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Corso di Laurea Magistrale
Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali
Università Ca' Foscari Venezia
Val Comelico
Patrimonio Culturale, Naturalistico e Artistico
Tratto dalla Tesi di Laurea
Val Comelico, proposte di sviluppo
La Rete Museale del Legno e la valorizzazione del Patrimonio Artistico
A.A. 2012/2013
Laureanda: Marta De Zolt
Relatore: prof. Dario Maran
Correlatori: prof.essa Stefania Portinari
1
Contatti
Marta De Zolt
martadezolt@gmail.com
cel. 3479904097
2
Indice
Introduzione
Parte Prima
Censimento ed Analisi del Patrimonio Culturale, Naturalistico, Artistico
Capitolo Primo
La Cultura Ladina in Val Comelico
1.1 Museo della Cultura Alpina Ladina del Comelico - Padola (Comelico
Superiore)
1.2 Algudnei Spazi per la Cultura Ladina in Comelico - Dosoledo (Comelico
Superiore)
1.3 Trói (Comelico Superiore)
1.4 Museo Etnografico “La Stua” - Casamazzagno (Comelico Superiore)
1.5 Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai" - Costalta (San Pietro di Cadore)
Capitolo Secondo
La Natura del Comelico
2.1 Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” - Danta di Cadore
2.2 Le Torbiere – Danta di Cadore
2.3 Il Giardino Alpino - Candide (Comelico Superiore)
2.4 Gli Abeti della Val Comelico
2.5 La Stua - Padola (Comelico Superiore)
Capitolo Terzo
Il Patrimonio Artistico e Architettonico
3.1 L'Architettura in Val Comelico
3.2 L'arte in Val Comelico
3.2.1 Collezioni ed esposizioni
3.2.2 Vico Calabrò e Augusto Murer: piccoli luoghi d'arte
3.3 Eventi Artistici in Val Comelico
3.3.1 Costalta “Paese d'Arte”
3.3.2 Arco d San Marco - Trittico di Pittura Dolomitica
Appendici
Bibliografia
3
Capitoli della Tesi Non Pubblicati e Consultabili su Richiesta
Parte Seconda
Progettazione della Rete Museale del Legno e proposte per la valorizzazione del
Patrimonio Artistico e dell'Arte Contemporanea
Capitolo Quarto
La Rete Museale del Legno in Val Comelico
4.1 Stakeholders
4.2 La progettazione della Rete Museale del Legno in Comelico
4.2.1 Individuazione di un ente coordinatore: Centro Studi
Transfrontaliero Comelico e Sappada e le problematiche degli enti
privati
4.2.2 Individuazione degli obiettivi minimi da raggiungere per ogni
singolo ente per fare parte della Rete del Legno
4.2.3 Analisi dell'applicazione degli standard di qualità secondo la
D.G.R. n.2863 del 18.9.2003
4.3 Obiettivi e Azioni della Rete
4.4 Forma Gestionale e Organigramma
4.5 Finanziamenti
4.6 Budget Preventivo
Capitolo Quinto
Indagine sull'Arte Contemporanea in Val Comelico
5.1 Aurelio Fort
5.2 Chiani
5.3 Olga Riva Piller
5.4 Vico Calabrò
5.5 Lorenzago Aperta: Vito Vecellio
5.6 Franco Baldissarutti
5.7 Michela Ianese
5.8 Arte Comelico Ladino e Buteiga di Mistieri
5.9 Proposte per la valorizzazione del patrimonio artistico
Conclusioni
4
Introduzione
“...e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti
tutto il verde Comelico”
Giosuè Carducci, Ode al Cadore, 1892
Il Comelico o Val Comelico (Cumélgu, Comélgu, Comélgo in ladino) è una valle
montana in Provincia di Belluno compresa nella zona denominata Cadore. Confina ad
ovest con la Provincia Autonoma di Bolzano, a nord con l'Austria e ad est con la
Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia. La storia della vallata coincide in gran
parte con quella del Cadore anche se, assieme alla vicina isola germanofona di Sappada,
è sempre stata considerata zone periferiche. Composta da cinque Comuni (Comelico
Superiore, Danta di Cadore, San Nicolò di Comelico, Santo Stefano di Cadore e San
Pietro di Cadore), la vallata si distingue fra Superiore e Inferiore e ciò è dovuto sia a
ragioni geografiche che storico-amministrative. L'etimologia del nome Comelico si può
far risalire al termine “comunicazione”1
derivante dalla posizione strategica che questa
valle ha nei collegamenti con la Val di Sesto (Alto Adige), la Val Pesarina che porta in
Carnia (Friuli Venezia Giulia), i collegamenti con il Cadore, Sappada e l'Austria. Dal
punto di vista morfologico rientra nelle Dolomiti Orientali: non presenta le
caratteristiche tipiche strette della zona dolomitica, ma si distingue per terreni scistosi
che hanno favorito la costruzione di centri abitati. La valle è percorsa da due fiumi: il
Padola, nella zona superiore, e il Piave nella parte detta inferiore; nella Val Visdende,
vallata dalla natura incontaminata facente parte del Comelico, si trovano le sorgenti del
“fiume sacro alla patria”. Il Comelico è anche conosciuto per essere una valle molto
isolata, da un lato ciò ha comportato una lentezza e una chiusura verso gli eventi esterni,
dall'altro ha dato la possibilità di conservare alcune caratteristiche che nelle valli
limitrofe, molto più aperte sia geograficamente che mentalmente (e quindi anche
1
Carlo Tavaglini (1988), Il dialetto del Comelico, Ristampa a cura della Comunità Montana del
Comelico e Sappada, Tipografia Castaldi, Feltre
5
turisticamente), sono andate perse. Antonio Ronzon2
già nel 1877 definiva il Comelico
“isola alpina” e Olinto Marinelli3
nel 1907 osservava come questo territorio fosse un
esempio di regione isolata da limiti geografici ben definiti: “frontiere così evidenti e
segnate dalla natura, non meno che dalla tradizione del popolo, influiscono certamente
sullo sviluppo antropogeografico della regione da esse racchiusa e nel mantenerle una
ben netta individualità”. Alessandro Cucagna4
nel 1969 riconosce al Comelico una
“facies” geografica sotto molti aspetti autonoma: per l'aspetto fisico (il predominare di
terreni scistosi), per il prevalere di qualche particolarità antropica (come la presenza di
una dimora rurale lignea e la posizione di pendio di gran parte dei suoi centri) e per la
conservazione di particolari caratteri linguistici, ovvero la lingua ladina, tuttora parlata,
che si differenzia fra il Comelico Inferiore e Superiore.
Dati tutti questi aspetti la Val Comelico presenta numerose peculiarità che sono alla
base del presente studio. La ricerca, svolta in diversi anni, vuole mettere in luce le
opportunità che scaturirebbero per lo sviluppo della vallata se si potesse coordinare
l'offerta culturale anche in un'ottica turistica. La tesi è organizzata secondo due aree di
ricerca: la prima parte tratta l'analisi delle strutture museali e i luoghi di interesse che
potrebbero essere coordinati ed organizzati al fine di favorire una fruizione migliore
degli stessi e la nascita di un percorso culturale strutturato sulla Val Comelico. Il
censimento sfocia, e si concretizza, nella progettazione della Rete Museale del Legno
Val Comelico, in cui si mettono in luce potenzialità e complessità di una struttura che
qui viene ipotizzata. La seconda area è un'indagine sul ruolo dell'arte in Val Comelico,
in cui vengono censiti luoghi e peculiarità artistici e architettonici del posto. Si
propongono in conclusione una serie di interviste con artisti professionisti che operano
nella vallata nell'ambito dell'arte contemporanea. L'intento del lavoro è di delineare un
quadro generale sulla situazione attuale dell'arte contemporanea in Val Comelico per
capire che ruolo ha, o potrebbe avere, come veicolo di sviluppo dell'offerta culturale. I
due ambiti si intrecciano e vanno a confluire in un ragionamento complessivo dove
l'offerta culturale del passato si fonde con quella artistica contemporanea e non.
2
Antonio Ronzon (1877), Il Cadore descritto da A.Ronzon, Tipografia Antonelli, Venezia
3
Olinto Marinelli (1907), I limiti altimetrici in Comelico, in “Memorie geografiche” (Rivista
Geografica Italiana-G.Danielli) vol. 1, Tipografia Ricci, Firenze
4
Elio Migliorini, Alessandro Cucagna (1969), La casa rurale nella montagna bellunese, CNR ricerche
sulle dimore rurali in italia, Leo Olschiki Editore
6
Capitolo Primo
La Cultura Ladina in Val Comelico
La Lingua e la Cultura Ladina accomunano e dividono numerose valli a cavallo fra il
Trentino-Alto Adige, il Veneto ed il Friuli. Un insieme di tradizioni millenarie, molte
ancora vive, che si identificano territorialmente sotto il nome Ladinia. Non esiste una
regione unitaria riconosciuta tale ma tra le accezioni più diffuse, a fianco di quella più
naturale che identifica la Ladinia con l'interezza del territorio in cui la lingua è parlata,
risulta diffusa quella che identifica la regione con la sola porzione di territorio
ladinofono che prima del 1918 apparteneva all'Austria-Ungheria. Alla Ladinia
apparterrebbero oggi i soli comuni di lingua ladina della Val di Fassa (TN), della Val
Badia (BZ), della Val Gardena (BZ), dell'alta Val Cordevole (BL) e dell'Ampezzo (BL),
tutti ex-asburgici, a cui vanno aggiunti tutti gli altri comuni ladinofoni riconosciuti
ufficialmente dalla legge 482/1999 sulle minoranze linguistiche. La questione del
riconoscimento è alquanto complessa, ma è innegabile l'appartenenza alla Ladinia di
molte altre vallate non ufficialmente riconosciute e caratterizzate dalla lingua di chiara
derivazione, dalle tradizioni pressoché simili e dal forte legame col territorio
dolomitico. La Val Comelico rientra fra queste, e la sua indiscutibile appartenenza alla
Ladinia si riscontra non solo nella parlata tuttora viva e da molte tradizioni che si
celebrano ogni anno con grande partecipazione; ma anche dai vari siti e musei che
ricordano tradizioni ed usi delle generazioni passate. Alessandro Sacco ha sintetizzato
le inevitabili contraddizioni di contesti culturali dall'identità fortemente marcata come il
Comelico dove, con l'arrivo della globalizzazione e la perdita di identità, soprattutto
negli anni Settanta e Ottanta, si vide la nascita di diversi gruppi culturali che si
proponevano di rianimare e valorizzare la cultura locale. "Segno, da un lato, di un
bisogno di genuino, di diverso rispetto al quotidiano, ma anche di spaesamento;
dall'altro della mancanza di sedi e momenti per usufruire e far propri contenuti di una
cultura di più ampio respiro"5
. Da una più approfondita analisi di questi “luoghi della
memoria” e delle numerose associazioni che li hanno ideati e li gestiscono, emerge
5
A. Sacco "Ultra Pennas", contatti, scontri, trasformazioni di un territorio e di una società, cenni
storico-geografici su Comelico e Sappada, in E.Cason (a cura di), Comelico, Sappada, Gaital,
Lesachtal: paesaggio, storia e cultura. Verona 2002
7
appunto una forte volontà di conservare e riscoprire il passato dimenticato e quello che
si è adeguato ai tempi moderni sfociando in nuove forme. Inoltre si fa avanti anche la
consapevolezza che il rilancio turistico può partire proprio dalla valorizzazione di
questa cultura, che non riguarda solo la parlata ma che spazia dall'architettura fino ai
rituali sacri e pagani. I Musei descritti in questa sezione non sono propriamente dei
Musei perché non rientrano negli standard normativi6
ma viene utilizzata questa
accezione con l'intento di rispettare una consuetudine affermatasi nel tempo. E' più
corretto definirli “collezioni” nel caso del Museo della Cultura Alpina e Ladina di
Padola e del Museo Etnografico di Casamazzagno. In questa sezione non entrerò nel
merito né approfondiremo il metodo scientifico con il quale sono stati allestiti ma mi
limiterò ad illustrare delle realtà che possono essere delle risorse per il territorio con i
dovuti adeguamenti.
6
Si fa riferimento agli Standard della Regione Veneto e in particolare all'Allegato 1 alla DGR n. 2863
del 18.09.2003 Individuazione di requisiti minimi gestionali per la definizione di musei, sistemi e reti
museali; indirizzi di sviluppo di aree di miglioramento.
8
1.1 Museo della Cultura Alpina Ladina del Comelico - Padola (Comelico Superiore)
Una ricca raccolta dal Passato
Il museo si trova vicino alla piazza centrale del paese al secondo piano della ex Scuola
Elementare “Don Bosco” di Padola, di proprietà della Regola di Padola e costruita nella
prima metà del Novecento. L'esposizione permanente, che si sviluppa su una superficie
di 500 mq, è stata inaugurata nel 1990 per volere del Comitato per il Museo costituitosi
nel 1986 che propose l'iniziativa per una realizzazione museale già nel 1982. Ma le
prime idee per un museo della cultura alpina e ladina nascono già negli anni Settanta da
parte di due appassionati di storia locale, Gilberto ed Evangelista De Martin Pinter, che
non appena pensionati misero a disposizione le loro energie al servizio del progetto.
“L'iniziativa è nata da un comitato del comprensorio, sostenuto dalla Magnifica
Comunità Cadorina e dalla Regola di Padola per promuovere l'interesse verso il
recupero delle testimonianze degli antichi usi delle genti alpine del luogo, prima di
perderne totalmente le tracce”7
spiega Evangelista che, nel 1985 con una lettera aperta,
invita la popolazione a non gettare i vecchi attrezzi e oggetti ma a donarli al nascente
museo. Si è creata così una vasta raccolta di materiali suddivisa in diverse aree
tematiche che comprendono una ricca collezione di oggetti, strumenti e attrezzature
legate alle attività del passato, oltre a numerose ricostruzioni dei vecchi ambienti
casalinghi. Quest'ultimi sono stati curati con dovizia di particolari grazie alle generose e
variegate donazioni: si possono vedere la kusinä (cuncina), la stuà (soggiorno), la
kambrä (camera) e l'asiverä (lavanderia). Si possono ammirare moltissimi attrezzi
agricoli, per l'allevamento, della latteria, dei lavori nel bosco, la segheria e la
lavorazione del legno, il bancone di una bottega e il lavoro della filatura della lana, gli
attrezzi dei mestieri in disuso come l'arrotino, l'imbianchino, il muratore, il calzolaio, il
7
Evangelista De Martin Pinter e Gilberto De Martin Pinter (1998) Museo della Cultura alpina Ladina
del Comelico cellula di Padola, Santo Stefano di Cadore, Tipografia Bruno
9
fabbro, lo stagnino, il falegname, il minatore e l'idraulico. Diverse sezioni sono dedicate
ai reperti bellici, ai pompieri, alle guide alpine, agli atleti dello sci e all'emigrazione.
Una stanza è occupata dalle miniature cura di Alberto De Bettin che propone la
ricostruzione su piccola scala di alcune botteghe artigiane e delle attività di un tempo: la
fucina, i mulini, la segheria. Completa la collezione di opere in miniatura la
ricostruzione della ceda (abitazione) dove si possono vedere diverse case in sezione con
tutte le stanze arredate e complete degli oggetti d'uso quotidiano. Un'altra zona è
dedicata alle miniature di Gilberto De Martin Pinter che ricostruiscono le diverse
modalità di traino e trasporto, invernale ed estivo, con cavalli e mucche del legname,
delle pietre e del fieno. Particolarità del Museo è la decorazione di un'intera parete a
cura di Vico Calabrò che vi ha eseguito un affresco murale di importanti dimensioni in
tema con i contenuti dell'esposizione. “Osservando tutto ciò che il Museo custodisce,
non soltanto con gli occhi ma con la mente e ancor più con il cuore”, scrive il curatore
Evangelista, “possiamo farci un quadro di come sono state le nostre origini, la nostra
cultura, la nostra storia e serbare un grato ricordo. Può insegnare a riflettere ed a
valutate la vita dei nostri predecessori, la capacità, l'impegno, la custodia, l'uso dei loro,
anche se piccoli, patrimoni, la forza di volontà per poter mantenere intatti quei valori
acquisiti con tanti sacrifici, con tanta fatica, con molteplici privazioni, mai tralasciando i
sani e morali principi”8
. La scelta di esporre i manufatti senza l'ausilio di vetrine
ribadisce e conferma la missione del museo di avvicinare l'uomo contemporaneo al suo
passato, inoltre l'attuale responsabile, Gilberto De Martin Pinter, sottolinea l'importanza
e l'attenzione che viene rivolta alle visite da parte delle generazioni più giovani.
L'apertura della struttura è estiva e nel resto dell'anno è possibile visitare l'esposizione
su richiesta tramite il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti oppure contattando
direttamente il responsabile Gilberto De Martin Pinter. Le visite guidate si effettuano
con un'offerta libera e la visita al museo è gratuita. L'ambiente è molto grande e ricco di
materiale ma necessita di un allestimento più curato e mirato, il tutto è accessibile anche
dai portatori di handicap e al piano interrato ci sono due sale conferenze. Il fabbricato è
dotato di servizi igienici, è video sorvegliato ed anche se ha bisogno di alcuni lavori di
manutenzione, gli impianti tecnologici sono presenti e funzionanti9
.
8
Ibidem
9
Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4.
10
1.2 Algudnei Spazi per la Cultura Ladina in Comelico - Dosoledo (Comelico Superiore)
Uno spazio sul passato ancora vivo nel presente
Il Gruppo Ricerche Culturali di Comelico Superiore, con sede a Dosoledo, nasce il 2
novembre 1984 grazie all'impegno di Arrigo De Martin Mattiò e degli altri cinque soci
fondatori. Il gruppo aderisce all'Associazione Ladins de la Dolomites a bonora
nell'ambito della Unión de duç i Ladìns de Belùm e inizia la sua attività raccogliendo
materiale fotografico della Val Comelico e curando diverse mostre. Numerose sono le
pubblicazioni e le iniziative: come l'allestimento della cellula museale "La Fudina di
Fauri", i sentieri tematici Tròi con le statue di legno che raccontano le tradizioni della
vallata e l'apertura dello Spazio Algudnei nel 2011. La cellula museale "La Fudina di
Fauri" (La Fonderia della Famiglia Fabbro) è stato il primo allestimento del Gruppo di
Ricerche Culturali ospitato fino a qualche anno fa presso l'ex Palazzo della Regola di
Dosoledo. È una testimonianza risalente agli inizi del Novecento dell'attività di
lavorazione dei metalli della famiglia De Martin Fabbro di Dosoledo. Il Gruppo di
Ricerche Culturali spiega così l'intento di salvare questo patrimonio: "L'impegno a
recuperare e conservare queste testimonianze vuole significare anche riconoscere le
qualità e le capacità di questa famiglia di fabbri, costruttori di forni e stufe e di quanto
necessitava al fabbisogno locale di utensili, attrezzi e manufatti di uso domestico,
agricolo e artigianale."10
Attualmente, per ragioni di spazio, tutto il materiale si trova in
magazzino ma è probabile che le istituzioni provvederanno ad una nuova collocazione.
Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree
rurali”, Gal Alto Bellunese
10
Testimonianza di Arrigo De Martin Mattiò raccolta da Marta De Zolt, dicembre 2012
11
Algudnei - Spazi per la Cultura Ladina del Comelico è il nuovo allestimento inaugurato
il 20 marzo 2011 nel palazzo nobiliare di Dosoledo che risale al 1663. Il palazzo, di
proprietà della famiglia Zandonella dell'Aquila che ci ha abitato fino alla metà
dell'Ottocento, è stato acquistato dalla Regola di Dosoledo che l'ha adibito, nel corso
degli anni, a scuole elementari, asilo, latteria, canonica e oggi ospita nella mansarda
ristrutturata lo spazio espositivo del Gruppo di Ricerche Culturali. Algudnei, nome nato
dall'unione di tre parole ladine Algu (qualcosa) d (di) nei (noi), si distingue perché offre
la possibilità di scoprire le antiche tradizioni della vallata utilizzando supporti
tecnologici come touchscreens, postazioni video, cornici digitali e pannelli luminosi. Le
tre tematiche raccontate nello spazio espositivo sono ancora vive e radicate nel
territorio, come spiega il responsabile Arrigo De Martin Mattiò: "Più casa che museo
classico, perché la storia delle Regole, del Carnevale e del Rifabbrico non è certo
conclusa: prosegue ed è vitale anche oggi"11
. L'idea di concretizzare le ricerche
ventennali del Gruppo di Comelico Superiore nasce nel 2008 “ovvero da quando la
Regola di Dosoledo ha deciso di ristrutturare la mansarda del suo storico Palazzo nel
centro del paese. Un ambiente di particolare pregio come questo meritava di essere
adibito ad un importante utilizzo pubblico. Da qui l'idea della casa dell'identità del
Comelico”12
. Algudnei conta 14 postazioni multimediali, contenenti molti filmati e
immagini, ed oltre 200 metri quadrati di pannelli illustrativi. Il progetto è stato curato
dallo studio Patchwork StudiArchitettura di Padova a cura degli architetti Viviana
Ferrario e Andrea Turato. Per i materiali multimediali hanno contributo gli archivi del
Gruppo di Ricerche Culturali e l'allestimento è in buona parte stato effettuato grazie
all'aiuto di numerosi volontari locali. La ricerca scientifica è a cura di diversi studiosi ed
esperti locali in collaborazione con l'architetto Viviana Ferrario. Lo Spazio è potuto
nascere grazie ai contributi finanziari di Cariverona, della Regione del Veneto, della
Regola di Dosoledo, che ha ristrutturato l'ambiente, e del Gruppo di Ricerche Culturali
che ha messo a disposizione i materiali del suo archivio e raccolto molti altri documenti
presso gli archivi di tutto il Comelico e Cadore. La struttura inoltre è patrocinata dalla
Fondazione Dolomiti Unesco. La prima sezione è dedicata alla tradizione della
11
Stefano Vietina (2011) A Dosoledo nasce una casa museo per il Comelico, Corriere delle Alpi 20
gennaio 2011, Belluno
12
Ibidem
12
mascaradä (carnevale) uno degli eventi più sentiti e partecipati dall’intera comunità
locale. In questo spazio sono raccolte alcune testimonianze dei carnevali di ieri e di oggi
e i manichini delle maschere del matazin, laché, paiazu e mascri da vecia che
documentano la straordinaria continuità della tradizione che si ripete ogni anno con la
sua ritualità. Nella postazione multimediale, attraverso il touchscreen, si possono
esplorare tutti i riti del carnevale comelicense, mentre nelle quattro cornici digitali
scorrono fotografie del carnevale d'inizio secolo e dei giorni nostri. Un video proietta il
ballo tipico (vecia) che il matazin assieme al lachè compie nella piazza del paese
durante le giornate di festa. La seconda sezione tratta il tema delle Regole che in Cadore
e Comelico stanno ad indicare un insieme di beni agro-silvo-pastorali (boschi, prati,
pascoli) e una comunità di persone (Regolieri) che possiede e gestisce collettivamente
questi beni indivisibili, inalienabili e vincolati in perpetuo alla loro destinazione. Le
Regole sono attestate nei documenti fin dal XII secolo, ma sono certamente ben più
antiche e attualmente ancora attive in Comelico dove se ne contano quindici. Fin dal
Duecento vennero formalizzati per iscritto i patti che regolavano l´uso della proprietà
collettiva in appositi statuti, detti Laudi. Abolite nel XIX secolo, le Regole del Cadore
vennero ripristinate nel 1948 e amministrano ancora oggi il patrimonio comune. In
questa sezione sono raccolte alcune notizie sulle proprietà collettive, i laudi, le Regole e
il loro rapporto con il territorio. Un filmato racconta la storia millenaria di queste
istituzioni e sulla parete, lungo il pannello illuminato, troviamo delle mappe, delle
fotografie e dei testi che si succedono, seguendo la linea del tempo, raccontando
l’evoluzione delle Regole e il ruolo che rivestono ancora oggi. Tre totem descrivono,
utilizzando i termini ladini, le attività della Regola nell'uso delle risorse: il pascolo, il
taglio dell'erba, il bosco. Attraverso un touchscreen è possibile leggere il laudo più
antico risalente al 1235. La terza sezione si occupa della vicenda urbanistica del
Rifabbrico. Di incendi avvenuti in Comelico e Cadore si hanno notizie risalenti alla
prima metà dell'Ottocento. Ma è solo con quello di Padola del 1845 che si avvia la fase
del Rifabbrico, una vera e propria pianificazione dei diversi villaggi, che questi fossero
parzialmente o totalmente distrutti dal fuoco. Con l'istituzione di apposite commissioni
e l'adozione di nuove norme, si cominciarono a ristabilire i criteri di edificazione ed uso
di ogni singolo fabbricato. La redazione di questi codici ha segnato il passaggio da
13
un'edilizia spontanea ad una pianificata, facendo acquistare a questi luoghi un carattere
completamente diverso. Questa tematica viene raccontata attraverso alcuni pannelli
dove è raffigurata la mappa del Comelico con gli incendi e il rifabbrico e tre cornici
fotografiche spiegano il perché si è dovuto ricorre ad una pianificazione dell'edilizia. La
struttura multimediale dello spazio e l'esposizione virtuale dei contenuti hanno portato
alla sua propaggine nel Web con l'intento di far conoscere le ricerche svolte sul territorio
e formare una comunità interessata alla cultura ladina. Oltre al tradizionale sito internet,
caratterizzato dalla staticità, Algudnei è presente su alcune piattaforme 2.0 (Facebook e
Twitter)13
grazie alle quali il progetto è riuscito a superare i confini della Val Comelico,
e della stessa Ladinia, attraverso la condivisione di svariati aneddoti riguardanti le
tradizioni e le immagini contenute negli archivi del gruppo. Un nuovo spazio espositivo
che da vita ad un archivio virtuale condivisibile e consultabile da tutti e in continuo
aggiornamento. All'interno dello spazio espositivo si trova una sala conferenze
realizzata al fine di divulgare i risultati delle ricerche svolte sul territorio, sulla cultura
ladina del Comelico e animare il dibattito locale. L'idea di progettare una sala
conferenze si basa sulla convinzione che Algudnei debba essere uno spazio da vivere e
un punto di incontro e riferimento per la cultura e la collettività della Val Comelico.
Obiettivo pienamente raggiunto con le oltre quaranta conferenze tenute nell'ultimo
anno. Lo Spazio Algudnei occupa solamente la mansarda ma sono in corso i lavori per
l'ampliamento al piano sottostante dove sono riservate due stanze da dedicare ad altre
tematiche legate alla Val Comelico. E' in corso la valutazione della destinazione degli
spazi: un'idea è di ricollocare il materiale della “Fudina” in forma più documentata,
un'altra è che lo spazio venga riservato ai reperti degli scavi nei siti archeologici di
Valgrande (Comelico Superiore)14
iniziati nel 2012 e che termineranno nel 2013. E'
quasi certo che nel 2013 si procederà ad allestire una parte dedicata proprio al Ladino
del Comelico e una al mestiere del Clompar (stagnino).
Attualmente il Gruppo di Ricerche Culturali conta una quindicina di persone e il
presidente Arrigo De Martin Mattiò spiega così lo spirito del gruppo e dello Spazio
Algudnei: "La nostra idea dello Spazio Algudnei deriva proprio dal desiderio di
13
www.algudnei.it - www.facebook.com/algudnei - www.twitter.com/algudnei
14
Si tratterebbe di una possibile fortificazione romana riscontrata, nei pressi del Passo di Monte Croce
Comelico, con la lettura di riprese fotografiche aeree collegate con la viabilità romana studiata negli
anni trenta dal topografo Alessio De Bon.
14
raccontare l'identità del Comelico. Una identità che si racconta attraverso la storia delle
Regole, del Rifabbrico, e del Carnevale: tre aspetti molto interessanti della nostra
comunità. Uno spazio per raccontare alcuni aspetti di una cultura antica e ricca, la cui
esistenza è stata messa a dura prova dalla modernità ma che è sopravvissuta, sebbene in
forma frammentaria, ed è ancora capace di raccontare, di parlarci. Crediamo in questo
luogo di poter stabilire un legame tra il passato e il futuro che vogliamo costruire"15
. Lo
stesso Gruppo gestisce lo Spazio consentendone la visita su richiesta e organizzando la
sala per le diverse conferenze. L'apertura è stagionale nel periodo estivo e su richiesta
per il resto dell'anno, l'entrata è gratuita. La struttura è nuova e dotata di riscaldamento,
l'impianto d'illuminazione è realizzato su misura ed è attrezzata per permettere l'accesso
anche ai disabili.
1.3 Trói (Comelico Superiore)
Due passi nel passato
Nel territorio di Comelico Superiore esistono da tempo immemore numerose strade,
stradine e sentieri che si snodano lungo i prati e si inoltrano nei boschi. Un tempo questi
sentieri, in ladino trói, venivano utilizzati a scopo lavorativo per raggiungere i campi da
falciare o da coltivare, addentrarsi nei boschi per le attività boschive, o recarsi presso i
fienili e le malghe in alta montagna. Alcuni di questi sentieri, ora in disuso, sono stati
abbandonati, altri invece sono ancora esistenti. Negli ultimi anni il Gruppo Ricerche
Culturali di Comelico Superiore ha deciso di risistemare quattro di questi sentieri e di
posizionarvi, come in una mostra all'aperto, diverse sculture lignee realizzate da
numerosi artisti del Comelico partendo dai bozzetti di Elio Silvestri. Nel corso di
15
Ibidem
15
quattro ex-tempore, ciascuna dedicata ad uno dei trói, tenutesi a Dosoledo durante le
estati dal 2003 al 2006, si sono scolpite tutte le statue. Questi percorsi che collegano i
paesi del comune di Comelico Superiore, si snodano in mezzo al verde e agli abitati
raccontando le tradizioni e la storia locale attraverso le statue di legno. Si è andato così
creando un vero e proprio museo all'aperto dove il passato è stato intagliato nel legno,
risorsa primaria della Val Comelico soprattutto nei secoli scorsi, e tramandato così alle
generazioni presenti e future. Le quattro passeggiate sono state pensate come un breve
viaggio alla scoperta delle tradizioni e degli usi antichi in mezzo alla bellezza
paesaggistica che caratterizza la vallata16
. Il primo sentiero inaugurato nel 2003 è stato il
trói dli mascri (sentiero delle maschere)17
che parte da Dosoledo e si perde nel verde dei
boschi soprastanti. Il Carnevale, una delle tradizioni più sentite in questa zona del
Comelico, viene descritto da 14 sculture e il percorso si divide in due sezioni. La prima
parte presenta i vari componenti del corteo carnevalesco, un rituale preciso che si
tramanda di anno in anno con tutte le sue maschere tradizionali come il lachè, il paiazu
e il matazin. La fine del Carnevale e l'inizio della Quaresima viene introdotto da una
scultura del Cristo crocefisso che richiama alla faticosa vita quotidiana, infatti le statue
che concludono il percorso raccontano delle attività di fatica nei campi. Il 2004 è l'anno
dell'inaugurazione del trói dli tradizion (sentiero delle tradizioni) che dal paese di
Candide porta a Dosoledo. Lungo questo percorso, costellato da ben 21 sculture, si
percorrono gli aspetti che caratterizzano il sistema delle Regole come i segnu d cedä e i
nodi, si passa poi per le tradizioni più sentite come la Mezza Quaresima, il Sabato
Santo, la Fiera dei Santi, i Coscritti ed una serie di statue riguardanti altri aspetti della
vita quotidiana di un tempo. Nel 2005 si concretizza il trói di bacani (sentiero dei
contadini), il percorso più lungo che da Casamazzagno scende verso Dosoledo e si
congiunge con il trói dli mascri. Sono 29 le sculture qui presenti che ci ricordano le
fatiche del lavoro nella stalla, nei campi, nei prati e nel bosco. Di queste attività
rimangono testimoni i tabià ed i barchi, piccoli fienili di alta montagna, dove il sentiero
si snoda passando in mezzo proprio a queste costruzioni perse nei prati e nel bosco. Nel
2006 viene inaugurato il trói di mistieri (sentiero dei vecchi mestieri)18
che si compone
16
In appendice l'elenco delle sculture
17
Arrigo De Martin Mattiò (2003), Al tròi dli mascri, Le Dolomiti Bellunesi, Natale 2003,Grafiche
Antiga S.p.A., Crocetta del Montello, pag. 51
18
Arrigo De Martin Mattiò (2004), Al tròi di mistieri, Le Dolomiti Bellunesi, 2004, Grafiche Antiga
16
di 16 statue e che da Dosoledo porta verso Padola. Qui troviamo una serie di sculture
dedicate agli antichi mestieri, alcuni scomparsi come lo stagnino, l'arrotino e lo
squadratore di travi. Arrigo De Martin Mattiò, presidente del Gruppo di Ricerche
Culturali, spiega lo spirito con il quale sono stati ripristinati ed arricchiti i tróis: “E’ il
nostro modo di intendere la cultura come recupero della memoria e rinvigorimento delle
relazioni sociali nei paesi, oltre l’ombra dei campanili.”19
Infatti i sentieri da allestire a
mostre permanenti sono stati scelti fra quelli che collegano e uniscono i quattro paesi
del comune di Comelico Superiore. Oltre al proposito di non perdere la memoria delle
antiche tradizioni, il collegamento e l'unione dei quattro paesi del comune avviene non
solo fisicamente attraverso i sentieri, ma anche idealmente attraverso le tradizioni
condivise: un patrimonio da salvaguardare e valorizzare in un'ottica di collaborazione.
1.4 Museo Etnografico “La Stua” - Casamazzagno (Comelico Superiore)
L'Abitazione del Rifabbrico
L'Associazione Culturale "La Stua", costituitasi l'11 dicembre 1986 a Casamazzagno
(Comelico Superiore), è composta da una decina di soci. Ha come obiettivi la raccolta di
documentazione scritta e orale inerente alla cultura locale, la pubblicazione del
periodico di cultura popolare “La Stua”, l'allestimento di mostre fotografiche, la
proiezione di diapositive e la gestione del museo. Grazie alla disponibilità della Regola
di Casamazzagno, che ha offerto in uso il fabbricato che le era stata donato da Giovanni
Pinchien, è stato possibile dare il via all'allestimento del museo etnografico. I locali, da
anni in disuso, sono stati ristrutturati dall'iniziativa dei soci che, grazie alla fornitura dei
S.p.A., Crocetta del Montello, pag. 60
19
Lucio Eicher Clere (2005), Inaugurato il trói di Bacani, Corriere delle Alpi, 1 settembre 2005,
Belluno. Pag. 26
17
materiali da parte della Regola e alla prestazione gratuita di molti artigiani locali, in
pochi mesi sono riusciti a sistemare l'abitazione. La fase successiva per la nascita del
museo è stata la raccolta dei materiali da esporre. “Per far questo è stata coinvolta tutta
la popolazione rendendola partecipe alla vita del museo, sia nella fase della sua
costituzione che in quella della gestione. Grande è stata la disponibilità di tutte le
famiglie nell'offrire un gran numero di oggetti, molti dei quali sino ad allora custoditi
gelosamente nelle singole abitazioni, e grande la collaborazione nell'allestimento dei
locali. Va comunque ricordato che al di là dell'impegno personale dei soci, gran merito
al buon esito dell'iniziativa va alla Federazion par ra Union Culturales Ladines de ra
Dolomites inze el Veneto, alla quale l’associazione ha aderito nel 1988, e che ha offerto
in tutti questi anni un insostituibile contributo, non solo economico, e uno stimolo per
continuare nell’opera di sensibilizzazione culturale di tutta la comunità”20
. Il museo
etnografico "La Stua" viene inaugurato il 25 luglio 1987 e il materiale è stato raccolto
alle seguenti condizioni:
- in donazioni: il materiale è passato di proprietà dell'associazione che gestisce il museo;
- in custodia: in occasione di mostre e manifestazioni particolari e per la durata delle
stesse;
- in custodia ordinaria: per un periodo non inferiore ai tre anni, rinnovabile tacitamente;
- in custodia illimitata: sino all'eventuale scioglimento del museo.
La collezione è ospitata in una vecchia casa costruita secondo le normative imposte dal
Rifabbrico nell'Ottocento e si sviluppa su tre piani che hanno mantenuto invariata la
destinazione delle stanze abitative. Al piano terra la prima stanza a sinistra è la cucina
dove si possono vedere tutti gli arredi del locale fra cui il focolare e una serie di oggetti
risalenti all'Ottocento e Novecento. Qui si trova tutto ciò che la donna di casa utilizzava
per preparare i pasti e per sopravvivere al lungo inverno: dalle pentole ai mestoli fino
agli oggetti in uso nelle occasioni di festa. E' possibile ammirare un làrin con appeso
alla catena il ciudruzu (paiolo per la polenta) e accanto i vari attrezzi per ravvivare il
fuoco e prendere la brace. Continuando il giro si entra nella stanzetta a destra dove sono
raccolti gli attrezzi che servivano per la raccolta della segala, dell’orzo e dell’avena. La
terza stanza del piano terra è dedicata agli artigiani con gli attrezzi dei fabbri e dei
20
Andrea Zambelli, Raffaella Zanderigo Rosolo (2004), Il Museo Etnografico La Stua, La Stua nr 17
aprile 2004, Casamazzagno Comelico Superiore
18
falegnami. Nel corridoio d'entrata due pannelli raccolgono le foto delle giovani donne
del paese costrette ad emigrare all'estero fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del
Novecento e nel sottoscala si trova un arnese per cardare la lana dei materassi. La stua
(soggiorno) è la stanza più suggestiva del piano: foderata di legno, vi troneggia il forno
a volta in muratura con il sorafórnu (piano in legno sopra il forno sul quale ci si
stendeva) mentre l'imboccatura per caricare la legna è nel corridoio. Salendo le scale
che portano al primo piano e a quelli successivi si può ammirare una raccolta di stampe
religiose di carattere popolare che un tempo erano appese nelle camere da letto o in altre
stanze della casa. Al primo piano si trova la stanza dove è stata ricostruita la camera da
letto matrimoniale tipica di quei tempi con esposti il guardaroba maschile e femminile.
Superato il corridoio si entra nella stanza dove è raccolto l'archivio composto da
numerose fotografie d’epoca. Il secondo piano ha una stanza dedicata ai ricordi della
Prima Guerra Mondiale combattuta sui monti del Comelico fino all’ottobre del 1917
con la ritirata di Caporetto. Mentre la seconda stanza dello stesso piano raccoglie tutto
ciò che riguarda la coltivazione del lino e la sua lavorazione e gli attrezzi per i lavori nel
bosco e con il bestiame. La terza stanza parla del mondo contadino e dell'attività
agricola da sempre dominante nella valle. Lo spirito con il quale è stato creato e viene
gestito il museo lo spiega bene Raffaella Zanderigo Rosolo: “Il dopo guerra ha
presentato altre esigenze di vita. Sono fuggiti i giovani verso la città. Si sono svuotate le
case, sono chiuse le scuole e gli anziani ci dicono “arrivederci lassù”. Non più i prati
rasi a tappeto, i sentieri con le staccionate, i fienili pieni di vita, le greggi al pascolo.
Rimane qualche coraggioso radicato alla terra. Manca il tessuto umano ed è finito un
mondo. Qui nel museo sono racchiusi i ricordi che dobbiamo far parlare, rivivere ed
apprezzarne i valori.”21
Il Museo si può vistare gratuitamente tutto l'anno previa
prenotazione tramite il direttore responsabile Bruno Brunello Gasparina ed è di
proprietà privata della Regola di Casamazzagno. I rilevamenti tecnici evidenziano che il
fabbricato non è accessibile dai portatori di handicap, l'illuminazione all'interno è
alquanto scarsa e l'impianto di riscaldamento non è presente. L'allestimento non segue
una logica specifica e andrebbe rivisto22
.
21
Ibidem
22
Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4.
Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree
rurali”, Gal Alto Bellunese
19
1.5 Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai" - Costalta (San Pietro di Cadore)
L'Abitazione prima del Rifabbrico
Nel passato la costruzione degli edifici civili e rurali avveniva grazie alla ricchezza dei
boschi della Val Comelico. Ma dall'Ottocento le norme del Rifabbrico imposero che la
costruzione avvenisse prevalentemente con l’utilizzo della pietra per scongiurare i
numerosi incendi che devastavano i paesi. A Costalta (San Pietro di Cadore) si possono
ancora vedere numerosi edifici in legno del periodo antecedente al Rifabbrico e l'idea di
valorizzare questo antico patrimonio architettonico nacque negli anni Ottanta
nell'ambito del “Comitato per il Museo della Cultura Alpina del Comelico” costituitosi
per la tutela delle tradizioni locali. A Costalta l'idea si concretizzò valorizzando uno dei
fabbricati storici più significativi destinandolo a museo dell'architettura rurale montana.
Venne costituito un comitato informale coinvolgendo la Regola di Costalta che, nel
1990, grazie alla Regione Veneto, poté acquistare la struttura che oggi ospita il museo.
Nel 1995 la Fondazione Cariverona diede un contributo per la sistemazione dell'edificio
e nel 1998 si costituì ufficialmente l'associazione “Amici del Museo di Costalta di
Comelico” che ricevette dalla Regola, in comodato d'uso, l'edificio. Negli anni Duemila
altri sostanziali contributi vennero elargiti dalla Regione, dalla Fondazione Cariverona,
dalla Regola di Costalta e con il sostegno anche della Comunità Montana del Comelico
e Sappada, del Consorzio Bim Piave e della società DBA Progetti, il 27 dicembre 2008
è stato inaugurato il Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai". Vanno ricordati inoltre le
consulenze dell'architetto Edoardo Gellner e il determinante apporto del lavoro
volontario dei membri dell'associazione sotto la guida dell'architetto Stefano De Vecchi.
20
La "Casa Àngiul Sai", dal nome del suo ultimo proprietario, è un esempio significativo
di architettura tradizionale della Val Comelico. La trave di colmo del tetto porta scritta
la data 1858 10 mag LDM ma da alcuni indizi, come dal fatto che le travi rechino inciso
all'esterno un numero romano, si può supporre che i materiali impiegati per la travatura
dell'edificio fossero frutto, almeno in parte, di riutilizzo di edifici più antichi demoliti a
causa dell'instabilità del terreno sul quale sorgevano. Le caratteristiche costruttive e la
distribuzione dei vani della "Casa Àngiul Sai" sono un'importante testimonianza del
modo di vivere fino alla metà del secolo scorso. Il fabbricato si sviluppa su tre piani ed è
diviso in due parti: la prima, con esposizione verso sud, è adibita ad abitazione; la
seconda, con destinazione rurale, è situata nella parte nord e nel piano seminterrato.
L'edificio presenta uno zoccolo in muratura risultante dal tamponamento di una sorta di
palafitta di travi (braze) e ritti (colònde) che sostiene l'intera struttura lignea ed è
costruito con la tecnica del Blockbau. Come in tutti i modelli arcaici di dimore del
Comelico, anche in questo edificio si può notare la mancanza di condotti fumari: il
fumo infatti veniva fatto uscire secondo diversi percorsi in modo da utilizzare il suo
calore per riscaldare gli ambienti sovrastanti secondo il principio della Rauchstube
diffuso nelle architetture popolari alpine. Questa costruzione rappresenta anche uno dei
pochi esempi di abitazione con scale esterne e ballatoi lignei.
L'itinerario di visita al museo inizia al piano terra dove, facendo un giro attorno al
ballatoio lungo il perimetro del fabbricato, si possono osservare dalle finestre l'interno
dei locali della zona giorno destinati a cucina e tinello. La visita agli spazi interni viene
introdotta da alcuni pannelli che descrivono le tecniche costruttive più diffuse
nell’architettura tradizionale di montagna. I solai, i pavimenti e i muri sono tutti in legno
e la casa è stata arredata con mobili e suppellettili che ricostruiscono un ambiente
domestico degli inizi del Novecento. Nel corridoio d'ingresso (lòda), lastricato con
piastre naturali di pietra, si trova la bocca del forno dove, dopo averlo adeguatamente
riscaldato, vi si cuoceva il pane di segale o di orzo e si faceva il fuoco per scaldare il
tinello. Su questo piano si può visitare la cucina (céda), dove si trova il focolare (arì),
dalla quale si accede poi al tinello (stùa) arredato con la stufa in muratura (fórno)
circondata da panchine (bànce) e sormontata da un'incastellatura lignea (sorafórno). Il
forno originale è stato demolito e ricostruito prendendo a modello un'analoga struttura
21
avente le medesime dimensioni ed esistente in un'altra abitazione del paese. La terza
zona visitabile del piano è la stalla (stàla) adibita a ricovero per i bovini specialmente
d'inverno e nei periodi della nascita dei vitelli. Il vano conserva ancora la mangiatoia
(cianà) dove venivano legate le mucche. Dal medesimo piano si sale per accedere al
tabié che era destinato alla conservazione del fieno per il periodo invernale e diviso in
due parti. La prima parte (èra), che rimaneva sempre libera per l'accesso ai ballatoi
esterni e per la preparazione del foraggio per il bestiame, è pavimentata con travi
squadrate ed ha le pareti sigillate tra una trave e l'altra. La seconda parte, che era
destinata alla conservazione del foraggio raccolto, presenta una pavimentazione
costituita da travi non squadrate e le travi delle pareti sono intervallate da una fessura
che permetteva di arieggiare il fieno. Alle pareti del fienile sono appesi alcuni attrezzi
da lavoro legati alla fienagione e un grande crocifisso, inoltre questo luogo viene anche
utilizzato come spazio espositivo per mostre temporanee. Le camere sono situate al
primo piano e si raggiungevano esternamente per mezzo della scala di servizio ancora
presente. Sono state arredate in modo essenziale: un letto ad una piazza e mezza con un
materasso di paglia ed erbe secche con ai lati due comodini, un armadio ed un baule.
Tramite le botole presenti sul pavimento il calore proveniente dal tinello, posto al piano
inferiore, saliva e riscaldava la stanza. La cantina (ciànva) e il sottotetto (l mangòn) non
sono visitabili23
. L'associazione "Amici del Museo di Costalta di Comelico", presieduta
da Ruggero Casanova Crepuz, conta un decina di soci e prevede, tra gli altri scopi, la
valorizzazione del patrimonio storico culturale di Costalta attraverso il completamento
della “casa Àngiul Sai" e la gestione della cellula museale con la predisposizione di
appositi itinerari di visita. Il museo ha apertura stagionale e su richiesta, senza biglietto
d'ingresso. Già dal 2001 la struttura ospita numerose mostre di pittura, scultura e
fotografia a cura dell’Associazione CostaltArte che ha organizzato per dieci anni
consecutivi la manifestazione estiva di scultura "Una statua di legno in una casa di
legno in un paese di legno" e dal 2012 "LeggendAriaMente". I progetti a breve termine
per il museo prevedono la realizzazione di un sistema audiovisivo e informatico,
dotando la struttura di attrezzature multimediali. «Entro l'anno», spiega Silvano Eicher
Clere, presidente della Regola di Costalta, «il nostro museo sarà dotato infatti di un
23
La descrizione dettagliata del percorso di visita si trova nella brochure di Piergiorgio Cesco Frare et al.
(2010) Casa Museo “Àngiul Sai” Guida Breve, Belluno, Tipografia Piave Belluno srl
22
“cuore” multimediale, da cui prenderanno vita nuovi contenuti, fruibili dai visitatori nei
vari ambienti»24
. L'edificio necessita nel complesso di qualche intervento di
manutenzione e l'allestimento è in fase di completamento. Il sistema di illuminazione è
nuovo e adatto allo scopo; non è presente l'impianto di riscaldamento e non è accessibile
di portatori di handicap25
.
24
Stefano Vietina (2012) La Casa Museo Angiul Sai scopre le Nuove Tecnologie, Corriere delle Alpi 24
novembre 2012, Belluno, pag. 29
25
Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4.
Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree
rurali”, Gal Alto Bellunese
23
Capitolo Secondo
La Natura del Comelico
La Val Comelico si distingue anche per un patrimonio naturale e paesaggistico di
notevole interesse. La storia geologica delle Dolomiti che la circondano racconta di
un'importante ricchezza riconosciuta e protetta dall'Unesco con la proclamazione delle
Dolomiti Patrimonio Naturale Universale nel 2009. La vallata possiede diverse risorse
naturali che vanno dal legno, commercializzato sin dai tempi della Serenissima, alle
acque solforose di Valgrande, note come acqua puzza, studiate sin dal 1800 ed oggi
fonte principale della struttura termale. La vallata, conosciuta anche per l'ambiente
favorevole allo sviluppo dei funghi e per le numerose specie di fiori, è un museo
naturale a cielo aperto che racconta la natura e il rapporto dell'uomo con essa nel corso
della storia. La Val Comelico, pur non rientrando nelle zone poste sotto tutela
dall'Unesco, presenta ugualmente molti aspetti naturali di interesse culturale e turistico,
alcuni già valorizzati e con un piano di gestione, altri soltanto conosciuti a livello locale
e poco sviluppati ma che consentono la formulazione di un percorso di visita. Dalla
natura si passa all'uomo con lo sfruttamento boschivo e quello fluviale dei corsi d'acqua
del Piave e del Padola: i diversi siti naturali e le strutture ad essi collegate spiegano il
forte e indissolubile rapporto fra gli abitanti della vallata con la montagna.
24
2.1 Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” - Danta di Cadore26
Un viaggio alle origini
Danta di Cadore ospita il Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” inaugurato il 15
agosto 2008. Deve la sua ideazione a Bruno Berti ricercatore veneziano che da molti
anni svolge i suoi studi naturalistici in Val Comelico. La realizzazione è avvenuta grazie
all'iniziativa della comunità di Danta e del lavoro svolto da due amministrazioni
comunali. Il museo è ubicato nei locali messi a disposizione dalla Regola Comunione
Familiare Tutta Danta e all'allestimento ha collaborato Giancarlo Scarpa del Gruppo
Scienze Naturali “Charles Darwin” di Mestre. Bruno Berti, che ha curato la parte
scientifica nella realizzazione dello spazio, si è rivolto soprattutto alle “nuove
generazioni come fondamentale supporto alla loro formazione e fornisce basi per potersi
avvicinare e comprendere il complesso laboratorio che ha modellato e adattato la vita
sul nostro pianeta nel corso delle Ere geologiche. Allo stesso tempo, rappresenta un
valido supporto per gli studiosi e per quanti intendono avvicinarsi alle conoscenze
naturalistiche.”27
La sala accoglie al suo interno numerosi pezzi appartenenti alla
collezione paleontologica privata di Bruno Berti e reperti donati dal Centro Studi
Ricerche Ligabue di Venezia che ha anche contribuito alla realizzazione museale. In
mostra si trovano, oltre a reperti paleontologici delle Dolomiti, fossili vegetali e animali
recuperati in varie zone del mondo (Messico, Slovenia, Marocco, Sud America). Il
Museo si presenta con una ventina di vetrine espositive disposte lungo tutte le quattro
pareti della stanza ed alcune posizionate al centro. Le prime due vetrine in ordine di
visita raccontano le originarie forme di vita sulla terra secondo la teoria della
Panspermia. Si passa poi alla vetrina che accoglie i reperti risalenti al Paleozoico dove
26
La nota dell'accezione “museo” usata nella sezione della cultura ladina è valida anche per questa
struttura
27
Giuseppe Cormio e Bruno Berti (2011) Guida Le Radici della Vita - Museo Paleontologico Danta di
Cadore, Comune di Danta di Cadore
25
troviamo delle gocce di pioggia fossilizzate; mentre la vetrina successiva è dedicata ai
dinosauri con delle uova, impronte e altri fossili. La vetrina dedicata ai processi di
fossilizzazione ne descrive la formazione attraverso le ammoniti, i pesci e i vegetali.
Una sezione è dedicata all'evoluzione dell'uomo raccontandone la vita e gli strumenti
per la sopravvivenza nel Neolitico e nel Paleolitico. Viene trattato poi il tema del
fondale marino con un pannello illustrativo, mentre nella dodicesima vetrina ci sono
diversi insetti fossilizzati. Il museo possiede una zanna di mammut, un cucciolo di
dinosauro Psittacosaurus completo in ogni sua parte anatomica vissuto circa 110
milioni di anni fa nell’Asia orientale; un cranio dell'orso delle caverne e un cranio di
coccodrillo primitivo. C'è poi la sezione dedicata ai fossili del Veneto e una
ricostruzione dell'ambiente delle Torbiere che caratterizzano la natura presente a Danta.
Oltre alla guida Le radici della vita Museo Paleontologico di Danta di Cadore edito nel
2011 a cura di Giuseppe Cormio e Bruno Berti, sono stati prodotti tre libri didattici per
avvicinare le scolaresche alla paleontologia dal titolo I quaderni del Museo. Altre
pubblicazioni sono a cura di Bruno Berti: La vita nelle torbiere di Danta di Cadore, I
funghi di Danta di Cadore, Le orchidee spontanee e Danta di Cadore. Al museo sono
presenti delle schede plastificate esplicative delle varie vetrine indirizzate sia agli adulti
che ai bambini. Il Museo viene gestito, con il supporto del Comune, da un gruppo di
volontari che si riuniscono sotto il nome di “Danta Viva” formato da persone del paese e
di altre città (Milano, Venezia e Mestre) che gestiscono l'apertura, la promozione e la
guida lungo il percorso espositivo. Il Museo è ospitato nello stesso edificio dell'ufficio
turistico gestito dal Comune e segue orari di apertura stagionali e su richiesta, la visita è
a offerta libera. La sala espositiva è stata ricavata dall'auditorium della Regola
Comunione Familiare Tutta Danta e per questo presenta una struttura a gradoni che non
consente tuttora la visita ai portatori di handicap e non è presente l'impianto di
riscaldamento; l'edificio è comunque in buone condizioni secondo il censimento svolto
da Alberico Facciotto28
28
Alberico Facciotto et al.(2012), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4.
Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree
rurali”, Gal Alto Bellunese
26
2.2 Le Torbiere – Danta di Cadore
Ecosistema millenario
Bruno Berti, che da molti anni svolge ricerche naturalistiche nel territorio di Danta,
sottolinea l’importanza delle sue incontaminate Torbiere e la presenza di ben 26 specie
di orchidee spontanee, raggruppate in 16 generi, che testimoniano l’unicità e l’interesse
dei questo ambiente. “Danta infatti è uno scrigno prezioso di rare specie floristiche e
faunistiche in un ambiente ancora integro tutelato e salvaguardato attraverso diverse
politiche di conservazione della natura e della biodiversità”29
. Il Comune di Danta, a
1400 metri di altitudine e attorniato da boschi di larici e abeti, è un Museo Naturale
all'aperto: infatti è qui che possiamo trovare una zona molto particolare denominata
Torbiera. Le torbiere sono ambienti caratterizzati da grande abbondanza di acqua in
movimento lento all’interno dei quali si sviluppa una vegetazione bassa di interesse
geobotanico dove si possono trovare diverse specie di vegetali e animali: alghe, muschi,
sfanghi, piante carnivore, licheni, funghi e anfibi. Il processo che porta alla nascita di
una torbiera è molto lungo, complesso e delicato e la formazione di questo ambiente in
Comelico risale al quaternario (2-3 milioni di anni fa). Danta ospita quattro diversi
ambienti di questo tipo: Torbiere Val di Ciampo, Torbiera di Palù Mauria, Torbiera di
Cercenà e Torbiera di Palù Longo che occupano circa 200 ettari del territorio del
Comune e sono inclusi nel Sito di Interesse Comunitario (SIC) identificato con il codice
IT3230060 e denominato “Torbiere di Danta”. I SIC, insieme alle Zone di Protezione
29
Giuseppe Cormio e Bruno Berti (2011) Guida Le Radici della Vita - Museo Paleontologico Danta di
Cadore, Comune di Danta di Cadore
27
Speciale (ZPS), costituiscono i nodi della rete Natura 2000, un sistema coordinato di
aree di particolare interesse ecologico istituito dall’Unione Europea nel 1992 come
principale strumento di attuazione delle politiche di conservazione della natura e della
biodiversità. Il SIC IT320060 “Torbiere di Danta” tutela il complesso delle torbiere
insieme a quello della zona di Coltrondo in Comelico, tra i più rilevanti del Veneto e
dell’intero arco alpino per quanto riguarda le specie vegetali rare presenti, la loro
distribuzione e lo stato complessivo di conservazione. Il SIC è a sua volta incluso nella
Zona di Protezione Speciale identificata con il codice IT3230089 “Dolomiti del Cadore
e del Comelico” per alcune importanti presenze di volatili come il falco pecchiaiolo, il
francolino di monte, il gallo cedrone, il re di quaglie, la civetta nana, la civetta
capogrosso, il picchio nero, l’averla piccola30
. La zona protetta arriva fino al Lago di
Sant'Anna, un piccolo bacino d'acqua incastonato in un terrazzamento di depositi
glaciali circondato da conifere e dalle torbiere. Ed è qui, ad un'altitudine di 1380 metri
sul livello del mare, che troviamo la specie di maggiore interesse e tutelata da severe
normative: l'Astacus astacus ovvero il gambero d'acqua dolce. Crostaceo inserito nella
lista rossa delle specie in via d'estinzione, vive isolato nel bacino lacustre immerso nelle
Torbiere e protetto dall'ambiente favorevole al suo sviluppo. Nell’ambito del progetto di
gestione di questo vasto patrimonio naturale delle Torbiere, è stato realizzato un sentiero
didattico che consente la visita ai siti lungo un percorso di passerelle che tutelano
l'ambiente. Il sentiero, progettato e realizzato dal Servizio Forestale Regionale di
Belluno, si snoda per circa 3 km e lungo il percorso sono collocati pannelli illustrativi
degli aspetti più interessanti dei luoghi visitati. Sono poi individuati, con appositi ceppi,
alcuni specifici punti di osservazione e a seconda delle stagioni si possono cogliere le
fioriture delle principali specie erbacee delle torbiere. A ciascuno di questi corrisponde
una traccia registrata su un audio guida che il visitatore può gratuitamente prendere
presso il Museo Paleontologico “Le Radici della Vita”.
30
Chiara Da Giau et al.(2007), Guida alle Torbiere di Danta di Cadore, Padova, Chinchio Industria
Grafica s.p.a.
28
2.3 Il Giardino Alpino - Candide (Comelico Superiore)
Val Comelico: il fiore delle Dolomiti
Il giardino alpino dei fiori di montagna si trova a Candide dove l'ente Regola ha voluto
dedicare un ampio spazio per la realizzazione di questo progetto riprendendo l'idea dal
prestigioso giardino botanico del Professore Giuseppe Martinelli, Salesiano della
Colonia "Don Bosco", che realizzò un'opera analoga in Valgrande, poi dismessa.
L'importanza del giardino alpino di Candide è provata anche dal fatto che è divenuto
una delle tappe fondamentali del Sentiero Frassati del Cai per la Regione Veneto. Curato
dalla stessa Regola di Candide, si trova nel centro del paese e si snoda lungo un
percorso a gradoni, con passerelle in legno per la visita delle diverse specie floreali
tipiche del Comelico31
. Si possono ammirare esemplari di fiori rari come la salvia dei
prati, la famosa "Regina delle Alpi", il giglio di San Giovanni e la mutazione stagionale
della flora. Per comprendere meglio il senso di questo legame fra la vallata e i fiori, non
soltanto per un fattore ambientale che ne favorisce lo sviluppo di molte specie, è bene
sottolineare l'importanza che ebbe il “Festival nazionale dei fiori di montagna” tenutosi
annualmente dal 1976 al 198532
. Organizzato dall'allora Azienda Autonoma di
Soggiorno e Turismo, la rassegna comprendeva un nutrito ventaglio di manifestazioni,
dai concorsi ai convegni alle mostre d'arte, tutti a tema floreale. Come spiega Guido
Buzzo, l'allora presidente dell'Aast e che gestì l'evento per sette anni, i fiori possono
essere uno spunto importante per creare un percorso e degli eventi a tema, infatti lo
31
Articolo sull'inaugurazione del Giardino Alessandro Mauro (2007), Tesoro Nascosto a Candide,
Corriere delle Alpi 6 novembre 2007, Belluno
32
Guido Buzzo (2010), Manuale di notizie dei paesi del Comelico e Sappada, Pieve di Cadore,
Tipografia Tiziano
29
slogan che accompagna l'attuale simbolo del Consorzio Turistico Val Comelico
Dolomiti, un fiore stilizzato a cinque petali uno per ogni Comune della valle, è proprio
“Val Comelico, il fiore delle Dolomiti”.
2.4 Gli Abeti della Val Comelico
Il legame dell'uomo con la natura
Il prestigio del legno del Comelico è conosciuto sin dai tempi della Serenissima che si
riforniva dei tronchi cadorini per costruire Venezia. Per lungo tempo i boschi sono stati
una fonte di reddito e ad oggi sono gestiti dalle istituzioni delle Regole. Ma le piante del
Comelico possono essere anche un'attrattiva naturalistica e culturale per raccontare la
vegetazione autoctona e la vita di un tempo. Una particolarità della vallata è la presenza
della Picea excelsa fissilis, il cosiddetto Abete di Risonanza, che cresce solo in pochi
boschi della Val Comelico, della Val di Fiemme e di Tarvisio. Specie molto rara, viene
usata da liutai per costruire la parte anteriore della cassa armonica di moltissimi
strumenti a corda. L'origine della denominazione "risonanza" va ricercata nel fatto che
una volta, quando non esistevano le strade forestali, il legno veniva portato a valle
facendolo scorrere lungo canali pendenti detti risine costruiti con i tronchi. Durante il
tragitto i tronchi, urtando le sponde delle risine, emettevano vibrazioni tali che i
boscaioli distinguevano se il legno "cantava" oppure emetteva un suono secco e sordo.
30
Ancora oggi i liutai frequentano questi boschi nei mesi invernali per scegliersi
direttamente la pianta, così come fece lo stesso Stradivari.
Nei boschi amministrati dalla Regola di Campolongo, sui piani di Val Carnia in Val
Visdende, è stato recentemente inaugurato un percorso didattico per ammirare alcuni
abeti rossi di altezza superiore a 50 metri, di oltre 3 metri di circonferenza e con un'età
calcolata che arriva anche a 216 anni33
. Grazie alla sensibilità delle Amministrazioni
regoliere che si sono succedute negli anni, queste piante sono state preservate nel
tempo; infatti una sola di loro basterebbe per costruite un tabiè intero. Il sentiero
dedicato a questi alberi monumentali è corredato da due pannelli informativi che
descrivono le particolarità di queste piante per altezza, circonferenza, diametro, massa
cormometrica lorda stimata (metri cubi) e gli anni stimati. Il percorso naturalistico si
trova ad una quota di 1333 metri sul livello del mare e si snoda per una lunghezza
complessiva di circa 126 metri. Una parte del tracciato è stato realizzato direttamente
sul terreno, con una massicciata in pietrame e ghiaia, contenuta ai lati da tondi in
legname fissati al suolo, mentre in prossimità del gruppo maggiore di piante, è stata
costruita una passerella su palafitta per evitare il costipamento del terreno che deriva dal
calpestio dei visitatori e che potrebbe danneggiare le radici delle piante. Per lo stesso
motivo, intorno agli esemplari di abete rosso più rappresentativi, sono state realizzate
delle staccionate in legno. Il progetto è stato realizzato dallo Studio Be Forest di Santo
Stefano di Cadore e i lavori sono stati completati nell'ottobre del 2011. Poco a monte
della Valgrande, nella zona della Val Comuna sempre in Comelico, si trova un altro
esemplare di abete rosso di eccezionali dimensioni chiamato in loco “La Regina della
Val Comuna”. Misura circa 50 metri in altezza e si stima possa avere un’età di duecento
anni. Come per gli esemplari della Val Visdende la pianta è stata appositamente lasciata
in eredità dalle precedenti generazioni come esempio di rispetto e salvaguardia del
patrimonio boschivo di proprietà delle Regole Comunioni Familiari, ma non è presente
alcuna cartellonistica illustrativa.
33
Stefano Vietina (2012) I secolari abeti rossi la nuova attrazione della Val Comelico, Corriere delle
Alpi 5 agosto 2012, Belluno, pag 25
31
2.5 La Stua - Padola (Comelico Superiore)
Lo sfruttamento dei corsi d'acqua
Dal bosco si passa all'attività dell'uomo e a Padola, ultimo paese del Comune di
Comelico Superiore prima di entrare in Alto Adige, troviamo un manufatto unico in
Europa legato all'attività del commercio del legname: la Stua. Era uno sbarramento sul
torrente Padola che consentiva l’accumulo dei tronchi e l’avvio della fluitazione, come
spiega Italo Zandonella Callegher: “A monte della Stua si formava un bacino (poteva
contenere fino a due milioni di metri cubi d’acqua) il cui contenuto, una volta aperte le
paratie, portava i tronchi di abete e di larice fino al cìdolo di Perarolo (robusto edificio
per fermare il legname) e da lì trasportati a Venezia con le famose zattere del Piave.”34
La Stua, testimone ancora integro dell’antica via del legname lungo l’asse del Piave, ha
una storia di almeno 500 anni e si hanno notizie certe della sua esistenza sin dal 1521.
La sua attività iniziò con l’affermarsi della Repubblica di Venezia e durò fino alla fine
dell’Ottocento cessando di funzionare dopo le disastrose piene del 1882. Il Cadore
riforniva di legname la Serenissima mediante il trasporto dello stesso per via fluviale.
L’edificio era costruito esclusivamente con i tronchi e fu più volte rimaneggiato, mentre
la Stua che oggi si può visitare è stata ricostruita in blocchi di pietra nel 1818-1819 su
disegno e a spese di Vittore Gera di Candide. La Stua è alta circa 16 metri, ha uno
spessore di 6 metri, ed una lunghezza al coronamento di circa 30 metri. Fino all'inizio
Novecento presentava una sovrastruttura in pietrame e legno con la copertura in
scandole di larice che nel 2000 il Comune di Comelico Superiore ha ricostruito. Nel
2012 il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti ha deciso di valorizzare la Stua con
un’area museale formata da due stanze. In una spicca l'affresco del pittore Vico Calabrò
34
Italo Zandonella Callegher (2012), Nelle Dolomiti Unesco un'opera del Cinquecento unica in Europa,
www.mountainblog.it/italozandonella, 7 ottobre 2012
32
con le varie sequenze della lavorazione boschiva fino al trasporto nel torrente Padola
per la fluitazione. Nell’altra stanza invece, l'allestimento museale a cura di Viviana
Ferrario, contiene dei pannelli informativi sull'utilizzo dei boschi, del legname, la
fluitazione e i manufatti che la rendevano efficiente e la storia della struttura fino alla
sua dismissione. La gestione per l'apertura e la vigilanza della cellula museale ospitata
nella Stua è a livello di volontariato, accessibile ogni giorno nel periodo estivo
stagionale e su richiesta contattando il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti.
Lo sfruttamento dei corsi d'acqua della Val Comelico, in particolare il fiume Piave e il
Padola, avveniva grazie a numerosi mulini, piccole officine e segherie sparsi fuori dai
centri abitati. Attualmente, anche se non più in funzione e adibiti ad altro, è possibile
vedere molti di questi edifici in tutta la vallata censiti dall'architetto Veronica Menia
Cadore35
e facenti parte dell'itinerario tematico “Le Vie del Legno”, opuscolo curato
dalla Comunità Montana del Comelico e Sappada36
.
35
In appendice l'elenco delle strutture. Veronica Menia Cadore, Un museo per la valorizzazione del
patrimonio storico culturale del Comelico, Tesi di Laurea Iuav Venezia AA 98/99, relatore Franco
Mancuso, correlatore Stefano De Vecchi
36
Ivano Alfarè Lovo, Veronica Menia Cadore (2011), La via del legno. Itinerari fra boschi, acque e
residenze di commercianti di legname in Comelico e Sappada, Comunità Montana Comelico e
Sappada, Programma Comunitario Leader II, Azione 6, Tipografia IGB, 2001
33
Capitolo Terzo
Il patrimonio artistico e architettonico della Val Comelico
La seconda sezione della tesi è un lavoro di censimento degli aspetti architettonici e
artistici che possono rientrare in un'ottica di valorizzazione della vallata. Non esiste una
struttura né un'organizzazione dedita al coordinamento di questo patrimonio che si
compone di tante piccole realtà molto spesso di modesta entità. Si spazia dall'arte sacra
fino all'arte contemporanea comprendendo anche le tre tipologie architettoniche presenti
sul territorio. L'intento è di raccogliere tutto ciò che il territorio offre, senza svolgere
uno studio scientifico sulla qualità e la fruibilità, ma semplicemente abbracciando tutti i
possibili luoghi che potrebbero essere una risorsa se valorizzati e coordinati.
3.1 L'Architettura in Val Comelico
Sacra, Rurale e Case Padronali
Seguendo l'analisi storico-architettonica di Giovanna Nieddu37
, le costruzioni in Val
Comelico si possono distinguere in tre categorie: sacra, rurale e case padronali. Senza
entrare nei singoli particolari che caratterizzano ognuna della tre tipologie, il capitolo
dedicato vuole mettere in luce soprattutto l'importanza che questi edifici possono
ricoprire nell'ottica di una valorizzazione e nella progettazione di un percorso di visita e
fruizione turistica. Nella vallata troviamo numerosi esempi di ognuna delle tre tipologie,
37
Giovanna Nieddu (1995), Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di
ricerche sociali e culturali. Il testo tratta le tre tipologie di architettura presenti in Val Comelico e
Sappada suddividendo il patrimonio in edifici rurali, sacri e nobiliari.
34
soprattutto di costruzioni rurali, alcune visibili e visitabili solo dall'esterno ed alcune
anche all'interno38
. In appendice vengono elencati tutti gli edifici di interesse che
potrebbero costituire un percorso di visita della Val Comelico all'insegna dell'arte e
dell'architettura in particolare quella rurale che caratterizza la zona. Una volta
individuati tutti i punti di interesse sarà possibile dare vita ad un itinerario o ad un
progetto di valorizzazione.
In Comelico si contano ventisette edifici sacri39
di cui dieci rappresentati dalle chiese
parrocchiali divenute tali nel corso dell'Ottocento e del Novecento, infatti prima di
allora erano dipendenti dalla Pievania di Santo Stefano eccetto la chiesa di Candide che
si rese autonoma nel XVII secolo. Stretto fu il legame fra l'istituzione Regoliera e la vita
ecclesiastica, soprattutto nella costruzione di questi edifici, in quanto la Regola non solo
influenzava la vita di paese, ma elargiva anche finanziamenti per erigere gli edifici
sacri. Comunque, già fra il XIII e XIV secolo, quasi tutti i paesi della vallata avevano la
loro chiesetta, ciò era dovuto al fatto che la popolazione viveva in tanti piccoli centri,
alcuni molto scomodi da raggiungere, e da qui la necessità di avere un luogo di culto
vicino. La maggior parte delle chiese di Comelico Superiore sono in stile Tardogotico,
arrivato in Cadore e in Comelico in ritardo rispetto al resto d'Europa ma che perdurò
fino al XVIII secolo. Nel Seicento si ha una leggero passaggio dal gotico al classicismo
con la ristrutturazione di edifici e la costruzione di alcuni ex novo che durò fino al
XVIII secolo per giungere poi al XIX secolo con lo stile neoclassico. Difficile fare una
catalogazione completa ed esaustiva degli edifici, comprese le opere custodite
all'interno di essi, ma i diversi studi fatti sul tema consentono di affermare che la Val
Comelico offre la possibilità di visitare numerose chiese aventi elementi architettonici e
decorativi interessanti e in alcuni casi già facenti parte di un itinerario più ampio40
. A
larghe linee, citando gli aspetti artistici e architettonici più noti senza l'intento di essere
38
Molti edifici rurali sono stati soggetto a ristrutturazione, in alcuni casi sono stati mantenute inalterate
le caratteristiche originarie mentre altri hanno subito interventi di modifica totale. Edoardo Gellner,
noto architetto che lavorò a Cortina d'Ampezzo. Studioso degli edifici rurali locali, già negli anni
Ottanta denunciava nel suo studio Architettura rurale nelle Dolomiti Venete il rischio delle
ristrutturazioni.
39
In appendice l'elenco delle chiese in Val Comelico
40
Fra gli itinerari quello di Andrea Brustolon (Chiesa dei Ss Rocco e Osvaldo a Dosoledo) e quello
Tizianesco (Chiesa di San Pietro nell'omonimo paese)
35
esaustivi, si ricordano gli affreschi di Gianfrancesco da Tolmezzo nella chiesa di San
Nicolò, l'altare ad opera dello scultore Andrea Brustolon del XVIII secolo nella chiesa
di Dosoledo e la presenza di Domenico Schiavi che segue sul finire dell'Ottocento i
lavori progettati dall'architetto de Fabbro nel XVIII secolo. Di interesse già riconosciuto
sono le due chiese gotiche di Nicolò Roupel, conosciuto in Cadore per la progettazione
di alcune chiesette votive cinquecentesche della “Difesa”, ed in Comelico troviamo
quella dedicata a Sant'Antonio Abate, a Candide, e quella di Casamazzagno dedicata a
San Leonardo. Di architettura più recente è diventata famosa, dopo la messa celebrata
nel luglio del 1987 dal Papa Giovanni Paolo II, quella dedicata alla Madonna delle Nevi
in Val Visdende. Numerose inoltre le cappelle votive costruite in vari periodi a cura
diretta delle famiglie o della popolazione a seguito di promesse e voti. Due, a Santo
Stefano di Cadore, sono molto antiche in pietra di tufo ed una conserva un'antica statua
della Madonna risalente al Quattrocento.41
L'architettura rurale dei secoli scorsi in Cadore, e in particolare nella vallata del
Comelico, è caratterizzata dall'uso del legno e dal sistema costruttivo detto a blockbau
(tronchi o travi sovrapposti orizzontalmente fino a formare delle pareti; l'aggancio è
ottenuto agli angoli dove vengono ricavate delle connessioni che permettono l'incasso e
l'irrigidimento della struttura). Con l'avvento del Rifabbrico (XIX secolo), ovvero la
normativa che imponeva l'uso della pietra nell'edilizia per ridurre il rischio di incendi
che devastavano i paesi quasi tutti fabbricati in legno, in Comelico sono venute meno le
dimore lignee anche se in alcune zone si possono vedere ancora degli esempi42
. Il paese
di Costalta, per motivazioni legate al terreno su cui sorge, ha continuato a costruire con
questo materiale anche dopo l'entrata in vigore del Rifabbrico e ad oggi si possono
ammirare una trentina di abitazioni e visitarne una all'interno, la Casa Museo “Angiul
Sài”. Le costruzioni rurali in vallata possono essere condotte a due tipologie: quelle
41
Per le nozioni riguardanti l'architettura sacra si è fatto riferimento al testo di Giovanna Nieddu (1995),
Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali,
dove si trovano informazioni sulle chiese parrocchiali. Un altro testo è la piccola guida turistica della
Provincia di Belluno che tratta le chiese e i tesori artistici più importanti della Val Comelico: Ivano
Alfarè Lovo, Mario Fait, Daniela Sacco (2004), Tesori d'Arte nelle Chiese dell'Alto Bellunese:
Comelico e Sappada, Provincia di Belluno Editore, Tipografia Piave Belluno.
42
Soprattutto nel paese di Costalta e nel Comune di Comelico Superiore si trovano numerosi esempi di
questa tipologia di architettura
36
coincidenti con la dimora abitativa che troviamo nei paesi (ceda) e quella dei cosiddetti
tabiè che, sparsi lungo i prati e sui pendii, caratterizzano il panorama della vallata.
La ceda è la costruzione che si trova nei centri abitati e può essere unifamiliare o
plurifamiliare e prima del Rifabbrico era costruita tutta in legno. Al piano terra troviamo
la cucina, il soggiorno (stua) e ai piani superiori le camere. Il corridoio divide in due la
casa. I tabiè sono degli edifici decentrati rispetto al villaggio e l'alto numero di queste
costruzioni caratterizza il Comelico. La motivazione è legata a fattori morfologici:
queste costruzioni venivano utilizzate per il deposito del fieno e in Val Comelico il
dislivello fra paesi e prati falciabili è ampio e quindi, per evitare gravosi trasporti di
fieno e letame, venivano costruiti lontano dalle abitazioni ma più vicini ai prati. I tabiè
inoltre venivano utilizzati anche in primavera e in autunno per il ricovero dei bovini che
pascolavano ad una quota bassa. Di questo tipo ce ne sono molti in Val Visdende che,
priva di dimore permanenti, vedeva i suoi tabiè abitati da maggio a ottobre. I modelli
più antichi sono costituiti a tronchi grezzi con il sistema blockbau e avevano un
ballatoio ligneo esterno. I tabiè che si vedono ancora oggi sono formati da due o più
stalle in muratura al piano terra e al piano superiore, che è in legno, troviamo gli spazi
per il fieno e uno spazio comune detto erà dove un tempo si battevano i cereali. Molto
spesso si possono vedere anche costruzioni che prevedono la ciasa e il tabiè in un unico
edificio dove la parte destinata al fieno e agli animali era sistemata a nord e quella
abitativa a sud43
. Nel paese di Dosoledo, posizionati ad ovest, si possono vedere 11
fienili in fila che sono il risultato del Rifabbrico che obbligò la costruzione di questi
edifici al di fuori dell'abitato.
43
Edoardo Gellner (1988), Architettura rurale nelle Dolomiti Venete, Cortina d'Ampezzo, Dolomiti.
Il libro descrive minuziosamente la struttura della casa rurale ceda e del rustico tabiè
37
La terza tipologia di architettura44
presente in Val Comelico è quella delle dimore
signorili45
che, sebbene in numero non così importante, si caratterizzano per essere sorte
nell'assetto urbano rurale preesistente senza modificarlo. Ci sono da segnalare delle
cosiddette “case di transizione” fra la dimora rurale e quella civile e un esempio si può
riscontrare nella Casa Zandonella-Sarinutto a Dosoledo. La costruzione di abitazioni
completamente in muratura, ispirate alle ville del basso Veneto, coincide con il XVII e
XVIII secolo. Infatti, in questo periodo, si assiste all'ascesa di alcune famiglie che si
arricchirono con il commercio di legname in particolare la famiglia Gera a Candide,
Zandonella a Dosoledo e Poli a San Pietro. Questo tipo di architettura si esprime in
modo semplice, se messa a confronto con le ben più note ville venete, ed è interessante
notare come gli elementi di gusto classicheggiante si innestano in quelli della tradizione
alpina rurale. Nel corso dei secoli numerosi palazzi sono stati demoliti o ristrutturati
perdendo così gli elementi architettonici e la stessa datazione di quelli ancora esistenti è
incerta e difficoltosa da stabilire con precisione. La maggiore concentrazione di queste
dimore si denota nel comune di Comelico Superiore, dove c'era il maggior traffico di
legname, invece l'unica villa riconosciuta ed entrata nel circuito delle Ville Venete è la
villa Poli-De Pol-Sammartini nella frazione di Mare nel comune di San Pietro di
Cadore. Molti di questi edifici sono tuttora di proprietà privata, nonché abitazioni
private, e non è possibile effettuare visite all'interno dove spesso si trovano pregevoli
stucchi e affreschi. Un' eccezione è fatta per il Palazzo Poli-De Pol46
a San Pietro di
Cadore, sede del municipio, che è interamente visitabile e, sempre nel medesimo
comune, la villa inserita nel circuito delle Ville Venete dove è possibile accedere al
piano terra, al parco e alla casa dominicale su appuntamento.
44
L'unico testo di riferimento che tratta ampiamente di questo argomento è il libro di di Giovanna
Nieddu (1995), Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di ricerche
sociali e culturali
45
In appendice l'elenco degli edifici signorili in Val Comelico
46
Patrizia Eicher Clere, Elisabetta Riva De Bettin (1994), Una villa veneta nella ladina dolomitica:
Girolamo Pellegrini e gli affreschi di Palazzo Poli-De Pol a San Pietro di Cadore, Comp Editoriale
Veneta s.r.l., Mestre (Ve)
38
3.2 L'arte in Val Comelico
Le espressioni artistiche di una vallata così isolata e chiusa come la Val Comelico non
annoverano grandi nomi, ma raccontano semplicemente il rapporto degli autoctoni e di
chi si è affezionato al territorio. Diverse sono le attrattive che andrebbero valorizzate ed
inserite in una rete che possa dare visibilità a tutti e che consenta non solo ai locali, ma
anche ai turisti, di poter avere un'offerta diversa. In Val Comelico si contano alcuni
spazi espositivi, molte opere sparse sul territorio ed anche alcune tele di artisti locali.
Molte di esse sono figlie di manifestazioni pensate appositamente per dare vita a
tradizioni artistiche legate alla vallata, mentre alcune sono legate ad eventi o a semplici
iniziative di celebrazione. Lo scopo di questa sezione è di elencare tutte le piccole e
grandi opere che si trovano sparse nei cinque comuni della vallata per avere una
panoramica completa delle potenzialità da valorizzare.
3.2.1 Collezioni ed esposizioni
A quota 1.249 metri, nel paese di Costalissoio, si trova un'esposizione permanente
dell'artista Luigi Regianini conosciuto in loco come il Museo Surrealista “Luigi
Regianini”. La struttura rientra nei locali che lo studio si prefigge di organizzare al fine
di consentire la nascita e lo sviluppo di una rete museale della Val Comelico. Pittore,
scultore e grafico, Regianini nasce a Milano nel 1930 e muore il 27 marzo 2013. Si
diploma in scultura all'Accademia di Belle Arti di Brera, sotto la guida di Francesco
Messina e Giacomo Manzù, ed ha al suo attivo circa 250 esposizioni, fra personali e
39
collettive, in Italia e all'estero. Ha svolto sin dall'inizio la sua ricerca artistica nella sfera
del surrealismo e del fantastico con oltre 1500 opere prodotte in 50 anni di attività,
molte delle quali si trovano presso collezioni private e pubbliche in Italia e all'estero47
.
Temi ricorrenti sono la distruzione dell'ambiente naturale da parte dell'uomo,
l'inconscio, la psicologia umana e la violenza. L'ultimo periodo della sua attività
artistica si caratterizza per un surrealismo che mette in luce le tragedie umane attraverso
rappresentazioni macabre molto forti ma allo stesso tempo tristemente ironiche48
. Le
Dolomiti sono un'importante fonte di ispirazione ed una delle protagoniste nella
rappresentazione artistica e lo stretto rapporto dell'artista con il Comelico deriva dalle
origini della madre nativa di Costalta, nel comune di San Pietro di Cadore, e dalle
numerose estati passate lì in villeggiatura. Regianini considera la montagna come “la
natura più vera, più cruda, più violenta che sotto certi aspetti trasmette valori e verità
che in pianura sono nascosti. In Comelico è il paradiso per il clima, la marea di abeti e
lascia perplessi chiunque trascorra qualche giornata qui”49
. La montagna è carica di
simboli, in molte sue opere infatti le rocce dolomitiche sono antropomorfe e assumono
le fattezze degli uomini; sono gli avi che osservano e vigilano sul presente di dolore e
inquietudine. Particolare è il legame che l'artista ha instaurato con le costruzioni tipiche
rurali della vallata, in dialetto tabiè (fienili). Il desiderio di rappresentare queste
costruzioni rurali nasce nella residenza milanese dove il richiamo alle origini si fa più
forte. Per questo i tabiè sono raffigurati in molte opere: un desiderio atavico che prende
forma nell'universo surrealista e che fanno da contorno a molti soggetti ambientati in
paesaggi montani. Regianini inoltre ha acquistato due tabiè a Costalta per restaurarli ed
uno l'ha affrescato: “Molti paesi inaugurano musei sugli attrezzi del passato, mentre io
ritengo che i fienili siano la vera opera d'arte che parla direttamente all'uomo perché
contiene vite vissute”.50
Nel 2004 viene inaugurato a Costalissoio lo spazio espositivo
permanente messo a disposizione dalla Regola dove sono ospitate diverse opere donate
47
Per una panoramica più dettagliata si rimanda al catalogo Luigi Regianini Catalogo (2000),
Surrealismo di Regianini: l'immaginario nel profondo reale, Milano, Brama Arte
48
Il libro Luigi Regianini Catalogo (2006), Surrealismo di Regianini: opere inizio terzo millennio 2000-
2006 d.C., Milano, Logos, raccoglie le opere di questa fase
49
Stefano Vietina (2011) Regianini Tramonti e Abissi, Corriere delle Alpi 20 agosto 2011, Belluno, pag.
33
50
Stefano Vietina (2011), video Luigi Regianini, un pittore surrealista sulle Dolomiti, dolomitichannel
su You Tube
40
da Regianini51
. Il museo è disposto su tre spazi: “Local Art”, “Harmony Art” e “Horror
Art”. Il primo spazio accoglie il visitatore e si trovano opere che raccontano la vallata.
Sono esposti i quadri che raffigurano la leggenda delle ongane, le ninfe giovani e buone
e quelle vecchie e cattive che vivono nei boschi; una rappresentazione dell'incendio
avvenuto a Costalissoio nel 1884; la figura di Andrea Zanzotto che ancora bambino
accompagna il padre a dipingere l'encausto nella chiesa di Costalissoio; un ritratto del
poeta in età adulta cittadino onorario di Santo Stefano di Cadore; il cappellano militare
Don Arnoldo noto per la sua opera di raccolta dei defunti della Grande Guerra in
Comelico e Cadore, un ritratto di Zanzotto cittadino onorario di Santo Stefano52
, una
rappresentazione simbolica delle Regole ed infine il ritratto del Papa Giovanni Paolo II,
mentre sosta in un bosco di Costalissoio. Nel secondo settore, una stanza a parte che
comunica con la prima, vi troviamo un “surrealismo dolce con immagini di fiori,
paesaggi marini, montani e interpretazioni della città di Venezia”53
. Il terzo settore
ospita le opere che indagano sull'esistenza, soprattutto il tema della morte e dell'orrido.
Lo spazio di anno in anno si rinnova ed accoglie nuove opere che vanno a sommarsi o a
scalzare le precedenti. Lo spazio è gestito dal responsabile Guido Buzzo e da Francesco
Polledri, è aperto nel periodo estivo e su prenotazione durante il resto dell'anno. Non è
accessibile ai portatori di handicap, è presente l'impianto di riscaldamento e
un'illuminazione adeguata anche se lo spazio è troppo piccolo per contenere tutte le
opere. Oltre alle tele esposte presso il museo, numerose sono le altre opere di Luigi
Regianini ospitate in Val Comelico in collezioni private, come quella di Francesco
Polledri che ne possiede circa una cinquantina fra litografie e dipinti54
. Nella chiesa di
Costalissoio, a sinistra dell'altare, sono collocate due grandi tele: una raffigurante Gesù
in croce ed una la Madonna di Medjugorje; mentre due crocifissi dipinti su tavola,
incorniciati da edicole lignee, sono posti presso due abitazioni dello stesso paese. Nelle
vicinanze, in località San Lorenzo, si può osservare un grande murale collocato
all'interno di un rustico, sede dell'associazione "Amici di Costalissoio". Due dipinti con
soggetti montani, di proprietà dei Comuni di Santo Stefano e di San Pietro di Cadore,
51
In appendice l'elenco delle opere presenti presso l'esposizione di Costalissoio
52
Stefano Vietina (2012), Santo Stefano celebra il legame con Zanzotto, Corriere delle Alpi 9 agosto
2012, Belluno
53
Dalla testimonianza raccolta dall'intervista al promotore e responsabile dell'iniziativa, Guido Buzzo
54
Queste opere potrebbero costituire un interessante potenziale per creare un'esposizione più ampia
41
sono visibili rispettivamente nella sala consiliare e nella biblioteca pubblica comunale.
Un'opera su tavola, raffigurante la tragica alluvione avvenuta in Comelico nel 1966, è
esposta nel salone del Museo della Cultura Alpina e Ladina di Padola. Un altro dipinto,
di uguali dimensioni raffigurante un paesaggio cadorino, è collocato e visibile presso la
scuola elementare di Costalta, mentre un ritratto di Papa Giovanni Paolo II, eseguito in
occasione della visita al paese nel 1985, è situato all'interno della canonica. Sempre a
Costalta sono visibili altri tre crocifissi dipinti con edicola lignea. Uno dei quadri più
conosciuti in valle è “Giovanni Paolo II in visita a Costalta” dipinto per il ventennale
della visita del Pontefice polacco ed inserito nell’edicola votiva costruita lungo il
Sentiero del Papa a Costalta. E proprio nella piccola frazione di Costalta si trovano tre
spazi espositivi di artisti locali: uno scultore vissuto negli anni Cinquanta (Anastasio De
Villa Bais), un pittore che visse fino al decennio scorso (Giovanni De Bettin Linch) e lo
spazio di un artista contemporaneo (Giusto De Bettin). Tutti gli spazi sono gestiti
privatamente e con visita su richiesta. Essendo sorti e gestiti con la volontà di non
perdere la memoria è interessante vederli non tanto per la qualità delle opere esposte ma
per scoprire una Val Comelico fatta non solo di natura ma anche di rappresentazioni di
essa. Una parte della casa di Anastasio De Villa Bais55
, in Via Villa 12 a Costalta, è stata
allestita per esporre le opere di marmo e alcuni bozzetti in gesso creati negli anni
Cinquanta. Lo spazio rende omaggio all'artista sfortunato che dimostrava di avere
capacità espressive ma che la ristrettezza del paese e della vallata non gli permisero di
esprimere al meglio. Nacque nel 1924 e, ancora ragazzo, già modellava le sue prime
raffigurazioni aiutando il padre, artigiano marmista, nella piccola bottega di Costalta. A
23 anni si trasferì a Carrara presso le cave di marmo dove frequentò la locale Scuola
d'Arte, affinandosi nella tecnica scultorea. “Ritornato nella natia Costalta con la ferma
intenzione di dedicarsi completamente alla scultura, si trovò invece ben presto coinvolto
e oppresso dalle semplici, ma indispensabili necessità della quotidiana sopravvivenza,
disperdendo le sue doti artistiche in un difficile e sofferto rapporto con i paesani (che
mai capirono o accettarono i comportamenti e le idee di Anastasio). Così il De Villa si
sentiva sacrificato, costretto alla sola misera lavorazione di lapidi e statuette cimiteriali,
55
Gruppo musicale Costalta (1992), Anastasio De Villa, Omaggio ad un artista, Edizioni Gruppo
Musicale Costalta
42
in uno spazio artistico e culturale angusto, monotono assai limitato.”56
Sofferse talmente
per questa situazione che venne ricoverato nella clinica psichiatrica di Feltre e dalla
quale ne uscì solo morto all'età di 68 anni. La bottega-laboratorio dell'artista è rimasta
intatta e visitabile: vi sono conservati gli attrezzi, alcune opere finite e altre incompiute,
autoritratti, busti, bassorilievi e statue. Troviamo poi lo studio di Giovanni De Bettin
Linch (1923-2006) "Tra le persone che spiccano per impegno ed intraprendenza dando
lustro alla propria terra, va ricordato Giovanni De Bettin Linc, pittore accademico di
fama internazionale, fine poeta, cantore della ladinità comeliana. Nell'atelier di Costalta
c'è una mostra permanente delle sue opere"57
. Quest'artista si distinse in vallata per le
opere paesaggistiche e ritrattiste che si trovano in tutta la Val Comelico. Il terzo spazio
espositivo è il tabiè di Giusto De Bettin dove l'artista espone ancora oggi le sue opere.
Interessante è lo spazio ricavato in una tipica costruzione rurale quale il tabiè come
luogo d'arte, l'incontro fra la tradizione passata e la produzione artistica locale.
La disorganizzazione e il disinteresse per l'arte che caratterizza molto spesso la Val
Comelico non hanno permesso una seria né accurata ricognizione di tutti i prodotti
artistici del luogo. Si conoscono i nomi di molti artisti che hanno operato qui, sia
autoctoni che esterni, e molte delle loro opere sono sparse in Val Comelico. Si ricordano
in particolare Romana d'Ambros58
, Tita Saler, Pio Solero e molti altri dediti soprattutto
al paesaggio e al ritratto59
. Caso a parte lo scultore Geremia Grandelis divenuto famoso
all'estero soprattutto per il suo monumento a Lincoln nella città di Washington. A
Campolongo, paese natale, è possibile vedere una stele dedicata a questo artista che
purtroppo non è stato valorizzato e alcune sue opere sono presenti presso la sede
comunale di Santo Stefano di Cadore60
. Se fosse possibile raccogliere tutte le opere
presenti in Val Comelico dei vari artisti, che sono ancora conservate presso privati
oppure in sale pubbliche, sarebbe possibile creare uno spazio che racconta la Val
56
Nella guida a cura di Italo Zandonella Callegher e Mario Fait (1997), Escursioni Comelico e Sappada,
CIERRE Edizioni, si trovano gli approfondimenti su queste piccole esposizioni locali
57
Ibidem
58
Nell'estate 2013 si celebra il centenario della nascita di Romana D'Ambros con una mostra
59
Diverse biografie di artisti autoctoni si trovano nell'articolo a cura di Mario Fait (2008), Pittori di
montagne...comelicensi, in La grande Cordata per le montagne bellunesi a cura di Italo Zandonella
Callgher e Loris Santomaso, Grafiche Antiga, Crocetta del Montello (TV)
60
Una biografia e delle opere di Geremia Grandelis si trovano nell'appendice del libro Dizionario del
dialetto ladino e omaggio a Geremia Grandelis a cura di Germano De Zolt, Istituto bellunese di
ricerche sociali e culturali, 1986, Stampa Castaldi, Feltre.
43
Comelico attraverso il lavoro modesto, ma pur sempre interessante, degli artisti che si
sono ispirati qui. Uno spazio pedagogico per sensibilizzare i locali e che offra al turista
una panoramica della valle attraverso gli occhi degli artisti che vi hanno operato.
3.2.2 Vico Calabrò e Augusto Murer: piccoli luoghi d'arte
Nella vallata si trovano anche altre piccole espressioni artistiche che da sole non
possono offrire molto ma, inserite in una fruizione più ampia a rete, possono fare parte
di un percorso alla scoperta del Comelico attraverso l'arte. In Val Comelico ci sono due
opere di Augusto Murer61
: a Costalissoio (Santo Stefano di Cadore), in Piazza SS.
Trinità, è presente una statua rappresentate la Patria. L'opera, dedicata ai caduti di
Costalissoio, è stata inaugurata il 6 novembre 1955 e presenta tre altorilievi: Madre e
Caduto, Cristo tra i Caduti e Soldato e Commilitone ferito. Nel paese di Costalta (San
Pietro di Cadore) troviamo l'opera in bronzo intitolata all'alpino che raffigura l'omonimo
“Sergente della neve” del racconto di Mario Rigoni Stern.
Altro artista è l'affreschista Vico Calabrò62
che si presenta con diverse opere di cui due
61
Augusto Murer (Falcade 21 maggio1922 - Padova,11 giugno1985) Scultore italiano della seconda
metà del Novecento, si distinse con un'ampia produzione artistica legata a temi di impegno civile ma
anche alla ricerca del senso profondo dell'esperienza umana. A Falcade (BL) l'Associazione Erma
gestisce il Museo Augusto Murer dedicato all'artista
62
I dipinti murali eseguiti in Val Comelico e visibili sono a Santo Stefano di Cadore presso Casa
Pellizaroli “Vita al terzo piano” 1967 e “Arianna in cantina” del 2004 presso il Monaco Sport Hotel.
44
in spazi pubblici. A Costalissoio troviamo “Il Cristo dei Regolieri” eseguito nel 1994:
donato alla Regola dallo stesso artista, l'affresco raffigura le attività agro silvo pastorali
che caratterizzano l'istituzione regoliera. Queste tre realtà vengono inserite nel contesto
paesano con la raffigurazione della Chiesa, della Malga Pramarino e di Malga
Campobon, il tutto sovrastato da un luminosissimo Cristo. Il secondo affresco risale al
1981 e si trova nel Museo della Cultura alpina e Ladina di Padola. È un'opera di circa
35 mq raffigurante alcuni aspetti della vita della popolazione del Comelico e del
fenomeno dell'emigrazione con riflessioni iconiche su aspetti leggendari e folcloristici
della tradizione locale. Il terzo affresco, eseguito nell'estate del 2012, si trova nella
cellula museale de “La Stua” a Padola dove ha rappresentato tutte le fasi del lavoro che
precedevano la spedizione del legname: come si lavorava il bosco, il taglio degli alberi,
la preparazione dei tronchi, il loro trasporto fino al torrente Padola con le slitte trainate
da cavalli e infine la fluitazione63
.
3.3 Eventi Artistici in Val Comelico
Nella Val Comelico si individuano due eventi artistici che si caratterizzano per la
cadenza annuale e per l'organizzazione ben strutturata. Non si parla solo di semplici ex-
tempore o simposi, ma di manifestazioni locali con artisti “esterni”, dove l'arte trova un
forte legame con il territorio e viene prodotta e pensata per rimanere nella valle con
specifici intenti. Da Costalta, dove la scultura contemporanea punta a valorizzare
l'architettura rurale, al progetto più ampio del Trittico di Pittura Dolomitica che si pone
l'obiettivo di unire tutta la Val Comelico attraverso l'interpretazione artistica di
professionisti del settore sotto la direzione di Vico Calabrò, celebre affreschista già noto
per il lavoro nel paese dei murales, Cibiana di Cadore.
A Costalissoio “Il Cristo dei Regolieri” del 1994 nella Sala della Regola; a Costalta nel 1996 “Caccia
col flauto” in Villa De Bettin e a Dosoledo presso la Chiesa Parrocchiale “Via Crucis” 1966 e nel 2000
presso il Tabià Callegher due acrilici su intonaco. A Padola presso il Museo della Cultura Alpina e
Ladina “Padola di una volta” del 1981 e nel 2012 nella cellula museale della Stua rappresenta la fasi
del taglio del legname per il quale si fa riferimento all'articolo di Stefano Vietina (2012) Nella Stua di
Padola Vico Calabrò racconta il taglio del bosco, Corriere delle Alpi 7 luglio 2012, Belluno
63
Stefano Vietina (2012) Nella Stua di Padola Vico Calabrò racconta il taglio del bosco, Corriere delle
Alpi 7 luglio 2012, Belluno
45
3.3.1 Costalta “Paese d'Arte”
Il legno è da sempre una risorsa per la sussistenza degli abitanti della Val Comelico e di
questo materiale, fino a poco tempo fa, venivano costruite tutte le strutture adibite al
riparo di uomini e animali. Costalta, nel Comune di San Pietro di Cadore, è un piccolo
paesino sorto sulle pendici del Monte Zovo. Causa la difficoltà di reperire altri
materiali, l'edificazione nel paese si è caratterizzata per l'abbondanza nell'uso della
risorsa boschiva. Altro motivo per il quale le costruzioni sono prevalentemente lignee,
eccetto il piano basale in muro, sta nel fatto che garantiscono maggiore stabilità sulla
pendenza precaria del suolo dove si trova Costalta: ovvero una casa di legno significa
minor carico sul terreno ed eliminazione dei rischi di lesione, come risulta dagli studi
dell'architetto Edoardo Gellner64
. Per queste motivazioni a Costalta si continuò anche
dopo la messa a bando del legno (introdotta per scongiurare il rischio di incendi secondo
le normative del Rifabbrico) a costruire con questo materiale. L'importanza riservata
alle abitazioni e alla prevenzione del rischio d'incendio si tradusse in passato
nell'istituzione della figura di guardia notturna, voluta della Regola, e in attività fino agli
anni Cinquanta. Questa persona aveva il compito di girare la notte lungo le stradine del
paese al fine di garantirne la sicurezza e nel caso di incendio di avvisare la popolazione.
Ad oggi nel paese di Costalta rimangono una trentina di abitazioni che si sono salvate
64
Edoardo Gellner (1988), Architettura rurale nelle Dolomiti Venete, Cortina d'Ampezzo, Dolomiti
46
Val Comelico: Patrimonio Culturale, Naturalistico e Artistico - Marta De Zolt
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Val Comelico: Patrimonio Culturale, Naturalistico e Artistico - Marta De Zolt

  • 1. Corso di Laurea Magistrale Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali Università Ca' Foscari Venezia Val Comelico Patrimonio Culturale, Naturalistico e Artistico Tratto dalla Tesi di Laurea Val Comelico, proposte di sviluppo La Rete Museale del Legno e la valorizzazione del Patrimonio Artistico A.A. 2012/2013 Laureanda: Marta De Zolt Relatore: prof. Dario Maran Correlatori: prof.essa Stefania Portinari 1
  • 3. Indice Introduzione Parte Prima Censimento ed Analisi del Patrimonio Culturale, Naturalistico, Artistico Capitolo Primo La Cultura Ladina in Val Comelico 1.1 Museo della Cultura Alpina Ladina del Comelico - Padola (Comelico Superiore) 1.2 Algudnei Spazi per la Cultura Ladina in Comelico - Dosoledo (Comelico Superiore) 1.3 Trói (Comelico Superiore) 1.4 Museo Etnografico “La Stua” - Casamazzagno (Comelico Superiore) 1.5 Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai" - Costalta (San Pietro di Cadore) Capitolo Secondo La Natura del Comelico 2.1 Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” - Danta di Cadore 2.2 Le Torbiere – Danta di Cadore 2.3 Il Giardino Alpino - Candide (Comelico Superiore) 2.4 Gli Abeti della Val Comelico 2.5 La Stua - Padola (Comelico Superiore) Capitolo Terzo Il Patrimonio Artistico e Architettonico 3.1 L'Architettura in Val Comelico 3.2 L'arte in Val Comelico 3.2.1 Collezioni ed esposizioni 3.2.2 Vico Calabrò e Augusto Murer: piccoli luoghi d'arte 3.3 Eventi Artistici in Val Comelico 3.3.1 Costalta “Paese d'Arte” 3.3.2 Arco d San Marco - Trittico di Pittura Dolomitica Appendici Bibliografia 3
  • 4. Capitoli della Tesi Non Pubblicati e Consultabili su Richiesta Parte Seconda Progettazione della Rete Museale del Legno e proposte per la valorizzazione del Patrimonio Artistico e dell'Arte Contemporanea Capitolo Quarto La Rete Museale del Legno in Val Comelico 4.1 Stakeholders 4.2 La progettazione della Rete Museale del Legno in Comelico 4.2.1 Individuazione di un ente coordinatore: Centro Studi Transfrontaliero Comelico e Sappada e le problematiche degli enti privati 4.2.2 Individuazione degli obiettivi minimi da raggiungere per ogni singolo ente per fare parte della Rete del Legno 4.2.3 Analisi dell'applicazione degli standard di qualità secondo la D.G.R. n.2863 del 18.9.2003 4.3 Obiettivi e Azioni della Rete 4.4 Forma Gestionale e Organigramma 4.5 Finanziamenti 4.6 Budget Preventivo Capitolo Quinto Indagine sull'Arte Contemporanea in Val Comelico 5.1 Aurelio Fort 5.2 Chiani 5.3 Olga Riva Piller 5.4 Vico Calabrò 5.5 Lorenzago Aperta: Vito Vecellio 5.6 Franco Baldissarutti 5.7 Michela Ianese 5.8 Arte Comelico Ladino e Buteiga di Mistieri 5.9 Proposte per la valorizzazione del patrimonio artistico Conclusioni 4
  • 5. Introduzione “...e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti tutto il verde Comelico” Giosuè Carducci, Ode al Cadore, 1892 Il Comelico o Val Comelico (Cumélgu, Comélgu, Comélgo in ladino) è una valle montana in Provincia di Belluno compresa nella zona denominata Cadore. Confina ad ovest con la Provincia Autonoma di Bolzano, a nord con l'Austria e ad est con la Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia. La storia della vallata coincide in gran parte con quella del Cadore anche se, assieme alla vicina isola germanofona di Sappada, è sempre stata considerata zone periferiche. Composta da cinque Comuni (Comelico Superiore, Danta di Cadore, San Nicolò di Comelico, Santo Stefano di Cadore e San Pietro di Cadore), la vallata si distingue fra Superiore e Inferiore e ciò è dovuto sia a ragioni geografiche che storico-amministrative. L'etimologia del nome Comelico si può far risalire al termine “comunicazione”1 derivante dalla posizione strategica che questa valle ha nei collegamenti con la Val di Sesto (Alto Adige), la Val Pesarina che porta in Carnia (Friuli Venezia Giulia), i collegamenti con il Cadore, Sappada e l'Austria. Dal punto di vista morfologico rientra nelle Dolomiti Orientali: non presenta le caratteristiche tipiche strette della zona dolomitica, ma si distingue per terreni scistosi che hanno favorito la costruzione di centri abitati. La valle è percorsa da due fiumi: il Padola, nella zona superiore, e il Piave nella parte detta inferiore; nella Val Visdende, vallata dalla natura incontaminata facente parte del Comelico, si trovano le sorgenti del “fiume sacro alla patria”. Il Comelico è anche conosciuto per essere una valle molto isolata, da un lato ciò ha comportato una lentezza e una chiusura verso gli eventi esterni, dall'altro ha dato la possibilità di conservare alcune caratteristiche che nelle valli limitrofe, molto più aperte sia geograficamente che mentalmente (e quindi anche 1 Carlo Tavaglini (1988), Il dialetto del Comelico, Ristampa a cura della Comunità Montana del Comelico e Sappada, Tipografia Castaldi, Feltre 5
  • 6. turisticamente), sono andate perse. Antonio Ronzon2 già nel 1877 definiva il Comelico “isola alpina” e Olinto Marinelli3 nel 1907 osservava come questo territorio fosse un esempio di regione isolata da limiti geografici ben definiti: “frontiere così evidenti e segnate dalla natura, non meno che dalla tradizione del popolo, influiscono certamente sullo sviluppo antropogeografico della regione da esse racchiusa e nel mantenerle una ben netta individualità”. Alessandro Cucagna4 nel 1969 riconosce al Comelico una “facies” geografica sotto molti aspetti autonoma: per l'aspetto fisico (il predominare di terreni scistosi), per il prevalere di qualche particolarità antropica (come la presenza di una dimora rurale lignea e la posizione di pendio di gran parte dei suoi centri) e per la conservazione di particolari caratteri linguistici, ovvero la lingua ladina, tuttora parlata, che si differenzia fra il Comelico Inferiore e Superiore. Dati tutti questi aspetti la Val Comelico presenta numerose peculiarità che sono alla base del presente studio. La ricerca, svolta in diversi anni, vuole mettere in luce le opportunità che scaturirebbero per lo sviluppo della vallata se si potesse coordinare l'offerta culturale anche in un'ottica turistica. La tesi è organizzata secondo due aree di ricerca: la prima parte tratta l'analisi delle strutture museali e i luoghi di interesse che potrebbero essere coordinati ed organizzati al fine di favorire una fruizione migliore degli stessi e la nascita di un percorso culturale strutturato sulla Val Comelico. Il censimento sfocia, e si concretizza, nella progettazione della Rete Museale del Legno Val Comelico, in cui si mettono in luce potenzialità e complessità di una struttura che qui viene ipotizzata. La seconda area è un'indagine sul ruolo dell'arte in Val Comelico, in cui vengono censiti luoghi e peculiarità artistici e architettonici del posto. Si propongono in conclusione una serie di interviste con artisti professionisti che operano nella vallata nell'ambito dell'arte contemporanea. L'intento del lavoro è di delineare un quadro generale sulla situazione attuale dell'arte contemporanea in Val Comelico per capire che ruolo ha, o potrebbe avere, come veicolo di sviluppo dell'offerta culturale. I due ambiti si intrecciano e vanno a confluire in un ragionamento complessivo dove l'offerta culturale del passato si fonde con quella artistica contemporanea e non. 2 Antonio Ronzon (1877), Il Cadore descritto da A.Ronzon, Tipografia Antonelli, Venezia 3 Olinto Marinelli (1907), I limiti altimetrici in Comelico, in “Memorie geografiche” (Rivista Geografica Italiana-G.Danielli) vol. 1, Tipografia Ricci, Firenze 4 Elio Migliorini, Alessandro Cucagna (1969), La casa rurale nella montagna bellunese, CNR ricerche sulle dimore rurali in italia, Leo Olschiki Editore 6
  • 7. Capitolo Primo La Cultura Ladina in Val Comelico La Lingua e la Cultura Ladina accomunano e dividono numerose valli a cavallo fra il Trentino-Alto Adige, il Veneto ed il Friuli. Un insieme di tradizioni millenarie, molte ancora vive, che si identificano territorialmente sotto il nome Ladinia. Non esiste una regione unitaria riconosciuta tale ma tra le accezioni più diffuse, a fianco di quella più naturale che identifica la Ladinia con l'interezza del territorio in cui la lingua è parlata, risulta diffusa quella che identifica la regione con la sola porzione di territorio ladinofono che prima del 1918 apparteneva all'Austria-Ungheria. Alla Ladinia apparterrebbero oggi i soli comuni di lingua ladina della Val di Fassa (TN), della Val Badia (BZ), della Val Gardena (BZ), dell'alta Val Cordevole (BL) e dell'Ampezzo (BL), tutti ex-asburgici, a cui vanno aggiunti tutti gli altri comuni ladinofoni riconosciuti ufficialmente dalla legge 482/1999 sulle minoranze linguistiche. La questione del riconoscimento è alquanto complessa, ma è innegabile l'appartenenza alla Ladinia di molte altre vallate non ufficialmente riconosciute e caratterizzate dalla lingua di chiara derivazione, dalle tradizioni pressoché simili e dal forte legame col territorio dolomitico. La Val Comelico rientra fra queste, e la sua indiscutibile appartenenza alla Ladinia si riscontra non solo nella parlata tuttora viva e da molte tradizioni che si celebrano ogni anno con grande partecipazione; ma anche dai vari siti e musei che ricordano tradizioni ed usi delle generazioni passate. Alessandro Sacco ha sintetizzato le inevitabili contraddizioni di contesti culturali dall'identità fortemente marcata come il Comelico dove, con l'arrivo della globalizzazione e la perdita di identità, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, si vide la nascita di diversi gruppi culturali che si proponevano di rianimare e valorizzare la cultura locale. "Segno, da un lato, di un bisogno di genuino, di diverso rispetto al quotidiano, ma anche di spaesamento; dall'altro della mancanza di sedi e momenti per usufruire e far propri contenuti di una cultura di più ampio respiro"5 . Da una più approfondita analisi di questi “luoghi della memoria” e delle numerose associazioni che li hanno ideati e li gestiscono, emerge 5 A. Sacco "Ultra Pennas", contatti, scontri, trasformazioni di un territorio e di una società, cenni storico-geografici su Comelico e Sappada, in E.Cason (a cura di), Comelico, Sappada, Gaital, Lesachtal: paesaggio, storia e cultura. Verona 2002 7
  • 8. appunto una forte volontà di conservare e riscoprire il passato dimenticato e quello che si è adeguato ai tempi moderni sfociando in nuove forme. Inoltre si fa avanti anche la consapevolezza che il rilancio turistico può partire proprio dalla valorizzazione di questa cultura, che non riguarda solo la parlata ma che spazia dall'architettura fino ai rituali sacri e pagani. I Musei descritti in questa sezione non sono propriamente dei Musei perché non rientrano negli standard normativi6 ma viene utilizzata questa accezione con l'intento di rispettare una consuetudine affermatasi nel tempo. E' più corretto definirli “collezioni” nel caso del Museo della Cultura Alpina e Ladina di Padola e del Museo Etnografico di Casamazzagno. In questa sezione non entrerò nel merito né approfondiremo il metodo scientifico con il quale sono stati allestiti ma mi limiterò ad illustrare delle realtà che possono essere delle risorse per il territorio con i dovuti adeguamenti. 6 Si fa riferimento agli Standard della Regione Veneto e in particolare all'Allegato 1 alla DGR n. 2863 del 18.09.2003 Individuazione di requisiti minimi gestionali per la definizione di musei, sistemi e reti museali; indirizzi di sviluppo di aree di miglioramento. 8
  • 9. 1.1 Museo della Cultura Alpina Ladina del Comelico - Padola (Comelico Superiore) Una ricca raccolta dal Passato Il museo si trova vicino alla piazza centrale del paese al secondo piano della ex Scuola Elementare “Don Bosco” di Padola, di proprietà della Regola di Padola e costruita nella prima metà del Novecento. L'esposizione permanente, che si sviluppa su una superficie di 500 mq, è stata inaugurata nel 1990 per volere del Comitato per il Museo costituitosi nel 1986 che propose l'iniziativa per una realizzazione museale già nel 1982. Ma le prime idee per un museo della cultura alpina e ladina nascono già negli anni Settanta da parte di due appassionati di storia locale, Gilberto ed Evangelista De Martin Pinter, che non appena pensionati misero a disposizione le loro energie al servizio del progetto. “L'iniziativa è nata da un comitato del comprensorio, sostenuto dalla Magnifica Comunità Cadorina e dalla Regola di Padola per promuovere l'interesse verso il recupero delle testimonianze degli antichi usi delle genti alpine del luogo, prima di perderne totalmente le tracce”7 spiega Evangelista che, nel 1985 con una lettera aperta, invita la popolazione a non gettare i vecchi attrezzi e oggetti ma a donarli al nascente museo. Si è creata così una vasta raccolta di materiali suddivisa in diverse aree tematiche che comprendono una ricca collezione di oggetti, strumenti e attrezzature legate alle attività del passato, oltre a numerose ricostruzioni dei vecchi ambienti casalinghi. Quest'ultimi sono stati curati con dovizia di particolari grazie alle generose e variegate donazioni: si possono vedere la kusinä (cuncina), la stuà (soggiorno), la kambrä (camera) e l'asiverä (lavanderia). Si possono ammirare moltissimi attrezzi agricoli, per l'allevamento, della latteria, dei lavori nel bosco, la segheria e la lavorazione del legno, il bancone di una bottega e il lavoro della filatura della lana, gli attrezzi dei mestieri in disuso come l'arrotino, l'imbianchino, il muratore, il calzolaio, il 7 Evangelista De Martin Pinter e Gilberto De Martin Pinter (1998) Museo della Cultura alpina Ladina del Comelico cellula di Padola, Santo Stefano di Cadore, Tipografia Bruno 9
  • 10. fabbro, lo stagnino, il falegname, il minatore e l'idraulico. Diverse sezioni sono dedicate ai reperti bellici, ai pompieri, alle guide alpine, agli atleti dello sci e all'emigrazione. Una stanza è occupata dalle miniature cura di Alberto De Bettin che propone la ricostruzione su piccola scala di alcune botteghe artigiane e delle attività di un tempo: la fucina, i mulini, la segheria. Completa la collezione di opere in miniatura la ricostruzione della ceda (abitazione) dove si possono vedere diverse case in sezione con tutte le stanze arredate e complete degli oggetti d'uso quotidiano. Un'altra zona è dedicata alle miniature di Gilberto De Martin Pinter che ricostruiscono le diverse modalità di traino e trasporto, invernale ed estivo, con cavalli e mucche del legname, delle pietre e del fieno. Particolarità del Museo è la decorazione di un'intera parete a cura di Vico Calabrò che vi ha eseguito un affresco murale di importanti dimensioni in tema con i contenuti dell'esposizione. “Osservando tutto ciò che il Museo custodisce, non soltanto con gli occhi ma con la mente e ancor più con il cuore”, scrive il curatore Evangelista, “possiamo farci un quadro di come sono state le nostre origini, la nostra cultura, la nostra storia e serbare un grato ricordo. Può insegnare a riflettere ed a valutate la vita dei nostri predecessori, la capacità, l'impegno, la custodia, l'uso dei loro, anche se piccoli, patrimoni, la forza di volontà per poter mantenere intatti quei valori acquisiti con tanti sacrifici, con tanta fatica, con molteplici privazioni, mai tralasciando i sani e morali principi”8 . La scelta di esporre i manufatti senza l'ausilio di vetrine ribadisce e conferma la missione del museo di avvicinare l'uomo contemporaneo al suo passato, inoltre l'attuale responsabile, Gilberto De Martin Pinter, sottolinea l'importanza e l'attenzione che viene rivolta alle visite da parte delle generazioni più giovani. L'apertura della struttura è estiva e nel resto dell'anno è possibile visitare l'esposizione su richiesta tramite il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti oppure contattando direttamente il responsabile Gilberto De Martin Pinter. Le visite guidate si effettuano con un'offerta libera e la visita al museo è gratuita. L'ambiente è molto grande e ricco di materiale ma necessita di un allestimento più curato e mirato, il tutto è accessibile anche dai portatori di handicap e al piano interrato ci sono due sale conferenze. Il fabbricato è dotato di servizi igienici, è video sorvegliato ed anche se ha bisogno di alcuni lavori di manutenzione, gli impianti tecnologici sono presenti e funzionanti9 . 8 Ibidem 9 Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4. 10
  • 11. 1.2 Algudnei Spazi per la Cultura Ladina in Comelico - Dosoledo (Comelico Superiore) Uno spazio sul passato ancora vivo nel presente Il Gruppo Ricerche Culturali di Comelico Superiore, con sede a Dosoledo, nasce il 2 novembre 1984 grazie all'impegno di Arrigo De Martin Mattiò e degli altri cinque soci fondatori. Il gruppo aderisce all'Associazione Ladins de la Dolomites a bonora nell'ambito della Unión de duç i Ladìns de Belùm e inizia la sua attività raccogliendo materiale fotografico della Val Comelico e curando diverse mostre. Numerose sono le pubblicazioni e le iniziative: come l'allestimento della cellula museale "La Fudina di Fauri", i sentieri tematici Tròi con le statue di legno che raccontano le tradizioni della vallata e l'apertura dello Spazio Algudnei nel 2011. La cellula museale "La Fudina di Fauri" (La Fonderia della Famiglia Fabbro) è stato il primo allestimento del Gruppo di Ricerche Culturali ospitato fino a qualche anno fa presso l'ex Palazzo della Regola di Dosoledo. È una testimonianza risalente agli inizi del Novecento dell'attività di lavorazione dei metalli della famiglia De Martin Fabbro di Dosoledo. Il Gruppo di Ricerche Culturali spiega così l'intento di salvare questo patrimonio: "L'impegno a recuperare e conservare queste testimonianze vuole significare anche riconoscere le qualità e le capacità di questa famiglia di fabbri, costruttori di forni e stufe e di quanto necessitava al fabbisogno locale di utensili, attrezzi e manufatti di uso domestico, agricolo e artigianale."10 Attualmente, per ragioni di spazio, tutto il materiale si trova in magazzino ma è probabile che le istituzioni provvederanno ad una nuova collocazione. Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree rurali”, Gal Alto Bellunese 10 Testimonianza di Arrigo De Martin Mattiò raccolta da Marta De Zolt, dicembre 2012 11
  • 12. Algudnei - Spazi per la Cultura Ladina del Comelico è il nuovo allestimento inaugurato il 20 marzo 2011 nel palazzo nobiliare di Dosoledo che risale al 1663. Il palazzo, di proprietà della famiglia Zandonella dell'Aquila che ci ha abitato fino alla metà dell'Ottocento, è stato acquistato dalla Regola di Dosoledo che l'ha adibito, nel corso degli anni, a scuole elementari, asilo, latteria, canonica e oggi ospita nella mansarda ristrutturata lo spazio espositivo del Gruppo di Ricerche Culturali. Algudnei, nome nato dall'unione di tre parole ladine Algu (qualcosa) d (di) nei (noi), si distingue perché offre la possibilità di scoprire le antiche tradizioni della vallata utilizzando supporti tecnologici come touchscreens, postazioni video, cornici digitali e pannelli luminosi. Le tre tematiche raccontate nello spazio espositivo sono ancora vive e radicate nel territorio, come spiega il responsabile Arrigo De Martin Mattiò: "Più casa che museo classico, perché la storia delle Regole, del Carnevale e del Rifabbrico non è certo conclusa: prosegue ed è vitale anche oggi"11 . L'idea di concretizzare le ricerche ventennali del Gruppo di Comelico Superiore nasce nel 2008 “ovvero da quando la Regola di Dosoledo ha deciso di ristrutturare la mansarda del suo storico Palazzo nel centro del paese. Un ambiente di particolare pregio come questo meritava di essere adibito ad un importante utilizzo pubblico. Da qui l'idea della casa dell'identità del Comelico”12 . Algudnei conta 14 postazioni multimediali, contenenti molti filmati e immagini, ed oltre 200 metri quadrati di pannelli illustrativi. Il progetto è stato curato dallo studio Patchwork StudiArchitettura di Padova a cura degli architetti Viviana Ferrario e Andrea Turato. Per i materiali multimediali hanno contributo gli archivi del Gruppo di Ricerche Culturali e l'allestimento è in buona parte stato effettuato grazie all'aiuto di numerosi volontari locali. La ricerca scientifica è a cura di diversi studiosi ed esperti locali in collaborazione con l'architetto Viviana Ferrario. Lo Spazio è potuto nascere grazie ai contributi finanziari di Cariverona, della Regione del Veneto, della Regola di Dosoledo, che ha ristrutturato l'ambiente, e del Gruppo di Ricerche Culturali che ha messo a disposizione i materiali del suo archivio e raccolto molti altri documenti presso gli archivi di tutto il Comelico e Cadore. La struttura inoltre è patrocinata dalla Fondazione Dolomiti Unesco. La prima sezione è dedicata alla tradizione della 11 Stefano Vietina (2011) A Dosoledo nasce una casa museo per il Comelico, Corriere delle Alpi 20 gennaio 2011, Belluno 12 Ibidem 12
  • 13. mascaradä (carnevale) uno degli eventi più sentiti e partecipati dall’intera comunità locale. In questo spazio sono raccolte alcune testimonianze dei carnevali di ieri e di oggi e i manichini delle maschere del matazin, laché, paiazu e mascri da vecia che documentano la straordinaria continuità della tradizione che si ripete ogni anno con la sua ritualità. Nella postazione multimediale, attraverso il touchscreen, si possono esplorare tutti i riti del carnevale comelicense, mentre nelle quattro cornici digitali scorrono fotografie del carnevale d'inizio secolo e dei giorni nostri. Un video proietta il ballo tipico (vecia) che il matazin assieme al lachè compie nella piazza del paese durante le giornate di festa. La seconda sezione tratta il tema delle Regole che in Cadore e Comelico stanno ad indicare un insieme di beni agro-silvo-pastorali (boschi, prati, pascoli) e una comunità di persone (Regolieri) che possiede e gestisce collettivamente questi beni indivisibili, inalienabili e vincolati in perpetuo alla loro destinazione. Le Regole sono attestate nei documenti fin dal XII secolo, ma sono certamente ben più antiche e attualmente ancora attive in Comelico dove se ne contano quindici. Fin dal Duecento vennero formalizzati per iscritto i patti che regolavano l´uso della proprietà collettiva in appositi statuti, detti Laudi. Abolite nel XIX secolo, le Regole del Cadore vennero ripristinate nel 1948 e amministrano ancora oggi il patrimonio comune. In questa sezione sono raccolte alcune notizie sulle proprietà collettive, i laudi, le Regole e il loro rapporto con il territorio. Un filmato racconta la storia millenaria di queste istituzioni e sulla parete, lungo il pannello illuminato, troviamo delle mappe, delle fotografie e dei testi che si succedono, seguendo la linea del tempo, raccontando l’evoluzione delle Regole e il ruolo che rivestono ancora oggi. Tre totem descrivono, utilizzando i termini ladini, le attività della Regola nell'uso delle risorse: il pascolo, il taglio dell'erba, il bosco. Attraverso un touchscreen è possibile leggere il laudo più antico risalente al 1235. La terza sezione si occupa della vicenda urbanistica del Rifabbrico. Di incendi avvenuti in Comelico e Cadore si hanno notizie risalenti alla prima metà dell'Ottocento. Ma è solo con quello di Padola del 1845 che si avvia la fase del Rifabbrico, una vera e propria pianificazione dei diversi villaggi, che questi fossero parzialmente o totalmente distrutti dal fuoco. Con l'istituzione di apposite commissioni e l'adozione di nuove norme, si cominciarono a ristabilire i criteri di edificazione ed uso di ogni singolo fabbricato. La redazione di questi codici ha segnato il passaggio da 13
  • 14. un'edilizia spontanea ad una pianificata, facendo acquistare a questi luoghi un carattere completamente diverso. Questa tematica viene raccontata attraverso alcuni pannelli dove è raffigurata la mappa del Comelico con gli incendi e il rifabbrico e tre cornici fotografiche spiegano il perché si è dovuto ricorre ad una pianificazione dell'edilizia. La struttura multimediale dello spazio e l'esposizione virtuale dei contenuti hanno portato alla sua propaggine nel Web con l'intento di far conoscere le ricerche svolte sul territorio e formare una comunità interessata alla cultura ladina. Oltre al tradizionale sito internet, caratterizzato dalla staticità, Algudnei è presente su alcune piattaforme 2.0 (Facebook e Twitter)13 grazie alle quali il progetto è riuscito a superare i confini della Val Comelico, e della stessa Ladinia, attraverso la condivisione di svariati aneddoti riguardanti le tradizioni e le immagini contenute negli archivi del gruppo. Un nuovo spazio espositivo che da vita ad un archivio virtuale condivisibile e consultabile da tutti e in continuo aggiornamento. All'interno dello spazio espositivo si trova una sala conferenze realizzata al fine di divulgare i risultati delle ricerche svolte sul territorio, sulla cultura ladina del Comelico e animare il dibattito locale. L'idea di progettare una sala conferenze si basa sulla convinzione che Algudnei debba essere uno spazio da vivere e un punto di incontro e riferimento per la cultura e la collettività della Val Comelico. Obiettivo pienamente raggiunto con le oltre quaranta conferenze tenute nell'ultimo anno. Lo Spazio Algudnei occupa solamente la mansarda ma sono in corso i lavori per l'ampliamento al piano sottostante dove sono riservate due stanze da dedicare ad altre tematiche legate alla Val Comelico. E' in corso la valutazione della destinazione degli spazi: un'idea è di ricollocare il materiale della “Fudina” in forma più documentata, un'altra è che lo spazio venga riservato ai reperti degli scavi nei siti archeologici di Valgrande (Comelico Superiore)14 iniziati nel 2012 e che termineranno nel 2013. E' quasi certo che nel 2013 si procederà ad allestire una parte dedicata proprio al Ladino del Comelico e una al mestiere del Clompar (stagnino). Attualmente il Gruppo di Ricerche Culturali conta una quindicina di persone e il presidente Arrigo De Martin Mattiò spiega così lo spirito del gruppo e dello Spazio Algudnei: "La nostra idea dello Spazio Algudnei deriva proprio dal desiderio di 13 www.algudnei.it - www.facebook.com/algudnei - www.twitter.com/algudnei 14 Si tratterebbe di una possibile fortificazione romana riscontrata, nei pressi del Passo di Monte Croce Comelico, con la lettura di riprese fotografiche aeree collegate con la viabilità romana studiata negli anni trenta dal topografo Alessio De Bon. 14
  • 15. raccontare l'identità del Comelico. Una identità che si racconta attraverso la storia delle Regole, del Rifabbrico, e del Carnevale: tre aspetti molto interessanti della nostra comunità. Uno spazio per raccontare alcuni aspetti di una cultura antica e ricca, la cui esistenza è stata messa a dura prova dalla modernità ma che è sopravvissuta, sebbene in forma frammentaria, ed è ancora capace di raccontare, di parlarci. Crediamo in questo luogo di poter stabilire un legame tra il passato e il futuro che vogliamo costruire"15 . Lo stesso Gruppo gestisce lo Spazio consentendone la visita su richiesta e organizzando la sala per le diverse conferenze. L'apertura è stagionale nel periodo estivo e su richiesta per il resto dell'anno, l'entrata è gratuita. La struttura è nuova e dotata di riscaldamento, l'impianto d'illuminazione è realizzato su misura ed è attrezzata per permettere l'accesso anche ai disabili. 1.3 Trói (Comelico Superiore) Due passi nel passato Nel territorio di Comelico Superiore esistono da tempo immemore numerose strade, stradine e sentieri che si snodano lungo i prati e si inoltrano nei boschi. Un tempo questi sentieri, in ladino trói, venivano utilizzati a scopo lavorativo per raggiungere i campi da falciare o da coltivare, addentrarsi nei boschi per le attività boschive, o recarsi presso i fienili e le malghe in alta montagna. Alcuni di questi sentieri, ora in disuso, sono stati abbandonati, altri invece sono ancora esistenti. Negli ultimi anni il Gruppo Ricerche Culturali di Comelico Superiore ha deciso di risistemare quattro di questi sentieri e di posizionarvi, come in una mostra all'aperto, diverse sculture lignee realizzate da numerosi artisti del Comelico partendo dai bozzetti di Elio Silvestri. Nel corso di 15 Ibidem 15
  • 16. quattro ex-tempore, ciascuna dedicata ad uno dei trói, tenutesi a Dosoledo durante le estati dal 2003 al 2006, si sono scolpite tutte le statue. Questi percorsi che collegano i paesi del comune di Comelico Superiore, si snodano in mezzo al verde e agli abitati raccontando le tradizioni e la storia locale attraverso le statue di legno. Si è andato così creando un vero e proprio museo all'aperto dove il passato è stato intagliato nel legno, risorsa primaria della Val Comelico soprattutto nei secoli scorsi, e tramandato così alle generazioni presenti e future. Le quattro passeggiate sono state pensate come un breve viaggio alla scoperta delle tradizioni e degli usi antichi in mezzo alla bellezza paesaggistica che caratterizza la vallata16 . Il primo sentiero inaugurato nel 2003 è stato il trói dli mascri (sentiero delle maschere)17 che parte da Dosoledo e si perde nel verde dei boschi soprastanti. Il Carnevale, una delle tradizioni più sentite in questa zona del Comelico, viene descritto da 14 sculture e il percorso si divide in due sezioni. La prima parte presenta i vari componenti del corteo carnevalesco, un rituale preciso che si tramanda di anno in anno con tutte le sue maschere tradizionali come il lachè, il paiazu e il matazin. La fine del Carnevale e l'inizio della Quaresima viene introdotto da una scultura del Cristo crocefisso che richiama alla faticosa vita quotidiana, infatti le statue che concludono il percorso raccontano delle attività di fatica nei campi. Il 2004 è l'anno dell'inaugurazione del trói dli tradizion (sentiero delle tradizioni) che dal paese di Candide porta a Dosoledo. Lungo questo percorso, costellato da ben 21 sculture, si percorrono gli aspetti che caratterizzano il sistema delle Regole come i segnu d cedä e i nodi, si passa poi per le tradizioni più sentite come la Mezza Quaresima, il Sabato Santo, la Fiera dei Santi, i Coscritti ed una serie di statue riguardanti altri aspetti della vita quotidiana di un tempo. Nel 2005 si concretizza il trói di bacani (sentiero dei contadini), il percorso più lungo che da Casamazzagno scende verso Dosoledo e si congiunge con il trói dli mascri. Sono 29 le sculture qui presenti che ci ricordano le fatiche del lavoro nella stalla, nei campi, nei prati e nel bosco. Di queste attività rimangono testimoni i tabià ed i barchi, piccoli fienili di alta montagna, dove il sentiero si snoda passando in mezzo proprio a queste costruzioni perse nei prati e nel bosco. Nel 2006 viene inaugurato il trói di mistieri (sentiero dei vecchi mestieri)18 che si compone 16 In appendice l'elenco delle sculture 17 Arrigo De Martin Mattiò (2003), Al tròi dli mascri, Le Dolomiti Bellunesi, Natale 2003,Grafiche Antiga S.p.A., Crocetta del Montello, pag. 51 18 Arrigo De Martin Mattiò (2004), Al tròi di mistieri, Le Dolomiti Bellunesi, 2004, Grafiche Antiga 16
  • 17. di 16 statue e che da Dosoledo porta verso Padola. Qui troviamo una serie di sculture dedicate agli antichi mestieri, alcuni scomparsi come lo stagnino, l'arrotino e lo squadratore di travi. Arrigo De Martin Mattiò, presidente del Gruppo di Ricerche Culturali, spiega lo spirito con il quale sono stati ripristinati ed arricchiti i tróis: “E’ il nostro modo di intendere la cultura come recupero della memoria e rinvigorimento delle relazioni sociali nei paesi, oltre l’ombra dei campanili.”19 Infatti i sentieri da allestire a mostre permanenti sono stati scelti fra quelli che collegano e uniscono i quattro paesi del comune di Comelico Superiore. Oltre al proposito di non perdere la memoria delle antiche tradizioni, il collegamento e l'unione dei quattro paesi del comune avviene non solo fisicamente attraverso i sentieri, ma anche idealmente attraverso le tradizioni condivise: un patrimonio da salvaguardare e valorizzare in un'ottica di collaborazione. 1.4 Museo Etnografico “La Stua” - Casamazzagno (Comelico Superiore) L'Abitazione del Rifabbrico L'Associazione Culturale "La Stua", costituitasi l'11 dicembre 1986 a Casamazzagno (Comelico Superiore), è composta da una decina di soci. Ha come obiettivi la raccolta di documentazione scritta e orale inerente alla cultura locale, la pubblicazione del periodico di cultura popolare “La Stua”, l'allestimento di mostre fotografiche, la proiezione di diapositive e la gestione del museo. Grazie alla disponibilità della Regola di Casamazzagno, che ha offerto in uso il fabbricato che le era stata donato da Giovanni Pinchien, è stato possibile dare il via all'allestimento del museo etnografico. I locali, da anni in disuso, sono stati ristrutturati dall'iniziativa dei soci che, grazie alla fornitura dei S.p.A., Crocetta del Montello, pag. 60 19 Lucio Eicher Clere (2005), Inaugurato il trói di Bacani, Corriere delle Alpi, 1 settembre 2005, Belluno. Pag. 26 17
  • 18. materiali da parte della Regola e alla prestazione gratuita di molti artigiani locali, in pochi mesi sono riusciti a sistemare l'abitazione. La fase successiva per la nascita del museo è stata la raccolta dei materiali da esporre. “Per far questo è stata coinvolta tutta la popolazione rendendola partecipe alla vita del museo, sia nella fase della sua costituzione che in quella della gestione. Grande è stata la disponibilità di tutte le famiglie nell'offrire un gran numero di oggetti, molti dei quali sino ad allora custoditi gelosamente nelle singole abitazioni, e grande la collaborazione nell'allestimento dei locali. Va comunque ricordato che al di là dell'impegno personale dei soci, gran merito al buon esito dell'iniziativa va alla Federazion par ra Union Culturales Ladines de ra Dolomites inze el Veneto, alla quale l’associazione ha aderito nel 1988, e che ha offerto in tutti questi anni un insostituibile contributo, non solo economico, e uno stimolo per continuare nell’opera di sensibilizzazione culturale di tutta la comunità”20 . Il museo etnografico "La Stua" viene inaugurato il 25 luglio 1987 e il materiale è stato raccolto alle seguenti condizioni: - in donazioni: il materiale è passato di proprietà dell'associazione che gestisce il museo; - in custodia: in occasione di mostre e manifestazioni particolari e per la durata delle stesse; - in custodia ordinaria: per un periodo non inferiore ai tre anni, rinnovabile tacitamente; - in custodia illimitata: sino all'eventuale scioglimento del museo. La collezione è ospitata in una vecchia casa costruita secondo le normative imposte dal Rifabbrico nell'Ottocento e si sviluppa su tre piani che hanno mantenuto invariata la destinazione delle stanze abitative. Al piano terra la prima stanza a sinistra è la cucina dove si possono vedere tutti gli arredi del locale fra cui il focolare e una serie di oggetti risalenti all'Ottocento e Novecento. Qui si trova tutto ciò che la donna di casa utilizzava per preparare i pasti e per sopravvivere al lungo inverno: dalle pentole ai mestoli fino agli oggetti in uso nelle occasioni di festa. E' possibile ammirare un làrin con appeso alla catena il ciudruzu (paiolo per la polenta) e accanto i vari attrezzi per ravvivare il fuoco e prendere la brace. Continuando il giro si entra nella stanzetta a destra dove sono raccolti gli attrezzi che servivano per la raccolta della segala, dell’orzo e dell’avena. La terza stanza del piano terra è dedicata agli artigiani con gli attrezzi dei fabbri e dei 20 Andrea Zambelli, Raffaella Zanderigo Rosolo (2004), Il Museo Etnografico La Stua, La Stua nr 17 aprile 2004, Casamazzagno Comelico Superiore 18
  • 19. falegnami. Nel corridoio d'entrata due pannelli raccolgono le foto delle giovani donne del paese costrette ad emigrare all'estero fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento e nel sottoscala si trova un arnese per cardare la lana dei materassi. La stua (soggiorno) è la stanza più suggestiva del piano: foderata di legno, vi troneggia il forno a volta in muratura con il sorafórnu (piano in legno sopra il forno sul quale ci si stendeva) mentre l'imboccatura per caricare la legna è nel corridoio. Salendo le scale che portano al primo piano e a quelli successivi si può ammirare una raccolta di stampe religiose di carattere popolare che un tempo erano appese nelle camere da letto o in altre stanze della casa. Al primo piano si trova la stanza dove è stata ricostruita la camera da letto matrimoniale tipica di quei tempi con esposti il guardaroba maschile e femminile. Superato il corridoio si entra nella stanza dove è raccolto l'archivio composto da numerose fotografie d’epoca. Il secondo piano ha una stanza dedicata ai ricordi della Prima Guerra Mondiale combattuta sui monti del Comelico fino all’ottobre del 1917 con la ritirata di Caporetto. Mentre la seconda stanza dello stesso piano raccoglie tutto ciò che riguarda la coltivazione del lino e la sua lavorazione e gli attrezzi per i lavori nel bosco e con il bestiame. La terza stanza parla del mondo contadino e dell'attività agricola da sempre dominante nella valle. Lo spirito con il quale è stato creato e viene gestito il museo lo spiega bene Raffaella Zanderigo Rosolo: “Il dopo guerra ha presentato altre esigenze di vita. Sono fuggiti i giovani verso la città. Si sono svuotate le case, sono chiuse le scuole e gli anziani ci dicono “arrivederci lassù”. Non più i prati rasi a tappeto, i sentieri con le staccionate, i fienili pieni di vita, le greggi al pascolo. Rimane qualche coraggioso radicato alla terra. Manca il tessuto umano ed è finito un mondo. Qui nel museo sono racchiusi i ricordi che dobbiamo far parlare, rivivere ed apprezzarne i valori.”21 Il Museo si può vistare gratuitamente tutto l'anno previa prenotazione tramite il direttore responsabile Bruno Brunello Gasparina ed è di proprietà privata della Regola di Casamazzagno. I rilevamenti tecnici evidenziano che il fabbricato non è accessibile dai portatori di handicap, l'illuminazione all'interno è alquanto scarsa e l'impianto di riscaldamento non è presente. L'allestimento non segue una logica specifica e andrebbe rivisto22 . 21 Ibidem 22 Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4. Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree rurali”, Gal Alto Bellunese 19
  • 20. 1.5 Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai" - Costalta (San Pietro di Cadore) L'Abitazione prima del Rifabbrico Nel passato la costruzione degli edifici civili e rurali avveniva grazie alla ricchezza dei boschi della Val Comelico. Ma dall'Ottocento le norme del Rifabbrico imposero che la costruzione avvenisse prevalentemente con l’utilizzo della pietra per scongiurare i numerosi incendi che devastavano i paesi. A Costalta (San Pietro di Cadore) si possono ancora vedere numerosi edifici in legno del periodo antecedente al Rifabbrico e l'idea di valorizzare questo antico patrimonio architettonico nacque negli anni Ottanta nell'ambito del “Comitato per il Museo della Cultura Alpina del Comelico” costituitosi per la tutela delle tradizioni locali. A Costalta l'idea si concretizzò valorizzando uno dei fabbricati storici più significativi destinandolo a museo dell'architettura rurale montana. Venne costituito un comitato informale coinvolgendo la Regola di Costalta che, nel 1990, grazie alla Regione Veneto, poté acquistare la struttura che oggi ospita il museo. Nel 1995 la Fondazione Cariverona diede un contributo per la sistemazione dell'edificio e nel 1998 si costituì ufficialmente l'associazione “Amici del Museo di Costalta di Comelico” che ricevette dalla Regola, in comodato d'uso, l'edificio. Negli anni Duemila altri sostanziali contributi vennero elargiti dalla Regione, dalla Fondazione Cariverona, dalla Regola di Costalta e con il sostegno anche della Comunità Montana del Comelico e Sappada, del Consorzio Bim Piave e della società DBA Progetti, il 27 dicembre 2008 è stato inaugurato il Museo Etnografico "Casa Àngiul Sai". Vanno ricordati inoltre le consulenze dell'architetto Edoardo Gellner e il determinante apporto del lavoro volontario dei membri dell'associazione sotto la guida dell'architetto Stefano De Vecchi. 20
  • 21. La "Casa Àngiul Sai", dal nome del suo ultimo proprietario, è un esempio significativo di architettura tradizionale della Val Comelico. La trave di colmo del tetto porta scritta la data 1858 10 mag LDM ma da alcuni indizi, come dal fatto che le travi rechino inciso all'esterno un numero romano, si può supporre che i materiali impiegati per la travatura dell'edificio fossero frutto, almeno in parte, di riutilizzo di edifici più antichi demoliti a causa dell'instabilità del terreno sul quale sorgevano. Le caratteristiche costruttive e la distribuzione dei vani della "Casa Àngiul Sai" sono un'importante testimonianza del modo di vivere fino alla metà del secolo scorso. Il fabbricato si sviluppa su tre piani ed è diviso in due parti: la prima, con esposizione verso sud, è adibita ad abitazione; la seconda, con destinazione rurale, è situata nella parte nord e nel piano seminterrato. L'edificio presenta uno zoccolo in muratura risultante dal tamponamento di una sorta di palafitta di travi (braze) e ritti (colònde) che sostiene l'intera struttura lignea ed è costruito con la tecnica del Blockbau. Come in tutti i modelli arcaici di dimore del Comelico, anche in questo edificio si può notare la mancanza di condotti fumari: il fumo infatti veniva fatto uscire secondo diversi percorsi in modo da utilizzare il suo calore per riscaldare gli ambienti sovrastanti secondo il principio della Rauchstube diffuso nelle architetture popolari alpine. Questa costruzione rappresenta anche uno dei pochi esempi di abitazione con scale esterne e ballatoi lignei. L'itinerario di visita al museo inizia al piano terra dove, facendo un giro attorno al ballatoio lungo il perimetro del fabbricato, si possono osservare dalle finestre l'interno dei locali della zona giorno destinati a cucina e tinello. La visita agli spazi interni viene introdotta da alcuni pannelli che descrivono le tecniche costruttive più diffuse nell’architettura tradizionale di montagna. I solai, i pavimenti e i muri sono tutti in legno e la casa è stata arredata con mobili e suppellettili che ricostruiscono un ambiente domestico degli inizi del Novecento. Nel corridoio d'ingresso (lòda), lastricato con piastre naturali di pietra, si trova la bocca del forno dove, dopo averlo adeguatamente riscaldato, vi si cuoceva il pane di segale o di orzo e si faceva il fuoco per scaldare il tinello. Su questo piano si può visitare la cucina (céda), dove si trova il focolare (arì), dalla quale si accede poi al tinello (stùa) arredato con la stufa in muratura (fórno) circondata da panchine (bànce) e sormontata da un'incastellatura lignea (sorafórno). Il forno originale è stato demolito e ricostruito prendendo a modello un'analoga struttura 21
  • 22. avente le medesime dimensioni ed esistente in un'altra abitazione del paese. La terza zona visitabile del piano è la stalla (stàla) adibita a ricovero per i bovini specialmente d'inverno e nei periodi della nascita dei vitelli. Il vano conserva ancora la mangiatoia (cianà) dove venivano legate le mucche. Dal medesimo piano si sale per accedere al tabié che era destinato alla conservazione del fieno per il periodo invernale e diviso in due parti. La prima parte (èra), che rimaneva sempre libera per l'accesso ai ballatoi esterni e per la preparazione del foraggio per il bestiame, è pavimentata con travi squadrate ed ha le pareti sigillate tra una trave e l'altra. La seconda parte, che era destinata alla conservazione del foraggio raccolto, presenta una pavimentazione costituita da travi non squadrate e le travi delle pareti sono intervallate da una fessura che permetteva di arieggiare il fieno. Alle pareti del fienile sono appesi alcuni attrezzi da lavoro legati alla fienagione e un grande crocifisso, inoltre questo luogo viene anche utilizzato come spazio espositivo per mostre temporanee. Le camere sono situate al primo piano e si raggiungevano esternamente per mezzo della scala di servizio ancora presente. Sono state arredate in modo essenziale: un letto ad una piazza e mezza con un materasso di paglia ed erbe secche con ai lati due comodini, un armadio ed un baule. Tramite le botole presenti sul pavimento il calore proveniente dal tinello, posto al piano inferiore, saliva e riscaldava la stanza. La cantina (ciànva) e il sottotetto (l mangòn) non sono visitabili23 . L'associazione "Amici del Museo di Costalta di Comelico", presieduta da Ruggero Casanova Crepuz, conta un decina di soci e prevede, tra gli altri scopi, la valorizzazione del patrimonio storico culturale di Costalta attraverso il completamento della “casa Àngiul Sai" e la gestione della cellula museale con la predisposizione di appositi itinerari di visita. Il museo ha apertura stagionale e su richiesta, senza biglietto d'ingresso. Già dal 2001 la struttura ospita numerose mostre di pittura, scultura e fotografia a cura dell’Associazione CostaltArte che ha organizzato per dieci anni consecutivi la manifestazione estiva di scultura "Una statua di legno in una casa di legno in un paese di legno" e dal 2012 "LeggendAriaMente". I progetti a breve termine per il museo prevedono la realizzazione di un sistema audiovisivo e informatico, dotando la struttura di attrezzature multimediali. «Entro l'anno», spiega Silvano Eicher Clere, presidente della Regola di Costalta, «il nostro museo sarà dotato infatti di un 23 La descrizione dettagliata del percorso di visita si trova nella brochure di Piergiorgio Cesco Frare et al. (2010) Casa Museo “Àngiul Sai” Guida Breve, Belluno, Tipografia Piave Belluno srl 22
  • 23. “cuore” multimediale, da cui prenderanno vita nuovi contenuti, fruibili dai visitatori nei vari ambienti»24 . L'edificio necessita nel complesso di qualche intervento di manutenzione e l'allestimento è in fase di completamento. Il sistema di illuminazione è nuovo e adatto allo scopo; non è presente l'impianto di riscaldamento e non è accessibile di portatori di handicap25 . 24 Stefano Vietina (2012) La Casa Museo Angiul Sai scopre le Nuove Tecnologie, Corriere delle Alpi 24 novembre 2012, Belluno, pag. 29 25 Alberico Facciotto et al.(2011), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4. Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree rurali”, Gal Alto Bellunese 23
  • 24. Capitolo Secondo La Natura del Comelico La Val Comelico si distingue anche per un patrimonio naturale e paesaggistico di notevole interesse. La storia geologica delle Dolomiti che la circondano racconta di un'importante ricchezza riconosciuta e protetta dall'Unesco con la proclamazione delle Dolomiti Patrimonio Naturale Universale nel 2009. La vallata possiede diverse risorse naturali che vanno dal legno, commercializzato sin dai tempi della Serenissima, alle acque solforose di Valgrande, note come acqua puzza, studiate sin dal 1800 ed oggi fonte principale della struttura termale. La vallata, conosciuta anche per l'ambiente favorevole allo sviluppo dei funghi e per le numerose specie di fiori, è un museo naturale a cielo aperto che racconta la natura e il rapporto dell'uomo con essa nel corso della storia. La Val Comelico, pur non rientrando nelle zone poste sotto tutela dall'Unesco, presenta ugualmente molti aspetti naturali di interesse culturale e turistico, alcuni già valorizzati e con un piano di gestione, altri soltanto conosciuti a livello locale e poco sviluppati ma che consentono la formulazione di un percorso di visita. Dalla natura si passa all'uomo con lo sfruttamento boschivo e quello fluviale dei corsi d'acqua del Piave e del Padola: i diversi siti naturali e le strutture ad essi collegate spiegano il forte e indissolubile rapporto fra gli abitanti della vallata con la montagna. 24
  • 25. 2.1 Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” - Danta di Cadore26 Un viaggio alle origini Danta di Cadore ospita il Museo Paleontologico “Le Radici della Vita” inaugurato il 15 agosto 2008. Deve la sua ideazione a Bruno Berti ricercatore veneziano che da molti anni svolge i suoi studi naturalistici in Val Comelico. La realizzazione è avvenuta grazie all'iniziativa della comunità di Danta e del lavoro svolto da due amministrazioni comunali. Il museo è ubicato nei locali messi a disposizione dalla Regola Comunione Familiare Tutta Danta e all'allestimento ha collaborato Giancarlo Scarpa del Gruppo Scienze Naturali “Charles Darwin” di Mestre. Bruno Berti, che ha curato la parte scientifica nella realizzazione dello spazio, si è rivolto soprattutto alle “nuove generazioni come fondamentale supporto alla loro formazione e fornisce basi per potersi avvicinare e comprendere il complesso laboratorio che ha modellato e adattato la vita sul nostro pianeta nel corso delle Ere geologiche. Allo stesso tempo, rappresenta un valido supporto per gli studiosi e per quanti intendono avvicinarsi alle conoscenze naturalistiche.”27 La sala accoglie al suo interno numerosi pezzi appartenenti alla collezione paleontologica privata di Bruno Berti e reperti donati dal Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia che ha anche contribuito alla realizzazione museale. In mostra si trovano, oltre a reperti paleontologici delle Dolomiti, fossili vegetali e animali recuperati in varie zone del mondo (Messico, Slovenia, Marocco, Sud America). Il Museo si presenta con una ventina di vetrine espositive disposte lungo tutte le quattro pareti della stanza ed alcune posizionate al centro. Le prime due vetrine in ordine di visita raccontano le originarie forme di vita sulla terra secondo la teoria della Panspermia. Si passa poi alla vetrina che accoglie i reperti risalenti al Paleozoico dove 26 La nota dell'accezione “museo” usata nella sezione della cultura ladina è valida anche per questa struttura 27 Giuseppe Cormio e Bruno Berti (2011) Guida Le Radici della Vita - Museo Paleontologico Danta di Cadore, Comune di Danta di Cadore 25
  • 26. troviamo delle gocce di pioggia fossilizzate; mentre la vetrina successiva è dedicata ai dinosauri con delle uova, impronte e altri fossili. La vetrina dedicata ai processi di fossilizzazione ne descrive la formazione attraverso le ammoniti, i pesci e i vegetali. Una sezione è dedicata all'evoluzione dell'uomo raccontandone la vita e gli strumenti per la sopravvivenza nel Neolitico e nel Paleolitico. Viene trattato poi il tema del fondale marino con un pannello illustrativo, mentre nella dodicesima vetrina ci sono diversi insetti fossilizzati. Il museo possiede una zanna di mammut, un cucciolo di dinosauro Psittacosaurus completo in ogni sua parte anatomica vissuto circa 110 milioni di anni fa nell’Asia orientale; un cranio dell'orso delle caverne e un cranio di coccodrillo primitivo. C'è poi la sezione dedicata ai fossili del Veneto e una ricostruzione dell'ambiente delle Torbiere che caratterizzano la natura presente a Danta. Oltre alla guida Le radici della vita Museo Paleontologico di Danta di Cadore edito nel 2011 a cura di Giuseppe Cormio e Bruno Berti, sono stati prodotti tre libri didattici per avvicinare le scolaresche alla paleontologia dal titolo I quaderni del Museo. Altre pubblicazioni sono a cura di Bruno Berti: La vita nelle torbiere di Danta di Cadore, I funghi di Danta di Cadore, Le orchidee spontanee e Danta di Cadore. Al museo sono presenti delle schede plastificate esplicative delle varie vetrine indirizzate sia agli adulti che ai bambini. Il Museo viene gestito, con il supporto del Comune, da un gruppo di volontari che si riuniscono sotto il nome di “Danta Viva” formato da persone del paese e di altre città (Milano, Venezia e Mestre) che gestiscono l'apertura, la promozione e la guida lungo il percorso espositivo. Il Museo è ospitato nello stesso edificio dell'ufficio turistico gestito dal Comune e segue orari di apertura stagionali e su richiesta, la visita è a offerta libera. La sala espositiva è stata ricavata dall'auditorium della Regola Comunione Familiare Tutta Danta e per questo presenta una struttura a gradoni che non consente tuttora la visita ai portatori di handicap e non è presente l'impianto di riscaldamento; l'edificio è comunque in buone condizioni secondo il censimento svolto da Alberico Facciotto28 28 Alberico Facciotto et al.(2012), Programma di Sviluppo Locale V.E.T.T.E. – misura 323/A azione 4. Studio propedeutico all’attivazione dell’Azione 4 “Interventi per la valorizzazione culturale delle aree rurali”, Gal Alto Bellunese 26
  • 27. 2.2 Le Torbiere – Danta di Cadore Ecosistema millenario Bruno Berti, che da molti anni svolge ricerche naturalistiche nel territorio di Danta, sottolinea l’importanza delle sue incontaminate Torbiere e la presenza di ben 26 specie di orchidee spontanee, raggruppate in 16 generi, che testimoniano l’unicità e l’interesse dei questo ambiente. “Danta infatti è uno scrigno prezioso di rare specie floristiche e faunistiche in un ambiente ancora integro tutelato e salvaguardato attraverso diverse politiche di conservazione della natura e della biodiversità”29 . Il Comune di Danta, a 1400 metri di altitudine e attorniato da boschi di larici e abeti, è un Museo Naturale all'aperto: infatti è qui che possiamo trovare una zona molto particolare denominata Torbiera. Le torbiere sono ambienti caratterizzati da grande abbondanza di acqua in movimento lento all’interno dei quali si sviluppa una vegetazione bassa di interesse geobotanico dove si possono trovare diverse specie di vegetali e animali: alghe, muschi, sfanghi, piante carnivore, licheni, funghi e anfibi. Il processo che porta alla nascita di una torbiera è molto lungo, complesso e delicato e la formazione di questo ambiente in Comelico risale al quaternario (2-3 milioni di anni fa). Danta ospita quattro diversi ambienti di questo tipo: Torbiere Val di Ciampo, Torbiera di Palù Mauria, Torbiera di Cercenà e Torbiera di Palù Longo che occupano circa 200 ettari del territorio del Comune e sono inclusi nel Sito di Interesse Comunitario (SIC) identificato con il codice IT3230060 e denominato “Torbiere di Danta”. I SIC, insieme alle Zone di Protezione 29 Giuseppe Cormio e Bruno Berti (2011) Guida Le Radici della Vita - Museo Paleontologico Danta di Cadore, Comune di Danta di Cadore 27
  • 28. Speciale (ZPS), costituiscono i nodi della rete Natura 2000, un sistema coordinato di aree di particolare interesse ecologico istituito dall’Unione Europea nel 1992 come principale strumento di attuazione delle politiche di conservazione della natura e della biodiversità. Il SIC IT320060 “Torbiere di Danta” tutela il complesso delle torbiere insieme a quello della zona di Coltrondo in Comelico, tra i più rilevanti del Veneto e dell’intero arco alpino per quanto riguarda le specie vegetali rare presenti, la loro distribuzione e lo stato complessivo di conservazione. Il SIC è a sua volta incluso nella Zona di Protezione Speciale identificata con il codice IT3230089 “Dolomiti del Cadore e del Comelico” per alcune importanti presenze di volatili come il falco pecchiaiolo, il francolino di monte, il gallo cedrone, il re di quaglie, la civetta nana, la civetta capogrosso, il picchio nero, l’averla piccola30 . La zona protetta arriva fino al Lago di Sant'Anna, un piccolo bacino d'acqua incastonato in un terrazzamento di depositi glaciali circondato da conifere e dalle torbiere. Ed è qui, ad un'altitudine di 1380 metri sul livello del mare, che troviamo la specie di maggiore interesse e tutelata da severe normative: l'Astacus astacus ovvero il gambero d'acqua dolce. Crostaceo inserito nella lista rossa delle specie in via d'estinzione, vive isolato nel bacino lacustre immerso nelle Torbiere e protetto dall'ambiente favorevole al suo sviluppo. Nell’ambito del progetto di gestione di questo vasto patrimonio naturale delle Torbiere, è stato realizzato un sentiero didattico che consente la visita ai siti lungo un percorso di passerelle che tutelano l'ambiente. Il sentiero, progettato e realizzato dal Servizio Forestale Regionale di Belluno, si snoda per circa 3 km e lungo il percorso sono collocati pannelli illustrativi degli aspetti più interessanti dei luoghi visitati. Sono poi individuati, con appositi ceppi, alcuni specifici punti di osservazione e a seconda delle stagioni si possono cogliere le fioriture delle principali specie erbacee delle torbiere. A ciascuno di questi corrisponde una traccia registrata su un audio guida che il visitatore può gratuitamente prendere presso il Museo Paleontologico “Le Radici della Vita”. 30 Chiara Da Giau et al.(2007), Guida alle Torbiere di Danta di Cadore, Padova, Chinchio Industria Grafica s.p.a. 28
  • 29. 2.3 Il Giardino Alpino - Candide (Comelico Superiore) Val Comelico: il fiore delle Dolomiti Il giardino alpino dei fiori di montagna si trova a Candide dove l'ente Regola ha voluto dedicare un ampio spazio per la realizzazione di questo progetto riprendendo l'idea dal prestigioso giardino botanico del Professore Giuseppe Martinelli, Salesiano della Colonia "Don Bosco", che realizzò un'opera analoga in Valgrande, poi dismessa. L'importanza del giardino alpino di Candide è provata anche dal fatto che è divenuto una delle tappe fondamentali del Sentiero Frassati del Cai per la Regione Veneto. Curato dalla stessa Regola di Candide, si trova nel centro del paese e si snoda lungo un percorso a gradoni, con passerelle in legno per la visita delle diverse specie floreali tipiche del Comelico31 . Si possono ammirare esemplari di fiori rari come la salvia dei prati, la famosa "Regina delle Alpi", il giglio di San Giovanni e la mutazione stagionale della flora. Per comprendere meglio il senso di questo legame fra la vallata e i fiori, non soltanto per un fattore ambientale che ne favorisce lo sviluppo di molte specie, è bene sottolineare l'importanza che ebbe il “Festival nazionale dei fiori di montagna” tenutosi annualmente dal 1976 al 198532 . Organizzato dall'allora Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, la rassegna comprendeva un nutrito ventaglio di manifestazioni, dai concorsi ai convegni alle mostre d'arte, tutti a tema floreale. Come spiega Guido Buzzo, l'allora presidente dell'Aast e che gestì l'evento per sette anni, i fiori possono essere uno spunto importante per creare un percorso e degli eventi a tema, infatti lo 31 Articolo sull'inaugurazione del Giardino Alessandro Mauro (2007), Tesoro Nascosto a Candide, Corriere delle Alpi 6 novembre 2007, Belluno 32 Guido Buzzo (2010), Manuale di notizie dei paesi del Comelico e Sappada, Pieve di Cadore, Tipografia Tiziano 29
  • 30. slogan che accompagna l'attuale simbolo del Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti, un fiore stilizzato a cinque petali uno per ogni Comune della valle, è proprio “Val Comelico, il fiore delle Dolomiti”. 2.4 Gli Abeti della Val Comelico Il legame dell'uomo con la natura Il prestigio del legno del Comelico è conosciuto sin dai tempi della Serenissima che si riforniva dei tronchi cadorini per costruire Venezia. Per lungo tempo i boschi sono stati una fonte di reddito e ad oggi sono gestiti dalle istituzioni delle Regole. Ma le piante del Comelico possono essere anche un'attrattiva naturalistica e culturale per raccontare la vegetazione autoctona e la vita di un tempo. Una particolarità della vallata è la presenza della Picea excelsa fissilis, il cosiddetto Abete di Risonanza, che cresce solo in pochi boschi della Val Comelico, della Val di Fiemme e di Tarvisio. Specie molto rara, viene usata da liutai per costruire la parte anteriore della cassa armonica di moltissimi strumenti a corda. L'origine della denominazione "risonanza" va ricercata nel fatto che una volta, quando non esistevano le strade forestali, il legno veniva portato a valle facendolo scorrere lungo canali pendenti detti risine costruiti con i tronchi. Durante il tragitto i tronchi, urtando le sponde delle risine, emettevano vibrazioni tali che i boscaioli distinguevano se il legno "cantava" oppure emetteva un suono secco e sordo. 30
  • 31. Ancora oggi i liutai frequentano questi boschi nei mesi invernali per scegliersi direttamente la pianta, così come fece lo stesso Stradivari. Nei boschi amministrati dalla Regola di Campolongo, sui piani di Val Carnia in Val Visdende, è stato recentemente inaugurato un percorso didattico per ammirare alcuni abeti rossi di altezza superiore a 50 metri, di oltre 3 metri di circonferenza e con un'età calcolata che arriva anche a 216 anni33 . Grazie alla sensibilità delle Amministrazioni regoliere che si sono succedute negli anni, queste piante sono state preservate nel tempo; infatti una sola di loro basterebbe per costruite un tabiè intero. Il sentiero dedicato a questi alberi monumentali è corredato da due pannelli informativi che descrivono le particolarità di queste piante per altezza, circonferenza, diametro, massa cormometrica lorda stimata (metri cubi) e gli anni stimati. Il percorso naturalistico si trova ad una quota di 1333 metri sul livello del mare e si snoda per una lunghezza complessiva di circa 126 metri. Una parte del tracciato è stato realizzato direttamente sul terreno, con una massicciata in pietrame e ghiaia, contenuta ai lati da tondi in legname fissati al suolo, mentre in prossimità del gruppo maggiore di piante, è stata costruita una passerella su palafitta per evitare il costipamento del terreno che deriva dal calpestio dei visitatori e che potrebbe danneggiare le radici delle piante. Per lo stesso motivo, intorno agli esemplari di abete rosso più rappresentativi, sono state realizzate delle staccionate in legno. Il progetto è stato realizzato dallo Studio Be Forest di Santo Stefano di Cadore e i lavori sono stati completati nell'ottobre del 2011. Poco a monte della Valgrande, nella zona della Val Comuna sempre in Comelico, si trova un altro esemplare di abete rosso di eccezionali dimensioni chiamato in loco “La Regina della Val Comuna”. Misura circa 50 metri in altezza e si stima possa avere un’età di duecento anni. Come per gli esemplari della Val Visdende la pianta è stata appositamente lasciata in eredità dalle precedenti generazioni come esempio di rispetto e salvaguardia del patrimonio boschivo di proprietà delle Regole Comunioni Familiari, ma non è presente alcuna cartellonistica illustrativa. 33 Stefano Vietina (2012) I secolari abeti rossi la nuova attrazione della Val Comelico, Corriere delle Alpi 5 agosto 2012, Belluno, pag 25 31
  • 32. 2.5 La Stua - Padola (Comelico Superiore) Lo sfruttamento dei corsi d'acqua Dal bosco si passa all'attività dell'uomo e a Padola, ultimo paese del Comune di Comelico Superiore prima di entrare in Alto Adige, troviamo un manufatto unico in Europa legato all'attività del commercio del legname: la Stua. Era uno sbarramento sul torrente Padola che consentiva l’accumulo dei tronchi e l’avvio della fluitazione, come spiega Italo Zandonella Callegher: “A monte della Stua si formava un bacino (poteva contenere fino a due milioni di metri cubi d’acqua) il cui contenuto, una volta aperte le paratie, portava i tronchi di abete e di larice fino al cìdolo di Perarolo (robusto edificio per fermare il legname) e da lì trasportati a Venezia con le famose zattere del Piave.”34 La Stua, testimone ancora integro dell’antica via del legname lungo l’asse del Piave, ha una storia di almeno 500 anni e si hanno notizie certe della sua esistenza sin dal 1521. La sua attività iniziò con l’affermarsi della Repubblica di Venezia e durò fino alla fine dell’Ottocento cessando di funzionare dopo le disastrose piene del 1882. Il Cadore riforniva di legname la Serenissima mediante il trasporto dello stesso per via fluviale. L’edificio era costruito esclusivamente con i tronchi e fu più volte rimaneggiato, mentre la Stua che oggi si può visitare è stata ricostruita in blocchi di pietra nel 1818-1819 su disegno e a spese di Vittore Gera di Candide. La Stua è alta circa 16 metri, ha uno spessore di 6 metri, ed una lunghezza al coronamento di circa 30 metri. Fino all'inizio Novecento presentava una sovrastruttura in pietrame e legno con la copertura in scandole di larice che nel 2000 il Comune di Comelico Superiore ha ricostruito. Nel 2012 il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti ha deciso di valorizzare la Stua con un’area museale formata da due stanze. In una spicca l'affresco del pittore Vico Calabrò 34 Italo Zandonella Callegher (2012), Nelle Dolomiti Unesco un'opera del Cinquecento unica in Europa, www.mountainblog.it/italozandonella, 7 ottobre 2012 32
  • 33. con le varie sequenze della lavorazione boschiva fino al trasporto nel torrente Padola per la fluitazione. Nell’altra stanza invece, l'allestimento museale a cura di Viviana Ferrario, contiene dei pannelli informativi sull'utilizzo dei boschi, del legname, la fluitazione e i manufatti che la rendevano efficiente e la storia della struttura fino alla sua dismissione. La gestione per l'apertura e la vigilanza della cellula museale ospitata nella Stua è a livello di volontariato, accessibile ogni giorno nel periodo estivo stagionale e su richiesta contattando il Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti. Lo sfruttamento dei corsi d'acqua della Val Comelico, in particolare il fiume Piave e il Padola, avveniva grazie a numerosi mulini, piccole officine e segherie sparsi fuori dai centri abitati. Attualmente, anche se non più in funzione e adibiti ad altro, è possibile vedere molti di questi edifici in tutta la vallata censiti dall'architetto Veronica Menia Cadore35 e facenti parte dell'itinerario tematico “Le Vie del Legno”, opuscolo curato dalla Comunità Montana del Comelico e Sappada36 . 35 In appendice l'elenco delle strutture. Veronica Menia Cadore, Un museo per la valorizzazione del patrimonio storico culturale del Comelico, Tesi di Laurea Iuav Venezia AA 98/99, relatore Franco Mancuso, correlatore Stefano De Vecchi 36 Ivano Alfarè Lovo, Veronica Menia Cadore (2011), La via del legno. Itinerari fra boschi, acque e residenze di commercianti di legname in Comelico e Sappada, Comunità Montana Comelico e Sappada, Programma Comunitario Leader II, Azione 6, Tipografia IGB, 2001 33
  • 34. Capitolo Terzo Il patrimonio artistico e architettonico della Val Comelico La seconda sezione della tesi è un lavoro di censimento degli aspetti architettonici e artistici che possono rientrare in un'ottica di valorizzazione della vallata. Non esiste una struttura né un'organizzazione dedita al coordinamento di questo patrimonio che si compone di tante piccole realtà molto spesso di modesta entità. Si spazia dall'arte sacra fino all'arte contemporanea comprendendo anche le tre tipologie architettoniche presenti sul territorio. L'intento è di raccogliere tutto ciò che il territorio offre, senza svolgere uno studio scientifico sulla qualità e la fruibilità, ma semplicemente abbracciando tutti i possibili luoghi che potrebbero essere una risorsa se valorizzati e coordinati. 3.1 L'Architettura in Val Comelico Sacra, Rurale e Case Padronali Seguendo l'analisi storico-architettonica di Giovanna Nieddu37 , le costruzioni in Val Comelico si possono distinguere in tre categorie: sacra, rurale e case padronali. Senza entrare nei singoli particolari che caratterizzano ognuna della tre tipologie, il capitolo dedicato vuole mettere in luce soprattutto l'importanza che questi edifici possono ricoprire nell'ottica di una valorizzazione e nella progettazione di un percorso di visita e fruizione turistica. Nella vallata troviamo numerosi esempi di ognuna delle tre tipologie, 37 Giovanna Nieddu (1995), Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali. Il testo tratta le tre tipologie di architettura presenti in Val Comelico e Sappada suddividendo il patrimonio in edifici rurali, sacri e nobiliari. 34
  • 35. soprattutto di costruzioni rurali, alcune visibili e visitabili solo dall'esterno ed alcune anche all'interno38 . In appendice vengono elencati tutti gli edifici di interesse che potrebbero costituire un percorso di visita della Val Comelico all'insegna dell'arte e dell'architettura in particolare quella rurale che caratterizza la zona. Una volta individuati tutti i punti di interesse sarà possibile dare vita ad un itinerario o ad un progetto di valorizzazione. In Comelico si contano ventisette edifici sacri39 di cui dieci rappresentati dalle chiese parrocchiali divenute tali nel corso dell'Ottocento e del Novecento, infatti prima di allora erano dipendenti dalla Pievania di Santo Stefano eccetto la chiesa di Candide che si rese autonoma nel XVII secolo. Stretto fu il legame fra l'istituzione Regoliera e la vita ecclesiastica, soprattutto nella costruzione di questi edifici, in quanto la Regola non solo influenzava la vita di paese, ma elargiva anche finanziamenti per erigere gli edifici sacri. Comunque, già fra il XIII e XIV secolo, quasi tutti i paesi della vallata avevano la loro chiesetta, ciò era dovuto al fatto che la popolazione viveva in tanti piccoli centri, alcuni molto scomodi da raggiungere, e da qui la necessità di avere un luogo di culto vicino. La maggior parte delle chiese di Comelico Superiore sono in stile Tardogotico, arrivato in Cadore e in Comelico in ritardo rispetto al resto d'Europa ma che perdurò fino al XVIII secolo. Nel Seicento si ha una leggero passaggio dal gotico al classicismo con la ristrutturazione di edifici e la costruzione di alcuni ex novo che durò fino al XVIII secolo per giungere poi al XIX secolo con lo stile neoclassico. Difficile fare una catalogazione completa ed esaustiva degli edifici, comprese le opere custodite all'interno di essi, ma i diversi studi fatti sul tema consentono di affermare che la Val Comelico offre la possibilità di visitare numerose chiese aventi elementi architettonici e decorativi interessanti e in alcuni casi già facenti parte di un itinerario più ampio40 . A larghe linee, citando gli aspetti artistici e architettonici più noti senza l'intento di essere 38 Molti edifici rurali sono stati soggetto a ristrutturazione, in alcuni casi sono stati mantenute inalterate le caratteristiche originarie mentre altri hanno subito interventi di modifica totale. Edoardo Gellner, noto architetto che lavorò a Cortina d'Ampezzo. Studioso degli edifici rurali locali, già negli anni Ottanta denunciava nel suo studio Architettura rurale nelle Dolomiti Venete il rischio delle ristrutturazioni. 39 In appendice l'elenco delle chiese in Val Comelico 40 Fra gli itinerari quello di Andrea Brustolon (Chiesa dei Ss Rocco e Osvaldo a Dosoledo) e quello Tizianesco (Chiesa di San Pietro nell'omonimo paese) 35
  • 36. esaustivi, si ricordano gli affreschi di Gianfrancesco da Tolmezzo nella chiesa di San Nicolò, l'altare ad opera dello scultore Andrea Brustolon del XVIII secolo nella chiesa di Dosoledo e la presenza di Domenico Schiavi che segue sul finire dell'Ottocento i lavori progettati dall'architetto de Fabbro nel XVIII secolo. Di interesse già riconosciuto sono le due chiese gotiche di Nicolò Roupel, conosciuto in Cadore per la progettazione di alcune chiesette votive cinquecentesche della “Difesa”, ed in Comelico troviamo quella dedicata a Sant'Antonio Abate, a Candide, e quella di Casamazzagno dedicata a San Leonardo. Di architettura più recente è diventata famosa, dopo la messa celebrata nel luglio del 1987 dal Papa Giovanni Paolo II, quella dedicata alla Madonna delle Nevi in Val Visdende. Numerose inoltre le cappelle votive costruite in vari periodi a cura diretta delle famiglie o della popolazione a seguito di promesse e voti. Due, a Santo Stefano di Cadore, sono molto antiche in pietra di tufo ed una conserva un'antica statua della Madonna risalente al Quattrocento.41 L'architettura rurale dei secoli scorsi in Cadore, e in particolare nella vallata del Comelico, è caratterizzata dall'uso del legno e dal sistema costruttivo detto a blockbau (tronchi o travi sovrapposti orizzontalmente fino a formare delle pareti; l'aggancio è ottenuto agli angoli dove vengono ricavate delle connessioni che permettono l'incasso e l'irrigidimento della struttura). Con l'avvento del Rifabbrico (XIX secolo), ovvero la normativa che imponeva l'uso della pietra nell'edilizia per ridurre il rischio di incendi che devastavano i paesi quasi tutti fabbricati in legno, in Comelico sono venute meno le dimore lignee anche se in alcune zone si possono vedere ancora degli esempi42 . Il paese di Costalta, per motivazioni legate al terreno su cui sorge, ha continuato a costruire con questo materiale anche dopo l'entrata in vigore del Rifabbrico e ad oggi si possono ammirare una trentina di abitazioni e visitarne una all'interno, la Casa Museo “Angiul Sài”. Le costruzioni rurali in vallata possono essere condotte a due tipologie: quelle 41 Per le nozioni riguardanti l'architettura sacra si è fatto riferimento al testo di Giovanna Nieddu (1995), Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, dove si trovano informazioni sulle chiese parrocchiali. Un altro testo è la piccola guida turistica della Provincia di Belluno che tratta le chiese e i tesori artistici più importanti della Val Comelico: Ivano Alfarè Lovo, Mario Fait, Daniela Sacco (2004), Tesori d'Arte nelle Chiese dell'Alto Bellunese: Comelico e Sappada, Provincia di Belluno Editore, Tipografia Piave Belluno. 42 Soprattutto nel paese di Costalta e nel Comune di Comelico Superiore si trovano numerosi esempi di questa tipologia di architettura 36
  • 37. coincidenti con la dimora abitativa che troviamo nei paesi (ceda) e quella dei cosiddetti tabiè che, sparsi lungo i prati e sui pendii, caratterizzano il panorama della vallata. La ceda è la costruzione che si trova nei centri abitati e può essere unifamiliare o plurifamiliare e prima del Rifabbrico era costruita tutta in legno. Al piano terra troviamo la cucina, il soggiorno (stua) e ai piani superiori le camere. Il corridoio divide in due la casa. I tabiè sono degli edifici decentrati rispetto al villaggio e l'alto numero di queste costruzioni caratterizza il Comelico. La motivazione è legata a fattori morfologici: queste costruzioni venivano utilizzate per il deposito del fieno e in Val Comelico il dislivello fra paesi e prati falciabili è ampio e quindi, per evitare gravosi trasporti di fieno e letame, venivano costruiti lontano dalle abitazioni ma più vicini ai prati. I tabiè inoltre venivano utilizzati anche in primavera e in autunno per il ricovero dei bovini che pascolavano ad una quota bassa. Di questo tipo ce ne sono molti in Val Visdende che, priva di dimore permanenti, vedeva i suoi tabiè abitati da maggio a ottobre. I modelli più antichi sono costituiti a tronchi grezzi con il sistema blockbau e avevano un ballatoio ligneo esterno. I tabiè che si vedono ancora oggi sono formati da due o più stalle in muratura al piano terra e al piano superiore, che è in legno, troviamo gli spazi per il fieno e uno spazio comune detto erà dove un tempo si battevano i cereali. Molto spesso si possono vedere anche costruzioni che prevedono la ciasa e il tabiè in un unico edificio dove la parte destinata al fieno e agli animali era sistemata a nord e quella abitativa a sud43 . Nel paese di Dosoledo, posizionati ad ovest, si possono vedere 11 fienili in fila che sono il risultato del Rifabbrico che obbligò la costruzione di questi edifici al di fuori dell'abitato. 43 Edoardo Gellner (1988), Architettura rurale nelle Dolomiti Venete, Cortina d'Ampezzo, Dolomiti. Il libro descrive minuziosamente la struttura della casa rurale ceda e del rustico tabiè 37
  • 38. La terza tipologia di architettura44 presente in Val Comelico è quella delle dimore signorili45 che, sebbene in numero non così importante, si caratterizzano per essere sorte nell'assetto urbano rurale preesistente senza modificarlo. Ci sono da segnalare delle cosiddette “case di transizione” fra la dimora rurale e quella civile e un esempio si può riscontrare nella Casa Zandonella-Sarinutto a Dosoledo. La costruzione di abitazioni completamente in muratura, ispirate alle ville del basso Veneto, coincide con il XVII e XVIII secolo. Infatti, in questo periodo, si assiste all'ascesa di alcune famiglie che si arricchirono con il commercio di legname in particolare la famiglia Gera a Candide, Zandonella a Dosoledo e Poli a San Pietro. Questo tipo di architettura si esprime in modo semplice, se messa a confronto con le ben più note ville venete, ed è interessante notare come gli elementi di gusto classicheggiante si innestano in quelli della tradizione alpina rurale. Nel corso dei secoli numerosi palazzi sono stati demoliti o ristrutturati perdendo così gli elementi architettonici e la stessa datazione di quelli ancora esistenti è incerta e difficoltosa da stabilire con precisione. La maggiore concentrazione di queste dimore si denota nel comune di Comelico Superiore, dove c'era il maggior traffico di legname, invece l'unica villa riconosciuta ed entrata nel circuito delle Ville Venete è la villa Poli-De Pol-Sammartini nella frazione di Mare nel comune di San Pietro di Cadore. Molti di questi edifici sono tuttora di proprietà privata, nonché abitazioni private, e non è possibile effettuare visite all'interno dove spesso si trovano pregevoli stucchi e affreschi. Un' eccezione è fatta per il Palazzo Poli-De Pol46 a San Pietro di Cadore, sede del municipio, che è interamente visitabile e, sempre nel medesimo comune, la villa inserita nel circuito delle Ville Venete dove è possibile accedere al piano terra, al parco e alla casa dominicale su appuntamento. 44 L'unico testo di riferimento che tratta ampiamente di questo argomento è il libro di di Giovanna Nieddu (1995), Architettura nel Comelico e nella valle di Sappada, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali 45 In appendice l'elenco degli edifici signorili in Val Comelico 46 Patrizia Eicher Clere, Elisabetta Riva De Bettin (1994), Una villa veneta nella ladina dolomitica: Girolamo Pellegrini e gli affreschi di Palazzo Poli-De Pol a San Pietro di Cadore, Comp Editoriale Veneta s.r.l., Mestre (Ve) 38
  • 39. 3.2 L'arte in Val Comelico Le espressioni artistiche di una vallata così isolata e chiusa come la Val Comelico non annoverano grandi nomi, ma raccontano semplicemente il rapporto degli autoctoni e di chi si è affezionato al territorio. Diverse sono le attrattive che andrebbero valorizzate ed inserite in una rete che possa dare visibilità a tutti e che consenta non solo ai locali, ma anche ai turisti, di poter avere un'offerta diversa. In Val Comelico si contano alcuni spazi espositivi, molte opere sparse sul territorio ed anche alcune tele di artisti locali. Molte di esse sono figlie di manifestazioni pensate appositamente per dare vita a tradizioni artistiche legate alla vallata, mentre alcune sono legate ad eventi o a semplici iniziative di celebrazione. Lo scopo di questa sezione è di elencare tutte le piccole e grandi opere che si trovano sparse nei cinque comuni della vallata per avere una panoramica completa delle potenzialità da valorizzare. 3.2.1 Collezioni ed esposizioni A quota 1.249 metri, nel paese di Costalissoio, si trova un'esposizione permanente dell'artista Luigi Regianini conosciuto in loco come il Museo Surrealista “Luigi Regianini”. La struttura rientra nei locali che lo studio si prefigge di organizzare al fine di consentire la nascita e lo sviluppo di una rete museale della Val Comelico. Pittore, scultore e grafico, Regianini nasce a Milano nel 1930 e muore il 27 marzo 2013. Si diploma in scultura all'Accademia di Belle Arti di Brera, sotto la guida di Francesco Messina e Giacomo Manzù, ed ha al suo attivo circa 250 esposizioni, fra personali e 39
  • 40. collettive, in Italia e all'estero. Ha svolto sin dall'inizio la sua ricerca artistica nella sfera del surrealismo e del fantastico con oltre 1500 opere prodotte in 50 anni di attività, molte delle quali si trovano presso collezioni private e pubbliche in Italia e all'estero47 . Temi ricorrenti sono la distruzione dell'ambiente naturale da parte dell'uomo, l'inconscio, la psicologia umana e la violenza. L'ultimo periodo della sua attività artistica si caratterizza per un surrealismo che mette in luce le tragedie umane attraverso rappresentazioni macabre molto forti ma allo stesso tempo tristemente ironiche48 . Le Dolomiti sono un'importante fonte di ispirazione ed una delle protagoniste nella rappresentazione artistica e lo stretto rapporto dell'artista con il Comelico deriva dalle origini della madre nativa di Costalta, nel comune di San Pietro di Cadore, e dalle numerose estati passate lì in villeggiatura. Regianini considera la montagna come “la natura più vera, più cruda, più violenta che sotto certi aspetti trasmette valori e verità che in pianura sono nascosti. In Comelico è il paradiso per il clima, la marea di abeti e lascia perplessi chiunque trascorra qualche giornata qui”49 . La montagna è carica di simboli, in molte sue opere infatti le rocce dolomitiche sono antropomorfe e assumono le fattezze degli uomini; sono gli avi che osservano e vigilano sul presente di dolore e inquietudine. Particolare è il legame che l'artista ha instaurato con le costruzioni tipiche rurali della vallata, in dialetto tabiè (fienili). Il desiderio di rappresentare queste costruzioni rurali nasce nella residenza milanese dove il richiamo alle origini si fa più forte. Per questo i tabiè sono raffigurati in molte opere: un desiderio atavico che prende forma nell'universo surrealista e che fanno da contorno a molti soggetti ambientati in paesaggi montani. Regianini inoltre ha acquistato due tabiè a Costalta per restaurarli ed uno l'ha affrescato: “Molti paesi inaugurano musei sugli attrezzi del passato, mentre io ritengo che i fienili siano la vera opera d'arte che parla direttamente all'uomo perché contiene vite vissute”.50 Nel 2004 viene inaugurato a Costalissoio lo spazio espositivo permanente messo a disposizione dalla Regola dove sono ospitate diverse opere donate 47 Per una panoramica più dettagliata si rimanda al catalogo Luigi Regianini Catalogo (2000), Surrealismo di Regianini: l'immaginario nel profondo reale, Milano, Brama Arte 48 Il libro Luigi Regianini Catalogo (2006), Surrealismo di Regianini: opere inizio terzo millennio 2000- 2006 d.C., Milano, Logos, raccoglie le opere di questa fase 49 Stefano Vietina (2011) Regianini Tramonti e Abissi, Corriere delle Alpi 20 agosto 2011, Belluno, pag. 33 50 Stefano Vietina (2011), video Luigi Regianini, un pittore surrealista sulle Dolomiti, dolomitichannel su You Tube 40
  • 41. da Regianini51 . Il museo è disposto su tre spazi: “Local Art”, “Harmony Art” e “Horror Art”. Il primo spazio accoglie il visitatore e si trovano opere che raccontano la vallata. Sono esposti i quadri che raffigurano la leggenda delle ongane, le ninfe giovani e buone e quelle vecchie e cattive che vivono nei boschi; una rappresentazione dell'incendio avvenuto a Costalissoio nel 1884; la figura di Andrea Zanzotto che ancora bambino accompagna il padre a dipingere l'encausto nella chiesa di Costalissoio; un ritratto del poeta in età adulta cittadino onorario di Santo Stefano di Cadore; il cappellano militare Don Arnoldo noto per la sua opera di raccolta dei defunti della Grande Guerra in Comelico e Cadore, un ritratto di Zanzotto cittadino onorario di Santo Stefano52 , una rappresentazione simbolica delle Regole ed infine il ritratto del Papa Giovanni Paolo II, mentre sosta in un bosco di Costalissoio. Nel secondo settore, una stanza a parte che comunica con la prima, vi troviamo un “surrealismo dolce con immagini di fiori, paesaggi marini, montani e interpretazioni della città di Venezia”53 . Il terzo settore ospita le opere che indagano sull'esistenza, soprattutto il tema della morte e dell'orrido. Lo spazio di anno in anno si rinnova ed accoglie nuove opere che vanno a sommarsi o a scalzare le precedenti. Lo spazio è gestito dal responsabile Guido Buzzo e da Francesco Polledri, è aperto nel periodo estivo e su prenotazione durante il resto dell'anno. Non è accessibile ai portatori di handicap, è presente l'impianto di riscaldamento e un'illuminazione adeguata anche se lo spazio è troppo piccolo per contenere tutte le opere. Oltre alle tele esposte presso il museo, numerose sono le altre opere di Luigi Regianini ospitate in Val Comelico in collezioni private, come quella di Francesco Polledri che ne possiede circa una cinquantina fra litografie e dipinti54 . Nella chiesa di Costalissoio, a sinistra dell'altare, sono collocate due grandi tele: una raffigurante Gesù in croce ed una la Madonna di Medjugorje; mentre due crocifissi dipinti su tavola, incorniciati da edicole lignee, sono posti presso due abitazioni dello stesso paese. Nelle vicinanze, in località San Lorenzo, si può osservare un grande murale collocato all'interno di un rustico, sede dell'associazione "Amici di Costalissoio". Due dipinti con soggetti montani, di proprietà dei Comuni di Santo Stefano e di San Pietro di Cadore, 51 In appendice l'elenco delle opere presenti presso l'esposizione di Costalissoio 52 Stefano Vietina (2012), Santo Stefano celebra il legame con Zanzotto, Corriere delle Alpi 9 agosto 2012, Belluno 53 Dalla testimonianza raccolta dall'intervista al promotore e responsabile dell'iniziativa, Guido Buzzo 54 Queste opere potrebbero costituire un interessante potenziale per creare un'esposizione più ampia 41
  • 42. sono visibili rispettivamente nella sala consiliare e nella biblioteca pubblica comunale. Un'opera su tavola, raffigurante la tragica alluvione avvenuta in Comelico nel 1966, è esposta nel salone del Museo della Cultura Alpina e Ladina di Padola. Un altro dipinto, di uguali dimensioni raffigurante un paesaggio cadorino, è collocato e visibile presso la scuola elementare di Costalta, mentre un ritratto di Papa Giovanni Paolo II, eseguito in occasione della visita al paese nel 1985, è situato all'interno della canonica. Sempre a Costalta sono visibili altri tre crocifissi dipinti con edicola lignea. Uno dei quadri più conosciuti in valle è “Giovanni Paolo II in visita a Costalta” dipinto per il ventennale della visita del Pontefice polacco ed inserito nell’edicola votiva costruita lungo il Sentiero del Papa a Costalta. E proprio nella piccola frazione di Costalta si trovano tre spazi espositivi di artisti locali: uno scultore vissuto negli anni Cinquanta (Anastasio De Villa Bais), un pittore che visse fino al decennio scorso (Giovanni De Bettin Linch) e lo spazio di un artista contemporaneo (Giusto De Bettin). Tutti gli spazi sono gestiti privatamente e con visita su richiesta. Essendo sorti e gestiti con la volontà di non perdere la memoria è interessante vederli non tanto per la qualità delle opere esposte ma per scoprire una Val Comelico fatta non solo di natura ma anche di rappresentazioni di essa. Una parte della casa di Anastasio De Villa Bais55 , in Via Villa 12 a Costalta, è stata allestita per esporre le opere di marmo e alcuni bozzetti in gesso creati negli anni Cinquanta. Lo spazio rende omaggio all'artista sfortunato che dimostrava di avere capacità espressive ma che la ristrettezza del paese e della vallata non gli permisero di esprimere al meglio. Nacque nel 1924 e, ancora ragazzo, già modellava le sue prime raffigurazioni aiutando il padre, artigiano marmista, nella piccola bottega di Costalta. A 23 anni si trasferì a Carrara presso le cave di marmo dove frequentò la locale Scuola d'Arte, affinandosi nella tecnica scultorea. “Ritornato nella natia Costalta con la ferma intenzione di dedicarsi completamente alla scultura, si trovò invece ben presto coinvolto e oppresso dalle semplici, ma indispensabili necessità della quotidiana sopravvivenza, disperdendo le sue doti artistiche in un difficile e sofferto rapporto con i paesani (che mai capirono o accettarono i comportamenti e le idee di Anastasio). Così il De Villa si sentiva sacrificato, costretto alla sola misera lavorazione di lapidi e statuette cimiteriali, 55 Gruppo musicale Costalta (1992), Anastasio De Villa, Omaggio ad un artista, Edizioni Gruppo Musicale Costalta 42
  • 43. in uno spazio artistico e culturale angusto, monotono assai limitato.”56 Sofferse talmente per questa situazione che venne ricoverato nella clinica psichiatrica di Feltre e dalla quale ne uscì solo morto all'età di 68 anni. La bottega-laboratorio dell'artista è rimasta intatta e visitabile: vi sono conservati gli attrezzi, alcune opere finite e altre incompiute, autoritratti, busti, bassorilievi e statue. Troviamo poi lo studio di Giovanni De Bettin Linch (1923-2006) "Tra le persone che spiccano per impegno ed intraprendenza dando lustro alla propria terra, va ricordato Giovanni De Bettin Linc, pittore accademico di fama internazionale, fine poeta, cantore della ladinità comeliana. Nell'atelier di Costalta c'è una mostra permanente delle sue opere"57 . Quest'artista si distinse in vallata per le opere paesaggistiche e ritrattiste che si trovano in tutta la Val Comelico. Il terzo spazio espositivo è il tabiè di Giusto De Bettin dove l'artista espone ancora oggi le sue opere. Interessante è lo spazio ricavato in una tipica costruzione rurale quale il tabiè come luogo d'arte, l'incontro fra la tradizione passata e la produzione artistica locale. La disorganizzazione e il disinteresse per l'arte che caratterizza molto spesso la Val Comelico non hanno permesso una seria né accurata ricognizione di tutti i prodotti artistici del luogo. Si conoscono i nomi di molti artisti che hanno operato qui, sia autoctoni che esterni, e molte delle loro opere sono sparse in Val Comelico. Si ricordano in particolare Romana d'Ambros58 , Tita Saler, Pio Solero e molti altri dediti soprattutto al paesaggio e al ritratto59 . Caso a parte lo scultore Geremia Grandelis divenuto famoso all'estero soprattutto per il suo monumento a Lincoln nella città di Washington. A Campolongo, paese natale, è possibile vedere una stele dedicata a questo artista che purtroppo non è stato valorizzato e alcune sue opere sono presenti presso la sede comunale di Santo Stefano di Cadore60 . Se fosse possibile raccogliere tutte le opere presenti in Val Comelico dei vari artisti, che sono ancora conservate presso privati oppure in sale pubbliche, sarebbe possibile creare uno spazio che racconta la Val 56 Nella guida a cura di Italo Zandonella Callegher e Mario Fait (1997), Escursioni Comelico e Sappada, CIERRE Edizioni, si trovano gli approfondimenti su queste piccole esposizioni locali 57 Ibidem 58 Nell'estate 2013 si celebra il centenario della nascita di Romana D'Ambros con una mostra 59 Diverse biografie di artisti autoctoni si trovano nell'articolo a cura di Mario Fait (2008), Pittori di montagne...comelicensi, in La grande Cordata per le montagne bellunesi a cura di Italo Zandonella Callgher e Loris Santomaso, Grafiche Antiga, Crocetta del Montello (TV) 60 Una biografia e delle opere di Geremia Grandelis si trovano nell'appendice del libro Dizionario del dialetto ladino e omaggio a Geremia Grandelis a cura di Germano De Zolt, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 1986, Stampa Castaldi, Feltre. 43
  • 44. Comelico attraverso il lavoro modesto, ma pur sempre interessante, degli artisti che si sono ispirati qui. Uno spazio pedagogico per sensibilizzare i locali e che offra al turista una panoramica della valle attraverso gli occhi degli artisti che vi hanno operato. 3.2.2 Vico Calabrò e Augusto Murer: piccoli luoghi d'arte Nella vallata si trovano anche altre piccole espressioni artistiche che da sole non possono offrire molto ma, inserite in una fruizione più ampia a rete, possono fare parte di un percorso alla scoperta del Comelico attraverso l'arte. In Val Comelico ci sono due opere di Augusto Murer61 : a Costalissoio (Santo Stefano di Cadore), in Piazza SS. Trinità, è presente una statua rappresentate la Patria. L'opera, dedicata ai caduti di Costalissoio, è stata inaugurata il 6 novembre 1955 e presenta tre altorilievi: Madre e Caduto, Cristo tra i Caduti e Soldato e Commilitone ferito. Nel paese di Costalta (San Pietro di Cadore) troviamo l'opera in bronzo intitolata all'alpino che raffigura l'omonimo “Sergente della neve” del racconto di Mario Rigoni Stern. Altro artista è l'affreschista Vico Calabrò62 che si presenta con diverse opere di cui due 61 Augusto Murer (Falcade 21 maggio1922 - Padova,11 giugno1985) Scultore italiano della seconda metà del Novecento, si distinse con un'ampia produzione artistica legata a temi di impegno civile ma anche alla ricerca del senso profondo dell'esperienza umana. A Falcade (BL) l'Associazione Erma gestisce il Museo Augusto Murer dedicato all'artista 62 I dipinti murali eseguiti in Val Comelico e visibili sono a Santo Stefano di Cadore presso Casa Pellizaroli “Vita al terzo piano” 1967 e “Arianna in cantina” del 2004 presso il Monaco Sport Hotel. 44
  • 45. in spazi pubblici. A Costalissoio troviamo “Il Cristo dei Regolieri” eseguito nel 1994: donato alla Regola dallo stesso artista, l'affresco raffigura le attività agro silvo pastorali che caratterizzano l'istituzione regoliera. Queste tre realtà vengono inserite nel contesto paesano con la raffigurazione della Chiesa, della Malga Pramarino e di Malga Campobon, il tutto sovrastato da un luminosissimo Cristo. Il secondo affresco risale al 1981 e si trova nel Museo della Cultura alpina e Ladina di Padola. È un'opera di circa 35 mq raffigurante alcuni aspetti della vita della popolazione del Comelico e del fenomeno dell'emigrazione con riflessioni iconiche su aspetti leggendari e folcloristici della tradizione locale. Il terzo affresco, eseguito nell'estate del 2012, si trova nella cellula museale de “La Stua” a Padola dove ha rappresentato tutte le fasi del lavoro che precedevano la spedizione del legname: come si lavorava il bosco, il taglio degli alberi, la preparazione dei tronchi, il loro trasporto fino al torrente Padola con le slitte trainate da cavalli e infine la fluitazione63 . 3.3 Eventi Artistici in Val Comelico Nella Val Comelico si individuano due eventi artistici che si caratterizzano per la cadenza annuale e per l'organizzazione ben strutturata. Non si parla solo di semplici ex- tempore o simposi, ma di manifestazioni locali con artisti “esterni”, dove l'arte trova un forte legame con il territorio e viene prodotta e pensata per rimanere nella valle con specifici intenti. Da Costalta, dove la scultura contemporanea punta a valorizzare l'architettura rurale, al progetto più ampio del Trittico di Pittura Dolomitica che si pone l'obiettivo di unire tutta la Val Comelico attraverso l'interpretazione artistica di professionisti del settore sotto la direzione di Vico Calabrò, celebre affreschista già noto per il lavoro nel paese dei murales, Cibiana di Cadore. A Costalissoio “Il Cristo dei Regolieri” del 1994 nella Sala della Regola; a Costalta nel 1996 “Caccia col flauto” in Villa De Bettin e a Dosoledo presso la Chiesa Parrocchiale “Via Crucis” 1966 e nel 2000 presso il Tabià Callegher due acrilici su intonaco. A Padola presso il Museo della Cultura Alpina e Ladina “Padola di una volta” del 1981 e nel 2012 nella cellula museale della Stua rappresenta la fasi del taglio del legname per il quale si fa riferimento all'articolo di Stefano Vietina (2012) Nella Stua di Padola Vico Calabrò racconta il taglio del bosco, Corriere delle Alpi 7 luglio 2012, Belluno 63 Stefano Vietina (2012) Nella Stua di Padola Vico Calabrò racconta il taglio del bosco, Corriere delle Alpi 7 luglio 2012, Belluno 45
  • 46. 3.3.1 Costalta “Paese d'Arte” Il legno è da sempre una risorsa per la sussistenza degli abitanti della Val Comelico e di questo materiale, fino a poco tempo fa, venivano costruite tutte le strutture adibite al riparo di uomini e animali. Costalta, nel Comune di San Pietro di Cadore, è un piccolo paesino sorto sulle pendici del Monte Zovo. Causa la difficoltà di reperire altri materiali, l'edificazione nel paese si è caratterizzata per l'abbondanza nell'uso della risorsa boschiva. Altro motivo per il quale le costruzioni sono prevalentemente lignee, eccetto il piano basale in muro, sta nel fatto che garantiscono maggiore stabilità sulla pendenza precaria del suolo dove si trova Costalta: ovvero una casa di legno significa minor carico sul terreno ed eliminazione dei rischi di lesione, come risulta dagli studi dell'architetto Edoardo Gellner64 . Per queste motivazioni a Costalta si continuò anche dopo la messa a bando del legno (introdotta per scongiurare il rischio di incendi secondo le normative del Rifabbrico) a costruire con questo materiale. L'importanza riservata alle abitazioni e alla prevenzione del rischio d'incendio si tradusse in passato nell'istituzione della figura di guardia notturna, voluta della Regola, e in attività fino agli anni Cinquanta. Questa persona aveva il compito di girare la notte lungo le stradine del paese al fine di garantirne la sicurezza e nel caso di incendio di avvisare la popolazione. Ad oggi nel paese di Costalta rimangono una trentina di abitazioni che si sono salvate 64 Edoardo Gellner (1988), Architettura rurale nelle Dolomiti Venete, Cortina d'Ampezzo, Dolomiti 46