè le Banche Dati. Vuole evidenziare come vengono formate, da chi possono essere utilizzate, chi le detiene, quale il perimetro dei loro contenuti. Qualche giorno fa un giornale riportava il titolo: un ladro scoperto dalle sue impronte. Ecco dentro le banche dati ci sono le impronte che possono mettere in luce i reati economici e le tracce di chi li ha commessi. C’è una stretta connessione tra le tracce, le impronte e gli archivi finanziari, connessione suffragata da quella “e commerciale” che viene sempre utilizzata per indicare i rapporti più stretti. Mi auguro che da questo “LABORATORIO” scaturisca la consapevolezza di quanto sia importante la formazione di una cultura della legalità prendendo atto che la legalità è sempre conveniente, l’importanza che le banche diano denaro alle imprese che hanno lo scopo di costruire un’economia sana, che non insegua solo l’odore dei soldi nelle proprie scelte. Solo così si può comprendere il dialogo sul dimensionamento della privacy e della trasparenza per comprendere “quando l’interesse collettivo supera quello individuale”.
  • 12. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 10 Questo il tema sul quale i relatori avranno molto da dire e da confrontarsi, analizzando gli argomenti che stanno dentro e oltre le banche dati, considerando ad esempio le isole del tesoro cioè i paradisi fiscali, la scomparsa di alcuni di essi, il riciclaggio e l’autoriciclaggio, le prospettive di riforma nella lotta al crimine economico. In particolare si farà riferimento alla novità dell’Archivio dei rapporti finanziari. Ci sarà il contributo dell’UIF, dell’ABI e del notariato. Nel pomeriggio l’argomento sarà approfondito attraverso lo svolgimento di quattro tavole rotonde dirette da coloro che occupano posizioni apicali nella magistratura di Rimini e Forlì, che hanno qui modo di confrontarsi per individuare le linee di comportamento nella lotta alla, purtroppo, diffusa criminalità economica. I Procuratori Giovagnoli e Sottani, i Presidenti del Tribunale, Talia e Pescatore, i magistrati Ercolani, Guidi, Casadei, Celli e Trerè, accompagnati dalle forze dell’ordine: Carabinieri e Guardia di Finanza, rappresentate al tavolo dal Maggiore Antonucci e in sala dal Generale D’Alonzo dai Colonnelli Venceslai, Mazzotti, Veneziano. Ci onorano della loro presenza i questori, Verna di Forlì, Germanà di Piacenza, e il Dott. Gallo in rappresentanza del questore di Ravenna. Ringrazio in particolare per la collaborazione ed il sostegno accordatoci, il Gruppo Bancario San Paolo che qui è presente nella figura del Direttore Dott. Adriano Maestri. E’ in sala anche il Dott. Alunno Magrini, Direttore di Bankitalia di Forlì, che ringrazio. Tutto ciò, è prova di un impegno straordinario e di altissimo livello. Penso di poter affermare che la magistratura di Rimini e Forlì stia dando un fortissimo segnale che invita tutti noi ad un comportamento che si pone “contro le comode pretese di neutralità, indipendenza e semplificazione, per l’efficiente contrasto del crimine economico”, così come afferma il titolo della relazione del Dott. Fabio Di Vizio che costituisce un punto di riferimento per tutti coloro che lottano contro la criminalità economica.
  • 13. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 1111 Disciplina penale e prevenzione del riciclaggio: le prospettive della riforma. di Gianfranco Donadio Procuratore Aggiunto Nazionale Antimafia * * * Grazie molte. Sono contento di essere tornato. E’ un appuntamento che si conserva in agenda, perché per tutti noi è un appuntamento importante. Esattamente è un laboratorio e quindi un’occasione di confronto per fare tutti insieme il punto sulla situazione. Non è che dall’anno scorso ad oggi la situazione sia molto cambiata. Per certi versi i cambiamenti che sono avvenuti non sono incoraggianti. La mia relazione è un po’ asimmetrica rispetto alla tematica del convegno, in verità molto suggestiva. Quando il nostro Presidente mi ha invitato a questo convegno, io ho avuto un attimo di viva preoccupazione. Mi sembrava il titolo di un convegno di letteratura noir. Poi abbiamo capito cosa vuole dire. Io mi porrò in una situazione leggermente asimmetrica rispetto al tema delle banche dati, perché vorrei presentarvi ad oggi lo stato dell’arte della questione dell’autoriciclaggio che, come è noto a tutti, è stata ampiamente dibattuta negli ultimi mesi. Con una premessa, però, che anche la materia dell’antiriciclaggio considerata in sé non è una materia che può essere approfondita in maniera avulsa dal contesto in cui si cala. Io direi che la questione criminale nella materia dei rapporti economici ruota su tre figure, su tre situazioni, su tre criticità estremamente interconnesse: riciclaggio ed autoriciclaggio - vedremo in che modo recuperare questa dicotomia -, evasione fiscale e corruzione. Sono tre questioni che vanno lette, affrontate ed interpretate in strettissima connessione. Altrimenti non vi è salvezza, cioè non vi è soluzione adeguata. L’adeguatezza e la razionalità delle soluzioni va appunto ricercata nei fortissimi legami che esistono fra queste questioni che caratterizzano, ahimè, profondamente la criminalità economica del nostro Paese. Un altro elemento caratterizzante della criminalità economica come si dispiega nel nostro Paese lo accennammo appunto nel convegno dello scorso
  • 14. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 12 anno ed è questa tendenza dei briganti a farsi galantuomini, e cioè una presenza sempre più insistente, sempre più penetrante, più forte di mondi e di universi, generalmente lontani dai rapporti economici e finanziari. La criminalità organizzata depone la coppola e gli strumenti tradizionali ed intraprende con sempre crescente interesse il percorso dell’avvicinamento al mondo della finanza, al mondo dell’intermediazione e, perché no, al mondo dei rapporti di produzione. Questo è il punto, lo scenario dal quale partire. Le suggestioni e i percorsi sono numerosi. Voglio autodisciplinarmi e parlarvi subito di quello che è all’orizzonte nel mondo dell’autoriciclaggio, questione, sapete, dibattutissima. Oggi ci troviamo di fronte ad uno statuto penale del riciclaggio molto articolato. Vi sono ben tre norme che hanno sede nel Codice Penale. La materia del riciclaggio, addirittura, è disciplinata da due figure delittuose, l’una dopo l’altra sistemate immediatamente dopo la più tradizionale e nota fattispecie di ricettazione. Questa collocazione, sulla quale torneremo da qui a pochissimo, denunzia il forte influsso che la sistematica dei diritti contro il patrimonio ha avuto di fronte a queste fattispecie di nuovo conio. Beh, di nuovo conio fino ad un certo punto perché, come ben sapete, si discute di riciclaggio come elemento del diritto positivo vigente in Italia dal 1978, neppure nella legislazione emergenziale, la materia è stata riformata nel ’90 e riformata ancora nel ‘93. Abbiamo detto - ce lo siamo detti proprio l’anno scorso - che il legislatore ha dato il meglio della sua miopia nella materia del riciclaggio, costruendo fattispecie sostanzialmente avulse dalla realtà. Immaginate che il motore del riciclaggio in tutte le società capitalistiche avanzate va ricercato nel ciclo del traffico degli stupefacenti. Ebbene, nel nostro Ordinamento per dodici anni non si è parlato di riciclaggio in riferimento al traffico degli stupefacenti e per questo, vi dicevo, la miopia portata a risultati di eccellenza. Vi è poi una fattispecie che è fuori dal Codice Penale al momento che è l’articolo 12 quinquies di questo DL del 1992, che è una materia che come sapete tutti nasce nell’ambito della disciplina delle norme antimafia e che noi dovremo tenere d’occhio perché in qualche modo diventa attualissima nei progetti di riforma. A fronte della disciplina penale del riciclaggio esiste nel nostro Ordinamento un’altra disciplina del riciclaggio. Non voglio essere provocatorio, ma vorrei dire che è un altro riciclaggio, cioè un’altra nozione di riciclaggio, un’altra definizione di riciclaggio, un altro mondo del riciclaggio che è quello della disciplina preventiva, ed è veramente strano che, anziché convergere ed
  • 15. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 13 armonizzarsi, i due universi normativi in questi ultimi tempi hanno preso direzioni diverse. Tendono ad allontanarsi, sicché dal punto di vista preventivo esiste l’autoriciclaggio, dal punto di vista penalistico non esiste e questo, ovviamente, non può che creare confusione e difficoltà applicative. Per quanto riguarda l’autoriciclaggio possiamo finalmente confrontarci con due testi. Da un lato presenterò le proposte che ha elaborato il gruppo di studio del Ministero della Giustizia coordinato da Francesco Greco, che è il collega che è qui vicino a me e che, ovviamente, affronterà tutte le questioni che sono state affrontate da questo gruppo di studio. Da un altro vi è già in Parlamento in disegno di legge che sostanzialmente non diverge dalle conclusioni alle quali era arrivato il gruppo di studio. Che cosa dice? Ci sono le conclusioni del gruppo degli esperti del Ministero della Giustizia e sono delle conclusioni estremamente interessanti, secondo me, perché affrontano in maniera chiara e manifesta un duplice concetto di riciclaggio che ormai può essere ritenuto l’elemento caratterizzante della questione del riciclaggio nel nostro Paese. Da un lato vi è un ciclo di accumulazione e di trasmigrazione di denaro, di beni e di altre utilità che vengono prodotte nell’ambito delle economie criminali e che si spostano lentamente, ma inesorabilmente, verso l’economia legale. Questo movimento dal crimine all’economia legale è caratterizzato da un dato vorrei dire assolutamente ineludibile. Anche nei mercati criminali esiste e vige quella norma, vorrei dire quella legge universale della definizione di rapporto fra domanda e offerta, sicché la domanda di beni e servizi criminali fortunatamente non segue l’ampiezza dell’offerta. Si crea così una sorta di disavanzo globale dell’economia criminale positivo che comporta il movimento di questo denaro verso l’economia legale. Accanto a questa forma di ingresso continuo di risorse anche molto significative, e non mi avventuro sulla tematica della quantificazione, perché credo che gli strumenti di rilevamento non siano adeguatamente sperimentati, a fronte di questo flusso, dicevo, vi è poi un’altra faccia, un altro aspetto della questione del riciclaggio e cioè il tema della clandestinizzazione di ricchezza legale, cioè di ricchezza generata da rapporti di produzione legali, cioè da scambi di beni e servizi che avvengono nei mercati, nei mercati regolamentati, nei mercati disciplinati dalla normativa, e che scompaiono ad un certo punto, si inabissano e in questo cammino di inabissamento prendono la via a volte dell’esterovestizione, a volte del nascondimento, perché sono finalizzati a sostenere e finanziare mercati che io definirei “protetti e secondari”, che sono il mercato della corruzione, l’accumulazione di fondi neri.
  • 16. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 14 Quindi questo fenomeno di clandestinizzazione di ricchezza che viene sottratta innanzitutto al Fisco, per intenderci, comporta progressivamente ed in maniera sempre più netta l’adozione di modalità di schermatura e di modalità di nascondimento in tutto uguali a quelle di cui abbiamo parlato un attimo fa, e cioè a quelle proprie della clandestinizzazione dei beni e della ricchezza del denaro delle utilità che sono state prodotte dai mercati criminali. Quindi abbiamo un duplice aspetto della questione del riciclaggio. Di questo prende atto, dopo una riflessione molto intensa e vorrei dire importante, il gruppo che si è occupato della predisposizione della nuova disciplina e coglie il dato centrale della ridefinizione della fattispecie del riciclaggio in questo percorso che ha come finalità quella di giungere al collocamento di ricchezza in attività produttive e finanziarie, o attraverso la trasmigrazione delle ricchezze prodotte negli universi criminali, oppure attraverso il reimpiego di una ricchezza che apparentemente non ha origine, ma l’origine ce l’ha ed è semplicemente un’origine che è diventata incerta ed illegale, perché vi è stata una soluzione di continuità, vi è stata una sottrazione, per esempio, alla pretesa fiscale. Abbiamo detto prima che la fattispecie di riciclaggio storicamente si inserisce nell’ambito dei delitti contro il patrimonio. Tutto questo non può che avere una serie di conseguenze sulla struttura e anche, naturalmente, sul piano dell’applicazione. La prima e più importante questione a tutti nota è data dal principio della non punibilità dell’autore del reato presupposto, che è perfettamente coerente con l’inserimento tradizionale del delitto di riciclaggio, dei delitti contro il patrimonio, ma che ha dimostrato tutti i suoi limiti e deve essere assolutamente superata. Il superamento di questa collocazione deriva dalla consapevolezza che i fenomeni del riciclaggio, qualunque sia la tipologia del riciclaggio, qualunque sia l’origine di queste ricchezze, comportano una minaccia per il corretto e ordinato svolgimento delle attività economiche. Tuttoquestohadelleconseguenzeehadelleconseguenzeperchéinnanzitutto muta lo scenario, il sistema, la collocazione possibile del delitto di riciclaggio riformato, che assume sempre più la fisionomia di un delitto che offende l’ordine economico e finanziario, o per certi versi l’amministrazione della Giustizia, e quindi si allontana anche dal punto di vista della collocazione sistematica dal vecchio inserimento. Questo discorso noi lo troviamo sostanzialmente recepito anche nell’atto 19 del Senato, che a sua volta richiama l’importanza di parlare oggi di riforma del riciclaggio con un obiettivo ed una finalità di tutela dell’integrità del sistema
  • 17. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 15 finanziario. Quindi comporta, questa scelta di collocazione sistematica, il superamento di quel principio di non punibilità dell’autore del reato presupposto e ancora una volta la consapevolezza che la centralità della condotta illecita consiste nell’impiego di proventi illeciti in attività economiche e finanziarie. Proviamo rapidissimamente a dare uno sguardo a quello che potrebbe essere il nuovo testo, così come ci è stato presentato tanto dall’elaborazione ministeriale, tanto dal disegno di legge di cui vi ho parlato un attimo fa. Come vedete, non esiste più la differenziazione tra la fattispecie di riciclaggio e quella di reimpiego, cioè quella dicotomia di cui si era parlato caratterizzata dalla presenza di ben due delitti uno dopo l’altro, il 648 bis e il 648 ter. Le condotte tipiche e i profili modali dell’azione di riciclaggio sono stati tutti quanti riuniti in un unico delitto. Quello che vorrei sottolineare è che si è inteso inserire nell’ambito del delitto di riciclaggio anche una condotta che ha carattere assolutamente innovativo, che vorrei definire finalizzata alla clandestinizzazione, o al contrasto dell’intestazione fittizia. Infatti l’attribuzione fittizia ad altri di titolarità, o di disponibilità di denaro è una delle condotte di riciclaggio. Perché? Veramente questo vorrei dire che è il limite estremo della fattispecie di nuovo conio con la quale gli studiosi dovranno d’ora in poi confrontarsi e che, molto verosimilmente, conoscerà anche un iter parlamentare. Si parte in questa definizione delle modalità della condotta di cui al punto 2 da un principio: che nel nostro Ordinamento non può esistere una proprietà oscura, clandestina, o intermediata, perché i modi di acquisto delle proprietà devono essere coerenti ad una genesi legale, cioè conforme ai meccanismi di nascita e trasferimento dei titoli di. proprietà. Questo è molto interessante - e lo vediamo -, perché l’equiparazione nell’ambito della nuova fattispecie della clandestinizzazione, cioè dei trasferimenti fraudolenti di titolarità, preleva dall’esperienza del Diritto Penale del contrasto alle mafie questo strumento e lo riporta a tutela generale dell’integrità dei rapporti economici e finanziari. Entrambe le ipotesi definitorie di questa fattispecie di nuovo conio si presentano con delle caratteristiche strutturali molto moderne e molto duttili. Come vedete, si parte da una pena che viene peraltro ridotta quando i reati a monte non sono di eccezionale gravità e questa pena subisce una serie di aumenti, quindi di incrementi edittali, che sono collegati alla figura e al ruolo funzionale dell’autore. Si evidenziano in particolare gli esercizi di attività professionali e bancarie, che costituiscono titolo per un aumento, come
  • 18. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 16 vedete, da un terzo alla metà. I penalisti riconoscono in questa modalità di trattamento, cioè in questo tipo di aumento i connotati tipici dell’aggravante ad effetto speciale, che comporta, come tale, una serie di conseguenze in tema di bilanciamento. Si introducono poi sotto il profilo soggettivo dei profili assolutamente innovatori e si parla di un ruolo specifico di colui il quale esercita funzioni di amministrazione, funzioni di sindaco o di liquidatore, o in qualunque altro ufficio con potere di rappresentanza. Finalmente nella materia del riciclaggio si delinea quell’ auspicata disciplina premiale che è una conditio sine qua non per gli investigatori e per chi governa questo tipo di procedimento, in quanto bisogna dare un corridoio di uscita a quanti, con vari livelli diciamo di corresponsabilità, non hanno un ruolo strategico nell’ambito della consumazione di queste azioni. Purtroppo, il nostro Ordinamento, come ben sapete, è caratterizzato da un principio che i penalisti definiscono “il principio di equivalenza”, che è quanto di peggio possa immaginarsi nell’ambito della teoria generale del Diritto Penale. Il legislatore con l’articolo 110 del Codice Penale considera sotto il profilo delle pene tutti i rapporti causali equivalenti. Fu il massimo del rigore introdotto dalla codificazione ispirata dai principi autoritari dello Stato fascista che ci allontanò in maniera drammatica dalla cultura e dalla tradizione penalistica continentale, perché in tutti gli Ordinamenti del nostro continente le condotte di correità vengono distinte dalle condotte di complicità, o di reità secondaria. Quindi il Diritto Penale conosce strumenti ben più duttili e ben più adeguati alla realtà. Il condizionalismo, cioè il considerare tutte uguali sotto il profilo del trattamento sanzionatorio le condotte concorsuali, ha comportato una serie di guasti notevoli. Nel nostro caso, nella nostra nuova ipotizzata fattispecie di riciclaggio vedete che questa inedita disciplina premiale comporta una drastica riduzione di pene nei confronti di chi ha assunto un atteggiamento, lato sensu, collaborativo. Vi avevo fatto un cenno, ma affido solamente al testo scritto questa questione che peccherebbe di tecnicismo. Una volta che si aumentano le pene nei confronti di certi ceti, di certi tipi di autore, una prima conseguenza importante determinata dalla scelta di un aumento ad effetto speciale è che le circostanze attenuanti non possono essere ritenute equivalenti, o prevalenti, come sanno bene i colleghi che poi applicano concretamente la legge penale, se
  • 19. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 17 non a certe limitate condizioni. Entrambi i nuovi progetti presentano una vasta gamma di pene accessorie. L’elemento più nuovo di tutti è quello che comporta l’estinzione automatica del rapporto di lavoro e di impiego nei confronti del dipendente di Amministrazioni o di Enti pubblici, ed è forse lo strumento più forte per contrastare l’infedeltà dei pubblici dipendenti. Vi ho già detto dell’inserimento della disciplina che lascia il titolo e il libro destinato a tutelare il patrimonio per inserirsi, viceversa, nell’ambito della tutela dell’economia. Vi ricordo che in entrambe le nuove proposte si ritrovano strumenti di confisca obbligatoria per equivalente allargata assolutamente moderni e vorrei dire tipici della tradizione del contrasto alla grande criminalità. In particolare, i soggetti coinvolti da procedimenti per riciclaggio (la nuova nozione comprende quindi riciclaggio e autoriciclaggio) saranno esposti a tutte le conseguenze che derivano dalla confisca dei patrimoni ingiustificati. Anche la responsabilità degli Enti è oggetto di rivisitazione da parte di entrambe le proposte di riforma e finalmente si prende in considerazione la responsabilità dell’istituzione finanziaria in quanto tale. Prima questa rilevanza era affidata esclusivamente all’ambito delle sanzioni amministrative. Coniugare sanzioni penali e sanzioni amministrative in un unico, organico e coerente sistema di risposta sanzionatoria è un obiettivo assolutamente irrinunciabile. Non è possibile una vita propria e autonoma del Diritto Penale del riciclaggio, del contrasto in sede penalistica del riciclaggio, se non strettamente ancorata e armonizzata con i principi della prevenzione e quindi con gli strumenti tipici delle sanzioni amministrative che caratterizzano i sistemi preventivi. L’esercizio applicativo che è stato fatto nel nostro Ordinamento della materia delle sanzioni amministrative è a dir poco desolante. La Commissione coordinata dal mio collega ed amico Francesco Greco ha messo tutti in condizioni di conoscere un arcano, diciamo, nella vita del dispositivo antiriciclaggio e cioè che nel nostro sistema preventivo, quando ha contrastato o tentato di contrastare con sanzioni amministrative i fenomeni di riciclaggio, nei confronti degli Enti e degli intermediari, è riuscito a raggranellare ben poco. E’ quasi indicibile, nel 2009, la massa delle sanzioni amministrative. La massa critica delle sanzioni amministrative in materia di riciclaggio ha appena sfiorato la somma di 5.000 euro. Questa cifra infinitesimale, che corrisponde a quanto una piccola impresa
  • 20. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 18 spende forse per contravvenzioni per divieto di sosta, se distribuisce in una città fuori orario qualsiasi prodotto, e che rappresenta quello che il sistema dell’Antiriciclaggio in sede preventiva è riuscito a realizzare, ci fa capire che così non andremo da nessuna parte. Io mi fermo qui. Ringrazio per questo invito e spero di avere rappresentato adeguatamente le novità normative.
  • 21. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 1919 Prospettive di riforma nella lotta al crimine economico. di Francesco Greco Procuratore Aggiunto Procura della Repubblica di Milano * * * Buon giorno. Io ho sempre paura a parlare di norme, di strategie di contrasto, perché tutte le volte che le proponiamo il Parlamento le adotta per non contrastare, ma addirittura favorire, come è successo recentemente con la concussione che è stata smembrata in due figure e ha già dato luogo ad una prima assoluzione per estinzione del reato per prescrizione. Però è indubbio che noi ci troviamo in un momento nel quale persino l’Europa, nell’autorizzare l’Italia ad uscire dalla procedura di deficit, ha chiesto al nostro Paese di intervenire sulle norme relative alla prescrizione e sulle norme relative proprio al contrasto della criminalità economica e della corruzione. Come sempre avviene in Italia, si è organizzata un’ennesima Commissione di studio, dopo che esattamente due mesi fa un’altra Commissione di studio, che io ho appunto ho presieduto, aveva già elaborato le stesse cose. Non solo io, perché c’era un’altra Commissione che aveva fatto la Severino sulla depenalizzazione ed una terza Commissione sulla riforma della prescrizione. Si va avanti a Commissioni. Per fortuna che, almeno nel mio caso, la Commissione è gratuita e quindi, quanto meno, non siamo costati allo Stato. Sono molto interessato anche al problema delle banche dati. Non a caso, esattamente quindici giorni fa, un mese fa, non ricordo, abbiamo organizzato presso la sede milanese della Banca d’Italia un incontro al quale hanno partecipato la UIF, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, perché ci hanno rappresentato lo stato delle loro banche dati, che sicuramente agevolano le investigazioni nel contrasto alla criminalità economica. Anche lì, con sorpresa, abbiamo notato che con molta fantasia alcune banche dati avevano lo stesso nome, però erano completamente diverse. Il problema vero delle banche dati nel contrasto a questi fenomeni è la loro interconnessione, perché sembra quasi che ogni organismo sia un po’ geloso della propria banca dati. Comunque, insomma, anche questo sarà un problema da affrontare in seguito.
  • 22. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 20 Tutte le convenzioni internazionali in tema di lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione e al riciclaggio, tutte pongono quattro principi fondamentali: la necessità di trasparenza contabile, la necessità di trasparenza dei flussi finanziari, una lunga prescrizione che permetta ai processi di arrivare alla fine ed un adeguato enforcement. Se voi li mettete tutti in fila, le due dell’Unione Europea sulla corruzione, le convenzioni ONU sulla corruzione e sulla criminalità economica, la convenzione fondamentale dell’OCSE del 1997 sulla lotta alla corruzione internazionale, vedete che ci sono ampi capitoli dedicati non allo specifico oggetto della convenzione, ma a questi quattro punti, perché il legislatore internazionale,adifferenzadellegislatoredomestico,ritienechesiafondamentale in un’economia di mercato caratterizzata dalla presenza di soggetti societari (la persona fisica non c’è più sui mercati internazionali) contrastare i fenomeni di criminalità organizzata ed economica puntando su questi fatti fondamentali che sono, appunto, la trasparenza contabile e la trasparenza dei flussi finanziari. Cosa significa trasparenza contabile? Prima di tutto adeguate normative di contabilizzazione delle operazioni, perché sapete meglio di me che i flussi finanziari clandestini, entrando ed uscendo dalle società di capitali, devono essere contabilizzati, ma queste operazioni di contabilizzazione devono necessariamente rappresentare dei movimenti fittizi. Se entra nella mia società un capitale di provenienza mafiosa, io devo dare atto dell’ingresso di questo capitale, perché altrimenti non potrei farlo circolare in questa società e nell’economia. Tra l’altro, tenete presente che i soldi hanno un senso se possono circolare. Se stanno in un cassetto, è come non averli, cioè può tranquillizzare la propria ansia di povertà e di ricchezza, ma non servono. E’ fondamentale da questo punto di vista che la rappresentazione contabile corrisponda ad un movimento reale. Se il movimento è clandestino, la rappresentazione è fittizia. Quindi norme adeguate sulla contabilizzazione e in particolare sul falso in bilancio. A Milano nel 2012 abbiamo avuto 26 iscrizioni per falso in bilancio e 684 notizie di reato per violazione degli articoli 2 e 3 della Legge 74 del 2000 sul Fisco, sui reati fiscali. Questo cosa significa? Significa sostanzialmente che il falso in bilancio è sparito e devo dire, francamente, in questo momento in cui si dice che il legislatore italiano è incapace di fare riforme, che la riforma del 2002 sul falso in bilancio è l’esempio di una riforma ben riuscita e cioè quella di avere - caso unico nei Paesi avanzati, e non solo - completamente eliminato questa
  • 23. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 21 figura, che in realtà, invece, è una figura fondamentale per la trasparenza delle transazioni commerciali. E’ la carta di identità delle società. Noi ce la prendiamo con i clandestini che non hanno, o falsificano la propria carta di identità e li mettiamo in carcere, ma consentiamo alle società di potere tranquillamente falsificare il bilancio. Tranquillamente non tanto, perché comunque bene o male si interviene. Ecco, questa è la situazione. Ci sarebbe anche la necessità, parlando di esperienza contabile, di rivedere un po’ le norme fiscali, ma penso che di questo ne parlerà Attilio Befera. Nella Commissione citata da Donadio, tuttavia, la vera grande novità che è stata introdotta, nata dalla discussione, è quella della necessità di introdurre nel nostro Ordinamento una norma di abuso fraudolento dei beni sociali. E mi spiego. Noi abbiamo una strana situazione in Italia favorita anche da una singolare giurisprudenza nata ai tempi del processo Cusani, che è quella che, sostanzialmente, i fondi neri delle società finché non vengono utilizzati entrano in una sorta di area grigia che, sì, determina la sussistenza del reato di falso in bilancio, ma abbiamo visto che il falso in bilancio non è più un reato credibile, è una contravvenzione. C’era la battuta a Milano che avremmo dovuto delegare non più la Guardia di Finanza ad indagare sul falso in bilancio, ma i Vigili Urbani, quando è stata introdotta questa contravvenzione. Va beh, lasciamo perdere, sono polemiche vecchie queste. L’idea è che tutto il denaro che gli amministratori sottraggono alla società e al controllo degli organi societari è necessario penalizzarlo seriamente. Oggi si applicano tendenzialmente le norme sulla truffa, o l’appropriazione indebita, procedibili anche queste a querela, salvo l’aggravante dell’abuso di relazioni sociali. Sono norme punite fino a tre anni. Tenete presente che le norme punite fino a tre anni sono norme che il Pubblico Ministero ormai non tiene più in considerazione, perché non permettono alcuna attività investigativa dinamica. Si prescrivono velocissimamente. Quando racconto agli stranieri che la nostra prescrizione decorre dal fatto e non dalla scoperta del fatto, tutti si fanno una grande risata e quando spiego che poi continua a decorrere dopo l’esercizio dell’azione penale rimangono tutti stupiti. Noi con i reati a tre anni di pena non ci facciamo assolutamente nulla. Io non ho mai pensato ad una norma in astratto, ma solamente nella concreta applicazione e nella concreta applicazione è fondamentale la potenzialità che il Codice di Procedura Penale attribuisce alla norma e alla sua pena edittale. Dico questo, perché una delle grandi occasioni che si è persa nell’elaborare
  • 24. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 22 la normativa anticorruzione è stata la timidezza con cui si sono affrontati i due temi: il traffico di influenza, ma soprattutto direi la corruzione privata. Ora, è esperienza degli investigatori italiani, e non solo, ma anche degli operatori, la stessa Confindustria ha lanciato degli allarmi, che uno dei grossi problemi che abbiamo in Italia è la corruzione privata. Non è tanto, badate bene, il problema del manager che ruba, o che si fa corrompere, perché questo, sì, c’è ed è molto esteso. Tenete presente che a Milano negli ultimi tre grandi processi nei confronti di Amministratori Delegati di banche abbiamo trovato che tutti e tre rubavano. Addirittura uno rubava direttamente dalla cassa, mandava il suo segretario e diceva “Vai a vedere in cassa nella banca se ci sono un po’ di soldi che mi servono”. Il problema è che nella moderna economia, se vogliamo parlare di corruzione privata, esistono delle ormai joint venture pubblico/privato sia come società di capitali nell’organizzazione sociale dei Paesi, e non è solo un problema italiano, sia a livello di grandi appalti internazionali, dove poi la qualificazione di Pubblico Ufficiale dell’amministratore di quelle società è difficilissima da fare. E’ per questo che molti di noi hanno chiesto di intervenire parificando sostanzialmente la corruzione pubblica alla corruzione privata. Non si ha il coraggio di farlo, nonostante che questo ci venga chiesto dall’Europa. Autoriciclaggio, trasparenza dei flussi finanziari. Ovviamente ne ha parlato molto bene Gianfranco, io volevo solamente puntualizzare due punti che secondo me sono importanti. Il primo punto è questo: negli anni ‘80 c’è stato un grande dibattito a livello internazionale sul riciclaggio. Ha portato alle convenzioni di fine anni ‘80 e gli Stati nei primi anni ‘90 si sono dotati di norme antiriciclaggio. Cosa si diceva negli anni ‘80? I capitali della mafia, se vengono reimmessi nell’economia legale, sono devastanti, creano problemi alla concorrenza e quindi devono essere efficacemente combattuti. Poiché è difficile, tuttavia, combatterli, gli americani soprattutto imposero - perché loro, peraltro, da questo punto di vista erano molto seri - l’idea che fossero gli stessi intermediari a denunciare operazioni di riciclaggio. Il famoso principio, tant’è che le polizze interne delle banche americane si chiamano proprio così: “Conosci il tuo cliente”. Tuttavia questa idea del riciclaggio degli anni ’80, e mi ricordo perché ho partecipato a tanti dibattiti dell’ONU e quant’altro, era già vecchia allora. Negli anni ‘90, negli anni 2000 qual è stato il riciclaggio che noi abbiamo
  • 25. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 23 avuto davanti? Questo dei capitali mafiosi un po’ ci è sfuggito di mano, non abbiamo avuto grandi processi di soldi del capo mafia, del capo mandamento dei messi. Sì, abbiamo avuto investimenti in immobili, in queste cose qui, però diciamo che rispetto ai grandi flussi finanziari sono cose ridicole. Forse non abbiamo ancora bene sviluppato una capacità di penetrazione di questi flussi finanziari, ma quello che sicuramente abbiamo avuto davanti è stato un enorme flusso finanziario che dalle società italiane è andato verso l’estero. Come ha detto Donadio, là è stata la trasformazione costante del denaro pulito in denaro sporco. Non a caso tutti gli Stati del mondo, o molti Stati del mondo, scusate, non tutti, hanno adottato politiche di scudo fiscale cercando di allettare questi evasori fiscali a fare rientrare i capitali, perché noi abbiamo consentito negli ultimi vent’anni il trasferimento di enormi risorse presso i paradisi fiscali e abbiamo favorito, in maniera direi anche quasi masochista, l’investimento in Edge Found di tutti questi soldi che poi hanno speculato su noi stessi. Cioè noi siamo di fronte ad una situazione di questo tipo: abbiamo bisogno di soldi e sappiamo che ci sono (secondo calcoli della Banca d’Italia 250 miliardi, secondo i miei calcoli personali un po’ di più) soldi in tanti paradisi fiscali, soldi di italiani. Avete visto che ultimamente un solo italiano ha scudato 1 miliardo 200 milioni. Come l’ha fatto questo miliardo e 200 milioni? Ce lo vogliamo chiedere? E va beh! Le norme approvate nella prima parte degli anni ‘90 sul riciclaggio, che sono quelle che noi abbiamo, il 648 bis e ter, avevano in mente questa idea del riciclaggio un po’ romantica direi, cioè il mafioso che si è fatto il patrimonio e che decide di reinvestirlo per creare il secondo e il terzo livello di investimento per i propri figli, cioè quelle cose che abbiamo visto nel film del Padrino. C’è stato anche questo e io questo devo dire che l’abbiamo visto in alcuni casi, come ad esempio forse nel settore degli investimenti dell’eolico, delle energie alternative, però nella sostanza questi soldi non li abbiamo visti; almeno io non li ho visti. Peraltro, io ammetto di non occuparmi di mafia. Non so se Gianfranco mi può smentire, ma qui non mi interessano i 5 milioni di euro, i 10 milioni di euro, ma mi interessano i miliardi di euro e sui miliardi di euro io so quanti sono i fondi neri di questo gruppo, di quest’altro gruppo, so quanti soldi stanno lì, ma non ho ancora trovato. Detto questo, quindi oggi è assolutamente necessario, direi non più rinviabile, la necessità di contrastare questo esodo biblico di capitali, anche
  • 26. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 24 perché con le incertezze politiche che ci sono in Italia e con le paure da Patrimoniale e quant’altro è ripreso secondo me il flusso verso l’estero. Nellostessotempoc’èancheun’esigenzafortedimoltiitalianidiregolarizzare la propria posizione. Ecco, io penso che bisogna intervenire su due livelli. Il primo livello è: contrastiamo i flussi clandestini, la clandestinizzazione di denaro pulito, perché sono soldi sottratti all’Erario e in alcuni casi anche ai soci di minoranza, perché sono i due grandi sport nazionali che hanno contraddistinto gli imprenditori italiani nel Nord, diciamo così. E lo dico a ragion veduta, perché tutte le volte che indaghiamo un fiduciario svizzero troviamo enormi liste. Oppure tutte le volte che un bancario svizzero sogna la Polinesia alle cinque del pomeriggio di un giorno tristissimo e piovoso a Coira, per dire, o in Liechtenstein, uno di questi meno amati, alle cinque del pomeriggio succhia il server della propria banca, fugge e lo vende ai tedeschi, perché questo è quello che è successo con la lista del Liechtenstein, è successo con la lista Falciani e cose di questo genere. Uno va a vedere queste liste e ci sono centinaia, se non migliaia di imprenditori e facoltosi professionisti italiani che hanno portato i soldi all’estero. Allora bisogna assolutamente fare in modo di contrastare questi flussi, perché, se io vado a vedere in quindici anni, in vent’anni quante notizie di reato mi sono arrivate su trasferimenti di denaro all’estero e vado a vedere tutte le volte che prendiamo una lista quanti sono gli italiani che hanno portato i soldi all’estero, c’è una differenza da uno a mille. Allora questo punto devo dire che le strutture dello Stato si devono mettere presenti, ma ci vogliono anche le norme, perché senza le norme non si va da nessuna parte. Tra l’altro, voglio dire, in un periodo in cui andiamo sempre a cercare soldi ai soliti noti, andare un attimo a convincere questi italiani che o riportano i soldi indietro, oppure saranno sottoposti ad una normativa anche penale un po’ più rigida, secondo me è una cosa positiva. Tra l’altro, e chiudo su questo punto, noi assistiamo ad uno strano fenomeno dovuto alle normative italiane e anche dalla nostra un po’ strana giurisprudenza, secondo me, cioè la crisi di identità del riciclatore svizzero. Perché questi qui sono iscritti all’albo dei riciclatori, a Lugano, cioè “al numero 1 sono io”, vengono in Italia incriminati come riciclatori e vengono poi condannati come concorrenti nel reato di appropriazione indebita. Allora dice “Ma io sono un riciclatore, non sono un concorrente”. Anzi, purtroppo, devo dire che tutti questi riciclatori fanno a gara per essere
  • 27. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 25 concorrenti dei nostri imprenditori. “Ma come? Io ho fatto la fattura falsa”, “Io ho messo il conto a Madeira, perché mi date del riciclatore?”. Ecco, c’è una situazione paradossale in Italia per cui il riciclaggio da anni, da quando è stata approvata la norma, cioè ’91-’92, si applica solamente ai rottamatori di auto degli hinterland delle grandi città. Se voi andate a prendere la giurisprudenza sul riciclaggio, è tutta là. E io non penso che il legislatore degli anni ‘80 avesse in mente il meccanico che cambia il numero di matricola, il motore, la targa, o il colore di un’auto, quando ha lanciato nel mondo il problema del riciclaggio di capitali. No? Sulla prescrizione non ho nulla da dire, che era il terzo punto. Come dire che tutte le legislazioni internazionali, che noi sottoscriviamo regolarmente, per la verità, impongono ai Paesi. Devo dire che abbiamo avuto un caso unico in Italia e cioè una legge sulla prescrizione il cui autore ha rifiutato di mantenere il suo nome sulle legge, tant’è che ci chiama Ex Cirielli. Questo per dare l’idea di cosa abbiamo davanti. Sanno tutti come la penso e che cos’è poi realmente. Mentre invece mi voglio un attimo soffermare velocissimamente, non so se ho ancora cinque minuti, Dottore… Prima di parlare di enforcement, direi anche un’altra cosa. Tutte queste convenzioni - mi ero dimenticato - hanno un altro principio fondamentale, introducono un altro principio fondamentale che è la responsabilità delle persone giuridiche. Devo dire che, come anche per le organizzazioni delle Procure e quello che succede, noi abbiamo in Italia una situazione piuttosto frastagliata, a macchia di leopardo, per cui c’è in alcuni uffici che certe norme vengono applicate e in altri che vengono completamente dimenticate. A Milano nei primi dieci anni di applicazione della norma abbiamo avuto più di 440 iscrizioni di società. In altri posti siamo vicino allo zero. Personalmente ritengo che l’iscrizione della società sia un atto dovuto ed obbligatorio quando si indaga su un reato presupposto previsto dalla legge. Altre Procure non lo ritengono invece e, del resto, anche la nostra Procura in alcuni casi non ha iscritto, per un anno e mezzo non abbiamo iscritto le società dove si erano realizzati gli infortuni sul lavoro, perché qualcuno riteneva che la norma non fosse adeguata. Questa situazione deve finire, deve finire in tutta Italia. La responsabilità degli Enti è un nuovo Diritto Penale e una nuova procedura penale che si affianca alla procedura penale e al Diritto Penale per la persona fisica. E’ fondamentale, è una norma moderna e devo dire che i risultati che si ottengono sono notevoli, ma direi che sono soprattutto
  • 28. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 26 importanti i risultati preventivi. Noi attraverso questa norma abbiamo costretto il sistema delle imprese a modernizzarsi, ad accettare standard di organizzazione, di corporate e di quant’altro tipici dei grandi Paesi avanzati. Noi venivamo, veniamo e siamo tuttora in un’economia familiare di relazioni e così via. Le norme sulla 231 hanno costretto quanto meno i gruppi grandi e i gruppi medi a modernizzarsi e quindi a diventare anche più contendibili, perché è da tempo che gli stranieri quando vengono in Italia, fra le cose che chiedono, è anche se la società ha adottato i modelli organizzativi della 231. Enforcement. Con i numeri che abbiamo e con le risorse che hanno le Procure della Repubblica non si può contrastare la criminalità economica, per cui bisogna organizzarsi, perché altrimenti non riusciamo a realizzare un intervento efficace. Milano, ad esempio, ha un sotto organico di amministrativi del 40% e un sotto organico di Magistrati di oltre il 10%. Questo è un problema serio. Vi do dei dati per farvi capire quello che sto dicendo. Parlo solo di reati fiscali. Nel 2011 abbiamo avuto 3279 sopravvenienze di reati fiscali, nel 2012, 2735, cioè in un anno sono aumentate di 500 fascicoli. I Magistrati sono sempre gli stessi, il personale amministrativo è sempre di meno e, tuttavia, siamo riusciti a definire più processi di quelli che sono arrivati. Infatti ne abbiamo definiti, a fronte di 2735, ben 2786; fiscali sto parlando. Io considero questo un risultato fondamentale, ma anche che dovrebbe essere normale nel nei nostri uffici. Purtroppo ho fatto un giro di diverse Procure e ho visto che anche qui come per la 231 la situazione è un po’ variabile. E devo dire anche che è vero che ci sono dei problemi seri. Con Befera ne abbiamo discusso tante volte e la loro organizzazione a volte incompatibile con l’organizzazione della Procura, ma soprattutto con la Ex Cirielli. Quindi questo crea dei grossissimi problemi perché, se l’Agenzia delle Entrate oggi elabora il 2008, se non sbaglio, e mi manda il 2008, mi manda una cosa in cui già cinque anni sui sette e mezzo me li sono giocati. Che senso ha fare le indagini, che a volte ci vogliono, quanto meno per capire il dolo, se quel processo è destinato a morire? Tant’è che nel nostro mondo c’è il problema del cerino. A chi lascio il cerino della prescrizione dei reati fiscali? Ecco, questo è un problema serio che pregiudica per certi versi un’attività di contrasto alla criminalità economica. Tenete presente che, per quanto mi riguarda, la criminalità economica gira attorno all’evasione fiscale e tutto il resto sono corollari, sia il riciclaggio, che la corruzione. Io penso che la madre della criminalità economica sia l’evasione fiscale. Mi
  • 29. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 27 sbaglierò, però non credo di andare lontano dal vero. Ora, noi ci siamo dati un’organizzazione multidisciplinare, nel senso che per contrastare fenomeni di criminalità organizzata sempre complessi abbiamo realizzato un intervento integrato al quale partecipano Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate, che hanno dedicato uomini, un po’ di persone - sempre poche - ad aiutarci. Anche la Banca d’Italia ha istituito un gruppo di consulenti che lavora alla Procura di Milano e questo perché finalmente si è incominciato a capire che l’intervento di contrasto alla criminalità economica deve essere un intervento globale e multidisciplinare. L’OCSE già nel 2009 ha mandato ai verificatori fiscali dei manuali per la lotta al riciclaggio e alla corruzione. Cosa significa questo? Perché l’OCSE si rivolge ai verificatori fiscali e dice “Guardate, quando andate in verifica date un’occhiata anche alle provviste per la corruzione o ai flussi di riciclaggio”? Perché, in realtà, i verificatori fiscali della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate sono le sonde che entrano nelle società di capitali e possono in un certo senso verificare la sussistenza di fatti di corruzione o di riciclaggio. Ebbene, questo significa avere una cultura multidisciplinare, dove si coniugano diversi saperi e diverse conoscenze. Quindi da un lato organizzare e cercare di smaltire tutti questi numeri in maniera rapida. Ad esempio, nei primi sei mesi di quest’anno il mio ufficio ha mandato 1600 Decreti Penali di articoli 10 e spero che questo sforzo su una norma che andrebbe modificata, perché la soglia di 50.000 euro è troppo bassa, o forse addirittura anche la previsione penale si può discutere, tuttavia ha prodotto un risultato consistente perché, nel momento in cui si muovono i Decreti Penali, c’è un oggettivo ingresso di denaro all’Agenzia delle Entrate che è stato verificato. Nello stesso tempo, però, questa possibilità di vedere tutto e discutere con saperi e professionalità diverse, cioè i Magistrati, uomini della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate e della Banca d’Italia, permette anche degli approcci innovativi. Per esempio, io sono un societarista come formazione e non avevo mai amato tanto il fiscale. Adesso sta diventando una passione senile, ma lasciamo perdere. Però con la mia ottica certe cose che mi sono state rappresentate le ho trovate un po’ singolari. Ad esempio, tutto questo dibattito, dicevo prima al Dottor Befera, sull’abuso del diritto, io non ho mai visto diritti abusati nelle operazioni che abbiamo avuto davanti, ho visto diritti violati. Io in ufficio sono arrivato un giorno e ho detto “Ragazzi, non voglio più sentire parlare di abuso del diritto, ma solo di violazione del diritto”. Vi faccio un esempio molto banale. Tutti sanno cos’è una fattura falsa. Se
  • 30. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 28 io annoto una fattura falsa, commetto l’articolo 2 e forse anche un falso in bilancio. Nessun dubbio che quella è una fattura falsa e che quindi è una cosa deprecabile, non è un abuso del Diritto, è una violazione del Diritto la fattura falsa. Siamo d’accordo, no? Se io vado in Banca e dico “Ho bisogno di un contratto derivato, però non vero, un contratto derivato che mi permette una perdita di 100 milioni. Me lo costruite?”, dice “Non c’è problema”. “Questi soldi poi me li ribaltate a Madeira?”, “Non c’è problema”. “Ma poi questi soldi posso farli rientrare?”, “Dottore, che problema c’è? Costituiamo una società in Germania, la ricapitalizziamo con quei soldi e quei soldi possono rientrare a costi fiscali bassissimi”. In questo modo cosa ottengo? Un costo di 100 milioni di euro che mi abbatte gli utili. I soldi mi rientrano sotto altra forma, non ci pago le tasse, ho fatto una bella operazione in un minuto di soldi che hanno fatto apparentemente il giro del mondo. Ma quella che cos’è, scusate, diciamocelo francamente, se non una fattura falsa? Se io mi metto d’accordo per annotare un derivato, ma sto abusando del Diritto perché il derivato c’è, o non c’è? Ma quello è stato costruito a tavolino, ma non è un derivato vero, perché un derivato vero ha un’alea, ha un rischio. Se non c’è alea, se non c’è rischio, se so che perdo 100 milioni... Tra l’altro, badate bene, la cosa fantastica di queste operazioni (ho viste decine anche di stock lending, ci riempiamo di nomi) è che si va proprio all’euro, o al centesimo. Cioè 107 milioni virgola 32 centesimi, perché quella è la somma che mi serve. Allora io capisco l’esigenza dell’Agenzia delle Entrate che con il 37 bis devono dichiarare inopponibili a loro e ben venga l’inopponibilità e poi, se deve essere cambiata perché lo chiede Confindustria, cambiatela, non mi interessa, ma dal mio punto di vista io non ho nel Diritto Penale la categoria della inopponibilità. Io ho la categoria del falso e del vero, che è una cosa diversa. Se è falsa una cosa, allora rientra nell’articolo 2, nell’articolo 3, o nel 2621 e 2622? E non è un abuso, è una violazione di Diritto, che è una cosa ben diversa. Ecco, queste sono le cose in cui ci dilettiamo ogni tanto nel mio ufficio. Adesso stiamo parlando anche di altre cose, tipo questa cosa un po’ strana delle black list, dove sostanzialmente l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza entra, vede le operazioni con le black list e dice “Perché le hai fatte?”, la parte non sa come giustificarle e le riprende la tassazione. Quella è una sorta di amnistia dei fondi neri, perché, se io ho portato i soldi
  • 31. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 29 in Liechtenstein con un’operazione di black list, non do una giustificazione, mi precipito a pagare la sanzione e nessuno più indaga, perché poi non c’è più tempo né per noi, né per la Guardia di Finanza. Io ho preteso due anni fa, tre anni fa, di avere l’elenco di tutte le riprese black list, perché mi arrivano, come dire, “Vi portiamo a conoscenza”. Avevo l’ambizione quanto meno di indagare su queste fatture annotate che in molti casi potrebbero essere anche false, ma chi ha il tempo di farlo? Perché lì poi bisogna entrare in una logica di rogatorie, di tempi biblici e così via. Ecco, questa è un po’ la storia e, tuttavia, l’invito è che questi processi devono essere fatti. Devono essere fatti perché è importante fare capire che l’evasione fiscale deve essere adeguatamente contrastata, nei fatti più seri ovviamente, perché per la verità l’Agenzia delle Entrate ci riempie di una massa di carte per allungare i loro termini di prescrizione. Diciamocelo francamente. Basterebbe fare una norma in cui la prescrizione all’Agenzia delle Entrate è tucur più lunga e probabilmente ne beneficeremmo anche noi di qualcosa. Questo è un po’ lo stato, ma tuttavia penso questo, e concludo: in attesa delle norme, che non arriveranno mai, l’unica risposta efficace che si può dare è rimboccarsi le maniche ed organizzarsi insomma. Grazie.
  • 32. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 3030 Le novità dell’Archivio dei rapporti finanziari e la tutela della privacy. di Attilio Befera Direttore Agenzia delle Entrate * * * L’Amministrazione finanziaria è chiamata a gestire il delicato rapporto fra le esigenze di tutela della privacy dei cittadini e quelle connaturate all’applicazione delle misure di assistenza al contribuente e di contrasto all’evasione fiscale, che rientrano nei propri compiti istituzionali. In particolare, l’Agenzia esplica questi suoi compiti attraverso l’acquisizione, l’organizzazione e la gestione di un rilevante patrimonio informativo che costituisce l’Anagrafe Tributaria. Secondo alcuni giornali basterebbe spingere un bottone e tutti gli evasori verrebbero scoperti attraverso l’incrocio di queste banche dati. Secondo altri questo incrocio non sarebbe possibile, perché le nostre banche dati sono fasulle, sono disorganizzate e non funzionano bene. La verità sta nel mezzo. L’incrocio delle banche dati è essenziale per contrastare l’evasione, ma questo non significa che sia possibile ottenere tout court l’elenco di coloro che hanno evaso in modo inopponibile. L’incrocio delle banche dati serve, invece, per effettuare un’efficace selezione dei soggetti a rischio di evasione. Ricopre, inoltre, un ruolo importante anche - e su questo ci muoveremo nei prossimi tempi e speriamo che nella legge delega ci sia anche lo spazio per questo - in termini di assistenza ai contribuenti, per esercitare quell’azione preventiva che è sempre più importante ai fini della corretta esecuzione dell’obbligo impositivo. L’accento sulla rilevanza strategica delle informazioni a disposizione delle Amministrazioni finanziarie è stato posto proprio in questi giorni dal G8. Il piano di azione internazionale, basato sulle tre T - Tax, Trade e Transparency - riconosce, nello scambio automatico di informazioni fiscali, finalizzato al contrasto dell’evasione internazionale, una delle leve fondamentali per “dare linfa” all’economia, alla crescita e al lavoro.
  • 33. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 31 Specifiche disposizioni normative e conseguenti provvedimenti attuativi dell’Agenzia hanno nel tempo definito un intenso flusso di informazioni governato esclusivamente in via telematica, garantendo i più alti livelli di sicurezza e automatismo nell’osservanza dei principi della privacy. I risultati ottenuti dall’Agenzia delle Entrate negli ultimi anni dimostrano che queste informazioni sono state utilizzate con profitto. Devo dire che fino a qualche anno fa si faceva collezionismo di informazioni, cioè si richiedevano sempre più dati ai contribuenti, con la convinzione che ciò fosse un deterrente all’evasione. Ma non c’era un utilizzo reale delle informazioni raccolte. Da qualche anno, invece, l’incrocio avviene in modo molto più serrato. Pensiamo, per esempio, all’avvento della fatturazione elettronica, che a oggi è obbligatoria nei confronti della Pubblica amministrazione e che mi auguro prima o poi diventi obbligatoria anche nel rapporto fra privati. In merito, invece, ai nuovi strumenti di pagamento sostitutivi del contante, come riportato in una elaborazione del 2011 dell’ABI, effettuata su dati della Banca d’Italia, nel nostro Paese, le operazioni pro-capite effettuate con strumenti diversi dal contante sono 66, contro una media europea di 176. In Spagna sono 121, in Portogallo 152, in Francia 255. Quindi in Italia, nonostante tutte le norme introdotte per contrastare l’uso del contante, si continuano a usare le carte per lo più per prelevare contanti presso i bancomat. Anche nel solco tracciato di recente dall’Ocse, l’incremento dell’acquisizione dei dati di fonte terza e una maggiore tracciabilità dei pagamenti possono consentire all’Amministrazione finanziaria di sfruttare maggiormente la leva della deterrenza accanto a quella della repressione dei fenomeni evasivi. A noi interessa molto di più quella della deterrenza. Uno degli strumenti più forti che sono stati messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate da parte del Legislatore è l’Archivio dei rapporti finanziari, su cui si è recentemente concentrato anche il dibattito pubblico. L’Archivio dei rapporti finanziari completa le previsioni della Finanziaria del 2005 che consentiva di effettuare le indagini finanziarie in modalità telematica. A partire dal 2007 - ci sono voluti due anni - le banche e gli altri intermediari finanziari sono tenuti a comunicare i dati identificativi dei propri clienti, specificando il numero e la tipologia dei rapporti. In questo modo l’Amministrazione conosce preventivamente con quali
  • 34. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 32 operatori finanziari il contribuente sottoposto a controllo intrattiene rapporti e, quindi, può inviare richieste mirate in via telematica. Ciò ha consentito di ridurre sia i costi a carico dell’Amministrazione, sia quelli del sistema bancario, oltre che di operare molto più velocemente. L’accesso alle indagini finanziarie prevede una procedura interna di autorizzazione molto rigida. Inoltre, la privacy dei contribuenti viene tutelata al meglio, poiché vengono coinvolti soltanto gli intermediari con i quali il soggetto ha già dei rapporti. Questo Archivio è stato poi ampliato nel corso degli anni e oggi include anche le operazioni extraconto. Pur essendo una banca dati di origine fiscale, il Legislatore ne ha previsto l’utilizzo anche per finalità differenti da quelle di controllo fiscale e, quindi, le informazioni contenute nell’Archivio sono a disposizione anche dell’Autorità Giudiziaria, delle Questure, della Direzione Investigativa Antimafia, sulla base di Convenzioni che vengono stipulate con l’Agenzia. Da ultimo, nel 2011 entrano a far parte dell’Archivio anche le informazioni riguardanti il codice identificativo unico del rapporto, il saldo a inizio e fine anno, l’importo totale dei movimenti attivi e passivi dell’anno di riferimento. Per espressa previsione di legge, questi dati vengono utilizzati soltanto per effettuare la selezione dei contribuenti a maggior rischio di evasione e per constatare la veridicità dei dati indicati dai cittadini nella dichiarazione Isee. L’Agenzia ha definito le modalità e i termini di comunicazione dei nuovi dati sulla base delle osservazioni formulate dal Garante per la protezione dei dati personali e dopo aver consultato le Associazioni di categoria degli operatori finanziari. In linea con le indicazioni del Garante, abbiamo realizzato una nuova infrastruttura denominata “Sid” - Sistema di interscambio dati - volta a favorire lo scambio completamente automatizzato dei flussi di dati fra sistemi. Il sistema di interscambio dati, operativo dal 24 giugno, assicura un elevato livello di sicurezza, tale da garantire la verifica sull’identità degli invianti, l’immodificabilità e illeggibilità dei dati in fase di trasmissione, l’accesso ai contenuti dell’invio al solo destinatario. È un’infrastruttura che applica il concetto di “application to application”, che prevede un colloquio fra sistemi senza interventi umani. Vengono così ridotti i passaggi manuali e, quindi, ridotte, se non eliminate, le possibilità di accessi non autorizzati. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che, se da un lato è imprescindibile il corretto trattamento dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate, è altrettanto fondamentale, per tutelare al meglio la privacy dei contribuenti, che tutti i
  • 35. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 33 soggetti coinvolti adottino elevati standard di sicurezza. Sempre nel rispetto delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali, l’Agenzia ha fornito agli operatori finanziari delle raccomandazioni al fine di minimizzare i rischi di accessi abusivi e trattamenti non consentiti. In particolare, i dati da trasmettere devono essere crittografati dagli operatori in maniera automatica al momento della loro estrazione e, nel caso in cui decidano di affidare la comunicazione a soggetti esterni, designati responsabili o incaricati del trattamento, il file da inviare deve essere fornito già cifrato. Inoltre, le informazioni che arriveranno all’Agenzia saranno custodite in una specifica sezione isolata dell’Anagrafe tributaria e potranno essere esclusivamente utilizzate a livello centrale per la sola formazione delle liste selettive di contribuenti a più alto rischio di evasione. Mi preme sottolineare che ai funzionari addetti ai controlli forniremo soltanto una lista di contribuenti a più elevato rischio di evasione, che riporterà esclusivamente il punteggio di rischio di evasione e sarà ordinata in sua funzione. In questo modo i funzionari non vedranno mai l’elaborazione che c’è a monte. Noi, quindi, continuiamo a operare cercando di garantire un equilibrio tra trasparenza dell’azione amministrativa e privacy dei contribuenti. Ma, nel rispetto di questi principi, è sempre più intenso lo sforzo dell’Agenzia di utilizzare questo enorme patrimonio informativo. A questo punto, consentitemi, però, di fare alcune riflessioni, cui tengo molto: sull’evasione da un lato e sul contesto sociologico-tributario dall’altro. Noi possiamo parlare di banche dati, di utilizzo sempre più raffinato di questi strumenti, ma a monte c’è un problema di complessità normativa che è particolarmente rilevante per la parte fiscale. In una congiuntura economica così difficile, contrastare l’evasione significa anche tutelare la competitività delle imprese sane che, pur strette dalle difficoltà della crisi, adempiono invece regolarmente ai propri obblighi impositivi. Senza la tutela di queste imprese, sarà ancora più difficile risalire la china che ci ha condotto alla recessione. In quest’azione di tutela, l’Agenzia è sempre più impegnata ed è un’azione a tutela di tutti quelli, e sono la maggioranza degli italiani, che pagano le imposte anche per coloro che non le pagano, pur continuando questi ultimi a beneficiare ugualmente dei servizi finanziati dalla raccolta fiscale. Il cammino nel quale siamo impegnati - e questo lo ripeto da anni, ormai - è un cammino lungo, perché richiede un profondo cambiamento culturale. A questo proposito mi è capitato più volte di dire che l’evasione fiscale è
  • 36. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 34 un problema complesso e, come ogni problema complesso, ha certamente una soluzione semplice, che sfortunatamente, però, è sempre sbagliata. Questo significa che è del tutto illusorio inseguire una ricetta unica e risolutiva, come se esistesse l’arma finale per sconfiggere l’evasione. Essendo un problema multidimensionale, occorre un insieme di iniziative diverse e ben coordinate fra loro ed è necessario il concorso di tutti gli attori interessati. È necessario, soprattutto, l’apporto delle Istituzioni nel problema chiave della normativa tributaria, che è estremamente complicata, piena di incoerenze, creando ai contribuenti e agli operatori difficoltà enormi di interpretazione e di applicazione. Quando parlo di operatori, mi riferisco anche ai nostri funzionari. L’incertezza che ne deriva contribuisce molto a frustrare il nostro impegno a costruire un clima di fiducia fra Fisco e contribuenti. È indubbio che molti di loro, senza avere la deliberata intenzione di evadere le imposte, incorrono spesso in errori, o in omissioni, proprio perché trovano molto difficile assolvere correttamente ai propri obblighi fiscali. Non è certo un problema di oggi, né di ieri, né dell’altro ieri. Vorrei citare un intervento del Professor Uckmar a un convegno del Cnel del 1992, nel quale diceva che dal giugno del 1984 al dicembre del 1991 si erano avuti in materia tributaria 81 Decreti del Presidente della Repubblica (stiamo parlando di trent’anni fa), 185 Leggi ordinarie, 32 Decreti legislativi, 228 Decreti legge. Di questi, 80 erano stati convertiti con modifiche, 14 senza modifiche e 134 non convertiti; ma dei Decreti non convertiti, 109 erano stati poi ripresentati e approvati, mentre 23 Decreti legge erano stati respinti definitivamente. Per fare un raffronto, il Professor Uckmar ricordava che negli Stati Uniti, nel periodo 1948-1986, ben più ampio di quello che lui aveva preso in considerazione, erano state emanate in tutto e per tutto 24 leggi fiscali, compresa quelle per attuare la riforma tributaria di enorme portata, comunque la si giudichi, del Presidente Ronald Reagan. Questo eccesso di produzione di norme tributarie venne definito allora da alcuni “nevrosi”, da altri e Uckmar in particolare “alluvione legislativa”. C’è chi sostenne, autorevolmente, che non solo i contribuenti, ma neppure la stessa Amministrazione finanziaria avrebbero potuto resistere a una pressione legislativa così profonda, così estesa e così prolungata nel tempo. Poiché poi si insisteva, come oggi, di continuo, sull’utilità chiarificatrice che poteva avere a riguardo l’approntamento dei Testi unici, ricordo che nel 1987 - anno di vacatio fra la sua approvazione e l’entrata in vigore - il Testo
  • 37. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 35 unico delle imposte sui redditi era stato già più volte ritoccato e a pochi anni di distanza era irriconoscibile rispetto al testo originario. Non credo che le cose siano migliorate. Ma perché sembra essere così difficile conseguire in questo ambito cruciale autentici miglioramenti? Sarebbe velleitario da parte mia tentare un’analisi di questo complicato fenomeno che ha verosimilmente cause diverse e di diversa natura. Tuttavia, affinché la prudenza e la cautela non vengano scambiate per reticenza, azzardo almeno una congettura che, naturalmente, non ha alcuna pretesa di spiegare il tutto. La congettura è che questa ipertrofia normativa possa essere almeno in parte spiegata dalla combinazione, si direbbe dal “combinato disposto”, di due fattori. Da un lato, è ipotizzabile che vi sia in Italia, rispetto agli altri Paesi avanzati con cui noi ci confrontiamo, un forte surplus di domanda di equità verticale, per usare una nozione tipica degli economisti. In estrema sintesi, il principio di equità orizzontale è quello che obbliga a trattare fiscalmente situazioni uguali in modo uguale, mentre il principio di equità verticale è, viceversa, quello che obbliga a trattare fiscalmente situazioni diverse in modo diverso. Se la distinzione concettuale è semplice, un po’ meno semplice e chiaro è stabilire quando, e con quali criteri, due o più situazioni debbano definirsi uguali, o diverse fra loro. È evidente che qui non ci sono algoritmi che possono fornire la risposta desiderata. La risposta è invece fortemente influenzata, oltre che da variabili economiche, da dinamiche socioculturali, ove non è escluso possa avere ampio gioco qualche peculiare “carattere nazionale”. L’ipotesi che andrebbe perciò vagliata è se da noi la tendenza dominante non sia quella di andare a cercare - nelle situazioni da disciplinare - le differenze piuttosto che le somiglianze, le diversità piuttosto che le affinità, o le analogie. Ed è proprio l’individuazione di differenze che vale a giustificare diversità di trattamento, sotto forma, per esempio, di regimi speciali, di deroghe, di agevolazioni e quant’altro la sensibilità, appunto, al “particulare”, come la definiva il Guicciardini, possa suggerire. Questa accentuata sensibilità, in un ordinamento in cui giustamente vige il principio della riserva di Legge in materia tributaria, determina un surplus di produzione di norme fiscali che poi richiede di riflesso sempre nuovi interventi, che non possono che essere normativi. Com’è ovvio, per il ruolo esclusivamente tecnico che rivesto, non sta a me indicare fino a dove possa spingersi il principio di equità verticale della disciplina
  • 38. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 36 delle fattispecie fiscali. Si può anche considerare altamente desiderabile un’applicazione, la più estesa possibile, del principio appena menzionato, ma occorre essere consapevoli che una siffatta applicazione ha un’esternalità negativa e tale esternalità è il costo che si paga in termini di semplicità del sistema tributario. Semplicità che, per altro verso, tutti dichiarano di porre come ideale della normativa fiscale. Il primo fattore che ho appena prospettato - cioè un elevato surplus di domanda di equità verticale, cui punta a dare risposta una sovrapproduzione di norme fiscali - si combina con un secondo fattore che scatta di rimbalzo al primo. Questo secondo fattore è, per così dire, la sindrome di tipo burocratico che, vedendo ovunque, in un tessuto normativo fortemente sfilacciato, possibili scappatoie, aspirerebbe a chiuderle tutte. Ma anche qui, necessariamente, sempre tramite nuove norme, nell’assunto più o meno consapevole che, in un Paese dominato dalla cultura del “particulare”, tutti siano, chi più, chi meno, evasori. Chi rifletta sul complicato ordito del nostro sistema tributario, potrebbe forse trarne a volte l’impressione che uno dei più grandi studiosi di politiche pubbliche, Aaron Wildavsky, ricavava dall’esame dei sistemi di contabilità pubblica. L’impressione era quella di reti a maglie fittissime, ma con una singolare proprietà magica: quella di filtrare i moscerini e lasciar passare gli elefanti. Se la logica dell’intricatissima matassa in cui siamo impigliati ha qualcosa a che fare con le dinamiche a cui ho appena accennato, è abbastanza evidente che non sono solo semplici soluzioni tecniche che possano realmente sbrogliarla. Occorrono scelte di livello istituzionale assai più alto, anche se la strada delle semplificazioni degli adempimenti procedurali che stiamo attuando non può che apportare indubbi benefici. Ognuno deve fare la sua parte, come certamente deve farla l’Agenzia. L’azione di deterrenza è irrinunciabile per qualsiasi Amministrazione fiscale che voglia fare seriamente il proprio lavoro. Questa azione rischia, però, di essere deformata da un grave errore di prospettiva se, più o meno inconsapevolmente, muovesse dall’assunto, cui prima ho accennato, che nella loro generalità i contribuenti sarebbero, in quanto tali, “evasori incalliti”, persone, insomma, che - laddove ne abbiano la minima possibilità - non hanno alcun ritegno a violare le norme fiscali. Nei casi poi in cui va data loro ragione, avrebbero comunque poco da osservare, perché chissà quante infrazioni hanno commesso senza mai essere scoperti.
  • 39. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 37 Atteggiamenti del genere rischiano di alimentare un clima di acredine e di sfiducia nei nostri confronti, che è esattamente il clima nel quale possono prosperare poi i veri “evasori incalliti”. Confortato da evidenze del senso comune e da importanti studi e ricerche, vado perciò insistendo da tempo, all’interno dell’Agenzia, sulla necessità di portare avanti l’attività di dissuasione con comportamenti ispirati a equilibrio, misura e ragionevolezza. Comportamenti di questo tipo accrescono la fiducia nella correttezza dell’operato dell’Agenzia e favoriscono l’adempimento spontaneo sul quale è basato il nostro sistema fiscale. In conclusione, se l’obiettivo di contrasto all’evasione è prendere i “cattivi” e salvaguardare i “buoni”, è fondamentale che la selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo avvenga con strumenti informatici, quali l’Anagrafe tributaria, che, nel rispetto della privacy, consentono operazioni mirate e sempre più efficaci. Ma se non risolveremo a monte il problema delle norme tributarie non andremo comunque da nessuna parte.
  • 40. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 3838 La scomparsa dei paradisi fiscali ed altre favole belle. Le responsabilità non separate, contro le comode pretese di neutralità, indipendenza e semplificazione, per l’efficiente contrasto del crimine economico. di Fabio Di Vizio S. Procuratore della Repubblica di Pistoia * * * § 1. Chi avesse scorso, alla data del 3 aprile 2009, la lista dei paesi non collaborativi nella lotta all’evasione fiscale internazionale, quella redatta dall’OCSE solo il giorno prima, avrebbe tratto un’impressione fallace. Avrebbe pensato, ingenuamente, che, dopo la riunione del G20 di Londra, in terra, oramai, di paradisi fiscali non ce ne erano. E, forse, anche che non se ne volevano davvero più. Luoghi di beata irresponsabilità fiscale, spazi dimenticati di anarchica autonomia finanziaria, per lungo tempo inspiegabilmente tollerati (e forse qualcosa di più…) dai vicini per la benevola accoglienza offerta ad evasori di ogni risma, ove era stato deciso, per stretto calcolo di convenienza e di attrattiva “differenziale”, che l’illecito tributario non esisteva, se commesso in danno degli altri Stati. Territori dalla moralità rovesciata, dove chiudere gli occhi davanti al crimine economico ed alla corruzione era considerata un’ottima prassi degli affari, mentre denunciare e rivelare tali misfatti alle forze dell’ordine diventava un reato. Un individualismo senza freni, un’esaltazione di ogni forma di elusione fiscale, la trasformazione della segretezza in bene da vendere, al pari di una merce. Pratica realizzata con il più completo disinteresse, se non disprezzo, per la tassazione, per la progressività della stessa rispetto alla reale capacità contributiva, per la democrazia e per le esigenze delle altre società. L’immagine tipica di questi paesi è sempre stata pittoresca, quasi esotica. Le isole dei tesori. Da sempre protette dal complice silenzio di coloro che possiedono la mappa per giungere sulle loro spiagge ma anche dagli altri che
  • 41. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 39 aspirano ad impossessarsene. Nazioni che si vuol considerare lontane e diverse, anche quando distano solo qualche chilometro. Sulla diversità, poi, si dirà. Che molti, silenziosamente, accreditano come pronte a difendere i diritti inviolabili di libertà e proprietà, quali esempi di efficienza dei mercati finanziari, contro il male ed i vincoli innaturali della tassazione, spazi immuni dalle pretese fagocitanti dei disastrosi amministratori degli Stati assistenziali. E poi, d’improvviso, tutto finito, ricomposto. I paradisi …..perduti. In quel mese di aprile 2009, nel quale i governi delle maggiori democrazie occidentali preparavano drastiche manovre di finanza pubblica, la lotta agli odiosi misfatti che impoverivano le stremate casse pubbliche s’era fatta senza fatica. Una battaglia a tavolino, combattuta senza sudore e senza sporcarsi, anche con qualche proclama in diretta televisiva da parte dei governanti dell’epoca, ricorrendo alla “temibile” (si sa quanto…) arma convenzionale della classificazione. Si erano individuati pochi e, alla prova dei fatti, del tutto inutili parametri espressivi di collaborazione e si era chiesto ad alcuni Stati, che sulla neghittosità a offrire informazioni avevano fatto la loro fortuna, di promettersi lo scambio dei dati di rilievo fiscale, previe intese, a richiesta. Dunque, pure su base non automatica. Lo scambio di informazioni in materia fiscale, infatti, trovava all’epoca principale regolamentazione internazionale nell’articolo 26 del Modello di Convenzionedell’OCSE(ModelloOCSE).Inbaseadesso,inaugefinoaqualche mese fa nella prassi della collaborazione, il sistema ordinario è rappresentato da intese bilaterali attraverso le quali lo scambio avviene su richiesta dettagliata e circostanziata, per casi e contribuenti determinati. Ma prima di avanzare la richiesta, occorre che lo Stato interessato a ricevere la collaborazione abbia fatto ricorso pieno alle normali fonti interne di informazione disponibili, secondo la rispettiva procedura fiscale. In altre parole, occorre che prima se la veda con i suoi evasori da solo e con i suoi mezzi. A quattr’occhi. Non è escluso, poi, che lo Stato richiesto decida di non dar corso allo scambio in presenza di segreti commerciali (fatti e circostanze di considerevole importanza economica, sfruttabili nella pratica ed il cui utilizzo non autorizzato potrebbe condurre a gravi danni per l’ente giuridico che svolge attività di impresa) o professionali. In base al paragrafo 5 dell’articolo 26 uno Stato contraente, dopo l’intesa, non potrebbe rifiutare lo scambio dell’informazione sol perché custodita da una banca o da un intermediario finanziario o da soggetti che agiscono quali
  • 42. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 40 agenti o fiduciari, ovvero perché relativa alla titolarità di diritti proprietari. Nondimeno, è certo che la collaborazione a richiesta è la forma che più di ogni altra garantisce la persistenza del segreto bancario nell’ordinamento degli Stati contraenti. Ed in ogni caso, esiste una regola fondamentale, che vale anche per lo scambio automatico, ossia sistematico, di informazioni relative ad una o più categorie di redditi originati nel territorio di uno degli Stati contraenti e percepiti in quello di un altro Stato. E’ il principio della prevedibile rilevanza (standard di “foreseeable relevance”). In base ad esso, le autorità competenti degli Stati contraenti devono scambiare solo le informazioni prevedibilmente rilevanti per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni convenzionali ovvero delle legislazioni interne degli Stati contraenti in materia di imposte. E qui, la diversa sensibilità selettiva degli Stati può tornare decisiva nel vanificare, o meno, aspettative di ricerca e di contrasto di vasti fenomeni di criminalità fiscale. In sostanza, gli Stati contraenti non sono liberi di intraprendere nello sterminato mare dell’evasione vaste spedizioni di pesca (fishing expedition). Alla luce dei criteri dell’OCSE, non possono inoltrare, cioè, richieste di informazioni, specie bancarie, generiche e non circostanziate; esse possono essere avanzate solo in relazione alla posizione di un singolo contribuente o di interi gruppi o categorie di contribuenti nei confronti dei quali vi siano già fondati sospetti. In una espressione, si deve già sapere il contenuto e la rilevanza dei dati richiesti. Battute di pesca, dunque, con prede solo selezionate, nei confronti delle quali già si dispone di consistenti elementi per ipotizzarne l’infedeltà fiscale. Senza porre a rischio di estinzione la specie…. Sennonché, in tal modo, non si può dimostrare che sia stato commesso un illecito (e tantomeno un crimine) finché non si ottengono le informazioni e non si possono ottenere le informazioni, finché non si dimostra che è stato commesso un illecito. Scambi automatici, si, ma a certe condizioni ed entro dati limiti. Circostanza che riduce, e non poco, l’efficacia della collaborazione1 . 1 Il 18 luglio 2012, l’OCSE ha pubblicato il documento “Update to the Article 26 of the OECD Model Tax Convention and its Commentary” (approvato dal Consiglio in data 17 luglio 2012), che modifica l’art. 26 del Modello OCSE e il relativo Commentario. Obiettivo delle recenti modifiche è quello di attribuire maggiore effettività alle disposizioni convenzionali sullo scambio di informazioni. In particolare, la seguente disposizione viene aggiunta al paragrafo 2 dell’art. 26: “[…] Notwithstanding the foregoing, in- formation received by a Contracting State may be used for other purposes when such information may be used for such other purposes under the laws of both States and the competent authority of the supplying State authorizes such use”. La suddetta modifica consente, pertanto, alle autorità competenti degli Stati Contraenti di utilizzare le informazioni ricevute anche per scopi diversi da quelli indicati nel paragrafo 2, a condizione che tale utilizzo: • sia consentito dalle legislazioni di entrambi gli Stati Contraenti; • sia autorizzato dallo Stato richiesto. Il paragrafo 12.3 del Commentario all’art. 26 già prevedeva, sebbene soltanto in via opzionale, un’analoga disposizione. Le modifiche al Commentario all’art. 26 riguardano, in particolare, l’interpretazione dello standard di “foreseeable relevance” e dell’espressione “fishing expe-
  • 43. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 41 Né si può escludere che lo Stato richiesto possa trovarsi o porsi nella condizione di non avere dati da trasferire o possa avere una legislazione interna, anche societaria o finanziaria, in base alla quale i dati comunicati non sono omogenei e decifrabili per lo Stato richiedente, non consentendo di rivelare l’identità del titolare effettivo del rapporto o della società. Ovvero che tali dati siano gestiti da raro personale, impegnato in numerose e diversificate altre incombenze, privo di reale coordinamento, obiettivamente impedito nel trasferire le informazioni ai richiedenti nei tempi e nelle forme occorrenti per una loro adeguata valorizzazione. Insomma, convenzioni che funzionano, per lo più, come foglie di fico e che permettono ai paradisi fiscali di dichiararsi trasparenti, continuando ad operare, né più né meno, come prima. E bene, con le liste dell’OCSE della primavera 2009, bastava la sola promessa di voler procedere ad intese bilaterali di scambio di informazioni, a richiesta, per passare dalla condizione di Stato ostile a quella di Stato possibilista, ovvero dagli Stati inseriti nella cd. lista nera a quelli della lista grigia. E solo un dato quantitativo era chiesto per assumere la nuova veste di Stato trasparente: la stipula di almeno dodici convenzioni bilaterali di scambio di informazioni fiscali e finanziarie, secondo il modello OCSE della richiesta circostanziata, con qualsiasi altro Stato, anche quelli già ostili e possibilisti, cioè non collaborativi con i paesi sin dall’origine trasparenti. Miracoli della catalogazione. Dopo solo un giorno dalla pubblicazione della lista, tutti (o quasi) gli Stati ostili erano diventati possibilisti, promettendo di darsi da fare per stipulare intese bilaterali. Nel volgere di qualche mese, dition”. Con riferimento alla cd. “fishing expedition”, il nuovo paragrafo 5.1 del Commentario all’art. 26 prevede che una richiesta non costituisce “fishing expedition” per il semplice motivo che il nome o l’indirizzo della persona sotto indagine o verifica non sia stato indicato ovvero sia stato indicato in ma- niera non corretta o in un formato diverso da quello standard. Tuttavia, lo Stato richiedente deve fornire informazioni sufficienti a consentire l’identificazione del contribuente. Con riferimento allo standard di “foreseeable relevance”, il nuovo paragrafo 5.2 del Commentario all’art. 26 prevede che tale requisito può ritenersi soddisfatto sia se la richiesta di informazioni riguarda un singolo contribuente, sia se concerne un gruppo di contribuenti. Nel caso in cui la richiesta di informazioni riguardi un gruppo di contribuenti non identificati individualmente, al fine di evitare che essa sia considerata “fishing expedition”, è necessario che lo Stato richiedente fornisca: • una dettagliata descrizione di tale gruppo di contribuenti; • una descrizione degli specifici fatti e delle circostanze che supportano la richiesta di informazioni; • un’illustrazione della disciplina legislativa applicabile; • le ragioni per le quali si ritiene che il gruppo di contribuenti per cui si è proceduto alla richiesta di informazioni non è compliant alla legge; • la dimostrazione che le informazioni richieste “would assist in determining compliance by the taxpayers in the group”. Inoltre, il Commentario all’art. 26 (paragrafi 10.4 - 10.6) prevede la possibilità per gli Stati Contraenti di stabilire limiti temporali entro i quali fornire le informazioni richieste, al fine di migliorare gli aspetti procedurali dello scambio di informazioni.
  • 44. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 42 poi, i possibilisti si erano anche accordati, per lo più tra loro, per diventare trasparenti, ma solo tra di essi, a richieste e condizioni specifiche, per i casi di infedeltà fiscale già noti. E così non avevano faticato molto tempo a raggiungere la fatidica quota dodici. In genere, come prevedibile, si erano guardati bene dall’accordarsi con gli Stati loro prossimi geograficamente, trasparenti e collaborativi già in origine, le cui risorse finanziarie nel tempo avevano festosamente accolto e delle quali probabilmente sarebbero seriamente stati chiamati a render conto. In quel periodo, le isole Far Oer, note per la pesca dei cetacei, e la Groenlandia, la cui economia molto deve alla pesca del gambero, sono divenute contraenti immancabili di intese di scambio di informazioni fiscali e finanziarie con Paesi enclave, come San Marino ed Andorra, privi anche solo di spiagge e tantomeno, a quanto risulta, di un’economia ittica. Ma il tema della pesca selettiva non era fatto estraneo alla sensibilità dell’OCSE. Forse adesso in cuor vostro starete sorridendo, sforzandovi di immaginare quando mai Andorra, Stato situato nella regione dei Pirenei orientali, avrà bisogno di conoscere dati fiscali relativi a supposti suoi contribuenti infedeli impegnati nelle battute di pesca dei mari del Nord. Ma così fu pensata la lotta ai paradisi fiscali in quel non lontano 2009. E ragioni per sorridere, a ben vedere, non ci sarebbero, se si considera l’incolmabile voragine che separa la pomposità dei (non rari) pubblici annunci di contrasto ai paradisi fiscali (accompagnati dall’immancabile sottolineatura dei danni che essi recano all’economia mondiale) ed il goffo strumento individuato per ricondurli forzosamente sulla via della trasparenza e della collaborazione internazionale. Dopo aver sentito i proclami di quell’inizio 2009 sulla fine del segreto bancario, sul nuovo modello di trasparenza e di cooperazione, vedendo i risultati qualcuno ha parlato, non a sproposito, di “scherzo di cattivo gusto”. Ma come poteva essere diversamente? Possibile che nessuno dei governanti e dei tecnici degli Stati trasparenti che avevano chiesto la stretta contro l’evasione fiscale internazionale avesse previsto il pratico escamotage, valso a vanificare una parte essenziale delle politiche di rigore e risanamento delle finanze pubbliche varate in quegli stessi anni? No, non è possibile. E nelle ragioni di questa risposta riposa uno dei motivi dell’esistenza del paradisi fiscali. L’essere, a ben vedere, figli naturali prediletti, anche se non
  • 45. “Tracce, impronte & archivi finanziari” 43 riconosciuti, dei paesi “trasparenti”, in particolare delle esigenze di alcune delle loro più ascoltate élite, anche imprenditoriali. Al Consiglio europeo del 22 maggio 2013, il Presidente della Commissione Europea, tornando a parlare di frode ed evasione fiscale quale “grande problema”, ha mostrato un grafico molto efficace. Ritraeva il valore del mancato gettito fiscale annuo, pari ad oltre 800 miliardi di euro, e segnalava come fosse superiore alla spesa sanitaria totale degli Stati UE nel 2008, quasi doppio rispetto all’importo totale dei disavanzi di bilancio del complesso dei singoli Stati UE e più che quintuplo rispetto alla spesa per il bilancio della UE. Il presidente Barroso ha quindi proposto tre livelli di intervento urgente. A livello nazionale, il miglioramento del rispetto della normativa fiscale, la promozione di una maggiore efficienza delle amministrazioni fiscali e la lotta contro i paradisi fiscali e la cd. pianificazione fiscale aggressiva. A livello comunitario, il potenziamento dello scambio automatico di informazioni esteso a tutte le tipologie di reddito, anche quelli non da risparmio, e l’intensificazione della cooperazione tra le amministrazioni fiscali. A livello mondiale (in sede di G8, G20 e OCSE), la promozione dei principi di trasparenza, buongoverno fiscale e leale concorrenza fiscale e l’introduzione anche a questo livello dello scambio automatico multilaterale d’informazioni, quale nuova norma internazionale basata sull’approccio seguito nell’UE. Norma che dovrebbe costituire la base per la rinegoziazione da parte della Commissione, su mandato dei Ministri delle Finanze dei 27 Stati membri dell’UE (ECOFIN), delle intese fiscali in materia di tassazione dei risparmi con Svizzera, Liechtestein, Monaco, Andorra e San Marino. Già alla riunione di Washington del 19 aprile 2013 i ministri delle Finanze del G20 avevano chiesto di adottare misure per eliminare il segreto bancario ed incoraggiare fortemente tutti i Paesi a prendere misure per soddisfare gli standard per lo scambio automatico delle informazioni bancarie. Ed in effetti di coraggio si deve parlare, se si considera l’inglorioso insuccesso recente ed il rapporto di nascosta filiazione diretta di cui si è detto. Il G8 di metà giugno 2013 ha confermato queste linee di azione.
  • 46. Orientamenti - Atti del Convegno - Rimini 21.6.2013 44 Come andrà a finire? In una recente intervista2 , ad inizio di maggio 2013, la consigliera federale Eveline Widmer-Sclumpf ha dichiarato di dubitare che i 34 Paesi dell’OCSE (del quale è membro anche la Svizzera) riusciranno a mettersi d’accordo in breve tempo sull’introduzione dello scambio automatico di informazioni per combattere l’evasione fiscale. “È possibile - ha spiegato Widmer-Schlumpf - che venga presa una decisione di principio oppure si arrivi a definire quali informazioni dovranno essere effettivamente scambiate”. Ma su questo aspetto non vi è consenso unanime tra i 34 Paesi dell’OCSE, ha sostenuto il ministro grigionese, che si attende accese discussioni su questi punti e quindi ritardi nell’applicazione concreta. “La questione decisiva su come debbano essere scambiate le informazioni fiscali e su come si possa giungere ad uno standard internazionale rientrano nell’area di competenza dell’OCSE”, organizzazione in seno alla quale la Svizzera ha diritto di parola. La consigliera federale, da ultimo, ha commentato: “Noi non ci accorderemo con tutti i Paesi sullo scambio automatico di informazioni, ma soltanto con una cerchia di Stati definiti e nel rispetto di determinate condizioni”. Viene da pensare che il recente insuccesso rischi seriamente di ripetersi e che il ministro svizzero abbia espresso previsioni realistiche. Il rapporto di filiazione tra paesi trasparenti e giurisdizioni non cooperative spiega anche l’incredibile forza delle seconde, pure quando in apparenza corrispondono a piccoli territori, abitati da coesa e orgogliosa popolazione ma privi di risorse naturali ed economiche interne. E chiarisce le dimensioni e la centralità nell’economia moderna del sistema offshore. Alcuni dati, la cui considerazione può forse sfuggire. Più della metà del commercio mondiale passa, almeno sulla carta, attraverso i paradisi fiscali, tali considerati anche secondo le (non sempre severe) categorie convenzionali degli organismi internazionali. Oltre la metà di tutti gli attivi bancari ed un terzo dell’investimento diretto estero effettuato dalla imprese multinazionali vengono dirottati offshore. Nel 2010 il FMI ha stimato che i soli bilanci dei piccoli centri finanziari insulari ammontavano complessivamente a 18.000 miliardi di dollari, circa un terzo del PIL mondiale. Secondo altre fonti (Tax Justice Network), sin dal 2005 i capitali detenuti offshore da individui facoltosi dovrebbero ammontare ad 11.500 miliardi di dollari, un quarto di tutta la ricchezza mondiale, l’intero prodotto nazionale lordo degli Stati 2 Si tratta di dichiarazioni rilasciate in data 11.5.2013 ai quotidiani “Tages-Anzeiger” e “Bund” e riportate sul sito www.ticinonews.ch