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Lisa Ferri
32 anni, operaia Fiat, Termoli (Campobasso)
“Tutti quei macchinari, la ripetizione, quei robot. Appena entrata
in fabbrica mi sono chiesta: ‘Dove mi trovo?’. Questo lavoro
ti costringe ai turni e alle levatacce, ma alla fine del mese hai
uno stipendio e puoi fare progetti. Ho conosciuto molti ragazzi
interinali, della mia stessa età, che non possono permettersi
neanche una macchina. È destabilizzante. Trenta anni fa le
persone sapevano che un giorno sarebbero arrivati alla pensione,
noi oggi abbiamo un po’ paura”.
Irma Siroci
86 anni, pensionata, Lugo (Ravenna)
“Durante la Resistenza ho combattuto accanto ai partigiani.
Noi ragazze facevamo le vedette e controllavamo che non
arrivassero i tedeschi. L’entusiasmo e la voglia di libertà erano
più forti della paura. Purtroppo oggi siamo diventati borghesucci
con piccole aspirazioni”.
Ida Cavallini
80 anni, pensionata, Lugo (Ravenna)
“Le donne sono state fondamentali per la rinascita civile del
nostro Paese. Abbiamo lottato per la scuola e per la parità
tra i sessi, senza mai vergognarci se non sapevamo fare bene
la nostra firma”.
Arturo Manes
37 anni, operaio Fiat, Termoli (Campobasso)
“Con Lisa ci siamo conosciuti al tornello, dove si struscia
il tesserino. Molti si sono conosciuti lì. E ci siamo sposati.
Non abbiamo gli stessi turni. Alcune settimane ci ritroviamo,
per poi perderci di nuovo”.
“Siamo tornati indietro rispetto al passato,
per il lavoro precario, per la sicurezza,
per l’arroganza”.
Marco Saveri
35 anni, maniscalco del Corpo forestale dello Stato,
Palazzo Radicondoli (Siena)
“Ferrare il cavallo, specie quando è puledro, ti dà la sensazione
di aiutarlo a camminare bene, è come prendersi cura di lui
nel suo habitat. Ti gratifica dentro. La voglia di fare il maniscalco
mi è venuta per gioco. Dopo tanti anni e tanti lavori per trovare
la mia strada ero infelice. Con i cavalli instauro un rapporto
diverso che con le persone, più puro e più intenso”.
Marco Morosini
33 anni, designer e fotografo, Pesaro
“Tutte le mattine mi alzo e ho voglia di fare questo mestiere.
Spesso di notte quando dormo il cervello continua a pensare,
pensare. E quando mi sveglio, scrivo le idee su un blocco
degli appunti: basta un segno, uno scarabocchio e mi ricordo
subito tutto. Forse quello che mi spinge è la voglia di creare
qualcosa di bello, di piacevole e armonioso. Ora ho uno studio
mio, una clientela internazionale, porto avanti progetti artistici,
mi ritengo molto fortunato. Quando ho dovuto ricominciare
da capo, da solo, sono ripartito dall’arte, che mi ha aiutato
tanto perché è un mezzo di espressione e quindi anche
di sfogo. Ma in Italia nessuno ti aiuta, lo Stato non ti dà
alcuna agevolazione, chessò, uno sconto sulle tasse”.
Antonio Tombolini
45 anni, imprenditore, Loreto (Ancona)
“Il Web è un posto nuovo che prima non c’era. È un posto
dove puoi fare conversazioni che prima non potevi fare, dove
puoi incontrare persone che prima non avresti mai incontrato.
Una risorsa straordinaria, insomma, da tutti i punti di vista.
Nella rete devi essere autentico: se non lo sei, se ne accorgono
subito. I rapporti sono paritari: non ci sono filtri, le relazioni
sono a tu per tu. E poi è un posto inesplorato, di cui conosciamo
ancora pochissimo, di cui ogni giorno disegniamo un pezzetto
di mappa in più. Io di Internet mi sono letteralmente innamorato,
come ci si innamora di un posto. Capita sai, quando viaggi,
di trovare un luogo dove vorresti rimanere per il resto dei tuoi
giorni. Ecco, io ho visto la rete e ho deciso di rimanerci
per il resto dei miei giorni. Questo non significa che mi alieno:
vivo con la mia famiglia e amo stare con i miei figli. Ma da
otto anni vivo anche nel Web e voglio continuare a viverci
perché la qualità umana che mi è stata regalata dalle relazioni
è straordinaria e non ci voglio rinunciare. Anzi. Voglio starci
ancora di più e più consapevolmente, per focalizzarmi sulla
rete come punto di contatto tra le marginalità”.
Serena Mancini
33 anni, ufficio stampa del sito Yoox.com, Milano
“Contaminazione: è questo lo stimolo che mi spinge a lavorare.
Inizialmente volevo restaurare mobili, poi mi sono ritrovata
a studiare architettura, il mio primo lavoro è stato fare la giornalista.
Ora lavoro per una società di e-commerce. Domani? Non lo
so, vedremo”.
Franco Ciappa
56 anni, ex operaio, giornalista di Radio Popolare, Milano
“Andavo in fabbrica nascondendo in tasca un registratore.
Ero pronto a rubare le voci dei lavoratori e delle contestazioni.
Poi, alla fine del turno correvo in radio per trasmetterle.
Oggi sono un giornalista di Radio Popolare, ma dopo 33 anni
mi sento ancora un operaio. Non voglio fare l’editorialista,
voglio raccontare le persone con la sensibilità di chi ha lottato
per i diritti e per migliorare la propria condizione”.
Marco Cesta
43 anni, insegnante, Roma
“Tempo fa a una conferenza si parlava dei bambini soldato
in Africa. Un ragazzo si alzò e chiese: ‘Ma noi che possiamo
fare?’. Il relatore, che era un missionario comboniano,
disse molto semplicemente: ‘Voi dovreste consumare di meno’.
Calò il gelo. Erano tutte terze medie, ragazzi di 13 anni
con le facce perplesse. In classe abbiamo approfondito
il tema, cosa significa consumare di meno, come il consumo
è legato al resto. Dei bambini costretti a uccidere, dei
bambini schiavizzati non si parla in tv se non a mezzanotte,
quando i ragazzi sono a letto. Ma la scuola può dare
delle sollecitazioni che a casa non ci sono. La scuola è uno
degli ultimi baluardi rimasti”.
Patrizio Di Nicola
49 anni, docente universitario, Roma
“Ci sono due sindacati dentro il sindacato. C’è quello pubblico,
la grande organizzazione di Trentin, di Epifani e dei grandi
leader che vedi in televisione. E c’è il sindacato del delegato
di fabbrica, quel signore di 50 anni che sta in fabbrica
da quando ne aveva 15, che è stato cacciato via ed è stato
riassunto. I lavoratori non si iscrivono al sindacato dei grandi
leader, si iscrivono al sindacato del loro delegato di fabbrica.
È questa la vera base. Il sindacato lontano fa le politiche dei
redditi, un lavoro indispensabile. Ma le persone si iscrivono
al sindacato vicino, si fidano del loro sindacalista, di quel
signore tanto amato: quando se ne va lui il sindacato in quella
fabbrica ha un tracollo”.
Luca Smeriglio
38 anni, corniciaio, Torino
“Quando vengono da me i clienti sono rilassati, vivono il
momento della scelta della cornice, della tipologia, del colore,
come un’occasione di svago. I tempi di consegna sono lunghi,
perché non c’è mai l’urgenza di avere a tutti i costi un quadro
incorniciato per il giorno dopo. Questo mi consente di lavorare
con estrema tranquillità. Magari sotto Natale capita che vengano
il 23 e vogliano il lavoro pronto per il 24 dicembre.
E allora sì che bisogna correre”.
Giovanni Duranti
50 anni, pony express, Roma
“Faccio il pony express da 16 anni. Si può dire che vivo la
strada, ho un buon punto di osservazione per vedere e valutare
la società. Che cosa è cambiato in tutto questo tempo? Come
dice il conte Salina del Gattopardo: ‘Bisogna che tutto cambi
perché tutto rimanga com’è’”.
Saverio Cardini
38 anni, controllore del traffico aereo, Linate (Milano)
“Siamo sempre con la valigia pronta, viviamo una sorta
di incertezza anche nella quotidianità. Non ho ancora capito
se mia moglie ha accettato questo stato di cose o se mi sopporta”.
Floriano Rotini
51 anni, operaio, Terni
“La tecnologia non era quella di oggi. Quando sono entrato
in fabbrica io si lavorava veramente, e il lavoro era manuale.
Al termine delle otto ore si era stanchi, non mentalmente ma
fisicamente. Uno dei grossi problemi del reparto era la temperatura:
d’estate si superavano i 40 gradi, d’inverno si scendeva sotto
ai cinque. Con il passare degli anni sono state messe delle
stufette elettriche attaccate al soffitto del capannone.
Immaginatevi come poteva essere l’ambiente”.
Angelo Baj
46 anni, direttore di produzione di concerti e spettacoli,
Roma
“Ho vissuto il periodo del ‘sex, drug e rock and roll’ e non
mi vergogno a confessarlo. Chi dichiara di aver lavorato
in questo ambiente senza aver avuto una vita disordinata
è semplicemente un bugiardo. Poi però sono maturato
e mi sono accorto che il mondo della produzione non ha
garanzie sindacali né sociali. Adesso conduco la vita
che fanno tutti. Ma è l’adrenalina che mi spinge a continuare.
Quella che sale quando dalla cassa esce la prima nota
e capisci che tutto è andato bene”.
Pepi Morgia
55 anni, organizzatore di concerti e manager di artisti, Roma
“Alcune volte mi sento un pacco postale: viaggio in tutto
il mondo senza mai vedere le città dove mi trovo.
Nelle trasferte l’unica cosa che vedo sono albergo, location
e palco. Guadagno molto? Più che altro non ho molte
occasioni per spendere”.
Vincenzo Borgo
62 anni, disoccupato, Napoli
“Vivo in strada da 15 anni. Avete qualche spicciolo per
un piatto di maccheroni?”.
Renato Migotti
58 anni, architetto, fondatore dell’Associazione superstiti
del Vajont, Longarone (Belluno)
“Nei quaderni delle elementari avevo messo le fotografie
e i disegni della diga del Vajont, all’epoca in costruzione.
Dovevamo essere orgogliosi, perché nel nostro paese avrebbero
costruito la diga più grande del mondo: così ci dicevano
i maestri, e noi ci credevamo. Poi è arrivato il disastro.
Si è spento l’interruttore. La storia si è fermata. La memoria
paralizzata. Per anni la gente ha preferito ricostruire anziché
ricordare. Ora con la nostra associazione cerchiamo di non
far dimenticare. Per fortuna ci sono persone come Marco
Paolini che con le loro opere continuano a tenere alti
il ricordo e l’attenzione”.
Federico Marchetti
36 anni, imprenditore fondatore di Yoox.com, Milano
“Il 21 marzo 2000, mentre viaggiavo in Eurostar, con un
milione e mezzo di euro in banca, la prima parte del
finanziamento per la mia nuova società, conobbi Miss
Venezuela. Mi invitò a seguirla a Roma... A Bologna, però,
mi aspettava il notaio per firmare la costituzione della società.
Che cosa ho fatto? Ho rinunciato a Miss Venezuela e sono
sceso a Bologna. Ero convinto che il mio progetto più forte
di così non poteva essere”.
Luigi Russo
48 anni, direttore organizzativo del Ferrara Buskers Festival,
Ferrara
“La cosa che amo di più è far iniziare le cose. Quando le
situazioni sono nuove, rischiose, improbabili, io mi ci butto.
Credo che sia la malattia di chi fa l’organizzatore. Diciotto
anni fa pensare di vivere con l’arte di strada a Ferrara era
una pazzia. Quindi bisogna essere matti per inventare una
cosa come il Ferrara Buskers Festival. Una volta gli artisti di
strada erano considerati alla stregua dei barboni e mendicanti:
ma l’artista non fa leva sulla pietà, offre solo divertimento
ed emozioni in cambio di un obolo”.
Alberto Hesse
87 anni, imprenditore del caffè, ex pilota di caccia, Trieste
“Quando chiesi a mio padre i soldi per il brevetto da pilota
mi disse: ‘Aeronautica? Ma lo sai che la sceglie chi non ha
più niente da sperare nella vita?’. Invece gli anni in cui sono
stato pilota di caccia, dal ’40 al ’46, li considero i più belli
della mia vita. Ogni giorno atterravo in un posto diverso,
dormivo in un letto sempre diverso. Durante il combattimento
succedevano cose che non riuscivi più a seguire: aerei che
ti passavano davanti, che sparivano, che andavano su e giù.
Era come un’ubriacatura”.
Claudio Bacci
49 anni, maestro soffiatore, Murano (Venezia)
“Anche Murano soffre per la concorrenza della Cina. La crisi
ci ha costretto a cambiare alcuni prodotti, che lì non riescono
a copiare, almeno per ora. I calici, per esempio, li facciamo
con il manico di un colore e il gambo di un altro. Tanti pezzi
dei servizi da tavola li abbiamo eliminati perché non vanno.
Come sono i prodotti di importazione? Non male, a dire la
verità, anche se per fortuna i cinesi non riescono a eguagliare
la qualità del vetro di Murano. Il nostro cristallo è inarrivabile:
è più bello e senza troppi difetti”.
Francesco Dominici
27 anni, dirigente d’azienda, Poggibonsi (Siena)
“In questa azienda nessuno ha un suo ruolo preciso, ognuno
si adatta a fare un po’ di tutto, io, mio padre, l’ultimo dipendente.
Quando è possibile, ci consultiamo. Per esempio, chi lavora
a una macchina può dare la sua opinione su come organizzare
l’isola nella quale è impegnato, chi sta nel reparto tecnico
fornirà il suo parere su come sviluppare un prodotto, lo stesso
potrà fare chi sta in ufficio. Quindi il rapporto è amichevole
e collaborativo”.
Fabio Calabrò
45 anni, artista di strada, Ferrara
“La strada è il tuo palco: ci sei tu che racconti sciocchezze
e speri che qualcuno le ascolti. La sensazione? È come buttarsi
nel vuoto, sperando che qualcuno ti venga a raccogliere.
La gente spesso è disposta a raccoglierti ma se cadi e fai
un bel tonfo, almeno ride”.
Beppe Boron
45 anni, artista di strada, Ferrara
“Lavoravo in un ufficio. In una giornata grigia e fredda sono
stramazzato a terra. Diagnosi: esaurimento nervoso.
Forse il lavoro d’ufficio non faceva per me. Poiché suonavo
il sassofono da 4-5 anni mi sono detto: ‘Vabbé, proviamoci’.
Ed eccomi qua. Non esiste emozione più forte”.
Stefano Bottoni
56 anni, direttore artistico del Ferrara Buskers Festival, Ferrara
“Sono un artigiano da sempre, lavoro il ferro battuto.
Quando mi chiedono che c’entra un fabbro con la direzione
artistica del festival, rispondo che porto a casa mia, a Ferrara,
un mondo artigianale e fantastico. Io traghetto nella mia parte
pigra dell’universo i musicisti di Cuba, del Brasile, dell’Europa.
Come un piccolo Caronte”.
Monica Forti
46 anni, giornalista, organizzatrice e ufficio stampa
del Ferrara Buskers Festival, Ferrara
“Organizzare un festival di artisti di strada è faticosissimo.
Nel momento clou il fisico fa acqua da tutte le parti, la stanchezza
ha il sopravvento, i neuroni rimangono in mutande. E alla fine
sei così stremato che desideri solo silenzio. Ma quando
il silenzio arriva, entri in uno stato di depressione.
Per noi è la normale fase del post-festival. Lavorando a contatto
con gli artisti di strada, ho imparato a smitizzare la loro filosofia
di vita: sono persone molto normali, solo che viaggiano
un po’ più di noi. Hanno i nostri stessi problemi economici
e la stessa stanchezza. E, alle spalle, molto studio”.
Laura Audi
37 anni, operatrice turistica, Torino
“Amo Torino, città magica e città sotterranea. Questo amore,
insieme a una certa preparazione, una discreta cultura umanistica
e una buona conoscenza del settore, ha spinto me e la mia
socia a inventare itinerari turistici alternativi a tema.
Nessun’altra città, credo, ha un’immagine così caratterizzata,
così fortemente condizionata dalla presenza di un’azienda.
Eppure, noi abbiamo scoperto e facciamo scoprire ai turisti
una città insolita e inaspettata. Dalle nostre ricerche sui libri
e sul campo è nato il percorso della Torino ebraica: basta
leggere nelle pieghe della storia ufficiale per trovare
la quotidianità del passato, dettagli che raccontano la vita
di tutti i giorni”.
Mauro Forbicini
31 anni, animatore, Riccione (Rimini)
“Da piccolo pensavo che avrei seguito le orme di mio padre,
che sarei diventato assicuratore. Poi ho iniziato a fare il dee-jay
e sono finito animatore di villaggi. Se mi dicessero che per
campare fra dieci anni devo lavorare nelle assicurazioni
sarebbe durissima. Ormai sono abituato all’idea di stare
in calzoncini e maglietta, con il sorriso sulla bocca, in mezzo
alla gente”.
Fabrizio Cuniberti
34 anni, ex prete, operatore del settore equo e solidale,
Torino
“Sono entrato in seminario dopo la maturità classica.
Avevo sempre desiderato fare qualcosa per gli altri. Dopo sei
anni vissuti in comunità mi sono fatto prete. A un certo punto
ho scoperto la distinzione tra l’essere prete e fare il prete.
E mi sono reso conto che stavo facendo il prete. Stavo vivendo
una condizione interessante, forte dal punto di vista missionario,
ma la mia dimensione personale ed esistenziale richiedeva
cose sulle quali ero in conflitto. Non mi sentivo sereno.
Lasciare il ministero sacerdotale è stata una decisione lunga,
che ha richiesto alcuni mesi, un percorso graduale che
da un punto di vista burocratico è ancora in evoluzione.
La possibilità di restare prete senza essere felice c’era, tutto
sommato. Bastava che io fossi in grado di gestire e nascondere
alcuni miei bisogni”.
Alessia Luperi
29 anni, pittrice e cameriera, Bolgheri (Livorno)
“Ho un’attrazione spasmodica per i colori. Da piccola passavo
ore a fissare un vaso di fiori. Poi ho capito che la pittura
è il mio linguaggio. Non ci campo e neanche ci voglio campare.
L’arte non è commerciabile, i sentimenti non sono commerciabili,
non puoi dire quanto vale la frase ‘ti amo’. Per vivere lavoro
nella bottega di mia sorella: faccio panini, servo bicchieri
di vino. Non mi dispiace perché credo che arte, cibo e vino
siano un tutt’uno”.
Ermanno Labianca
44 anni, autore televisivo e giornalista, Roma
“Lavorare al concerto del Primo maggio è frenetico ma hai
modo di assistere a scambi e sguardi tra artisti che non
sapevano di assomigliarsi. Il divertimento sta in questo: vederli
insieme e creare uno spettacolo che unisce e rallegra”.
Antonio “Toni” Soddu
48 anni, direttore di palco di concerti e spettacoli, Roma
“Questo è un mondo fatto da battitori liberi. Anche se i rapporti
umani sono sempre buoni, è un ambiente decisamente
individualista. Non ci sono scuole, per imparare devi usare
gli occhi e rubare quello che puoi”.
Max Benedetti
35 anni, responsabile vendite e marketing di Yoox.com,
Bologna
“Come si diventa imprenditori? Dipende. In passato ci voleva
la grana, con la new economy sono indispensabili le idee”.
Maurizio “Ciccio” De Lazzari
49 anni, direttore di produzione di concerti e spettacoli, Roma
“Nel mondo dello spettacolo c’è chi guadagna tanto e chi
veramente poco. Dipende dalla logica del mercato, come
in ogni tipo di lavoro. Se le economie fossero gestite in modo
diverso, ci sarebbe una vera crescita del sistema”.
Jessica Guastella
32 anni, assistente di produzione di concerti e spettacoli, Roma
“Per una donna non è facile emergere in questo settore
perché è un ambiente molto maschile. Alcune volte mi manca
la normalità, ma quando provo a staccare mi rendo conto
che questo mondo mi attrae come una calamita, con i suoi
personaggi pittoreschi e l’adrenalina”.
Gilberto Floriano
57 anni, bibliotecario, Vibo Valentia
“La società calabrese è basata sui centri di potere: la famiglia,
la politica, l’amministrazione pubblica. Per non rimanere
soffocate molto spesso le persone scappano. Ma per combattere
queste gerarchie esiste un’arma: l’istruzione. Con il mio lavoro
cerco di offrire a tutti strumenti per conoscere e informarsi.
Come mi considerano gli altri? Un grande rompicoglioni”.
Giuseppe Piferi
60 anni, tostatore di caffè, Roma
“A chi mi dice: ‘Quando bevo caffé non dormo’, io rispondo:
‘Quando dormo non bevo caffè’. Il profumo del caffé mentre
tosta è la mia droga. Non riesco proprio a stare lontano
dalla macchina per tostare. Credo che non avrò mai voglia
di andare in pensione, neanche tra vent’anni”.
Sabina Giuliano
48 anni, modista del teatro Alla Scala, Milano
“Quando finisco di realizzare i costumi di uno spettacolo sono
ansiosa di vedere il risultato in scena. E se lo spettacolo
va bene, sono felice perché anche il mio lavoro fa parte
di quel successo. La cosa peggiore, invece, è lavorare
su rappresentazioni che poi non funzionano e che non
vedranno mai la luce. Ma fa parte del gioco”.
“Lo dice anche la Costituzione:
tutti hanno diritto a un posto di lavoro,
ciascuno secondo le proprie possibilità,
e, aggiungo io, secondo le proprie
funzionalità che possono cambiare
in relazione a ciò che ti capita nella vita”.
Lucia Silletti
30 anni, commessa, Roma
“Dopo un anno come commessa al negozio Camper, quando il
mio contributo si era esaurito, sono stata relegata nell’angolo:
forse non servivo più, c’era il timore che potessi fare le scarpe
a qualcuno. Ho cominciato a stare male, era un continuo
piangere. Non sapevo che cosa fosse questo emarginare
una persona o sovraccaricarla di lavoro. Ho scoperto che
si chiamava mobbing. Il mio disagio era anche fisico, perché
l’ansia ti porta a non dormire la notte, a dover chiedere aiuto
a qualcuno perché ti rendi conto che ti tremano le gambe
quando devi salire in macchina per andare al lavoro.
Ti accorgi che non riesci ad affrontare nemmeno una piccola
discussione con un collega, che non ti senti a tuo agio quando
sei in pausa pranzo, si organizza l’uscita e tu non ci vuoi
essere. Se non mi sono ammalata c’è mancato poco. Stavo
per mollare. Per fortuna ho trovato il sostegno della Cgil che
mi ha accolto a braccia aperte. Sono riuscita a riscattarmi:
sono andata via ma a testa alta, ho perso il lavoro ma non
ho perso la dignità”.
Enza Pallara
46 anni, collaudatrice Ducati, Bologna
“Si dovrebbe sfatare il mito che donne e motori non vanno
d’accordo. La mia passione è stata più forte del pregiudizio
e con orgoglio posso dire che per lavoro faccio ciò che più
mi piace: guidare le moto. Qual è il valore aggiunto che
mettono le donne in questo mestiere? La voglia di fare le cose
per bene, con la massima precisione”.
Luigi Binetti
67 anni, produttore di futon, Arezzo
“Ho 67 anni e se dicessi che lavoro sempre con passione,
sarebbe una bugia. Spesso non ne ho proprio voglia, ma
ci sono costretto. Ho avuto una vita lavorativa disordinata
e così non ho i numeri per ottenere la pensione. Ho lavorato
in banca, ho venduto case, ho fatto il restauratore, sono
stato funzionario del Pci, ho vissuto in diverse comunità
spirituali. È lì che ho imparato a fare i futon. Noi usiamo
solo cotone biologico, legno massello, vernici atossiche:
l’intento è mantenere un livello di qualità elevato”.
Bruna Cibrario
48 anni, progettista all’Alenia Spazio, Caselle (Torino)
“Sono diventata ingegnere per sfida e ho avuto l’opportunità
di lavorare in un’azienda che produce alta tecnologia.
Ho partecipato alla missione del satellite Tethered: ero nella
sala di controllo della Nasa a Houston, a sentire in cuffia
il dialogo tra l’astronauta e il centro a terra. È stata un’esperienza
notevole, una di quelle che ti danno il senso di come imprese
che sembrano pura fantascienza in realtà vengono dal lavoro
degli uomini, dei singoli, ciascuno con il proprio contributo.
Ho sempre creduto nel valore del lavoro come forma di
realizzazione della persona. Io sono riuscita a realizzarmi,
ma mi rendo conto di essere una privilegiata. Sono fermamente
convinta che una società per dirsi avanzata debba offrire
a tutti l’accesso alla cultura, alla formazione e al sapere”.
Annarita Pardi
47 anni, igienista dentale, Chieti
“Il terrore per il dentista ce l’abbiamo inciso nel Dna fin dalla
nascita: ogni volta che un paziente entra nel nostro studio,
subisce un piccolo trauma. Quando si siedono sulla poltrona
le persone cercano sempre di allungare i tempi, come se
volessero rimandare la seduta. Ma soprattutto sentono il bisogno
di parlare tanto e, neanche fossero dallo psicologo, buttano
fuori fiumi e fiumi di racconti personali. Probabilmente sentono
il nostro calore e si rilassano. C’è un medico che appena
si siede sulla poltrona si addormenta a bocca aperta. E una
signora di Pescara che prima di sdraiarsi si toglie sempre
le scarpe”.
Luca Zanardi
36 anni, operaio, Correggio (Reggio Emilia)
“Con la paura non si va da nessuna parte. Io ho iniziato
l’attività sindacale quando avevo un contratto a termine.
Molti mi hanno preso per pazzo, avevano paura che potessi
perdere il posto. Ma le persone che hanno dato vita al
sindacato avevano ancora meno diritti dei nostri, e sono riusciti
a rivendicare diritti universali. Perché i lavoratori di oggi
non dovrebbero comportarsi allo stesso modo?”.
Fabienne Forlini
49 anni, operaia Cirio, Podenzano (Piacenza)
“Amo la manualità, ma detesto la monotonia. Quando devo
fare sempre lo stesso gesto mi astraggo, penso ad altre cose,
faccio progetti. Di che tipo? A breve termine, la gita del
prossimo week-end, cosa farò a Natale... Questa è una
fabbrica di trasformazione del pomodoro, d’estate lo trasformiamo
in cubetti e concentrato, nel resto dell’anno facciamo
i sughi pronti, le conserve, i legumi. I pomodori, a furia
di vederli, mi hanno stufata. Certo, a volte aprire un sugo
pronto può essere molto comodo, specie quando hai fretta”.
Adolfo Marletta
56 anni, pizzaiolo, Napoli
“Amo la pizza come si amano le donne. Io non mi sono
mai sposato perché non ho trovato la ragazza giusta. Però
ho sposato la pizza, che è stata la mia vita”.
Mirko Boschetto
36 anni, rigger, Roma
“Questo è un mestiere vero, solo per professionisti. Sono felice
di farlo, anche se non dormo da tre giorni, anche se per
la stanchezza ho avuto incidenti d’auto. È la passione che
mi frega”.
Giovanni Cirri
44 anni, operaio, Genova
“A dare il tempo e scandire i ritmi di lavoro è la merce:
le navi arrivano, devono esser sbarcate il più presto possibile,
perché devono ripartire il più presto possibile, per poi tornare.
Tu ti ritrovi schiacciato in questo ingranaggio brutale, ti devi
adeguare. Come quegli animali che quando cambia l’habitat
per sopravvivere si devono adattare: l’operaio portuale ha
fatto lo stesso”.
Antonio Cicchetti
55 anni, turnista idraulico alla diga del Pertusillo, Agri
(Potenza)
“Credo proprio di essere un tipo solitario. Infatti, non mi pesa
affatto stare da solo, come spesso mi capita con questo lavoro.
Sto immerso nella natura, parlo con me stesso e se sono
arrabbiato posso anche urlare: tanto nessuno mi sente, nessuno
mi vede. Poi c’è lo spettacolo dei colori dell’alba. Vivere questi
spazi è meraviglioso”.
Filomena Mirabelli
46 anni, casalinga, Pagliarelle (Crotone)
“Quando ti sposi il prete ti dice che quello che Dio unisce,
nessuno può dividere. Ma non è vero! L’emigrazione ci riesce
benissimo. Mio marito lavora in galleria per la costruzione
dell’alta velocità e ci vediamo meno di una volta al mese.
E nella mia situazione si trovano molte altre.
Pagliarelle è il paese delle donne sole”.
Zahra Afshar
40 anni, medico degli immigrati, Jesi (Ancona)
“Capire le persone è la parte più importante del mio lavoro.
I pazienti che curo non sono tutti uguali: ognuno ha il suo
concetto di salute e malattia, la sua idea di servizio sanitario,
diversa a seconda della nazionalità. Quello che mi preme
è guadagnarmi la loro fiducia, ma non è affatto facile perché
spesso hanno paura anche dei medici”.
Alida Truppa
25 anni, commessa Feltrinelli e fotografa, Roma
“Vivo ancora con i miei perché il mio stipendio da part-time
non mi permette di rendermi indipendente. Lavoro soprattutto
per pagare le spese della mia grande passione: la fotografia.
Spero che un giorno potrà essere il mio mestiere al 100 per
cento”.
Bella Alejandrina Alonzo Gonzales
40 anni, impiegata, Genova
“Mi sento un ibrido. Amo i vicoli di Genova, amo la pasta
al pesto, ma allo stesso tempo amo il mio Paese, il mio mare,
la mia famiglia d’origine. Quando sono arrivata qui
dall’Ecuador la prima preoccupazione è stata imparare
la lingua e la cultura italiana, conoscenza che si è rivelata
fondamentale per aiutare connazionali e immigrati.
Oltre a lavorare, infatti, aiuto le donne extracomunitarie
a riacquistare una dignità”.
Mariateresa Fantasia
24 anni, lavoratrice precaria, Crotone
“Ho la valigia pronta: domani sarò a Milano, nuovo lavoro,
nuova vita. Dopo diversi impieghi precari ho deciso di partire”.
Agatina Filice
39 anni, casalinga, Pagliarelle (Crotone)
“Mi chiedo spesso se ho fatto bene a sposarmi. Mio marito
lavora lontano da casa, torna da noi sì e no una volta al
mese. Quando erano piccoli i miei figli non lo riconoscevano,
anch’io penso di non conoscerlo. Questa non era la vita
familiare che sognavo da ragazza”.
Laura Cassandra Cosa
26 anni, cameriera e studentessa, Torino
“Certe volte ho l’impressione che i miei genitori si vergognino
del mio lavoro di cameriera, ma per me è solo un modo
per mettere da parte un po’ di soldi. Tra qualche mese sarò
laureata, vedremo che succede”.
Stella De Vito
47 anni, casalinga, Amaroni (Catanzaro)
“Alle porte del mio paese c’è un cimitero. Per noi è una linea
di confine: quando la oltrepassi vuol dire che te ne stai
andando. Il giorno della partenza mi sono guardata indietro,
ho visto i cipressi allontanarsi, ho pianto di nostalgia e felicità.
Avevo 20 anni e tanta voglia di fare esperienza. Il mio paese
mi stava stretto, e quando mio marito mi ha proposto
di seguirlo a Roma, non ho esitato neppure per un momento”.
Enrico Barbuti
49 anni, impiegato Parmalat, Parma
“Ero il figlio del farmacista di un paesino di montagna: la mia
strada era già tracciata. Frequentavo ancora il liceo quando
ho deciso di interrompere gli studi per cercare lavoro. Dopo
anni non mi pento della mia scelta perché la fabbrica è stata
la migliore università. I primi tempi sono stati duri: il lavoro manuale
è faticoso. Ho visto crescere l’azienda fino a diventare una
multinazionale, il fiore all’occhiello dell’economia agro-alimentare
italiana. Con gli altri dipendenti Parmalat ci siamo sempre
considerati dei privilegiati, un sogno che è durato per quasi
trent’anni. Poi c’è stato il crack. E la mattina dopo ci siamo
svegliati più poveri. Alla sera uscivamo dalla fabbrica e non
sapevamo se il giorno successivo l’avremmo trovata aperta.
È stato un periodo di grande incertezza. Il sindacato, di cui
faccio parte con orgoglio fin dal primo giorno, si è dimostrato
responsabile: tutti uniti per salvare l’azienda e i posti di lavoro”.
Giuseppe Fallacara
55 anni, carpentiere Fantuzzi Reggiane, Reggio Emilia
“Sono entrato alle Reggiane sulla scia dei racconti delle
gloriose lotte degli anni Cinquanta. Per me le Reggiane avevano
un fascino irresistibile. Mi sono appassionato alla politica, mi
sono iscritto al sindacato, ho iniziato a lavorare per migliorare
le cose in fabbrica. Alle lotte degli anni Cinquanta è seguito un
periodo che si potrebbe definire di repressione: i lavoratori
venivano scelti accuratamente, non dovevano fare tanto rumore,
dovevano solo lavorare, niente sindacato, niente politica.
Poi le cose sono cambiate, alla fine degli anni Sessanta, inizi
anni Settanta. Siamo riusciti a ottenere, pensate… la mensa,
l’abolizione del cottimo, il miglioramento delle condizioni
di lavoro”.
Roberto “Bob” Grassi
50 anni, light designer, Roma
“I problemi nascono quando passi dalla carta all’acciaio,
dal progetto alla concretezza. Se trovi un inconveniente
ti devi arrangiare. Gli imprevisti sono da mettere sempre
in conto, fanno parte del gioco. Il palco è la mia casa,
tanto che spesso ho portato in tournée anche mia moglie
e mio figlio”.
Andrea Ricciardi
24 anni, portuale, Livorno
“Con la prima busta paga ho chiesto un finanziamento per
comprare la macchina, che non ho ancora finito di pagare.
Per adesso voglio usare i miei soldi per divertirmi, fino
a quando non metterò su famiglia”.
Giordano Mannocci
25 anni, portuale, Livorno
“Con il primo stipendio sono corso a comprare un motorino
nuovo, il vecchio era rotto. Quando parlo con i miei amici
mi rendo conto che sono un privilegiato: mi invidiano perché
il lavoro al porto è piuttosto ambito”.
Maurizio Meloni
35 anni, sicurezza e accompagnamento artisti, Roma
“Il concerto del Primo maggio a Roma sembra un piccolo
paese costruito in una settimana, fatto di legno e ferro.
Poi legno e ferro si mettono a parlare e a suonare”.
Marco Scolese
26 anni, autista precario, Treviso
“I miei ricordi più belli sono legati all’infanzia a Vittoria,
in Sicilia. Passavo le giornate a giocare nei campi con i miei
cugini. È stato facile imparare a fare gli ingegneri perché
costruivamo giocattoli. Giocando abbiamo imparato molti
lavori. A Treviso mi manca la solidarietà spontanea che si crea
con la coscienza di vivere in una comunità. Qui al Nord
la condivisione è così rara che si studia persino all’università”.
Sergio Grange
60 anni, manovratore della funivia in pensione,
La Palud Courmayeur (Aosta)
“Da mio padre Silvio non ho ereditato solo un mestiere.
Ho ereditato un sistema di valori come la solidarietà,
fondamentale soprattutto in montagna, dove il pericolo
è sempre in agguato”.
Silvio Grange
87 anni, manovratore della funivia in pensione,
La Palud Courmayeur (Aosta)
“Neanche il mulo voleva arrivare in cima alla montagna.
E noi eravamo costretti a portare i materiali e i viveri a spalla
fino al rifugio. Che fatica! Come si poteva vivere senza
la funivia?”.
Giuliano Montibeller
45 anni, operaio cavatore, Albiano (Trento)
“Oggi l’alternativa è lavorare in proprio. Nelle cave non
vogliono più operai ma imprenditori del porfido. In poche
parole uno fa l’operaio con le regole dell’artigiano:
ci vogliono due marche da bollo e una mattinata per andare
a Trento a iscriversi all’ufficio Iva. In dieci anni 3-400
operai hanno dovuto trasformarsi in imprenditori e adesso
si trovano in acque agitate, perché le coperture in banca
sono irrisorie, la disponibilità finanziaria è nulla.
Tutta la Valsugana è piena di pseudoimprenditori”.

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  • 1. Lisa Ferri 32 anni, operaia Fiat, Termoli (Campobasso) “Tutti quei macchinari, la ripetizione, quei robot. Appena entrata in fabbrica mi sono chiesta: ‘Dove mi trovo?’. Questo lavoro ti costringe ai turni e alle levatacce, ma alla fine del mese hai uno stipendio e puoi fare progetti. Ho conosciuto molti ragazzi interinali, della mia stessa età, che non possono permettersi neanche una macchina. È destabilizzante. Trenta anni fa le persone sapevano che un giorno sarebbero arrivati alla pensione, noi oggi abbiamo un po’ paura”. Irma Siroci 86 anni, pensionata, Lugo (Ravenna) “Durante la Resistenza ho combattuto accanto ai partigiani. Noi ragazze facevamo le vedette e controllavamo che non arrivassero i tedeschi. L’entusiasmo e la voglia di libertà erano più forti della paura. Purtroppo oggi siamo diventati borghesucci con piccole aspirazioni”. Ida Cavallini 80 anni, pensionata, Lugo (Ravenna) “Le donne sono state fondamentali per la rinascita civile del nostro Paese. Abbiamo lottato per la scuola e per la parità tra i sessi, senza mai vergognarci se non sapevamo fare bene la nostra firma”. Arturo Manes 37 anni, operaio Fiat, Termoli (Campobasso) “Con Lisa ci siamo conosciuti al tornello, dove si struscia il tesserino. Molti si sono conosciuti lì. E ci siamo sposati. Non abbiamo gli stessi turni. Alcune settimane ci ritroviamo, per poi perderci di nuovo”.
  • 2. “Siamo tornati indietro rispetto al passato, per il lavoro precario, per la sicurezza, per l’arroganza”.
  • 3. Marco Saveri 35 anni, maniscalco del Corpo forestale dello Stato, Palazzo Radicondoli (Siena) “Ferrare il cavallo, specie quando è puledro, ti dà la sensazione di aiutarlo a camminare bene, è come prendersi cura di lui nel suo habitat. Ti gratifica dentro. La voglia di fare il maniscalco mi è venuta per gioco. Dopo tanti anni e tanti lavori per trovare la mia strada ero infelice. Con i cavalli instauro un rapporto diverso che con le persone, più puro e più intenso”. Marco Morosini 33 anni, designer e fotografo, Pesaro “Tutte le mattine mi alzo e ho voglia di fare questo mestiere. Spesso di notte quando dormo il cervello continua a pensare, pensare. E quando mi sveglio, scrivo le idee su un blocco degli appunti: basta un segno, uno scarabocchio e mi ricordo subito tutto. Forse quello che mi spinge è la voglia di creare qualcosa di bello, di piacevole e armonioso. Ora ho uno studio mio, una clientela internazionale, porto avanti progetti artistici, mi ritengo molto fortunato. Quando ho dovuto ricominciare da capo, da solo, sono ripartito dall’arte, che mi ha aiutato tanto perché è un mezzo di espressione e quindi anche di sfogo. Ma in Italia nessuno ti aiuta, lo Stato non ti dà alcuna agevolazione, chessò, uno sconto sulle tasse”.
  • 4. Antonio Tombolini 45 anni, imprenditore, Loreto (Ancona) “Il Web è un posto nuovo che prima non c’era. È un posto dove puoi fare conversazioni che prima non potevi fare, dove puoi incontrare persone che prima non avresti mai incontrato. Una risorsa straordinaria, insomma, da tutti i punti di vista. Nella rete devi essere autentico: se non lo sei, se ne accorgono subito. I rapporti sono paritari: non ci sono filtri, le relazioni sono a tu per tu. E poi è un posto inesplorato, di cui conosciamo ancora pochissimo, di cui ogni giorno disegniamo un pezzetto di mappa in più. Io di Internet mi sono letteralmente innamorato, come ci si innamora di un posto. Capita sai, quando viaggi, di trovare un luogo dove vorresti rimanere per il resto dei tuoi giorni. Ecco, io ho visto la rete e ho deciso di rimanerci per il resto dei miei giorni. Questo non significa che mi alieno: vivo con la mia famiglia e amo stare con i miei figli. Ma da otto anni vivo anche nel Web e voglio continuare a viverci perché la qualità umana che mi è stata regalata dalle relazioni è straordinaria e non ci voglio rinunciare. Anzi. Voglio starci ancora di più e più consapevolmente, per focalizzarmi sulla rete come punto di contatto tra le marginalità”. Serena Mancini 33 anni, ufficio stampa del sito Yoox.com, Milano “Contaminazione: è questo lo stimolo che mi spinge a lavorare. Inizialmente volevo restaurare mobili, poi mi sono ritrovata a studiare architettura, il mio primo lavoro è stato fare la giornalista. Ora lavoro per una società di e-commerce. Domani? Non lo so, vedremo”. Franco Ciappa 56 anni, ex operaio, giornalista di Radio Popolare, Milano “Andavo in fabbrica nascondendo in tasca un registratore. Ero pronto a rubare le voci dei lavoratori e delle contestazioni. Poi, alla fine del turno correvo in radio per trasmetterle. Oggi sono un giornalista di Radio Popolare, ma dopo 33 anni mi sento ancora un operaio. Non voglio fare l’editorialista, voglio raccontare le persone con la sensibilità di chi ha lottato per i diritti e per migliorare la propria condizione”.
  • 5. Marco Cesta 43 anni, insegnante, Roma “Tempo fa a una conferenza si parlava dei bambini soldato in Africa. Un ragazzo si alzò e chiese: ‘Ma noi che possiamo fare?’. Il relatore, che era un missionario comboniano, disse molto semplicemente: ‘Voi dovreste consumare di meno’. Calò il gelo. Erano tutte terze medie, ragazzi di 13 anni con le facce perplesse. In classe abbiamo approfondito il tema, cosa significa consumare di meno, come il consumo è legato al resto. Dei bambini costretti a uccidere, dei bambini schiavizzati non si parla in tv se non a mezzanotte, quando i ragazzi sono a letto. Ma la scuola può dare delle sollecitazioni che a casa non ci sono. La scuola è uno degli ultimi baluardi rimasti”.
  • 6. Patrizio Di Nicola 49 anni, docente universitario, Roma “Ci sono due sindacati dentro il sindacato. C’è quello pubblico, la grande organizzazione di Trentin, di Epifani e dei grandi leader che vedi in televisione. E c’è il sindacato del delegato di fabbrica, quel signore di 50 anni che sta in fabbrica da quando ne aveva 15, che è stato cacciato via ed è stato riassunto. I lavoratori non si iscrivono al sindacato dei grandi leader, si iscrivono al sindacato del loro delegato di fabbrica. È questa la vera base. Il sindacato lontano fa le politiche dei redditi, un lavoro indispensabile. Ma le persone si iscrivono al sindacato vicino, si fidano del loro sindacalista, di quel signore tanto amato: quando se ne va lui il sindacato in quella fabbrica ha un tracollo”. Luca Smeriglio 38 anni, corniciaio, Torino “Quando vengono da me i clienti sono rilassati, vivono il momento della scelta della cornice, della tipologia, del colore, come un’occasione di svago. I tempi di consegna sono lunghi, perché non c’è mai l’urgenza di avere a tutti i costi un quadro incorniciato per il giorno dopo. Questo mi consente di lavorare con estrema tranquillità. Magari sotto Natale capita che vengano il 23 e vogliano il lavoro pronto per il 24 dicembre. E allora sì che bisogna correre”. Giovanni Duranti 50 anni, pony express, Roma “Faccio il pony express da 16 anni. Si può dire che vivo la strada, ho un buon punto di osservazione per vedere e valutare la società. Che cosa è cambiato in tutto questo tempo? Come dice il conte Salina del Gattopardo: ‘Bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è’”.
  • 7. Saverio Cardini 38 anni, controllore del traffico aereo, Linate (Milano) “Siamo sempre con la valigia pronta, viviamo una sorta di incertezza anche nella quotidianità. Non ho ancora capito se mia moglie ha accettato questo stato di cose o se mi sopporta”. Floriano Rotini 51 anni, operaio, Terni “La tecnologia non era quella di oggi. Quando sono entrato in fabbrica io si lavorava veramente, e il lavoro era manuale. Al termine delle otto ore si era stanchi, non mentalmente ma fisicamente. Uno dei grossi problemi del reparto era la temperatura: d’estate si superavano i 40 gradi, d’inverno si scendeva sotto ai cinque. Con il passare degli anni sono state messe delle stufette elettriche attaccate al soffitto del capannone. Immaginatevi come poteva essere l’ambiente”.
  • 8. Angelo Baj 46 anni, direttore di produzione di concerti e spettacoli, Roma “Ho vissuto il periodo del ‘sex, drug e rock and roll’ e non mi vergogno a confessarlo. Chi dichiara di aver lavorato in questo ambiente senza aver avuto una vita disordinata è semplicemente un bugiardo. Poi però sono maturato e mi sono accorto che il mondo della produzione non ha garanzie sindacali né sociali. Adesso conduco la vita che fanno tutti. Ma è l’adrenalina che mi spinge a continuare. Quella che sale quando dalla cassa esce la prima nota e capisci che tutto è andato bene”. Pepi Morgia 55 anni, organizzatore di concerti e manager di artisti, Roma “Alcune volte mi sento un pacco postale: viaggio in tutto il mondo senza mai vedere le città dove mi trovo. Nelle trasferte l’unica cosa che vedo sono albergo, location e palco. Guadagno molto? Più che altro non ho molte occasioni per spendere”.
  • 9. Vincenzo Borgo 62 anni, disoccupato, Napoli “Vivo in strada da 15 anni. Avete qualche spicciolo per un piatto di maccheroni?”. Renato Migotti 58 anni, architetto, fondatore dell’Associazione superstiti del Vajont, Longarone (Belluno) “Nei quaderni delle elementari avevo messo le fotografie e i disegni della diga del Vajont, all’epoca in costruzione. Dovevamo essere orgogliosi, perché nel nostro paese avrebbero costruito la diga più grande del mondo: così ci dicevano i maestri, e noi ci credevamo. Poi è arrivato il disastro. Si è spento l’interruttore. La storia si è fermata. La memoria paralizzata. Per anni la gente ha preferito ricostruire anziché ricordare. Ora con la nostra associazione cerchiamo di non far dimenticare. Per fortuna ci sono persone come Marco Paolini che con le loro opere continuano a tenere alti il ricordo e l’attenzione”. Federico Marchetti 36 anni, imprenditore fondatore di Yoox.com, Milano “Il 21 marzo 2000, mentre viaggiavo in Eurostar, con un milione e mezzo di euro in banca, la prima parte del finanziamento per la mia nuova società, conobbi Miss Venezuela. Mi invitò a seguirla a Roma... A Bologna, però, mi aspettava il notaio per firmare la costituzione della società. Che cosa ho fatto? Ho rinunciato a Miss Venezuela e sono sceso a Bologna. Ero convinto che il mio progetto più forte di così non poteva essere”. Luigi Russo 48 anni, direttore organizzativo del Ferrara Buskers Festival, Ferrara “La cosa che amo di più è far iniziare le cose. Quando le situazioni sono nuove, rischiose, improbabili, io mi ci butto. Credo che sia la malattia di chi fa l’organizzatore. Diciotto anni fa pensare di vivere con l’arte di strada a Ferrara era una pazzia. Quindi bisogna essere matti per inventare una cosa come il Ferrara Buskers Festival. Una volta gli artisti di strada erano considerati alla stregua dei barboni e mendicanti: ma l’artista non fa leva sulla pietà, offre solo divertimento ed emozioni in cambio di un obolo”. Alberto Hesse 87 anni, imprenditore del caffè, ex pilota di caccia, Trieste “Quando chiesi a mio padre i soldi per il brevetto da pilota mi disse: ‘Aeronautica? Ma lo sai che la sceglie chi non ha più niente da sperare nella vita?’. Invece gli anni in cui sono stato pilota di caccia, dal ’40 al ’46, li considero i più belli della mia vita. Ogni giorno atterravo in un posto diverso, dormivo in un letto sempre diverso. Durante il combattimento succedevano cose che non riuscivi più a seguire: aerei che ti passavano davanti, che sparivano, che andavano su e giù. Era come un’ubriacatura”.
  • 10. Claudio Bacci 49 anni, maestro soffiatore, Murano (Venezia) “Anche Murano soffre per la concorrenza della Cina. La crisi ci ha costretto a cambiare alcuni prodotti, che lì non riescono a copiare, almeno per ora. I calici, per esempio, li facciamo con il manico di un colore e il gambo di un altro. Tanti pezzi dei servizi da tavola li abbiamo eliminati perché non vanno. Come sono i prodotti di importazione? Non male, a dire la verità, anche se per fortuna i cinesi non riescono a eguagliare la qualità del vetro di Murano. Il nostro cristallo è inarrivabile: è più bello e senza troppi difetti”. Francesco Dominici 27 anni, dirigente d’azienda, Poggibonsi (Siena) “In questa azienda nessuno ha un suo ruolo preciso, ognuno si adatta a fare un po’ di tutto, io, mio padre, l’ultimo dipendente. Quando è possibile, ci consultiamo. Per esempio, chi lavora a una macchina può dare la sua opinione su come organizzare l’isola nella quale è impegnato, chi sta nel reparto tecnico fornirà il suo parere su come sviluppare un prodotto, lo stesso potrà fare chi sta in ufficio. Quindi il rapporto è amichevole e collaborativo”.
  • 11. Fabio Calabrò 45 anni, artista di strada, Ferrara “La strada è il tuo palco: ci sei tu che racconti sciocchezze e speri che qualcuno le ascolti. La sensazione? È come buttarsi nel vuoto, sperando che qualcuno ti venga a raccogliere. La gente spesso è disposta a raccoglierti ma se cadi e fai un bel tonfo, almeno ride”. Beppe Boron 45 anni, artista di strada, Ferrara “Lavoravo in un ufficio. In una giornata grigia e fredda sono stramazzato a terra. Diagnosi: esaurimento nervoso. Forse il lavoro d’ufficio non faceva per me. Poiché suonavo il sassofono da 4-5 anni mi sono detto: ‘Vabbé, proviamoci’. Ed eccomi qua. Non esiste emozione più forte”. Stefano Bottoni 56 anni, direttore artistico del Ferrara Buskers Festival, Ferrara “Sono un artigiano da sempre, lavoro il ferro battuto. Quando mi chiedono che c’entra un fabbro con la direzione artistica del festival, rispondo che porto a casa mia, a Ferrara, un mondo artigianale e fantastico. Io traghetto nella mia parte pigra dell’universo i musicisti di Cuba, del Brasile, dell’Europa. Come un piccolo Caronte”. Monica Forti 46 anni, giornalista, organizzatrice e ufficio stampa del Ferrara Buskers Festival, Ferrara “Organizzare un festival di artisti di strada è faticosissimo. Nel momento clou il fisico fa acqua da tutte le parti, la stanchezza ha il sopravvento, i neuroni rimangono in mutande. E alla fine sei così stremato che desideri solo silenzio. Ma quando il silenzio arriva, entri in uno stato di depressione. Per noi è la normale fase del post-festival. Lavorando a contatto con gli artisti di strada, ho imparato a smitizzare la loro filosofia di vita: sono persone molto normali, solo che viaggiano un po’ più di noi. Hanno i nostri stessi problemi economici e la stessa stanchezza. E, alle spalle, molto studio”.
  • 12. Laura Audi 37 anni, operatrice turistica, Torino “Amo Torino, città magica e città sotterranea. Questo amore, insieme a una certa preparazione, una discreta cultura umanistica e una buona conoscenza del settore, ha spinto me e la mia socia a inventare itinerari turistici alternativi a tema. Nessun’altra città, credo, ha un’immagine così caratterizzata, così fortemente condizionata dalla presenza di un’azienda. Eppure, noi abbiamo scoperto e facciamo scoprire ai turisti una città insolita e inaspettata. Dalle nostre ricerche sui libri e sul campo è nato il percorso della Torino ebraica: basta leggere nelle pieghe della storia ufficiale per trovare la quotidianità del passato, dettagli che raccontano la vita di tutti i giorni”. Mauro Forbicini 31 anni, animatore, Riccione (Rimini) “Da piccolo pensavo che avrei seguito le orme di mio padre, che sarei diventato assicuratore. Poi ho iniziato a fare il dee-jay e sono finito animatore di villaggi. Se mi dicessero che per campare fra dieci anni devo lavorare nelle assicurazioni sarebbe durissima. Ormai sono abituato all’idea di stare in calzoncini e maglietta, con il sorriso sulla bocca, in mezzo alla gente”. Fabrizio Cuniberti 34 anni, ex prete, operatore del settore equo e solidale, Torino “Sono entrato in seminario dopo la maturità classica. Avevo sempre desiderato fare qualcosa per gli altri. Dopo sei anni vissuti in comunità mi sono fatto prete. A un certo punto ho scoperto la distinzione tra l’essere prete e fare il prete. E mi sono reso conto che stavo facendo il prete. Stavo vivendo una condizione interessante, forte dal punto di vista missionario, ma la mia dimensione personale ed esistenziale richiedeva cose sulle quali ero in conflitto. Non mi sentivo sereno. Lasciare il ministero sacerdotale è stata una decisione lunga, che ha richiesto alcuni mesi, un percorso graduale che da un punto di vista burocratico è ancora in evoluzione. La possibilità di restare prete senza essere felice c’era, tutto sommato. Bastava che io fossi in grado di gestire e nascondere alcuni miei bisogni”. Alessia Luperi 29 anni, pittrice e cameriera, Bolgheri (Livorno) “Ho un’attrazione spasmodica per i colori. Da piccola passavo ore a fissare un vaso di fiori. Poi ho capito che la pittura è il mio linguaggio. Non ci campo e neanche ci voglio campare. L’arte non è commerciabile, i sentimenti non sono commerciabili, non puoi dire quanto vale la frase ‘ti amo’. Per vivere lavoro nella bottega di mia sorella: faccio panini, servo bicchieri di vino. Non mi dispiace perché credo che arte, cibo e vino siano un tutt’uno”.
  • 13. Ermanno Labianca 44 anni, autore televisivo e giornalista, Roma “Lavorare al concerto del Primo maggio è frenetico ma hai modo di assistere a scambi e sguardi tra artisti che non sapevano di assomigliarsi. Il divertimento sta in questo: vederli insieme e creare uno spettacolo che unisce e rallegra”. Antonio “Toni” Soddu 48 anni, direttore di palco di concerti e spettacoli, Roma “Questo è un mondo fatto da battitori liberi. Anche se i rapporti umani sono sempre buoni, è un ambiente decisamente individualista. Non ci sono scuole, per imparare devi usare gli occhi e rubare quello che puoi”. Max Benedetti 35 anni, responsabile vendite e marketing di Yoox.com, Bologna “Come si diventa imprenditori? Dipende. In passato ci voleva la grana, con la new economy sono indispensabili le idee”. Maurizio “Ciccio” De Lazzari 49 anni, direttore di produzione di concerti e spettacoli, Roma “Nel mondo dello spettacolo c’è chi guadagna tanto e chi veramente poco. Dipende dalla logica del mercato, come in ogni tipo di lavoro. Se le economie fossero gestite in modo diverso, ci sarebbe una vera crescita del sistema”. Jessica Guastella 32 anni, assistente di produzione di concerti e spettacoli, Roma “Per una donna non è facile emergere in questo settore perché è un ambiente molto maschile. Alcune volte mi manca la normalità, ma quando provo a staccare mi rendo conto che questo mondo mi attrae come una calamita, con i suoi personaggi pittoreschi e l’adrenalina”. Gilberto Floriano 57 anni, bibliotecario, Vibo Valentia “La società calabrese è basata sui centri di potere: la famiglia, la politica, l’amministrazione pubblica. Per non rimanere soffocate molto spesso le persone scappano. Ma per combattere queste gerarchie esiste un’arma: l’istruzione. Con il mio lavoro cerco di offrire a tutti strumenti per conoscere e informarsi. Come mi considerano gli altri? Un grande rompicoglioni”.
  • 14. Giuseppe Piferi 60 anni, tostatore di caffè, Roma “A chi mi dice: ‘Quando bevo caffé non dormo’, io rispondo: ‘Quando dormo non bevo caffè’. Il profumo del caffé mentre tosta è la mia droga. Non riesco proprio a stare lontano dalla macchina per tostare. Credo che non avrò mai voglia di andare in pensione, neanche tra vent’anni”. Sabina Giuliano 48 anni, modista del teatro Alla Scala, Milano “Quando finisco di realizzare i costumi di uno spettacolo sono ansiosa di vedere il risultato in scena. E se lo spettacolo va bene, sono felice perché anche il mio lavoro fa parte di quel successo. La cosa peggiore, invece, è lavorare su rappresentazioni che poi non funzionano e che non vedranno mai la luce. Ma fa parte del gioco”.
  • 15. “Lo dice anche la Costituzione: tutti hanno diritto a un posto di lavoro, ciascuno secondo le proprie possibilità, e, aggiungo io, secondo le proprie funzionalità che possono cambiare in relazione a ciò che ti capita nella vita”.
  • 16. Lucia Silletti 30 anni, commessa, Roma “Dopo un anno come commessa al negozio Camper, quando il mio contributo si era esaurito, sono stata relegata nell’angolo: forse non servivo più, c’era il timore che potessi fare le scarpe a qualcuno. Ho cominciato a stare male, era un continuo piangere. Non sapevo che cosa fosse questo emarginare una persona o sovraccaricarla di lavoro. Ho scoperto che si chiamava mobbing. Il mio disagio era anche fisico, perché l’ansia ti porta a non dormire la notte, a dover chiedere aiuto a qualcuno perché ti rendi conto che ti tremano le gambe quando devi salire in macchina per andare al lavoro. Ti accorgi che non riesci ad affrontare nemmeno una piccola discussione con un collega, che non ti senti a tuo agio quando sei in pausa pranzo, si organizza l’uscita e tu non ci vuoi essere. Se non mi sono ammalata c’è mancato poco. Stavo per mollare. Per fortuna ho trovato il sostegno della Cgil che mi ha accolto a braccia aperte. Sono riuscita a riscattarmi: sono andata via ma a testa alta, ho perso il lavoro ma non ho perso la dignità”. Enza Pallara 46 anni, collaudatrice Ducati, Bologna “Si dovrebbe sfatare il mito che donne e motori non vanno d’accordo. La mia passione è stata più forte del pregiudizio e con orgoglio posso dire che per lavoro faccio ciò che più mi piace: guidare le moto. Qual è il valore aggiunto che mettono le donne in questo mestiere? La voglia di fare le cose per bene, con la massima precisione”.
  • 17. Luigi Binetti 67 anni, produttore di futon, Arezzo “Ho 67 anni e se dicessi che lavoro sempre con passione, sarebbe una bugia. Spesso non ne ho proprio voglia, ma ci sono costretto. Ho avuto una vita lavorativa disordinata e così non ho i numeri per ottenere la pensione. Ho lavorato in banca, ho venduto case, ho fatto il restauratore, sono stato funzionario del Pci, ho vissuto in diverse comunità spirituali. È lì che ho imparato a fare i futon. Noi usiamo solo cotone biologico, legno massello, vernici atossiche: l’intento è mantenere un livello di qualità elevato”.
  • 18. Bruna Cibrario 48 anni, progettista all’Alenia Spazio, Caselle (Torino) “Sono diventata ingegnere per sfida e ho avuto l’opportunità di lavorare in un’azienda che produce alta tecnologia. Ho partecipato alla missione del satellite Tethered: ero nella sala di controllo della Nasa a Houston, a sentire in cuffia il dialogo tra l’astronauta e il centro a terra. È stata un’esperienza notevole, una di quelle che ti danno il senso di come imprese che sembrano pura fantascienza in realtà vengono dal lavoro degli uomini, dei singoli, ciascuno con il proprio contributo. Ho sempre creduto nel valore del lavoro come forma di realizzazione della persona. Io sono riuscita a realizzarmi, ma mi rendo conto di essere una privilegiata. Sono fermamente convinta che una società per dirsi avanzata debba offrire a tutti l’accesso alla cultura, alla formazione e al sapere”. Annarita Pardi 47 anni, igienista dentale, Chieti “Il terrore per il dentista ce l’abbiamo inciso nel Dna fin dalla nascita: ogni volta che un paziente entra nel nostro studio, subisce un piccolo trauma. Quando si siedono sulla poltrona le persone cercano sempre di allungare i tempi, come se volessero rimandare la seduta. Ma soprattutto sentono il bisogno di parlare tanto e, neanche fossero dallo psicologo, buttano fuori fiumi e fiumi di racconti personali. Probabilmente sentono il nostro calore e si rilassano. C’è un medico che appena si siede sulla poltrona si addormenta a bocca aperta. E una signora di Pescara che prima di sdraiarsi si toglie sempre le scarpe”.
  • 19. Luca Zanardi 36 anni, operaio, Correggio (Reggio Emilia) “Con la paura non si va da nessuna parte. Io ho iniziato l’attività sindacale quando avevo un contratto a termine. Molti mi hanno preso per pazzo, avevano paura che potessi perdere il posto. Ma le persone che hanno dato vita al sindacato avevano ancora meno diritti dei nostri, e sono riusciti a rivendicare diritti universali. Perché i lavoratori di oggi non dovrebbero comportarsi allo stesso modo?”. Fabienne Forlini 49 anni, operaia Cirio, Podenzano (Piacenza) “Amo la manualità, ma detesto la monotonia. Quando devo fare sempre lo stesso gesto mi astraggo, penso ad altre cose, faccio progetti. Di che tipo? A breve termine, la gita del prossimo week-end, cosa farò a Natale... Questa è una fabbrica di trasformazione del pomodoro, d’estate lo trasformiamo in cubetti e concentrato, nel resto dell’anno facciamo i sughi pronti, le conserve, i legumi. I pomodori, a furia di vederli, mi hanno stufata. Certo, a volte aprire un sugo pronto può essere molto comodo, specie quando hai fretta”. Adolfo Marletta 56 anni, pizzaiolo, Napoli “Amo la pizza come si amano le donne. Io non mi sono mai sposato perché non ho trovato la ragazza giusta. Però ho sposato la pizza, che è stata la mia vita”.
  • 20. Mirko Boschetto 36 anni, rigger, Roma “Questo è un mestiere vero, solo per professionisti. Sono felice di farlo, anche se non dormo da tre giorni, anche se per la stanchezza ho avuto incidenti d’auto. È la passione che mi frega”. Giovanni Cirri 44 anni, operaio, Genova “A dare il tempo e scandire i ritmi di lavoro è la merce: le navi arrivano, devono esser sbarcate il più presto possibile, perché devono ripartire il più presto possibile, per poi tornare. Tu ti ritrovi schiacciato in questo ingranaggio brutale, ti devi adeguare. Come quegli animali che quando cambia l’habitat per sopravvivere si devono adattare: l’operaio portuale ha fatto lo stesso”. Antonio Cicchetti 55 anni, turnista idraulico alla diga del Pertusillo, Agri (Potenza) “Credo proprio di essere un tipo solitario. Infatti, non mi pesa affatto stare da solo, come spesso mi capita con questo lavoro. Sto immerso nella natura, parlo con me stesso e se sono arrabbiato posso anche urlare: tanto nessuno mi sente, nessuno mi vede. Poi c’è lo spettacolo dei colori dell’alba. Vivere questi spazi è meraviglioso”.
  • 21. Filomena Mirabelli 46 anni, casalinga, Pagliarelle (Crotone) “Quando ti sposi il prete ti dice che quello che Dio unisce, nessuno può dividere. Ma non è vero! L’emigrazione ci riesce benissimo. Mio marito lavora in galleria per la costruzione dell’alta velocità e ci vediamo meno di una volta al mese. E nella mia situazione si trovano molte altre. Pagliarelle è il paese delle donne sole”. Zahra Afshar 40 anni, medico degli immigrati, Jesi (Ancona) “Capire le persone è la parte più importante del mio lavoro. I pazienti che curo non sono tutti uguali: ognuno ha il suo concetto di salute e malattia, la sua idea di servizio sanitario, diversa a seconda della nazionalità. Quello che mi preme è guadagnarmi la loro fiducia, ma non è affatto facile perché spesso hanno paura anche dei medici”. Alida Truppa 25 anni, commessa Feltrinelli e fotografa, Roma “Vivo ancora con i miei perché il mio stipendio da part-time non mi permette di rendermi indipendente. Lavoro soprattutto per pagare le spese della mia grande passione: la fotografia. Spero che un giorno potrà essere il mio mestiere al 100 per cento”. Bella Alejandrina Alonzo Gonzales 40 anni, impiegata, Genova “Mi sento un ibrido. Amo i vicoli di Genova, amo la pasta al pesto, ma allo stesso tempo amo il mio Paese, il mio mare, la mia famiglia d’origine. Quando sono arrivata qui dall’Ecuador la prima preoccupazione è stata imparare la lingua e la cultura italiana, conoscenza che si è rivelata fondamentale per aiutare connazionali e immigrati. Oltre a lavorare, infatti, aiuto le donne extracomunitarie a riacquistare una dignità”. Mariateresa Fantasia 24 anni, lavoratrice precaria, Crotone “Ho la valigia pronta: domani sarò a Milano, nuovo lavoro, nuova vita. Dopo diversi impieghi precari ho deciso di partire”. Agatina Filice 39 anni, casalinga, Pagliarelle (Crotone) “Mi chiedo spesso se ho fatto bene a sposarmi. Mio marito lavora lontano da casa, torna da noi sì e no una volta al mese. Quando erano piccoli i miei figli non lo riconoscevano, anch’io penso di non conoscerlo. Questa non era la vita familiare che sognavo da ragazza”. Laura Cassandra Cosa 26 anni, cameriera e studentessa, Torino “Certe volte ho l’impressione che i miei genitori si vergognino del mio lavoro di cameriera, ma per me è solo un modo per mettere da parte un po’ di soldi. Tra qualche mese sarò laureata, vedremo che succede”. Stella De Vito 47 anni, casalinga, Amaroni (Catanzaro) “Alle porte del mio paese c’è un cimitero. Per noi è una linea di confine: quando la oltrepassi vuol dire che te ne stai andando. Il giorno della partenza mi sono guardata indietro, ho visto i cipressi allontanarsi, ho pianto di nostalgia e felicità. Avevo 20 anni e tanta voglia di fare esperienza. Il mio paese mi stava stretto, e quando mio marito mi ha proposto di seguirlo a Roma, non ho esitato neppure per un momento”.
  • 22. Enrico Barbuti 49 anni, impiegato Parmalat, Parma “Ero il figlio del farmacista di un paesino di montagna: la mia strada era già tracciata. Frequentavo ancora il liceo quando ho deciso di interrompere gli studi per cercare lavoro. Dopo anni non mi pento della mia scelta perché la fabbrica è stata la migliore università. I primi tempi sono stati duri: il lavoro manuale è faticoso. Ho visto crescere l’azienda fino a diventare una multinazionale, il fiore all’occhiello dell’economia agro-alimentare italiana. Con gli altri dipendenti Parmalat ci siamo sempre considerati dei privilegiati, un sogno che è durato per quasi trent’anni. Poi c’è stato il crack. E la mattina dopo ci siamo svegliati più poveri. Alla sera uscivamo dalla fabbrica e non sapevamo se il giorno successivo l’avremmo trovata aperta. È stato un periodo di grande incertezza. Il sindacato, di cui faccio parte con orgoglio fin dal primo giorno, si è dimostrato responsabile: tutti uniti per salvare l’azienda e i posti di lavoro”. Giuseppe Fallacara 55 anni, carpentiere Fantuzzi Reggiane, Reggio Emilia “Sono entrato alle Reggiane sulla scia dei racconti delle gloriose lotte degli anni Cinquanta. Per me le Reggiane avevano un fascino irresistibile. Mi sono appassionato alla politica, mi sono iscritto al sindacato, ho iniziato a lavorare per migliorare le cose in fabbrica. Alle lotte degli anni Cinquanta è seguito un periodo che si potrebbe definire di repressione: i lavoratori venivano scelti accuratamente, non dovevano fare tanto rumore, dovevano solo lavorare, niente sindacato, niente politica. Poi le cose sono cambiate, alla fine degli anni Sessanta, inizi anni Settanta. Siamo riusciti a ottenere, pensate… la mensa, l’abolizione del cottimo, il miglioramento delle condizioni di lavoro”.
  • 23. Roberto “Bob” Grassi 50 anni, light designer, Roma “I problemi nascono quando passi dalla carta all’acciaio, dal progetto alla concretezza. Se trovi un inconveniente ti devi arrangiare. Gli imprevisti sono da mettere sempre in conto, fanno parte del gioco. Il palco è la mia casa, tanto che spesso ho portato in tournée anche mia moglie e mio figlio”.
  • 24. Andrea Ricciardi 24 anni, portuale, Livorno “Con la prima busta paga ho chiesto un finanziamento per comprare la macchina, che non ho ancora finito di pagare. Per adesso voglio usare i miei soldi per divertirmi, fino a quando non metterò su famiglia”. Giordano Mannocci 25 anni, portuale, Livorno “Con il primo stipendio sono corso a comprare un motorino nuovo, il vecchio era rotto. Quando parlo con i miei amici mi rendo conto che sono un privilegiato: mi invidiano perché il lavoro al porto è piuttosto ambito”. Maurizio Meloni 35 anni, sicurezza e accompagnamento artisti, Roma “Il concerto del Primo maggio a Roma sembra un piccolo paese costruito in una settimana, fatto di legno e ferro. Poi legno e ferro si mettono a parlare e a suonare”. Marco Scolese 26 anni, autista precario, Treviso “I miei ricordi più belli sono legati all’infanzia a Vittoria, in Sicilia. Passavo le giornate a giocare nei campi con i miei cugini. È stato facile imparare a fare gli ingegneri perché costruivamo giocattoli. Giocando abbiamo imparato molti lavori. A Treviso mi manca la solidarietà spontanea che si crea con la coscienza di vivere in una comunità. Qui al Nord la condivisione è così rara che si studia persino all’università”.
  • 25. Sergio Grange 60 anni, manovratore della funivia in pensione, La Palud Courmayeur (Aosta) “Da mio padre Silvio non ho ereditato solo un mestiere. Ho ereditato un sistema di valori come la solidarietà, fondamentale soprattutto in montagna, dove il pericolo è sempre in agguato”. Silvio Grange 87 anni, manovratore della funivia in pensione, La Palud Courmayeur (Aosta) “Neanche il mulo voleva arrivare in cima alla montagna. E noi eravamo costretti a portare i materiali e i viveri a spalla fino al rifugio. Che fatica! Come si poteva vivere senza la funivia?”.
  • 26. Giuliano Montibeller 45 anni, operaio cavatore, Albiano (Trento) “Oggi l’alternativa è lavorare in proprio. Nelle cave non vogliono più operai ma imprenditori del porfido. In poche parole uno fa l’operaio con le regole dell’artigiano: ci vogliono due marche da bollo e una mattinata per andare a Trento a iscriversi all’ufficio Iva. In dieci anni 3-400 operai hanno dovuto trasformarsi in imprenditori e adesso si trovano in acque agitate, perché le coperture in banca sono irrisorie, la disponibilità finanziaria è nulla. Tutta la Valsugana è piena di pseudoimprenditori”.