Violazione della privacy. Condizioni per la risarcibilità del danno. La violazione dei dati personali utilizzati dal titolare o da chiunque in modo illecito o scorretto sono il presupposto su cui l'interessato può chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale.

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Le informazioni qui contenute hanno esclusivamente scopo informativo,
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Le informazioni contenute non intendono e non devono in alcun modo
sostituire il rapporto diretto professionista-cliente o la consulenza
specialistica.
Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio avvocato e/o di
specialisti riguardo qualsiasi attività da intraprendere in ambito legale e
GDPR.
NB. Il presente elaborato non riassume completamente l’argomento
trattato.
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Studio Legale
Avv. Pietro Bilotta
Via T. Augruso n°6- 88022 Curinga (cz)
Cell. 3333081936
pietro.bilotta@avvlamezia.legalmail.it
RISARCIMENTO DEL DANNO
‘‘VIOLAZIONE DELLA PRIVACY’’

2. DIRITTO AL RISARCIMANTO
L'art. 82 del GDPR stabilisce il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e
morali conseguenti alla violazione dei dati personali.
L’articolo prevede come soggetti legittimati passivi delle azioni di
risarcimento dei danni alla privacy: il titolare e/o il responsabile del
trattamento (compresi anche i contitolari e dei sub-responsabili).
In virtù del d.lgs. n. 101/2018, anche coloro che compiono materialmente
delle operazioni ricevendo istruzioni da parte del Titolare o del
Responsabile (i cd. soggetti autorizzati o designati al trattamento) sono
soggetti legittimati passivi delle azioni di risarcimento dei danni alla
privacy.
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L'art. 82 del Regolamento, allo stato, costituisce l'unica norma di diritto
sostanziale specifica che riconosce a chiunque il diritto al risarcimento del
danno conseguente l’illegittimo trattamento dei dati personali.
Nel nostro ordinamento giuridico il diritto ad ottenere il risarcimento dei
danni non patrimoniali viene riconosciuto a prescindere dalla circostanza
che la condotta, dalla quale è derivato il danno morale, integri o meno
un reato (art. 185 c.p.), artt. 2043 c.c. 2050 c.c..
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L'attività di trattamento dei dati è equiparata ad un'attività pericolosa (art.
2050 c.c.).
In ambito privacy la potenzialità offensiva sussiste e si estrinseca non solo in
un potenziale danno patrimoniale (es. furto di identità, illegittima
segnalazione a centrali rischi, ecc.) ma anche in un potenziale danno
morale, sovente connesso alla tutela dell'immagine, del decoro e della
dignità dell'essere umano.
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RESPONSABILI DEL DANNO
Il Regolamento individua ambiti di responsabilità differenti nei confronti
dei soggetti coinvolti in diversi ruoli in ambito privacy.
Il Titolare, infatti, è responsabile per i danni derivanti da qualsiasi
violazione degli obblighi previsti dal Regolamento.
Infatti, laddove il titolare è datore di lavoro, potrebbe rispondere per le
attività di trattamento dei dati personali poste in essere dai dipendenti
(art. 2049 c.c.).

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La giurisprudenza in materia di responsabilità per danni alla privacy in
applicazione degli art. 2050 c.c. e seg. ha affermato una responsabilità
solidale tra il datore di lavoro e gli incaricati al trattamento.
Le norme riportate nell'art. 82 GDPR e seg. di fatto si preoccupano di
garantire l'efficacia del risarcimento in favore dei soggetti lesi che saranno
liberi di chiamare in giudizio tutti i soggetti, ai quali può essere imputato il
danno, o solo alcuni di loro.
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In presenza di più soggetti responsabili o titolari opera un regime di
responsabilità pro-quota.
Tale impostazione risulta confermata dal considerando 146 che recita:
“Tuttavia, qualora essi siano riuniti negli stessi procedimenti giudiziari
conformemente al diritto degli Stati membri, il risarcimento può essere
ripartito in base alla responsabilità che ricade su ogni titolare del
trattamento o responsabile del trattamento per il danno cagionato dal
trattamento, a condizione che sia assicurato il pieno ed effettivo
risarcimento dell'interessato che ha subito il danno. Il titolare del
trattamento o il responsabile del trattamento che ha pagato l'intero
risarcimento del danno può successivamente proporre un'azione di
regresso contro altri titolari del trattamento o responsabili del trattamento
coinvolti nello stesso trattamento”.
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L'art. 82 GDPR consente al soggetto convenuto in giudizio di andare
esente da responsabilità se “dimostra che l'evento dannoso non gli è in
alcun modo imputabile”.
La prova della non imputabilità grava in capo al soggetto convenuto in
un'azione di risarcimento dei danni per violazione della privacy, che
dimostri come l'evento dannoso non è riconducibile ad una condotta
attiva o omissiva a lui collegabile in via diretta o indiretta.
Ricade, quindi, sul soggetto leso fornire in giudizio la prova dell'esistenza
del danno subito.
IMPUTABILITÀ DEL DANNO

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Peraltro, la giurisprudenza di legittimità conferma che l'onere probatorio,
grava in capo al soggetto che intende far valere in giudizio una
responsabilità per illegittimo trattamento di dati personali. In quanto essa
si estrinseca nell'obbligo di provare il danno la cui consistenza deve
essere oggetto di adeguata e proporzionata deduzione da parte del
soggetto interessato.
Quindi l'onere probatorio relativo al danno patrimoniale conseguente
da violazione di dati personali non si discosta dalle altre azioni risarcitorie
finalizzate ad ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale.
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Resta in capo al soggetto danneggiato provare il lucro cessante ed il
danno emergente derivante dalla condotta dei soggetti convenuti.
L’onere probatorio del danno non patrimoniale è previsto non solo in
presenza di un fatto che possa, in via astratta, essere giuridicamente
qualificato come reato, ma anche in tutti i casi in cui la legge prevede
espressamente il risarcimento del danno non patrimoniale nonché laddove
«il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona,
come tali oggetto di tutela costituzionale» (sentenza delle Sezioni Unite
della Suprema Corte dell'11 novembre 2008, n. 26972).
PROVA DEL DANNO

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In pratica grava sul soggetto danneggiato l'onere di provare in concreto,
mediante circostanze specifiche, la compromissione del suo diritto
personale ed il collegamento con la condotta illecita o il mancato
guadagno, riconducibile per il tramite del nesso eziologico alla lesione
medesima.
Intendendo così il danno come una conseguenza dell'illecito o
dell'inadempimento.
Il danno in re ipsa, orientamento di legittimità ormai superato, non consiste
più in una lesione intrinseca del danno, ma in un ragionamento di
carattere presuntivo, vale a dire lo strumento intorno al quale ruota
l'istruttoria dei giudizi risarcitori.
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ESISTENZA E TUTELA DEL DANNO NON
PATRIMONIALE
L'esistenza del danno non patrimoniale risarcibile derivante dalla lesione del
diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato della
Costituzione (e anche dalla CEDU), non si sottrae alla verifica della “gravità
della lesione” e della “serietà del danno” (inteso come perdita di natura
personale di fatto patita dall'interessato), bilanciandosi con il principio di
solidarietà in virtù del quale va tollerata la c.d. “lesione minima”
richiedendo un ingiustificabile lesione del diritto al dato personale o, quanto
meno, un'offesa sensibile alla portata effettiva delle norme.
Resta in ogni caso, nella giurisprudenza maggioritaria, escluso in danno in re
ipsa.

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